8 minute read

SUPERBONUS

Una Proposta Di Riordino

di Marco Cagelli, ingegnere

Nonostante il superbonus nella misura del 110% stia volgendo al tramonto, i bonus fiscali costituiscono un’opportunità che deve essere sfruttata in modo ragionato. Abbiamo raccolto le dichiarazioni del collega milanese, Marco Cagelli, già anticipate nel suo articolo sul portale Ingenio “Una proposta di riordino del Superbonus”.

A cosa si deve l’attuale confusione che regna tra gli addetti ai lavori del superbonus?

Il corto circuito degli incentivi fiscali è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di eventi che hanno visto i principali attori tecnici dell’edilizia costretti a subire decisioni e scelte dettate da emotività e urgenza, ma non da criteri di utilità tecnica. Ancora più sconcertante l’insufficiente utilizzo di un’enorme quantità di dati che diversi enti statali e parastatali accolgono sui propri server, spesso utilizzati dopo tragedie o durante conferenze stampa, per giustificare scelte in una lettura non olistica dei problemi. Ne consegue che sui giornali e nei talk show a discutere di edilizia si chiamano impresari, politici, climatologi, categorie varie preparate nel loro settore e con uno specifico punto di vista, ma non si accoglie la voce dei tecnici, abituati a gestire un processo complesso, ipernormato, mai banale e intuitivo. Certamente più difficile da riassumere in poche parole in dibattiti sempre più “schierati” e conflittuali, quanto alla luce dei fatti inutili. Credo però non possiamo esimerci dal rilevare tutte le anomalie e le mancanze di analisi che hanno portato a scelte estemporanee, dettate da urgenza e mai in grado di comprendere come tali norme non governino un processo temporalmente limitato nel tempo, ma processi e manufatti che possono durare oltre la vita di un individuo.

Per tale motivo, la salvaguardia del costruito richiede azioni coraggiose e talvolta non comprensibili e non condivisibili nell’immediato, ma nel lungo periodo. Sempre più spesso si assiste a scelte intraprese per consenso e non per reale consapevolezza del problema. Il rimandare un intervento non è la soluzione ma è ciò che si sta verificando, lasciando al prossimo la risoluzione sempre più onerosa e complicata, perché questo è il risultato delle attuali scelte. La specificità tecnica di intervento deve essere supportata dalla politica ma quest’ultima non può più permettersi di interrompere il flusso dell’intervento del costruito continuamente, con letture non tecniche degli interventi e con modifiche talmente frequenti da non consentire lo sviluppo sereno di un progetto. Si è consci che la realizzazione di nuove infrastrutture costituisce un fiore all’occhiello, ma occorre cambiare la rotta comprendendo che non è la costruzione dell’opera ma il suo reale mantenimento che costituisce la chiave del cambiamento.

Quale deve essere il limite tra importanza dell’indotto sull’economica apportato dall’edilizia rispetto all’importanza della qualità delle costruzioni?

Se vi fossero due mondi lontani per finalità, questi sono la finanza e l’edilizia. La finanza attuale vuole fare utili in microsecondi, basando i propri riferimenti sull’innovazione e dove imperi economici nascono, crescono e muoiono in pochi lustri. L’edilizia è e rimane il luogo dell’eterno, dell’immutabile, della costruzione di beni che creano società, bellezza, qualità della vita. Un intreccio fra aspetti tecnici, politici, economici, sociali, elementi che la finanza non può gestire con i suoi parametri tradizionali in quanto difficilmente quantificabili. Certo la finanza ha un ruolo nel processo edilizio, ma con tempi sul ritorno dell’investimento non compatibili con altre operazioni finanziarie.

Trovo quindi fuori luogo, per non dire ingenuo, utilizzare il giustificativo della finanza per analizzare la bontà o meno di alcune misure economiche tese a risolvere criticità emergenti dalla conoscenza tecnica: è un parametro da considerare, ma che rimane ai margini del processo edilizio.

Quali sono quindi i parametri del processo edilizio?

Quelli controllati dal D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.:

• Sicurezza d’uso;

• Sicurezza strutturale;

• Sicurezza energetica;

• Rispetto della socialità determinata dagli strumenti urbanistici.

Mi chiedo: dove sono questi parametri nelle scelte degli ultimi due anni in tema di benefici fiscali?

Non se ne parla perché il motore centrale della società, il focus di chi gestisce la finanza pubblica, è ormai solo ed esclusivamente uno: i soldi. E così i soldi sono divenuti il perno su cui basare le scelte, in contrasto evidente con il D.P.R. n. 380, con il buon senso, con le conoscenze tecniche che si vanno affinando.

Anche a valle degli ultimi accadimenti in Umbria ci dobbiamo chiedere: quanti edifici sono sicuri? Quante tragedie devono ancora accadere per comprendere che serve un piano di messa in sicurezza del costruito? Quanti risparmi dovranno confluire sui conti correnti di grandi gruppi internazionali per pagare le bollette e impoverire molte famiglie? Quanti morti sono ancora accettabili per malattie cardiorespiratorie?

In definitiva: esiste un costo accettabile per la vita di ognuno di noi? E se esiste, siamo certi che le scelte dei governi siano state tese a garantire l’eguaglianza dei cittadini negli ambiti previsti dalle sue leggi?

La costituzione prevede nei suoi principi all’art. 3 “...È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Emergenza o pianificazione: qual è oggi l’approccio alla sicurezza?

In Italia manca una vera cultura della prevenzione: nessuno inaugura una strada ben mantenuta, nessuno parla dei costi di questo mantenimento, non fa audience raccontare le buone esperienze di amministrazione. Piuttosto si inaugurano le novità, i nuovismi, l’innovazione che sono ormai il centro unico del pensiero contemporaneo. E quindi non è importante eseguire analisi e scelte tali da garantire una norma ordinaria in grado di prevenire e gestire le emergenze.

In definitiva si preferisce l’estemporaneità e non l’analisi approfondita delle tematiche in modo da garantire una norma ordinaria in grado di prevenire e gestire le emergenze, continuando ad invocare “Commissari ad acta, “nome scpeciali”, “decreti legge”. Una deformazione dettata dall’incapacità di analizzare l’esistente, di dibattere e concordare un piano pluriennale per uscire dall’emergenza.

Emergenza che porta poi a episodi tragici i cui costi superano abbondantemente i 5 miliardi annui da decenni, ben oltre i costi che oggi si ritengono “incompatibili”.

L’introduzione della digitalizzazione ha permesso la raccolta di una quantità enorme di dati in tantissimi ambiti: dalle scienze ai servizi, dalla cultura alla finanza. Eppure questi dati continuano ad essere analizzati a compartimenti stagni.

Si pensi ai dati Istat o ai portali dell’INGV o di Ispra; o ancora ai portali delle Regioni che hanno redatto analisi di vulnerabilità sismica sugli edifici strategici, o alle mappe regionali di indagini geologiche. Un enorme quantitativo di dati attualmente poco utilizzato e quindi non utile alla finalità della prevenzione.

La prevenzione invece si basa sull’analisi del rischio, sull’esplicitazione di questi rischi, qualunque essi siano: e l’edilizia interagisce con una moltitudine di rischi che non possono essere relegati, trascurati o dimenticati. A meno di voler continuare con questo modus operandi basato sulla speranza che quanto già accaduto non accada più per mera fortuna.

Per tale ragione l’enorme quantità di dati deve essere condivisa, elaborata e sviluppata per fornire un supporto condiviso e chiaro al legislatore ed uno strumento intuitivo e comprensibile per i concittadini, in modo che siano loro a spingere la società verso una nuova direzione.

Lo scenario

Lo scenario attuale presenta indiscutibilmente criticità in tutti e tre i parametri prima indicati:

• le norme più recenti in ambito sismico sono del 2018;

• i costi energetici sono in costante crescita e cresceranno ancora in futuro, risentendo anche di crisi politiche lontane dai nostri territori;

• l’età degli edifici in cui vive la gran parte degli italiani è anteriore agli anni ’70 e quindi ad ogni norma strutturale, energetica e di accessibilità.

Lo Stato quindi non può sottrarsi dall’individuare norme e modalità per garantire il rispetto dei principi costituzionali. Il primo passo è stato compiuto con la mappa dei rischi naturali dei comuni italiani raggiungibile al sito https://www.istat. it/it/mappa-rischi/indicatori ottenuta tramite la condivisione dei dati presenti su diversi portali dello Stato.

Il portale consente in semplici passaggi di visionare la distribuzione dei rischi in base ai principali parametri, per esempio di seguito in base all’accelerazione sismica massima al suolo.

Purtroppo al momento dell’elaborazione del progetto, i temi relativi alla sicurezza energetica e alla crisi climatica non erano tali da suggerire ulteriori analisi, per esempio rappresentando l’Italia in base alle temperature minime registrate, basandosi sulle elaborazioni dell’ISPRA.

Ancora, si potrebbe sfruttare la recentissima proposta formulata da ENEA di un Indice di Sostenibilità Economica ed Ambientale per la determinazione della miglior scelta di materiali per i cappotti, parametro che potrebbe facilmente essere messo in relazione con parametri di sostenibilità economica ed ambientale degli interventi di tipo strutturale.

Pur fornendo un utilissimo strumento di consultazione e anche di facile visualizzazione, in base alle schede per singolo Ente locale (di seguito la scheda di Ferrara), non è ancora stato possibile individuare un indice globale che possa “guidare” nella definizione di strumenti certi tutto il Parlamento.

Eseguita la sovrapposizione dei dati e la generazione di una mappa riepilogativa, si potrebbe passare all’analisi numerica degli interventi urgenti per determinare le necessità di spesa e, con una logica sganciata dal mero denaro, determinare il tempo necessario per ottenere il risultato di mettere in sicurezza i cittadini italiani.

Per esempio sappiamo dai dati raccolti da ISTAT:

• gli edifici totali residenziali in Italia sono più di 12 milioni;

• le case monopiano sono circa 2 milioni;

• dei rimanenti 10 milioni di edifici circa 1.147.000 edifici hanno più di 4 piani, 811mila sono senza ascensore quindi precedenti al 1991 (escludendo tutti quegli immobili che hanno realizzato un ascensore ma senza riqualificare lo stabile);

A valle dell’individuazione di un indice di rischio che ponderi i vari fattori, si potrebbe quindi avere un quadro chiaro:

• dove intervenire;

• come intervenire;

• importi di adeguamento e conseguentemente incentivi necessari. Con questo scenario, ben diverso dal semplicistico “fate debito”, si potrebbe definire il tempo necessario per mettere in sicurezza la maggior parte della popolazione italiana negli ambiti di rischio definito. Una soluzione tecnica chiara, logica e definita. Una soluzione che tutte le forze politiche potrebbero porre a base di una scelta condivisa, duratura, stabile che porti a:

• ridurre la domanda estemporanea di materiali e manodopera che ha contribuito a generare la crescita dei costi di realizzazione degli interventi;

• strutturare la filiera produttiva nazionale garantendo il ritorno di investimento sulle linee di produzione;

• definire norme durature e stabili che consentano ai gestori privati dei patrimoni edilizi di programmare i propri interventi;

• la possibilità di formare addetti che potranno esportare il know how anche all’estero.

• garantire una stima della necessità di formazione nelle materie scientifiche.

Insomma, si romperebbe il circolo vizioso della “finanza prima di tutto” e si porrebbe nuovamente al centro della politica l’esigenza degli italiani.

Kofi Annan nel 1999 era conscio della sfida fra approccio finanziario e reali benefici della prevenzione: “Building a culture of prevention is not easy. While the costs of prevention have to be paid in the present, its benefit lie in a distant future. Moreover, the benefits are not tangible; they are the disaster that did NOT happen”.

E nello scenario politico italiano la sfida è ancora più complessa in quanto l’investimento nella prevenzione potrebbe NON ricadere sul governo proponente.

Ma noi siamo tecnici e non possiamo tacere che NON investire ora significa CERTAMENTE essere responsabili dei costi sociali, economici e umani che accadranno nei prossimi anni.

È quindi obbligatorio applicare gli studi e gli inviti di tanti esimi colleghi ed esperti che hanno già tracciato diverse vie per raggiungere l’obiettivo attraverso pubblicazioni e ricerche.

“FATE PRESTO” era il titolo de “il Mattino” dopo il terremoto dell’Irpinia.

“FATE PRESTO” è l’appello da lanciare alla nostra politica.

Fig. 6 L’Indice di Sostenibilità Economica e Ambientale (ISEA) è il nuovo indicatore messo a punto da ENEA per calcolare l’impatto energetico, economico e ambientale dei diversi materiali isolanti utilizzati nel cappotto termico, in funzione della tipologia di edificio e della fascia climatica. I ricercatori ENEA hanno eseguito simulazioni energetiche su edifici in 60 città italiane, ritenute le più rappresentative per numero di abitazioni, popolazione e condizioni climatiche. In Italia sono più di 31 milioni le unità immobiliari delle quali oltre l’80% è stato costruito prima del 1991 e poco più del 65% prima del 1976. Il maggior numero di abitazioni (circa il 48%) si trova nelle zone climatiche più fredde (E ed F), circa il 45% nelle zone moderate (D e C), mentre meno del 9% in quelle più calde (B e A). Le abitazioni residenziali sono responsabili di oltre 30 Mtep del consumo energetico nazionale

This article is from: