nutrizione funzionale
di Sara Farnetti
Capire meglio le allergie e le intolleranze al latte
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L’intolleranza “falsa” non è mai la causa del disturbo, ma il sintomo di un deficit funzionale di un organo, solitamente il fegato, impegnato nell’allontanamento dei tossici, nel metabolismo di ciò che mangiamo, o dei farmaci.
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i chiamano reazioni avverse agli alimenti, sono indesiderate, improvvise e seguono l’ingestione del cibo: può mancare un enzima come la lattasi per digerire il latte, l’alimento può essere tossico, oppure può essere presente un’allergia vera con attivazione delle cellule del sistema immunitario. Queste sono solo l’1%, tutte le altre rien-
trano nel calderone delle intolleranze false e si differenziano dalle allergie alimentari perché non sono diagnosticabili con i tradizionali Test Cutanei o con esami immunologici, non provocano quasi mai delle reazioni violente e immediate nell’organismo, e quindi, spesso, non sono direttamente collegabili all’assunzione del cibo che le determina. TopSalute
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Latte e derivati
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La dose massima tollerata nei soggetti intolleranti è di circa 12 gr di lattosio l’equivalente di una tazza di latte, quindi le basse dosi di lattosio contenute nei farmaci < 400 mg non sono in grado di provocare sintomi gastrointestinali.
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Un tempo il latte era un alimento il cui valore non si metteva in discussione, eppure oggi molti si sentono meglio se lo evitano. È vero che il latte non è più quello di una volta, che le mucche invece di pascolare sui prati e brucare l’erba vivono in allevamenti intensivi dove vengono nutrite con pastoni, imbottite di antibiotici e vengono munte a ritmi innaturali. Inoltre, la pastorizzazione e l’omogeneizzazione hanno cambiato le qualità originarie del latte, trasformando questa bevanda in qualcosa di poco salutare perché impoverita e modificata. Il latte sembra contenere anche un tipo di proteina, la Beta-Caseina, modificata che non è invece presente nel latte umano. È una questione quindi anche di genetica di mucche, un tipo A1 produce il latte con la proteina trasformata, chiamata Beta-Caseomorfina-7 (B-CM7) che potrebbe essere responsabile di alcuni dei disturbi causati dall’assunzione del latte, specie quelli neurologici. Il latte è anche uno dei principali inquisiti, una tra le più frequenti reazioni avverse agli alimenti. La vera intolleranza è quella allo zucchero del latte, il lattosio, che si manifesta quando manca la lattasi, l’enzima che serve a digerirlo (scissione del disaccaride lattosio in galattosio e glucosio). Pertanto si crea una condizione clinica caratterizzata da mal digestione di lattosio e da un corteo sintomatologico con distensione e dolore addominale, flatulenza, borborigmi, disconfort, diarrea, vomito. I sintomi principali sono dovuti all’azione osmotica (di trattenere acqua nel colon) del lattosio e alla suscettibilità individuale alla distensione del colon, infatti solo 1/3 dei soggetti li manifesta.
Manca l’enzima e il latte fa male Esiste un deficit primario, quando la riduzione del patrimonio di lattasi intestinale è congenito o si verifica dopo lo svezzamento, è irreversibile e geneticamente determinato. Con l’età, questo enzima tende a ridurre la
sua attività, specie se viene sospesa l’assunzione di lattosio. Il deficit secondario si verifica quando la riduzione del patrimonio di lattasi è conseguenza (spesso temporanea e quindi reversibile) di malattie in grado di danneggiare il brush border o orletto superficiale della mucosa intestinale, dove si trova questo enzima. Tali patologie comprendono: gastroenteriti, sprue (celiaca e tropicale), morbo di Crohn, enteropatia da HIV, morbo di Whipple, malnutrizione, fibrosa cistica, sindrome di Zollinger-Ellison, gastropatia diabetica, sindrome da carcinoide, tireopatie, farmaci (es. neomicina, colchicina), chemioterapia, enterite da raggi. La diagnosi di intolleranza al lattosio si esegue in maniera veloce con il breath test al lattosio (H2-BT), un test sul respiro, non invasivo che misura la concentrazione di idrogeno (H2) nell’aria espirata la quale per diffusione passa dall’intestino al sangue, dopo l’assunzione di una dose standard di lattosio. Si esegue dopo un digiuno di 12 ore e bisogna astenersi dall’assunzione di latte e derivati e fibre e dal fumo di sigaretta, non si deve dormire durante l’esecuzione del test ed evitare sforzi fisici.
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Semi oleosi tipo sesamo e pinoli contengono molto calcio, che si assimila meglio se associato a cibi ricchi di vitamina C
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Intolleranza non enzimatica Ci sono poi molti soggetti che pur non avendo deficit enzimatici non sopportano il latte, se ne bevono hanno sintomi di gonfiore, pesantezza, bocca impastata. Sono questi i soggetti che, alla ricerca di una diagnosi, si sottopongono ai test non convenzionali: con ampolline, su sangue, sulla saliva che li etichettano come intolleranti al latte. Stesso discorso potrebbe essere fatto per lieviti, melanzana, peperone, pomodoro, frequentemente accusati dai test delle intolleranze di essere la causa di molti disturbi. La strategia più intelligente da utilizzare è di cercare di ripristinare un equilibrio tra le funzioni organiche piuttosto che dare la caccia agli alimenti da escludere, è necessario impostare una alimentazione su misura piuttosto che una dieta di esclusione TopSalute
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nutrizione funzionale che non guarisce, ma elimina il sintomo insieme all’alimento sotto accusa.
Senza latte. Con il calcio come la mettiamo? Nei soggetti che devono limitare l’assunzione di latte e derivati non solo per ipolattasia, ma anche a causa di allergie alle proteine del latte o a disturbi del metabolismo un intervento alimentare funzionale garantisce un adeguato apporto di calcio e di altri minerali e vitamine sinergici indispensabili per salvaguardare il trofismo osseo (boro, silicio, magnesio, vitamine D e K) da alimenti non derivati dal latte. Gli alimenti ideali sono quelli ricchi in calcio e con un alto rapporto calcio-fosforo, come le olive, la rucola, gli agretti, i molluschi come frutti di mare e polpi, semi oleosi tipo sesamo e pinoli in associazione con cibi ricchi in vitamina C e grassi che veicolano la vitamina D, entrambe indispensabili per l’assorbimento del calcio. Quindi nel piatto non devono mai mancare frutta e verdura e olio extravergine di oliva come condimento. Frutta e verdura sono necessari anche per l’apporto di minerali, che insieme al calcio, costituiscono la matrice ossea e salvaguardano l’osso dalla perdita di calcio che sarebbe impiegato come tampone per bilanciare il carico acido netto di alcuni alimenti. La quota proteica è un’altra componente essenziale dell’architettura dell’osso perché costituisce la matrice di mineralizzazione.
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Oltre le carni, è ottimale la scelta di pesci ricchi di calcio e silicio come vongole, cozze, sogliola, polpo, calamari, lattarini, ma anche di uova ricche di vitamine D, A, del gruppo B, calcio e ferro. 50 TopSalute
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