Lib- #04 dicembre 2022

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Il Presidente PLR Burkart: «Per avere successo servono coraggio e soluzioni liberali» Redazione Lib – pagg. 04 e 05

Istanbul ti toglie il respiro quando passeggi per le sue vie cariche di storia millenaria Alberto Lotti – pagg. 18 e 19

Mauro Von Siebenthal e le nuove sfide enologiche nel mondo delle «App»

Pietro Filippini – pag. 21

Dick Marty: «Ho fiducia nelle nuove generazioni. Sapranno affrontare con sensibilità le tremende sfide a cui si troveranno confrontate»

Un anno presidenziale di portata storica

Care lettrici e cari lettori, scrivo queste righe arrivato quasi al termine di un anno presidenziale che non esito a definire di portata storica. Il fatto stesso che un italofono sia alla presidenza della Confederazione è, lo sappiamo, piuttosto eccezionale… il caso o il destino hanno poi voluto che accadessero una serie di fatti straordinari e anche gravi.

L’anno è iniziato nel pieno di una pandemia globale, è proseguito con un’aggressione di uno Stato europeo nei confronti di un altro Stato europeo, poi con le ripercussioni di questo conflitto anche per il nostro Paese: basti pensare all’approvvigionamento energetico o all’inflazione, ma anche all’ampio dibattito sul significato della nostra neutralità.

«Piccoli passi di alto valore»

Guardie svizzere e sfide future

Dal 2016 dirige il Liceo 1 di Lugano. A 48 anni mantiene lo sguardo di una ragazzina, ma dietro la facciata nasconde la forza di Eracle. La professoressa Valeria Doratiotto Prinsi, infatti, ha a che fare ogni giorno con i 1153 studenti che popolano quotidianamente l’istituto luganese. E le sfide non mancano, di fronte all’evoluzione tecnologica e ai rapidi cambiamenti ai quali è confrontata la nostra società. La professoressa Prinsi è finita di recente al centro dell’attenzione per la decisione di non più permettere agli studenti di portare con loro il telefonino durante le lezioni. «Un piccolo passo, ma di alto valore», come lo definisce lei stessa. Ma anche il risultato di un lungo percorso, che ci racconta in esclusiva.

Rubriche – pagg. 10 e 11

Dal 1506 la Guardia Svizzera Pontificia ha il compito, l’onere e l’onore di essere al servizio dei Papi e di vegliare sul Vaticano. Interpretare questo ruolo intriso di tradizione di fronte alla modernità non è sempre semplice anche in un contesto molto legato alla storia come quello della curia romana. A testimoniare questa continua ricerca dell’equilibrio è il Colonnello Christoph Graf, che nel 2015 è diventato il 35° Comandante della Guardia Svizzera Pontificia. In un’intervista esclusiva concessa al nostro mensile, Graf ci offre una fotografia attuale di cosa significa nel 2022 far parte di uno degli eserciti più vecchi del mondo e quale rapporto intercorre tra le guardie e la Svizzera in un contesto internazionale tutto nuovo. Personaggio – pagg. 14 e 15

Edizione 04
Mensile del Partito Liberale Radicale Ticinese Anno 31 GAB Camorino Dicembre 2022 Matilde Casasopra – pag. 02 e 03 Foto Nicola Demaldi
Editoriale – pag. 03 Editoriale Editoriale Editoriale Editoriale Editoriale Editoriale Pubblicità

Dick Marty: «Non esiste la democrazia senza la giustizia»

La guerra in Ucraina e le contraddizioni di un Occidente polarizzato analizzati dall’ex magistrato: «Purtroppo, viviamo in un’epoca di radicalizzazione, o bianco o nero, il grigio non esiste. La realtà, invece, è fatta di un’infinita gradazione di grigi».

È appena tornato da Losanna. Pochi giorni prima, è stato ospite di «Storie» alla RSI . Dick Marty non ha bisogno di presentazioni. È tra gli svizzeri più conosciuti in patria e all’estero. Giurista e politico ha, da sempre, due grandi amori: la giustizia e i diritti umani per i quali si è battuto, e si batte, con competenza e forza straordinarie.

Dick Marty, il 2022 sarà ricordato nei libri di storia come l’anno in cui la Russia invase l’Ucraina o come l’anno in cui l’Europa accettò di dichiarare guerra alla Russia per procura?

«Il 2022 sarà ricordato anche per l’emergenza climatica, con dei picchi inquietanti di calore, di siccità e di catastrofi naturali. Due eventi assai diversi tra loro, ma entrambi testimonianze drammatiche dell’irresponsabilità umana. L’aggressione contro l’Ucraina e le sofferenze intenzionalmente inflitte alla popolazione civile sono ingiustificabili, criminali. Occorre però ricordare che il conflitto inizia parecchi anni prima, nella quasi indifferenza generale. Oltre a condanna-

re, dobbiamo anche chiederci perché personaggi mediocri e pericolosi come Putin (che fino a poco tempo fa aveva molti amici da noi in Occidente) possano raggiungere posizioni di tale responsabilità e godere per anni del sostegno della grande maggioranza della popolazione (e chi ha viaggiato in Russia in questi ultimi anni senza paraocchi non può che confermarlo). Sono le domande che ci siamo posti anche per Hitler o Mussolini (gli orribili crimini del primo non possono farci dimenticare le infamie dell’altro). Questi personaggi nascono e crescono in contesti

particolari, non c’è mai una sola causa, bensì una costellazione di elementi molto diversi tra loro. Nel caso dell’Ucraina occorrerebbe risalire assai lontano nella storia, una storia e una cultura che si intrecciano molto strettamente tra i due odierni contendenti. Per questa vicinanza storica e culturale tra le parti direttamente a confronto, il conflitto assume anche una certa connotazione di guerra civile che, come noto, è solitamente ancora più brutale e sanguinaria. Vero è che i contendenti non sono solo due. L’Occidente, e gli USA in particolare, sono parte del conflitto con enormi forniture di armi e di competenza (e non è necessario menzionare chi sta beneficiando dell’impressionante riarmo al quale assistiamo un po’ ovunque). La comprensione di questa guerra e soprattutto la sua risoluzione sono così rese ancora più difficili, poiché c’è chi, parallelamente, sta conducendo una guerra per procura. A mio parere, molto si è già giocato al momento dell’implosione dell’Unione sovietica. Da una parte vi è stato il caos e l’assalto alla diligenza delle risorse con la conseguente apparizione di

«Si percepisce un po’ ovunque la tentazione a ricorrere all’uomo forte, provvidenziale»
2AttualitàLib– #04, dicembre 2022

una classe di oligarchi in entrambi i paesi; dall’altra penso si sia persa un’occasione storica: aiutare la Russia ad integrarsi nella «casa europea» (espressione usata da Gorbaèëv). Ma in Occidente, dopo decenni di guerra fredda, erano ancora in molti a considerare il mondo russo come un nemico. Inoltre, con la scomparsa del Patto di Varsavia, la NATO cercava nuove motivazioni per continuare a esistere ed espandersi. L’invito di Bush rivolto all’Ucraina e alla Georgia di raggiungere la NATO fu risentito come una provocazione e un’umiliazione dai Russi. E l’umiliazione favorisce l’insorgere di mostri. La guerra in Ucraina costituisce un pericolo anche a livello geopolitico. Ci si poteva aspettare che il carattere manifestamente ingiustificato e barbaro dell’aggressione putiniana provocasse una condanna corale nel mondo intero. Non è stato così. All’ONU, quasi tutti i paesi africani, l’India e molti asiatici si sono astenuti. Non penso sia per simpatia e sostegno alla Russia. Temo che ci sia un’altra spiegazione: un’irritazione e una delusione nei confronti delle democrazie occidentali ritenute ipocrite. Questi paesi non dimenti-

«L’invito di Bush all’Ucraina per l’entrata nella NATO fu sentito a Mosca come provocazione»

cano la colonizzazione, le guerre del Vietnam, l’Afghanistan (e il modo indegno con il quale gli occidentali si sono ritirati), l’Iraq (e le menzogne per giustificare l’invasione), la Libia, il blocco di Cuba, il Cile e altro ancora. Pericoloso, perché il nostro modello democratico appare meno attrattivo a favore di regimi autocratici e nazionalisti. Uno stato di tensione permanente non sarà in grado di affrontare la formidabile sfida ambientale (che implica anche il moltiplicarsi delle pandemie) che rischia, se non affrontata con una strategia globale, di distruggere il mondo in cui viviamo».

Dick Marty, dopo la seconda guerra di Cecenia (1999-2009), si occupò della questione dei diritti umani violati in questa ex Repubblica sovietica socialista autonoma. Perché le sofferenze dei ceceni ebbero in Occidente un’eco decisamente inferiore rispetto a quelle degli ucraini? «Perché i Ceceni non sono europei e sono mussulmani. Per gli stessi motivi ignoriamo la guerra in Yemen, certamente una delle più crudeli o il conflitto in Congo (paese che dovrebbe interessarci poiché ampiamente sfruttato per le sue enormi ricchezze naturali). Ignoriamo le tragedie che ogni giorno si svolgono nelle acque del Mediterraneo (culla della nostra civiltà, oggi ridotto a cimitero). La percezione delle tragedie, l’indignazione e l’empatia non obbediscono a criteri oggettivi, piuttosto a visioni culturali, a pregiudizi, a mode, ma anche a condizionamenti mediatici. Insomma, per ritornare al tema di prima, al più tardi dalla seconda guerra in Cecenia non si poteva ignorare chi fosse veramente Putin. Eppure, continuò a essere ossequiato e molti si precipitarono a Sochi per omaggiarlo».

Lei è da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani. Eppure, in quest’ultimo conflitto anche un’organizzazione come Amnesty International è stata messa in discussione. Cosa sta succedendo?

«Amnesty è certamente una delle ONG più serie del mondo (finanziata esclusivamente da contributi individuali, rifiuta finanziamenti statali e aziendali). Ha denunciato e documentato innumerevoli crimini commessi dall’esercito russo. Lo ha fatto anche una volta nei confronti di quello ucraino. Non è forse una prova della sua indipendenza e della sua obiettività? I crimini degli uni non diminui-

scono affatto i crimini degli altri e non incrinano la legittimità della volontà di difendersi. Purtroppo, viviamo in un’epoca di radicalizzazione, o bianco o nero, il grigio non esiste, prevale il pensiero unico. La realtà è invece fatta di un’infinita gradazione di grigi».

Recentemente, parlando dell’informazione, lei ha rilevato che «le mezze verità sono la peggiore menzogna». Quante mezze verità si sono dette - e si stanno dicendo - sul conflitto in corso?

«C’è un detto dialettale che recita «in guèra, püssée bal che tèra». Churchill lo disse più elegantemente: in guerra vi è qualcosa di preziosissimo, la verità; occorre proteggerla, con una corazza di … menzogne. Le notizie devono pertanto essere accolte e valutate con prudenza. Non solo in guerra».

Leggendo il suo libro «Una certa idea di giustizia» l’impressione è però di un mondo alla deriva.

«Francamente non credo si possa affermare che il mondo vada bene. La biodiversità si sta riducendo con una rapidità impressionante. Le specie scompaiono una dopo l’altra. Temo che anche il genere umano sia in fila allo sportello dell’uscita definitiva. Per questo occorre una vera governance mondiale sorretta da una comunità di intenti e da un’autentica tensione etica e non esclusivamente mercantilistica».

Dick Marty, lei crede ancora in una democrazia fondata sulla separazione dei poteri - politico, giudiziario e religioso - o nella battaglia di retrovia con la quale si tenta di far prevalere un potere sull’altro si cela un cambio d’epoca?

«La tendenza è evidente: assistiamo ovunque a un rafforzamento dell’esecutivo con conseguente indebolimento degli altri due poteri. La democrazia non esige solo la separazione dei poteri, bensì anche l’equilibrio tra di loro, ciò che gli AngloSassoni chiamano check-and-balance. Si percepisce un po’ ovunque la tentazione del ricorso all’uomo forte e provvidenziale, nonostante i tragici precedenti della storia».

Ma lei crede ancora nella giustizia o, con Cicerone (De Officiis I, 31-33), può accettare che «Summum ius summa inuiria»?

«Non può esistere una democrazia senza giustizia. Troppo spesso, tuttavia, la giustizia è forte con i deboli e debole con i forti. È intollerabile e dobbiamo reagire e lottare contro questa perversione».

Siamo alla fine di un anno che avrebbe dovuto, dopo quelli di pandemia, vederci migliori. Come vorrebbe fosse il 2023?

«Ho fiducia nelle nuove generazioni, sapranno esprimere sensibilità e capacità nell’affrontare le tremende sfide odierne. Mi auguro che la politica

«Ho

sia vissuta non solo come confronto, ma anche come collaborazione poiché mai come ora abbiamo bisogno di visioni condivise e di alleanze per realizzarle. Spero che le scelte di chi governa siano fatte sulla base della competenza e di criteri etici. Questo presuppone che le campagne elettorali non si fondino sul denaro e la manipolazione dei social e che non assumano le sembianze di un gran premio del miglior venditore d’auto d’occasione. La democrazia è come una piantina delicata, ha bisogno di cure attente e continue. E perché no? anche di amore». ■

Sul finire dell’anno sono arrivati due nuovi colleghi in Consiglio federale segnando il ritorno, per la seconda volta nella storia, di una maggioranza latina in senso all’esecutivo.

È stato un immenso onore presiedere la Svizzera. Un onore e una responsabilità, nei confronti di tutti i cittadini e in particolar modo di quelli di lingua italiana, che spero si siano sentiti un po’ più in primo piano negli ultimi mesi. Durante tutto l’anno ho voluto mettere in evidenza la ricchezza della pluralità svizzera. Ho portato i miei colleghi di Consiglio federale dall’estremo Nord (Sciaffusa) all’estremo Sud (Mendrisiotto) durante l’escursione del Consiglio federale. Poi dall’estremo Ovest (Ginevra) all’estremo Est (Müstair) per le sedute extra muros. Ho anche cercato di portare la politica estera in tutto il Paese: a cominciare dalla conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina svoltasi in luglio a Lugano. Assieme a tanti ospiti da tutta la Svizzera e a tanti amici ticinesi abbiamo poi festeggiato questa presidenza nel mese di settembre, facendo tappa ad Airolo, Biasca, Bellinzona e Lugano.

Diversi sono stati i momenti soddisfacenti: cito il fatto, piuttosto raro, di aver potuto avere incontri ufficiali a livello presidenziale con tutti i Paesi confinanti. La visita del presidente Mattarella ha permesso di mettere in rilievo la forza dell’italianità come fattore costituente della Svizzera, nonché le potenzialità insite nella nostra relazione con l’Italia. Altri due momenti mi sono rimasti particolarmente impressi nel cuore: la visita in una Kiev segnata da tanti mesi di conflitto e l’incontro con la regina Elisabetta – un vero e proprio incontro con la Storia – poco prima della sua scomparsa.

Cari amici e amiche liberali, un anno eccezionale necessita di un impegno altrettanto eccezionale ed è quello che ho cercato di fare giorno dopo giorno, in nome della sicurezza in Europa, della democrazia nel mondo, della pace e della prosperità per ogni persona. Sempre guidato dalla bussola dei valori liberali. Auspico che queste ultime settimane dell’anno 2022 possano portare serenità in seno alle vostre famiglie, e se possibile un po’ di calore e speranza a chi si trova nel mezzo di una guerra. Buone feste! ■

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Lib– #04, dicembre 2022 3 Attualità
fiducia nelle nuove generazioni. Sapranno affrontare le sfide odierne»

Thierry Burkart:

«Se si mira al successo oggi serve coraggio!»

Liberalismo, realismo, pragmatismo. Sono questi i termini chiave per il Presidente del PLR svizzero. Che illustra il suo «manifesto» programmatico ad un anno dalla sua entrata in carica e a poco meno di un anno dalla scadenza elettorale dell’ottobre 2023.

Libertà, concretezza, valori. Energia, riforme, sicurezza. E, ancora, democrazia, chiarezza, pragmatismo. È un fiume in piena il Presidente PLR Thierry Burkart. Ad un anno esatto dalla sua entrata in carica alla guida del partito e a 12 mesi dalle elezioni federali dell’ottobre 2023, il Consigliere agli Stati argoviese, in un recente incontro con la base PLR ha ribadito l’importanza dei valori liberali radicali per il benessere della Svizzera, indicando a chiare lettere la via che intende seguire in difesa di questi valori fondamentali. Partendo da un termine chiave: coraggio. «Soprattutto per quanto riguarda la sicurezza, l’energia e la politica economica, negli ultimi mesi i partiti alla nostra sinistra e alla nostra destra hanno dovuto posizionarsi sulla base di quanto proposto dal PLR - e non il contrario. Abbiamo promosso temi ampiamente discussi e condivisi dai cittadini. Come del resto si addice alla forza politica che ha storicamente plasmato e modellato questo Paese in misura di gran lunga maggiore rispetto alle altre e che continuerà a farlo anche in futuro. Ma ci vuole coraggio. Senza coraggio non c’è successo!».

Coraggio, certo, ma anche pragmatismo, progettualità e consapevolezza. Malgrado si trovi alla guida di un partito in salute, indicato dai sondaggi in chiara crescita di consensi, Burkart in-

vita a mantenere chiaro l’obiettivo di promuovere il benessere del nostro Paese. E questo è proprio il momento opportuno per capitalizzare lo slancio costruito negli scorsi mesi, attraverso temi e proposte concrete. «Se guardiamo agli ultimi 12 mesi, siamo stati in grado di essere propositivi e profilati. Riconosciamo i problemi e definiamo le nostre posizioni in anticipo. Ad esempio, già prima dello scoppio della guerra

sizionamento, certo, ma anche presenza concreta con temi particolarmente vicini alla cittadinanza, riconoscibili, come ad esempio con le iniziative popolari delle Donne PLR e dei Giovani liberali radicali, entrambe premiate dalla popolazione. «Entrambe le iniziative sono a favore di principi liberali fondamentali: l’iniziativa sulle pensioni per un finanziamento della nostra previdenza vecchiaia è orientata al futuro, è sostenibile e quindi solida; l’iniziativa sull’imposizione individuale propone un approccio di vita senza discriminazioni da parte dello Stato - ha sottolineato Burkart -. Al contrario, le iniziative per tasse e pensioni eque lanciate dal Centro non fanno altro che creare nuove disuguaglianze, non sono finanziabili e privilegiano un solo stile di vita. Questo non è un approccio liberale! Negli ultimi mesi, il nostro partito si è chiaramente posizionato come ‘la’ forza borghese-liberale di questo Paese».

in Ucraina, abbiamo affrontato il problema della mancanza di sicurezza nell’approvvigionamento di energia elettrica e presentato soluzioni a breve e medio termine in una risoluzione. «Gouverner c’est prévoir!», diceva qualcuno… Se ci posizioniamo con sufficiente anticipo, diventiamo credibili agli occhi della popolazione». Po-

L’evoluzione della neutralità

Di fronte alla situazione internazionale caratterizzata dalla guerra in Ucraina, Burkart ha poi tracciato un’interessante analisi riguardante lo stato di salute della nostra neutralità in questo contesto. Una lettura dell’evoluzione del concetto di neutralità attraverso la lente del liberalismo.

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«Riconoscere i problemi e definire le posizioni in tempi brevi aiuta a profilarsi»

Gli attuali rappresentanti del PLR al Consiglio Nazionale.

«Questa guerra ci mostra la fragilità della pace e della sicurezza, anche in Europa. Ma ci mostra anche che siamo di fronte ad un conflitto tra democrazia e autocrazia, tra Stato di diritto e arbitrio, tra umanità e barbarie. Uno stretto confidente di Vladimir Putin ha parlato di una «jihad contro il liberalismo occidentale». La democrazia e il liberalismo in Europa sono quindi in pericolo.

Di fronte a questa situazione, il PLR non vuole e non deve rimanere in silenzio. Siamo dalla parte della libertà, della democrazia e dell’autodeterminazione! Non si tratta di una violazione della neutralità. Perché la Svizzera non è mai stata neutrale. Dove il diritto internazionale viene calpestato, dove la democrazia, lo Stato di diritto e la dignità umana sono minacciati, noi mostriamo la nostra bandiera. Anche in questo caso, è utile precisarlo: L’Ucraina, in quanto Stato sovrano, ha il diritto di difendersi. Gli appelli all’acquiescenza da parte dell’UDC e persino dei Verdi Liberali sono, con tutto il rispetto, semplicemente ingenui».

Senso della realtà, non sogni Passando ad un altro tema chiave di questi mesi, la politica energetica, Burkart punta su un concetto base molto chiaro: abbiamo bisogno di più realismo e meno sogni. La Svizzera negli ultimi anni è stata confrontata ad un approccio spesso molto ideologico nell’ambito delle fonti energetiche, ma questo – alla luce dei fatti – ha portato all’attuale situazione di difficoltà sul piano dell’approvvigionamento. «La politica energetica condotta negli ultimi anni è stata un fallimento di

re. A differenza di altri partiti, però, per noi è sempre stato chiaro che se la popolazione cresce, l’economia produce e l’obiettivo resta la decarbonizzazione, è necessaria più elettricità. Molta più elettricità!» Insomma, un’ecologia senza ideologia. A differenza di quanto proposto da altre forze politiche. «La sicurezza e l’approvvigionamento di energia elettrica sono, tra gli altri requisiti, la base per un’economia funzionante e quindi per la nostra prosperità - prosegue Burkart -. È la prosperità la base per risolvere altri problemi, siano essi ambientali o sociali. La ricetta della socialdemocrazia non funziona nemmeno in questo caso. Il co-presidente del PS, Cédric Wermuth, ha riassunto il programma del PS in un tweet lo scorso 12 ottobre: «Il problema principale per il clima: l’abbondanza. La soluzione: tasse, tasse, tasse». Questa mancanza di idee è una dichiarazione di fallimento».

La voce liberale della Svizzera

Gli attuali rappresentanti del PLR al Consiglio degli Stati.

I deputati PLR alle Camere federali. Il Capogruppo è il neocastellano Cottier.

Il 22 ottobre 2023 si svolgeranno le prossime elezioni federali.

Alle accuse sul fronte della politica interna di violazione della neutralità con l’applicazione delle sanzioni contro la Russia, Burkart risponde in modo chiaro e senza esitazioni. «Alla luce della palese violazione del diritto internazionale, è giusto che la Svizzera abbia sostanzialmente accettato le sanzioni dell’UE a febbraio e nei mesi successivi. Un rifiuto avrebbe portato all’incomprensione e all’irritazione del mondo occidentale e quindi al nostro isolamento. L’affermazione che partecipando alle sanzioni abbandoniamo la nostra neutralità diventando parte in causa della guerra, è già storicamente falsa. Per inciso, questa accusa proviene solo da un partito, l’UDC. Nemmeno la Russia ha assunto questa posizione. La legge sulla neutralità è chiaramente definita. La politica di neutralità è sempre stata interpretata alla luce del proprio tempo, in modo che la nostra neutralità fosse percepita in modo credibile nel mondo e che andasse a vantaggio del nostro Paese. La neutralità non è un fine in sé, ma un mezzo per la sicurezza stessa del nostro Paese».

prim’ordine - evidenzia Burkart -. Per garantire un approvvigionamento sicuro, il PLR non esclude alcuna tecnologia. In futuro sarà necessario puntare su un ampio mix di fonti energetiche diverse. Inoltre, i politici devono essere chiari con la popolazione: non è possibile eliminare gradualmente l’energia nucleare e allo stesso tempo raggiungere gli obiettivi climatici. È importante che le energie rinnovabili, l’acqua, il solare, l’eolico e la geotermia possano essere potenziate più velocemente e più facilmente. Ciò non richiede una riduzione del diritto, ma solo l’accorpamento, la semplificazione e l’accelerazione delle procedu-

In conclusione, Burkart ha poi toccato alcuni aspetti programmatici per il futuro del nostro Paese: «Se vogliamo evitare l’assimilazione a modelli statali meno riusciti e meno favorevoli ai cittadini, la politica svizzera ha bisogno di nuovi impulsi liberali. L’alternativa è una Svizzera che sta diventando un biotopo dell’istruzione e della redistribuzione statale, che è ciò a cui i verdi di sinistra lavorano continuamente perché nella loro presunta superiorità morale vogliono imporre a tutti noi il loro stile di vita. La discussione esagerata sulle questioni di genere e gli eccessi sulla cosiddetta appropriazione culturale non sono concetti liberali! Sono espressione di intolleranza. È questo che vogliamo? O vogliamo una Svizzera alla UDC, che si ritira nel suo orticello e non riconosce ciò che accade intorno a noi? O una Svizzera alla maniera del Centro, il cui presidente si sgola sui media ma il cui gruppo parlamentare decide esattamente il contrario? O un paese come quello promosso dai Verdi Liberali, autoreferenziale, che non offre alcun contributo reale alle soluzioni politiche e finisce per votare con la sinistra o con i Verdi? No, questa non può essere la strada del nostro Paese». ■

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«La nostra Svizzera ha molto bisogno di nuovi impulsi liberali radicali»
Thierry Burkart Presidente PLR e Consigliere agli Stati
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«L’esperienza non va mai in pensione e anche gli Over 57 hanno un grande potenziale»

In Ticino quasi il 30% di chi è andato in pensione per limiti di età vive in condizioni precarie. Dall’analisi di questo problema nasce un’interessante iniziativa dedicata al reinserimento professionale. «Un progetto di inclusione sociale» spiega l’ideatore.

sionati che desidererebbero tornare attivi, ma talvolta non sanno come farlo».

Come funziona la piattaforma?

«Su questo portale possono proporsi tutte le persone a partire dai 57 anni che hanno ancora voglia di mettersi in gioco e di rendersi utili. Chi si mette a disposizione si accorda con il committente grazie a una chat di messaggistica interna che permette di specificare tutte le esigenze del caso, ad esempio la necessità di portare del materiale aggiuntivo o altre richieste speciali, con la possibilità di condividere foto e documenti per illustrare l’incarico, cosicché l’accordo sia dettagliato e tenga conto di eventuali peculiarità e costi extra».

Quanti ambiti sono coperti attualmente dalla piattaforma e quali sono i compiti più richiesti?

Dinamici, intraprendenti, con competenze professionali alle spalle, tecnologicamente preparati e, non da ultimo, con un’aspettativa e una qualità di vita nettamente superiori a quelle delle generazioni precedenti. I nuovi pensionati, per la maggior parte hanno uno stile di vita attivo, desiderano impiegare al meglio il loro tempo e non hanno alcuna intenzione di farsi mettere da parte. Contemporaneamente, però, non sono pochi quelli che si trovano a dover affrontare molti ostacoli di ordine sociale ed economico. In un recente studio dell’organizzazione Pro Senectute Svizzera, infatti, è emerso che l’inflazione, la crisi energetica e il carovita hanno aggravato una situazione già delicata per la terza età. In Ticino, in particolare, quasi il 30% di chi è andato in pensione per limiti di età vive in condizioni precarie. È dall’attenta considerazione di un simile scenario che Gianmarco Galli ha fondato Over57.com, «un progetto di inclusione sociale, orientato a pensionati e persone che dai 57 anni in su si ritrovano senza lavoro e frequentemente ad affrontare disagi importanti dovuti all’inattività, all’isolamento sociale e a difficoltà economiche», spiega l’imprenditore.

Gianmarco Galli. Come nasce l’idea di dare vita a questo progetto?

«Sono partito dalla constatazione di come i tem-

pi siano cambiati e i pensionati nonostante l’avanzare dell’età, mantengono un’aspettativa e una qualità di vita nettamente superiori a quelle delle generazioni precedenti. Ma accanto a questo fenomeno positivo ci troviamo spesso confrontati con un numero sempre crescente di ultracinquantenni che perdono il lavoro con scarse pos-

«Ad oggi figurano oltre 350 sottocategorie, dalle professioni più semplici alle più qualificate. È una realtà glocal, nel senso che non ha confini geografici, ma punta a mettere in relazione persone vicine tra loro. Da questo punto di vista direi che non ci sono limiti: lo spettro spazia dal giardinaggio alla consulenza aziendale, dal fai da te alla tecnologia, senza dimenticare le attività didattiche e ricreative legate all’infanzia, come le lezioni di recupero o di musica fino alla figura del “nonno adottivo».

Ci sono aspetti della piattaforma che dovrebbero essere ancora messi a fuoco presso potenziali investitori e non solo?

sibilità di ritrovarlo. Ecco, Over57.com nasce proprio dall’esigenza di fare incontrare queste due realtà, perché sono fermamente convinto che l’esperienza possa ancora rivestire un ruolo essenziale nella nostra economia».

Quando e come ha avuto l’intuizione del progetto?

«Lavoro in proprio da vent’anni, con una mia agenzia, nel campo della comunicazione. Sono partito da un’esigenza che avevo in ufficio. Circa quattro anni fa ero alla ricerca di un project manager che potesse aiutarmi in alcune attività, senza doverlo assumere a tempo pieno. Mi sono chiesto quanti fossero quelli come me che avevano analoghe esigenze e magari non riuscivano a trovare chi facesse al caso loro. Prendendo in considerazione l’altro lato della medaglia, poi, avevo davanti l’esempio di mio suocero. È stato direttore di Autogrill per tanti anni. Una volta andato in pensione, ha iniziato a lavorare nel giardinaggio, specializzandosi in quest’area, e diventando sempre più richiesto. Da questa e tante altre esperienze raccontate, ho compreso che sono tanti i pen-

«Over57.com non è un’agenzia di collocamento o prestito personale, ma una piattaforma di contatto. Uno degli obiettivi è diventare l’Airbnb degli Over 57: invece di case, appartamenti o stanze, noi offriamo le loro competenze. Ci sono almeno due denominatori comuni che caratterizzano questo target. Il primo è legato a una difficoltà economica piuttosto oggettiva, propria di molte persone. Sono in tanti quelli che faticano ad arrivare a fine mese. Diversi sono andati in pensione e non erano pronti per affrontare il cambiamento. Ma ci sono anche coloro che, in età matura, si sono ritrovati a perdere il lavoro e non lo immaginavano. Faticano ad accettare le nuove condizioni di vita e non sanno bene come orientarsi, trovandosi spaesati e in difficoltà».

E l’altro elemento?

«Il secondo fattore tenuto in considerazione è di ordine psico-sociale. Sempre di più - e la pandemia ne è stata testimonianza evidente - gli individui faticano ad approcciarsi al rapporto sociale con gli altri quando vivono uno stato di disagio. Per cui tendono a stare sempre di più tra le mura domestiche. Il rischio di isolarsi diventa importante, con tutti i pericoli che ne conseguono: fobie, attacchi di panico, depressione, dipendenze (da alcol, gioco d’azzardo, farmaci o droghe, solo per citarne alcune). Potersi mantenere attivi, gestendo il proprio tempo in modo positivo con incarichi saltuari e riscontrare il riconoscimento delle proprie abilità, come accade con la nostra piattaforma, apre prospettive interessanti sul piano pratico e mentale». ■

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«Sono fermamente convinto che l’esperienza oggi possa rivestire un ruolo essenziale».

ranno St.Gallo a Ginevra. CST è adatto sia per la fornitura di merci finite, che per lo smaltimento di rifiuti e il riciclaggio. Il progetto è sviluppato e finanziato al 100% da investitori privati».

Quali sfide vanno affrontate dal profilo ingegneristico? Qual è l’ordine di grandezza dell’investimento della prima tratta?

«Per la costruzione di 70 km di linea sotterranea e di circa 10 HUB (Stazioni di carico in superficie) sono previsti costi per ca 3 miliardi di franchi. Le sfide ingegneristiche sono molte-

plici. Gli elementi di progetto complessi sono tanti: oltre alle usuali tematiche relative alle opere sotterranee già incontrate nelle gallerie lunghe come nei progetti AlpTransit, qui si aggiungono i temi della protezione della falda nei luoghi urbani, dell’approvvigionamento energetico e dello smistamento delle merci tra le stazioni e gli agglomerati urbani (Progetto detto SmartCity)».

Quali benefici concreti potrebbe trarre la Svizzera da questo progetto?

«Già 100 milioni di investimenti privati per Cargo Sous Terrain»

L’avveniristico sistema per il trasporto di merci leggere è pronto per la progettazione. L’obiettivo è spostare il 30% dei trasporti stradali sotto terra. Tutti i dettagli spiegati dall’Ingegner Olimpio Pini, esperto nella costruzione di opere sotterranee.

Olimpio Pini. Da anni si parla del progetto Cargo Sous Terrain quale innovativo sistema di trasporto merci sotterraneo. A che punto siamo?

«Negli scorsi 12 mesi si sono fatti importanti passi in avanti con CST: il Parlamento nazionale ha infatti approvato una Legge che permette ad un investitore privato la realizzazione e la gestione di un impianto così importante e con un grande impatto urbanistico sull’Altipiano svizzero. Gli studi di fattibilità si sono nel frattempo conclusi ed un gruppo di investitori ha immesso in CST più di 100 milioni di franchi per procedere agli studi progettuali fino alla fase di realizzazione».

CST è un progetto visionario: ma come funziona?

«CST è un sistema logistico globale, totalmente automatico per il trasporto flessibile di mer-

ci di piccole dimensioni (fino a 400 kg). Le gallerie di CST collegano i siti produttivi e logistici con i centri urbani. In superficie, CST distribuisce le merci trasportate con veicoli ecologici, contribuendo così a ridurre traffico ed emissioni. Il primo tratto collegherà l’area di Härkingen con Zurigo a partire dal 2031. I comparti rimanenti saranno costruiti entro il 2045 ed uni-

Il primo tratto di CST sarà pronto fra un decnnio e collegherà Härkingen a Zurigo

«CST permetterà di trasportare merci mediopiccole ad una velocità costante di 40 km/h tra Zurigo e Berna. Questa è la prima tratta: ne sono previste altre 4. L’obiettivo è portare il 30% del totale delle merci che oggi viaggiano su strada in una «Ferrovia sotterranea». Il progetto non fa concorrenza al trasporto merci pesanti oggi gestito dalle usuali linee ferroviarie FFS e Cargo, ma tocca invece i veicoli leggeri, tipo furgoncini, per il trasporto merci; oggi si assiste ad un aumento spettacolare di questi trasporti «non pesanti».

CST potrebbe aprire (o, meglio, riaprire) le porte al progetto Swissmetro o le due cose sono totalmente indipendenti? «Swissmetro è un progetto ormai abbandonato da tempo e non ha nulla a che fare con CST. Allora si pensava di trasportare poche persone a grande velocità; la Svizzera è troppo piccola per essere promotrice di un progetto simile. Con basi tecniche molto diverse e con investimenti tecnologici enormi, oggi questa idea di treni supersonici è in fase di studio su percorsi molto più lunghi negli USA (progetti Hyperloop). Ma è anche vero che lo spirito innovatore di Swissmetro ha innescato, quarant’anni, dopo la scintilla di CST, ragionando sul trasporto merci interregionale invece che sulle persone».

Esiste una prospettiva che «guarda a Sud» nel futuro di questo progetto? Soprattutto considerando i problemi di traffico in Ticino?

«Direi che già oggi è escluso un prolungamento attraverso le Alpi. Il traffico merci «alpino» è un traffico pesante ed internazionale. Non c’è mercato per un traffico di merci leggere. Anche Basilea, ad esempio, non è oggi nella pianificazione di CST; i movimenti di merce sono «limitati» ed i costi per l’attraversamento della catena carsica del Giura sono molto elevati».

Allora il Ticino ne è proprio escluso ? «Il Ticino è convolto, se non sul tracciato, nella progettazione dell’opera. Infatti PINI GROUP con sede a Lugano è l’ufficio leader nella sua progettazione in particolar modo per le opere sotterranee. Spero che anche la SUPSI possa essere coinvolta in futuro con studi specialistici sulla trasportistica». ■

Lib– #04, dicembre 2022 7 Attualità
Per la costruzione di 70 km di linea sotterranea e 10 «Hub» in superficie servono 3 miliardi
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Da Berna al Canton Vaud, la nuova sfida politica e personale dell’ex Presidente del

«Nazionale»

Dallo scorso 1° luglio, Isabelle Moret ha cambiato «mestiere». Dai banchi del Consiglio nazionale è passata alla scrivania di direttrice del Dipartimento vodese dell’economia, dell’innovazione, del lavoro e delle finanze. E ci racconta i primi mesi nell’esecutivo.

cambiamento climatico, ma anche muoversi verso un’economia più sostenibile e inclusiva. Innovazione e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia: crescita sostenibile entro i limiti che ci impone la tutela del nostro pianeta. Insieme ai funzionari del mio dipartimento (il Dipartimento dell’economia, dell’innovazione, del lavoro e delle finanze, ndr), stiamo facendo del nostro meglio per realizzare la transizione energetica e diventare così un Cantone all’avanguardia in questo campo ».

«Con umiltà, serietà e impegno! Entrare a far parte di un esecutivo è certamente una sfida importante, ma soprattutto un’occasione unica per lavorare per il bene comune e per rispondere alle aspettative e ai bisogni dei nostri concittadini. Molte sfide attendono il governo e sono molto fiera di poter lavorare fianco a fian-

co con tutti i miei colleghi con l’obiettivo di mantenere un’ottima qualità di vita nel nostro Cantone, e ovviamente anche garantire condizioni quadro ottimali per le imprese».

Lei ha ricoperto la più alta carica a livello nazionale (oltre al Consiglio federale). Sente di aver fatto un passo indietro a livello politico?

«La mia elezione al Consiglio di Stato del mio Cantone è fonte di grande soddisfazione, perché ora posso agire concretamente su temi che

L’innovazione è certamente uno dei punti di forza della regione del Lago Lemano. Può dirci qualcosa di più al riguardo di questo successo? Come potrebbe il Ticino ispirarsi al Canton Vaud per incrementare la sua competitività?

«Il nostro obiettivo è quello di coniugare innovazione e sostenibilità. Abbiamo partenariati pubblico-privati (PPP) efficaci e aziende all’avanguardia che hanno permesso al Canton Vaud di diventare una delle due principali piazze economiche del Paese. La chiave è avere le migliori condizioni quadro possibili per incoraggiare la creazione e lo sviluppo delle imprese. Ciò comprende, ad esempio, un sostegno mirato per le start-up e le scale-up (che per definizione sono in sostanza le start-up che hanno già raggiunto un certo successo sul mercato, 10 milioni di dollari di fatturato nei primi 5 anni secondo le indicazioni di Deloitte, ndr)».

mi stanno a cuore, come lo sviluppo di un’economia sostenibile, la proposta di misure per dare lavoro a tutti, il miglioramento dell’uguaglianza di genere o la lotta contro ogni tipo di violenza».

Quali sono le principali sfide che la politica cantonale vodese è chiamata ad affrontare dal suo punto di vista dopo alcuni mesi di «pratica» sul territorio? «Viviamo in un mondo sempre più polarizzato, dove le crisi si susseguono e si sovrappongono. Il Cantone non deve solo affrontare le sfide del

In conclusione, torniamo brevemente a gettare lo sguardo alla politica nazionale, come valuta la situazione attuale (guerra, neutralità, finanze, ecc.) e le risposte che la Svizzera sta dando? «La situazione geopolitica internazionale è diventata particolarmente instabile. Negli ultimi quindici anni, il nostro Paese ha dovuto affrontare crisi che si sono susseguite e sovrapposte: pandemie, difficoltà nelle catene di approvvigionamento globali, impennata dei prezzi delle materie prime, guerra nel cuore del continente europeo, protezionismo, blocco delle istituzioni multilaterali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I nuovi flussi migratori e l’inflazione stanno ora mettendo a dura prova i nostri sistemi, le nostre finanze e le nostre istituzioni. Per non parlare della recessione che sta colpendo duramente alcuni Paesi e che potrebbe colpire anche il nostro nel 2023. Non si tratta di dipingere il diavolo sul muro, ma di essere realisti e prudenti nelle decisioni da prendere. Per restare un Paese in cui è bello vivere». ■

Tempo
lettura 4’25’’
di
Isabelle Moret. È passata in pochi mesi dalla presidenza del Consiglio nazionale al Consiglio di Stato del Canton Vaud. Con quale spirito ha affrontato questa nuova sfida?
«Ora posso concentrarmi sui temi che mi stanno a cuore, dando risposte concrete»
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Lib– #04, dicembre 2022 9 Attualità
«Il nostro obiettivo cantonale è quello di coniugare innovazione e sostenibilità»

Valeria Doratiotto Prinsi:

«La regola? Piccoli passi, ma dall’alto valore simbolico»

La direttrice del Liceo Lugano 1 si racconta a ruota libera. Partendo dal mondo della scuola, che sta vivendo anni complessi di fronte all’evoluzione tecnologica e ai cambiamenti nella società.

stata Carla Del Ponte; a ottobre è stata la volta di Laura Silvia Battaglia; poi, a novembre, si è raccontata Federica De Rossa. Oggi c’è… Valeria Doratiotto Prinsi: «La regola? Piccoli passi dall’alto valore simbolico»

gano 1, prima di prendere posto, lasciano il cellulare all’entrata dell’aula. Lo possono recuperare se il docente reputa possa servire per un’attività didattica precisa, come l’utilizzo del vocabolario digitale o l’analisi di fonti per una ricerca. Finita la ricerca, il cellulare torna nell’apposito deposito».

Fine Ottocento. La seconda rivoluzione industriale è partita da poco (1870), ma il lavoro di semina e raccolto nei campi è quello di sempre e, soprattutto nelle risaie, sono le donne ad essere impiegate da mattino a sera per pochi spiccioli. Sono proprio le donne a dare il «la» ad una rivoluzione che unirà lavoratrici e lavoratori in una lega che condivide aspettative e rivendica giustizia. «Sebben che siamo donne» diventa una canzone che si trasforma in inno. «Sebben che siamo donne» è il titolo di questa rubrica che, mese dopo mese, vuol farvi conoscere donne speciali. La prima, a settembre, è

È il primo venerdì di dicembre. Fa freddo. Il lago, là in fondo, sembra di mercurio. Qualche coraggioso si aggira sul piazzale. Gli altri sono nelle aule. Sono 1153 gli studenti a lezione. Lei, la prof.ssa Valeria Doratiotto Prinsi, 48 anni appena compiuti, arriva puntuale con passo silenzioso. Direttrice dal settembre del 2016 del Liceo di Lugano 1, ha il sorriso della ragazzina e la forza di Eracle. Il suo ufficio, quello che fu anche di Francesco Chiesa, è uno scrigno di indizi nel quale è piacevole perdersi alla ricerca di un filo conduttore. È la prima volta che c’incontriamo. Non sarà l’ultima, anche perché dal suo maglione grigio occhieggia una spilla a forma di stivale di Babbo Natale. Di lì spunta, sorridente, un micio. «È il regalo di mio marito per questo primo giorno di dicembre». Perché un gatto a lei che ha affidato in cura tre cani - Rucola, Bruschetta e Merlot - ai suoi genitori? «Perché amo i gatti, ma… non posso averne. Sono allergica». Mi volto e, sulla mia sinistra vedo Mafalda che ammonisce: «Adesso basta!» e così… lasciamo il micio ed entriamo nel mondo della prof.ssa Valeria. «Lo scorso mese di novembre è stato per me uno di quelli in cui la vita ti impone dei salti importanti» confessa la prof.ssa Doratiotto Prinsi. La domanda è quasi d’obbligo.

Perché?

«Vede, io amo la scuola, amo il mio lavoro e fare il lavoro che volevo fare nel luogo in cui sognavo di farlo è, con mio marito, una delle fortune che la vita mi ha elargito. Non vivo però in un universo parallelo: qui la scuola, di là il mondo. Il mondo, la società, comprende anche la scuola e sono convinta che solo uscendo dalla dialettica della contrapposizione - genitori contro scuola, studenti contro genitori, scuola contro politica e via discorrendo - si possono raggiungere quegli obiettivi che, sostanzialmente, tutti perseguiamo».

Ovvero?

«Senta, io lavoro tanto per immagini ed episodi concreti, quindi le racconto perché oggi zoppico leggermente. Il micro-incidente ha avuto luogo ieri sera (30 novembre, ndr) al termine delle quattro serate di incontro della direzione e dei docenti con i genitori degli allievi (334) delle classi prime (16). È un appuntamento rituale, ma quest’anno c’erano delle novità importanti da comunicare, per cui ci tenevo che passasse bene il messaggio».

Ed è stato ben recepito?

«Oltre le aspettative: nell’ultima serata c’è stato addirittura un applauso a scena aperta dei genitori che mi ha profondamente emozionata (da qui la storta mentre scendevo le scale per tornare a casa) ed incoraggiata a proseguire su questa strada».

Adesso però diciamo quali sono queste novità. «Certo: dal 7 novembre gli allievi del Liceo di Lu-

Motivo di questa decisione/provvedimento?

«Un percorso fatto d’incontri interdisciplinari che hanno visto il corpo docente suddiviso, a partire da agosto, in dieci gruppi nei quali gli insegnanti erano rappresentati per età e materie diverse. Tema centrale: la riflessione sul profilo dell’allievo liceale. Sono emerse molte tematiche, ma sono rimasta impressionata dai rilievi fatti dai docenti sulle conseguenze, anche neurologiche, dei dispositivi tecnologici. È stato un duro confronto con un mondo del quale tutti approfittiamo, ma del quale tutti ancora poco conosciamo. La scuola, ed è la sua bellezza, ci garantisce il vantaggio di lavorare in una zona protetta. La società affida alla scuola il compito di tramandare alle nuove generazioni il sapere e i valori sui cui è fondata; la scuola, per adempiere a questo suo compito, a questa sua vocazione, ha la responsabilità di adottare quegli strumenti necessari per mettere a fuoco i pericoli generati dalla nostra società iperedonistica e volta alla gratificazione immediata, ed arginarli. Noi, anche grazie a medici - in particolare il dottor Waldo Pezzoli - abbiamo potuto esplorare i danni che i dispositivi tecnologici possono arrecare agli esseri umani e ai giovani in particolare. Il quadro che ne è uscito mi ha turbata parecchio. Così, visto che alla scuola è affidato il mandato di formare le generazioni future offrendo loro la possibilità di affacciarsi sul mondo in modo responsabile, ho fatto appello alla

mia regola didattica: non azioni d’imperio, ma piccoli passi dall’alto valore simbolico. Questo del «depositare» - e si badi bene, non del «bandire dall’aula» - il telefonino prima delle lezioni è un piccolo passo che nasce dall’ascolto e dal confronto con i docenti e ha richiesto una grande macchina comunicativa: dibattito nel Collegio dei docenti, Assemblea dei genitori sul tema, incontro con il Comitato studentesco (all’inizio assolutamente contrario al provvedimento, poi convinto perché ha compreso), comunicazione coordinata a tutti gli studenti il 7 novembre da parte dei docenti, e informazione ai genitori (delle classi prime). Un docente (torna l’importanza dell’ascolto) mi ha fatto notare che depositando il cellulare si perdeva la cognizione del tempo (ormai gli orologi appesi alle pareti delle aule sono caduti in disuso). Non ci avevo pen-

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10Sebben che siamo donneLib– #04, dicembre 2022
«La scelta di far depositare (non di bandire) il telefonino in aula nasce da un lungo iter»

sato e così… nelle aule - a tempo record - sono tornati gli orologi a muro. Ed è così che, piano piano, la regola è diventata una disciplina seguita, compresa e condivisa».

E i genitori?

«Gliel’ho detto. Dopo le spiegazioni e, lo ammetto, anche dopo l’invito rivolto loro dal pediatra Pezzoli durante l’Assemblea dei genitori di adottare questa regola anche a casa - ovvero depositare il cellulare prima della cena in famiglia e, sicuramente, prima di andare a letto - hanno applaudito. Alcuni ci hanno ringraziato «per aver preso una decisione che dà loro una sponda per portare il tema a casa». Vede, come accennavo prima, oggi più che mai, non ha senso parlare per categorie: genitori, docenti, studenti. Tutti noi siamo figli della stessa società ed è solo insieme che possiamo cambiarla in meglio».

Vero, ma… non è che, così facendo, la tecnologia, al Liceo di Lugano 1, risulti, se non bandita, almeno osteggiata?

«No. Assolutamente. In ossequio alle decisioni del giugno 2018 della Confederazione e della Confe-

«La tecnologia non è bandita. Dal 2026-27 ci saranno i primi maturandi in informatica»

renza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) che hanno reso obbligatorio l’insegnamento dell’informatica al liceo, dall’anno scolastico 2022-2023 l’informatica figura nel catalogo delle discipline insegnate nei licei ticinesi con un piano di studio preparato negli ultimi anni anche grazie alla preziosa collaborazione dell’esperto in materia prof. Gianbattista Ravano. I primi studenti per cui sull’attestato di maturità comparirà anche la materia informatica usciranno nel 2026-2027».

Qui però, nel 2026-2027, ci sarà un grande cantiere… «Vero. Dal prossimo settembre si procederà al restauro del Palazzo degli studi del Liceo di Lugano 1 (costruito nel 1904) e, fra qualche anno, alla costruzione della nuova sede di scuola media. Mentre stiamo parlando, a Viganello - vicino alla SUPSI - sta sorgendo la sede del Liceo di Lugano 3. È un passo inevitabile ridimensionare i grandi numeri del Liceo di Lugano 1, se si vuole mantenere la qualità dell’insegnamento che abbiamo raggiunto. Stiamo, tutti insieme, lavorando per fare in modo che la riduzione di 500 studenti prevista qui al Liceo di Lugano 1, studenti che migreranno nella nuova sede con il relativo trasferimento di decine di docenti, possa avvenire nel migliore dei modi. Stiamo alacremente lavorando con il caposezione Daniele Sartori e i colleghi direttori del Luganese (i prof. Gianmarco Zenoni, che dirigerà il Liceo di Lugano 3, e Michea Simona, direttore del Liceo di Lugano 2 che nei prossimi anni dovrà anch’esso essere ridimensionato da 830 a 650 allievi). Con tutti i docenti del Liceo di Lugano 1, poi, sto approfondendo scambi, condivisione e conoscenze per sfruttare al massimo la ricchezza dei grandi numeri prima della divisione».

E lei, prof.ssa Doratiotto Prinsi, cosa farà? «Rimarrò qui al Liceo di Lugano 1 e, se ho fatto bene i calcoli, quando il cantiere dell’intero comparto chiuderà i battenti sarà quasi giunto per me il momento di riconsegnare le chiavi. Chi mi succederà avrà un ufficio con vista lago e, verosimilmente, farà un po’ meno fatica di quella che stiamo facendo noi a conciliare lavoro e vita privata. È un pensiero che mi consola: sarà bello, una volta in pensione, attraversare questa zona del Parco Ciani e ripensare a questi anni e alle decisioni importanti che sono state prese». ■

Malafede energetica e... Ticino solarpunk

Gli scienziati del MIT di Boston hanno compiuto un passo in avanti nella corsa allo sviluppo di un reattore a fusione nucleare: l’intenzione è di mettere in funzione entro il 2025 un reattore dimostrativo, e poi, chissà, potremo iniziare a produrre elettricità infinita senza impatto ambientale. Nel frattempo, diversi Cantoni (ma non il Ticino) progettano impianti fotovoltaici alpini su larga scala e l’utenza domestica sogna le tecnologie che le permetteranno di produrre l’elettricità che le serve su pochi metri quadri di pannelli.

Insomma: non è azzardato dire che le mie nipotine potrebbero vivere in un Ticino nel quale atomo e sole hanno risolto per sempre il problema dell’approvvigionamento di energia. In letteratura, questo è lo scenario descritto da un sottogenere ottimista della fantascienza, chiamato solarpunk.

Al di là dei dettagli scientifici, la tendenza è chiara; ciò ha però subito provocato l’affacciarsi di una domanda, alla mia mente maligna. Di fronte alla prospettiva che la tecnologia ci permetta di produrre tutta l’energia della quale abbiamo bisogno, con un impatto ambientale pari a zero, che emozione sente un attivista rossoverde? Tiro a indovinare, ma non credo si tratti di felicità.

Il fatto è che scoperte come quella del MIT confermano quanto le forze liberali, PLR in prima linea, sostengono da tempo: la crisi ambientale è un problema molto grave, ma in fin dei conti transitorio. Non dobbiamo mai perdere la fiducia nell’ingegno umano e nella capacità della nostra specie - quando lavora all’unisono, come per i vaccini contro il COVID - di trovare soluzioni tecnologiche ai propri problemi

(naturali o autoindotti).

Se oso supporre che le forze della sinistra (nella versione originale o in quella smaltata di verde) non esultino alla prospettiva di un Ticino solarpunk, è perché sono convinto che, sotto sotto, la loro posizione pubblica sul tema dell’energia non sia del tutto onesta.

Quello che ci tengono ben nascosto, cioè, è l’idea di futuro verso il quale intendono avviare la nostra società. Non voglio seminare sospetti gratuiti, ma timori ben documentati: perché quando uno combatte i combustibili fossili ma si oppone sia al nucleare («e la sicurezza? e le scorie?») sia alle rinnovabili («e il paesaggio alpino? e i beni culturali?»), diventa lecito mettere in dubbio la sua buona fede.

Per quanto mi riguarda, la malafede energetica del blocco rosso-verde è evidente e nasconde un progetto preciso, figlio della constatazione che alla popolazione svizzera di oggi non è possibile vendere esplicitamente, neanche con il più raffinato marketing politico, il loro prodotto principale: la (pseudo)religione della «decrescita felice», nuovo nome del loro culto antiindustrialista venato di pensiero magico («Solo veganesimo biodinamico! Stop 5G!»).

La pandemia aveva fatto sognare alla sinistra , per l’ennesima volta, il collasso del capitalismo. Ora che il nostro stile di vita ha retto perfino ai lockdown, non resta che agitare lo spettro del cambiamento climatico («Agire è urgentissimo! Non stiamo facendo nulla!») e, nel contempo, opporsi sistematicamente a qualsiasi soluzione praticabile.

Il piano è chiaro: spingerci fino al punto in cui la decrescita sarà inevitabile - e pazienza se sarà molto, molto infelice. ■

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Lib– #04, dicembre 2022 11 Sebben che siamo donne
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«Voglio impegnarmi per un Ticino in cui imparare, lavorare e vivere»

Prosegue il viaggio di Lib- alla scoperta dei cinque candidati liberali radicali in corsa per il Consiglio di Stato. Oggi è il turno della Capogruppo in Gran Consiglio, che si presenta ai blocchi di partenza «con grandissimo entusiasmo, motivazione e spirito di servizio».

Alessandra Gianella. Deputata, capogruppo e adesso candidata al Consiglio di Stato. Con che motivazione affronta questa campagna elettorale?

«Con grandissimo entusiasmo e motivazione, spirito di servizio e voglia di dare il mio contributo. In ogni campagna elettorale si parte dal punto zero, se pensiamo alla situazione di partenza di questa campagna dobbiamo anche fare i conti con un Ticino confrontato con problemi ben diversi rispetto a quattro anni fa. Nessuno avrebbe immaginato che avremmo dovuto ragionare su scenari insoliti come, per esempio, la difficoltà di approvvigionamento energetico, l’inflazione che pesa sul nostro borsellino, i costi della salute che impennano….Nuove sfide si sono aggiunte a quelle che già conosciamo come Cantone di frontiera, nulla è scontato e certo, i cittadini vogliono soluzioni concrete e il nostro compito è quello di lavorare per un Ticino al passo con i tempi».

Energia, formazione e mercato del lavoro sono tra i temi prioritari per il PLR. Quanto è difficile in Parlamento perseguire con costanza questi temi?

«La costanza nel portare avanti questi temi c’è sempre, il problema è che in un parlamento molto frammentato siamo chiamati a trovare compromessi perché non abbiamo più i numeri di una volta. Senza la convergenza con almeno altri due partiti, oggi non abbiamo le maggioranze necessarie per portare a casa le proposte in cui crediamo. Questo significa investire molto tempo nelle discussioni con gli altri partiti, cercare di trovare laddove possibile dei compromessi ed essere coscienti che non sempre si riesce ad ottenere tutto. Un lavoro appassionante che richiede dialogo e costanza per trovare soluzioni a favore dei cittadini».

Dovesse indicare i principali risultati del Gruppo PLR in Gran Consiglio di questo quadriennio, su cosa punterebbe i riflettori?

«Al primo posto metterei la coesione: se penso alla nostra squadra in GC ritengo che grazie ad un sano dibattito interno siamo riusciti molto spesso a portare avanti una linea comune sui temi strategici, siamo in ventitré e ognuno ha le proprie sensibilità, non è scontato riuscire a mantenere una linea coerente e comune. La nostra bussola è sempre stata la difesa dei valori di libertà, coesione e progresso perché sono elementi imprescindibili della nostra identità liberale radicale. Abbiamo lavorato sodo in tutte le commissioni e presentato moltissime proposte che abbracciano tutta la società: deduzione per i premi di cassa malati, aumentata nel caso dei figli, successione aziendale nelle PMI che sono il cuore del tessuto economico, più slancio per le energie rinnovabili, la li-

beralizzazione dei commerci, l’ospedale universitario, la spinta per rendere il Ticino un polo di ricerca d’importanza nazionale, l’alleggerimento della fiscalità che attira patrimoni e gettito anziché perderli, l’importante cantiere sulla scuola pubblica… e potrei citarne molte altre!»

Da qualche settimana è anche vicepresidente del PLR svizzero. Come giudica il primo approccio con questa esperienza e perché è importante mantenere questo contatto stretto con Berna? «Il primo approccio è molto positivo, avere una visione a 360 gradi aiuta a capire più a fondo alcune problematiche. In un sistema federalista è fondamentale far sentire la propria voce,

La sua professione le impone spesso di guardare oltre i confini nazionali, ad esempio verso la Cina. Questo sguardo sul mondo come incide (se incide) nella sua azione politica?

«Incide molto! Ho studiato, lavorato e vissuto anche in svizzera interna ed in Cina, mi sono sempre dovuta adattare a situazioni e contesti diversi dai nostri cercando di imparare il più possibile da ogni situazione. L’orizzonte temporale è fondamentale, è un momento storico in cui occorre fare, e adesso, scelte che orienteranno lo sviluppo del Cantone nei prossimi dieci o vent’anni. Il contesto geopolitico è in continuo cambiamento, non possiamo perdere tempo e restare fermi, di conseguenza cerco di guardare avanti sempre con un po’ di sano ottimismo per portare soluzioni, attraverso una sensibilità generazionale, professionale, femminile e pragmatica».

stringere alleanze per convincere le persone, ma l’approccio deve essere propositivo e collaborativo. A livello nazionale il partito sta riuscendo molto bene ad anticipare i temi chiave con posizioni chiare, ci stiamo provando anche a livello cantonale perché è fondamentale non subire l’agenda politica ma riuscire a plasmarla».

Qual è il suo ideale di Ticino in cui vivere nel 2030? E come provare a raggiungerlo? «Un Ticino accogliente in cui imparare, lavorare e vivere. Lo dico perché in questi anni ho visto una tendenza preoccupante: un Cantone sempre più chiuso su sé stesso, spesso disfattista e negativo, immobile e poco propenso al cambiamento. Tutto questo mi fa male e mi sprona ogni giorno a cercare di cambiare le cose. Io sogno un Ticino interconnesso, con meno pregiudizi, più fiducioso nelle sue possibilità, capace di prendere in mano il proprio destino e diventare protagonista, rinunciando alla tentazione di piangersi addosso e dando anche ai giovani un valido motivo per decidere di restare, vivere e lavorare qui». ■

Alessandra Gianella:
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Lib– #04, dicembre 2022 13 Il personaggio
«La vicepresidenza nazionale mi permette di avere una visione a 360 gradi»

Christoph Graf

Storia, fede, responsabilità, futuro. A colloquio con il Comandante della Guardia Svizzera pontificia, che dal 1506 è al servizio dei Papi e veglia sulla Città del Vaticano. Un corpo scelto che si muove tra tradizione e modernità.

14Il personaggioLib– #04, dicembre 2022

Colonnello Christoph Graf. I compiti della Guardia Pontificia dal XVI secolo ad oggi: cosa è rimasto uguale e cosa è mutato?

«La nostra missione principale è sempre stata la stessa sin dalla fondazione della Guardia: proteggere il Santo Padre e la sua residenza. Questo vale anche per i viaggi del Papa. In tempi di sede vacante della Sede Apostolica, le guardie proteggano i cardinali durante il Conclave. L’assunzione di incarichi onorari e d'ordine si è sviluppata lentamente ma costantemente dall'inizio del nostro servizio. L’incarico più recente risale al 1929 e riguarda la sorveglianza dei confini dello Stato della Città del Vaticano. Se il nostro servizio è praticamente lo stesso dall'inizio della Guardia, l'ambiente è cambiato enorme-

zera Pontificia è necessario possedere i seguenti requisiti: Il candidato deve essere di nazionalità svizzera, alto almeno 174 cm, in buona salute, di fede cattolica, aver completato la scuola reclute, aver completato la formazione professionale o la scuola superiore, avere un'età compresa tra i 19 e i 30 anni e una reputazione impeccabile. Dopo le varie selezioni e i colloqui, se il candidato viene scelto, parteciperà alla formazione per diventare guardia. Questo comporta un corso di formazione di due mesi, uno in Vaticano basato sulla conoscenza del luogo, delle persone che lavorano in Vaticano e del servizio regolare della Guardia. Il secondo mese di formazione si svolge in Svizzera, in Ticino, con la Polizia cantonale ticinese, dove la formazione è incentrata sulla sicurezza, con utilizzo di armi e tecniche di difesa. In seguito, se il candidato soddisfa i requisiti di formazione, inizierà il suo servizio».

Da comandante, che tipo di rapporto intrattiene con il Papa?

que un posto importante per la formazione delle guardie».

Ci può parlare della nuova caserma? Quali opportunità? Come viene finanziata? «La nuova caserma è un progetto che fa parte del processo di sviluppo della Guardia Svizzera

mente. Tecnica, materiale, addestramento, situazione di minaccia, ecc. La sfida consiste nell'adattarsi sempre a queste circostanze in modo da poter adempiere pienamente alla nostra missione».

Cosa rappresenta la Guardia Pontificia nella storia e nella cultura svizzera?

«La Guardia Svizzera Pontificia è oggi il vestigio dei mercenari svizzeri. Non siamo più mercenari nel senso stretto del termine. La Guardia Svizzera Pontificia ha una lunga storia, strettamente legata alla storia della Chiesa e dei mercenari svizzeri, cioè del servizio all'estero. La Guardia Svizzera Pontificia rappresenta oggi le tradizioni militari svizzere che hanno reso la Svizzera famosa in campo militare per secoli. La Guardia combina tradizione e modernità, promuovendo i valori della cultura svizzera».

Quanto è importante la Fede per il lavoro della guardia? E come avvengono reclutamento e addestramento?

«La fede è parte integrante della nostra vita quotidiana. Tra l’altro, ci permette di affrontare le diverse prove con coraggio e determinazione. Una Guardia deve avere fede per entrare in un mondo come quello della Guardia e del Vaticano. Gli permette di comprendere l'importanza fondamentale del nostro servizio quotidiano alla Chiesa e al Papa.

Per quanto riguarda il reclutamento delle guardie e la loro formazione, è importante sapere che per entrare a far parte della Guardia Sviz-

«Come comandante sono sempre nelle sue immediate vicinanze durante gli eventi ufficiali. Di conseguenza, lo incontro regolarmente, almeno una volta alla settimana, all'udienza generale. Nonostante questa vicinanza, anche il comandante si comporta sempre in modo discreto e professionale».

Ci sono problemi a livello di reclutamento, oppure il «mestiere» di guardia pontificia resta attrattivo?

«La Guardia Svizzera Pontificia ha requisiti di reclutamento che limitano drasticamente il nostro campo di reclutamento. Questo non significa che siamo a corto di personale. Tuttavia, dobbiamo continuare a promuovere il reclutamento di nuove guardie, in quanto abbiamo un

Pontificia. Oggi la caserma attuale non è più in grado di soddisfare tutte le esigenze infrastrutturali della Guardia. Con la nuova caserma, saremo in grado di offrire condizioni igieniche ottimali, spazi privati per le guardie, comfort per le famiglie delle guardie e una caserma che rispetta le norme ecologiche. Il finanziamento della nuova caserma è assicurato dalla Fondazione del Restauro della Caserma della Guardia Svizzera Pontificia. Lo scopo di questa fondazione è raccogliere fondi e finanziare il progetto della nuova caserma e la sua messa in opera».

Si parla molto di apertura della Guardia alle donne. Cosa c’è di vero?

«La questione delle donne nella Guardia non rientra nelle nostre competenze decisionali. In definitiva, la decisione spetta al Papa. Al momento non abbiamo le condizioni logistiche e amministrative per accogliere donne. Pertanto, non è ancora prevedibile». ■

costante ricambio nella Guardia, che può portare a una carenza di personale di tanto in tanto. Oggi direi che la Guardia Svizzera Pontificia offre un ambiente di lavoro unico ai giovani svizzeri che vogliono fare la loro prima esperienza nel campo della sicurezza all'estero. La Guardia continua quindi a fare appello ai candidati che desiderano unirsi ad essa».

Quali le emozioni del giorno del giuramento? Come può un semplice cittadino partecipare?

«Il giuramento è il momento culminante della carriera di una Guardia Svizzera. È soprattutto un giuramento davanti a Dio, quello di dare la propria vita per proteggere quella del Papa. Le guardie che giurano sentono il peso della responsabilità che questo comporta. Si svolge ogni 6 maggio alla presenza di vari ospiti e familiari delle guardie».

Una tradizione della Guardia è il pranzo di San Martino, che il 9 novembre scorso si è tenuto a Lugano. Quali i legami fra la Guardia e il cantone Ticino?

«Quest’anno, la Fondazione per il sostegno della Guardia Svizzera Pontificia ha organizzato la tradizionale cena di San Martino in Ticino. Il Canton Ticino è un partner affidabile e apprezzato dalla Guardia Svizzera Pontificia. Da diversi anni abbiamo l’opportunità di inviare le nostre giovani reclute ad allenarsi con la Polizia cantonale ticinese. Devo dire che questa collaborazione sta dando i suoi frutti e i risultati si vedono qui a Roma. Il Cantone Ticino è dun-

Biografia

Il Colonnello Christoph Graf è nato il 5 settembre 1961 ed è originario di Pfaffnau (LU). È sposato e padre di due figli. Christoph Graf è entrato nel Corpo nel 1987. Dall’ottobre 2010 ha assunto il ruolo di sostituto del Comandante e come tale suo consigliere personale.

Era responsabile del controlling e ricopriva la funzione di capo dello stato maggiore. Nel corso della sua carriera in seno al Corpo, il colonnello Graf ha inoltre ricoperto l’incarico di istruttore delle reclute e la funzione di Sergente Maggiore. Il 7 febbraio 2015 è stato nominato da Papa Francesco 35° Comandante della Guardia Svizzera Pontificia.

«Il nostro servizio è lo stesso fin dagli albori. A cambiare sono tecnica e materiali»
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«Le donne nella Guardia? Non è di nostra competenza e oggi non ci sono le condizioni»
Lib– #04, dicembre 2022 15 Il personaggio
«Come Comandante sono sempre nelle vicinanze del Papa, ma con discrezione»

L’inefficienza dei regali di

Natale: analisi economica, sociale e psicologica di un rito millenario

Secondo alcuni esperti, gli acquisti natalizi sarebbero in realtà «un’orgia di distruzione della ricchezza». Per i forzati del regalo, invece, i doni rafforzano le relazioni tra le parti e inviano un messaggio. Ecco come interpretare il dilemma con gli occhi di un economista.

gel, distruggerebbe tra il 10% e il 30% del valore. Un enormità che lui definisce cinicamente come «un’orgia di distruzione della ricchezza». Ma perché allora continuiamo con questa tradizione vecchia ormai di millenni?

Oltre i gelidi numeri

Come i più sensibili tra i lettori avranno intuito, questo puro discorso finanziario lascia fuori vari aspetti importanti. Innanzitutto il valore della relazione. Un regalo è una componente della comunicazione sociale; con un regalo inviamo un messaggio. Se da un lato vi potrebbe essere un fine mercenario, dall’altro il motivo princi-

Il Natale: un momento di gioia e amore. Basta una parola per farci sognare le vie illuminate del centro, Jingle Bells nei negozi, un camino accesso e l’addobbo dell’albero. Lo sappiamo, non solo il periodo festivo regala tanti sorrisi a grandi e piccini ma rappresenta un vero toccasana anche per i commercianti. Ciononostante, secondo alcuni esperti, al posto di creare ricchezza la stiamo distruggendo. Una visione che di certo non ci ricorda l’odore dei biscotti e le canzoni di Bublé. Ecco alcuni spunti di riflessione dall’economia e psicologia.

Regalare o non regalare Tutti noi sappiamo che il periodo natalizio rappresenta una manna dal cielo per tutti gli esercenti. Alcuni economisti lo chiamano «effetto Babbo Natale», che non è solo un modo per sorprendere i bambini, ma è anche un termine per indicare proprio il boom che smuove l’economia di fine anno grazie ai milioni di regali che ci scambiamo. Tuttavia, al posto di costruire ricchezza la stiamo distruggendo. Questo è ciò che ci dice Joel Waldfogel nel suo libro «Scroogenomics: Why You Shouldn’t Buy Presents for the Holidays», in Italiano: «Il libro che Babbo Natale non vi farebbe mai leggere». Un ampio discorso degno di un personaggio di Dickens attorno alla

teoria dell’efficienza dei regali di Natale. Infatti, stando a quanto ci dice la rigorosa teoria economica, lo scambio dei doni è una pratica alquanto inefficiente per via dell’irrazionalità dell’essere umano e dell’asimmetria informativa. In effetti, quando regaliamo, spesso non conosciamo le preferenze del destinatario e ciò significa che per ogni franco speso per un regalo generiamo meno soddisfazione che se il destinatario del dono avesse - con lo stesso importo - acquistato qualcosa per sé. Anche la soluzione dei classici buoni non sembra tanto utile. Non servono statistiche ufficiali per sapere che una buona parte di essi non verranno mai utilizzati. È così che il periodo Natalizio non solo non fa girare l’economia ma bensì, secondo le stime di Waldfo-

pale è quello di riflettere sul valore degli altri, non di assicurarci un profitto dall’affare. Questo è quello che gli economisti chiamano «segnalazione». Ovvero, facendo un dono, si rivela il fatto di aver prestato attenzione all’altra persona e ai suoi interessi. Si invia il segnale di affezione che va oltre il mero valore economico. Sì, perché, come spesso ci dimentichiamo, il valore non sempre corrisponde al prezzo. Pensiamo banalmente al sorriso di un bambino o di un caro. Questi non hanno prezzo ma comunque hanno un enorme valore per noi. Insomma, un’insieme di gesti che rafforzano le relazioni tra le parti e che porta benefici soprattutto sociali e psicologici. Infatti, non vi è solo un valore aggiunto per chi riceve il regalo ma anche uno per chi lo fa. La scienza ci dice che si attivano nel nostro cervello le stesse aree «della ricompensa» che si attivano quando mangiamo della cioccolata o quando venivamo abbracciati da nostra madre per aver fatto una buona azione. Questo meccanismo neuronale sostiene, per così dire, una pratica antichissima che risale addirittura agli antichi Romani, necessaria alla costruzione e al mantenimento di relazioni significative.

Una soluzione per quest’anno È così che quest’anno, in cui la crisi energetica terrà qualche lucina spenta, il colore rosso colorerà non solo la giubba di Babbo Natale ma anche il rendimento del portafoglio investimenti e dove l’inflazione farà costare un tantino di più ogni singolo regalo, la parola d’ordine diventa: evitare gli sprechi. Pensiamo allora a quella massimizzazione della connessione sociale, tanto banale quanto importante e pensiamo al potere delle emozioni. Perché, parafrasando quello che scrive Dan Ariely, uno dei maggiori esponenti dell’economia comportamentale, sul Wall Street Journal: «Invece di dare a vostra sorella il primo libro che trovate a tiro o che pensate debba leggere, andate in libreria e provate a pensare come lei. È un serio investimento economico e sociale». Buone Feste! ■

Un regalo è anche una componente della comunicazione sociale
16EconomiaLib– #04, dicembre 2022
Ogni franco speso per un dono genera meno soddisfazione di una spesa fatta per sé stessi

Il «cigno nero» dell’energia impone soluzioni senza ideologie

La penuria energetica ha origini più lontane nel tempo rispetto alla guerra in Ucraina. Ed è figlia delle scelte sbagliate in politica.

Negli ultimi due anni, abbiamo vissuto delle situazioni che possono essere riassunte con la metafora del «cigno nero», cioè eventi statisticamente improbabili, ma che sono accaduti, causando un impatto notevole. La pandemia, prima, e la guerra in Ucraina, poi, stanno generando in noi molta incertezza per un futuro che coincide ormai con un’era segnata dalla scarsità.

Ma quanto questa scarsità è reale, nel senso di oggettiva, e quanto è costruita, cioè risultato di comportamenti e scelte politiche sbagliate?

Se guardiamo all’energia, la crisi era in gestazione molto tempo prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. A titolo d’esempio, già prima della guerra, il Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport (DDPS) aveva realizzato uno studio che analizzava i maggiori rischi per la popolazione, e tra questi l’interruzione di corrente e la penuria di elettricità erano tra i più impellenti. Occorre inoltre ricordare che negli anni Settanta la nostra società ha vissuto un periodo simile con la crisi del petrolio, l’iperinflazione e la recessione. Già allora sono state fatte molte riflessioni sui limiti dello sviluppo economico e sono nate le prime correnti ideologiche allarmistiche e catastrofistiche per il nostro futuro. Tuttavia queste visioni non si sono mai realizzate, anche perché la forza di autoregolazione dell’economia di mercato è stata sottovalutata. È proprio in questi momenti di crisi che il mercato impara a correggere il tiro, ad aggiustare gli equilibri e a stimolare l’innovazione, non sicuramente i divieti e gli aiuti statali.

Tornando a oggi, possiamo analizzare gli errori fatti dall’ambientalismo estremo e antiscientifico, che ci aveva illuso con la prospettiva di

un rapido passaggio ad un mondo alimentato al 100% da energie rinnovabili. L’uscita prematura, per una scelta di pancia, dal nucleare, la demonizzazione dell’energia fossile e uno pseudoambientalismo che ha bloccato per anni molti progetti di centrali solari o eoliche in nome di un paesaggio da tutelare, ci hanno condotti in questa situazione, bloccando lo spirito innovativo e gli investimenti in queste fonti energetiche, portandoci, in fin dei conti, alla penuria attuale.

La transizione energetica

La transizione energetica deve essere separata dall’ideologia per riuscire a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette di CO2 entro il 2050 e fare rima con sicurezza nell’approvvigionamento energetico. Secondo il rapporto dell’Accademia svizzera delle scienze (Académie suisses des sciences) per riuscire a raggiungere questo obiettivo devono materializzarsi 5 fattori chiave: ridurre la domanda di servizi energetici, incrementare l’efficacità energetica, rimpiaz-

zare le energie fossili con energie rinnovabili, riutilizzare i materiali e estrarre il CO2 residuo nell’atmosfera. L’efficacia energetica deve essere realizzata cronologicamente prima del rimpiazzo con le rinnovabili, ad esempio attraverso l’isolamento degli stabili. La transizione energetica deve inoltre fondarsi su due pilastri fondamentali che sono l’energia idroelettrica e solare. Non bisogna poi dimenticare l’integrazione della Svizzera nel mercato internazionale dell’energia (in particolare l’accordo con l’UE sull’elettricità).

Le risposte alle domande

Per tornare alla domanda iniziale, la risposta sta nel mezzo, perché la penuria attuale è ben visibile a tutti, ma è frutto di scelte politiche sbagliate e affrettate. Ora l’unica soluzione è quella di cambiare rotta per evitare di commettere gli stessi errori del passato, ripensando la transizione energetica non in maniera ideologica, ma in maniera razionale e oggettiva, per un’ecologia senza ideologia. ■

Lib– #04, dicembre 2022 17 Politica
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Istanbul, una città che vi saprà mozzare il fiato ed emozionare

Colori, sapori, profumi e contraddizioni della metropoli affacciata sul Bosforo. Attraverso le bellezze culturali, le testimonianze di millenni di storia e il brulicare di mercanzie nei tradizionali (ma non sempre originali) bazar. Passeggiando a cavallo tra Europa e Asia.

Se siete tentati dall’idea di un viaggio coinvolgente, se desiderate perdervi in una città che sappia mozzare il fiato, la vostra scelta cadrà su Istanbul. Ecco il primo consiglio: non entrate in città tramite le tangenziali, scegliete piuttosto la via tradizionale che, arrivando dal mar di Marmara, si lascia alle spalle la vista delle navi in attesa dell’autorizzazione a proseguire verso nord, della costa asiatica e delle isole dei Principi. Oltrepassate le prime torri bizantine, seguirete la strada che si snoda lungo le mura di Giustiniano, procedendo lentamente, lo sguardo rivolto verso l’alto. Potrete così godere delle prime visioni dei minareti che attorniano la moschea blu e la basilica di Hagia Sophia, simboli di due imperi e due religioni. Dopo avere costeggiato i giardini di Topkapi, attraverserete il Corno d’oro varcando il ponte di Galata. Non ci si può perdere, la rotta è ora segnata dalla Torre dei Genovesi. Ecco, siete sul Bosforo!

Un ingresso che da solo vale l’intero viaggio, un percorso breve ma intenso, premonitore delle scoperte dei giorni successivi. Disfatte le valige, giunge il momento di percorrere i quartieri della città vecchia, aprendo i sensi ai profumi, sapori, colori, suoni che permeano i suoi vicoli e i suoi han, che sospingono il pensiero oltre la sponda europea, verso le vie della seta. Col tempo, negli osservatori più attenti, alla gioia e all’emozione si sovrapporrà un velato senso di smarrimento, di tristezza. È la nostalgia per un passato differente, per certi versi migliore: ce lo ricorda Orhan Pamuk nei suoi romanzi, ancor più nei suoi libri fotografici. La nostalgia per una tradizione le cui testimonianze vengono via via cancellate. La tristezza della classe intellettuale della città, colta ed europea, che, se la vorrete ascoltare, vi parlerà del degrado di antichi quartieri,

dei rifugiati che vengono dalle frontiere orientali, della crescente islamizzazione, dell’eco dei conflitti combattuti fuori e dentro i confini della nazione.

Istanbul, una città proteiforme, per conoscerla serve una vita. In queste righe, mi limiterò a indicare alcuni percorsi a me cari, lasciando al lettore l’iniziativa di indagare i rimanenti.

La basilica della Sapienza divina Le mie scorribande per Istanbul iniziano imman-

ni di una Turchia non confessionale perdano oggi vigore.

Hagia Sophia: il nome stesso ispira e reclama un rispetto particolare. Sophia non è una martire, bensì un concetto teologico complesso, la Sapienza divina, sulla cui natura per secoli si è dibattuto.

La basilica viene eretta nell’anno 532, come messaggio di bellezza, ma anche di potere. Si tratta di riaffermare il prestigio dell’imperatore Giustiniano dopo la sanguinosa repressione della rivolta -detta di Nika - scoppiata nel vicino Ippodromo. Il trono era in pericolo, interi quartieri erano stati incendiati e distrutti, compresa la chiesa di Teodosio II. Edificata nel 415 sulla stessa area dell’attuale, se ne scorgono ancora importanti reperti.

cabilmente a Hagia Sophia. Amo osservarne da lontano i potenti contrafforti, la luminosa facciata color rosso vivo, la cupola ardita, ma al tempo stesso elegante e leggera. È questa l’immagine, il simbolo immortale di Bisanzio che, fin dai tempi della scuola, conservo nella mente. Neppure i quattro minareti che ne circondano il perimetro riescono a rompere l’equilibrio. Almeno fino a quando il complesso è rimasto un museo, aggiungevano anzi un senso di tolleranza, di solidarietà fra visitatori dalle diverse fedi. Peccato che le visio-

Come restaurare il prestigio imperiale? Occorrevano non solo le armi dei generali Narsete e Belisario, ma anche la capacità di creare nuovi simboli, nuove meraviglie. Ecco sorgere, in pochi anni, una basilica dall’architettura audace, dalle dimensioni inusitate, costruita con materiali ed elementi provenienti da ogni parte dell’impero: dai templi di Efeso, dalle cave egizie e siriane, perfino dalla stessa Roma.

L’interno di Hagia Sophia è ancora più emozionante dell’esterno. Meno massiccio e più dolce, è permeato da luci e colori intesi a creare quell’atmosfera celestiale per cui la basilica è stata sapientemente studiata dai suoi architetti, per cui è famosa. Riserviamo al lettore il piacere di scoprirne i segreti, in particolare i dettagli dei mosaici: sia di quelli floreali, voluti dall’imperatrice

mie scorribande per Istanbul iniziano sempre dalla basilica Hagia Sophia 100 85 El i 2 i dd 1 28/07/22 14 41 Pubblicità 18GiramondoLib– #04, dicembre 2022
Le

532

Teodora e sopravvissuti all’epoca iconoclasta dell’VIII e IX secolo, sia quelli ad essa successivi, che ci tramandano immagini che a lungo hanno dettato i canoni dell’arte sacra, che l’Islam ha sì coperto, ma comunque rispettato per la loro bellezza.

Al termine della visita, uscendo da una massiccia porta in legno, l’invito è di osservare un ultimo mosaico, della fine del X secolo, che resterà alle nostre spalle ma che potremo ammirare tramite un abile gioco di specchi. Mostra la Vergine in trono con il Bambino, affiancata da Costantino nell’atto di donarle la città e da Giustiniano che le offre il modellino della chiesa. Usciti, non resta che procedere all’esplorazione di altre testimonianze bizantine: l’adiacente Ippodromo con i suoi importanti reperti, la colonna di Costantino, in porfido egiziano, la Cisterna, un deposito d’acqua del VI secolo costruito sotto una preesistente basilica, da cui ha ereditato le fattezze di palazzo.

nino con lo sgombro, dai riflessi delle due sponde: da una parte la Torre dei genovesi, dall’altra i minareti delle moschee costruite dai grandi sultani. Posto il piede sulla banchina di Eminönü, consiglio la visita dell’antistante moschea di Rüstem Pascià, gran visir e genero di Solimano, opera dell’architetto imperiale Sinan. Uno splendido esempio di architettura ottomana del XVI secolo, che consente a chi voglia osservare non i grandi spazi, ma i dettagli, un’intimità non ritrovabile nelle moschee imperiali. Degne di nota le splendide maioliche di Iznik che ne arricchiscono gli interni come gli esterni, caratterizzate da disegni floreali, sovente di tulipani, con prevalenza di colori rossi. A fianco di Rüstem Pascià, si erge il «Mısır Çarşısı», bazaar egizio o delle spezie. Al suo interno, si potrà pranzare al ristorante «Pandeli», ultimo baluardo della cucina greca di Costantinopoli, un ambiente unico da non mancare!

esempio quella adiacente di Solimano, dai cui giardini si gode di una veduta senza pari sul Corno d’oro e i suoi quartieri antichi.

In cammino fra le case di legno, verso le mura di Teodosio

Ecco un circuito molto originale ma in cui non è facile districarsi. Per percorrerlo a piedi occorre una certa conoscenza della città, meglio ancora venire accompagnati da un amico del posto.

Si snoda per le vie di tre quartieri: Fatih, commerciale e islamizzato, denso di uomini barbuti e donne velate, Fener, greco, infine Balat, ebraico.

Sono le aree più ricche di storia popolare di Istanbul, un labirinto di case, di monumenti nascosti, di edifici in legno ora decadenti, ora sapientemente restaurati, che si alternano fino alle sponde del Corno d’oro. Il percorso comprende anche la visita a due basiliche, trasformate la prima in moschea, la seconda in museo. Portano i nomi di Theotòkos Pammakaristos (Beata Ma-

Gli abitanti della metropoli sono ormai saliti sopra quota 15 milioni.

Le prime notizie dell’esistenza della città risalgono al 660 a.C.

Il quartiere storico è patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1985.

Scendendo a piedi da Pera, sono solito percorrere le vie dei venditori di strumenti musicali e degli antiquari, per poi attraversare il ponte di Galata, collegamento sul Corno d’oro fra la città nuova e quella antica. Se nei dipinti di fine Ottocento ancora ne ammiriamo la vecchia struttura in legno, bisogna ammettere che il ponte di oggi lascia intatta la soddisfazione di chi lo attraversa. Il tragitto è allietato dalla presenza di molti pescatori, dall’acquisto di un tradizionale pa-

È solo dopo pranzo che giunge l’ora della vera sfida! Alle spalle del bazar, ci si lancia verso la sommità della collina, affrontando una pendenza ripida, attraversando un dedalo di vie commerciali, dove si aprono negozi piccoli e grandi di ogni genere, mentre i venditori ambulanti ti offrono il simit, una ciambella di pane, oppure spremute di melograno, quando non fichi e castagne. Molto più in alto, si varca una delle quattro porte d’ingresso del Kapalıçarşı: una qualsiasi, non sempre si riesce a ritrovare la stessa. Percorrere i tetti sovrastanti i seicenteschi corridoi del bazar, al pari di Daniel Craig nel film «Skyfall», è un’esperienza irripetibile, beninteso per chi non soffra di vertigini. All’interno è un brulicare di commerci, alcuni genuini, altri artefatti. C’è chi ritiene che il bazar abbia perso autenticità, sia divenuto un centro commerciale un poco falso, in cui al turismo europeo si sostituisce quello arabo o russo. Per chi, invece, conosce i vecchi negozianti che sono lì da generazioni e da loro si fa consigliare sorseggiando un çay alla mela, il bazar mantiene il fascino di sempre.

Usciti dal Kapalıçarşı, si potrà terminare la giornata visitando una delle grandi moschee, ad

dre di Dio) e di San Salvatore in Chora. Sono nomi significativi per lo storico come per l’archeologo. La discussione sulla natura di Maria quale madre del solo Gesù, oppure di Dio, causò nel 431 la scomunica di Nestorio e il conseguente scisma. Il termine Chora, letteralmente «fra i campi», indica a sua volta quanto l’attuale zona di Edirnekapi, a ridosso delle mura teodosiane, sia stata a lungo rurale. Entrambe contengono i mosaici più belli dell’intera città. In particolare, la visita a San Salvatore consentirà un vero «ripasso» delle memorie dei tempi del catechismo. Lo farà con fascino e misticismo, attraverso le molte opere che illustrano le vite di Cristo e della Vergine, ampiamente ispirate ai Vangeli apocrifi, in particolare a quello di Giacomo. Memorie di scismi e di apocrifie, anche questa è l’eredità di Costantinopoli. Terminata la visita, ci troviamo di fronte a due nuove mete: percorrere le mura di Teodosio fino al palazzo del Porfirogenito, recentemente restaurato e trasformato in museo, e cenare ad «Asitane», il migliore ristorante ottomano della città.

Passeggiare e cenare lungo il Bosforo

La visita a Istanbul si conclude con una lunga passeggiata pomeridiana sulla riva europea del Bosforo. Sorseggiato un caffè in uno dei molti locali antistanti la moschea in stile barocco-ottomano di Ortaköy, si parte per una marcia di sei chilometri lungo lo stretto, che ci porterà prima a Bebek, successivamente Rumelihisarı, la fortezza d’Europa. Ora potremo sostare, cenare sulla piattaforma del ristorante Iskele e osservare con calma le acque dello stretto. Basterà un poco di attenzione per notare l’intenso traffico marittimo. Di qui, narra Apollonio Rodio, passarono gli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro. Sempre qui, anche se in senso inverso, oggi scorrono le navi che da Odessa portano carichi di grano verso Suez. Scrutando l’antistante sponda asiatica, scorgiamo un secondo, grande castello ottomano. È con l’appoggio logistico delle due fortezze che nel 1453 Maometto II prese Costantinopoli, meritandosi il soprannome di Fatih, il conquistatore, ed anche la dedica di moschee e monumenti il cui splendore giunge fino ai giorni nostri. La memoria corre però verso un altro condottiero: Costantino XI Paleologo, l’ultimo imperatore, che quel giorno morì sugli spalti. A chi perde, non viene eretto nessun monumento. Il suo corpo, anzi, scomparve nel nulla: il giorno che verrà ritrovato, narra la leggenda, Costantinopoli tornerà greca. ■

Da Pera alla moschea di Solimano
Dal caos dei commerci nei bazar, fin sui tetti della città come Daniel Craig in «Skyfall»
I quartieri Fatih, Fener e Balat sono le aree più ricche di storia popolare di Istanbul L’anno della costruzione della basilica Hagia Sophia, simbolo di Istanbul.
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La democratizzazione della critica passa dagli esperti alle «app» dedicate all’enologia

Una chiacchierata con il viticoltore Mauro Von Siebenthal, partito da Locarno negli anni Novanta per la Valle dell’Aconcagua, in Cile. Dove oggi coltiva una trentina di ettari di vigna e produce vini di alta gamma. Il suo rapporto con gli esperti e con i consumatori.

come quelle di Chengdu, in Cina, a San Paolo, in Brasile, o a Düsseldorf, in Germania, ma viaggiamo in tutto il mondo per seguire quasi una ventina di mercati: dagli Stati Uniti a Taiwan, passando per Macao e Hong Kong, senza dimenticare la Svizzera, dove lavoriamo grazie all’amico Angelo Delea, che fu il primo importatore delle nostre etichette. Soprattutto quando un vino e una cantina si presentano per la prima volta sul mercato, le critiche positive aiutano molto. Negli ultimi anni, tuttavia, trovo molto interessante che si sia verificato un fenomeno di democratizzazione della critica sui vini».

Ovvero?

«Penso ad applicazioni, per esempio, come Vivino, che permettono a qualsiasi consumatore, da ogni parte del mondo, di esprimere personali impressioni e giudizi rispetto a ciò che sta bevendo. Queste modalità di valutazione stanno pian piano sostituendo, o perlomeno modificando, la figura tradizionale del critico enologico. Spesso, oggi, il consumatore si sente meglio rappresentato da altre decine o centinaia di migliaia di fruitori che hanno provato lo stesso vino, piuttosto che da un singolo esperto, per quanto autorevole. E quindi il successo di un vino può anche dipendere dai responsi su queste nuove piattaforme».

Pare essere una dinamica inevitabile, che allo stesso tempo fa riflettere sul ruolo del critico…

speciali ai quali i produttori partecipano su invito, ma pagando cifre importanti che sicuramente non servono solo a coprire le spese organizzative. Diventano una sorta di fiere per una cerchia ristretta e selezionata. In questo modo i conflitti d’interesse, si capisce, sono decisamente palesi».

Chiudendo il cerchio, però, l’attività della critica enologica rimane quantomeno un trampolino di lancio soprattutto per nuovi produttori e regioni inesplorate.

«Certo, e ci sono tanti esperti influenti che lavorano con grande professionalità, correttezza e competenza, a partire da un pioniere come lo statunitense Robert Parker, che più di quarant’anni fa portò la critica enologica in un’altra dimensione, lavorando in maniera seria, impegnata e al di fuori delle pressioni del settore. Per intenderci:

«Gli specialisti come Robert Parker hanno aiutato a diffondere la conoscenza»

«Il vino perfetto è un vino noioso», sosteneva, in barba ai feticisti dei punteggi, l’enologo italiano Giacomo Tachis, uno dei padri di etichette entrate nel mito come Solaia, Tignanello e Sassicaia.

Perché dietro a una bottiglia, dentro un bicchiere, c’è da conoscerlo un vino, prima di giudicarlo, perché è fatto di uomini e lavoro, passione e conoscenza, natura e terroir. E lo sa bene Mauro Von Siebenthal, che alla fine degli anni ’90 ha lasciato Locarno e il suo studio d’avvocatura per seguire la vocazione per la buona tavola e il nettare degli dèi.

In Cile, nella valle dell’Aconcagua, dove nella sua azienda famigliare coltiva una trentina di ettari di vigna per produrre vino d’alta gamma, in un segmento ridotto che permette a Viña Von Siebenthal di competere con cantine più grandi e da tempo radicate sul territorio. Un successo dovuto anche «alla lunga luna di miele trascorsa con i critici internazionali - ci spiega -, così come partecipando alle più importanti fiere internazionali». Per farsi conoscere, per far apprezzare il proprio lavoro. Agli esperti delle guide, prima, ai consumatori, sempre e oggi, su tutto.

Mauro, oggi potete fare a meno di flirtare con i concorsi e le guide di settore, ma è indubbio che la spinta di punteggi e medaglie sia vitale, o quasi.

«È vero, oggi ci limitiamo a prendere parte a fiere

«Personalmente riconosco la professionalità e la buona fede degli esperti del settore, ma al di là degli aspetti oggettivi sulla valutazione di un vino, c’è un risvolto soggettivo e umano che può subentrare. Ad iniziare dalle condizioni di degustazione: un critico si trova ad assaggiare 30, 40, magari 50 vini - inviati dai produttori - in una sola giornata e non c’è nessun palato né papilla gustativa che possano resistere a un tale sforzo. Dunque, i campioni provati per primi godranno inevitabilmente di maggiore attenzione e lucidità rispetto agli ultimi».

E poi ci sono i gusti personali e il fascino del grande produttore. O sbaglio?

«In effetti non dovrebbe essere così: il critico deve separare i gusti personali dalla valutazione oggettiva di un vino. Ma capita che sia invece influenzato da fattori esterni alla qualità del vino. Faccio un esempio: è più difficile che un vino o una cantina con un passato glorioso vengano stroncati. Poi, va detto, se regioni come il Bordeaux o la Borgogna sono fra le più rinomate al mondo, è anche e soprattutto perché da oltre un secolo sono all’avanguardia nelle tecniche di produzione e, non da ultimo, nella classificazione, già internamente ai territori stessi, della qualità dei vini».

E come per le guide gastronomiche, oggigiorno gli interessi di chi giudica e chi è giudicato s’intrecciano spesso pericolosamente…

«Esatto, sono talvolta gli stessi critici a mettersi in una posizione scomoda, dove l’interesse economico e commerciale è preponderante. Ci sono esperti che organizzano loro stessi degli eventi

quando ai tempi Parker, ora ufficialmente pensionato, faceva visita ai produttori in Francia, per una settimana avevamo mal di pancia al solo pensiero del suo arrivo... Ma, aneddoti a parte, ha pure fatto conoscere realtà ai più sconosciute, facendole emergere. Questi specialisti del vino hanno aiutato e aiutano a diffondere la conoscenza e la cultura di questo meraviglioso prodotto».

E quali sono, negli ultimi anni, queste realtà?

«Oggi c’è una particolare attenzione, un po’ ovunque, alla viticoltura sostenibile, che non significa solamente vini biologici o biodinamici, ma riuscire a far convivere produzione e natura. E poi c’è una caccia alla novità e al recupero delle tradizioni: dai vini in anfora della Georgia alla rinascita della viticoltura in Inghilterra, passando dalla valorizzazione di varietà dimenticate, come le oltre duecento presenti in Portogallo».

Un’ultima domanda su premi e concorsi: quanto sono affidabili? Il Ticino fa regolarmente incetta di medaglie in prestigiose rassegne dedicate al merlot, non propriamente un vitigno autoctono e di nicchia… «Be’, l’affidabilità è sempre legata alla qualità delle giurie, che ogni concorso che si rispetti punta ad avere di ottimo e comprovato livello di conoscenze. Ad ogni modo, devo dire che il merlot ticinese, nella sua versione strutturata, è davvero molto interessante e unico nel panorama di questo vitigno, che, come sottolineavi, viene coltivato in zone storiche e di lustro come Saint Emillon, nel bordolese. Eppure, il merlot ticinese ha caratteristiche proprie, dal profilo aromatico e di struttura, che lo distinguono dagli altri. È un vino che, nonostante la forte concorrenza sul piano mondiale, sa spiccare per individualità e particolarità del terroir». ■

Lib– #04, dicembre 2022 21 A tavola imbrandita

Se volete regalare un libro, non limitatevi al primo che capita

Valeria Doratiotto Prinsi

Tra i regali di Natale, il libro è certamente tra i più gettonati. Come possiamo leggere a pagina 16 di questo numero, però, ci sono delle «controindicazioni».

Dan Ariely, uno dei maggiori esponenti dell’economia comportamentale, sul Wall Street Journal spiega: «Invece di dare a vostra sorella il primo libro che trovate a tiro o che pensate debba leggere, andate in libreria e provate a pensare come lei. È un serio investimento economico e sociale».

Proporre un autore russo, di questi tempi, può apparire politicamente scorretto. Rifiutiamo forse di ascoltare Beethoven per protestare contro il nazismo? Testimone della tremenda e decisiva battaglia di Stalingrado, l’autore descrive l’orrore, ma anche l’umanità, che sopravvive in questi momenti indicibili.

Il libro è anche e soprattutto una sottile e implacabile denuncia del regime sovietico, tanto che il manoscritto fu confiscato e pubblicato più tardi in Svizzera dove una copia era stata trafugata. Un capolavoro.

Questo non è il suggerimento per la lettura di un libro, ma per scoprire un mondo, con i suoi personaggi e i suoi luoghi; per entrare in una cittadina immaginaria del Colorado (Holt) e scoprirne l’intreccio di vite e di vita. Nella testa del lettore che entra nelle pagine di Haruf, i personaggi prendono vita autonoma e sedimentano radicandosi nella memoria: passano gli anni e si confondono con un quadro iperrealista di Hopper oppure con un film ambientato nella più classica provincia americana, dove ciò che conta non è la trama, ma quelle vite in cui si cerca il senso dell’esistenza nella concretezza del quotidiano.

Vincitore del Premio Strega 2022, è un romanzo che mi è piaciuto molto e lo consiglio, perché parla dell’appartenenza e dell’accettazione di sé. Delle amicizie tenaci, di una generazione che ha saputo guardare lontano per trovarsi. È un romanzo avvincente, di quelli da leggere tutti d’un fiato.

«La trilogia della pianura» di Kent Haruf Direttrice del Liceo Lugano 1 «Vita e destino» di Vassili Grossman Dick Marty Ex magistrato ed ex Consigliere agli Stati «Spatriati» di Mario Desiati
Giubiasco | Riazzino | www.winteler.ch READY FOR LUXURIOUS COMFORT Scopri da Winteler la nuova GLC di Mercedes-Benz: sintesi di sportività e dinamismo, con esterni atletici, interni dal design futuristico e una tecnologia offroad innovativa. LA NUOVA GLC 22Consigli d'autoreLib– #04, dicembre 2022
Alessandra Gianella Candidata al Consiglio di Stato
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È Capodanno tutto l’anno...

Così il mondo globalizzato fa festa quando si apre un nuovo ciclo

Occidentale, cinese, islamico, ebraico, buddista, ortodosso... Ogni civiltà celebra a modo suo e secondo un suo calendario il nuovo anno. E per chi non dovesse essere soddisfatto dal suo «1° gennaio» non c’è che l’imbarazzo della scelta. Anche nel mese di luglio!

Primo dicembre. È in questo giorno che gli abitanti di mezzo mondo iniziano il conto alla rovescia. Molti lo calibrano sul 24 del mese, altri preferiscono andare diretti sul 31. È lì che finisce l’anno. Poi arriva il 1. Gennaio. Ricordate anche voi? Il primo giorno del 2022 l’avevamo tutti battezzato «del ritorno alla normalità».

lora, visto che «di doman non c’è certezza», la corsa al cenone, al viaggio ai tropici, a Disneyland o alle scorte di champagne è partita alla grande. Un modo come un altro per esorcizzare e continuare a sperare/sognare in un anno migliore. Ed è per questo che mezzo mondo, tra il 31 dicembre e il 1. gennaio, si unirà in un ideale - e reale - brindisi alla vita.

ti). Giunti alla Festa delle lanterne - il 5 febbraio - vi accorgete che anche con il Capodanno cinese il brindisi non ha funzionato a dovere? Niente paura. Il Capodanno islamicoMuharram - nel 2023 cade il 19 luglio. È, questa festa, particolarmente sentita nel mondo sciita. Raggiunge il suo apice il 10 del mese, giorno della âshûrâ. Proprio l’âshûrâ è celebrata in modo assai gioioso anche in diverse parti del mondo sunnita, in particolare in Nord Africa: Algeria, Marocco (che con i Mondiali di calcio va per la maggiore) e Tunisia in primis. Attenzione però, la celebrazione di un capodanno islamico, con feste, scambi di doni e brindisi, è considerata bid’a («innovazione non ortodossa») e in alcuni Paesi sunniti può addirittura essere haram («vietata»). Così neppure stavolta il brindisi ha funzionato? C’è sempre, per darvi un’altra chance, il capodanno ebraico. Lo si festeggia, nel 2023, il 15 settembre e termina la sera del 17. Il suo nome Rosh Ha-Shanah (letteralmente capo dell’anno) è il capodanno civile (quello religioso ricorre invece nel mese di Abib, il primo mese, in cui venne istituita la Pasqua). Attenzione: questo Capodanno è chiamato anche «Giorno del giudizio» (Yom ha-Din) e “Giorno del ricordo” perché, secondo la tradizione, proprio in questo giorno Dio avrebbe creato il primo uomo, Adamo. Dimenticatevi però i brindisi tradizionali. Il Capodanno ebraico prevede, per i festeggiamenti, cibi la cui dolcezza sia di buon auspicio per il futuro. Un esempio? «Con l’augurio che l’anno nuovo sia dolce - leggiamo nel sito delle Co-

Ci sono voluti pochi giorni per capire che di normale ci sarebbe stato ben poco. Adesso eccoci alle soglie del nuovo Capodanno che, come recita la Treccani, «è festa celebrata da tutte le civiltà con rituali espiatori, purificatori, propiziatori, che chiudono simbolicamente un ciclo annuale per aprirne un altro». Sarà un anno migliore? Pochi coloro che sembrano crederci. I motivi, d’altronde, scarseggiano. E al-

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Poi, come sempre, cambierà poco. Quasi nulla. E allora? Che si fa? Si guarda il calendario e si considera il nostro mondo globalizzato (e sovrappopolato). La prima occasione per ritentare un brindisi alla vita è il 22 gennaio quando sarà la volta del Capodanno cinese. Il 2023, in Cina, sarà l’anno del Coniglio (segno d’acqua). Secondo l’oroscopo cinese, il Coniglio è una creatura familiare e pertanto, per creare un ideale benvenuto, i consigli vanno da una vacanza in una stretta cerchia di familiari e amici ad una festa casalinga, assicurandosi però che ogni ospite riceva una maschera da Coniglio di carnevale. Poi balli, gare e karaoke. Consiglio (che va bene anche per il nostro 31 dicembre): «Non esagerare con i fuochi d’artificio, il Coniglio ha paura dei rumori forti» (e, aggiungiamo noi, spaventano i nostricani e gat-

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Responsabile redazione Massimo Schira

In redazione Matilde Casasopra Alberto Lotti

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Laura Codiroli

munità ebraiche italiane - si usa mangiare uno spicchio di mela intinta nel miele». Vorreste qualcosa di più… «forte»? Ci sono sempre altri «Capodanno»: quello ortodosso (il 14 gennaio); quello buddista (novilunio tra fine gennaio e primavera) e quello persiano (il 21 marzo, primo giorno di primavera) ad esempio. Altrimenti ci si ritrova il 31 dicembre del 2023 per un brindisi al futuro. Sarà il 2024. Cin-cin! ■

Stampa Centro Stampa Ticino SA, Muzzano

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Rituali purificatori ed espiatori caratterizzano la chiusura e la riapertura di un ciclo annuale Tradizioni, particolarità e curiosità per una festa che sembra non finire mai (o quasi) Lib– #04, dicembre 2022 23 Cultura

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