Giornale dei Biologi
Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.
Settembre/ottobre 2023 Anno VI - N. 9/10
SOCIAL E PANDEMIA HANNO FATTO AUMENTARE DISTURBI MENTALI TRA I GIOVANI Ansia e depressione rimangono uno stigma che è possibile superare anche attraverso la discussione pubblica di chi ne soffre
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Sommario
EDITORIALE 3
Una nuova pagina per i biologi italiani Vincenzo D’Anna
PRIMO PIANO 10
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Perché i disturbi mentali sono in aumento tra i giovani di Rino Dazzo Se i social diventano dipendenza di Rino Dazzo
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Parlarne per superare lo stigma di Rino Dazzo
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Eletti i nuovi componenti del comitato centrale della Fnob
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Danno neurologico: maschi e femmine non reagiscono allo stesso modo di Elisabetta Gramolini
24
Individuato nel cervello un nuovo tipo di cellule neuronali “ibride” di Sara Bovio
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L’importanza dei linfociti T gamma delta per prevenire il cancro all’intestino di Sara Bovio
28
Biomarcatori molecolari per il carcinoma midollare della tiroide (MTC) di Carmen Paradiso
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Dal cervello affamato alla fame emotiva: i quattro tipi di obesità di Domenico Esposito
32
Un videogioco d’azione per trattare la dislessia evolutiva in età scolare di Elisabetta Gramolini
34
In Italia 8 adulti su 10 sottovalutano il dolore provato dai bambini di Domenico Esposito
36
Un vaccino contro le infezioni ospedaliere di Domenico Esposito
37
Dopo il long covid il long raffreddore di Domenico Esposito
38
Nuova frontiera: il trapianto di sopraccigliadi di Biancamaria Mancini
40
Strategie antietà: come prevenire l’invecchiamento della pelle di Carla Cimmino
INTERVISTE 16
Lo spettacolo dei globicefali nel palcoscenico del ponente ligure di Ester Trevisan
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Smartbugs, la biologia al servizio degli insetti di Chiara Di Martino
SALUTE 20
Memoria a lungo termine: scoperto il ruolo chiave delle cellule vascolari di Sara Bovio
Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
C
Sommario
AMBIENTE 48
Salto nella sostenibilità: nato il primo impianto voltaico con microalghe di Gianpaolo Palazzo
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Nanoparticelle d’argento: siamo in prima linea nella ricerca di soluzioni di Gianpaolo Palazzo
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Cucina italiana: il cibo per valorizzare l’antispreco di Gianpaolo Palazzo
INNOVAZIONE 54
Stop ai pesticidi con gli ultravioletti di Pasquale Santilio
55
La silice cattura inquinanti nell’acqua di Pasquale Santilio
56
Nuove batterie per la mobilità elettrica di Pasquale Santilio
57
Il bergamotto contro il colesterolo di Pasquale Santilio
BENI CULTURALI 58
59
D
SPORT 62
Quando i portieri fanno gol di Antonino Palumbo
65
Kiteboarding azzurro. Missione olimpiadi di Antonino Palumbo
66
Per l’Italia della pallavolo si allontanano le olimpiadi di Parigi di Antonino Palumbo
68
Ciclismo, Pogacar sulla scia di… Coppi di Antonino Palumbo
LIBRI 70
Rubrica letteraria
LAVORO
Giornate d’autunno del Fai, tesori nascosti dell’Italia più vera di Rino Dazzo
72
In mostra la “Presa d Cristo” di Caravaggio di Eleonora Caruso
74
Le proteine dalle “Uova d’oro”. Cottura e conservazione di Rudy Alexander Rossetto
80
Domesticazione. L’esperimento di Belyaev sulle volpi argentate di Valentina Guidi
84
Un gemello digitale per ogni paziente e terapie personalizzate di Daniela Bencardino
88
Specie botaniche aliene nel territorio di Pavia di Martina Barattieri et al
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Concorsi pubblici per Biologi
SCIENZE
Informazioni per gli iscritti Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00 Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o all’indirizzo protocollo@cert.fnob.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata. È possibile recarsi presso le sedi della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.
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Anno VI - N. 9/10 Settembre/ottobre 2023
Edizione mensile di Bio’s Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma Diffusione: www.fnob.it
Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna
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Giornale dei Biologi Settembre/ottobre 2023 Anno VI - N. 9/10
Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione lunedì 30 ottobre 2023. Contatti: protocollo@cert.fnob.it
Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.
Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.
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Immagine di copertina: © PeopleImages.com - Yuri A/www.shutterstock.com
Editoriale
Una nuova pagina per i biologi italiani di Vincenzo D’Anna Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi
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ella guerra deter- mento) di cui avevano successivamente minazione, nella disconosciuto l’appartenenza. Ho più sconfitta resisten- volte ribadito che tutti gli organismi za, nella vittoria elettivi, ossia selezionati attraverso il magnanimità, nella pace voto espresso dagli aventi benevolenza” soleva dire diritto, sono legati, moGli organismi elettivi, Winston Churchill. Abralmente e concretamenscelti attraverso il voto, biamo dovuto, nostro malte, al mandato democratisono legati, moralmente grado, affrontare la “guercamente ricevuto. e concretamente, al mandato ra” mossa contro FNOB Chi viola quel legame, democraticamente da un gruppo di colleghi sancito dalla libera scelta ricevuto che intendeva assumere il degli elettori, perde ogni controllo di gestione della Federazione, legittimazione a governare in quanto si col metodo del trasformismo, ossia ve- è volontariamente privato del consenso nendo meno ai doveri di lealtà e di coe- che gli è stato tributato. Senza coerenrenza politica ed elettorale. Colleghi, si za e rispetto per le scelte dell’elettorato, badi bene, candidati e successivamente costui si trasforma in un “abusivo” che eletti in una lista (Biologi per il Rinnova- pretende di agire senza alcuna norma Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Editoriale
morale e di legittimità. La regola demo- amministrativa della FNOB e se ne incratica, giusto per rimarcarlo, ha vincoli dirizzano le azioni volte al buon goveretici che non possono essere aggirati da no della categoria. Tutto questo da oggi chi assume la responsabilità di regge- verrà consegnato al passato, qualora la re il timone di un consesso elettivo. In manovra eversiva si concluda e si spenbase a questo elementare ragionamento gano menzogne e contrasti. Sarà archiho denunciato a tutti i Biologi Italiani viata come parentesi negativa, costruito la manovra sotterranea ordita per l’ar- un clima di benevolenza e magnanimirivismo di coloro che eratà, insomma poter vivere no venuti meno alle leggi il tempo della pace e della Una nuova e qualificata della democrazia elettiva collaborazione con tutti squadra di colleghi è e come tali si erano rivequelli di buona volontà e pronta ed affiatata, preparata ad agire, scelta lati indegni di poter rapdisponibilità. con largo consenso presentare quanti pure li Bisogna voltare pagina dai Presidenti degli avevano scelti nel gran see cooperare con quanti Ordini Territoriali greto dell’urna. sono pronti ad anteporre Un discorso elementare e lineare, il gli interessi della categoria - che è ancora nostro, che invocava principi di coeren- in gran parte da realizzare sotto il profiza e di trasparenza senza i quali tutto sa- lo di una consapevole appartenenza alla rebbe diventato un continuo e torbido famiglia dei Biologi - alle loro personali compromesso, assumendo finalità ed ambizioni, alle furbizie dei mestieranti e interessi particolari oltre che personali. dei falsi moralisti. Credo che questo sia Siamo riusciti ad uscire dallo stallo nel il momento di recuperare il tempo perquale quel gruppo aveva relegato il Co- duto, di creare l’armonia e di lavorare mitato Centrale, che è l’organismo attra- coesi. Una nuova e qualificata squadra verso il quale si decide l’azione politico di colleghi è pronta ed affiatata, prepa6
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Editoriale
rata ad agire, scelta con largo consenso nei Consigli Direttivi regionali, peraldai Presidenti degli Ordini Territoriali. tro senza assumersi la responsabilità di Per fare, tuttavia, occorrono interlo- fare i conti con il fabbisogno necessacuzioni chiare basate sulla conoscenza rio a garantire e anteporre i servizi gradelle leggi e delle norme che disciplina- tuiti agli iscritti, adeguando le entrate. no i rapporti tra la FNOB e gli Ordini La Federazione ha peraltro il compito territoriali, oltre che tra questi ultimi e i di organizzare eventi, promuovere forpropri iscritti. La malintesa interpreta- mazione gratuita e completa, erogare zione di questi riferimenservizi a sostegno delle ti giuridici ha confuso le diverse necessità dei BioLa FNOB ha compiti idee di taluni, al punto da logi Italiani oltre a dover ben precisi, che la credere che la FNOB fosfare intermediazione con legge le assegna: quelli di indirizzo e di se un ente pleonastico e di le altre istituzioni a vario coordinamento degli sovrastruttura. Un Ente titolo competenti (Goverundici ordini territoriali che svolga una mera rapno, Ministeri, istituzioni neocostituiti presentanza formale della sanitarie e tecnico -procategoria. fessionali, altri Enti sussidiari della pubTuttavia, FNOB ha compiti ben pre- blica amministrazione). Un complesso cisi, che la legge (non certo il suo pre- di funzioni, insomma, che necessitano sidente!) le assegna: quelli di indirizzo un’organizzazione amministrativa come di coordinamento degli undici ordini plessa, interventi gratuiti in favore deterritoriali neocostituiti. Non è un for- gli iscritti, protezione dei diritti e delle ziere da cui attingere danaro, impingua- competenze professionali dei biologi in re i bilanci degli Ordini Regionali anche tutti i contesti. Molte lacune sono staper mantenere fermi gli importi desti- te colmate nei cinque anni della precenati alle prebende che ci si è assegnati dente gestione dell’ONB fino allo scioGiornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Editoriale
glimento di quest’ultimo, scattato il 31 le relative risorse economiche necessarie. dicembre del 2022. Tuttavia, essendo decuplicate le spese di Molte altre sono ancora in attesa di nor- gestione e centuplicati i dirigenti eletti, è me di legge nei vari ambiti di interesse dei fuor di dubbio che il decentramento (e i plurimi esercizi della professione di biolo- conseguenti maggiori servizi da erogare) go. Occorrerà, ad esempio, definire me- comporterà un necessario aumento delle glio i rapporti con gli Ordini territoriali sia entrate con un ritocco della quota associasotto il profilo economico sia sotto quello tiva. Nessuno può fare la moltiplicazione più squisitamente organizdei servizi e delle opportuzativo. Molte delle incomnità per gli iscritti senza la Una nuova pagina prensioni tra la FNOB e necessaria copertura ecosi apre. Una nuova era. gli Ordini regionali, per canomica. Ed occorrono dirigenti seri ed onesti, pirci, sono scaturite da una Chi per demagogia non chiari nel parlare malintesa intercettazione adeguerà le proprie entrae disinteressati nei delle norme e delle compete per sostenere i migliori comportamenti tenze spettanti alla Federae maggiori servizi lo farà zione e agli Ordini stessi e di conseguenza a detrimento del proprio budget. Non dal fabbisogno economico che necessita si tratterà che di far comprendere agli per operare nei rispettivi ambiti istituzio- iscritti che la gratuità della formazione, nali. Intendiamoci: l’autonomia degli Or- dell’informazione e quella dei servizi ofdini non è in discussione né mai lo sarà ferti compenserà di gran lunga la quota per quanto mi riguarda, ma va intesa nei versata. Una nuova pagina si apre. Una limiti che la legge assegna ai medesimi, che nuova era. Ed occorrono dirigenti seri certamente non possono e non debbono ed onesti, chiari nel parlare e disinteresconsiderarsi né autoctoni, né autarchici. A sati nei comportamenti. Andare avanti e ciascuno il suo, insomma. E per ciascuno fare bene. 8
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Primo piano
PERCHÉ I DISTURBI MENTALI SONO IN AUMENTO TRA I GIOVANI Studi e report parlano chiaro: ansia e depressione crescono tra adolescenti e under 25 Le responsabilità dell’abuso tecnologico e l’effetto moltiplicatore della pandemia di Rino Dazzo
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© fizkes/shutterstock.com
Primo piano
D
al 1992 in tutto il mondo il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della salute mentale, in cui si promuovono – come si legge sul sito del ministero della Salute – «iniziative per aumentare la consapevolezza e accrescere le conoscenze sui problemi di salute mentale e, nello stesso tempo, per sensibilizzare e incoraggiare azioni e interventi a sostegno di questo tema così importante». Quanto ne sappiamo su questa tematica così delicata? È vero che i disturbi mentali sono in aumento soprattutto tra i giovani? E quanto può avere influito in questo contesto un evento drammatico e di portata planetaria come la pandemia, soprattutto in relazione a chiusure, lockdown e diminuzione dell’attività fisica e delle interazioni con gli altri? Dversi studi certificano come negli ultimi anni – ancor prima dell’avvento del
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“Almeno il 50% dei disturbi di salute mentale esordisce prima dei 15 anni e l’80% di questi ultimi si manifesta prima dei 18 anni, in alcuni casi diventando un problema permanente per tutta la vita di una persona”.
© hikrcn/shutterstock.com
Covid, per la verità – disturbi mentali come ansia, depressione e tendenze al suicidio siano in aumento tra i giovani e gli adolescenti. Una ricerca condotta da Jean Twenge, docente di psicologia presso la San Diego State University e autrice del libro iGen, ha preso in esame 200mila adolescenti (12-17 anni) e 400mila giovani tra i 18 e i 25 anni per un periodo che va tra il 2005 e il 2017: quelli che hanno riferito sintomi depressivi sono aumentati del 52% tra i teenager, passando dall’8,7% al 13,2%, e del 63% tra i giovani, passando dall’8,1% al 13,2%. Stress in aumento (+71%) nella fascia 18-25 anni, così come la percentuale di giovani che hanno confessato di pensare al suicidio (+43%). Come interpretare e soprattutto che spiegazione dare a questi dati preoccupanti? Graziano Pinna, neuroscienziato della University of Illinois a Chicago, ne ha parlato all’Ansa: «L’abuso tecnologico e la carenza di sonno che ne deriva possono avere effetti devastanti sul cervello in via di sviluppo dei teenager. I disturbi mentali possono sfociare proprio dall’incapacità del cervello di adattarsi alla velocità dei cambiamenti imposti dallo sviluppo tecnologico e dai nuovi trend culturali. Il problema ha dimensioni pandemiche - afferma – e sarà necessario sviluppare interventi mirati e capire meglio come la comunicazione digitale favorisca i disturbi dell’umore o addirittura l’ideazione al suicidio». La possibile soluzione? «Bisogna reintrodurre i tradizionali canali di socializzazione faccia-faccia limitando l’uso degli smartphone, evitando che interferiscano con il sonno, preziosissimo per il cervello in sviluppo dei giovani. No quindi a telefoni o tablet in camera da letto durante la notte e spegnerli almeno un’ora prima di andare a letto».
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Per un certo periodo, però, telefonini, tablet e altri strumenti tecnologici hanno rappresentato l’unica possibilità per tutti, specialmente per i giovani, per mantenersi in contatto con gli altri. Il Rapporto Headway sulla salute mentale realizzato da The European House-Ambrosetti in partnership con Angelini Pharma ha preso in esame proprio gli effetti della pandemia sulla salute mentale della popolazione, evidenziando come la fascia di età che ha pagato il prezzo più alto sotto questo versante sia stata proprio quella degli adolescenti. In aumento ansia (28%), depressione (23%), senso di solitudine (5%), stress (5%) e paura (5%), in buona parte associati a diminuzione del rendimento scolastico e ad abbandono degli studi. «Almeno il 50% dei disturbi di salute mentale esordisce prima dei 15 anni e l’80% di questi ultimi si manifesta prima dei 18 anni, in alcuni casi diventando un problema permanente per tutta la vita di una persona», si legge nel rapporto. Un’altra ricerca, Health at a Glance: Europe, frutto della collaborazione tra OCSE e Commissione europea, è arrivata a una conclusione perentoria: «La pandemia ha causato un peggioramento senza precedenti della salute mentale della popolazione, in particolare tra i giovani». Anche in questo caso a parlare sono soprattutto i numeri, che testimoniano come in media nei paesi dell’Unione europea i casi di ansia e di depressione tra le fasce di popolazione più giovani siano raddoppiati rispetto al periodo precedente la pandemia. In Italia, ad esempio, il rischio di depressione è aumentato di 14 punti, da 45 a 59, in una particolare scala che va da 0 a 100, numeri ricavati attraverso uno specifico test che misura la qualità della vita, il WHO-5. Se fino al 2019 la prevalenza dei disturbi era riscontrabile in maggioranza presso gli over 25 (7%) piuttosto che tra i giovani tra i 15 e i 24 anni (6%), negli ultimi anni la percentuale si è ribaltata, anche a causa delle interruzioni – e più in generale della carenza – dei servizi di assistenza dedicati. Lo stesso report invita a implementare e a rafforzare i servizi di supporto psicologico, che dovrebbero rappresentare una priorità per i diversi paesi UE: «È fondamentale infatti delineare politiche mirate alla prevenzione, alla presa in carico precoce dei disturbi mentali e alla promozione di opportunità di inclusione sociale e inserimento nel mercato del lavoro per le persone che ne sono affette».
Primo piano
© Gorodenkoff/shutterstock.com
Q
uante volte al giorno utilizziamo i social? Tutti siamo soliti postare commenti, foto, aggiungere like ai post di amici, intervenire in discussioni e dibattiti sulle pagine più seguite. Ma quando quelle che sono abitudini consolidate diventano delle vere e proprie ossessioni, ecco che si può arrivare a una particolare forma di dipendenza, la Social Media Addiction, che si può tradurre efficacemente dall’inglese proprio come «Dipendenza dai social media». Si tratta a tutti gli effetti di uno dei disturbi della salute mentale in vertiginoso aumento tra i più giovani e riguarda più o meno indistintamente tutti i social media, da Facebook a TikTok, da Instagram a Twitter e anche altri. Sul sito dell’ISS, l’Istituto superiore di sanità, si legge: «Sebbene l’uso dei social media non abbia, nella maggior parte dei casi, caratteristiche di problematicità, c’è una piccola percentuale di utenti che diventa dipendente dalle piattaforme, facendone un uso eccessivo o compulsivo». Il passaggio dall’uso dei social network normale a quello problematico si verifica «quando il social networking è visto dall’individuo come un meccanismo fondamentale per alleviare lo stress, la solitudine o la depressione». Non ci si riesce più a staccare, si diventa in tutto e per tutto dipendenti dai social media, a scapito delle interazioni dirette: «L’uso ininterrotto dei social fornisce da un lato delle ricompense continue ma dall’altro attiva l’isolamento famigliare, amicale o lavorativo. Il bisogno incontrollabile di accedere ad informazioni o veicolare i propri contenuti verso terzi è associato come sintomi a quelli delle dipendenze da sostanze o altri comportamenti». La Social Media Addiction, nello specifico, si caratterizza per l’eccessiva preoccupazione rivolta all’uso dei social media, oltre che per il bisogno irrefrenabile e incontrollabile di accedere a essi: togliere lo smartphone a un
SE I SOCIAL DIVENTANO DIPENDENZA La Social Media Addiction è in costante crescita. I sintomi e perché si tratta di un problema da non sottovalutare
social media addicted equivale a privare un fumatore delle sigarette. I sintomi di questa dipendenza comprendono preoccupazione per l’uso dei social, la ricerca di benessere esclusivamente dal loro uso, l’incapacità di smettere o di disconnettersi, lo sviluppo di crisi d’astinenza quando impossibilitati a utilizzarli, modificazioni dell’umore e significative compromissioni del funzionamento della sfera socio-relazionale. Le conseguenze fisiche di questa dipendenza? Disturbi del sonno, anzitutto. Da associare a conseguenze di natura psicologica e cognitiva come sviluppo di ansia, stress, mancanza di
autostima, difficoltà a mantenere alte concentrazione e attenzione. Come uscirne? La tendenza degli psicoterapeuti è quella di trattare la Social Media Addiction con modalità simili a quella della dipendenza da videogames, con la messa in campo di una terapia di tipo cognitivo comportamentale, che prevede l’utilizzo di tecniche cognitive (identificare e modificare i pensieri che possono scatenare e favorire il mantenimento della dipendenza) e comportamentali (sostituzione dei comportamenti disfunzionali con altri più appropriati). (R. D.) Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Primo piano
Fedez.
PARLARNE PER SUPERARE LO STIGMA Il rapper Fedez ha rivelato di soffrire di attacchi ipomaniacali, accendendo i riflettori su questo disturbo
T
ra le maggiori ansie e preoccupazioni che affliggono soprattutto i più giovani e che spesso sono fonte di depressione e insicurezze c’è lo stigma, il marchio sociale negativo avvertito da chi deve fare i conti con una particolare condizione, un difetto fisico, una colpa commessa, persino una malattia. Rivolgersi a dei professionisti del settore, psicologi o psichiatri che siano, è il modo migliore per affrontare il problema e risolverlo con efficacia. Ma c’è chi, come Fedez, lo stigma della malattia ha dimostrato di poterlo superare a cuor leggero, semplice14
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mente raccontandola. Anzi, non un solo problema di salute: due. La prima volta in cui è uscito allo scoperto, il rapper milanese lo ha fatto per raccontare di avere un tumore al pancreas. Dove ha trovato la forza? Seguendo l’esempio di Gianluca Vialli, di cui poi sarebbe diventato amico seppur a distanza. «Purtroppo ho appreso ora della notizia della morte di Gianluca Vialli e faccio questo video per ricordarlo perché è stato una persona straordinaria che mi è stata molto vicina e mi ha dato una mano non dovuta, ma incredibile», ha raccontato in lacrime il
giorno della morte dell’ex attaccante, con cui aveva condiviso le preoccupazioni e i problemi quotidiani legati alla malattia. «Non mi era mai capitato nella mia vita di piangere al telefono con una persona che non conoscevo, ma che conosceva il mio stesso dolore. Abbiamo subito entrambi lo stesso intervento per due patologie diverse. Mi spiace molto, ci eravamo ripromessi di vederci e farci una foto con la stessa cicatrice». Più recentemente Fedez, in un’intervista al Corriere della Sera, ha rivelato di soffrire di disturbi legati all’ansia e alla depressione: «Ho avuto seri problemi, li ho dovuti affrontare e li sto affrontando tuttora. Non ho pudore o vergogna a parlarne». Il cantante, nello specifico, ha confidato di soffrire di «attacchi ipomaniacali», una particolare forma di depressione dai contorni blandi ma non per questo meno pericolosa, curata attraverso stimolazione transcranica a corrente diretta. Potrà trarre giovamento Fedez dall’aver esternato pubblicamente la sua condizione? Per Emi Bondi, presidente della Società italiana di psichiatria, non solo ha fatto bene: di più. «Dobbiamo ringraziare tanto e pubblicamente Fedez. Chi ha visibilità o ruoli e può far sentire la sua voce è importante che parli, come ha fatto lui, per vincere quello che è ancora un problema per la salute mentale ovvero lo stigma», ha dichiarato Bondi, prima donna al vertice della SIP, carica ricoperta dall’ottobre del 2022, in un’intervista a Il Giornale. «Mentre oggi non c’è nessuna paura anche a dire che abbiamo un tumore perché sappiamo che ci sono delle cure, abbiamo invece paura di dire che abbiamo un problema di depressione e ansia», ha aggiunto. «Eppure, sono i disturbi più comuni, in Europa una persona su otto ne soffre. C’è tanta difficoltà a parlarne e questo vuol dire anche non curarlo con tutto quello che significa la sofferenza per la persona, la famiglia e i costi sociali». (R. D.)
Primo piano
È
l’ex senatore Vincenzo D’Anna il nuovo presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi. Già presidente del disciolto ONB, D’Anna è stato designato all’unanimità (15 voti su 15) dai consiglieri del Comitato Centrale, l’organo di governo della FNOB, la cui elezione, pochi giorni fa, ha posto fine al commissariamento “lampo” dell’ente di rappresentanza professionale dei Biologi italiani. Vicepresidente è stato eletto Alberto Spanò; tesoriere Diego Virgone; segretaria Marzia Bedoni. “E’ il momento di recuperare il tempo perduto e di lavorare per creare l’armonia” ha commentato, a caldo, l’ex parlamentare ringraziando “i colleghi che hanno scelto di accordarmi la loro preferenza”. Per D’Anna: “occorre operare in continuità con quanto di buono già fatto in passato, cercando di focalizzarsi di più sulle reali esigenze della categoria”. Ciò che più conta, infatti, “è lavorare per costruire un clima di operosità, raggiungere nuove garanzie legislative per i Biologi eredi della nuova scienza e della conoscenza che si sviluppa in ogni ambito diagnostico e di ricerca. Vivere il tempo della collaborazione con tutte le categorie sanitarie e con quelli di buona volontà e disponibilità”. Insomma: “è l’ora di voltare pagina e cooperare con quanti sono pronti ad anteporre gli interessi di una scienza giovane ed innovativa quel-
la professata dai Biologi italiani. Un afflato professionale che è in gran parte ancora da realizzare sotto il profilo di una consapevole appar-
tenenza alla famiglia dei Biologi). Privilegiando gli interessi diffusi alle proprie personali ambizioni” ha concluso.
ELETTI I NUOVI COMPONENTI DEL COMITATO CENTRALE DELLA FNOB D’Anna eletto presidente: “Ora voltare pagina”. Con lui anche il vicepresidente Albertò Spanò, il tesoriere Diego Virgone e il consigliere segretario Marzia Bedoni Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Intervista
LO SPETTACOLO DEI GLOBICEFALI NEL PALCOSCENICO DEL PONENTE LIGURE Il 29 e 30 luglio scorsi, due gruppi di delfini pilota sono stati avvistati al largo di Imperia durante un’escursione della Whale Watching Corsara nel Santuario Pelagos di Ester Trevisan
P
er chi era a bordo della Corsara, l’imbarcazione di Golfo Paradiso che ogni giorno organizza escursioni da Imperia per avvistare balene e delfini, l’ultimo weekend di luglio è stato molto speciale. All’interno del Santuario Pelagos, area marina protetta per la protezione dei mammiferi nel Mediterraneo, il 29 luglio è stato osservato un grande gruppo di globicefali composto da circa 150 individui, e il giorno successivo un altro più piccolo che ne contava una quarantina. Questi animali, oltre a essere rari nelle nostre acque, in entrambe le occasioni hanno mostrato comportamenti fuori dall’ordinario. Ne abbiamo parlato con Jessica Picozzi, biologa di bordo ed esperta di mammiferi marini. Dottoressa Picozzi, i globicefali sono rari nei nostri mari. Cosa li ha condotti fino da noi? I globicefali sono tra le otto specie di cetacei presenti nel Santuario Pelagos, ma risultano rari nel bacino nord-occidentale del Mediterraneo. Dalla motonave Whale Watching Corsara, della Golfo Paradiso, vengono avvistati circa tre volte a stagione nel Ponente Ligure. Questi animali sono teutofagi, cioè si nutrono di cefalopodi, sensibili alle variazioni di temperatura e all’acidificazione marina. Il cambiamento climatico potrebbe alterare le prede dei
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globicefali, influenzando anche la loro distribuzione. È possibile che in questo caso i globicefali si siano spostati dalle acque pelagiche a quelle costiere seguendo la loro principale fonte di nutrimento. In cosa consiste il comportamento insolito che è stato notato durante l’avvistamento? Di solito i globicefali trascorrono il giorno in superficie senza spostamenti significativi e cacciano di notte, ma durante l’ultimo weekend di luglio abbiamo registrato salti fuori dall’acqua, cambi di direzione repentini e velocità sostenute. Questo tipo di comportamento non è mai stato rilevato nelle acque del Santuario Pelagos, mentre è più comune in ambienti oceanici, dove i cetacei possono essere esposti a predatori, o durante le nascite. Anche se non sono state confermate né la presenza di predatori né attività di parto, è interessante notare che nei gruppi erano presenti sette piccoli globicefali di alcune settimane di vita, così come evidenziato dalle pieghe fetali. L’agitazione osservata potrebbe derivare dall’interazione temporanea di diversi gruppi di globicefali, inclusi comportamenti associati alla riproduzione. Che cosa rende il Santuario Pelagos così attrattivo per questi cetacei? La sua eccezionale produttività primaria, frutto dell’interazione di fattori oceanografici, climatici e geomorfologici. Una corrente ciclonica dominante crea un fronte tra acque co-
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stiere e offshore, potenziato da mescolamenti verticali e risalite costiere, dette up-welling, che portano nutrienti in superficie. Lo zooplancton attrae i predatori, inclusi i cetacei. Nel Santuario si trovano quindi gli habitat ideali per l’alimentazione e la riproduzione di diverse specie di cetacei: la balenottera comune, il capodoglio, lo zifio, il globicefalo, il grampo, il tursiope, il delfino comune e la stenella striata. Quali altri esemplari di fauna marina è possibile avvistare in quel tratto di mare? Diverse specie di uccelli marini, come berte maggiori e minori, sterna comune, sula e pulcinella di mare, e pesci quali manta, tonno, pesce luna, pesce spada, pesce volante. Se si è fortunati, anche la verdesca. L’unica specie regolarmente avvistata di tartaruga marina è la Caretta caretta. Sono presenti specie a rischio estinzione? Nel Mediterraneo, i globicefali sono considerati una specie carente di dati della Red List dell’IUCN (il più ampio database di informazioni sullo stato di conservazione delle specie animali e vegetali di tutto il globo terrestre, istituito nel 1964 dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, ndr) poiché mancano stime sull’abbondanza. Il capodoglio del Mediterraneo è classificato come in pericolo
Jessica Picozzi. Laureata in Biologia Evoluzionistica all’Università di Milano, oggi esperta di mammiferi marini, Jessica Picozzi ha approfondito la passione per i cetacei con una tesi sulla bioacustica dei capodogli del Mediterraneo. Da due anni lavora come biologa di bordo di una motonave Whale Watching. Ha fondato l’associazione “Galatea, the Waves of Change” dedicata alla divulgazione scientifica e ricerca.
d’estinzione a causa di una popolazione composta da meno di 2500 individui maturi. Anche il delfino comune, che ha subìto un significativo declino dagli anni ’60, è a rischio. Nel 2021, inoltre, i grampi sono passati da specie carente di dati a specie in pericolo di estinzione. Secondo lei, anche in base alla sua esperienza a bordo della Corsara, negli ultimi anni abbiamo fatto passi avanti in tema di educazione e coscienza ambientale? In qualità di biologa di bordo e di ricercatrice di mammiferi marini, è un mio impegno, e al tempo stesso una passione, far conoscere il più possibile, durante le ore di escursione, l’importanza del Santuario e degli animali marini. Inoltre, durante l’anno scolastico, tramite la mia associazione “Galatea, the Waves of Change”, organizzerò incontri nelle scuole per portare agli studenti la mia esperienza e conoscenza dell’ecosistema marino. Il mio impegno, condiviso da molti colleghi, non si limita alla ricerca scientifica, ma abbraccia anche la divulgazione delle attività svolte in mare e la comunicazione chiara dei risultati ottenuti sul campo. L’obiettivo è sensibilizzare il pubblico sull’importanza inestimabile dell’ecosistema marino e stimolare azioni concrete per la sua protezione e conservazione. Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Intervista
SMARTBUGS, LA BIOLOGIA AL SERVIZIO DEGLI INSETTI
L’azienda veneta fondata da Emanuele Rigato e Pier Paolo Poli promuove la conservazione di farfalle e altre specie con un occhio alla divulgazione e alla ricerca
di Chiara Di Martino
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renta milioni di esemplari tra imenotteri e ortotteri, per un progetto ecosostenibile che “sconfina” anche in progetti didattici con le scuole e in attività di ricerca con altre istituzioni: si chiama SmartBugs, ha quasi 10 anni ed è l’azienda fondata dai biologi Emanuele Rigato e Pier Paolo Poli, amici sin dai tempi delle superiori, quando hanno sviluppato la loro passione per la natura e la vita all’aria aperta. Oggi la realtà da loro fondata, insediata a Ponzano Veneto, in provincia di Treviso, si occupa principalmente di promuovere la conservazione degli insetti – che rappresentano l’83% delle specie animali presenti sul pianeta - e la loro importanza ecologica, con un focus principale sulle farfalle. Il tutto presentato attraverso un sito ricco di informazioni e curiosità (tanto per fare un esempio: la credenza comune sulle farfalle vorrebbe che la durata dello stadio di adulto fosse di un giorno soltanto, in realtà la durata media è di molti giorni: ci sono sì specie i cui adulti vivono solo poche ore, ma anche specie i cui adulti possono sfiorare l’anno di età). È Emanuele Rigato a dirci di più, anche a nome del socio e amico Pier Paolo Poli. Da dove arriva la passione per gli insetti? È sempre stata una passione condivisa? La nostra passione è nata durante l’infanzia. Mentre io ero particolarmente affascinato dagli insetti, Pier Paolo aveva una predilezione per gli animali acquatici. Questa diversità di interessi ha influenzato le no-
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stre scelte accademiche, con Pier Paolo che ha optato per la Biologia Marina e io per la Biologia generale. Tuttavia, fin dall’inizio, la passione per la natura, l’allevamento di animali particolari e la conoscenza dei cicli biologici è stata condivisa, rendendo tutto il percorso ancora più entusiasmante. La scelta di studiare Biologia è stata “casuale” o derivava proprio da questa passione? È stata completamente guidata dalla nostra passione per gli animali e la natura. È stata una scelta naturale e con pochi dubbi. Pier Paolo ha seguito la sua passione verso la biologia marina, mentre io ho scelto la biologia evoluzionistica. Quanto siete soddisfatti di questa scelta? Vi è stata utile, con il senno di poi, per il vostro lavoro? Siamo estremamente soddisfatti. Questa scelta ci ha fornito una solida base di conoscenze scientifiche che si è rivelata fondamentale per il lavoro che stiamo facendo con SmartBugs. Le competenze e la forma mentis acquisite durante gli anni universitari sono risultate incredibilmente utili. Di cosa si occupa, esattamente, SmartBugs? SmartBugs si dedica principalmente alla promozione della conservazione degli insetti e alla loro importanza ecologica attraverso kit educativi ed esperienze di allevamento, concentrandosi principalmente sulle farfalle. Il nostro obiettivo è educare e sensibilizzare il pubblico sulla bellezza e l’importanza degli insetti nel nostro ecosistema. Collaboriamo
© LedyX/shutterstock.com
anche con enti di ricerca e università in tutta Italia per progetti di ricerca entomologica, incluso l’utilizzo degli insetti nel controllo biologico. Di recente siamo stati capofila del progetto BeeOShield, un progetto di ricerca volto a testare in campo l’efficacia dei dsRNA contro i principali parassiti delle api (Nosema sp., Varroa sp. e il virus DWV). Come è organizzata logisticamente l’azienda? Gestiamo l’intero ciclo produttivo, dall’allevamento degli insetti a ciclo chiuso, all’assembramento dei kit didattici, la logistica di spedizione e l’interazione con i nostri clienti. Vendiamo i nostri prodotti anche tramite rivenditori a livello nazionale. Da quanto tempo siete sul mercato? Da diversi anni, nel 2024 SmartBugs festeggerà il decimo anniversario. Al momento, uno dei nostri principali punti di forza sono i kit didattici per l’allevamento delle farfalle, che offrono un’esperienza unica di apprendimento sulla loro vita. Inoltre, stiamo espandendo la nostra gamma di prodotti per includere altre specie di insetti e promuovere la biodiversità. Quest’anno, ad esempio, abbiamo introdotto le coccinelle
Emanuele Rigato e Pier Paolo Poli. “Prepariamo kit educativi per l’allevamento di insetti, con particolare enfasi sulle farfalle come la cavolaia maggiore, la macaone e la vanessa del cardo”.
nel nostro negozio per aiutare nella lotta biologica contro gli afidi delle piante (ne ingurgitano 100 al giorno) e stiamo sviluppando prodotti per l’agricoltura a livello aziendale. Quali sono i vostri kit più popolari? Prepariamo kit educativi per l’allevamento di insetti, con particolare enfasi sulle farfalle come la cavolaia maggiore, la macaone e la vanessa del cardo. Qual è il ruolo degli insetti nell’ecosistema? Gli insetti svolgono un ruolo cruciale. Sono essenziali come impollinatori per numerose piante, contribuendo alla produzione di cibo per l’umanità e altri animali. Inoltre, gli insetti scompongono la materia organica e regolano le popolazioni di insetti dannosi, contribuendo così all’equilibrio ecologico. Quali sono le vostre prospettive future? Per il futuro, intendiamo continuare a educare e coinvolgere il pubblico nella conservazione degli insetti. Speriamo di ampliare ulteriormente la nostra gamma di prodotti e programmi educativi per promuovere una maggiore consapevolezza sull’importanza degli insetti nella biodiversità e nell’ecosistema globale. Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Salute
MEMORIA A LUNGO TERMINE: SCOPERTO IL RUOLO CHIAVE DELLE CELLULE VASCOLARI Un recente studio fornisce una nuova visione della biologia della memoria: i periciti fanno squadra con i neuroni per garantire la formazione e l’immagazzinamento dei ricordi
di Sara Bovio
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l nostro cervello è in grado di fissare le esperienze e le conoscenze che acquisiamo nel corso della vita sotto forma di ricordi a lungo termine. Nelle persone affette da malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer o altre forme di demenza, molte di queste importanti informazioni si perdono. Comprendere i meccanismi che portano alla formazione e all’immagazzinamento dei ricordi, è perciò fondamentale per migliorare le terapie per questo tipo di patologie. Le indagini sui meccanismi della memoria a lungo termine si sono finora concentrate sul ruolo dei neuroni, le cellule nervose del cervello. Tuttavia, negli ultimi anni, gli scienziati stanno identificando altri tipi di cellule capaci di dare un contributo fondamentale nel processo di memorizzazione a lungo termine. Un gruppo di neuroscienziati della New York University ha di recente scoperto il ruolo chiave assunto nel processo di memorizzazione dai periciti, un tipo di cellule che rivestono parzialmente i capillari. Secondo il nuovo studio americano, pubblicato sulla rivista Neuron, le cellule vascolari lavorano di concerto con i neuroni per contribuire alla formazione dei ricordi a lungo termine. «Ora abbiamo una comprensione più solida dei meccanismi cellulari che consentono la formazione e l’immagazzinamento dei ricordi»,
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afferma Cristina Alberini, docente del Center for Neural Science della New York University e autrice senior del lavoro. «Comprendere come diversi tipi di cellule cooperano tra loro, è importante, perché ci aiuterà a far progredire le terapie volte a risolvere i problemi legati alla memoria». «Questo lavoro collega importanti punti tra la funzione appena scoperta dei periciti nella memoria e studi precedenti che mostravano la perdita o il malfunzionamento delle stesse cellule vascolari in diverse malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer e altre demenze», spiega l’autore Benjamin Bessières, ricercatore presso il Center for Neural Science della New York University. Nel cervello i periciti contribuiscono a mantenere l’integrità strutturale dei capillari. In particolare, controllano la quantità di sangue che scorre nel cervello e svolgono un ruolo chiave nel mantenere la barriera che impedisce agli agenti patogeni e alle sostanze tossiche di fuoriuscire dai capillari e raggiungere il tessuto cerebrale. La scoperta dell’importanza dei periciti nella memoria a lungo termine è emersa quando i ricercatori hanno esaminato il ruolo del fattore di crescita insulino-simile 2 (IGF2), un polipeptide noto per aumentare in seguito all’apprendimento in regioni cerebrali come l’ippocampo e per svolgere un ruolo critico
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nella formazione e nell’immagazzinamento dei ricordi. Gli scienziati hanno pensato di confrontare i comportamenti di topi con periciti che producevano IGF2 con quelli che non lo producevano. Eliminando la capacità di produrre IGF2 in alcuni topi, i ricercatori hanno potuto comprendere l’importanza dei periciti e dell’IGF2 nei processi neurologici. L’eliminazione regolata di IGF2 nei periciti dell’ippocampo, ma non nei fibroblasti o nei neuroni, ha compromesso la memoria a lungo termine e ha bloccato l’aumento dei geni immediati precoci (IEG) neuronali, dipendente dall’apprendimento. Gli scienziati hanno così scoperto che i livelli più elevati di IGF2 nelle cellule cerebrali dell’ippocampo non provengono da neuroni, cellule gliali o altre cellule vascolari, ma piuttosto dai periciti. Gli scienziati hanno allora indagato su come la presenza di IGF2 nei periciti è collegata alla memoria attraverso una serie di esperimenti cognitivi sui topi. In questi esperimenti, i topi sono stati sottoposti a una serie di test di memoria: imparare ad associare una lieve scossa al piede a un contesto specifico o imparare a identificare oggetti collocati in una nuova posizione. I risultati hanno mostrato che la pro-
Pericita. Nel cervello i periciti contribuiscono a mantenere l’integrità strutturale dei capillari. In particolare, controllano la quantità di sangue che scorre nel cervello e svolgono un ruolo chiave nel mantenere la barriera che impedisce agli agenti patogeni e alle sostanze tossiche di fuoriuscire dai capillari e raggiungere il tessuto cerebrale.
duzione di IGF2 da parte dei periciti nell’ippocampo era aumentata dopo l’evento di apprendimento. Più specificamente, l’aumento di IGF2 pericitico ha avuto luogo in risposta all’attività dei neuroni, rivelando un’azione combinata neurone-pericita. Inoltre, nello studio è stato dimostrato che l’IGF2 prodotto dai periciti ritorna a influenzare le risposte biologiche di quei neuroni che sono fondamentali per la memoria. «L’IGF2 prodotto dai periciti e che agisce sui neuroni supporta l’idea che un’unità neurovascolare regoli le risposte neuronali e le funzioni della barriera ematica e possa avere ripercussioni sulle lesioni cerebrali e sulle infiammazioni», aggiunge Pandey, ricercatore presso il Center for Neural Science della New York University. «La cooperazione tra neuroni e periciti è necessaria per garantire la formazione di ricordi a lungo termine», afferma Alberini. «Il nostro studio – termina la ricercatrice - fornisce una nuova visione della biologia della memoria, anche se sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere meglio il ruolo dei periciti e del sistema vascolare nella memoria e nelle sue malattie». Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Salute
DANNO NEUROLOGICO: MASCHI E FEMMINE NON REAGISCONO ALLO STESSO MODO Il ruolo chiave è svolto dal tessuto adiposo nella regolazione delle risposte infiammatorie e metaboliche, individuato per la prima volta da uno studio che apre nuove prospettive
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li organismi di uomini e donne mostrano differenze fra loro anche nel rispondere agli stessi stimoli. A dirlo sono molte ricerche che indicano una maggiore sensibilità e suscettibilità dei soggetti di sesso femminile al dolore cronico, specialmente a quello di origine nervosa (neuropatico), rispetto a quello maschile. Uno studio pubblicato recentemente sulla rivista iScience ne ha svelato la possibile causa. Il lavoro è stato condotto in sinergia dal Consiglio nazionale delle ricerche con l’Istituto di biochimica e biologia cellulare di Napoli (Cnr-Ibbc) e l’Istituto dei sistemi complessi di Roma (Cnr-Isc), dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, dal Centro di Studi e Tecnologie Avanzate (Cast) dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e dall’Università Kore di Enna. Per la prima volta, è stato messo in luce il ruolo chiave svolto dal tessuto adiposo nella regolazione delle risposte infiammatorie e metaboliche specifiche legate al sesso biologico, gettando luce su alcuni fattori determinanti che spiegano la maggiore suscettibilità del sesso femminile al dolore neuropatico. «Fino a oggi le ricerche si erano focalizzate su quelli che sembravano essere gli attori principali coinvolti nelle neuropatie e sul dolore a esse associato, che si pensavano essere all’origine di questa differenza, ossia il sistema immunitario, le cellule non neuronali e gli ormoni sessuali,
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scoprendo effettivamente divergenze tra maschi e femmine nella risposta al danno nervoso. Ma cosa effettivamente innescasse le diverse risposte di questi attori dopo una lesione nervosa era finora ignoto», spiega Sara Marinelli, ricercatrice del Cnr-Ibbc, alla guida del team di ricerca. «Il tessuto adiposo, organo fino a non molto tempo fa considerato amorfo, è in realtà particolarmente dinamico nella comunicazione inter-organo, ed è capace di regolare, influenzare e modificare numerosi processi fisiologici e patologici, non soltanto di natura metabolica. Oggi, abbiamo aggiunto un importante tassello alla comprensione di questo divario, scoprendo che questo organo partecipa attivamente alla riparazione di un danno neurologico in modo sesso-dipendente». Nei disordini metabolici, quali ad esempio il diabete e l’obesità, il tessuto adiposo è considerato un organo che può facilitare processi infiammatori o essere la causa dell’insorgenza di neuropatie. L’ipotesi che possa svolgere un ruolo predominante e differente in base al sesso nel modulare la risposta metabolica a una lesione nervosa, in assenza di concomitanti patologie metaboliche, non era però mai stata presa in considerazione. Le osservazioni del team si sono concentrate sulle lesioni a un nervo periferico, arrivando a superare molte precedenti aspettative. «A seguito di tale tipo di lesione, abbiamo osservato che il tessuto adiposo maschile promuove la glicolisi, ossia la scissione della mo-
Tessuto adiposo. “Il tessuto adiposo, organo fino a non molto tempo fa considerato amorfo, è in realtà particolarmente dinamico nella comunicazione inter-organo, ed è capace di regolare, influenzare e modificare numerosi processi fisiologici e patologici, non soltanto di natura metabolica”.
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lecola di glucosio al fine di generare molecole a più alta energia, riduce la spesa energetica e i livelli di acidi grassi insaturi. Inoltre, nel sesso maschile, il tessuto adiposo favorisce il rilascio di molecole rigenerative, protegge contro lo stress ossidativo, stimola le proteine tipiche come l’adiponectina, creando un ambiente favorevole alla rigenerazione e alla guarigione dalla neuropatia», commenta Roberto Coccurello, ricercatore Cnr-Isc e Fondazione Santa Lucia Irccs, supervisore dello studio. Diversa, invece, la risposta nel sesso femminile. «Il tessuto adiposo femminile mostra una lipolisi e un’ossidazione degli acidi grassi alterate, un aumento della spesa energetica e un’elevata secrezione di ormoni steroidei che influisce sul metabolismo del glucosio e dell’insulina. In sostanza, il tessuto adiposo femminile non solo risponde al danno con un metabolismo alterato simile a quello dei soggetti che sviluppano neuropatie diabetiche, ma rilascia anche altri ormoni coinvolti nella generazione e nel mantenimento del dolore neuropatico», aggiunge Claudia Rossi, docente di Biochimica dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. Tutto ciò ha chiare implicazioni nella comprensione delle risposte differenti che i due sessi offrono al danno nervoso e aprono una prospettiva terapeutica nuova per affrontare i danni nervosi periferici, anche se saranno necessarie ulteriori ricerche per identificare bersagli più precisi. (E. G.)
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Salute
DIFFERENTI PER GENERE La medicina di genere, meglio ancora se chiamata medicina genere-specifica, è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (determinate dal sesso) e socio-economiche e culturali (determinate dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Negli ultimi decenni, gli studi hanno infatti individuato le diversità nelle manifestazioni e nella progressione delle malattie comuni a uomini e donne che potranno dare un contributo allo sviluppo di trattamenti distinti.
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Salute
INDIVIDUATO NEL CERVELLO UN NUOVO TIPO DI CELLULE NEURONALI “IBRIDE” La scoperta rappresenta un passo avanti nella comprensione del funzionamento del cervello e offre nuovi bersagli terapeutici per gravi malattie neurologiche come l’epilessia e il Parkinson
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na tipologia sconosciuta di cellule neuronali si nascondeva segretamente nel cervello, tra i neuroni e le cellule gliali. Ora, sono state identificate in diverse regioni encefaliche, dai topi all’uomo, e descritte come “ibridi”, per composizione e funzione, tra le due famiglie già note del sistema nervoso, i neuroni e gli astrociti della glia. La scoperta, pubblicata su Nature, è il frutto di una collaborazione internazionale guidata dai neuroscienziati dell’Università di Losanna e del Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra e apre nuovi scenari nel campo delle neuroscienze. Gli autori dello studio, infatti, hanno dimostrato che questa nuova tipologia di cellule, chiamate astrociti glutammatergici, è essenziale per il buon funzionamento del cervello e agisce sui circuiti cerebrali legati alla memoria, all’attenzione e al controllo del movimento. È noto che il cervello funziona principalmente grazie ai neuroni e alla loro capacità di elaborare e trasmettere rapidamente le informazioni attraverso le loro reti. Le cellule gliali svolgono invece una serie di funzioni strutturali, energetiche e immunitarie e stabilizzano le costanti fisiologiche. Alcune cellule della glia, chiamate astrociti, circondano strettamente le sinapsi, i punti di contatto in cui sono rilasciati i neurotrasmettitori per trasmettere le informazioni tra i neuroni. Da qualche
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tempo, i neuroscienziati suggeriscono che gli astrociti potrebbero svolgere un ruolo attivo nella trasmissione sinaptica e nell’elaborazione delle informazioni. Tuttavia, gli studi condotti finora per dimostrare questa tesi hanno avuto risultati contraddittori e per questo sul tema non è stato raggiunto l’unanime consenso scientifico. Con il loro studio i ricercatori svizzeri sembrano aver messo fine alla questione poiché hanno accertato che la nuova sottopopolazione di cellule, pur essendo astrociti, ossia cellule della glia normalmente prive di caratteristiche neuronali, sono in grado di mettere in circolo il glutammato, un neurotrasmettitore. Questa particolarità, mai osservata prima, pone queste cellule a metà tra le gliali e le neuronali ed evidenzia l’esistenza di una terza categoria di cellule, finora sconosciuta, necessaria al buon funzionamento del cervello. Per confermare o confutare l’ipotesi che gli astrociti, come i neuroni, siano in grado di rilasciare neurotrasmettitori, i ricercatori hanno innanzitutto esaminato il contenuto molecolare delle cellule ibride utilizzando moderni approcci di biologia molecolare. Il loro obiettivo era trovare tracce del macchinario necessario per la rapida secrezione di glutammato, il principale neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni. «Grazie alla precisione delle tecniche di trascrittomica a cellula singola - spiega Ludovic Telley tra gli autori del-
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lo studio - siamo stati in grado di identificare i trascritti delle proteine VGLUT, responsabili del riempimento delle vescicole neuronali per il rilascio del glutammato, nelle cellule con profilo astrocitario». Quest’osservazione si è dimostrata valida sia nei topi sia nell’uomo. Inoltre, i ricercatori hanno rilevato nelle stesse cellule altre proteine fondamentali per la funzione delle vescicole glutammatergiche. I neuroscienziati hanno poi cercato di determinare se queste cellule ibride fossero funzionali, cioè in grado di rilasciare glutammato a una velocità paragonabile a quella con cui avviene la trasmissione sinaptica. A tal fine, il team di ricerca ha utilizzato una tecnica di imaging avanzata in grado di visualizzare il glutammato rilasciato dalle vescicole nei tes-
La scoperta, pubblicata su Nature, è il frutto di una collaborazione internazionale guidata dai neuroscienziati dell’Università di Losanna e del Wyss Center for Bio and Neuroengineering di Ginevra e apre nuovi scenari nel campo delle neuroscienze.
suti di origine cerebrale e nei topi vivi. «Abbiamo identificato un sottogruppo di astrociti che risponde a una stimolazione selettiva rilasciando rapidamente glutammato da aree spazialmente delimitate di queste cellule che ricordano le sinapsi», spiega Andrea Volterra, professore all’UNIL e direttore dello studio. Gli autori sono inoltre riusciti a provare che il rilascio di glutammato da parte delle cellule ibride influenza la trasmissione sinaptica e regola i circuiti neuronali. «Si tratta di cellule che modulano l’attività neuronale, controllando il livello di comunicazione e di eccitazione dei neuroni», spiega Roberta de Ceglia, ricercatrice dell’UNIL e prima autrice dello studio. «Senza questo meccanismo funzionale – prosegue de Ceglia - il potenziamento a lungo termine, un processo neuronale coinvolto nei meccanismi della memoria, è alterato e di conseguenza la memoria dei topi è compromessa». Le conclusioni del nuovo studio si estendono anche ai disturbi cerebrali come l’epilessia o il Parkinson. Interrompendo l’espressione di VGLUT da parte degli astrociti glutammatergici, i ricercatori hanno dimostrato sia la compromissione del consolidamento della memoria sia la comparsa degli effetti negativi di alcune patologie come l’epilessia, con un aumento delle crisi da parte dei pazienti. Infine, dalla ricerca è emerso che le cellule ibride hanno anche un ruolo nella regolazione dei circuiti cerebrali coinvolti nel controllo del movimento e potrebbero quindi offrire la possibilità di trovare nuove terapie per la malattia di Parkinson. (S. B.) Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Salute
L’IMPORTANZA DEI LINFOCITI T GAMMA DELTA PER PREVENIRE IL CANCRO ALL’INTESTINO Uno studio ha scoperto che variano nel tratto digestivo in base al microbioma presente e possono influire sul successo di nuove immunoterapie
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l cancro all’intestino non è più una malattia che colpisce solo gli anziani o le persone che hanno una predisposizione genetica. L’incidenza della malattia tra i giovani di età compresa tra i 25 e i 49 anni è in forte aumento. Questi pazienti più giovani hanno spesso esiti più sfavorevoli, poiché in genere presentano una malattia in fase avanzata. Per questo è urgente scoprire trattamenti più efficaci e migliorare lo screening del cancro all’intestino, in particolare per i tumori intestinali a insorgenza precoce. I risultati di un nuovo studio australiano pubblicato sulla rivista Science Immunology, sembrano accendere le speranze in questa direzione. «Abbiamo scoperto che un importante gruppo di cellule immunitarie dell’intestino crasso - le cellule T gamma delta - è fondamentale per prevenire il cancro all’intestino» ha annunciato Lisa Mielke, autore principale dello studio e direttrice del Mucosal Immunity and Cancer Laboratory dell’Olivia Newton-John Cancer Research Institute. «È necessario fare di più per combattere il cancro all’intestino – aggiunge Mielke - ed è su questo che il mio team di ricerca sta concentrando i propri sforzi». I ricercatori hanno analizzato i campioni di pazienti affetti da cancro all’intestino e hanno scoperto che la presenza di un tipo di cellule immunitarie, note come cellule T gamma delta, era associata a esiti migliori e a una maggiore sopravvivenza dei pazienti. «Questi risultati
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– spiega Mielke - ci hanno spinto a esaminare più da vicino le cellule T gamma delta all’interno dell’intestino crasso per capire quali fattori regolano la loro funzione di lotta contro il cancro e come potremmo potenzialmente sfruttare queste cellule in futuro per aumentare il loro potenziale di uccisione delle cellule cancerose». «Le cellule T gamma delta agiscono come difensori di prima linea nell’intestino. Ciò che rende queste cellule immunitarie straordinarie, è che pattugliano e salvaguardano costantemente le cellule epiteliali che rivestono l’intestino, agendo come guerrieri contro le potenziali minacce di cancro», ha dichiarato la dottoressa Mielke. La ricercatrice spiega inoltre che le maggiori differenze tra l’intestino tenue e l’intestino crasso sono l’abbondanza e i tipi di microbi. L’intestino crasso contiene trilioni di batteri, virus e funghi, collettivamente noti come microbioma. Mentre alcuni batteri sono associati a malattie, altri sono molto importanti per il sistema immunitario. Per approfondire questo aspetto, il team ha deciso di indagare ulteriormente per determinare il ruolo dei microbi nell’influenzare le cellule T gamma delta e le altre cellule immunitarie dell’intestino. Gli autori in particolare hanno notato che la presenza e la diversità dei microbi ha influito notevolmente sul numero di cellule immunitarie nell’intestino crasso, ma ha anche aumentato la loro espressione di una molecola nota come TCF1.
“Le cellule T gamma delta agiscono come difensori di prima linea nell’intestino. Ciò che rende queste cellule immunitarie straordinarie, è che pattugliano e salvaguardano costantemente le cellule epiteliali che rivestono l’intestino, agendo come guerrieri contro le potenziali minacce di cancro”.
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La coautrice principale dello studio, Marina Yakou, dottoranda presso l’Olivia Newton-John Cancer Research Institute, ha spiegato:«Abbiamo scoperto che la quantità e la diversità del microbioma nell’intestino crasso determina una maggiore concentrazione di una molecola chiamata TCF-1 sulle cellule T Gamma delta rispetto ad altre aree dell’intestino». «Questa molecola (TCF1) – prosegue la ricercatrice - impedisce alla nostra risposta immunitaria naturale, le cellule T gamma delta, di combattere il cancro all’intestino». «Quando abbiamo ingegnerizzato le cellule T gamma delta – aggiunge Mielke - per rimuovere il TCF1, abbiamo scatenato l’espressione di molecole molto importanti per l’uccisione delle cellule tumorali, e abbiamo ottenuto una notevole riduzione della crescita del cancro nell’intestino crasso». I risultati della ricerca evidenziano il potenziale dello sfruttamento delle cellule T gamma delta nell’intestino crasso per lo sviluppo di nuove immunoterapie combinate mirate per trattare più efficacemente i pazienti affetti da cancro all’intestino. L’immunoterapia è uno dei
trattamenti più promettenti per il cancro, che consiste nel potenziare la capacità delle cellule immunitarie di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali. Tuttavia, meno del 10% dei pazienti affetti da cancro all’intestino risponde alle attuali immunoterapie e per questo le scoperte messe in risalto dal recente studio possono accendere nuove speranze di successo nelle immunoterapie. Oltre a individuare nuovi trattamenti, la ricerca è stata fondamentale per svelare le potenziali interazioni tra i microbi e le cellule immunitarie dell’intestino e per scoprire come queste lavorino insieme per promuovere o limitare lo sviluppo del cancro intestinale. Scoprire l’esatta relazione tra le cellule immunitarie, i microbi e le cellule tumorali all’interno dell’intestino è per i ricercatori di grande interesse. Secondo gli autori le conoscenze acquisite grazie al loro studio aiuteranno anche a comprendere e identificare nuovi fattori di rischio importanti per lo sviluppo del cancro, ma anche a migliorare lo screening dei tumori in futuro. (S. B.) Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Salute
Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) è una neoplasia tiroidea rara e complessa da diagnosticare e gestire. Questo tipo di cancro, originato dalle cellule C parafollicolari presenti nella ghiandola tiroidea, è caratterizzato da una elevata produzione di calcitonina da parte delle cellule tumorali. La diagnosi di questa patologia spesso si basa sulla valutazione dei livelli sierici di calcitonina (CT) in pazienti con un nodulo tiroideo identificato mediante esame ecografico.
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n team di ricercatori dell’Università Sapienza di Roma guidato da Elisabetta Ferretti e Agnese Po ha adottato un approccio innovativo per identificare nuove caratteristiche molecolari del DNA circolante nei pazienti affetti da carcinoma midollare della tiroide. La collaborazione interdisciplinare tra diverse istituzioni, tra cui l’Università di Siena, l’Università di Pisa, l’Università di Cagliari e l’Istituto Pascale di Napoli, ha portato a risultati promettenti pubblicati sulla rivista “Biomarker Research” del gruppo Nature. Il carcinoma midollare della tiroide (MTC) è una neoplasia tiroidea rara e complessa da diagnosticare e gestire. Questo tipo di cancro, originato dalle cellule C parafollicolari presenti nella ghiandola tiroidea, è caratterizzato da una elevata produzione di calcitonina da parte delle cellule tumorali. La diagnosi di questa patologia spesso si basa sulla valutazione dei livelli sierici di calcitonina (CT) in pazienti con un nodulo tiroideo identificato mediante esame ecografico. Tuttavia, l’alta concentrazione di calcitonina non è un indicatore specifico di questa forma di cancro e talvolta può essere riscontrata anche in pazienti con altre condizioni neuroendocrine, rendendo la diagnosi più complessa. Inoltre, la quantità di calcitonina circolante spesso non sempre è correlata all’estensione o alla gravità del tumore. La diagnosi si basa anche su biopsie con ago sottile nei noduli tiroidei. Queste procedure possono identificare solo la metà dei casi di MTC e non sono efficaci nei carcinomi midollari Ct-negativi. Il team di ricerca ha utilizzato il DNA circolante, noto anche come cell-free DNA, estratto da campioni di biopsia liquida in pazienti con diagnosi (recente) di carcinoma midollare della tiroide. Questa strategia ha consentito una caratterizzazione più completa dei pazienti, integrando le informazioni tradizionalmente ottenute tramite il dosaggio di calcitonina. Sono stati utilizzati, inoltre, due marcatori molecolari, la metilazione (modifica chimica del DNA che svolge un ruolo cruciale nella regolazione dell’espressione genica) e la frammentazione del DNA, al fine di ottenere una comprensione più approfondita del fenotipo e del comportamento delle cellule tumorali. Questi marcatori si sono rivelati promettenti per migliorare la diagnosi e la gestione della malattia. L’impiego del DNA circolante, estratto da campioni di biopsia liquida raccolti al momen-
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to della diagnosi, rappresenta un passo cruciale verso una caratterizzazione più accurata dei pazienti affetti da carcinoma midollare della tiroide. Questo approccio non solo contribuisce a perfezionare la diagnosi ma apre nuove prospettive per la ricerca di biomarcatori circolanti in altre forme di cancro. Gli esperti hanno valutato alcune specifiche caratteristiche del DNA circolante utilizzabili per rilevare una patologia. Per analizzarlo, i ricercatori hanno impiegato una tecnologia altamente specifica chiamata PCR digitale o droplet digital PCR, che permette una risoluzione fino alla singola molecola di DNA. Utilizzando la PCR digitale a gocce (ddPCR), è stato esaminato il cfDNA isolato dal plasma dei pazienti con MTC. I risultati hanno dimostrato l’efficacia di queste analisi nel differenziare i pazienti con MTC dai controlli. Nell’analisi della frammentazione del cfDNA, è emerso che il rapporto di frammenti corti (SFF) era significativamente più elevato nei pazienti con MTC rispetto ai controlli. Questo aumento dell’SFF era particolarmente evidente nei pazienti con MTC con estensione extra-tiroidea, tanto da far supporre una correlazione con l’aggressività della malattia. Le autrici dello studio, Anna Citarella e Zein Mersini Besharat, hanno rilevato che la metilazione e la frammentazione del DNA possono fornire nuovi biomarcatori non invasivi, specifici e sensibili per la diagnosi e la gestione del MCT nell’ambito della medicina di precisione. Questi marcatori aggiuntivi possono integrare l’informazione ottenuta dalla misurazione dei livelli di calcitonina e migliorare la precisione diagnostica, offrendo un contributo significativo alla medicina personalizzata. L’SFF e la metilazione di MGMT_623CG potrebbero avere un valore prognostico, poiché sono risultati positivamente correlati con stadi tumorali avanzati. La validazione di questi risultati in ulteriori studi clinici potrebbe portare ad un uso più diffuso di queste metodiche, migliorando la diagnosi precoce e il monitoraggio della malattia. Altre ricerche potrebbero chiarire se queste caratteristiche del cfDNA potrebbero anche guidare le decisioni terapeutiche nei pazienti con MTC. I risultati aprono nuove prospettive per la ricerca di biomarcatori circolanti in altre forme di cancro, dove la scoperta di indicatori diagnostici e prognostici specifici è di fondamentale importanza.
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Salute
BIOMARCATORI MOLECOLARI PER IL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE (MTC) Dal DNA circolante potrebbero rivoluzionare la medicina di precisione Nuove prospettive per la diagnosi e la gestione del MTC
di Carmen Paradiso Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Salute
Secondo le stime dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, datate 2019, a sovrappeso e obesità sarebbero attribuibili oltre cinque milioni di decessi in tutto il mondo (pari al 9% di tutti i decessi). E L’Italia non sarebbe affatto esente dai danni causati da questa patologia: i troppi chili in eccesso, infatti, si stima siano responsabili di oltre 64mila decessi (ovvero del 10% di tutti i decessi) nel nostro Paese. Anche per ciò che concerne i bambini, siamo tra i Paesi europei con la maggior prevalenza di sovrappeso e obesità. L’alimentazione scorretta e un’attività fisica inadeguata hanno una forte correlazione con le condizioni economiche, sociali e culturali del contesto in cui si vive.
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ell’obesità si parla sempre con maggiore frequenza. Ma il problema di fondo resta sempre lo stesso: in tanti continuano a sottovalutarne la portata. Già, perché si tratta di una vera e propria malattia, che si caratterizza per un accumulo patologico di grasso corporeo con conseguenze anche gravi per lo stato di salute e la qualità di vita di un individuo. Gli effetti dell’obesità possono risultare estremamente seri e pericolosi: dalla pressione alta al diabete mellito, passando per apnee notturne e soprattutto per problemi cardiovascolari. In genere è dovuta a un disequilibrio tra apporto e consumo energetico, per cui lo sbilanciamento tra le calorie assunte e quelle consumate provoca grasso in eccesso. Che è quantificabile attraverso l’indice di massa corporea (BMI): se è pari o superiore a 30 si parla, appunto, di obesità. Combatterla non è semplice, perché questa condizione riguarda lo stile di vita di una persona, che inevitabilmente andrebbe modificato per ottenere benefici concreti. Come? Attraverso un’alimentazione adeguata, l’attività fisica e una vita attiva: queste le armi migliori per fronteggiarla. L’extrema ratio è fornita dalla chirurgia, che arriva in soccorso nei casi più spinosi. Dal VI Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (Sinuc) che si è svolto di recente a Roma è emerso che esistono ben quattro tipologie di obesità, ognuna delle quali deve essere affrontata in maniera differente. E per individuare il trattamento più efficace bisogna comprendere il fenotipo di ciascun paziente. Ecco i quattro tipi di obesità individuati dagli esperti: 1) cervello affamato: l’asse cervello-intestino induce un bisogno di maggiori calorie per raggiungere la pienezza e la sazietà; 2) fame emotiva: in questo caso il cibo è una risposta a delle emozioni ricevute che possono essere sia positive sia negative; 3) intestino affamato, ovvero quando si ha uno svuotamento gastrico più rapido che richiede quindi un’assunzione maggiore di cibo; 4) combustione lenta, che si traduce in una diminuzione del tasso metabolico. Il presidente della Sinuc, Maurizio Muscaritoli, ha spiegato che «l’eterogeneità tra i pazienti con obesità è evidente in modo particolare nella risposta di perdita di peso agli interventi sull’obesità, come diete, farmaci, dispositivi e interventi chirurgici. È ormai assodato che diminuire l’apporto calorico e aumentare il movimento è inefficace e superato». Il segreto, piuttosto, è nella
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personalizzazione del trattamento come spiega il dottor Alessio Molino, professore associato di Medicina Interna alla Sapienza Università di Roma: «L’obesità è una forma di malnutrizione per eccesso ma ha una origine che riconosce fattori alimentari, genetici, emotivi, sociali, per questo risulta così difficile intervenire. Su questa complessità si innestano i fenotipi il cui riconoscimento permette una medicina sempre più personalizzata». Ogni paziente è un caso a sé, e non si può escludere la possibilità che i diversi tipi di obesità si intreccino tra loro, rendendo più complicato un possibile intervento. L’imperativo è trattare quanto prima l’obesità, per evitare che l’impatto della sua insorgenza provochi danni irreparabili. Secondo le ultime stime disponibili dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, datate 2019, a sovrappeso e obesità sarebbero attribuibili oltre cinque milioni di decessi in tutto il mondo (pari al 9% di tutti i decessi). E L’Italia non sarebbe affatto esente dai danni causati da questa patologia: i troppi chili in eccesso, infatti, si stima siano responsabili di oltre 64mila decessi (ovvero del 10% di tutti i decessi) nel nostro Paese. Anche per ciò che concerne i bambini, siamo tra i Paesi europei con la maggior prevalenza di sovrappeso e obesità. L’alimentazione scorretta e un’attività fisica inadeguata hanno una forte correlazione con le condizioni economiche, sociali e culturali del contesto in cui si vive. Ecco perché questo non può essere considerato un problema individuale ma collettivo e nella collettività si dovrebbe andare ad agire con iniziative concrete che siano in grado di produrre risultati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riferito di dati in netto aumento rispetto al passato: dal 1975 ad oggi sono quasi triplicati con un aumento, significativo, di quasi cinque volte nei bambini e negli adolescenti. Il consiglio dell’Oms è dotare le città di spazi per camminare, piste ciclabili e aree dove poter svolgere attività ricreative in totale sicurezza. Con un occhio di riguardo per i bambini (in Italia il 42% è obeso o sovrappeso nella fascia 5-9 anni), ai quali vanno insegnate, già a partire dalle famiglie, abitudini sane. Perché l’obesità è una malattia cronica, recidivante, multifattoriale, la cui diffusione continua ad aumentare e bisogna farci i conti per migliorare la qualità della vita e allungarla il più possibile. Con delle regole base da seguire, universalmente valide, e con degli approcci invece sempre più individuali per conoscere le cause e risolverle all’origine. (D. E.).
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DAL CERVELLO AFFAMATO ALLA FAME EMOTIVA: I QUATTRO TIPI DI OBESITÀ I numeri sono sempre più allarmanti, perché si tratta di una patologia in costante aumento in ogni angolo del pianeta. In Italia è responsabile di oltre 64mila decessi
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UN VIDEOGIOCO D’AZIONE PER TRATTARE LA DISLESSIA EVOLUTIVA IN ETÀ SCOLARE Il progetto, nato dalla partnership fra l’Università di Bergamo e gli Irccs Fondazione Santa Lucia ed Eugenio Medea, propone di contrastare il disturbo e nuove soluzioni terapeutiche
di Elisabetta Gramolini
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n nuovo progetto per studiare le basi neurobiologiche della dislessia evolutiva e l’efficacia di nuove terapie avanzate basate sui videogiochi d’azione. L’Irccs Eugenio Medea di Bosisio Parini, in provincia di Lecco, l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e l’Università degli Studi di Bergamo hanno collaborato alla ricerca traslazionale che ha un duplice scopo: comprendere le cause genetiche e ambientali della dislessia evolutiva, in modo da poter mettere in campo strategie di prevenzione e di diagnosi precoce del disturbo, e strutturare percorsi terapeutici efficaci per i pazienti già diagnosticati. La prima parte dello studio si pone l’obiettivo di testare gli effetti di una stimolazione ambientale con i videogiochi in base al background genetico dei bambini. Tra i fattori di rischio del disturbo già noti c’è, infatti, una forte ereditarietà. In particolare, è stato studiato il ruolo del gene DCDC2, regolatore dell’attività dei neuroni della via magnocellulare dorsale. Questa via nervosa parte dalla retina e si ramifica verso le aree del cervello coinvolte nell’orientamento spazio-temporale dell’attenzione, una funzione fondamentale nel riconoscimento e nella conversione tra grafema e fonema. Recenti studi hanno dimostrato che i videogiochi di azione, grazie alle loro caratteristiche, ovvero gli stimoli multipli, sono in grado di migliorare le capacità di lettura in quanto “alle-
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nano” le funzioni di attenzione e orientamento spazio-temporale. Lo studio dell’utilizzo dei videogiochi d’azione per la riabilitazione della dislessia evolutiva va avanti da alcuni anni e ha dato risultati positivi sia in termini di adesione alla cura da parte del bambino sia in termini di risultati ottenuti. La collaborazione tra i gruppi dell’Istituto Medea e dell’Università di Bergamo permetterà di sviluppare uno studio multi-dominio in grado di indagare gli effetti dei videogiochi d’azione in bambini di età prescolare, al fine di comprendere il ruolo di questa intrigante stimolazione ambientale nel potenziare i prerequisiti delle abilità di lettura, nonché le conseguenze sulle vie nervose ad essa associati. In questo progetto, il gruppo di ricerca della Fondazione Santa Lucia, avvalendosi delle potenzialità derivanti dal modello preclinico, si occuperà di approfondire gli effetti che l’alterazione del gene DCDC2 può avere sulla morfologia e sulla funzionalità del sistema nervoso, studiando inoltre le conseguenze neurobiologiche derivanti dall’interazione tra vulnerabilità genetica e specifici stimoli ambientali. La seconda parte dello studio è volta a comprendere, in un modello preclinico, i meccanismi neurobiologici alla base del disturbo e la funzione di specifiche mutazioni genetiche che potrebbero incrementare la vulnerabilità del paziente. «In modelli preclinici sarà pos-
DISTURBO DA IDENTIFICARE
Lo studio dell’utilizzo dei videogiochi d’azione per la riabilitazione della dislessia evolutiva va avanti da alcuni anni e ha dato risultati positivi sia in termini di adesione alla cura da parte del bambino sia in termini di risultati ottenuti.
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sibile approfondire gli effetti che l’alterazione di questo gene può avere sulla morfologia o la funzionalità del sistema nervoso e come la sua interazione con specifici stimoli ambientali possa incrementare la vulnerabilità all’insorgenza delle difficoltà di lettura, agendo su funzioni cognitive quali attenzione e memoria», spiega Lucy Babicola, neuroscienziata della Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma. «Approfondire questa relazione – continua la specialista - permetterebbe di indentificare nuovi marcatori biologici, utili alla diagnosi di dislessia evolutiva nonché all’identificazione della vulnerabilità a questo disordine prima dell’insorgenza delle difficoltà di lettura. Comprendere il ruolo che l’ambiente ha nella modulazione dell’attività di questi geni potrebbe inoltre essere utile anche per implementare trattamenti personalizzati. Lo studio dell’interazione tra geni e ambiente – evidenzia - ha moltissime potenzialità. Nel nostro caso, obiettivo principe è la prevenzione. Grazie ai risultati che otterremmo sarà possibile comprendere quali interventi di potenziamento siano più utili in bambini con fattori di rischio genetici per il successivo sviluppo di un disturbo specifico dell’apprendimento. Comprendere i meccanismi neubiologici che sottendono questa relazione, permetterà inoltre di agire creando trattamenti preventivi sempre più specifici, disegnati intorno alla risposta individuale dei bambini».
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La dislessia evolutiva è un disturbo del neurosviluppo che colpisce circa il 7% dei bambini in età scolare. È caratterizzato da una difficoltà nell’automatizzazione della lettura che incide profondamente sulla resa scolastica, sul benessere psicosociale del bambino e, in prospettiva, sul suo futuro inserimento nel mondo del lavoro.
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IN ITALIA 8 ADULTI SU 10 SOTTOVALUTANO IL DOLORE PROVATO DAI BAMBINI È quanto emerge da un’indagine demoscopica condotta da AstroRicerche per Zambon Italia Il monito dei pediatri: «Il malessere dei più piccoli non deve essere minimizzato»
di Domenico Esposito
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L’indagine demoscopica effettuata su mille persone e condotta da AstroRicerche per Zambon Italia accende la luce su una questione che non va affatto presa sotto gamba. E lo afferma a chiare lettere Gianvincenzo Zuccotti, Direttore del Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale dei bambini Buzzi di Milano: «Il dolore dei più piccoli non deve essere sottovalutato, perché - per una questione legata all’età i bambini potrebbero avere difficoltà a spiegare sia l’entità del malessere sia la tipologia di fastidio di cui soffrono».
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n errore che troppo spesso commettono gli adulti è quello di sottovalutare il dolore dei bambini. Già, quando i sintomi non sono evidenti o magari il termometro non segna una febbre da cavallo, si tende a ridimensionare la portata della “bua” segnalata dal minore. I dati parlano chiaro e fanno emergere il problema in tutta la sua portata: addirittura otto italiani su dieci non pensano che i bambini possano provare lo stesso dolore degli adulti. E non solo, perché oltre una persona su quattro è convinta che la sofferenza sia un’esclusiva dei più grandi. Nulla di più errato. Perché anche i bambini soffrono, eccome. Perché il dolore riguarda tutti, dai neonati agli anziani, senza alcuna distinzione d’età. L’indagine demoscopica effettuata su mille persone e condotta da AstroRicerche per Zambon Italia accende la luce su una questione che non va affatto presa sotto gamba. E lo afferma a chiare lettere Gianvincenzo Zuccotti, Direttore del Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale dei bambini Buzzi di Milano: «Il dolore dei più piccoli non deve essere sottovalutato, perché - per una questione legata all’età - i bambini potrebbero avere difficoltà a spiegare sia l’entità del malessere sia la tipologia di fastidio di cui soffrono». C’è un altro aspetto del quale tener conto e che deve spingere ad affrontare e gestire il dolore dei bambini in maniera consapevole. «Il rischio è che gli adulti si lascino sopraffare dal panico agendo poi in modo irrazionale» continua Zuccotti. Mai perdere la lucidità, agendo in tempo e senza eccessi. Seguendo le cure prescritte dei pediatri e, se la situazione lo richiede, somministrando solo farmaci specifici adatti all’età. Gli adulti sottovalutano il dolore dei bambini, si diceva. Al contrario, sempre secondo l’indagine di AstroRicerche per Zambon Italia, quasi quattro adulti su dieci lamentano un dolore costante, almeno una volta a settimana. E in circa sette casi su dieci si tratta di un malessere talmente forte da impedire di svolgere le normali attività quotidiane come lavorare (45%), pensare (38%) e addirittura muoversi (34%). Allo stesso modo soffrono i bambini e «immaginare che non provino dolore è una falsa percezione molto diffusa» spiega ancora Zuccotti. Ma cosa provoca il dolore dei più piccoli, secondo gli italiani? In base ai dati emersi dalla ricerca, il dato che balza al primo posto è riferito al 37% rappresentato da stanchezza e poco sonno. Subito dopo, al 25%, il troppo tempo trascorso davanti a televisori e schermi (25%), quindi gli
infortuni durante l’attività fisica (24%). Al 23% ecco gli smartphone e poi i social media (18%), ritenuti colpevoli di causare sofferenza soprattutto ai più piccoli, in quanto per gli adulti sono causa di dolore per il 10%. In merito alla dipendenza da web e social è arrivato di recente anche l’allarme lanciato dalla Società italiana di psichiatria (Sip) attraverso la voce della presidente Emi Bondi, per cui i giovani stanno pagando il prezzo più alto dopo la pandemia da Covid e l’isolamento forzato ai quali sono stati costretti durante il lockdown. I dati dicono che circa 700mila adolescenti sono ormai diventati dipendenti da web, social e videogiochi a tal punto che i casi di ansia e depressione tra i minori sono in costante aumento. E gli italiani come reagiscono dinanzi al dolore patito dai bambini? Il 40% delle persone coinvolte nell’indagine prova dispiacere, mentre il 38% lascia prevalere ansia e preoccupazione, che prendono così il sopravvento. C’è una differenza di base quando la sofferenza colpisce gli adulti e quando, invece, riguarda i bambini. Nel primo caso si tende a ricorrere immediatamente a un antidolorifico al fine di ottenere un riscontro rapido, evitando di rivolgersi al medico oppure consultandolo solo in un secondo momento. Quando, però, il dolore riguarda i più piccoli la prima mossa è contattare, anche via chat, il pediatra. Ed è senz’altro una decisione saggia, dal momento che il «pediatra è in grado di aiutare l’adulto ad individuare la possibile causa del malessere, suggerendo come intervenire a seconda del singolo caso» spiega Zuccotti. Dalla sofferenza dei bambini a quella degli adulti. Le donne di età compresa tra i 35 e i 44 anni, con un partner, e che vivono in una città medio-piccola sono le più colpite dal mal di schiena. Quest’ultimo è il disturbo più frequente nel Belpaese: il 37% degli italiani si vede obbligato ad affrontarlo settimanalmente. Ma il malessere che dà maggiore tormento tanto da influire sulle consuete e normali attività quotidiane è il mal di testa (31%). A causare dolore agli italiani sono poi due fattori troppo spesso ignorati e che, invece, possono rivelarsi spie di disturbi ben più gravi: ci riferiamo allo stess (39%) e alla mancanza di sonno (34%). Ma come affrontano il dolore gli italiani? Per quattro su dieci è vissuto come “una pugnalata” all’indirizzo di corpo e mente. Perché capace di provocare nervosismo (46%), stress e tensione (40%), stanchezza e debolezza (45%). Il 37%, però, non lo riconosce come davvero invalidante. Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Salute
UN VACCINO CONTRO LE INFEZIONI OSPEDALIERE Il nuovo protocollo punta a offrire protezione contro i super-batteri che si annidano negli ospedali
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uando si parla di infezioni ospedaliere ci si riferisce a infezioni che insorgono durante il ricovero di un paziente in ospedale e che non erano presenti prima del suo ingresso presso il nosocomio. Il Ministero della Salute arriva in soccorso a fare chiarezza su una questione particolarmente delicata che può comportare anche gravi conseguenze. Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono infezioni acquisite che costituiscono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria e possono verificarsi in ogni ambito assistenzia36
Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
le, incluso gli ospedali per acuti, il day-hospitat/daysurgery, le strutture di lungodegenza, gli ambulatori, l’assistenza domiciliare, le strutture residenziali territoriali. Possono essere esogene, da persona a persona, o endogene, ovvero causate da batteri presenti all’interno del corpo. E le cause sono molteplici: la progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, l’indebolimento del sistema di difesa dell’organismo, la scarsa applicazione di misure di igiene ambientale, l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici. In Europa, le ICA provocano ogni anno
16 milioni di giornate aggiuntive di degenza, 37.000 decessi attribuibili e 110.000 decessi per i quali l’infezione rappresenta una concausa. Con una spesa approssimativa di sette miliardi di euro. Ragioni, dunque, che spingono a individuare al più presto efficaci contromisure. Al vaglio c’è un vaccino universale, che si pone l’obiettivo di proteggere i pazienti ospedalizzati o immunocompromessi da quelli che possono essere definiti “super-batteri letali” riscontrabili negli ambienti sanitari. Lo studio è stato svolto presso l’Università della California Meridionale e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine. I ricercatori stanno mettendo a punto un vaccino versatile che sia in grado di allenare il sistema immunitario innato a contrastare i patogeni che di solito colpiscono i pazienti ospedalizzati, come lo Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA). I test effettuati sui topi hanno dato riscontri positivi e confortanti, con una protezione contro otto diverse specie di batteri e funghi valida fino a 28 giorni dopo. «Dal momento che la durata media dell’ospedalizzazione per cure acute è di cinque giorni e il 95% delle ospedalizzazioni dura meno di 21 giorni, la durata dell’effetto protettivo offerto non è un deterrente per l’efficacia o la somministrazione del vaccino», affermano gli autori di uno studio che lascia ben sperare, per quanto al momento soltanto testato sui topi. L’approccio utilizzato per il vaccino in questione è di tipo orizzontale, diverso da quello impiegato per i comuni. Una strategia adottata per consentire al siero di addestrare il sistema immunitario innato a opporsi all’assalto di una vasta gamma di patogeni che possono annidarsi negli ambienti sanitari e non a quello di un singolo patogeno. La speranza è che presto questo vaccino universale possa essere tradotto in realtà anche per gli esseri umani. (D. E.).
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ong Covid è un’espressione diventata di uso comune a cui abbiamo fatto l’abitudine con il passare del tempo. Ma che continua a essere oggetto di studio. La pandemia ha condizionato le nostre vite in questi ultime tre anni, e, anche una volta sparito il virus, un soggetto su quattro - come riferito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità - presenta sintomi, tra cui stanchezza, febbre, dolori articolari, tosse e difficoltà respiratorie, che persistono a distanza di quattro-cinque settimane e uno su dieci dopo 12 settimane. La novità è che non esiste solamente il Long Covid, però. Secondo quanto dimostrato da uno studio della Queen Mary University di Londra, infatti, è corretto parlare anche di “Long raffreddore”, con sintomi a lungo termine che riguardano anche chi è negativo al Covid-19. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista EClinicalMedicine e ha svelato le conseguenze nel tempo di infezioni respiratorie acute. I sintomi del Long raffreddore sono principalmente tosse, mal di stomaco e diarrea e sono riscontrabili anche quattro settimane dopo dall’insorgenza dell’infezione. Risultati del genere lasciano intuire come possano esserci degli impatti a lunga scadenza sulla salute, attualmente non riconosciuti, con raffreddori, influenza e polmoniti. La ricerca è stata condotta su un campione di 10.171 adulti per confrontare i sintomi a lungo termine delle infezioni da Covid e di quelle invece appartenenti ad altre infezioni respiratorie acute. A svelarne i dettagli è stata direttamente l’autrice, Giulia Vivaldi: «Abbiamo indagato 16 sintomi diversi segnalati nel Long Covid: tosse eccessiva, disturbi del sonno, di memoria, difficoltà di concentrazione, dolore muscolare o articolare, disturbi di gusto o olfatto, diarrea, dolore addominale, cambiamenti nella voce, perdita di capelli, battito cardiaco accelerato insolito, svenimenti o vertigini, sudo-
DOPO IL LONG COVID IL LONG RAFFREDDORE È quanto dimostrato da uno studio condotto dalla Queen Mary University di Londra: quali sono i sintomi e la durata
razione insolita, mancanza di respiro, ansia o depressione e affaticamento». I rischi, per chi arriva da un’infezione, sono maggiori: «Le persone con infezione precedente da Covid o precedenti infezioni respiratorie acute non Covid erano entrambe più a rischio di segnalare sintomi rispetto alle persone senza infezioni segnalate» continua Vivaldi. Che poi aggiunge: «Mentre i guariti dal Covid erano più propensi a segnalare tutti i sintomi esaminati, le persone con infezioni non Covid segnalavano quasi tutti i sintomi, ad eccezione dei problemi di gusto o olfatto e perdita di capelli. I sintomi
più comuni riscontrati sono tosse eccessiva e problemi gastrointestinali come diarrea e dolori addominali». I due gruppi - quello reduce da Covid e l’altro invece proveniente da infezione respiratoria no Covid - avevano un tempo medio trascorso dall’infezione differente. I guariti dal Covid segnalavano i loro sintomi in media 44 settimane dopo l’infezione, mentre le persone con infezioni non Covid segnalavano i loro sintomi in media 11 settimane dopo l’infezione. Ma non c’è ancora certezza che questi lunghi raffreddori abbiano gravità e durata simili al Long Covid. (D. E.). Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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e sopracciglia sono un tratto importante del nostro volto, della nostra estetica e della nostra comunicazione non verbale; hanno inoltre una funzione protettiva perché impediscono che il sudore proveniente dalla fronte raggiunga gli occhi e proteggono la superficie oculare anteriore dalla luminosità diretta proveniente dall’alto. La carenza o mancanza di sopracciglia colpisce sia gli uomini che le donne può dipendere però da altri fattori come cicatrici, stati carenziali, malattie metaboliche, autoimmuni, forme di alopecia o invecchiamento. Oggi è cambiato il modello di bellezza che richiede sopracciglia folte e definite. E allora che fare in tutti quei casi in cui le sopracciglia sono rade o assenti? L’industria del beauty ha subito risposto a questa nuova esigenza proponendo dei make up specifici per fare apparire le sopracciglia più folte. Quando però il make-up non è più sufficiente e si vuole un effetto più duraturo si può ricorrere alla dermopigmentazione o il microblading: tecniche di colorazione
NUOVA FRONTIERA IL TRAPIANTO DI SOPRACCIGLIA La migliore tecnica consigliata è la stessa oggi utilizzata nel più moderno trapianto di capelli: Follicular Unit Extraction (FUE)- Direct Hair Implantation (DHI)
di Biancamaria Mancini 38
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cutanea semipermanente mediante l’inserimento di pigmenti organici sottopelle e richiedono una prima fase di marcatura, un rinforzo successivo e dei ritocchi nel tempo, in media ogni 6-12 mesi. L’esigenza di un trattamento definitivo che non richiedesse un impegno fisico ed economico da ripetere nel tempo ha portato la chirurgia estetica ad aprire una nuova frontiera: il trapianto di sopracciglia. La migliore tecnica consigliata è la stessa oggi utilizzata nel più moderno trapianto di capelli: Follicular Unit Extraction (FUE)- Direct Hair Implantation (DHI), una procedura innovativa per il trattamento dell’alopecia androgenetica che, a differenza del metodo convenzionale di prelievo con strisce Follicolar Unit Transplantation (FUT), non lascia lunghe cicatrici. Anche per le sopracciglia si esegue la procedura chirurgica in anestesia locale e si prelevano i follicoli sani da una zona donatrice: la nuca, un’area del cuoio capelluta che non è soggetta a diradamento androgenetico. Le più moderne tecniche prevedono per l’espianto l’utilizzo di un punch motorizzato di meno di un millimetro di diametro e per il reimpianto un sofisticato implanter. Dopo aver studiato il disegno delle sopracciglia in modo accurato e preciso sul viso del paziente, l’implanter (tecnica DHI) ci permette senza fare incisioni precedentemente di inserire correttamente e nel giusto orientamento tutti i follicoli prelevati, in modo che i peli in crescita seguiranno in modo del tutto naturale la naturale arcata sopracciliare. Infatti, l’ago a becco di flauto dell’implanter è progettato per accogliere il follicolo estratto al suo interno e per iniettarlo direttamente nella cute ricevente orientandolo già per direzione e verso secondo il disegno stabilito. Le sopracciglia sono costituite da file arcuate in serie (5-7 file) di peli che crescono lungo il margine orbitale superiore. I peli delle sopracciglia sono corti, sottili ma rigidi, non flessibili con una leggera curva lungo il corpo e si assottigliano verso l’estremità. Per la ricostruzione bisogna considerare moltissimi dettagli, a partire dall’anatomia del sopracciglio che è costituito da tre parti da mediale a laterale: testa, corpo e coda. La parte mediale o testa costituisce circa il 10-15% del sopracciglio, è inclinata al di sotto del margine orbitale e presenta una o due file sfalsate di peli orientate verticalmente. La testa ha pochi peli corti e chiari. La parte centrale o corpo costituisce circa il 60% e si inarca gradualmente verso l’alto, con i peli lungo il bordo superiore rivolti
Nel susseguirsi delle mode anche le sopracciglia hanno subito cambiamenti, in particolare negli anni 90 l’immagine della donna curata presentava delle sopracciglia sottilissime, quasi assenti; ciò ha portato migliaia di donne a usare continuamente le pinzette e a ritrovarsi oggi con un danno permanente da trazione.
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verso il basso e verso l’esterno. Il corpo è la parte più densa, ampia e cruciale del restauro delle sopracciglia. La coda costituisce circa il 20-25% del sopracciglio, è diretta più orizzontalmente e verso l’esterno. L’area del sopracciglio è delicata e innervata dai nervi infra-trocleare, sopra-trocleare, sopraorbitario, lacrimale e zigomatico-temporale. Rispetto al trapianto di capelli ci sono delle differenze da sottolineare: la parte donatrice è molto ridotta e non richiederà una rasatura totale, necessita molta esperienza, preparazione e manualità. Per un ripristino completo e spesso delle sopracciglia femminili e maschili sono necessari circa 100-200 innesti di singole unità follicolari. La selezione dei follicoli, l’angolo di posizionamento, l’allineamento e la direzione all’interno delle file influenzano i risultati, così come la cicatrizzazione e la perfusione della pelle. La tecnica è per molti ma non per tutti, esistono infatti dei casi particolari come nel ripristino post-ustione o post-traumatico delle sopracciglia il cui intervento può essere pianificato solo dopo che tutte le altre deformità funzionali del viso siano state corrette e dopo che le cicatrici siano mature. Si sconsiglia nell’alopecia areata, nell’alopecia fibrosante frontale, nelle alopecie cicatrizzanti e nella tricotillomania, nei pochi casi in cui si decide di procedere si attende una biopsia o il parere del medico che valuterà la conformazione clinica per assicurarsi che non vi siano segni attivi della malattia. Solitamente nelle alopecie areate, totali e universali non è possibile operare anche perché è compromessa la zona donatrice. Sono sconsigliati impianti di capelli artificiali che hanno sempre portato numerose complicazioni come infezioni ripetute, pustole, seni senili, granulomi, cicatrici, nessuna morbidezza, nessuna curvatura. Un’attenzione particolare è da dare inoltre alla preparazione della cute pre intervento, l’arcata sopraciliare infatti deve essere integra e senza stati infiammatori in atto. Giova una buona idratazione ed elasticità dei tessuti.
Bibliografia • Rajendrasingh J Rajput “Hair Transplant for Eyebrow Restoration“ Indian J Plast Surg. 2021 Dec 14;54(4):489494. doi: 10.1055/s-0041-1739253. • Chirurgia della calvizie. EMC - Tecniche Chirurgiche Chirurgia Plastica¸ Ricostruttiva ed Estetica Volume 20, Issue 3, August 2022, Pages 1-18
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Tratto da “Skin anti-aging strategies”, di Ruta Ganceviciene, Aikaterini I. Liakou, Athanasios Theodoridis, Evgenia Makrantonaki, Christos C. Zoubou.
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STRATEGIE ANTIETÀ COME PREVENIRE L’INVECCHIAMENTO DELLA PELLE Una panoramica sui più importanti agenti terapeutici topici e sistemici e sulle tendenze nell’uso di procedure invasive per la cura del derma di Carla Cimmino
L’
invecchiamento cutaneo è un processo biologico complesso influenzato dalla combinazione di fattori collegati tra loro ad alterazioni strutturali e fisiologiche, nonché cambiamenti nell’aspetto della pelle, in particolare, sulle aree cutanee esposte al sole. La pelle fotoinvecchiata si presenta con: 1) un’epidermide ispessita; 2) discromie a chiazze; 3) rughe profonde; 4) lassità; 5) opacità; 6) ruvidità. Il rallentamento del turnover epidermico e l’allungamento del ciclo cellulare è importante quando vengono programmate procedure estetiche, che riguardano applicazione del prodotto o procedure per accelerare il ciclo cellulare, nella convinzione che un ricambio più rapido porterà a un miglioramento dell’aspetto della pelle. Una marcata perdita di fibrillina-positiva, come un ridotto contenuto di collagene di tipo VII (Col-7), possono contribuire alla formazione delle rughe indebolendo il legame tra derma ed epidermide della pelle estrinsecamente invecchiata. La pelle invecchiata esposta al sole ha scarsa distribuzione e diminuzione del contenuto di collagene, perché degradato da varie metalloproteinasi della matrice, serina. Nella pelle più anziana, il collagene appare irregolare e disorganizzato, il rapporto di Col-3, a Col-1 è stato dimostrato aumentare, a causa, in modo significativo, di una perdita di Col-1. “Il contenuto complessivo di collagene per unità di area della superficie cutanea diminuisce di circa
l’1% all’anno”. Nella pelle fotoinvecchiata: - i GAG (costituenti primari della matrice cutanea che aiutano a legare l’acqua), possono essere associati a materiale elastico anomalo e quindi non essere in grado di funzionare in modo efficace; - il livello di acido ialuronico totale (HA) nel derma della pelle invecchiata rimane intrinsecamente stabile; tuttavia, l’HA epidermico diminuisce notevolmente. L’invecchiamento dell’intero viso è associato all’impatto della gravità, all’azione dei muscoli, alla perdita di volume, alla diminuzione e ridistribuzione del grasso superficiale e profondo, alla perdita del supporto dello scheletro osseo, tutto ciò porta al rilassamento del viso, ai cambiamenti di forma e contorno. La dermatologia estetica potrebbe trattare o prevenire alcuni disturbi cutanei ( es.il cancro della pelle), ritardare l’invecchiamento cutaneo combinando metodi terapeutici locali e sistemici, dispositivi strumentali e procedure invasive. È importante comprendere i desideri dei pazienti e orientarli verso la modalità di trattamento che darà i risultati più soddisfacenti conoscendo tutte le tecniche di trattamento disponibili. Prima di scegliere la strategia per ogni caso dovrebbero essere presi in considerazioni molti fattori tra cui: età, precedenti procedure o interventi chirurgici, stato di salute, tipo di pelle, stile di vita. L’effetto antietà desiderato per la pelle è un processo continuo, che combina vari metodi di biorivitalizzaGiornale dei Biologi | Set/ott 2023
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zione e ringiovanimento, aumento e ripristino di ogni strato cutaneo individualmente. Qui elencati ci sono i più importanti agenti terapeutici topici e sistemici e le tendenze nell’uso di procedure invasive. Cura della pelle Una barriera cutanea sana e funzionante è un importante protettore contro la disidratazione, la penetrazione di vari microrganismi, allergeni, sostanze irritanti, specie reattive dell’ossigeno e radiazioni, può essere regolata in modo specifico per consentire la penetrazione. Per questo la cura quotidiana della pelle può aumentare la rigenerazione, l’elasticità, la levigatezza e quindi modificarne © YAKOBCHUK VIACHESLAV/shutterstock.com le condizioni. Alcuni prodotti promuovono la sintesi naturale di collagene, ma è importante anche previene la formazione di rughe con la riduzione dell’infiammazione mediante terapia topica o sistemica l’utilizzo di antiossidanti che in combinazione con filtri solari e retinoidi potrebbe essere la strategia adeguata. Fotoprotezione e antiossidanti sistemici Il fotodanneggiamento del DNA e le specie reattive dell’ossigeno (ROS) generate dai raggi UV sono gli eventi molecolari iniziali che portano alla maggior parte delle manifestazioni istologiche e cliniche tipiche del fotodanneggiamento cronico della pelle. Le strategie mirate a prevenire il fotoinvecchiamento comprendono la lontananza dal sole, la protezione solare, retinoidi per inibire la sintesi della collagenasi e promuovere la produzione di collagene, gli antiossidanti, per ridurre e neutralizzare i radicali liberi (FR). Gli antiossidanti, sono scavenger di FR: (1) neutralizzano direttamente i FR, (2) riducono le concentrazioni di perossido e riparano le membrane ossidate, (3) estinguono il ferro per diminuire la produzione di ROS, (4) attraverso 42
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il metabolismo dei lipidi, gli acidi grassi liberi a catena corta e gli esteri del colesterolo neutralizzano i ROS. Tra gli antiossidanti sistemici più conosciuti rientrano la vitamina C, la vitamina E, i carotenoidi e gli oligoelementi rame e selenio. Agenti farmacologici topici con proprietà antietà Gli antiossidanti e i regolatori cellulari possono essere utilizzati come componenti della crema antietà. Gli antiossidanti, come vitamine, polifenoli e flavonoidi, riducono la degradazione del collagene riducendo la concentrazione di FR nei tessuti. I regolatori cellulari, come retinoli, peptidi e fattori di crescita (GF), hanno effetti diretti sul metabolismo del collagene e influenzano la produzione di collagene. Le vitamine C, B3 ed E sono gli antiossidanti più perché penetrano nella pelle attraverso il loro piccolo peso molecolare. L’acido L-ascorbico locale idrosolubile e termolabile (vitamina C) in concentrazioni comprese tra 5 e 15 ha un effetto antietà sulla pelle inducendo la produzione di Col-1 e Col-3, nonché di enzimi importanti per la produzione di collagene e inibitori della matrice metalloproteinasi (MMP) 1 (collagenasi 1). La niacinamide (vitamina B3) regola il metabolismo e la rigenerazione cellulare ed è utilizzata nel 5% concentrazione come agente anti-età. In alcuni studi è stato osservato un miglioramento dell’elasticità della pelle, dell’eritema e delle pigmentazioni dopo 3 mesi di trattamento topico. La vitamina E (α-tocoferolo) utilizzata come componente di prodotti per la pelle ha proprietà anti-età. -effetti infiammatori e antiproliferativi in concentrazioni comprese tra il 2 e il 20%. Agisce levigando la pelle e aumentando la capacità dello strato corneo di mantenere la propria umidità, accelerando l’epitelizzazione e contribuendo alla fotoprotezione della pelle. Gli effetti non sono così forti come quelli delle vitamine C e B3. Uno studio in vivo ha dimostrato che l’applicazione topica dei polifenoli del tè verde prima dell’esposizione ai raggi UV porta ad un aumento della dose minima di eritema, diminuisce il numero di cellule di Langerhans e riduce il danno al DNA nella pelle. I regolatori cellulari (derivati della vitamina A,i polipetidi, estratti vegetali), agiscono sul metabolismo del collagene stimolandone la produzione. Anche la vitamina A (retinolo) e i suoi derivati (retinaldeide e tretinoina) appartengono ad un gruppo di agenti con effetti antiossidanti. Possono indurre la biosintesi del collagene e ri-
durre l’espressione della MMP 1 (collagenasi 1). Il retinolo, utilizzata come composto antietà e, rispetto alla tretinoina, provoca meno irritazioni cutanee. La tretinoina (un retinoide non aromatico di prima generazione, è approvata per l’applicazione come trattamento antietà in una concentrazione dello 0,05% negli Stati Uniti), è stato dimostrato che è in grado di ridurre i segni dell’invecchiamento cutaneo precoce indotto dai raggi UV, come rughe, perdita di elasticità della pelle e pigmentazione. Polipeptidi o oligopeptidi possono imitare una sequenza peptidica di molecole come il collagene o l’elastina, attraverso l’applicazione topica, hanno la capacità di stimolare la sintesi del collagene e di attivare il metabolismo dermico. Procedure invasive. Peeling chimici I peeling chimici, sono metodi per provocare un’ablazione chimica di strati cutanei definiti per indurre una pelle uniforme e tesa come risultato dei meccanismi di rigenerazione e riparazione dopo l’infiammazione dell’epidermide e del derma, sono classificati in tre categorie: 1) superficiali [α-β-, lipo-idrossiacidi (HA), acido tricloroacetico (TCA) 10–30%] esfoliano gli strati epidermici senza andare oltre lo strato basale; 2) di media profondità (TCA superiore al 3050%) raggiungono il derma reticolare superiore; 3) profondi (TCA > 50%, fenolo) penetrano nel derma reticolare inferiore. I peeling superficiali colpiscono i corneosomi, causano desquamazione, aumentano l’attività epidermica degli enzimi, portano all’epidermolisi e all’esfoliazione; quelli di media profondità provocano la coagulazione delle proteine di membrana, distruggono le cellule vive dell’epidermide e, a seconda della concentrazione, del derma; quelli profondi coagulano le proteine e producono un’epidermolisi completa, ristrutturano lo strato basale e ripristinano l’architettura dermica I miglioramenti nell’elasticità della pelle e nelle rughe dopo il peeling chimico possano essere attribuiti all’aumento di Col-1 con o senza Col-3, fibre elastiche, nonché di un riarrangiamento delle fibre collagene. Dispositivi a luce visibile: IPL, laser, RF per il ringiovanimento, il resurfacing e il rassodamento della pelle Il ringiovanimento cutaneo non ablativo o “subsurfacing” è una tecnologia a basso rischio e con tempi di inattività brevi che può migliorare i cambiamenti strutturali dell’invecchiamento senza compromettere l’integrità cutanea. C’è una
denaturalizzazione selettiva, del collagene dermico che porta alla successiva sintesi reattiva. L’epidermide e il derma superficiale possono essere danneggiati selettivamente mediante due meccanismi di base: (a) prendendo di mira cromofori distinti nel derma o nella giunzione dermo-epidermica o (b) utilizzando laser nel medio infrarosso (IR). I dispositivi per il trattamento delle irregolarità vascolari e/o dei pigmenti includono laser che emettono luce a lunghezze d’onda di 532, 585, 595, 755, 800 e 1064 nm, nonché luce filtrata generata da sistemi IPL dotati di diversi tipi di taglio. L’efficacia clinica di modalità non ablative è inferiore a quella dei metodi ablativi, tuttavia si può osservare la formazione di nuovo collagene e un miglioramento clinicamente osservabile delle rughe. Il ringiovanimento cutaneo non ablativo non dovrebbe ancora essere considerato un’alternativa al laser resurfacing, ma ci sono dati interessanti che mostrano cambiamenti istologici comparativi tra le modalità ablative e non ablative. Il laser resurfacing ha dimostrato di essere efficace nel contrastare il fotoinvecchiamento attraverso l’ablazione dell’intera epidermide, il restringimento del collagene, la stimolazione della neocollagenesi, un ampio rimodellamento cutaneo, la rigenerazione degli organelli cellulari e degli attacchi intercellulari ma parallelamente, i risultati in tempi di recupero lunghi sono associati a rischi di gravi lesioni di lunga durata effetti collaterali, quali eritema persistente, ipo- o iperpigmentazione, infezioni o cicatrici. Recentemente, sono stati introdotti laser a CO2 frazionata, vetro erbio o erbio-YAG per ridurre i tempi di inattività e gli effetti collaterali. Lo stress termico controllato sull’epidermide e sul compartimento dermico è seguito da una risposta di guarigione della ferita che porta infine alla riepitelizzazione e al rimodellamento dermico. Ci sono anche ricerche che suggeriscono ruoli importanti delle proteine da shock termico (HSP), del fattore di crescita trasformante β (TGF- β), diverse MMP, sintetasine acido ialuronico (HA). Anche l’mRNA del procollagene di tipo I e di tipo III è risultato elevato per almeno 6 mesi. La RF monopolare è un metodo non invasivo per ottenere il rassodamento della pelle e la contrazione immediata del collagene con un unico trattamento. A differenza dei laser, la tecnologia RF produce corrente elettrica, che genera calore attraverso una resistenza nel derma e in
I peeling chimici, sono metodi per provocare un’ablazione chimica di strati cutanei definiti per indurre una pelle uniforme e tesa come risultato dei meccanismi di rigenerazione e riparazione dopo l’infiammazione dell’epidermide e del derma, sono classificati in tre categorie: 1) superficiali [α-β-, lipo-idrossiacidi (HA), acido tricloroacetico (TCA) 10–30%] esfoliano gli strati epidermici senza andare oltre lo strato basale; 2) di media profondità (TCA superiore al 30-50%) raggiungono il derma reticolare superiore; 3) profondi (TCA > 50%, fenolo) penetrano nel derma reticolare inferiore.
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Il plasma autologo ricco di piastrine (PRP) ha attirato l’attenzione per il ringiovanimento della pelle. Vari GF, tra cui il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), il fattore di crescita trasformante (TGF), il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) e la crescita simile all’insulina fattore (IGF), sono secreti dai granuli α delle piastrine concentrate attivate da induttori di aggregazione. Il PRP può indurre la sintesi del collagene e di altri componenti della matrice stimolando l’attivazione dei fibroblasti, ringiovanendo così la pelle.
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profondità fino al grasso sottocutaneo. Purtroppo mancano studi a lungo termine sull’efficacia. Ringiovanimento cutaneo iniettabile e filler dermici L’obiettivo del bioringiovanimento cutaneo è aumentare la capacità biosintetica dei fibroblasti, inducendo la ricostruzione di un ambiente fisiologico ottimale, il potenziamento dell’attività cellulare, l’idratazione e la sintesi di collagene, elastina e HA (acido ialorunico). L’effetto desiderato può essere ottenuto mediante microiniezioni (filler) nel derma superficiale di prodotti contenenti un solo principio attivo o cocktail di diversi composti perfettamente biocompatibili e totalmente assorbibili: HA, vitamine, minerali, nutrienti, ormoni, GF, aminoacidi, colture autologhe fibroblasti, prodotti omeopatici. I filler possono essere raggruppati in materiali temporanei, semipermanenti (della durata compresa tra 1 e 2 anni) o permanenti (della durata superiore a 2 anni). L’HA, ha funzioni di riempimento degli spazi, lubrificazione, assorbimento degli urti ed esclusione delle proteine, iniettato nella pelle può stimolare i fibroblasti ad esprimere Col -1, MMP-1 e inibitore tissutale della metalloproteinasi-1 della matrice (TIMP-1), oltre a partecipare alla guarigione delle ferite, alla modulazione delle cellule infiammatorie, all’interazione con i proteoglicani della matrice extracellulare e all’eliminazione di FR. L’HA naturale ha un’emivita nel tessuto di soli 1 o 2 giorni prima di subire diluizione acquosa e degradazione enzimatica nel fegato in anidride carbonica e acqua. Prodotto dalla fermentazione batterica (Staphylococcus equino) e modificato mediante reticolazione chimica per migliorarne la resistenza alla degradazione enzimatica e ne prolungano l’effetto, i filler reticolati di HA non animali sono più puri, più viscosi, solitamente ben tollerati e raramente provocano reazioni avverse e immunologiche. La durata dell’effetto per i filler di HA varia da 3 a 12 mesi. I filler dermici di lunga durata mantengono la posizione per 1-2 anni o anche più. I moderni filler HA differiscono per dimensione delle particelle, reticolazione e tipo di agente reticolante utilizzato nell’HA; struttura fasica: mono/bifasica, concentrazione di HA e presenza di un agente anestetico in ciascuna siringa. Uno dei filler dermici semipermanenti sintetici di lunga durata è il filler a base di idrossiapatite di calcio (CaHA) sospeso in un supporto acquoso di gel di carbossimetilcellulosa. Le
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particelle di CaHA agiscono come un’impalcatura per la formazione di nuovi tessuti e stimolano la formazione di collagene attorno alle microsfere che conducono ad un ispessimento del derma nel tempo. Le particelle sferiche di CaHA vengono gradualmente fagocitate, degradate come calcio e fosfato ed eliminate attraverso il sistema renale. CaHA è biocompatibile con una composizione identica alle ossa con un basso potenziale di antigenicità, reazione da corpo estraneo e risposta infiammatoria minima. L’applicazione dell’acido poli-L-lattico (PLA) nell’aumento dei tessuti molli sfrutta un meccanismo d’azione dei tessuti molli come il piano di trattamento, la preparazione del materiale di iniezione e anche la tecnica di iniezione. La risposta (tra i 3 e 7 gg)è un effetto volumizzante ritardato ma progressivo. Il processo di idratazione, perdita di coesione e peso molecolare, e solubilizzazione e fagocitosi del PLA da parte dei macrofagi dell’ospite, degrada il PLA in microsfere di acido lattico ed elimina la CO2 dell’escrezione respiratoria. I cristalli vengono lasciati indietro per stimolare il collagene e una reazione granulomatosa. Questa reazione infiammatoria provoca il riassorbimento e la formazione di tessuto connettivo fibroso attorno al corpo estraneo, causando fibroplasia dermica che porta all’effetto cosmetico desiderato. Plasma autologo ricco di piastrine (PRP) Il plasma autologo ricco di piastrine (PRP) ha attirato l’attenzione per il ringiovanimento della pelle. Vari GF, tra cui il fattore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF), il fattore di crescita trasformante (TGF), il fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) e la crescita simile all’insulina fattore (IGF), sono secreti dai granuli α delle piastrine concentrate attivate da induttori di aggregazione. Questi fattori sono noti per regolare processi tra cui la migrazione cellulare, l’attaccamento, la proliferazione e la differenziazione e promuovono l’accumulo di matrice extracellulare (ECM) legandosi a specifici recettori della superficie cellulare. Il PRP può indurre la sintesi del collagene e di altri componenti della matrice stimolando l’attivazione dei fibroblasti, ringiovanendo così la pelle. Tossina botulinica La tossina botulinica (BTX) non ha alcun effetto sulla struttura della pelle e non può arrestare il processo di invecchiamento cutaneo. Tuttavia, iniezioni regolari di BTX possono rallentare
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il processo di invecchiamento visibile aiutando nella gestione di alcune linee e rughe dinamiche del viso. Le attuali opzioni di trattamento delle rughe esagerate delle rughe, delle rughe glabellari o delle zampe di gallina, come la chirurgia o gli impianti, non affrontano la causa alla base di queste rughe, vale a dire l’eccessiva stimolazione nervosa. Il meccanismo d’azione di BTX lo rende un agente ideale per colpire la causa principale di queste linee dinamiche. Sette sottotipi di neurotossina (A-G) costituzionalmente simili sono prodotti da diversi ceppi del batterio anaerobico gram-positivo Clostridium botulinum. BTX- sottotipo A (BTX-A) è il più potente, produce una denervazione chimica temporanea bloccando il rilascio presinaptico di acetilcolina (Ach) a livello della giunzione neuromuscolare (NMJ). La catena pesante specifica è associata all’internalizzazione della tossina e la lega irreversibilmente alle placche terminali dei nervi motori con un’elevata affinità con recettori specifici nella membrana plasmatica delle terminazioni nervose colinergiche, ciò induce l’endocitosi della tossina mediata dal recettore. La catena leggera responsabile della tossicità si divide nella cellula e inattiva una proteina associata al sinaptosomiale specifica della sinapsi di 25 kDa (SNAP-25), che è una delle numerose proteine necessarie per l’esocitosi dell’Ach e il rilascio nella NMJ. La tossina si lega rapidamente (meno di un’ora) e in modo specifico ai neuroni presinaptici dei muscoli selezionati. La denervazione chimica clinicamente reversibile e il rilassamento muscolare selettivo o la paralisi iniziano dopo 24-48 ore e potrebbero non essere completati prima di 2 settimane. Nel muscolo, intorno al giorno 28, i germogli nervosi mediano un ripristino parziale e si formano nuove giunzioni neuromuscolari in prossimità dei vecchi svincoli. Un altro fattore che spiega il recupero della funzione muscolare potrebbe essere un aumento dell’area della membrana muscolare sensibile all’acetilcolina. Nei giorni 62–91, può essere dimostrato il completo recupero della funzione muscolare. La durata abituale dell’effetto è di 3–6 mesi con variazioni individuali. Il dosaggio di BTX-A è essenziale per ottenere effetti precisi e prevedibili, e attività biologica e dipende individualmente dalla zona, dalla massa muscolare, dal sesso e da altri fattori. Le controindicazioni includono condizioni di malattie neuropatiche motorie periferiche o distur-
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bi funzionali neuromuscolari, somministrazione concomitante di antibiotici aminoglicosidici o altri agenti che interferiscono con la trasmissione neuromuscolare e possono potenziare la debolezza generale, trattamento di pazienti con disturbi infiammatori della pelle nel sito di iniezione, storia di reazione alla tossina, gravidanza. e allattamento, età inferiore a 12 anni, partecipazione ad occupazioni che richiedono un’ampia gamma di espressioni facciali. Considerati gli effetti localizzati e a breve termine delle iniezioni di BTX-A, è rassicurante che eventuali reazioni avverse finora note possano anche essere di breve durata, localizzate e reversibili in un periodo dose-dipendente di 6-8 settimane. Lo sviluppo di anticorpi contro BTX-A può essere correlato all’esposizione a dosi elevate di tossina e sembra essere correlato alla diminuzione di BTX. -A efficacia. L’incidenza delle complicanze in molti casi dipende dalla corretta applicazione e dalla qualifica del medico. Tuttavia, bisogna sempre considerare che i benefici di questo trattamento sono transitori e che sono necessarie iniezioni ripetute per un effetto a lungo termine. Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Terapia ormonale sostitutiva (TOS) Livelli di ormone della crescita (GH) e fattore di crescita insulino-simile-1 (IGF-1), melatonina (notturna), TSH, ormoni tiroidei (T3), deidroepiandrosterone (DHEA) (forma solfatata e suoi 17-cheto-metaboliti urinari) , gli estrogeni e il testosterone con l’età diminuiscono progressivamente. I principali deficit ormonali nell’uomo sono la menopausa, l’andropausa e il deficit parziale di androgeni nell’uomo che invecchia. È stato dimostrato che la sostituzione del DHEA porta a un miglioramento delle condizioni corporee, dell’attività sessuale, della densità ossea e del benessere. In uno studio randomizzato e controllato con placebo su 280 uomini e donne anziani (di età compresa tra 60 e 79 anni), ciascun soggetto ha ricevuto 50 mg di DHEA al giorno per un anno. Le donne hanno mostrato un miglioramento della libido, della salute della pelle e della densità ossea. Inoltre, un altro studio condotto da Rudman et al. ha sottolineato che l’applicazione del GH ha diminuito i segni dell’invecchiamento biologico. Il trattamento ha portato ad un miglioramento delle condizioni corporee, con un aumento della massa muscolare e della densità ossea ed una diminuzione del tessuto adiposo. Inoltre è stato osservato un aumento dello spessore della pelle. 46
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È stato dimostrato che la melatonina ha un’influenza favorevole sul processo di invecchiamento, perché ha un effetto inverso rispetto al peso corporeo; la restrizione alimentare aumenta i livelli di melatonina e ne diminuisce la diminuzione correlata all’età. Con l’avanzare dell’età si verifica una diminuzione della produzione di melatonina, che potrebbe essere collegata ai disturbi del sonno degli anziani. La TOS con testosterone è assolutamente indicata negli uomini anziani che sono sintomatici o hanno un basso livello sierico di testosterone. In un’alta percentuale di uomini anziani è stata osservata una diminuzione del testosterone o una perdita del ritmo circadiano della secrezione di testosterone. I sintomi clinici comprendono debolezza generale, disfunzione sessuale, diminuzione della massa muscolare e ossea e diminuzione dell’eritropoiesi. Studi epidemiologici hanno dimostrato che un basso livello di testosterone porta a un tasso di morbilità e mortalità più elevato e a una maggiore prevalenza di depressione, malattia coronarica e osteoporosi. La resistenza all’insulina svolge un ruolo importante nello sviluppo dell’ipogonadismo negli uomini anziani. Pertanto, gli uomini obesi e gli uomini con diabete di tipo 2 mostrano livelli di testosterone significativamente più bassi rispetto ai soggetti dei gruppi di controllo. Da tempo si ritiene che la terapia ormonale sostitutiva con estrogeni e progesterone abbia effetti anti-invecchiamento; i risultati di studi più ampi, in particolare della Women’s Health Initiative, hanno dimostrato che non è necessariamente prevedibile un effetto antietà. Al contrario, la terapia ormonale sostitutiva è stata accusata di avere un rischio cardiovascolare più elevato e un aumento del rischio di cancro al seno. Tuttavia, ha effetti preventivi chiari e positivi sull’osteoporosi e si può considerare che una monoterapia precoce con estrogeni a basso dosaggio abbia dei vantaggi. Conclusioni L’invecchiamento estrinseco può essere prevenuto attraverso le dermatologia estetica, che dovrebbe contribuire al “sano invecchiamento” non solo con mezzi cosmetici, cercando di cancellare le tracce del tempo nella pelle, ma anche svolgendo un ruolo significativo nella prevenzione, rigenerazione e ritardo dell’invecchiamento cutaneo, combinando la conoscenza di possibili terapie locali e sistemiche, dispositivi strumentali e procedure invasive.
È nata la FNOB Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi
Seguici sui canali ufficiali www.fnob.it Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi Giornale dei Biologi Il Giornale dei Biologi Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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SALTO NELLA SOSTENIBILITÀ: NATO IL PRIMO IMPIANTO VOLTAICO CON MICROALGHE La fotosintesi offre opportunità nei settori alimentare, cosmetico e farmaceutico Enea ed Enel Green Power stanno collaborando per valutare la scalabilità del progetto
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na rivoluzionaria iniziativa ha visto la luce, è proprio il caso di ricordarlo, nel cuore della Campania, con la collaborazione tra l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (Enea) ed Enel Green Power. È stato realizzato, difatti, il primo impianto algovoltaico d’Italia, un sistema pionieristico, che combina l’energia solare e la produzione di microalghe con un potenziale nei settori alimentare, cosmetico e farmaceutico. Il progetto, completato presso il Centro Ricerche Enea di Portici, segna un nuovo capitolo nell’evoluzione delle energie rinnovabili e nella produzione sostenibile di materie prime ad alto valore. La struttura campana, risultato di cooperazione e innovazione tecnologica, è un esempio di come la Natura e la scienza possano convergere per creare soluzioni all’avanguardia. C’è la possibilità di produrre circa trenta chilogrammi di alghe essiccate all’anno, utilizzando solamente quaranta metri quadrati di moduli fotovoltaici con una potenza di sette kWp (kilowatt picco). Dietro questi numeri si nasconde, però, molto di più. Gli organismi acquatici coltivati hanno un valore commerciale straordinario, tradotto in soldoni dai 100 a 600 euro al chilogrammo quando destinate all’uso farmacoterapico o estetico. Ciò è reso possibile da un sistema di coltura completamente automatizzato e integrato con il fotovoltaico all’interno di un ambiente controllato di fotobioreattori, tubi trasparenti in vetro collocati sotto i moduli che lavorano grazie alla luce. Tale configurazione, con i condotti disposti in due schiere verticali parallele e collegati tra loro, crea una serpentina continua in cui scorre una soluzione acquosa. Grazie all’energia solare, si determina la fotosintesi assorbendo anidride carbonica, e la crescita fino a raggiungere una densità e uno stato di maturazione ideali per la successiva raccolta. Un potente dispositivo di centrifugazione separa, poi, dall’acqua, e sono pronte per essere utilizzate in svariati settori di produzione. L’innovazione è il risultato di un team interdisciplinare composto da tecnici specializzati, ricercatori Enea con competenze specifiche nella realizzazione di sistemi solari per la ricerca, tra questi Alessandra Scognamiglio, esperta di fotovoltaico integrato, Paola Delli Veneri, specializzata in dispositivi avanzati, Carmine
Foto: Enea
«I vantaggi dell’approccio adottato sono molteplici. Innanzitutto, sottolinea Carmine Cancro, ricercatore del laboratorio Enea di Smart grid e reti energetiche presso il Centro Ricerche di Portici - le alghe consentono di sfruttare l’energia proveniente dal sole meglio delle colture tradizionali. Hanno una maggiore efficienza fotosintetica, un elevato valore ambientale in quanto consumano anidride carbonica trasformandola in biomassa tramite fotosintesi e rilasciando ossigeno puro in atmosfera. Non ultimi, gli aspetti pratici, come il fatto che la soluzione tecnologica sviluppata ben si presta anche a interventi di ‘retrofit’ con impianti fotovoltaici esistenti».
Cancro e da un team di tecnici di Enel Green Power, che si è occupato della progettazione, dell’allestimento fotovoltaico e del contributo alla valutazione delle prestazioni e alla scalabilità dell’applicazione integrata su apparati di grandi dimensioni. La struttura rappresenta un passo significativo verso un futuro intelligente e compatibile con le esigenze di salvaguardia delle risorse ambientali italiane. Se l’energia solare è virtualmente inesauribile, l’Italia, ma non solo, potrebbe avere una fornitura infinita, portando avanti la meta di una minore dipendenza da risorse finite o da fornitori esterni, garantendo stabilità ed indipendenza. Altro punto a favore è la decentralizzazione. Grazie alle piccole installazioni domestiche e alle comunità che sfrutterebbero questa tecnologia, si ridurrebbe la dipendenza da centrali e reti di distribuzione, aumentando la resilienza. Con il potenziale di creare prodotti plurisettoriali, inoltre, l’iniziativa promette di avere un impatto positivo sia sull’ecosistema sia sull’economia. Nello scorso mese di settembre, è stata avviata una sperimentazione in collaborazione con il Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II. L’obiettivo principale è ottimizzare il layout d’integrazione per massimizzare la produttività in linea con le specifiche del progetto fotovoltaico, un sistema fisso che comprende moduli mono e bifacciali. L’impianto è stato presentato tra le novità a “Zero Emission Mediterranean 2023”, la manifestazione internazionale che svolge un ruolo chiave nella promozione delle energie rinnovabili su scala globale. Il tema scelto quest’anno è quello della decarbonizzazione, l’elettrificazione dei consumi, la mobilità elettrica e la lotta ai cambiamenti climatici. All’interno dei diversi ambiti industriali tematici, sono state presentate soluzioni completamente sostenibili e tecnologie correlate, compresi sistemi, materiali, attrezzature, tecnologie, prodotti e servizi. La fiera era riservata esclusivamente al Business to business (B2B) e ha visto la partecipazione di molti professionisti nel settore elettrico. Il Sole ci proietta, così, verso un domani migliore. L’opportunità “radiante” offertaci è innegabile, ma sta a noi coglierla, con la consapevolezza che ogni raggio catturato sia un passo verso un nuovo destino da ammirare con occhi diversi. (G. P.). Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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NANOPARTICELLE D’ARGENTO SIAMO IN PRIMA LINEA NELLA RICERCA DI SOLUZIONI Ricercatori italiani hanno sviluppato un materiale in grado di catturare e rimuoverle La scoperta ha un impatto sulla pulizia delle acque e la tutela del territorio
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n gruppo di scienziati italiani ha gettato le basi per una rivoluzione ambientale. Immaginate di avere un potere: estrarre milioni di nanoparticelle d’argento o d’oro da acque inquinate, come se fosse un incantesimo. Quella magia ora è realtà, risultato di una collaborazione tra l’Enea e l’Università di Pavia. Benvenuti nel futuro, dove si sperimentano le chiavi per una Terra più pulita! Le particelle d’argento ultrafini (Ag-ufNP, d = 8 nm), con dimensioni inferiori ai 100 nanometri, sono ampiamente utilizzate nelle nanotecnologie per le loro notevoli capacità disinfettanti. Tuttavia, la loro diffusione, tramite il lavaggio di prodotti di uso comune, come vestiti, spazzolini da denti e dispositivi medici, solleva seri interrogativi sulla salute umana e l’Ambiente. Possono, difatti, persistere per lungo 50
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temp o , creando la necessità di sviluppare un modo efficace per eliminarle, come si può leggere nell’articolo pubblicato a maggio scorso sulla rivista scientifica “Molecules” dal titolo “Nanoparticle-Imprinted Silica Gel for the Size-Selective Capture of Silver Ultrafine Nanoparticles from Water” (https://doi.org/10.3390/ molecules28104026). Il team di ricerca formato da Piersandro Pallavicini, Luca Preti, Maria Lucia Protopapa,
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Ambiente
Daniela Carbone, Laura Capodieci, Yuri Antonio Diaz Fernandez, Chiara Milanese, Angelo Taglietti, e Lavinia Doveri ha pensato ad una soluzione che utilizza qualcosa noto per la sua innocuità e inerzia: la silice. Tramite una tecnica denominata nanoimprinting, hanno creato delle cavità con le stesse dimensioni delle nanoparticelle da rimuovere. Un solo grammo di silice nanoimpressa (la quantità contenuta in un piccolo dischetto) è in grado di rimuovere oltre quattro milligrammi di nanoparticelle d’argento, il che equivale a circa un milione di miliardi in meno. Questa scoperta apre la strada all’ampio utilizzo per eliminare diverse tipologie contaminanti, persino da acque reflue. «Grazie anche allo sfruttamento di particolari forze fisiche attrattive - conferma il professor Piersandro Pallavicini del Dipartimento di chimica dell’Università di Pavia e coordinatore della ricerca - le nanoparticelle entrano nelle cavità della silice di dimensioni corrispondenti. Quando hanno aderito ai frammenti molto più grandi, possono essere facilmente rimosse dall’acqua». Nel caso dell’AgNP, è stato dimostrato che sono disponibili metodi green poco costosi (Fe3+, O2/ cisteamina) per trasformarle rapidamente in Ag+ e prelevarle consentendo il recupero di un elemento così pregiato. Il sostegno tra i due enti statali è parte di un accordo più ampio con la Regione Lombardia, mirato a valorizzare il capitale umano
“Life Dream” vuole «Per questo studio - spiega Maria Lucia Protopapa, ricercatrice del laboratorio materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili del Centro ricerche Enea di Brindisi - ci siamo occupati principalmente della caratterizzazione dei monoliti di silice, prima e dopo la rimozione delle nanoparticelle. In particolare, abbiamo condotto analisi chimiche, termiche e morfologiche tramite la microscopia elettronica a scansione ad alta risoluzione e, soprattutto, analisi porosimetriche per ottenere informazioni sulle dimensioni e la numerosità dei pori presenti sulla superficie».
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Ambiente
e promuovere l’innovazione. Sono state finanziate diciannove borse con dottorati di ricerca triennali (2019-2022) e creati tre laboratori Enea, due presso il Parco Scientifico Tecnologico “Kilometro Rosso” e uno con l’Università di Brescia. Questi investimenti non solo hanno prodotto risultati scientifici, ma hanno anche fornito un contributo tangibile al progresso della ricerca e all’innovazione sul territorio. I ricercatori hanno testato il materiale su diversi campioni di acqua, tra cui quella del mare, dei fiumi e che esce dai nostri rubinetti. I risultati si sono dimostrati positivi in tutti i casi, pur con alcuni limiti. In presenza di altre sostanze inquinanti, come i composti organici, l’efficienza del materiale potrebbe essere ridotta e i test sono stati portati avanti per un periodo di tempo limitato, ma il lavoro continuerà nei prossimi anni. Guardando, difatti, al domani, si pensa già ad un impiego per migliorare la qualità della potabilità, proteggere l’ecosistema acquifero e ridurre l’esposizione umana agli contaminanti. La pubblicazione dimostra che conoscenza e innovazione possono affrontare con successo le sfide e offrire soluzioni. Viviamo in un’era in cui la tecnologia è al servizio della protezione ambientale, offrendo una speranza concreta per un Pianeta più pulito e sostenibile. Il percorso verso la preservazione della Natura e della salute umana può essere difficile, ma possiamo guardare avanti con ottimismo. Sebbene il lavoro presentato sia ancora da approfondire, le sue implicazioni sono immense e potranno essere una pietra miliare verso un presente in cui preserviamo habitat unici. (G. P.). Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Ambiente
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on la risalita dei prezzi in Italia più di due terzi delle famiglie (68%) stanno adottando strategie per affrontare l’impennata dei costi. I dati provengono da un’indagine Coldiretti in occasione della Giornata internazionale delle Nazioni Unite sulla consapevolezza degli sprechi e le perdite alimentari. L’inflazione legata al cibo, che in media si avvicina al 10% e supera il 40% per alcuni prodotti come lo zucchero, ha spinto i cittadini ad ingegnarsi e cercare modi per risparmiare. Questi metodi includono la ricerca dei prezzi più bassi, il “setacciare” negozi e supermercati a caccia di promozioni, la creazione di liste della spesa per evitare acquisti impulsivi e l’attenzione alle date di scadenza. Una delle principali tattiche per non far “piangere il portafoglio” è il recupero e il riutilizzo degli avanzi. Le ricette della nostra tradizione popola-
re, anche con ingredienti di base, come la pinsa veneta (dolce preparato, prevalentemente, in occasione dell’Epifania), la ribollita toscana (con verdure cotte due volte e pane raffermo, che affonda le proprie origini nel Medioevo), i canederli trentini (gnocchi realizzati con pane bianco raffermo, erba cipollina, uova, speck e cipolla (alla tirolese) oppure aggiunta di lucanica affumicata (alla trentina) e la campana frittata di pasta (cui aggiungere uova, formaggio, scamorza, salame o pancetta, olio e pepe), stanno diventando
CUCINA ITALIANA: IL CIBO PER VALORIZZARE L’ANTISPRECO Il costo della vita spinge gli italiani a riconsiderare le proprie abitudini alimentari, incrementando la tendenza a utilizzare gli avanzi o ingredienti di base
di Gianpaolo Palazzo 52
Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
sempre più popolari. Senza dimenticare la pizza rustica, per consumare le verdure, coprendole con una croccante sfoglia, la polenta, cibo che ha nutrito generazioni di italiani e può essere fritta, arricchendola, volendo, con pezzi di formaggio, oppure ancora il pesce azzurro con le varie preparazioni regionali come le “alici scottadito” con o senza pan grattato o le “sarde in saor” servite insieme alla cipolla. Discorso simile per le polpette di carne o pesce, impastate con uova, patate, sale, pangrattato e aromi, quindi cotte in un delizioso sugo o fritte con olio evo (extra vergine di oliva). La raccomandazione, poi, è non dimenticare di servirle con del buon pane casereccio per “la scarpetta” finale, una consuetudine imprescindibile, in modo da raccogliere, aiutandosi con la forchetta, il condimento rimasto. Quando avanza la pagnotta, si può preparare una classica panzanella, a base di pomodoro, olio, sale o una torta unendo la mollica a frutta secca, uva sultanina, componenti semplici e genuine, che rendevano l’appuntamento attorno alla tavola davvero speciale per i nostri nonni. Spesso questi e altri manicaretti vengono riproposti dai mass media proprio per la loro semplicità, sfruttando i consigli di cuochi e ristoranti di alto livello.
«Lo spreco alimentare è un problema drammatico dal punto di vista etico oltre che economico contro il quale Coldiretti spiega il Presidente, Ettore Prandini - è impegnata da anni in un’opera di sensibilizzazione dei consumatori attraverso il progetto dei mercati di “Campagna Amica” per il contenimento degli sprechi con la più grande rete delle fattorie e dei mercati a chilometri zero che riduce le distanze ed i tempi di trasporto».
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Ambiente
Anche la frutta in eccesso può essere reinventata, magari caramellandola per un dessert, trasformata in marmellata o in macedonia per una colazione sana. Inoltre, la saggezza gastronomica insegna a servirsi di quanto spesso siamo portati a trascurare o a buttare. Ad esempio, l’acqua di bollitura delle verdure o di cottura della pasta, arricchita dagli amidi e dalle proteine del grano, può essere conservata in frigo e utilizzata come base per brodi, risotti, carne od ortaggi in padella. Tali pratiche non solo contribuiscono a ridurre lo sperpero, ma offrono anche pietanze gustose che celebrano la cucina italiana candidata a Patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. Il riutilizzo aiuta le famiglie a non dilapidare denari ed ha, per di più, un impatto positivo su economia, sostenibilità e Ambiente, riducendo il dispendio energetico e lo smaltimento dei rifiuti. Lo sciupio è crollato sistematicamente in otto Paesi del mondo tra i quali l’Italia, dove scende del 25% circa e si assesta su 469,4 grammi settimana per ogni cittadino -125,9 grammi rispetto alla rilevazione dell’estate 2022, secondo l’ultimo Rapporto di Waste Watcher International per campagna “Spreco Zero”, su monitoraggio Ipsos/Università di Bologna, dal quale emerge, però, che da noi la frutta fresca è quella più dilapidata (33%) davanti alle insalate (24%). I menu di recupero rappresentano un esempio di come si possano creare prelibatezze deliziose con quanto rimasto in dispensa, dimostrando che nulla dovrebbe andare perso. Le soluzioni sono una testimonianza dell’ingegnosità culinaria e dell’amore per un nutrimento buono, sano ed eco-sostenibile. Sperimentare con queste preparazioni può non solo arricchire la tavola, ma anche contribuire a un mondo più equilibrato. Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Innovazione
STOP AI PESTICIDI CON GLI ULTRAVIOLETTI La tecnologia, realizzata da Enea, consente anche di aumentare il valore nutraceutico e freschezza di frutta e verdura di Pasquale Santilio
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ell’ambito del progetto di ricerca “Ormesi”, che prevede la progettazione di un piccolo robot a controllo remoto per irraggiare frutta e verdura in modo da “stimolarne” le difese e rafforzarne la resistenza ai patogeni, Enea punta a trattare frutta e verdura con raggi ultravioletti per ridurre del 50% la quantità di pesticidi e incrementare il valore nutraceutico e la freschezza. I primi test condotti su basilico, mele e limoni trattati con raggi UV-C hanno rivelato una migliore reazione di piante e frutti ai comuni patogeni che causano le muffe, aprendo la 54
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strada ad applicazioni in serra e su colture estese. Paolo Di Lazzaro, del Laboratorio Enea di Applicazioni dei plasmi ed esperimenti interdisciplinari, che cura la ricerca insieme ai colleghi di laboratorio Daniele Murra e Sarah Bollanti e alle altre due ricercatrici Antonia Lai e Loretta Bacchetta, ha spiegato: «In laboratorio abbiamo dimostrato che un’opportuna dose di luce ultravioletta UV-C irraggiata su piante e frutti determina una maggiore resistenza ai patogeni e alle malattie pre e post raccolta. In pratica, la luce ultravioletta crea uno stress positivo a cui la pianta
reagisce con la produzione di particolari metaboliti, che per analogia e semplicità potremmo definire anticorpi in grado di aumentare le difese naturali e quindi la resistenza ai patogeni delle piante stesse». I ricercatori hanno pensato di equipaggiare e dotare il piccolo robot anche con sensori ottici in grado di riconoscere selettivamente le zone della pianta che necessitano del trattamento. A tal proposito, Paolo Di Lazzaro ha aggiunto: «La realizzazione di un sistema hi-tech come questo consentirebbe di trasferire rapidamente la tecnologia alle PMI che costruiscono, ad esempio, trattori e droni per l’irrigazione e il trattamento fitosanitario». «Si tratta di un’alternativa veloce, efficace e sostenibile all’uso di pesticidi e fitofarmaci che permette di proteggere le colture dall’aggressione di virus, funghi e batteri e di preservare integrità, freschezza e proprietà nutrizionali di frutta e verdura. Inoltre, l’impiego di questa tecnica permetterebbe di abbattere l’inquinamento di suolo, acqua e aria, oltre a ridurre il rischio per la salute di agricoltori e consumatori che troverebbero meno pesticidi residui nei cibi e nelle bevande», ha sottolineato la ricercatrice Enea Loretta Bacchetta. L’irraggiamento UV-C di frutta e verdura produce un aumento del contenuto di antociani, flavonoidi, con conseguente incremento del valore nutraceutico, mentre agisce sulle poliammine che inibiscono la maturazione, con un impatto positivo sulla commercializzazione per l’aumento della durata dei prodotti. Antonia Lai ha dichiarato: «I primi risultati incoraggiano ulteriori studi per l’applicazione dei raggi UV-C mirata a regolare il processo di maturazione dei prodotti ortofrutticoli con trattamenti pre-raccolta, tenendo conto sia della praticità e della convenienza economica, sia dell’aumentata componente nutraceutica».
Innovazione
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e particelle ultrafini d’argento, di dimensioni inferiori a 100 nanometri, hanno proprietà disinfettanti che le rendono uno dei prodotti più utilizzati nelle nanotecnologie, con una produzione annua che si aggira attorno alle 500 tonnellate. Sono utilizzate in dispositivi medico-sanitari, elettrodomestici, mobili, spazzolini da denti e abiti, il cui uso, lavaggio e smaltimento ne comporta la dispersione in acqua, dove possono resistere intatte per molti giorni. Il nuovo materiale in grado di rimuovere le nanoparticelle d’argento dall’acqua si basa su un composto innocuo e inerte con cui si fa il vetro, cioè la silice, che viene trattata con una tecnica, cosiddetta di nanoimprinting, che permette di ottenere cavità delle stesse dimensioni delle nanoparticelle d’argento da rimuovere dall’acqua. I risultati di questa innovativa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Molecules. Maria Lucia Protopapa, ricercatrice del Laboratorio Materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili del Centro Ricerche Enea di Brindisi, ha spiegato: «Per questo studio ci siamo occupati principalmente della caratterizzazione dei monoliti di silice, prima e dopo la rimozione delle nanoparticelle. In particolare, abbiamo condotto analisi chimiche, termiche e morfologiche tramite la microspia elettronica a scansione ad alta risoluzione e, soprattutto, analisi porosimetriche per ottenere informazioni sulle dimensioni e la numerosità dei pori presenti sulla superficie della silice». «Grazie anche allo sfruttamento di particolari forze fisiche attrattive, le nanoparticelle entrano nelle cavità della silice di dimensioni corrispondenti. Quando hanno aderito ai frammenti di silice molto più grandi, possono essere facilmente rimosse dall’acqua», ha dichiarato il professor Piersandro Pallavicini del Dipar-
LA SILICE CATTURA INQUINANTI NELL’ACQUA Un nuovo materiale cattura nanoparticelle d’argento disperse in acqua. I risultati della ricerca sulla rivista Molecules
timento di Chimica dell’Università di Pavia e coordinatore della ricerca. Dai test di laboratorio è emerso che questo materiale è in grado di catturare efficacemente le nanoparticelle d’argento dalle acque: un grammo di silice nanoimprinted (la quantità contenuta in un dischetto di silice di 3 centimetri di diametro e mezzo centimetro di spessore) può rimuovere oltre 4 milligrammi di nanoparticelle d’argento che significa circa un milione di miliardi di nanoparticelle. Quindi, l’uso di silice con l’impronta di nanoparticelle potrebbe essere impiegato su larga scala per recuperare altri
tipi di nanoparticelle, anche da acque reflue inquinate. La collaborazione con l’Università di Pavia si inserisce in un più ampio accordo tra Enea e Regione Lombardia per la valorizzazione del capitale umano, con ricadute dirette sul sistema della ricerca, dell’innovazione e sul territorio. Tale accordo ha consentito il finanziamento da parte della Regione Lombardia di 19 borse di dottorato di ricerca triennali (2019-2022) e la realizzazione di tre laboratori Enea in Lombardia, due presso il Parco Scientifico Tecnologico “Kilometro Rosso” e uno presso l’Università di Brescia. (P. S.). Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Innovazione
NUOVE BATTERIE PER LA MOBILITÀ ELETTRICA Calcio-ione in alternativa al litio-ione per la mobilità elettrica e per lo stoccaggio di energia nelle smart grid
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ell’ambito del progetto denominato Actea, condotto da Enea e l’Università Sapienza di Roma, saranno messe a punto nuove batterie calcio-ione per applicazioni nella mobilità elettrica. Il team di ricercatori si propone di sviluppare sistemi di accumulo elettrochimico di nuova generazione caratterizzati da bassi costi di produzione e standard sempre più elevati di efficienza, sostenibilità e sicurezza, aprendo la strada a una nuova filiera industriale lungo l’intero ciclo del valore, dalla produzione di materie pri56
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me al riciclo di componenti esausti a fine vita. Laura Silvestri, ricercatrice del Laboratorio Accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’idrogeno del Dipartimento tecnologie energetiche e fonti rinnovabili dell’Enea, ha spiegato: «La tecnologia calcio-ione è ancora ai primi stadi di sviluppo e l’obiettivo è quello di contribuire a una migliore comprensione del suo funzionamento anche se, in linea di principio, i processi elettrochimici che stanno alla base sono analoghi a quelli delle batterie litio-ione dove, però, il calcio sostitui-
sce il litio nel ruolo di shuttle, ossia di portatore della carica elettrica». Il progetto si muove in ambiti che possiamo definire inesplorati, ma i vantaggi chiave sono già ben chiari: l’utilizzo del calcio è un’opzione promettente per migliorare le densità energetiche delle batterie riducendo al contempo i costi di produzione grazie al basso costo della materia prima e, soprattutto, alla sua abbondanza sulla crosta terrestre. La ricercatrice ha aggiunto: «Attraverso lo sviluppo di tecnologie di accumulo elettrochimico calcio-ione sarà possibile risolvere le principali criticità legate all’approvvigionamento, alla sicurezza e ai costi di produzione. Non solo: si disporrà di un’alternativa ecosostenibile ai sistemi litio-ione, una tecnologia di accumulo matura che ha quasi raggiunto il limite teorico delle sue prestazioni». La metodologia progettuale Actea si focalizza sullo sviluppo di processi e materiali con un ridotto impatto ambientale e sull’impiego di elementi molto comuni quali il ferro, il silicio o il titanio (oltre al calcio), attraverso la minimizzazione dell’uso di materie prime tossiche e critiche come, ad esempio, il cobalto e il litio. Giulia Monteleone, responsabile della Divisione Enea di Produzione, storage e utilizzo dell’energia del Dipartimento tecnologie energetiche e fonti rinnovabili dell’Enea, ha concluso: «Questa strategia potrebbe declinare in modo innovativo e sostenibile lo scenario di una transizione da un paradigma tecnologico ad alto impatto ambientale (batterie litio-ione) ad uno nuovo, certamente, più green (batterie calcio-ione). Inoltre, attraverso l’introduzione del calcio e dei materiali ad esso correlati nella catena del valore delle batterie si aprirebbe un nuovo mercato per tutti i produttori di materie prime tradizionali quali il carbonato di calcio e l’ossido di calcio, che sono ampiamente utilizzati sia in edilizia, sia nei pigmenti». (P. S.).
Innovazione
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l bergamotto è un agrume mediterraneo tipico della Calabria che viene raccolto da novembre a febbraio; si caratterizza per una ricca composizione di molecole bioattive, come i flavonoidi che rappresentano una vasta gamma di potenti antiossidanti presenti in abbondanza nel frutto intero. L’estratto utilizzato per la ricerca condotta da Enea in collaborazione con l’azienda nutraceutica italiana Esserre Pharma, è ottenuto dalla lavorazione di diverse parti del frutto sottoposte a un processo di separazione dell’olio essenziale, che invece è destinato alle industrie cosmetiche e alimentari. Alcune molecole del bergamotto sono in grado di ridurre nel sangue i livelli del colesterolo LDL, quello cosiddetto “cattivo”, e dei trigliceridi. La ricerca è stata sviluppata prima in laboratorio (in vitro) e poi su un campione di 50 persone (in vivo). Barbara Benassi, responsabile del Laboratorio Enea di Salute e ambiente e coautrice della ricerca insieme alla collega Maria Pierdomenico e a Costanza Riccioni di Esserre Pharma, ha spiegato: «In laboratorio abbiamo sottoposto cellule di fegato umano a trattamenti differenziati per durata (4 e 24 ore) e per quantità di estratto naturale somministrato. È stata riscontrata una diminuzione del contenuto intracellulare di colesterolo e trigliceridi e, soprattutto, l’inibizione dell’espressione dei geni correlati alla sintesi lipidica, cioè del grasso». Concluse le attività di laboratorio, il team di ricercatori ha avviato uno studio clinico, in collaborazione con il prof. Arrigo Cicero dell’Università di Bologna, che ha visto coinvolti 50 soggetti sani di età compresa tra i 18 e i 70 anni e con un livello di colesterolo nel sangue moderatamente alto (tra 115 e 190 mg/DI). Sotto controllo medico, il campione è stato sottoposto a un trattamento a base di estratto di bergamotto che ha dato risultati molto promettenti: dalle
IL BERGAMOTTO CONTRO IL COLESTEROLO Molecole del bergamotto possono ridurre i livelli di colesterolo LDL. I risultati sulla rivista Phytotherapy Research
analisi è emerso un aumento del colesterolo “buono” HDL (+5%), una significativa riduzione del colesterolo “cattivo” LDL (circa -8%) e dei trigliceridi (circa -13%) e un’azione ipoglicemizzante (circa -3,4% della glicemia a digiuno). «Questi risultati aprono la strada, ad esempio, all’utilizzo dell’estratto di bergamotto su quei pazienti che manifestano effetti collaterali derivati da farmaci e che scelgono un approccio nutraceutico per il trattamento della dislipidemia, un disturbo che altera i livelli di grassi nel sangue aumentando il rischio di malattie car-
diovascolari e altre complicazioni», ha sottolineato la ricercatrice Barbara Benassi. Costanza Riccioni, responsabile Ricerca e Sviluppo di Esserre Pharma, ha concluso: «Dopo il frutto del melograno, stavolta abbiamo svolto un attento lavoro di ricerca con il Laboratorio Enea Salute e Ambiente per valutare l’attività biologica degli estratti mediterranei del bergamotto. Troppo a lungo questo frutto è stato sottovalutato ma è in realtà un piccolo tesoro a livello scientifico, ricco di flavonoidi, validi alleati del benessere cardio metabolico». (P. S.). Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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Beni culturali
GIORNATE D’AUTUNNO DEL FAI, TESORI NASCOSTI DELL’ITALIA PIÙ VERA Enorme successo e ottime risposte per il tradizionale appuntamento d’ottobre Apprezzati, in particolare, luoghi, siti e itinerari estranei ai grandi percorsi turistici di Rino Dazzo
Villa Pecori Giraldi-Chini Museo, Borgo San Lorenzo, Firenze.
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© Fonte: Fai
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n esercito di 340mila visitatori, il più numeroso di sempre: successo enorme per le Giornate d’Autunno del FAI, il tradizionale appuntamento organizzato dal Fondo Ambiente Italiano, giunto alla sua dodicesima edizione. Sabato 14 e domenica 15 ottobre si è rinnovata la possibilità offerta a tutti, iscritti e non, di accedere liberamente a 700 luoghi aperti in 350 città di tutta Italia. Un viaggio straordinario tra castelli, chiese, palazzi storici, aree archeologiche, botteghe, orti, giardini e non solo. Luoghi in buona parte poco conosciuti, insoliti, spesso estranei ai grandi circuiti turistici, scarsamente valorizzati ma non per questo meno interessanti. Anzi, in molti casi è proprio la lontananza di molti di questi luoghi dal mainstream promozionale ad aver mantenuto il più possibile inalterata la loro anima, la loro essenza più pura. Qualche esempio? Villa Ita a Matera, una residenza privata realizzata negli anni Trenta e aperta per la prima volta al pubblico, con la meraviglia del suo eccentrico giardino dei Carrubi,
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Beni culturali
pieno zeppo di piante autoctone perfettamente integrate nel florido paesaggio lucano. O ancora Villa Caviciana, che sorge nel cuore di una tenuta agricola comprendente 144 ettari di colline, campi e boschi a Gradoli, in provincia di Viterbo. Affacciata sul Lago di Bolsena, con vista privilegiata sull’Isola Bisentina, la villa ha la sua peculiarità nella cantina scavata nel tufo, unica nel suo genere, dove è possibile assaggiare vini biologici prodotti negli attigui vigneti. Molto apprezzate anche le visite ad antiche botteghe o stabilimenti produttivi, col fascino di macchinari dal sapore retrò ma in molti casi ancora perfettamente funzionanti. È il caso delle Grafiche Tassotti a San Lazzaro, presso Bassano del Grappa, famosa stamperia che ha sede in un capannone degli anni Cinquanta dove, tra volantini e grafiche, sono custoditi preziosi disegni d’epoca dei Remondini, i più grandi stampatori bassanesi dei secoli scorsi. Oppure la Corderia di Castellammare di Stabia, il più antico stabilimento di produzione e commercio dei cordami per navi d’Europa, sorto in epoca borbonica e attuale fornitore della Marina francese, oltre che delle navi scuola della Marina italiana, tra cui la celeberrima Amerigo Vespucci. Spostandoci in città, a Milano in tantissimi hanno approfittato dell’opportunità di poter visitare in via eccezionale il Palazzo della Banca d’Italia, classico esempio di stile eclettico che racchiude motivi classicheggianti (le gigantesche colonne ioniche all’ingresso sormontate da quattro cariatidi), riverberi Liberty (le vetrate dello Scalone d’Onore) e l’aspetto monumentale, garantito dall’imponente cancello d’ingresso in bronzo, ferro battuto e marmi. A Roma per la prima volta ha aperto le sue porte ai cittadini la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, uno degli istituti più importanti del paese. Particolarmente interessante il cortile, che contiene un elegante villino ispirato al barocchetto romano oltre che la sede degli autisti, piccolo edificio di stampo quattrocentesco. 60
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Palazzo Banca d’Italia, Milano.
Uno dei nuovi tesori di Napoli è il Complesso di San Giovanni, parco urbano di proprietà della Federico II situato nell’area est, dove una volta c’era la sede della Cirio: adesso comprende laboratori, un polo tecnologico e la Developer Academy Apple, inaugurata nel 2016, mentre a Torino in tanti hanno avuto l’opportunità di mettere piede a Palazzo Civico, sede del municipio, con le sue Sale Auliche, il Cortile d’Onore e le raffinate conformazioni in stile barocco frutto del restyling dell’architetto Francesco Lanfranchi. A Genova porte aperte per il Teatro Gustavo Modena a Sampierdarena. Realizzato nel 1856, poco prima del completamento dell’Unità d’Italia, è uno dei pochi teatri esistenti ad avere ancora in uso l’originale graticcia ottocentesca, quella particolare struttura in legno che muove il sipario e i vari oggetti di scena. E ancora Bologna col tour al Collegio Venturoli, culla della florida scuola artistica e architettonica bolognese del XIX e del XX secolo, oppure Palermo con la possibilità di ammirare il frutto della riqualificazione del Chiostro di San Giovanni degli Eremiti, straordinario esempio di architettura arabo-normanna. Non lontano da Firenze, a Borgo San Lorenzo, è stata presa d’assalto Villa Pecori Giraldi, storica dimora del XV secolo sede del Chini Museo e del Chini Contemporary, dove sono esposte le opere di Galileo Chini, il maestro della rivalutazione delle arti applicate. Ma non solo. Le Giornate FAI d’Autunno del 2023 hanno coinvolto per la prima volta in modo diretto il mondo dello sport, con le visite guidate al PalaPanini di Modena, una delle culle mondiali della pallavolo, il luogo dove è cominciata la fantastica epopea della Panini Modena di Julio Velasco e, più in generale, dove è cresciuta la «Generazione di fenomeni» del volley italiano. Pienamente visitabili il corridoio dell’area tecnica, gli spogliatoi, la nuova sala hospitality ricca di trofei e gli spazi della mostra dedicata alla storia della pallavolo modenese.
Beni culturali
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al 14 ottobre 2023 al 14 gennaio 2024 è esposta al Palazzo Chigi di Ariccia la prima versione della famosa composizione del Caravaggio raffigurante la Presa di Cristo. Sulla tela è rappresentata la cattura di Cristo nell’orto del Getsemani dopo il tradimento di Giuda, vicenda tratta dal racconto biblico della Passione. È una delle composizioni più ricche di pathos dell’attività romana di Caravaggio, riconducibile al 1602. Quest’opera potrà finalmente essere ammirata dopo più di 70 anni. L’ultima volta fu esibita alla Mostra del Caravaggio e dei caravaggeschi, allestita da Roberto Longhi nel 1951, il quale aveva riunito al Palazzo Reale di Milano molti lavori di Caravaggio, per mettere in evidenza l’importanza dell’artista nell’arte secentesca. In quel momento, però, l’opera mostrava segni di sporco e varie ridipinture, è infatti stata soggetta a un’operazione di restauro, che l’ha riportata alla sua forma originaria. Inoltre i numerosi studi diagnostici ne hanno confermato l’autografia, poiché hanno evidenziato cambiamenti e pentimenti da parte dell’autore. Secondo i curatori, queste prove «ne avvalorano l’assoluta autografia, confermata per la sua qualità molto alta da autorevoli studiosi sin dalla sua ricomparsa nel 2003. Proprio per la sua eccezionalità, il quadro è stato notificato dallo Stato italiano con decreto del 2 dicembre 2004 del ministro dei Beni culturali come opere di particolare interesse per la Nazione». Quando il quadro fu trovato nel 1943 da Longhi in collezione Ruffo di Calabria, si pensava che fosse semplicemente la miglior copia del dipinto originale perduto, il quale era stato segnalato in Collezione Mattei: il committente Ciriaco Mattei pagò l’opera di Caravaggio nel 1603, completata però l’anno prima. Il dipinto fu poi acquistato nel 2003 dall’antiquario Mario Bigetti e fu ricondot-
“Presa di Cristo“ di Caravaggio.
IN MOSTRA LA “PRESA DI CRISTO” DI CARAVAGGIO È finalmente visibile l’opera di Caravaggio che sarà esposta a Palazzo Chigi ad Ariccia (Roma) fino a gennaio 2024 di Eleonora Caruso to, dopo il lungo lavoro di restauro, proprio all’originale della collezione Mattei. Un’ipotetica seconda versione autografa fu trovata nel 1993 da Sergio Benedetti nel convento di Sant’Ignazio dei Gesuiti di Dublino, ma oggi quell’ipotesi è stata smentita. Si tratta invece di una replica del quadro protagonista della mostra, ora situata nei depositi della National Gallery of Ireland. Discussa è poi la paternità della replica conservata a Odessa, restaurata nel 2019. La mostra, curata da Francesco Petrucci, offre una ricostruzione della difficile storia di quest’opera
e delle sue testimonianze pittoriche, passando, come lo stesso Petrucci spiega, «dalla collezione Mattei alla collezione Colonna di Stigliano, a quella Ruffo di Calabria». È presente un’immagine ideale dell’atelier di Caravaggio, con le testimonianze storiche di Bellori e Mancini. I visitatori possono poi esaminare pannelli che mostrano la radiografia e la riflettografia dell’opera, insieme a una riproduzione della versione di Dublino. In mostra anche la Presa di Cristo del Cavalier d’Arpino e una versione della Baruffa di Bruttobuono di Francesco Villamena. Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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QUANDO I PORTIERI FANNO GOL
La clamorosa rete del pareggio segnata da Provedel della Lazio in Champions League ha ricordato imprese del passato di Antonino Palumbo 62
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n cross al bacio dalla fascia, l’inserimento nel cuore dell’area tra difensori e portiere, lo stacco di testa che non lascia scampo all’estremo difensore. Un’azione da gol quasi iconica del gioco del calcio, che assume però contorni straordinari quando il finalizzatore diventa chi solitamente le reti deve evitarle. Quando i portieri fanno gol, il calcio diventa magia. Se poi succede all’ultimo assalto, tramutando la tristezza per la sconfitta in un pa-
© Raffaele Conti 88/shutterstock.com
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reggio, l’esaltazione va ben oltre il punticino aggiunto alla classifica del campionato o di un girone. Lo sanno bene i tifosi della Lazio, che hanno strabuzzato gli occhi di fronte alla prodezza del loro portiere Ivan Provedel, nella partita di Champions League con l’Atletico Madrid. Il giocatore col numero 94, al minuto 94 (e 19 secondi), in quell’area di rigore che di solito popola per evitare reti altrui, si è inserito con movenze da centravanti per deviare alle spalle di Oblak un cross
L’estremo difensore della Lazio, Ivan Provedel, nell’azione in cui ha segnato di testa il gol del pareggio nel match di Champions League contro l’Atletico Madrid.
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pennellato dal Luis Alberto, detto neanche a farlo apposta “Il Mago”. Telecronisti impazziti, in tutte le lingue del mondo: dal “Provedel le provvidenciel” dei francesi a Ivan “El terrible” di un commentatore spagnolo, fino al “Mamma mia!” ripetuto più volte da un telecronista arabo. Provedel, 29enne di Pordenone, non è nuovo a questo tipo di prodezze: aveva già segnato all’Ascoli, in Serie B, nel febbraio del 2020, regalando alla Juve Stabia il punto del 2-2. Alto un metro e 94 centimetri, trascorsi da attaccante, da buon portiere Provedel è anche un acuto osservatore. Conosce i movimenti dei compagni e il loro modo di calciare. E quando ha visto Luis Alberto calibrare quel cross, al minuto 94 e 18 secondi, ha intuito subito dove andare. “Posso dire di aver studiato Immobile: Luis Alberto da lì di solito batte sul secondo palo, io mi sono buttato lì e ho segnato” ha commentato dopo la partita. Quello di Provedel è il sesto gol segnato da un portiere nella Uefa Champions League. Il capocannoniere di questa classifica è HansJorg Butt che ha segnato per tre volte, sempre su rigore, contro la Juventus ma con tre maglie diverse: nella stagione 2000-2001 giocava nell’Amburgo (finì 4-4), nel 2001-2002 nel Bayern Leverkusen (che vinse 3-1), nel 20092010 nel Bayern Monaco (4-1 per i tedeschi a Torino). Di testa, nella stessa edizione, aveva trovato il gol Sinan Bolat in Standard Liegi-Az Alkmaar, mentre due anni più tardi Vincent Enyeama, su rigore, era stato l’ultimo portiere in gol in Champions League prima del capolavoro di Provedel. Ma c’è un mondo oltre la Champions League e sono diversi i portieri a essersi ritagliati una giornata da goleador. C’è chi l’ha fatto con un lungo rinvio dalla propria trequarti avanzata, come Juan Carlos in Lugo-Sporting Gijon, match di seconda divisione nazionale, e magari sorprendendo il “collega” avversario uscito inopinatamente di porta per l’ultimo assalto, come l’argentino Matias Dituro in Bolivar-San Josè. C’è 64
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Michelangelo Rampulla. Il primo portiere a segnare una rete in Serie A, però, è stato Michelangelo Rampulla, quando giocava tra i pali della Cremonese. Il 22 febbraio 1992 si spinse nell’area dell’Atalanta, che conduceva il match grazie a un gol di Bianchezi su rigore, trovando l’1-1 sui titoli di coda del match.
chi ha segnato addirittura di tacco, sempre rigorosamente nei minuti conclusivi, come il danese Martin Hansen, cognome da fiaba e passato avaro di grandi soddisfazioni, fino a quella sera del 2015, quando ha trasformato una punizione calciata maluccio dalla destra nel gol del pareggio del suo Den Haag contro il quotato Psv, nel campionato olandese. Chi l’ha fatto con una zampata come Francesco Toldo, nel “derby d’Italia” Inter-Juventus e chi – come Provedel - con un perfetto stacco di testa da centravanti, come Peter Schmeichel (altro danese) in Manchester United – Rotor Volgograd nella Coppa Uefa 1995-1996 e come quell’Alberto Brignoli che regalò al Benevento il primo storico punto in Serie A, trovando al 95’ la rete del 2-2 contro il Milan di Gattuso. E, prima ancora, come Massimo Taibi in un Reggina-Udinese, l’1 aprile 2001. Allo stadio Granillo di Reggio Calabria, i friulini erano andati in vantaggio con Alberto al 32’ della ripresa, ma ci pensò lo statuario portiere amaranto a pareggiare i conti con una sontuosa incornata su angolo dalla sinistra di Memede. Il primo portiere a segnare una rete in Serie A, però, è stato Michelangelo Rampulla, quando giocava tra i pali (non sempre, evidentemente!) della Cremonese. Il 22 febbraio 1992 si spinse nell’area dell’Atalanta, che conduceva il match grazie a un gol di Bianchezi su rigore, trovando l’1-1 sui titoli di coda del match. “Penso che sia il sogno di tutti i portieri: andare in attacco e far gol” commentò, dopo aver ricevuto gli applausi anche dei tifosi bergamaschi. L’ultima storia di portieri in gol arriva invece dalla Francia. Ed è la classica giornata da incorniciare, di quelle che non vorresti mai far finire. Protagonista: Anthony Beuve, calciatore dell’Avranches, terza serie francese. Nella sfida con il Grand Ouest FC ha prima parato un rigore, battuto da un avversario con un maldestro cucchiaio, poi all’ultima azione si è avventurato nell’area avversaria su un calcio di punizione e ha trovato di testa il gol del definitivo pareggio.
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ue talentuosi interpreti del kiteboarding, un sogno olimpico da inseguire e, al contempo, un solo posto-nazione disponibile per andare a Parigi 2024. Ma la rivalità può essere humus per crescere, spronarsi, migliorarsi a vicenda. È così che Riccardo Pianosi, 18 anni, pesarese, e Lorenzo Boschetti, 23enne di Cesenatico, stanno veleggiando verso i prossimi Giochi olimpici. Ne resterà uno solo, sportivamente parlando. Il pass non nominale lo ha conquistato Riccardo, a coronamento di una grande stagione. Eppure Lorenzo proverà fino alla fine a mettere in difficoltà chi dovrà prendere la decisione definitiva. Il 2023 di Pianosi, risalito al numero 2 del ranking mondiale di Formula Kite (la classe olimpica che debutterà a Parigi), è stato costellato di successi e piazzamenti prestigiosi. Il primo è stato l’oro agli Europei Under 21 di Torregrande, in Sardegna, seguito dal terzo posto ai Mondiali U21 di Gizzeria (Calabria) dietro Max Maeder e Qibin Huang e dal quinto posto ai Mondiali assoluti di Den Haag, nei Paesi Bassi. Poi il capolavoro agli Europei di Portsmouth, dove “Re Riccardo” si è messo sul capo la corona continentale. Al Sardinia Grand Slam di Cagliari, seconda prova della KiteFoil World Series, è andata meno bene di quanto sperato: «Oltre a essere una gara cui tengo molto, il Sardinia Grand Slam era un’occasione importante anche sotto il profilo dello sviluppo, potendo utilizzare anche materiali non registrati. Mi aspettavo qualcosa di meglio, ma ho visto che dal primo giorno ero più lento. Capita». Riccardo, comunque, ha già superato la delusione e guarda alla volata olimpica con il compagno d’azzurro Boschetti: «I prossimi saranno mesi di selezione, la decisione arriverà a inizio primavera. Fuori dall’acqua cerchiamo di essere più amici possibile, in acqua siamo due rivali che si stanno giocando il pass per le Olimpiadi».
Lorenzo Boschetti (Credits: IKA Media).
KITEBOARDING AZZURRO MISSIONE OLIMPIADI Fra i big, ci sono i “compagni rivali” Pianosi e Boschetti che si contendono l’unico posto-nazione per Parigi 2024
A Cagliari è andato benissimo Lorenzo Boschetti, secondo dietro il 17enne campione del mondo Maximilian Maeder, cui ha reso dura la vita fino alla Gran Final. Un risultato che ha confermato il buon momento del romagnolo, già terzo agli Europei alle spalle di Pianosi e del francese Max Nocher. Ma per precedere Pianosi nella corsa al pass per Parigi servirà qualcosa in più: «L’anno della qualifica olimpica – ha raccontato Boschetti - è un importante e difficile. Per noi è la prima volta, sentiamo stress e pressione maggiori e noi vogliamo performare bene e ottenere risultati, vivendo possi-
bilmente questa esperienza in maniera positiva». Già numero 1 del ranking, risalito nell’ultimo aggiornamento dal sesto al quarto posto, Lorenzo racconta com’è evoluto il rapporto fra lui e Riccardo Pianosi e come potrebbe giovare a entrambi: «Riccardo non me la ‘lascia facile’, ma negli ultimi mesi il nostro rapporto è migliorato – conclude Boschetti - al netto della normale competizione per l’unico posto disponibile per Parigi 2024. Riusciamo a convivere bene e a migliorare assieme. E magari prima o poi riusciremo anche a trovare un modo per battere Maeder». (A. P.) Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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PER L’ITALIA DELLA PALLAVOLO SI ALLONTANANO LE OLIMPIADI DI PARIGI La nazionale maschile e quella femminile hanno mancato l’accesso ai Giochi del 2024 Ma possono tentare di rimediare conservando l’attuale ranking
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iente Olimpiadi per il volley italiano. Almeno per ora. Se l’oro nella massima rassegna sportiva è sempre stata sempre un tabù per la nostro pallavolo (tre argenti e tre bronzi per gli uomini, tre quinti posti per le donne), stavolta in ballo c’è addirittura la qualificazione per Parigi 2024, mancata dalle nostre due nazionali nei tornei preolimpici. A completare, peraltro, un’estate di delusioni o mezze delusioni sotto rete, considerato l’argento dolce-amaro all’Europeo maschile e il cocente quarto posto in quello femminile. Per accedere ai prossimi Giochi, sia i ragazzi sia le ragazze dovranno mantenere posizioni di rilievo nelle ranking della Fivb, la federazione internazionale. Sconfitta per 3-0 nella finale continentale di Roma dalla Polonia, che ha così “restituito” agli azzurri l’amarezza del Mondiale 2022 a Katowice, l’Italia ha poi mancato l’opportunità di qualificarsi subito ai Giochi 2024 al Preolimpico di Rio de Janeiro. A certificare la resa azzurra è stata la partita col Brasile, vinta per tre set a due dai padroni di casa, dopo che l’Italia era stata capace di invertire l’inerzia di un match (da 0-1 a 2-1) iniziato con il parziale di marca verdeoro. Dunque, l’Italia avrà il dovere di rimanere nelle posizione di vertice del ranking, per essere ammessa alle Olimpiadi, fugando il rischio di “eguagliare” la mancata qualificazione del 1964, 1968 e 1972. Ma come si calcola il ranking? Con un algoritmo che attribuisce un determinato punteg-
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gio ad ogni squadra al termine di ogni partita giocata. Chi vince una partita guadagna punti, chi perde se li vede detrarre, il tutto regolato da diversi fattori fra cui il ranking dell’avversario e il numero di set vinti o persi in quella determinata partita (un 3-0 dà un punteggio superiore rispetto a un 3-2). La classifica attuale sembra ridare il sorriso all’Italia, dopo le delusioni d’estate e d’inizio autunno. In campo maschile, i ragazzi di coach Fefè De Giorgi sono terzi con 342,43 punti alle spalle di Polonia e Stati Uniti e davanti a Giappone e Brasile, tutte e quattro già qualificate. Le avversarie più vicine all’Italia sono l’Argentina, che di punti ne ha 314,35, la Slovenia con 307,12 e la stessa Francia con 306,80, che però è ammessa di diritto alle Olimpiadi in qualità di Paese organizzatore. Molto più distanti dagli azzurri sono la Serbia (253,22), Cuba (236,96) che ci ha battuto al Preolimpico e poi, oggi virtualmente escluse da Parigi 2024, i Paesi Bassi (214,58) e la Turchia, che ha guadagnato due posizioni (210,73). Considerato che le qualificate dal ranking saranno cinque, la delusione per il risultato del Preolimpico lascia spazio a una moderata serenità, considerata la qualità della squadra e la solidità del movimento. L’Italia è pur sempre campione del mondo e al torneo di qualificazione ha pagato anche la stanchezza per una stagione molto lunga. Quanto alle donne, la sconfitta con la Polonia a Lodz nella fina-
le del Preolimpico è stata la triste chiusura di un 2023 pieno di problematiche e situazioni di difficile gestione. E ha portato all’interruzione del rapporto con coach Davide Mazzanti, a cinque anni dallo splendido argento mondiale conquistato dalle azzurre, a 16 anni dalla vittoria iridata del 2002. Una gestione, la sua, fatta di cadute e momenti esaltanti: da un lato il ko ai quarti ai Giochi di Rio 2021 e quello in semifinale col Brasile ai Mondiali 2022, dall’altro il successo all’Europeo 2021 e alla successiva Nations League, illusorio biglietto da visita per una rassegna iridata finita male. Anzi, peggio, viste le polemiche per le presunte frasi razziste all’indirizzo di Paola Egonu e per il suo annuncio del periodo di pausa dalla Nazionale. Nel cuore dell’ultima estate, a fare scalpore sono state le scelte di Mazzanti in vista dell’Europeo, in particolare le esclusioni dell’ex capitana Chirichella e del libero Monica De Gennaro (tra le migliori al mondo nel ruolo) e di Caterina Bosetti. Dentro Paola Egonu, impiegata però come riserva di Kate Antropova, fresca di cittadinanza italiana. Quarta all’Europeo, dopo
Paola Egonu.
Quarta all’Europeo, dopo l’eliminazione per mano della Turchia di Daniele Santarelli in semifinale, l’Italia femminile ha rinunciato anche a Egonu e ad Alessia Orro al Preolimpico in Polonia.
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Salute
l’eliminazione per mano della Turchia di Daniele Santarelli in semifinale, l’Italia ha rinunciato anche a Egonu e ad Alessia Orro al Preolimpico in Polonia. Dove ha mancato il pass per Parigi, a beneficio della Polonia (allenata da un altro italiano, Stefano Lavarini) e degli Stati Uniti, entrambe vittoriose sulle azzurre ed entrambe davanti a loro nella classifica della Pool C del torneo di qualificazione a Parigi 2024. Anche le ragazze, dunque, dovranno passare dal ranking, che le vede attualmente al quinto posto con 338 punti, precedute da Turchia, Stati Uniti, Brasile e Serbia, tutte nazionali che hanno timbrato il pass per Parigi 2024. Le altre due sono la Polonia e la Repubblica Dominicana, settima e ottava del ranking. L’Italia è tallonata dalla Cina (329,65) ma al momento può gestire un margine di sicurezza su Giappone (305,09), Paesi Bassi (287,94), Canada (265,66) e soprattutto Germania (228,38), prima delle escluse se il barrage fosse oggi. Per le Olimpiadi, dunque, non tutto è perduto, anzi. Ma quanti batticuori, nella pallavolo azzurra. (A. P.) Giornale dei Biologi | Set/ ott 2023
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Sport
Tadej Pogacar
CICLISMO, POGACAR SULLA SCIA DI... COPPI Lo sloveno ha conquistato per la terza volta di fila il “Lombardia” e nel 2024 punterà al poker, del Campionissimo
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ra chiamato “il Mondiale d’autunno” per ragioni di calendario, si corse anche durante la Prima guerra mondiale e dal 1960 fa parte delle cinque classiche cosiddette “Monumento”, assieme alla Milano-Sanremo, al Giro delle Fiandre, alla Parigi-Roubaix e alla Liegi-Bastogne-Liegi. È il Giro di Lombardia, ora ufficialmente “Il Lombardia”, la Classica delle foglie morte che segna l’inizio della stagione autunnale per gli amanti di ciclismo. Una corsa per campioni veri, che annovera fra i suoi plurivincitori Fausto Coppi (5 successi), Alfredo Bin68
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da (4), Costante Girardengo e Gino Bartali, olter a Henri Pélissier, Gaetano Belloni, Sean Kelly e Damiano Cunego. A questi si è aggiunto, negli ultimi anni e per tre edizioni consecutive, un fenomeno sloveno che si è sta affermando come uno dei ciclisti più completi della storia: Tadej Pogacar. 2021, 2022, 2023: da Como a Bergamo, poi viceversa, quindi nuovamente sul traguardo bergamasco, il più forte è stato sempre il 25enne dell’UAE Team Emirates. Rispetto ai due anni precedenti, in realtà, una novità c’è stata: stavolta ha tagliato il traguardo in solitaria, senza
nessun rivale a regalargli un ultimo, possibile grattacapo in vista dell’arrivo. Due anni fa, a Bergamo, Pogacar ci era arrivato in compagnia di un ottimo Fausto Masnada. Nel 2022 era toccato a Eric Mas provare a mandare all’aria i piani di “Pogi”. Lo scorso 7 ottobre nessuno ha potuto resistere alla stoccata decisiva, nella discesa del Passo di Ganda. Perché il campione di Komenda è tanto bravo in discesa, quanto in salita. Il capolavoro, poi, Tadej l’ha compiuto negli 11,5 km finali con i crampi a rischiare di compromettere un’altra grande impresa. Si è trattato del successo numero 63 in carriera e 17 in stagione per Pogacar, il cui palmares suscita ammirazione e invidia in tanto colleghi. Oltre ai tre Lombardia, Tadej può vantare due successi assoluti al Tour de France (2020, 2021), una Liegi-Bastogne-Liegi (2021), un Giro delle Fiandre (2023), due Tirreno-Adriatico (2021 e 2022), una Strade Bianche (nel 2022), due UAE Tour (nel 2021 e nel 2022), una Parigi-Nizza (nel 2023), un’Amstel Gold Race (nel 2023), una Freccia Vallone (nel 2023), un bronzo olimpico e uno ai Mondiali, entrambi nella gara in linea. L’ultimo ciclista capace di aggiudicarsi per tre volte il Giro di Lombardia era stato colui che l’ha vinto più di tutti: Fausto Coppi. In realtà, dei cinque successi in palmares, il Campionissimo ne ha conquistato quattro consecutivi, perché fu il migliore di tutti, ininterrottamente, sul traguardo di Milano dal 1946 al 1949. Dietro di lui si avvicendarono Luigi Casola, Gino Bartali, Adolfo Leoni e Ferdi Kubler, ma davanti c’era sempre lui. Ed è a Coppi che guarda ora Tadej Pogacar, uno che di errori ne commette – come tutti – ma che esalta gli amanti di questo sport, nelle corse a tappe come nelle classiche. Non a caso anche gli organizzatori del Giro d’Italia stanno facendo di tutto per averlo anche sulle strade della Corsa Rosa. In attesa del prossimo Lombardia e dell’assalto al poker del Campionissimo. (A. P.)
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Libri
NESSUNO CONOSCE LA SOSTANZA DI CUI SONO FATTI I SOGNI Lingiardi prova a spiegarla attraverso un viaggio per capire come mai “ogni notte accade un magnifico evento neurologico e psicologico” fuori dalla nostra volontà di Anna Lavinia
Vittorio Lingiardi “L’ombelico del sogno” Einaudi, 2023 – 12 euro
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osa c’è di più rivoluzionario, sincero e salvifico dei sogni? Mentre sogniamo ripariamo traumi, produciamo informazioni, ripercorriamo la memoria ma soprattutto siamo liberi. Senza costrizioni, senza confini e senza nemmeno volerlo, sogniamo. Questi naturali fenomeni psichici hanno portato ad un’enormità d’ispirazioni, la letteratura è piena di atti creativi silenti di giorno che di notte si accendono dando vita ad invenzioni incredibili. Dai resti dei sogni sono nate creazioni eccezionali come la tavola periodica degli elementi, un capolavoro della letteratura inglese quale Frankenstein e la celebre canzone Yesterday apparsa in sogno a Paul McCartney. Nel corso del tempo, illustri studiosi hanno spiegato come il nostro inconscio, dopo aver cercato invano di attirare la nostra attenzione durante la giornata, decide di manifestarsi autonomamente ed autenticamente nel cuore della notte. Nella vita onirica sono ribaltate completamente tutte le regole della natura umana: possiamo volare, andare avanti ed indietro nel tempo, incontrare persone morte e
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sentire la voce degli animali. Il sonno custodisce il sogno, il nostro ultimo spazio di libertà. A cosa servono e cosa rappresentano - direbbero gli psicologi - se la maggior parte delle volte al risveglio li dimentichiamo? Chi sono le persone sconosciute che talvolta li popolano? Scientificamente quali sono i circuiti neuronali coinvolti? Con un resoconto dettagliato, lo psichiatra e psicoanalista autore di questo viaggio onirico scandaglia studi, teorici e pazienti per riaffermare (se mai ce ne fosse bisogno) l’unicità e la preziosità dei nostri sogni. Anche Wilfred Bion, nelle Note sulla teoria della schizofrenia sottolinea come il sogno sia un imprescindibile garante della salute mentale. Se pensiamo però che i sogni siano una questione privata e individuale ci stiamo sbagliando, l’inconscio è anche un laboratorio collettivo. Gli incubi che l’intera società vive durante momenti difficili (guerre, lockdown, emergenze climatiche) si uniscono nei sogni del singolo e diventano un atto politico, un veicolo per creare dinamiche collettive. Così come Penelope, la più grande sognatrice dell’Odissea, ha chiesto aiuto a suo marito
Libri
Mya-Rose Craig “La mia famiglia ed altri volatili” Garzanti, 2023 - 19,00 euro A soli sei anni aveva già vinto il Big year, campionato informale che tutti i birdwatcher vorrebbero aggiudicarsi. A poco più di vent’anni, l’autrice attivista racconta in un dettagliato memoir di aver avvistato la metà delle oltre diecimila specie di uccelli viventi. Il giovane impegno per la natura che aiuta a sperare in un mondo migliore. (A. L.)
Sequoia Namagatsu “In alto nel buio” Neri Pozza, 2023 – 19,00 euro
– nelle vesti di mendicante – per l’interpretazione di un sogno, al risveglio il sognatore ha bisogno di un ascoltatore, qualcuno che lo aiuti ad interpretare la sua esperienza onirica. Dai sogni alla Smorfia il passo è breve. Lo è ancora di più se si pensa che a Napoli, le parole sonno e sogno s’incontrano in unico termine, suonno. Non sempre però se dormiamo sogniamo e viceversa, a volte sogniamo ad occhi aperti, senza dormire. È questa quella che curiosamente si definisce “la malattia dei sognatori” ovvero il maladaptive daydreaming. Un disturbo da fantasia compulsiva, in cui le persone sognano in modo intenso e vivido mentre sono svegli. Tutto sommato, conosciamo ancora ben poco dei sogni ma quel poco che sappiamo è che ci aiutano a vivere. A dirla con Lingiardi “ogni notte accade un magnifico evento neurologico e psicologico” fuori dalla nostra volontà: sogniamo. Prima però occorre dormire. Questa è un’altra questione, una battaglia da intraprendere quando si spegne la luce, solo allora il sognatore o la sognatrice incontreranno un’altra esperienza di sé. Chi incontreremo stanotte?
Esiste umanità nell’orrore? E bellezza nel disastro? Quando dal permafrost disciolto in Siberia emerge un virus preistorico, il mondo dovrà fare i conti con l’Apocalisse. Dalle pagine di fantascienza dello scrittore americano di origine giapponese, un romanzo di racconti indipendenti ma interconnessi che descrivono l’animo umano. (A. L.)
Stefano Erzegovesi “Un boccone alla volta” Mondadori, 2023 – 19,00 euro «I disturbi alimentari sono come un’escursione in montagna, per affrontarla bisogna essere ben equipaggiati, consapevoli di cosa si sta facendo e mai da soli». Dai pensieri ossessivi ai bocconi nel piatto, grazie alla sua lunga esperienza, lo psichiatra e nutrizionista stila una preziosa guida per affrontare anoressia, bulimia e Bing Eating. (A. L.)
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Concorsi
CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA ZERO DI PADOVA Scadenza, 2 novembre 2023 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo a tempo indeterminato e con rapporto esclusivo, disciplina di laboratorio di genetica medica, area della medicina diagnostica e dei servizi. Gazzetta Ufficiale n. 75 del 03-10-2023. UNIVERSITÀ DELL’AQUILA Scadenza, 9 novembre 2023 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di seconda fascia, settore concorsuale 06/A3 - Microbiologia e microbiologia clinica, per il Dipartimento di scienze cliniche applicate e biotecnologiche. Gazzetta Ufficiale n. 77 del 10-10-2023. OSPEDALE POLICLINICO SAN MARTINO – GENOVA Scadenza, 12 novembre 2023 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, area della medicina diagnostica e dei servizi, disciplina di patologia clinica, a tempo indeterminato, per la S.S. laboratorio cellule staminali e terapie cellulari, articolazione della U.O. Ematologia e terapie cellulari con rapporto di lavoro esclusivo. Gazzetta Ufficiale n. 78 del 13-10-2023. UNIVERSITÀ DI MILANO Scadenza, 24 novembre 2023 Procedura di selezione, per titoli e discussione pubblica, per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato in tenure track della durata di sei anni, settore concorsuale 05/D1 - Fisiologia, per il Dipartimento di scienze biomediche, chirurgiche e odontoiatriche. Gazzetta Ufficiale n. 81 del 24-10-2023.
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Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI SIENA Scadenza, 2 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del programma di ricerca “Coinvolgimento DELLA MAP CHINASI ERK8/MAPK15 nella proliferazione cellulare normale e neoplastica”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI TORINO Scadenza, 6 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del programma di ricerca “centro nazionale tecnologie dell’agricoltura (agritech) - spoke4”, piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), missione 4 “Istruzione e ricerca” componente 2 investimento 1.4 “potenziamento strutture di ricerca e creazione di “campioni nazionali di r&s” su alcune key enabling technologies”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOSCIENZE E BIORISORSE DI NAPOLI Scadenza, 6 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegno di ricerca post-dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del progetto di ricerca CA&BM intitolato “Interazioni tra anidrasi carboniche e metabolismo batterico: un’opportunità per la scoperta di nuovi
antibatterici”. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI PISA Scadenza, 14 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegni per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito del programma di ricerca Therminator (thermoablation of melanoma and mammary carcinoma with injected Nanoplarticles coupled to radiotherapy. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO SULL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO DI BARI Scadenza, 16 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegno per lo svolgimento di attività di ricerca nell’ambito dei programmi di ricerca “Monitoraggio forestale: incendi e ripresi in Alta Murgia”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE DELL’ATMOSFERA E DEL CLIMA DI LECCE Scadenza, 17 novembre 2023 Pubblica selezione per il conferimento di n° 1 assegni di ricerca per lo svolgimento di attività di ricerca di cui al progetto cir01_00015 - per-actrisit Potenziamento della componente italiana della Infrastruttura di Ricerca Aerosol, Clouds and Trace Gases Research Infrastructure - Rafforzamento del capitale umano. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.
LA VIOLENZA NON TI FARÀ STARE MEGLIO.
LORO SÌ. Gli operatori sanitari e socio-sanitari lavorano tutti i giorni per la tua salute. Aggredirli verbalmente e fisicamente è un reato e un atto di inciviltà che va contro il tuo stesso interesse e quello della collettività.
Campagna contro la violenza verso gli operatori sanitari e socio-sanitari
#laviolenzanoncura
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Scienze
LE PROTEINE DALLE “UOVA D’ORO” COTTURA E CONSERVAZIONE Vademecum del biologo Rudy Alexander Rossetto su come consumare le uova in sicurezza e in rapporto ai fabbisogni alimentari
di Rudy Alexander Rossetto*
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ggi parleremo di proteine. Saranno loro, infatti, le protagoniste di questo articolo. Stiamo parlando di “sostanze” che sempre più spesso trovano spazio nella dieta degli sportivi ma anche nella grande distribuzione, nelle pubblicità dei prodotti che ne contengono, solitamente pieni di claim che fanno riferimento alla quota proteica esaltandone proprietà e benefici. Perché sì. Fuor di metafora: nutrirsi significa mangiare cibo in quantità e qualità tali da soddisfare senso dell’appetito, gusto e possibilmente anche vista e olfatto. Però poi per “mangiare bene” occorre
Presidente dell’Ordine dei Biologi della Lombardia, nutrizionista, docente olimpico Coni Lombardia, chinesiologo, praparatore atletico ed esperto in biomeccanica sportiva, divulgatore scientifico, ricercatore rete EcoFoodFertility.
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realizzare un giusto equilibrio fra quantità, qualità, varietà degli alimenti e principi nutritivi da ingerire. Partiamo subito con una domanda: prima di consumare gli alimenti sappiamo davvero conservarli nel posto giusto? In altre parole: siamo in grado di trovare ad ogni alimento il proprio posto ideale? Eccovi qui nell’immagine un esempio di posizionamento corretto dei cibi all’interno del nostro frigorifero domestico. La disposizione del cibo nel frigorifero non va assolutamente sottovalutata. Infatti ogni alimento va riposto nel giusto ripiano. Questo perché la temperatura all’interno del frigo, si diversifica automaticamente in base alle varie zone, variando da quella meno fredda (in alto) a quella più fredda, man mano che si scende, con un passaggio che va-
Scienze
ria tra i 4/8 gradi nella zona centrale. Tornando alle proteine, argomento principale di questo servizio, sappiamo che…. • hanno principalmente una funzione strutturale, sono composte da aminoacidi (essenziali per la struttura di capelli, unghie, muscoli, tendini…); che quelle di origine animale (carne, pesce, uova, latte) e loro derivati e quelle di origine (vegetale legumi, tofu, ecc) sono formate “dall’unione” di aminoacidi, che forniscono al nostro corpo circa 4 kcal per grammo (tante quanti i carboidrati). Sappiamo inoltre che la digestione delle stesse inizia nello stomaco (pepsinogeno e acido cloridrico), viene poi completata nell’intestino (proteasi intestinali) e che, infine, i singoli aa vengono assorbiti e trasportati nel fegato. A proposito dei singoli aa, di essi sappiamo che possono: essere utilizzati come tali per svolgere funzioni particolari (risposta immunitaria, sintesi di ormoni, vitamine, trasmissione di impulsi nervosi...) partecipando alla sintesi proteica. Se presenti in eccesso, gli aa vengono utilizzati a scopi energetici e convertiti in grasso di deposito. Ancora, una piccola quantità di proteine non viene assorbita ed è eliminata attraverso le feci. Sappiamo inoltre che la quota di proteine dovrebbe essere: • 0,8 - 0,9 grammi / kg /die per una persona «non sportiva» • 1,4 -1,6 grammi / kg / die per chi pratica sport • ma si può arrivare anche arrivare a 2,0 / kg/ die per atleti agonisti élite (in alcuni periodi ed alcuni sport anche 2,2 /kg/die). Ed ora un’altra domanda: quanti grammi di proteine riusciamo ad assorbire in ogni singolo pasto? Ormai nel quotidiano la parola “proteina” è una tra le più comuni ed utilizzate, così come nello sport dove sovente si fa un gran parlare (oltre che un massiccio utilizzo) di questa sostanza. Ma tornando al quesito di cui sopra, la risposta che viene proposta, come se fosse legge (!), è di…30 grammi per volta. Questa come altre affermazioni è talmente generica che come si suol dire, i migliori professionisti della nutrizione “potrebbero”
anche…dare i numeri”!! Infatti sono talmente tante e troppe le variabili individuali che una cifra del genere, cosi come diversi studi hanno già evidenziato, si smentisce da sé. Da qui, quindi non vale il “mangio 1kg di carne perché fa massa” oppure “mangio solo e tante proteine”, quando poi magari se ne riescono ad assimilare sì e no dai 20 ai 35 grammi per pasto. In tutto questo ricordiamo l’affaticamento di organi ed apparati per affrontare la digestione di tali quantità di proteine in un unico pasto e concludere poi, ovviamente, con i danni che recano le diete iperproteiche. Altra domanda: ma le proteine sono tutte uguali? Conosciamo, in base alla derivazione, quali sono le proprietà organolettiche e caratteristiche delle principali fonti proteiche? Vi ho preparato una tabella riassuntiva.
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Definizioni: Protein Ratio Efficent UTILIZZAZIONE PROTEICA NETTA (NPU): rappresenta la quota di azoto ingerito che viene trattenuto dall’organismo e della digestione delle proteine. Il valore biologico (VB) è un parametro di valutazione delle proteine plastiche introdotte nell’organismo con l’alimentazione. Questo indice si riferisce alla quantità, alla qualità ed al rapporto reciproco degli amminoacidi essenziali presenti nei peptidi alimentari. In definitiva, il valore biologico è un aspetto nutrizionale che descrive la “qualità proteica ed il potenziale plastico degli amminoacidi contenuti negli alimenti”. Net Protein Utilization, o Tasso di efficienza delle proteine (PER): «PER» ... chi è affezionato veda il «VB» valore biologico. La differenza sta nel fatto che il VB è calcolato dall’assorbimento di azoto mentre l’utilizzo di proteine nette PER viene calcolato dall’ingestione dell’azoto. Proteine a confronto: vi riporto qui sotto un confronto tra le due proteine definite più “nobili” perché possiate comprendere le quantità da assumere, specialmente della leucina, essendo questa uno (se non l’unica) degli aminoacidi più utili ed utilizzati nello sportivo. Guardando la tabella vi accorgerete infatti che la diffusissima scelta di acquistare anche come integratori, proteine del latte, anziché dell’uovo, Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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forse può essere valutabile in base alla differenza di costo tra le due. Una differenza che però non è mai 3 o 4 volte superiore e neanche il doppio ma che visti i parametri che riportati qui sotto, dovrebbe forse far ricadere le scelte d’acquisto su altri elementi di confronto. Le uova L’uovo rappresenta, storicamente, uno dei simboli della vita. Oltre ad essere un alimento proteico è anche uno degli ingredienti fonda-
mentali nella preparazione di numerosi cibi e pietanze. Praticamente lo si trova nella maggior parte degli alimenti che mangiamo, avendo anche proprietà di “insaporitore”, schiumogene ed aggreganti. Non a caso lo troviamo nella pasta, nei dolci, nella maionese ed in tanto altro ancora. Le componenti chimiche dell’uovo sono necessarie e sufficienti da sole allo sviluppo dell’embrione. Nello specifico le due “macro parti” contengono svariate proprietà come ad esempio: • l’albume, che svolge funzione di supporto fornendo non solo un sistema di difesa dell’embrione da microorganismi, per lo più gram positivi, ma è anche ricco di albumine (proteine per la crescita); • il tuorlo, che contiene sostanze chimiche come sali minerali, vitamine, fosfolipidi, ecc. che servono a costituire il serbatoio e la riserva nutrizionale dell’embrione stesso. Da non sottovalutare, poi, nella risultante della qualità di un uovo, le proprietà del suo guscio, che, seppur molto sottile, risulta piuttosto resistente alla compressione, proteggendo l’interno dell’involucro e permettendo, al tempo stesso, il passaggio dell’aria al suo interno senza consentire alcuna fuoriuscita di gas all’esterno (anche se durante la cottura
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questo, per diversi motivi, potrebbe accadere. Ma lo vedremo più avanti nell’articolo). L’emivita di un uovo è di circa 28 giorni. Ovviamente la sua conservazione, ma anche il benessere degli animali ed il rispetto per l’ambiente, possono variarne durata, qualità e sicurezza per l’uomo. Tale durata, tuttavia, grazie ad impianti ad hoc che escludono l’impiego di conservanti, può anche essere elevata fino a 40 gg. Al tempo stesso tale “scadenza” può anche ridursi. Accade per i prodotti di albume d’uovo in commercio già cotto e pastorizzato di cui privazione di acqua, ossigeno e calore, aumentano la durata. La cottura delle uova infatti, cambia le caratteristiche sia in termini di palatabilità che di digeribilità: gli shock termici possono indurre un cambio anche nelle proprietà organolettiche. Uovo sodo un “must” per lo sportivo. Ma davvero lo sappiamo cuocere nel modo corretto e preservarne le proprietà senza farlo risultare addirittura nocivo per il nostro organismo? Quale di questi tre esempi secondo voi è quello cotto nel modo corretto? La risposta corretta è la numero uno. 1. Il tuorlo NON deve presentare il colore verde: • Le uova non devono essere lasciate troppo a lungo in cottura!
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Il verde, infatti, è dato da una sostanza potenzialmente tossica, chiamata solfuro ferroso, che ha luogo a partire da ferro e zolfo a temperatura di ebollizione. 2. Inserire le uova nel pentolino con l’acqua fredda; • L’uovo dev’essere appena sodo; • Tempo di cottura ideale: 5 minuti, a partire da quando l’acqua inizia a bollire; Una volta cotte, le uova vanno raffreddate prima di essere consumate, per bloccare il processo di cottura. Così facendo inoltre, le uova si sbucceranno più facilmente, perché l’albume avrà di modo di consolidarsi. • I tuorli troppo cotti contengono grassi ossidati, più difficili da digerire e che possono contribuire alla formazione della placca nelle arterie così come il colesterolo ossidato, come
sappiamo molto dannoso per la salute. Ecco perché le uova sode vanno cotte poco e nella maniera più corretta possibile! Falsi miti da sfatare e verità da ricordare: 1. Non devo mangiare più di 2 uova a settimana; ho il colesterolo alto e tanti grassi. Falso Sfatiamo subito un mito: non è vero che assumere spesso le uova provochi un aumento di colesterolo. Le uova, infatti, sono ricche di lecitina che, anzi, contrasta l’assorbimento del colesterolo. Lo stesso vale anche per la salute di persone diabetiche o soggetti con colesterolo alto che non mettono a rischio la loro salute con l’assunzione di uova nella loro dieta. Molti sono gli studi sul tema, alcuni anche abbastanza recenti. Vedi “Egg Are Natural Functional Food (Maria Luz Fernandez, Lemos B. “Eggs as Functional Foods and Nutraceuticals for human health 14,22,2019) “ Il colesterolo, normalmente contenuto, ha effetti p o s i t i v i come, per esempio, una maggiore produzione di testosterone, a meno che non si soffra di ipercolesterolemia. Le uova contengono la colina, un aminoacido che protegge il fegato e soprattutto fa contrarre la colecisti (o cistifellea) facendo eliminare la bile che si riversa nell’intestino emulsionando, e quindi migliorando, il metabolismo dei grassi e la motilità intestinale. Pertanto le persone sane possono mangiare anche un uovo al giorno senza incorrere in alcun aumento del rischio di malattie cardiache. Addirittura diversi studi riportano benefici nella riduzione del rischio di ictus. 2. Bere l’albume crudo fa diventare più muscolosi. Falso Assumere albume liquido, senza cottura, è addirittura nocivo in quanto alcuni composti in esso contenuti possono ostacolare le attività enzimatiche e non permettere l’assimilo di alcuni nutrienti dei successivi cibi assunti. L’albume crudo ha un maggiore rischio di salmonella a maggior ragione se non pastorizzato. 3. Nell’Uovo solo l’albume contiene proteine. Falso Seppur è vero che la maggior parte della quantità proteica dell’uovo risiede nell’albume (circa 3,6 – 3,9 grammi media), nel tuorlo troviamo una percentuale comunque molto alta: parliamo, del 43-46%, cioè circa 2,7 - 3,1 grammi media. Ovvio che questo viene dimentica-
to o meglio passa in secondo piano perché il grasso presente nell’albume è circa 1% rispetto al 99% del tuorlo, ma, come ho già spiegato in altri miei articoli ed in alcuni corsi: “il grasso fa bene. E’ l’obesità che fa male”. Ovviamente passatemi il concetto senza entrare nel merito delle tipologie della quantità di grassi che assumiamo e quali abbinamenti facciamo con gli stessi, altrimenti non basterebbero tutte le pagine dell’intero Giornale dei Biologi per aprire e chiudere una discussione. Però nessuno mai parla del 91 % circa di calcio nel tuorlo e del 9 % nell’albume, così come, sempre nel tuorlo, del 94% di ferro e del 99,5% di zinco. 4. Mi cucino un uovo perché è velocissimo da preparare. Vero ma non sempre La frenesia della vita ci spinge a cucinare sempre più velocemente. E’ vero che quando si cuoce in padella e ad alte temperature, si riducono i tempi, ma poi lo shock termico e la carbonizzazione della superficie degli alimenti (detta anche “crostinatura”) - che pure conferiscono una nota aromatica spesso piacevole alle pietanze che prepariamo – si rivelano tossici per il nostro organismo. La caramellizzazione delle pietanze nelle cotture in padella ed alla brace è un fenomeno di imbrunimento, di tostatura della superficie degli alimenti, chiamata reazione di Maillard. Le protagoniste principali di tali reazioni sono le proteine che, a seguito delle alte temperature, reagiscono con gli zuccheri naturalmente presenti in molti alimenti innescando tutta una serie di reazioni chimiche che, alla lunga, possono rivelarsi deleterie per il nostro organismo. Tale alterazione biochimica infatti, è una delle principali responsabili dell’invecchiamento, tra cui troviamo anche la rigidità articolare con degrado cartilagineo, tendineo e legamentoso. L’albume contiene Avidina. Si tratta di una speciale proteina (glicoproteina tetrametrica) che costituisce lo 0.05% di quelle presenti nel “bianco” delle uova. Si ritiene che il suo “scopo” sia quello di proteggere l’albume dalle invasioni batteriche. Il nome Avidina deriva dalla particolare “avidità” che ha questa molecola nei confronti di una vitamina, la B7, detta Biotina o Vitamina H. Ogni subunità di Avidina possiede, infatti, un sito di legame per la Biotina, con la quale si lega in maniera talmente forte da formare un complesso inassorbibile per l’intestino umano (per questo l’Avidina è considerata un fattore anti-nutrizionale). L’Avidina può tuttavia essere abbattuta durante la cottura con una temperatura oltre i 70 gradi. Attenzione però: tale temperatura deve essere raggiunta GRADUALMENTE onde evitare shock termici che potrebbero portare l’uovo a perdere la sua qualità ed anche la propria quota proteica. • L’albume cotto è un prodotto anti-catabolico. Evita quindi che il muscolo si danneggi (i processi di demolizione vengono chiamati catabolismo, quelli di costruzione anabolismo). Il catabolismo muscolare rappresenta un effetto indesiderato del ricambio tissutale, caratterizzato da un evidente scompenso tra demolizione delle strutture plastiche del muscolo e conseguente ripristino o supercompensazione. Il catabolismo muscolare è un fenomeno principalmente indotto da: malnutrizione o disturbi del comportamento alimentare; alcolismo; alcune malattie croniche; pratica Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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sportiva NON CORRETTAMENTE SUPPORTATA DALL’ALIMENTAZIONE; • L’albume cotto e PASTORIZZATO è più sicuro; • L’albume cotto è poco calorico (circa 43 calorie per 100 grammi); • L’albume cotto è ricco di acqua (circa 87 grammi e 10,7 g di proteine per 100g); • L’albume cotto è INDICE GLICEMICO (pari a 0, il latte ne ha circa 40); • Usare uova fresche e conservate correttamente. Attenzione alle temperature. Per la preparazione di uova con tuorlo morbido usate uova freschissime. La Digestione delle uova in base al tempo e alla modalità di cottura Al contrario di quello che molti pensano, l’uovo è uno degli alimenti proteici tra i più digeribili in assoluto. Alimento sano e leggero, induce infatti la secrezione dell’acido cloridrico nello stomaco. Per questo da sempre è anche un alimento utilizzato per lo svezzamento. Quindi praticamente si tratta di un prodotto ottimo per tutti i palati. Ovviamente chi ha patologie come quelle citate precedentemente e/o soffre di calcoli biliari, deve prestare attenzione e seguire i consigli dati nella terapia nutrizionale dal professionista sanitario che lo ha in carico. Metodi di Cottura e tempi di digestione • Uovo alla coque (bollito 3 min) > 105 min • Bollito (5 min) o strapazzato senza condimento > 125 min • Uovo crudo > 135 min (NON LO ASSUMERETE COSI’, VERO?) • Strapazzato al burro > 150 min • Uovo sodo > 170 min • Frittata > 180 min Sono molti altri gli argomenti legati alle uova che potremmo trattare dal punto di vista biochimico, nutrizionale, d’utilizzo, di benefici nello sport e non, così come, ancora, potremmo approfondire il tema del colesterolo, quello della luteina, della colina. Potremmo anche parlare della composizione e della funzione dell’albume, del tuorlo, del guscio, degli allevamenti, del controllo delle uova e della loro distribuzione sul mercato, ecc. ecc.. Tuttavia voglio lasciarvi con
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alcuni consigli pratici per la corretta preparazione di questo fantastico alimento con la speranza che questo articolo sia stato in grado di valorizzarlo come merita. Consigli per cucinare correttamente le uova • Per le ricette che prevedono il tuorlo perfettamente cotto, potrete usare uova già deposte da qualche giorno. • Per le uova strapazzate: affinché abbiano la loro giusta cremosità, cuocetele a fiamma bassa o addirittura a bagnomaria. Ricordate: la temperatura non dovrà mai superare i 100°C. • Gli albumi da montare sono carichi di proteine. Se dovete montarli a neve ferma è consigliabile aggiungere un pizzico di sale per incentivare il passaggio da stato liquido a solido. Attenzione, in questa fase, a non far cadere neanche un pizzico di tuorlo nelle chiare! Essendo il tuorlo ricco di grassi, infatti, il contatto con le proteine degli albumi ne contrasta la coagulazione necessaria per il montaggio a neve. • Nella preparazione di omelette e frittate: non sbattete troppo a lungo le uova che, incorporando aria, tenderebbero a diventare spugnose durante la cottura. • All’occhio di bue/tegamino o detto anche fritto, evitate di cuocere il tuorlo. Nell’uovo all’occhio di bue, infatti, il tuorlo deve semplicemente scaldarsi. L’albume invece dovrà cuocere e diventare di colore bianco perlato. Evitate di coprire la padella durante la cottura e non appena l’albume sarà bianco, spegnete il fuoco e servite! • Uovo sodo e uovo alla coque: quali tempi di cottura? Partiamo dalle uova sode. Cominciate mettendo le uova a temperatura ambiente quindi posizionatele in un pentolino e “copritele” con acqua fredda. Accendete il fuoco. Quando l’acqua sarà giunta ad ebollizione, contate 8 minuti esatti, non di più. E ora passiamo all’uovo alla coque. In questo caso fate bollire l’acqua nel tegamino. Quindi inserite delicatamente le uova e calcolate 3 minuti per un uovo molto cremoso e 4 minuti per un uovo leggermente più rappreso. • Attenzione alla temperatura!! NON INIZIATE MAI CON UOVA FREDDE APPENA PRESE DAL FRIGORIFERO!! Gli shock termici infatti, potrebbero compromettere il corretto svolgimento della preparazione e della qualità delle proteine. • Preparazione dell’uovo in camicia: inserite l’uovo nell’acqua rompendolo prima in un mestolo o in un piattino e adagiatelo con delicatezza nel mulinello d’acqua. Abbassate la fiamma senza però spegnerla perché l’uovo in camicia perfetto deve sempre cuocere con l’acqua in ebollizione. • La frittata: agitate le uova leggermente (mi raccomando, scegliete sempre uova fresche!!). Quindi rompetele e separate l’albume dal tuorlo in due terrine diverse. Aggiungete il sale e sbattete i due composti con una frusta finché non si saranno ben amalgamati (solo in seguito, infatti, potrete unire il bianco e il rosso dell’uovo). Una volta sbattuti, potete versare l’albume sul tuorlo ma con delicatezza!! In questo modo i composti avranno inglobato aria e la frittata sarà più soffice in cottura.
PER RESTARE SEMPRE INSIEME DIMOSTRAGLI IL TUO AMORE CON IL MICROCHIP Il microchip è il modo migliore per ritrovare il tuo amico a quattrozampe in caso di smarrimento.
COS’È IL MICROCHIP E A COSA SERVE? ●
E allora cosa aspetti? Se il tuo cane o il tuo gatto non lo hanno ancora, recati dal tuo veterinario o al servizio veterinario pubblico competente per territorio, per identificarlo e iscriverlo in anagrafe degli animali d’affezione!
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Il microchip, obbligatorio per legge per il cane e presto anche per il gatto, è un piccolo dispositivo elettronico che identifica il tuo amico a quattrozampe e lo lega a te in maniera unica. L’identificazione con microchip di cani, gatti e furetti è inoltre obbligatoria per poter acquisire il passaporto europeo, per recarsi all’estero. Non temere per la sua salute: l’inserimento del microchip è sicuro e indolore! Il certificato di iscrizione nell’anagrafe degli animali d’affezione è la sua “carta d’identità”. Ricordati di portarlo sempre con te!
È un’iniziativa del Ministero della Salute in collaborazione con LAV
Informati su www.salute.gov.it e www.lav.it
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Scienze
DOMESTICAZIONE L’ESPERIMENTO (IN CORSO) DI BELYAEV SULLE VOLPI ARGENTATE Gli esperimenti di replicazione dei processi evolutivi su scala ridotta per verificare l’eventuale presenza di pattern convergenti o l’insorgenza di percorsi evolutivi unici e peculiari
di Valentina Guidi*
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uali animali si possono definire domestici? La risposta a questa domanda sembra semplice visto che cani, gatti, cavalli, mucche e altri fedeli compagni di vita e di lavoro di noi esseri umani fanno parte della nostra esperienza quotidiana. Ma se ci chiediamo quando esattamente questi animali sono diventati domestici e come è avvenuto questo processo, allora le cose si complicano. Quali sono i meccanismi che si celano dietro la domesticazione di un animale? In che modo un animale selvatico comincia e continua a subire tutte quelle modificazioni morfologiche e comportamentali che lo rendono adatto alla vita insieme all’uomo e differente dal suo progenitore selvatico? Se ve lo state chiedendo, sappiate che non siete i soli. Parecchi ricercatori si stanno ponendo la stessa domanda, visto che la questione è aperta e oggetto di numerosi studi. Ma uno in particolare si è spinto a ideare un esperimento per provare a vederla in azione, la domesticazione. Un esperimento che prosegue ancora oggi. Era il 1959, eravamo in Russia e il suo nome è Dmitry Belyaev. La domesticazione: facile a dirsi, difficile a spiegarsi Per cominciare a comprendere come funziona la domesticazione bisogna innanzitutto evitare di cadere nel tranello di confonderla con l’addomesticamento. Se pensiamo infatti a una tigre, indubbiamente la consideriamo un animale selvatico. E abbiamo ragione. Ma in diversi Paesi del mondo esistono dei centri dove con le tigri è possibile giocare, fare il bagno in piscina o condividere set fotografici. Queste tigri continuano a essere animali selvatici? La risposta è sì. Ed è una risposta importante perché é il perno attorno a cui ruotano
Comunicatrice della Scienza e collaboratrice di BioPills: il vostro portale Scientifico.
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i numerosi problemi etici, oltre che la pericolosità, di queste attività, diffuse non tanto in luoghi dove il benessere animale non prevede legislazioni specifiche, quanto più in Paesi come gli Stati Uniti. Proprio qui, infatti, il numero di tigri in cattività supera addirittura il numero di quelle presenti in libertà sull’intero pianeta. Ma è importante capire il motivo per cui queste tigri, così come i leoni del circo, gli elefanti a dorso dei quali vengono proposti trekking nella giungla o i serpenti allevati nei terrari sono e restano animali selvatici. Un animale domestico è un animale che è in grado di trasmettere le caratteristiche che lo rendono tale alla propria progenie e nessuno degli animali sopracitati è in grado di farlo. Si tratta quindi non di animali domestici, bensì addomesticati. Il lavoro di addomesticamento che viene compiuto su di loro, infatti, riguarda il singolo individuo e finisce con la sua morte: con ogni esemplare, anche se nato da quello addomesticato, bisognerà ricominciare tutto dall’inizio. La domesticazione è invece una sorta di coevoluzione, in cui l’uomo e una determinata specie intraprendono un processo che, con il susseguirsi delle generazioni, li porterà a diventare in qualche modo interdipendenti. Infatti, gli animali domestici che ci circondano dipendono da noi per reperire cibo e protezione e, salvo alcune eccezioni, avrebbero notevoli difficoltà a sopravvivere nell’ambiente naturale in cui vive la specie da cui si sono differenziati. Dal canto nostro, inoltre, diverse attività dipendevano o dipendono tuttora dalle capacità degli animali domestici, ad esempio la difesa, la caccia, il trasporto e alcune tipologie di lavoro, come quello agricolo. Processo affascinante allora quello della domesticazione, che stimola gli studi di numerosi ricercatori e che, alla fine degli anni ’50 del Novecento, stuzzicò anche l’immaginazione di un genetista russo di nome Dmitry Belyaev. Da una sua idea prese infatti forma un progetto molto ambizioso: condurre uno studio per comprendere i meccanismi genetici alla base di questo importante processo.
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Nacque così il suo esperimento più famoso, quello sulla domesticazione delle volpi. C’era una volta un genetista nella Russia di Stalin Dagli anni ’20 del Novecento fino alla sua morte, avvenuta nel 1953, Stalin instaurò una dittatura in quella che era l’Unione Sovietica, dove il genetista Dmitry Belyaev nacque e lavorò. Il regime fu molto duro e, al pari di ogni altra dittatura, non c’era spazio per idee diverse da quelle appoggiate dal governo non solo per ciò che concerne la politica, ma anche in campo scientifico. Parlando in particolare della genetica, l’effetto del regime fu devastante a causa della volontà di ricondurre le teorie scientifiche nel solco delle ideologie politiche. La negazione delle leggi della genetica iniziò dal mondo vegetale ad opera di un uomo di nome Tro- Monumento a D. K. Belyaev, Novosibirsk (Russia). fim Lysenko. Privo di istruzione specifica ma © Starover Sibiriak/shutterstock.com coinvolto nel progetto governativo di inserimento di persone appartenenti al proletariato nella comunità scientifica, Lysenko elaborò alcune teorie agrono- non senza difficoltà, elaborando uno studio a lungo termine per miche non convenzionali, fondate su basi scientifiche vacillanti ma approfondire i meccanismi della domesticazione animale. Iniziato talmente in accordo con l’ideologia politica vigente che i vertici del nel 1959, l’esperimento continua tuttora a essere portato avanti da potere ben presto imposero agli scienziati di aderirvi. Cominciò diverse generazioni di ricercatori. così una violenta lotta contro le teorie darwiniane e, più in generaIl genetista cominciò osservando le differenze tra gli animali le, contro la genetica stessa. La storia dimostrò successivamente le domestici e i loro progenitori selvatici e la tendenza di alcune cadevastanti conseguenze delle teorie ascientifiche di Lysenko per la ratteristiche morfologiche a cambiare in gran parte delle specie produttività agricola sovietica, ma a quel tempo, nonostante le criti- domestiche con un andamento simile. Infatti, come effetto della che della comunità scientifica internazionale, gli studiosi che non le domesticazione generalmente la taglia e le proporzioni dell’animale appoggiavano vennero messi a tacere. cambiano, la colorazione e la consistenza della pelliccia smettono di In questo clima a dir poco ostile, molti studiosi lasciarono l’U- essere mimetiche, la coda si arriccia, le orecchie diventano flosce. nione Sovietica e molti altri furono spinti al suicidio o giustiziati sen- Anche il comportamento cambia: ad esempio le specie domestiche za processo. Fu proprio quest’ultimo il destino di Nikolai Belyaev, a volte perdono la stagionalità riproduttiva. uno dei fratelli maggiori di Dmitry. Genetista con idee darwiniane, E se queste modifiche fossero dovute a una selezione effettuata Nikolai fu condannato a morte nel 1937, proprio l’anno prima della dall’uomo in base alla sola docilità dell’animale? Fu questa l’ipotesi laurea del fratello. Dmitry Belyaev, infatti, si laureò nel 1938 con di partenza del genetista. Secondo il suo ragionamento, sceglienuna tesi sull’ereditarietà del manto grigio delle volpi argentate, al- do di far riprodurre solo gli animali più mansueti, con il tempo si quanto coraggiosa visto il periodo storico. Grazie al suo percorso sarebbero ottenuti esemplari con le stesse modifiche morfologiche accademico iniziò a lavorare presso il Dipartimento di Allevamento e fisiologiche, indipendentemente dall’animale domestico considi Animali da Pelliccia al Laboratorio Centrale di Ricerca di Mosca. derato: si tratta della cosiddetta sindrome da domesticazione. Alla Arrivò a diventarne il responsabile, incarico da cui venne però de- base di questa idea c’è l’influenza che neurotrasmettitori e ormoni stituito proprio a causa del clima persecutorio del regime. Belyaev, hanno sul comportamento. Belyaev pensò che poiché la produzione però, non si perse d’animo e continuò segretamente i suoi studi ge- di queste molecole è regolata dal DNA, in qualche modo il compornetici, fingendo invece di intraprendere studi di fisiologia animale. tamento deve essere regolato dal genoma. Una mutazione casuale Le premesse dell’esperimento sui geni coinvolti nella produzione e nella regolazione di molecoQuando il contesto politico cominciò a cambiare, prese forma il le legate al comportamento, allora, verrà selezionata dall’uomo nel più noto tra gli esperimenti del genetista. Spostatosi a Novosibirsk, momento in cui sceglie per la riproduzione gli animali più docili. A in Siberia, e diventato direttore dell’Istituto di Citologia e Geneti- questo punto, secondo l’ipotesi di Belyaev, questi geni mutati avranca, Belyaev poté infatti cominciare a esprimere le idee darwiniane no delle ripercussioni su altri geni da essi regolati e collegati a quei che tanto costarono al fratello e a molti altri ricercatori, comunque caratteri morfologici e fisiologici che cambiano in maniera analoga Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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in tutti gli animali domestici rispetto ai loro corrispettivi selvatici. La volpe argentata: prove generali di domesticazione Gli animali su cui Belyaev decise di mettere alla prova le proprie idee furono le volpi, oggetto della sua tesi, dei suoi studi e del suo lavoro. Per prima cosa quindi i ricercatori si dovettero procurare un gruppo di questi animali. Scelsero degli esemplari di volpe argentata, una variante di volpe rossa (Vulpes vulpes) dal manto particolarmente pregiato. Proprio per questo i 30 maschi e le 100 femmine con cui i ricercatori iniziarono l’esperimento provenivano da un allevamento di animali da pelliccia situato in Estonia. I ricercatori posizionarono gli animali in gabbie lontano dagli esseri umani, con i quali entravano in contatto solo il minimo indispensabile. La docilità veniva valutata periodicamente in base alla reazione delle volpi alla mano dell’uomo e ogni interazione era l’occasione per verificare la mansuetudine degli animali. Fino a circa due mesi di età i cuccioli restavano in gabbia con la madre, poi con i fratelli e le sorelle ma separati dalla madre e a tre mesi venivano spostati in gabbie singole. I controlli per verificare la docilità proseguivano dalla nascita fino alla maturità sessuale, che in questa specie viene raggiunta intorno ai sette mesi. Alla fine di questo periodo, i ricercatori inserivano ogni volpe in tre possibili classi: la prima comprendeva gli animali che tendevano a scappare o a mordere, la seconda quelli che si lasciavano maneggiare ma non mostravano un atteggiamento amichevole nei confronti dei ricercatori, mentre alla terza venivano assegnati gli esemplari amichevoli, che scodinzolavano e guaivano. Per ogni generazione solo le volpi più docili venivano selezionate per la riproduzione, in modo da tentare di verificare l’ipotesi di partenza. Volpe domestica. Volpe domestica? Dopo sole sei generazioni i ricercatori dovettero introdurre una quarta sezione, costituita da volpi non solo amichevoli, ma addirittura desiderose di ricevere attenzioni dagli umani, mentre nel 1999, a distanza di 40 anni dall’inizio dell’esperimento e dopo solo 30-35 generazioni, è stata ottenuta una popolazione di cento volpi che i
Figura 2. Meчтa (“sogno, aspirazione” in russo), la prima delle volpi dell’esperimento a presentare orecchie flosce nel 1969. Crediti: L. A. Dugatkin, The silver fox domestication experiment. Evolution: education and outreach. 2018
ricercatori definiscono completamente domesticate. A comunicarlo alla comunità scientifica è stata Lyudmila Trut, ricercatrice che lavorò con Belyaev e prese il suo posto a capo dell’esperimento dopo la sua morte, proseguendolo ancora oggi. Le volpi domestiche sono innanzitutto animali estremamente docili e probabilmente incapaci di sopravvivere in natura, visto che alcuni esemplari fuggiti dall’allevamento vi hanno fatto spontaneamente ritorno dopo alcuni giorni. Inoltre, in queste volpi il cambiamento comportamentale riflette effettivamente alcune modifiche fisiologiche attese. Ad esempio, i cuccioli domesticati cominciano a mostrare reazioni alla paura almeno tre settimane dopo quelli selvatici. Questo è collegato al livello di corticosteroidi nel sangue, che nei cuccioli domestici aumenta in ritardo rispetto ai cuccioli selvatici. Visto che si tratta di ormoni legati allo stress, che in natura servono ad avere una reazione rapida in caso di pericolo, questo evento è coerente con l’idea di una specie domestica. Anche a livello morfologico alcuni cambiamenti osservati nel colore del manto, nella coda, nelle orecchie, nelle dimensioni e nelle proporzioni sono in linea con quanto atteso dai ricercatori e con le ipotesi di Belyaev, sebbene la loro presenza si limiti a un numero ristretto di esemplari. In particolare, come prima manifestazione si tende a riscontrare la perdita di pigmento in alcune aree del corpo, con la formazione a volte di un disegno a forma di stella sul muso che ricorda quello della colorazione del manto di molte specie domestiche. Poi si ha la comparsa di orecchie flosce e coda arricciata, simili a quelle di molte specie di cani. Infine, si osservano un certo accorciamento delle zampe e della coda e alcune modifiche a carico
Figura 1. Esemplare di volpe argentata. Crediti: foto di Angela da Pixabay.
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Figura 3. (A) Volpi dell’allevamento canadese nel 1922. (B) Volpi coinvolte nell’esperimento di Belyaev. (C) Una volpe dell’allevamento canadese che presenta pelliccia depigmentata, orecchie flosce e atteggiamento amichevole verso gli esseri umani (crediti: Bruno Delsman, Hartland, Wisconsin). (D) Una volpe coinvolta nell’esperimento di Belyaev con colorazione simile. Crediti: K. A. Lord et al., The history of farm foxes undermines the animal domestication syndrome. Trends in Ecology & Evolution. 2020. DOI:https://doi. org/10.1016/j.tree.2019.10.011. Licenza Creative Commons Attribution (CC BY 4.0).
della dentatura. La selezione effettuata durante l’esperimento ha anche diminuito notevolmente il dimorfismo sessuale, che negli esemplari selvatici si esprime con differenze nella struttura del cranio. Il muso delle volpi domestiche di entrambi i sessi appare infatti femminizzato, più simile quindi alla conformazione del cranio delle femmine selvatiche. Le modifiche infine riguardano anche la sfera riproduttiva. Le volpi domestiche si riproducono circa un mese prima di quelle selvatiche, dando alla luce un individuo in più per ogni cucciolata e partorendo anche in periodi esclusi dalla normale stagione riproduttiva. Queste ultime modifiche relative alla riproduzione, tuttavia, riguardano un numero ristretto di esemplari e nessun cucciolo nato al di fuori della consueta stagione riproduttiva è finora sopravissuto. Tutto questo è sufficiente per affermare di aver ottenuto la volpe domestica? Non esattamente. Se per certi aspetti l’esperimento delle volpi presenta dei punti di forza, esistono anche alcuni punti deboli che lo rendono contestabile. Le debolezze dell’esperimento di Belyaev Innanzitutto, come gli stessi ricercatori hanno sempre ammesso, il gruppo iniziale di volpi non fu catturato in natura ma ottenuto da un allevamento. Gli animali, quindi, avevano già iniziato in qualche modo ad abituarsi all’uomo prima di entrare a far parte della ricerca. Recenti studi hanno anche rivelato che nemmeno l’allevamento da cui Belyaev si rifornì aveva inizialmente catturato gli esemplari in natura. Analisi molecolari ed evidenze storiche hanno infatti dimostrato la provenienza degli animali di partenza da un allevamento canadese, anticipando ancora di più il contatto della popolazione di volpi con l’uomo. Questo potrebbe ridimensionare la velocità con cui sono avvenuti i cambiamenti negli animali di Belyaev. Inoltre, alcuni tratti morfologici della volpe domestica erano già presenti nelle volpi canadesi, quindi non sono stati ottenuti con una selezione basata solo e soltanto sulla docilità. Benché questa critica non sia applicabile ai caratteri legati a geni dominanti, che sarebbe-
ro stati continuamente visibili nella popolazione senza salti di generazione, quelli recessivi potrebbero invece essere stati sempre presenti nel pool genetico, anche se non evidenti. A facilitare poi la loro manifestazione potrebbero essere stati fenomeni di deriva genetica, che agiscono rapidamente in popolazioni esigue come quella oggetto dello studio. Gli stessi studi criticano anche la distribuzione dei caratteri morfologici e comportamentali che l’esperimento delle volpi collega alla sindrome da domesticazione. Questi caratteri, infatti, non si manifestano in tutte le specie domestiche oppure, in alcuni casi, si ritrovano sia nella specie domestica sia nel progenitore selvatico. Per questo collegarli in maniera univoca al processo di domesticazione potrebbe essere una forzatura. Da questi punti deboli l’esperimento di Belyaev esce sicuramente ridimensionato. Ma sono sufficienti a scardinare uno studio considerato un caposaldo per la comprensione del processo di domesticazione? Forse ulteriori indagini porteranno allo scoperto altre problematiche, forse la prosecuzione dello studio porterà invece nuove evidenze a favore della sindrome da domesticazione. Forse entrambe le cose. La questione è ancora aperta e continua a stimolare dibattiti, ricerche e approfondimenti volti a comprendere al meglio le basi di un processo che accompagna la nostra specie da più di diecimila anni.
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UN GEMELLO DIGITALE PER OGNI PAZIENTE E TERAPIE PERSONALIZZATE Copie virtuali di pazienti, organi o processi ospedalieri guideranno l’evoluzione di trattamenti sempre più innovativi e di precisione
di Daniela Bencardino*
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oncettualmente il gemello digitale (in inglese digital twin) è la copia virtuale di un corpo fisico, di un processo o di un servizio. Parliamo quindi di un modello virtuale, composto da dati e algoritmi, che unisce il mondo fisico e quello digitale sfruttando le moderne tecnologie come l’analisi dei dati e l’intelligenza artificiale. In termini di produzione, il gemello digitale di un oggetto fisico viene modellato, testato e ottimizzato nello spazio virtuale fino a quando non soddisfa le prestazioni previste. A quel punto è pronto per essere costruito o migliorato nel mondo reale [1]. Negli ultimi anni tutto questo ha trovato applicazione anche nel contesto della medicina e della salute spianando la strada della medicina di precisione che tiene conto della variabilità individuale in termini di geni, ambiente e stile di vita della singola persona. Quindi, oggi possiamo parlare di gemello digitale della salute riferendoci alla copia virtuale di un organo, di un processo fisiologico o addirittura di un paziente. Il grande potenziale dei gemelli digitali nel campo della salute si intravede soprattutto nella medicina personalizzata perché consente di simulare terapie individuali, visualizzare la progressione della malattia e predire i potenziali risultati del trattamento in corso per ciascun paziente. L’interesse sta crescendo anche grazie alla disponibilità di dispositivi tecnologici per la raccolta dei dati dei pazienti, come quelli che possono essere indossati direttamente sul corpo o inseriti negli indumenti per supportare il monito-
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Comunicatrice scientifica e Medical writer
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raggio di parametri fisiologici. Oggi i gemelli digitali sono stati implementati con successo nel settore sanitario non solo per la manutenzione predittiva e l’ottimizzazione delle prestazioni dei dispositivi medici ma anche per il miglioramento dei sistemi di gestione all’interno degli ospedali [1,2]. Dopo aver letto questa premessa verrebbe da pensare che il gemello digitale sia il frutto dell’odierna mente umana. In realtà, il concetto di un artefatto che faccia qualcosa per noi in maniera autonoma è un tema su cui si rifletteva già nella Grecia antica. Aristotele, per esempio, valutava la possibilità di sostituire gli schiavi con questi automi e cancellare in tal modo la schiavitù umana [3]. Oggi l’idea di base è ancora quella degli antichi filosofi, cioè un sistema che replichi nel mondo virtuale un corpo fisico, un processo o parti di essi che normalmente trovano spazio ed esecuzione nel mondo reale. La prima vera descrizione del gemello digitale risale ai primi anni ’90 quando l’informatico David Gelernter ne parlò nel suo libro “Mirror Worlds: Or the Day Software Puts the Universe in A Shoebox. How It Will Happen and What It Will Mean” [4]. Qualche anno più tardi, nel 2002, Michael Grieves ne introdusse un primo modello concettuale nelle applicazioni della gestione del ciclo di vita di un prodotto utilizzando nomi diversi: prima “Mirror Space Model” e poi “Information Mirror Model”. Ma la prima applicazione pratica arrivò nel 2010 durante il tentativo della NASA (United States National Aeronautics and Space Administration) di simulare digitalmente i veicoli spaziali da testare [1]. Da allora la tecnologia dei gemelli digitali ha fatto molta strada guadagnando spazio sia nell’industria che nella ricerca. Nonostante ne esistano diverse categorie, un gemello digitale è concepito sempre con tre componenti: il prodotto
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esistente nello spazio fisico, la sua rappresentazione digitale nell’ambiente virtuale e le connessioni tra i due (i dati e il flusso di informazioni tra il prodotto fisico e la sua copia digitale). Ma andiamo per ordine. Come funziona un gemello digitale? Il modello del gemello digitale implica che sia collegato e adattato continuamente alla controparte della vita reale tramite varie tecnologie come sensori, comunicazione ad alta velocità, distribuzione di servizi di calcolo via internet (cloud computing), intelligenza artificiale e molte altre. Gli esperti del settore lo definiscono simpaticamente “un cocktail tecnologico” proprio per l’insieme di tecnologie di cui necessita per funzionare e recentemente è stato incluso tra i dieci concetti emergenti più strategici per il futuro. Per la costruzione di un modello di gemello digitale serve prima di tutto un supporto fisico e tecnologie e strumenti di modellazione avanzati. Lo scambio di dati tra il corpo fisico e il suo modello virtuale avviene tramite una rete internet e i modelli di simulazione vengono testati e convalidati seguendo dinamicamente la controparte fisica fino al raggiungimento dell’ottimizzazione. Per quanto riguarda l’applicazione del gemello digitale sui pazienti, l’obiettivo finale è quello di avere un modello personalizzato che durante tutta la vita del paziente sarà continuamente aggiornato con i suoi parametri fisiologici, le visite eseguite e persino i dati comportamentali e genetici [5]. La raccolta delle informazioni provenienti dal paziente o dall’ambiente è possibile grazie a dispositivi o sensori in grado di trasmetterli al cloud (la “nuvola” che archivia dati rendendoli disponibili a chi vi accede tramite una rete Internet) in tempo reale. I sensori e i dispositivi sono incorporati in oggetti di uso quotidiano da parte del paziente e grazie alla connessione internet possono raccogliere, inviare e ricevere dati. Questo consente il miglioramento continuo del modello digitale, della sua funzionalità e capacità di prevedere eventuali cambiamenti nel tempo. La necessità di gestire e archiviare un’ampia quantità di dati implica un’elevata potenza di calcolo che potrebbe andare ben oltre quella di cui dispongono i centri sanitari. Questo vuol dire che molti centri potrebbero trovarsi nella situazione di dover esternalizzare i propri dati e servizi di monitoraggio a potenti server. Un aspetto da non sottovalutare è la classificazione delle informazioni del paziente come dati sensibili, quindi la loro vulnerabilità può causare problemi di privacy. Per migliorare la sicurezza dei dati, i centri sanitari di solito ricorrono a strategie come quella di crittografare le informazioni prima di esternalizzarle al server [6]. Per quanto riguarda, invece, la costruzione di modelli e la simulazione di organi, pazienti o altri sistemi biologici è
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l’intelligenza artificiale a fornire supporto rappresentando in tempo reale la copia digitale del corpo fisico. In futuro, per rendere ancora più realistiche queste simulazioni i gemelli digitali potranno essere accoppiati alla tecnologia della realtà virtuale. Questo semplificherà le complesse pratiche della formazione medica consentendo ai giovani medici di esercitarsi con trattamenti e procedure su pazienti virtuali prima di applicarli a quelli reali evitando così i rischi associati all’inesperienza. Ad esempio, i cardiologi pediatrici del Lucile Packard Children’s Hospital di Stanford, in California, si servono della realtà virtuale come strumento didattico per spiegare i difetti cardiaci congeniti visualizzando un modello digitale in 3D del battito cardiaco [7]. Applicazioni nella salute e nella medicina Grazie al supporto dell’ingegneria l’industria medica e quella farmaceutica hanno avviato il graduale processo di transizione dalla medicina tradizionale a quella digitale. Lo scopo di questo approccio sempre più multidisciplinare e tecnologico è la costruzione di un sistema di diagnosi e trattamento basato sull’impiego di gemelli digitali per realizzare una medicina di precisione. L’introduzione dei gemelli digitali nelle cure mediche è ancora nella sua fase iniziale e ad oggi sono stati applicati solo in determinati settori della medicina. Alcune implementazioni concrete si ritrovano per organi come cuore, cervello e fegato [8]. Ad esempio, la società tedesca Siemens Healthineers ha raccolto in un database oltre 250 milioni di immagini, report e dati operativi e li ha poi analizzati per ricavare informazioni sulle proprietà elettriche, le caratteristiche fisiche e la struttura di un cuore Giornale dei Biologi | Set/ott 2023
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in 3D. La tecnologia è stata successivamente testata su 100 gemelli digitali del cuore di pazienti trattati per insufficienza cardiaca in uno studio di sei anni e il confronto tra il risultato effettivo e le previsioni fatte dal modello digitale ha dato risultati promettenti [9]. La startup francese Sim&Cure ha sviluppato un sistema digitale capace di virtualizzare l’aneurisma e i vasi sanguigni circostanti di un paziente. Grazie alle simulazioni ottenute con questo gemello digitale personalizzato i chirurghi potranno studiare e comprendere accuratamente la relazione tra l’aneurisma e l’impianto di protesi endovascolare e in meno di cinque minuti sarà possibile valutare numerosi impianti per ottimizzare la procedura [8]. L’azienda Dassault Systèmes, invece, ha progettato un gemello digitale che punta al miglioramento dell’intervento neurochirurgico a cui devono sottoporsi le persone che soffrono di epilessia. Meno di un terzo delle persone epilettiche, infatti, non possono essere curate con un tradizionale approccio farmacologico e sono quindi costrette a ricorrere alla chirurgia. Ma ad oggi non esiste un sistema predittivo affidabile che stabilisca la probabilità di successo dell’intervento neurochirurgico alimentando incertezze e timori nei pazienti. Il progetto “Living Brain” di Dassault Systèmes © Pixel-Shot/shutterstock.com
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attualmente in via di sviluppo ha proprio lo scopo di creare gemelli digitali che consentano simulazioni personalizzate in base alle caratteristiche del singolo paziente al fine di ottenere un potere predittivo soddisfacente [10]. Takeda Pharmaceuticals ha impiegato la tecnologia del gemello digitale nella linea di produzione del farmaco per fornire terapie avanzate a livello mondiale. Impiegare i modelli digitali per un’azienda farmaceutica vuol dire abbreviare i processi e fare previsioni più realistiche dei risultati di una reazione biochimica. Al progetto collaborano anche le aziende Atos e Siemens che hanno il compito di ottimizzare i modelli digitali e superare le criticità legate sia all’efficienza che alla produzione. Il modello digitale è stato testato con successo ed è supportato dall’intelligenza artificiale, dall’Internet of Things (IoT, la rete di oggetti fisici che attraverso sensori o software integrati possono scambiare dati con altri dispositivi e sistemi su Internet), e da molte altre tecnologie avanzate [11]. Nel campo della medicina interna, invece, è stata progettata una piattaforma software, chiamata iPhantom, che ha lo scopo di creare il gemello digitale del paziente utilizzando le informazioni della diagnostica per immagini. Ma il corpo consiste di molti organi, grandi e piccoli, con diverse morfologie e caratteristiche, quindi identificarli e ricostruirli in modo affidabile è molto impegnativo, anche per una macchina. La piattaforma iPhantom traccia per primi gli organi facilmente identificabili e poi fonde i risultati iniziali della segmentazione con un modello anatomico che verrà utilizzato per “inserire” gli organi mancanti nella copia virtuale [12]. Un altro modello è stato sviluppato basandosi sulla realtà virtuale tridimensionale (3D) con l’aiuto del software Unity3D per registrare le prestazioni biomeccaniche in tempo reale della colonna lombare quando si assumono posture diverse. Questo potrebbe fornire un nuovo ed efficace
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metodo di pianificazione, in tempo reale, dei trattamenti da applicare alla colonna vertebrale in determinate situazioni cliniche [8]. Questioni aperte e nuove sfide Oltre alle opportunità promettenti, l’applicazione dei gemelli digitali apre le porte a nuove sfide ma anche alle tante preoccupazioni che possono ostacolarne lo sviluppo. Alla base del gemello digitale vi è la combinazione di diverse tecnologie emergenti e ognuna di queste si porta dietro le proprie questioni sociali ed etiche. Se è vero che i gemelli digitali apportino benefici alla società aiutandoci, ad esempio, a formulare interventi di medicina personalizzata, è altrettanto vero che questa tecnologia potrebbe non essere accessibile a tutti, introducendo un’ulteriore forma di divario digitale tra persone e popolazioni. L’identificazione di modelli digitali identificati tra popolazioni con caratteristiche naturalmente diverse (genere, provenienza geografica o altre fonti demografiche) potrebbe risultare in una segmentazione e discriminazione inaccettabili. E ancora, il gemello digitale potrebbe far emergere un profilo genetico maggiormente predisposto a migliori condizioni di salute e la disponibilità di queste informazioni alimenterebbe preoccupazioni sulla rischiosa decisione di selezionare le persone in base a una genetica ritenuta più vantaggiosa rispetto ad altre [5]. Pertanto, la regolamentazione di questi modelli risulta necessaria per salvaguardare i diritti delle persone a cui vengono applicati, garantire la privacy dei dati, promuovere la trasparenza e l’equità di utilizzo delle informazioni e di tutti i benefici derivati sia a livello individuale che sociale. A ciò si aggiunge il fatto che la maggior parte di questi modelli da applicare all’ambito sanitario sono ancora nella loro fase iniziale di sviluppo, quindi sorgono limitazioni tecniche riguardanti la raccolta dei dati. La maggior parte delle informazioni provenienti dai pazienti è raccolta attraverso esami del sangue, sistemi di imaging e scansioni e non è sempre possibile ottenere immagini di buona qualità complicando il processo di acquisizione e analisi. Infine, i gemelli digitali possono mostrare grandi prestazioni in un breve periodo di tempo, ma la loro capacità predittiva da sola, non abbinata a una spiegazione medica, potrebbe non essere sufficiente per identificare la terapia adeguata. Nell’insieme, queste controversie contribuiscono ad alimentare la diffidenza di una parte del personale sanitario nei confronti della tecnologia digitale applicata alla medicina [10,13]. Conclusioni In futuro il completo sviluppo dei gemelli digitali e il raggiungimento del loro potenziale contribuiranno a rivoluzionare la medicina e la salute guidando la trasformazione delle cartelle cliniche e dei fascicoli sanitari verso l’era delle terapie altamente personalizzate. Ciò aumenterà le capacità dei professionisti sanitari e consentirà ai pazienti di perfezionare la gestione delle malattie, i trattamenti, i dispositivi da uti-
lizzare e i biomarcatori da monitorare. Dall’analisi dei dati individuali sarà possibile lavorare per una sanità pubblica non più locale ma di popolazione. Sarà il passo in avanti che consentirà di indagare nuovi ambiti della medicina umana, generare ipotesi e test in silico, mettere a confronto numerose situazioni cliniche e la creazione di banche di gemelli digitali umani potrebbe essere la chiave di volta per la conduzione di studi clinici di successo.
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SPECIE BOTANICHE ALIENE NEL TERRITORIO DI PAVIA L’aumento incontrollato di specie alloctone negli ambienti antropizzati e naturali può causare danni ecologici e sulla qualità della vita della componente antropica
di Martina Barattieri, Aurora Beu, Federico Cesaro, Andrea Della Porta, Federica Faè, Anna Grechi, Martina Tuzi*
L’
aumento incontrollato di specie alloctone negli ambienti antropizzati e naturali può causare ingenti danni dal punto di vista ecologico, in termini di conservazione della biodiversità e di qualità della vita della componente antropica. La diffusione di flora aliena nel comune di Pavia è stata indagata in particolare in due zone boschive: il Parco della Vernavola e la sponda del fiume Ticino presso San Lanfranco. La nostra ricerca, svolta in collaborazione con il centro di valorizzazione dell’educazione ambientale - crea del Comune di Pavia e Associazione Amici dei Boschi, si è basata sull’analisi della componente vegetale di queste località, con l’obiettivo di fare un censimento di alcune specie, per facilitare lo studio della loro distribuzione. In totale, sono state prese in considerazione 8 specie alloctone, tra cui abbiamo rilevato una decisiva prevalenza di Acer negundo e una totale assenza di Sicyos angulatus. Il seguente articolo ha lo scopo di descrivere il modo in cui si è svolta la nostra attività e riportare i dati raccolti. Introduzione Le specie che abbiamo analizzato sono alloctone (o esotiche) invasive, cioè trasferite dall’uomo al di fuori del loro areale di distribuzione, in maniera deliberata o accidentale. Nella seguente tabella 1 riportiamo una sintesi delle piante analizzate. Quando queste specie assumono un comportamento invasivo, si riproducono e si espandono rapidamente a scapito delle specie autoctone, causando seri danni alla biodiversità, alla salute umana, alle colture agricole o alle
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Istituto Superiore Taramelli-Foscolo, Pavia.
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Tabella 1. Elenco delle otto specie aliene indagate.
infrastrutture. Al contrario, le specie autoctone si sono originate ed evolute nel territorio in cui si trovano e quindi sono co-evolute per migliaia di anni, instaurando tra loro rapporti di equilibrio ecologico. Pertanto, resistono agli organismi nocivi o alle malattie locali, ma non dispongono di difese naturali contro le specie aliene invasive, o le patologie da loro trasmesse, e possono, quindi, subire un tragico calo. Le specie aliene invasive sono un problema poco conosciuto da chi non si occupa di ricerca botanica, ma a livello globale rappresentano la seconda causa (dopo la frammentazione degli habitat) di perdita di biodiversità. La Convenzione sulla diversità biologica1 di Rio del 1992, ha individuaStrumento giuridico internazionale per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica a livello globale.
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Tabella 2. Zone osservate (per le foto aeree si vedano figg 2 e 3).
to precise categorie riguardo alle cause dell’espansione delle specie aliene. Le più significative sono: il rilascio volontario o involontario di fauna e flora in natura e la fuga da impianti di itticoltura o da allevamenti. Come abbiamo osservato nella nostra ricerca, anche un corso d’acqua può essere la causa della diffusione di specie alloctone (AA.VV. 2014); infatti la presenza di esemplari di Acero negundo è risultata essere concentrata sulle rive del fiume Ticino. Il nostro lavoro è stato svolto nell’a.s. 2022-2023, nell’ambito del PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), su proposta e con la collaborazione del Centro di valorizzazione dell’educazione ambientale (crea@ comune.pv.it) del Comune di Pavia e di Associazione Amici dei Boschi (www.amicideiboschi.it). Sono state scelte due aree urbane (tabella 2) molto frequentate dalla cittadinanza, lungo il corso della roggia Vernavola e del fiume Ticino. Materiali e metodi Per la raccolta dati abbiamo usufruito di schede di rilevamento (fig. 1) su cui venivano indicati luogo, data, intervallo orario di attività, temperatura dell’ambiente, i membri del gruppo di rilevatori, il punto della rilevazione e la quantità di specie alloctone avvistate. I rilievi sono stati fatti lungo transetti lineari (figg. 2 e 3), considerando due fasce di 10 m per lato, ognuna affidata a un gruppo; ciascuno dei due gruppi è stato fornito di una ortofoto della zona censita, in scala 1:2.000 (Geoportale della Regione Lombardia), su cui segnare dove sono avFigura 1. Scheda di rilevamento.
Figura 2. Transetto al Parco della Vernavola (immagine realizzata dagli autori per il progetto).
Figura 3. Transetto nel Parco del Ticino (immagine realizzata dagli autori per il progetto).
venute le rilevazioni. Ogni punto è stato identificato tramite un codice, in cui erano racchiuse l’indicazione del luogo in analisi, del gruppo che stava effettuando il rilevamento e il numero dell’avvistamento: per esempio con V1-01 è stata indicata la prima osservazione dell’uscita al parco della Vernavola, del primo gruppo; allo stesso modo abbiamo proceduto per le rilevazioni lungo la sponda del fiume Ticino. Per georeferenziare gli avvistamenti, abbiamo utilizzato una applicazione chiamata iNaturalist2 (figg. 4 e 5) su cui è stato creato ad hoc il progetto “Piante Aliene a Pavia” dedicato al nostro PCTO. Questo procedimento ci ha consentito Piattaforma sulla quale chiunque può inserire le segnalazioni tramite lo scatto di una fotografia; sarà poi l’applicazione, attraverso la geolocalizzazione del dispositivo, a indicarne su una mappa il punto esatto.
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• • Figura 4. Progetto su iNaturalist. (immagine realizzata dagli autori per il progetto).
Figura 5. esempio di rilievo sulla app. (immagine realizzata dagli autori per il progetto).
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lungo tutto il transetto nel Parco del Ticino; Vite americana (Parthenocissus quinquefolia) è localizzata in pochi luoghi contenenti numerosi esemplari; in particolare, è stata trovata nell’area più a sud del parco della Vernavola, mentre nel Parco del Ticino è stata rilevata nella zona iniziale del transetto (in prossimità della lanca di San Lanfranco); Fitolacca (Phytolacca americana) è stata ritrovata solamente lungo il corso del Ticino e in gruppi poco numerosi; Lauroceraso (Prunus laurocerasus) è distribuito in fasce poco frequenti e nell’area sud del parco della Vernavola; Bambù (Bambusoideae3), in gruppetti con più esemplari, è stato rilevato alla Vernavola in particolare nella zona nord e nella zona sud del transetto; è stato ritrovato solamente un esemplare di Quercia rossa (Quercus rubra) nel parco della Vernavola; Zucca spinosa (Sicyos angulatus) non è presente in nessuna delle aree studiate.
Figura 6. Mappa finale delle rilevazioni su INaturalist (immagine realizzata dagli autori per il progetto).
di ottenere una precisa localizzazione dei dati (fig. 6). I dati sono quindi stati elaborati con un foglio di calcolo e sono stati prodotti: • un grafico di presenza, con l’indicazione di quante segnalazioni sono state fatte per ogni specie; • un grafico di abbondanza, con la quantità di individui avvistati secondo classi di range (1-4, 5-10 e 11-100); • un grafico di presenza per il confronto tra le due zone. Risultati Le piante alloctone indagate nelle due aree di studio sono distribuite in modo disomogeneo e con abbondanze differenti (grafici da 1 a 4). Dai grafici si può notare che: • Acero negundo (Acer negundo) è distribuito in gran quantità in tutte le zone censite, formando dei veri e propri boschi; • Ailanto (Ailanthus altissima) è stato rilevato soprattutto in un numero elevato di gruppi contenenti però pochi esemplari (range 1-4); la zona in cui la loro diffusione è maggiore è quella centrale del parco della Vernavola e 90
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Grafico 1. Numero di segnalazioni registrate per ogni specie al Parco della Vernavola.
Grafico 2. Numero di segnalazioni registrate per ogni specie nel Parco del Ticino. 3 Per la famiglia dei bambù non siamo scesi al dettaglio della specie perché la classificazione di questa pianta è troppo complessa da fare sul campo, senza specifiche competenze.
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Grafico 3. Numero di contatti per specie per range al Parco della Vernavola. BLU: range da 1 a 4 esemplari, ROSSO: range da 5 a 10 esemplari, VERDE: range di oltre 10 esemplari.
zialmente presenti. Galleria immagini Tutte le seguenti immagini - ad eccezione di quella relativa a Bambusoidaea - provengono dalle schede del Gruppo di Lavoro Specie Esotiche della Regione Piemonte (2014). La riproduzione, anche parziale, delle schede è possibile a condizione che se ne citi la fonte. L’immagine relativa a Bambusoidaea (autore Paul Vlaar) - e i termini di utilizzo gratuito dell’immagine - sono disponibili al link: https://commons.wikimedia.org/wiki/ File:BambooKyoto.jpg.
Grafico 4. Numero di contatti per specie per range nel Parco del Ticino. BLU: range da 1 a 4 esemplari, ROSSO: range da 5 a 10 esemplari, VERDE: range di oltre 10 esemplari.
Commento Dalle analisi effettuate possiamo notare che le specie alloctone sono distribuite in modo eterogeneo nelle aree indagate: non tutte sono presenti e mostrano abbondanze variabili. La specie più infestante è risultata essere in assoluto Acero negundo, mentre non abbiamo rilevato alcun esemplare di Zucca spinosa, al contrario delle nostre aspettative, data l’invasività della specie. L’area con il maggior numero di specie alloctone è risultata essere il Parco del Ticino, a dimostrazione della grande capacità di dispersione autonoma delle essenze aliene, facilitata probabilmente dalla presenza del fiume. In conclusione, risulta essenziale monitorare e tenere sotto controllo la diffusione di queste specie in vista di una futura gestione. La nostra ricerca si pone come un punto di inizio per un’analisi più approfondita del territorio pavese, non solo per le specie da noi censite, ma per tutte le piante alloctone poten-
Bibliografia - AA.VV.2014. Gruppo di Lavoro Specie Esotiche della Regione Piemonte (a cura del), 2014. - Acero negundo https://www.giardinaggio.org/alberi/alberi-latifolie/acero-negundo. asp - Albero del paradiso: https://www.provincia.bz.it/agricoltura-foreste/ bosco-legno-malghe/neofite/ailanto-albero-del-paradiso.asp - Bambù :https://antropocene.it/2020/06/12/bambusa-vulgaris/ https://www.ayurera.it/bambusa-vulgaris/ - Conferenza di Rio:https://www.cbd.int/doc/legal/cbd-en.pdf - Fitolacca: https://it.wikipedia.org/wiki/Phytolacca https://erbeofficinali.org/dati/q_scheda_res.php?nv_erba=FITOLACCA - Lauroceraso: https://www.orto-e-giardino.it/giardino/lauroceraso.htm#:~:text=Il%20lauroceraso%20%C3%A8%20una%20pianta,piuttosto%20 spesse%2C%20dure%20e%20lucide. - Vite americana: https://www.letuepiante.it/blog/vite-americana#:~:text=La%20 vite%20americana%20%C3%A8%20una,magnifiche%20tonalit%C3%A0%20rossastre%20in%20autunno. - Quercia rossa: https://vivaiguagno.com/en/trees-grow-plants/quercus-rubra/ https://www.picturethisai.com/it/wiki/Quercus_rubra.html
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L’ONB si è trasformato
Sono stati costituiti la FNOB e gli Ordini Regionali dei Biologi*
Calabria Campania-Molise Emilia Romagna-Marche Lazio-Abruzzo Lombardia Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta Puglia-Basilicata Sardegna Sicilia Toscana-Umbria Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige *
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