Per una pedagogia della materialità di Beate Weyland
Title: Comfort at School? In Support of a Material Pedagogy
Premessa Da qualche tempo le qualità degli ambienti scolastici, in termini estetici e di benessere della persona, stanno diventando elementi molto discussi negli studi nazionali e internazionali (Barnett, 2015) e il pensiero pedagogico si concentra sull’individuazione di categorie per definire lo ‘stare bene a scuola’ e le qualità della vita scolastica (Iavarone, 2008; Favorini, 2012; Matteucci, 2014; Parricchi, 2015). Questi stimoli offrono alla scuola l’occasione di riflettere sulla propria fisicità: il corpo che ha, il corpo che è, il corpo che racconta di abitudini e di stili di vita, di qualità e di impegni. La metafora del corpo consente di pensare oggi alla scuola sotto un punto di vista ancora poco esplorato: essa è fatta di materia, dunque, di mattoni, di ambienti, di scelte progettuali, di organizzazioni interne, che tutte insieme segnano le tracce di un discorso pedagogico-didattico implicito. In effetti la scuola è il luogo fisico che per eccellenza accoglie la relazione educativa, che si attua nella nota triade insegnamento-apprendimento-sapere (Avanzini, 2006). Lo spazio e gli oggetti che essa contiene informano pedagogie e didattiche che, qualora siano oggetto di pensieri consapevoli, possono diventare un insieme di discorsi e risonanze che conducono a perfezionare o a dare luce a ciò che si intende con questa relazione educativa.
special issue: Sociomaterialità in educazione
Comfort a scuola?
Beate Weyland, Libera Università di Bolzano, beate.weyland@unibz.it
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Ragionare sulla materialità della scuola significa chiedersi: come parla il corpo della scuola, se con questo intendiamo tutto ciò che accoglie, organizza, struttura, inquadra e informa l’azione didattica? Il corpo della scuola è fatto di architetture, quindi di muri e di finestre, di aule, androni e corridoi, di ambienti comuni e luoghi per le attività specifiche, spazi interni ed esterni, volumi che si distribuiscono nel contesto urbano. È fatto di materiali e colori, di arredi e suppellettili, di oggetti più o meno didattici. La fisicità della scuola non è un dettaglio, è il corpo che lei indossa. Come scrive Umberto Galimberti (1987) è il corpo che dà abito (luogo) e che è, al tempo stesso abitato. 1. Vivere la scuola con il corpo: il comfort come chiave di lettura In pedagogia si parla del corpo umano come un vero e proprio dispositivo pedagogico che ‘si iscrive’ in qualsiasi processo formativo (Mariani, 2004; Ulivieri, 2000; Massa, 1986; Gamelli, 2001). La centralità del corpo come luogo e attore dell’apprendimento offre la chiave dell’innesto tra pedagogia e architettura. Il corpo è il luogo della conoscenza inteso contemporaneamente come sapere e spazio – la conoscenza si attiva con il corpo nello spazio fisico. Il comfort attualmente viene definito nei dizionari online come «l’insieme di sensazioni piacevoli derivanti da stimoli esterni o interni al nostro corpo, che ci procurano una sensazione di benessere in una determinata situazione: per es., quando siamo seduti oppure ci troviamo in un ambiente ventilato o silenzioso o illuminato da una luce senza forti contrasti». Secondo questa definizione, il comfort è un termine che qualifica molto il benessere delle persone e che, se analizzato in senso tecnico, include una serie di dimensioni che vanno molto oltre le qualità dei materiali e l’ergonomia, includendo aspetti legati al benessere mentale, ecologico-ambientale, culturale. Il comfort indica una qualità complessiva degli ambienti interni, che quindi è bene ricondurre anche agli spazi scolastici, come luoghi in cui si trascorre molte ore della propria giornata e molto tempo della propria vita.
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La scuola è un luogo in cui il benessere di allievi e insegnanti si pone al centro degli sforzi progettuali, sia in senso pedagogico-didattico, sia in termini architettonici. Non a caso, stare bene significa avere comfort, essere a proprio agio in un luogo. È quindi uno stato della persona umana che interessa i tecnici degli ambienti, ma che ha trovato attenzione approfondita soprattutto negli ambiti della psicologia. Tra gli autori che hanno indagato i fattori del benessere, Abraham Maslow (1972; 2010), esponente della psicologia umanistica che nel 1954 pubblicò Motivazione e personalità, risulta ancora oggi molto incisivo con la sua teoria di una gerarchia di motivazioni che muove dalle più basse (originate da bisogni primari – fisiologici) a quelle più alte (volte alla piena realizzazione del proprio potenziale umano – autorealizzazione), interconnesse tra loro in un ordine di prepotenza relativa. L’uomo si muove, opera, lavora, cresce, ricerca perché è guidato dalla motivazione a rispondere ai propri bisogni. Anche se ciascuna persona è diversa dall’altra, questi bisogni sono comuni a tutti. E tutti tendono alla propria autorealizzazione, a un stare bene in termini olistici, ovvero a esprimere le sfaccettate dimensioni dell’essere individuo. Lorenzo Matteoli (2002) affianca e contrappone tra loro i concetti di comfort e di disagio, sostenendo che il disagio e la scomodità siano i veri motori primi dell’innovazione e del cambiamento. ‘Chi sta bene non si muove’ dice un noto proverbio, è quindi la ricerca del comfort che stimola l’invenzione e la rimozione del disagio. Questo aspetto ci induce ancora di più a sottolineare come tutti i processi di ricerca e di sviluppo sono sostenuti dalla motivazione, che altro non può essere che il bisogno di ciascuno di noi di evolvere verso uno stato di delicato equilibrio tra vari elementi che qui descriveremo. 1.2. Mano, cuore e mente come dimensioni del comfort a scuola È necessario cogliere che le qualità del comfort si legano a tre dimensioni interconnesse dell’esperienza umana: la dimensione della fisicità – delle sensazioni e percezioni, quella che si lega alle emozioni, ancora molto collegata alla dimensione fisica, e quella che si colloca nell’area della razionalità. Scuola democratica 1/2016
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1.1. Comfort, un bisogno umano
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Mano, cuore e mente costituiscono le tre fondamentali coordinate dell’essere uomo e tutto ciò che si percepisce come bene, bello e giusto si ordina a questi elementi. Ispirandoci alla pedagogia di Heinrich Pestalozzi, non possiamo dimenticare come il nostro processo di crescita e di comprensione del mondo si sviluppa in tre fasi, quella naturale, quella sociale e quella morale. Ma soprattutto passa per una intuizione fisica, concreta, esperienziale (la mano), prosegue con una intuizione interna, sempre fisica, ma emotiva, psicologica, legata al cuore; si corona nell’intuizione mentale, ovvero nella capacità di comprendere a pieno il significato delle cose (Lucente, 2008). Il comfort quindi è una qualità che si percepisce nei diversi ambienti e che non si slega dalle ampie sfere della cultura e quindi della Bildung, intesa come processo di formazione/educazione, che ci rende capace di cogliere le sfumature diverse tra oggetti, ambienti, situazioni, persone. Il tema della cognizione, come area di indagine delle scienze che si interessano all’apprendimento e sviluppo umano, dà sempre più valore alla triangolazione forte tra emozioni, sentimenti e intenzioni. Conoscere e sentire vanno di pari passo, come ragione e sentimento e si sostanziano l’una dell’altro. La manifestazione di questo dialogo si trova nel corpo, che respira e traspira questo intenso scambio, mostrandone in definitiva l’esito più o meno felice. È il corpo dunque il punto di riferimento centrale in questo discorso. Un corpo che racconta di una totalità in chiave olistica, che descrive anche tutte le sue promanazioni (ambienti, spazi, relazioni). Il corpo, infatti, non ci offre solo una reazione fisiologica a determinate situazioni, ma è lo specchio di tutte le variabili dell’organismo, da quello neurologico a quello viscerale, da quello cognitivo a quello comportamentale, dando significato, spessore e colore a tutti gli eventi della nostra vita (Varani, 2005: 6). Attraverso il corpo, quindi il vedere, sentire, toccare, odorare e ascoltare, si definisce la percezione dello ‘stare nel mondo’, che è più della somma delle informazioni desunte dai singoli organi, ma che definisce un complessivo ‘stare bene’ al quale il concetto di comfort non può che ordinarsi. 2. A scuola con i cinque sensi Come ben descritto da Ivano Gamelli in Pedagogia del corpo (2001), per definire un concetto chiaro di benessere è necessario recuperare il legame con 218
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l’esperienza corporea del mondo che si esprime tramite i cinque sensi. Il senso del tatto si serve della pelle, il più esteso apparato del corpo (2,5 metri quadrati), con migliaia di recettori sensoriali, è la zona che separa il dentro e il fuori e il più prezioso organo di comunicazione con il mondo, tale da riflettere e addirittura determinare il nostro stato psicofisico. Fare esperienze cutanee o di grooming, come descritto nella letteratura scientifica (Montagu, 1975) contribuisce al comfort umano, che diventa «anche una questione di pelle, non solo in senso metaforicamente inteso» (Gamelli, 2001: 77). Il successo del mondo tattile di Bruno Munari (1977), con libri e oggetti didattici che invitano all’esplorazione sensoriale hanno molto influenzato soprattutto i paesaggi educativi, nel valorizzare il ‘bello’ come nozione estetica che non si accontenta solamente del godimento visivo, ma che coinvolge tutti i sensi. Le esperienze sensoriali degli spazi, cui sono invitati i bambini che seguono l’approccio proposto da Reggio Children, seguendo la lezione di Loris Malaguzzi, dimostrano come la progettazione di un ambiente debba tenere conto anche, o forse soprattutto, di come la pelle reagisce ai differenti materiali (liscio, ruvido, morbido, duro, caldo, freddo, ecc.) e di come risponde a questi esplorandoli e conoscendoli. Il senso dell’udito fino all’imporsi della cultura visiva «che presenta tutto davanti a noi di colpo», attualmente così dominante, ha sempre avuto un ruolo molto importante. Gamelli (2001) scrive: «nella storia dell’uomo, prima dell’avvento della scrittura, il linguaggio e la comunicazione orali ponevano l’udito al vertice della gerarchia dei sensi». L’orecchio impone all’ascolto e alla narrazione, a un prima e un dopo. Tratta le percezioni nel loro divenire successivo, nell’articolarsi e comporsi di suoni e rumori. Lo studioso Patrik Tomatis, noto per le sue teorie audiologiche, ha verificato scientificamente che lo schema corporeo di un individuo è in diretta connessione con l’apparato vestibolare, l’organo dell’equilibrio, situato nell’orecchio: «i due si influenzano reciprocamente, per cui un insieme cocleo-vestibolare capace di rispondere ad ampie frequenze può indurre un buon equilibrio psico-fisico, come un corretto schema posturale e motorio è al contempo garanzia di un buon ascolto» (Gamelli, 2001: 79). Nelle scuole sta nascendo una nuova attenzione sulla sonorità (e non solo acustica) degli ambienti, quindi alla differente stimolazione che gli elementi di insonorizzazione acustica possono favorire o ostacolare, alle diverse modalità che ha il corpo di rispondere ai diversi spazi come cassa di risonanza. Nel monScuola democratica 1/2016
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do vi sono già alcuni esempi di edifici scolastici, come il liceo Braamcamp Freire, di Lisbona, o la Preparatory High School, Háholt Mosfellsbær, in Islanda in cui i progettisti hanno lavorato insieme a esperti di acustica proprio per valorizzare il connubio tra spazio e sonorità e per sottolineare il significato che hanno i suoni per l’essere umano. La vista copre il 70% delle nostre sensazioni e l’area cerebrale che essa occupa è la più estesa tra tutti gli organi di senso. Lo schema corporeo fa continuo riferimento alla percezione visiva, e l’influenza reciproca è molto elevata. Ciò che vediamo è il frutto di apprendimenti progressivi e di interpretazioni complesse dell’organizzazione di forma, colore e senso degli oggetti fisici esistenti nel mondo esterno. Si può quindi dire che le sensazioni visive si costruiscono nella relazione tra valori e significati, oltre che attraverso la correlazione con il contatto, il gusto, l’udito e il movimento. Con Piaget possiamo dire che la visione è un processo conoscitivo, che diventa veloce e automatico solamente quando la mente è in grado di conservare l’esperienza passata. Vedere le cose è una forma di rappresentazione, quindi, a partire dalla quale sono nate anche le più radicali teorie costruttiviste sulla realtà, intesa come frutto di una contrattazione sociale (Von Forster e Von Glasersfeld, 2001). Nella progettazione degli spazi questi fattori non sono trascurabili, l’equilibrio tra ciò che si vede e ciò che non si può vedere è un elemento che consegna un messaggio che va ben oltre l’organizzazione funzionale di un ambiente. Poter vedere ‘tra’ le aule a scuola, per esempio, in un gioco di rimandi e sguardi tra dentro e fuori la classe, dinamizza la relazione con la comunità degli allievi e ammorbidisce la rigida separazione dei gruppi d’età. Anche negli ambienti domestici la necessità di un collegamento visivo ha trasformato le abitudini progettuali: le cucine sono spesso inglobate o ben collegate con il soggiorno, le stanze hanno vetrate sempre più grandi, addirittura l’intimità del bagno è sconsacrata a favore di una simbiosi sempre maggiore con la camera da letto. Gli uffici rinunciano spesso agli ambienti separati per trasformarsi in grandi open space di lavoro, in cui si trovano le più diverse soluzioni per dare a ciascuno lo spazio per lavorare in autonomia, pur condividendo con lo sguardo una comunità operosa al lavoro. Gusto e olfatto sono i sensi che colorano più di tutti le nostre esperienze conoscitive. Il bambino conosce il mondo prima che con gli occhi con la bocca e con il naso, riconoscendo la familiarità della madre dal suo odore ed esplorando gli oggetti con le labbra e la lingua. I recettori sensoriali legati agli organi 220
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della bocca e del naso, rispondono agli stimoli dell’ambiente e li traducono in informazioni preziose per il corpo e la mente. I neuroni dell’epitelio della cavità nasale, uniti ai nervi che traggono informazioni dalle papille gustative, poiché strettamente collegati con il sistema limbico, producono potenziali d’azione che non possono scindersi dalla dimensione emotiva. I ricordi e le emozioni, infatti, sono strettamente collegati con particolari gusti e odori. Percezione fisica e affettivo-emotiva sono dunque due facce di una stessa medaglia. Nelle più diverse concezioni del benessere, l’aspetto del gusto e dell’olfatto trovano molta attenzione, perché colorano nel vero senso della parola la dimensione percettiva delle cose. Anche in termini metaforici il tema del ‘gusto nelle cose’ e del ‘profumo della vita’ è ampiamente utilizzato. La progettazione di spazi contempla da tempo l’idea di sviluppare ambienti con gusto, o per tutti i gusti. Oggi ancora di più negli studi si pone attenzione alle dimensioni del gusto e dell’olfatto per valutare la qualità degli spazi. Nell’ultimo convegno di Archiv der Zukunft, del 2014 a Bregenz1, Reinhard Kahl ha installato al centro della sede del congresso un laboratorio del pane, attrezzato perché tutti i partecipanti potessero fare il pane e gustarlo sul posto, con l’intento di lanciare il messaggio che ‘gli ambienti per la formazione devono profumare e sapere di buono’. Un ambiente piacevole, infatti, non è solamente quello che profuma di pulito, ma può essere anche un luogo che emana un profumo particolare per l’azione che vi si svolge o per il materiale con cui è fatto. Studiare con maestria e consapevolezza il potere dei profumi delle cose, può offrire vantaggi straordinari a tutti coloro che progettano sia gli spazi che le pedagogie e le didattiche nella scuola e apre a nuove prospettive di sensibilizzazione percettiva per abitare gli ambienti. 3. Le qualità degli ambienti scolastici Il recente rapporto di Peter Barnett (2015) dell’università di Salford UK indica con dati quantitativi che sono tre i fattori che determinano la qualità degli ambienti scolastici: un ambiente naturale, un’adeguata stimolazione e le opportunità di individualizzazione. Sono categorie che possono essere generalizzate a tutti gli ambienti, ma che per quanto riguarda quelli scolastici vanno opportu I materiali sono disponibili on line: http://www.adz-netzwerk.de.
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namente analizzate e valorizzate. I fattori che influenzano il modo di percepire gli ambienti, o che sono determinanti per avere sensazioni di benessere negli spazi, corrispondono a percentuali molto interessanti: Natural Environment ottiene un complessivo 49% e rappresenta un equilibrio tra luce (21%), qualità dell’aria (16%) e temperatura (12%). L’idea è di creare condizioni ambientali e che richiamino quelli naturali, in cui la sonorità (acustica) e la vista della natura (link to nature) sia inclusa in questa dimensione. Stimulation arriva al 23% e indica un adeguato livello di complessità e di colore negli ambienti. Individualization completa il quadro (28%) determinando la necessità di appartenenza (17%), di flessibilità (11%), in termini di dimensione, connessione, organizzazione, trasformazione e adattamento degli spazi non solo alle diverse necessità, ma soprattutto alle diverse modalità di ciascuno di approcciare con la realtà. Interessante è rilevare come, proprio per quanto riguarda il caso degli edifici scolastici, vi sia una stretta correlazione tra progettazione delle aule e apprendimento. L’analisi multi-criterio condotta in 153 classi di 27 scuole inglesi, per 3.766 alunni, evidenzia che proprio le caratteristiche fisiche delle aule (analizzate in base ai criteri sopra descritti) incidono per il 16% sul miglioramento del processo di apprendimento. La categoria di naturalness rispecchia non solo il bisogno di un contatto visivo con la natura, ma anche la necessità di avere sensazioni epidermiche simili a quelle che si sperimentano negli ambienti naturali. Il riferimento allo spazio esterno, della natura, inoltre, è certamente da tenere presente, per individuare strategie adeguate per garantire benessere non solo all’occhio (luce), alla pelle (aria e temperatura) e all’orecchio, ma anche al gusto e all’olfatto. Le categorie della stimolazione e dell’individualizzazione manifestano anche uno stretto legame con i bisogni corporei. La flessibilità e la complessità, per esempio, si legano al bisogno di movimento, il senso di appartenenza al bisogno di sicurezza, il colore alla nostra innata predisposizione recettiva nei confronti della cromia, determinata dalla luce stessa. Questi dati confermano ampiamente la necessità di considerare il comfort come un nuovo punto di riferimento per pensare alla scuola come un tutto. Una scuola che si può solo comprendere in termini complessivi e strettamente correlati al corpo, con le sue dimensioni sensoriali, emotive, cognitive ed affettive. 222
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Le attualissime attenzioni sulle tematiche del patrimonio di edilizia scolastica configurano nuove categorie di riferimento che ne qualificano gli aspetti estetici e materiali, aspetti che non a caso ricadono sul benessere delle persone. Con il concorso AGIbiLE e BELLA, promosso dal Ministero dei Beni Culturali insieme al MIUR2 nel 2014, la qualità degli edifici scolastici viene ascritta, tra le altre cose, alla bellezza. Un modo di pensare alla scuola del tutto inconsueto, perché la bellezza, come l’agilità, la leggerezza, il comfort, sono sempre state considerate come qualità quasi ‘superflue’, a dir poco ‘frivole’ per una cosa seria come la scuola, quando in effetti le cose proprio non stanno in questo modo (Attia e Scagnol, 2014).
Progettare il comfort negli ambienti scolastici non è un lusso, è una necessità che corrisponde al naturale bisogno di stare bene, e che si può dichiarare come sostenibile perché offre risultati a lungo termine sulla qualità della vita delle persone. Per rispondere alle sfide più manifeste di un sistema che così com’è non funziona più, non ha più appeal e non trova più le sue corrispondenze nei complicati sistemi di valutazione nazionale (SNV, INVALSI) e internazionale (PISA) delle competenze che lei stessa ha inventato, forse ripartire dall’organizzazione fisica degli spazi può essere una buona pista di lavoro che riconduce a una visione pedagogica del modo di fare scuola. Una scuola che funziona ha come prima regola quella di ‘costruire pedagogie’ (Attia e Weyland, 2013), dove la ‘materia scolastica’ non è solo un insieme di contenuti, ma qualcosa che include un discorso più ampio sul ‘contenitore’ che le accoglie. Già a suo tempo grandi pedagogisti hanno messo in dialogo la materia visibile e invisibile del farsi dell’uomo. È noto il rapporto stretto che intercorre tra il pensiero montessoriano e le opere di Herman Hertzberger, come anche tra il pensiero di Rudolf Steiner e l’architettura organica (Hille, 2012), ma anche la pedagogista milanese Giuseppina Pizzigoni, forse meno rinomata, ha trasformato in spazio il proprio pensiero pedagogico negli anni Trenta, con una scuola gioiello, la 2 Si veda on line: http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/ Concorsi/2014/visualizza_asset.html?id=131868.
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4. Per una pedagogia della materialità
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Rinnovata Pizzigoni. Non solo gli studi pedagogici confermano la necessità di riconoscere lo spazio come dimensione esistenziale e vissuta (Iori, 1999), tale da diventare un punto di riferimento identitario della esperienza umana (Hillmann, 2004), ma addirittura gli studi psicologici sulla prossemica confermano la forte influenza dello spazio sul comportamento delle persone (Costa, 2009). Ogni azione avviene in un luogo e acquisisce i suoi significati anche in relazione alle forme che questi hanno. Per fare un esempio, ciò che accomuna le scuole montessoriane, steineriane, del Reggio approach (per indicare solo le più note in campo internazionale), è che tutte quante valorizzano l’importanza di una didattica finalizzata a recuperare le tracce di una socialità generativa e a sostenere esperienze conoscitive intese come percorsi operosi e vitali, tutte occupazioni impegnate e vivaci che producono cultura. Di qui la traduzione fisica: queste scuole si organizzano in ambienti interconnessi che vedono come fulcro dell’azione didattica la piazza, il paesaggio di apprendimento o la zona laboratoriale in comune. In questa accezione gli allievi, l’insegnante, i genitori e la città collaborano insieme nel produrre i significati intorno al loro sistema sociale, economico, politico e culturale e trovano nelle attività di ciascuno il riferimento ai valori ed ai principi dell’intera comunità. Si rivela dunque sempre più necessario porre attenzione ai rapporti tra cose e persone e dare significato pedagogico allo spazio che accoglie e informa le relazioni didattiche. Bruhelmeier, citando Pestalozzi, definisce la scuola come il luogo dove poter godere di ‘ciò che è bello’, un bello che va oltre il senso personale di ‘ciò che piace’, ma che con le parole di Benedetto Croce, coincide con ‘il guardabile’, è ciò che possiamo ammirare e che ci edifica (1969). Un apprendimento emotivo nel quale si collegano rispetto, gioia, amicizia e bellezza, riesce a risvegliare nell’alunno pian piano l’amore per la causa e anche l’amore per la vita (Brühelmeier, 2008). Così nascono i sogni di una scuola come una «casa gioiosa, con un contenuto di seduzione per i ragazzi – un luogo dove alla mattina alle 8 non vedi l’ora di andare –, bella o brutta, di vetro o di cemento, però un luogo che ti appartiene, dove ti incontri, dove sviluppi l’identità» (Botta et al., 2007: 81). Questa esigenza sta determinando una forte spinta alla definizione di nuovi spazi per insegnare e apprendere, strategie innovative con le quali pensare la scuola e organizzarla elaborando i più noti modelli che vanno dalla scuola attiva di John 224
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Dewey, alle scuole montessoriane e steineriane, alle esperienze laboratoriali di Freinet e Malaguzzi fino alle più recenti proposte su base costruttivista e ispirate al metodo del cooperative learning. In sintonia con l’approccio olistico che vede l’uomo come essere intero, unico, non frazionabile in parti, microcosmo all’interno del macrocosmo naturale (Smuts, 1926) e alla teoria dei sistemi (von Bertalanffy, 1976/1983), la scuola è uno spazio vitale che con le sue componenti e le sue relazioni tra gli elementi, ha una naturale propensione a raggruppare in modo organico le sue parti. È un insieme di dimensioni fisiche, emotive ed astratte che conferisce una identità specifica a ciascun edificio scolastico: dalle architetture che l’avvolgono, agli oggetti che l’arredano, alle persone che la frequentano, agli insegnanti che la animano, ai dirigenti che la dirigono, ai genitori che la sostengono e cosi via (Weyland e Attia, 2015). La presenza formativa della scuola si consolida oggi solamente se riesce ad essere non solo un progetto per l’alunno, ma se definisce un sistema di valori e un solido profilo pedagogico-didattico intorno al quale organizzarsi. Riferimenti bibliografici
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