Articolo pubblicato in Dirigenti Scuola, Annuario 2014, Dirigere tra pedagogia e architettura, Ed. La Scuola 2015.
Costruire il ponte tra pedagogia e architettura: esperienze altoatesine
Beate Weyland Questo saggio si basa su un percorso di ricerca condotto in Alto Adige sulla relazione tra pedagogia ed architettura nel processo che porta alla costruzione o ristrutturazione di una scuola1. La ricerca ha focalizzato l’attenzione sui processi innovativi introdotti dalle nuove direttive di edilizia scolastica altoatesine del 2009, concentrandosi sulle dinamiche e le procedure per la progettazione, approvazione ed esecuzione dei lavori per la nascita di una scuola. Sono state messe a fuoco le qualità e le competenze dei soggetti coinvolti nel processo progettuale ed è stato considerato con attenzione il percorso che porta alla definizione del concetto pedagogico della scuola, una sorta di “carta d’identità” della comunità scolastica e punto di partenza per progettare le strutture. Da tutto ciò emerge una sempre più consapevole richiesta di costruire il ponte tra pedagogia e architettura come elemento chiave per sostenere su ampia scala una nuova cultura degli ambienti per insegnare ed apprendere. Le colonne portanti della progettazione di una scuola La ricerca non si occupava di fornire specifiche idee circa la migliore architettura, o la migliore pedagogia da considerare. Intende offrire piuttosto indicazioni di carattere metodologico, finalizzate ad individuare ciò che veramente è e vuole essere una scuola, ciò che effettivamente è possibile fare, come e quando è possibile interfacciarsi in termini di visioni e di immagini insieme all’architetto per creare e progettare Scopo dello studio è infatti quello di attivare un processo di sensibilizzazione delle figure coinvolte nel processo progettuale, favorendo un dialogo tra i diversi background culturali, di visione e di organizzazione funzionale dell’esperienza dei soggetti: dalle figure direttive e del corpo docente, che afferiscono alle dimensioni pedagogico-‐didattiche ed educative, agli architetti, competenti per le dimensioni tecnico progettuali, alla committenza, che considera gli elementi politico-‐economici e funzionali. Per questa ragione sono stati messi a fuoco i soggetti della progettazione, che sono fondamentalmente quattro: la committenza, in genere il comune, la provincia o lo Stato; l’architetto e tutto lo staff tecnico-‐progettuale; il dirigente come portavoce delle istanze pedagogiche della comunità scolastica; gli esperti e i consulenti di processo. Gli amministratori locali, come committenti, hanno il potere decisionale e devono sapersi destreggiare tra le maglie della burocrazia per gestire le risorse con maestria e competenza. Per superare le logiche di corto raggio a vantaggio della qualità nella progettazione, avrebbero il compito di governare i processi e di farsi da garanti per le buone scelte, intendendo la scuola come un vero e proprio progetto culturale. I progettisti si occupano di interpretare i bisogni e guidare le richieste con le risorse necessarie e avrebbero l’obiettivo formulare soluzioni architettoniche di imprescindibile qualità.
1 La ricerca „Tra pedagogia e architettura“ è finanziata dalla Libera Università di Bolzano, Facoltà di Scienze della Formazione. È stata condotta dal 2010 a Maggio 2014 in collaborazione con Sandy Attia e Matteo Scagnol, dello studio ModusArchitects-‐Bressanone. I risultati esaustivi dello studio sono in corso di pubblicazione.
Il corpo docente, sotto la guida del dirigente scolastico, dovrebbe essere chiamato in causa per definire l’identità della scuola e le azioni che le danno forma attraverso il concetto pedagogico, come documento base per progettare. Gli esperti e i consulenti di processo, con particolari qualità pedagogiche, dovrebbero avere un ruolo ben definito all’interno del percorso progettuale. Sono i mediatori di processo e sostengono una comunicazione efficace e positiva tra i diversi soggetti, al fine di apportare il necessario contributo di mediazione e culturale alla trasformazione della scuola. Dalla ricerca in oggetto si evidenzia che ciascuna di queste figure non ha sempre piena consapevolezza dei propri compiti e delle proprie responsabilità. In particolare, soprattutto il dirigente scolastico, l’architetto e la committenza, spesso hanno svolto le attività nel processo progettuale in parallelo, con evidenti difficoltà di mettere quindi in relazione i recipropci argomenti e contenuti. Il profilo del consulente di processo, inoltre, non è ancora ben definito e necessità di un’attenzione formativa da non trascurare, perché incide molto sui risultati del dialogo tra pedagogia e architettura. Nello studio sono stati indagati dieci casi di scuole dell’infanzia e primarie, oggetto di concorsi internazionali di architettura, che si sono qualificati per l’ottimo risultato architettonico2. Si tratta di scuole costruite negli ultimi dieci anni e oggetto di concorsi di architettura il cui bando si riferisce a una normativa molto simile a quella tutt’ora vigente sul territorio nazionale (DM 18/12/1975). Essa fa riferimento a numeri, metri quadrati, spazi funzionali, come la presenza di biblioteca, palestra, sala movimento ecc.. Compito degli architetti era quello di presentare un progetto che rispondesse a questi requisiti. Il bando in generale dovrebbe essere il documento cardine che mette insieme le esigenze del committente e degli utenti per dare indicazioni agli architetti che partecipano al concorso. Nello studio, invece, emerge che il progetto, già impostato dal concorso, non sembrava spesso includere nelle sue indicazioni un modello chiaro riferito alle didattiche e alle pedagogie che intendeva perseguire la scuola. Questo dato ha comportato diversi attriti e difficoltà comunicative tra figure pedagogiche e progettisti, frustrazioni da entrambe le parti, segnalate come incapacità reciproca di comprendere i diversi punti divista. Architetto e dirigente scolastico: due punti di vista su uno stesso oggetto Dalla ricerca emergono due dati fondamentali: • l’architetto ragiona su ampia scala e generalmente è aperto ad accogliere le più diverse sollecitazioni (quindi certamente anche quelle di carattere pedagogico-‐didattico) al fine di mettere in atto strategie per rispondere all’esistente e per ottimizzare al massimo le possibilità in gioco nella realizzazione delle strutture; • il dirigente scolastico e il team docente che lo supporta, se è preparato e fortemente intenzionato a offrire precise indicazioni pedagogico-‐didattiche e chiare descrizioni dei bisogni, di solito riesce a lasciare un’impronta non indifferente sull’architettura scolastica, che assume un carattere marcatamente diverso rispetto ad edifici anche meglio riusciti dal punto di vista progettuale, tanto da essere riconosciuta come “architettura educativa”. L’architetto non opera solamente in base alle richieste dell’utente, ma ragiona su una scala che va dal grande al piccolo (dalla collocazione dell’edificio nel tessuto urbano per esempio fino agli arredi) e talvolta, pur non rispondendo direttamente ai bisogni specifici, si inventa modalità per trasformare le condizioni fattuali e le problematiche esistenti (norme antincendio, normative, disposizioni ecc.) in qualità per lo spazio educativo e individua 2 Le scuole analizzate sono: scuola dell’infanzia in lingua tedesca di Silandro, Terento, Bressanone-‐Rosslauf, Castelrotto e Predoi; scuola dell’infanzia ladina di S.Leonardi in Badia; scuola elementare in lingua tedesca di Egna, Funes, Monguelfo, Vipiteno.
modalità per l’organizzazione degli spazi e dei volumi in base alle idee nate dalle possibilità concrete esistenti e funzionali delle strutture in via di definizione. Il dirigente scolastico illuminato offre un contributo di direzione pedagogica volto a chiarire il perché e il come della scuola e dell’azione didattica. Si tratta di un’azione di non poco conto, perché definisce la carta d’identità della comunità scolastica, ne stabilisce le coordinate che basano su principi e valori che sostengono l’agire scolastico e, a partire da una lettura chiara e condivisa sulla relazione alunno-‐saperi-‐docente, offre indicazioni precise sui bisogni. La scala di ragionamento va quindi dal piccolo al grande, dal dettaglio degli arredi alle relazioni dell’edificio con il paese o il quartiere. Dall’identificazione delle caratteristiche specifiche della scuola emergono le visualizzazioni dei contesti e degli ambienti. La scuola, infatti, in questo senso è un ambiente di vita e di relazione, intenzionale, asimmetrico, volto allo sviluppo delle potenzialità individuali e predisposto per la condivisione delle conoscenze. I regali dell’architetto Dai dati di ricerca risulta che l’architetto, quando progetta una scuola oggetto di un concorso di architettura, non manca di svolgere alcune interpretazioni e riflessioni in chiave educativa. Ne sono un esempio in particolare la scuola primaria in lingua tedesca di Egna, dove l’architetto Walter Angonese, supportato dall’artista Manfred Mair, ristrutturando un vecchio edificio storico ha sviluppato soluzioni architettoniche particolari e nel tempo apprezzate anche dalla comunità scolastica. L’entrata sembra uno spazio quasi un po’ ristretto e buio, con un soffitto più basso del previsto, squarciato da una grande finestra elicoidale che guarda verso il cielo e offre gli inaspettati ricordi di una nascita. L’architetto ha progettato il passaggio attraverso uno spazio più piccolo e angusto, dai colori scuri, collegato con il cielo e con le viscere (vi è anche una vetrata che permette di guardare nel laboratorio artistico interrato) che si apre poi sui luminosi scaloni, offrendoci proprio la sensazione di un’importante zona di passaggio, tra un dentro e un fuori, un prima e un dopo, un mondo e un altro. Sempre presso la scuola di Egna, interessante è la posizione del laboratorio artistico, che si trova nell’interrato ma con finestroni alti che si affacciano sulla piazza del paese e sull’entrata, quasi a richiamare l’attenzione e lo sguardo della comunità sui luoghi del fare della scuola. Nel piano interrato si trova anche la biblioteca che, pensata anche come luogo per la comunità (quando utilizzata da esterni per molteplici iniziative e attività), è stata progettata come luogo dinamico e variegato con un carattere molto particolare: dispiegandosi su due livelli, con zone archivio libri anche al piano rialzato, che si affaccia con una balconata vetrata sull’ampio salone destinato alla lettura e ai grandi incontri, dispone di una zona arredata con un grande tavolone quadrato sempre al piano rialzato contornato da quattro panche fisse. È il luogo dei progetti o della lettura raccolta a grande gruppo, in uno spazio tutto suo. E subito sotto al soppalco un salottino rosso intenso guarda invitante verso l’ampio salone, sembra quasi una sala d’aspetto, un luogo curioso, che invita alla lettura ma anche allo scambio di pensieri tra pochi. I colori insoliti dei muri, sul marroncino scuro, valorizzano gli arredi e l’illuminazione. Un altro interessantissimo spazio realizzato si trova sul tetto e viene descritto con eleganza da Sandy Attia: “Osservando l’edificio esistente e il nuovo ampliamento della scuola elementare di Egna, si coglie un armonioso insieme di tetti a falda reso possibile dal geniale utilizzo di una rete metallica incrociata. L’inganno è svelato solo all’ultimo piano, dove un sottotetto qualsiasi nasconde un luogo magico tra la terra e il cielo: l’aula all’aperto. Ma con che utilizzo? Non facendo parte del programma planivolumetrico ufficiale, per cui senza un’assegnazione funzionale chiara e schedabile, questo spazio ricade nel famoso elenco dei “regali dell’architetto.” L’appropriazione degli spazi di una scuola è un processo lento e continuo, ma sono proprio queste occasioni, o sfide lanciate dall’architetto, che stimolano il corpo insegnante nel cercarne le possibili valenze didattiche e nel cogliere le qualità dello spazio
architettonico. Uno spazio anomalo, non per caso poetico, può suscitare esperienze insolite purché inserito all’interno della mappa mentale dell’intera scuola, evitando di lasciarlo ai margini come un ospite inaspettato. È passato qualche anno dalla mia visita alla scuola che al suo primo anno di “riappropriazione” ancora si domandava cosa avrebbe fatto in quell’ambiente. Immagino ogni tanto i bambini giocare in inverno con la neve e i ragazzini a preparare un piccolo campo di ghiaccio. In primavera li vedo inventarsi mille giochi con la palla, certi di non poterla mai perdere, o impegnati a tessere reti di corde tra la rete di metallo; sarei curiosa di conoscere oggi cosa è stato fatto di questo straordinario “regalo”.”3 Troviamo anche negli altri casi di studio i cosiddetti “regali dell’architetto” ovvero spazi non richiesti pensati con un’idea di relazione educativa che vengono lasciati alla scuola per essere scoperti ed abitati. Presso la scuola elementare in lingua tedesca di Vipiteno, per esempio, gli architetti Zanovello e Calderan hanno progettato una generosa entrata con una stanza all’esterno collocata al primo piano, visibile come un volume sospeso nel grande atrio sottostante. Una grande finestra permette una comunicazione visiva tra questo spazio esterno e l’atrio. Concepito dagli architetti come un cortile polivalente, è rivestito in legno e dispone di due gradoni. Si accede attraverso una vetrata che guarda sull’aula di musica, che trasforma questa stanza in una silenziosa tribuna all’aperto in attesa di essere allestita. Ciò che emerge, tuttavia, sia dalle interviste agli insegnanti, sia dai worhshop svolti con i bambini presso le scuole, è che spesso questi veri e propri gioielli architettonici, con un loro perché anche dal punto di vista pedagogico, non sono ancora stati scoperti e valorizzati dalla comunità scolastica. Non si presta loro molta attenzione, non si sa bene cosa fare in questi spazi, escono da quelle che sono le routine quotidiane dell’ordinario modo di fare scuola e disturbano quasi l’ordine mentale/visivo/spaziale del corpo docente entro cui collocare le attività didattiche. Si tratta di proposte interessanti, che se però fossero accompagnate da un maggiore dialogo con i progettisti potrebbero avere di certo più appeal. Allo stesso modo, le richieste pedagogiche giustificate, magari anche ardite, di dirigenti e insegnanti impegnati potrebbero offrire lo spunto agli architetti per pensare a soluzioni originali ma già nell’ordine delle idee degli utenti. Le intuizioni del dirigente La figura del dirigente scolastico ha un ruolo chiave nella realizzazione di una buona e bella scuola. Le esperienze nazionali di scuole innovative non mancano e sono distribuite su tutto il territorio italiano: in Alto Adige l’Istituto Comprensivo di Monguelfo diretto da Josef Watschinger e la scuola dell’infanzia di Terento, a suo tempo diretta da Hilde Kofler; a Mantova presso l’istituto superiore Enrico Fermi diretto da Cristina Bonaglia, nota per i suoi interventi innovativi con le tecnologie, le aule tematiche e senza cattedra; a Reggio Emilia le recenti esperienze di scuola primaria presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi con la coordinatrice-‐pedagogista Annalisa Tedesco, in Toscana la rete di “scuole senza zaino” che si orientano al pensiero del dirigente Marco Orsi. Tutte queste esperienze di scuole pubbliche, alle quali si possono poi aggiungere quelle delle scuole di metodo (dalle montessoriane e steineriane pubbliche-‐parificate in Alto Adige, alla Rinnovata Pizzigoni a Milano e a molte altre ancora), sono sostenute dalla presenza forte di un dirigente con chiare intenzioni pedagogiche che ha saputo guidare il corpo docente nella definizione di una identità dell’agire scolastico. Nella ricerca sulla relazione tra pedagogia e architettura, emerge che le intuizioni di Josef Watschinger e di Hilde Kofler sono state quelle di considerare gli spazi scolastici non più come luoghi austeri d’insegnamento, ma fondamentalmente come luoghi conviviali di 3
S.Attia, Lo spazio di mezzo, in Turris Babel, nr. 93, Rivista della Fondazione Architettura di Bolzano, Novembre 2013.
apprendimento. Le richieste specifiche erano quindi di evitare di isolare le diverse aree per insegnare ed apprendere e di cercare una maggiore comunicazione e dinamicità tra i diversi ambienti. Il risultato progettuale nell’istituto comprensivo di Monguelfo (sia nella scuola elementare che media) consiste in una graduale apertura delle aule verso gli spazi esterni, considerati come zone di lavoro, laboratori dell’apprendimento, attraverso trasparenze visive che connettono verso il grande androne (o “piazza”, se usiamo la denominazione malaguzziana) tra le classi. Nella scuola dell’infanzia di Terento le soluzioni architettoniche sono ancora più giocate in un continuo rimandarsi di sguardi tra piano terra, scale e soppalco, angoli dove nascondersi e salottini ricavati nel sottotetto. Tutte le sezioni della scuola dell’infanzia sono collegate tra loro tramite ponticelli e saliscendi, intervallati da spazi gioco e angoli tematici. Mentre la scuola primaria si presenta come il laboratorio del fare, la scuola dell’infanzia diventa il paradiso delle esplorazioni. Il movimento libero del bambino tra i diversi ambienti e la libera scelta di dove sostare per svolgere le attività di apprendimento individuali o di gruppo, diventano un fattore di grande importanza pedagogico-‐didattica volta a qualificare la vita scolastica. Questa qualità pedagogica è stata rilevata non solo nelle due scuole qui sopra descritte, ma anche in alcuni altri casi della ricerca. Dallo studio emerge comunque che soprattutto nei due casi in cui si riscontra un eccellente connubio tra pedagogia e architettura, il dialogo tra architetto e dirigente-‐pedagogista è stato molto intenso. Il dirigente Watschinger ha coinvolto animatamente l’architetto Klaus Hellweger nel suo percorso di ricerca sulla relazione tra spazio e apprendimento, iniziata già anni addietro e portata avanti soprattutto negli ambienti di lingua tedesca, in particolare attraverso rapporti molto stretti con la fondazione Montag Stiftung a Bonn4, che si connota come leader attualmente su questi temi in Germania. La dirigente Kofler si è sostenuta sin dall’inizio con il contributo esperto della pedagogista Angelika von de Beck, nota nei contesti di lingua tedesca per le attenzioni pedagogiche rivolte agli ambienti per la prima infanzia, e ha condiviso a più riprese le sue conoscenze con l’architetto Christian Zoderer, molto aperto e interessato a conoscere il mondo dell’infanzia dall’interno. Il dirigente e l’architetto hanno entrambi il compito di pensare a un futuro a lungo termine in cui si dispiega l’agire scolastico. L’architetto è proteso a ricercare la possibilità di realizzare un edificio flessibile ma per questo resistente nel tempo, capace di piegarsi alle diverse richieste dell’utenza, ai bisogni che cambiano, alla scuola che si trasforma. Il dirigente è lungimirante, visualizza come si sta trasformando il modo di apprendere, come si innovano le pratiche didattiche, come si sviluppano gli orizzonti culturali e sociali verso i quali ci muoviamo. Sono grandi responsabilità, che comportano un amore per la scuola come luogo di qualità e spessore per le future generazioni. Il concetto pedagogico: cuore della progettazione Le nuove direttive di edilizia scolastica in Alto Adige del Febbraio 2009 (Regolamento di attuazione ai sensi dell’articolo 10 della LP 21Luglio 1977 n.21) prevedono una nuova attenzione alla didattica e al coinvolgimento della scuola nelle procedure per la progettazione, l’approvazione e l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione o nuova edificazione di scuole (pubbliche e private), palestre e impianti esterni, spazi per il gioco e per lo sport. Si tratta di un’innovazione importante che segnala una sensibilità diffusa sull’importanza di trovare nuovi canali comunicativi tra i mondi della pedagogia e della didattica e quelli dell’architettura. Una sensibilità che si conferma in ambito nazionale e internazionale 4
http://www.montag-‐stiftungen.de/urbane-‐raeume/stiftung-‐urbane-‐raeume.html
attraverso una serie di iniziative (convegni, costituzione di associazioni e reti istituzionali, mostre itineranti) volte a elaborare strategie di riflessione e consapevolizzazione delle reciproche responsabilità e dei riferimenti teorici ed operativi, didattici e progettuali. Negli ultimi anni, inoltre, la scuola si apre alla comunità e in alcuni casi diventa un vero e proprio centro civico con piazze, sale pluriuso, uffici e spazi polifunzionali aperti alla comunità. Questo processo è stato incluso nelle direttive considerando l’”aperura della scuola verso l’esterno” all’articolo 2, come un criterio di base per la progettazione architettonica. Anche questo aspetto offre interessanti spunti di riflessione sulla cultura della scuola che si apra al concetto di cultura della comunità sociale e sull’impegno degli architetti per interpretare creativamente questi nuovi bisogni sia della committenza sia degli utenti. Tra le novità di queste direttive emerge un’attenzione particolare alle procedure per la progettazione, l’approvazione e l’esecuzione dei lavori (art.15,106,100) indicando che “Alla base del progetto dell’edificio scolastico va posto un concetto organizzativo che indichi l’orientamento pedagogico e il futuro prevedibile della scuola in oggetto”. Secondo la Legge, alle sedute del gruppo di consulenza e coordinamento per lo sviluppo del progetto prendono parte: rappresentanti dell’Intendenza scolastica, rappresentanti della Ripartizione formazione professionale, Il direttore/direttrice della scuola. Nell’allestimento dei cortili scolastici andrebbero coinvolti, ove possibile, anche alunni, genitori e insegnanti. Questa novità è stata accolta positivamente sia dagli architetti, che rilevano spesso una mancanza di indicazioni specifiche sull’orientamento didattico e funzionali degli spazi che si appresta a progettare, sia dalla scuola, che riesce ad avere uno spazio legittimo per l’esplicitazione dei bisogni. Anche nel panorama italiano, fuori dall’Alto Adige, è importante conoscere il senso di questo importante documento, perché, come abbiamo visto negli esempi più sopra di eccellente connubio tra pedagogia e architettura, è il concetto pedagogico della scuola a fare da chiave di volta per la nascita delle architetture per l’apprendimento. Non è necessario per forza che ci sia una legge per produrlo. Le amministrazioni locali e gli architetti sono certamente interessati e disponibili a inserire questo prezioso documento nel processo progettuale e ne trarranno sicuro vantaggio. Cos’è? Perché serve? Il concetto pedagogico è un documento emesso dal dirigente scolastico, dietro consultazione del corpo docente e di eventuali consulenti pedagogici. Viene redatto a fronte della necessità di costruire, ristrutturare o ampliare un edificio scolastico. È finalizzato a offrire indicazioni sul profilo della scuola: principi pedagogici di riferimento e orientamento culturale, metodologie didattiche impiegate, bisogni e previsione di sviluppo in base alla tipologia di utenza e alla specificità del contesto in cui si inserisce. Esprime quindi in sintesi l’identità culturale e pedagogica della futura scuola. Si differenzia dal Piano dell’offerta formativa (POF) perché non riporta nel dettaglio le attività formative, ma ne coglie l’essenza che può influenzare la definizione spaziale e fisica degli ambienti e la sua organizzazione funzionale. Con le Direttive per l’edilizia scolastica del 20095, viene stabilito nell’art. 106 che le linee guida del progetto organizzativo ad indirizzo pedagogico (accertamento del fabbisogno, concetto pedagogico-‐didattico e dati statistici di sviluppo della scuola) sono di fondamentale riferimento nel percorso progettuale. L’attenzione al cosa si fa nella scuola e come la si vive diventa essenziale per stabilire la funzione e la grandezza degli ambienti, le connessioni e le gerarchie tra gli spazi e infine la qualità dei volumi. Infatti, “per la redazione del programma 5 Decreto del Presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, 23 Febbraio 2009, Direttive per l’edilizia scolastica.
planivolumetrico di cui all’articolo 106 le dimensioni dei locali vengono determinate in base al progetto pedagogico ed in base ai valori indicativi previsti negli articoli successivi. “(Art. 19, 1) Una volta redatto il progetto pedagogico, questo viene sottoposto alle rispettive Intendenze scolastiche per il benestare circa la conformità pedagogica. La normativa ammette, infatti, un’organizzazione spaziale della scuola con un carattere innovativo, personalizzato, differente dal tradizionale schema aule-‐corridoi: “I valori delle superfici indicati nel presente regolamento possono essere applicati in modo flessibile qualora sussistano ragioni pedagogiche particolari. Tali ragioni devono trovare riscontro nella normativa provinciale per la definizione dei programmi scolastici. In questi casi va acquisito anche il parere dell’Intendente scolastico competente oppure del Direttore/della Direttrice della Ripartizione per la formazione professionale.” (Art 15, 3). La scuola ha dunque in mano uno strumento straordinario per trasformarsi e per richiedere spazi più adeguati alle novità che le concernono. In quale procedura si colloca? Incremento demografico, necessità di un ampliamento o di una ristrutturazione? Quando si presentano questi bisogni, l’amministrazione accoglie le richieste dagli uffici che gestiscono l’ambito scolastico e fa pervenire una nota ai politici, in altre parole alla giunta, che stabiliscono la possibilità di darvi risposta. L’ufficio tecnico di riferimento ha il compito di redigere una prima valutazione di massima sulla cubatura necessaria, in base alle Normative di Edilizia scolastica. È un programma funzionale abbozzato che definisce sommariamente la cubatura, gli importi, la possibilità stessa di costruire e che si ordina intorno al “progetto organizzativo a indirizzo pedagogico”(DP 2009, art. 104), opportunamente verificato dagli uffici competenti. Il progetto pedagogico deve contenere una descrizione della tipologia dell’istituzione scolastica, offrire una previsione sulla crescita dell’utenza, dare indicazioni circa i bisogni rilevati e fornire delucidazioni sul possibile utilizzo extrascolastico. Questa bozza di valutazione tra volumi e costi (piano planivolumetrico, o piano di fattibilità non sempre accompagnato da elaborati grafici) torna in giunta che valuta sulla possibilità di finanziare l’operazione. Qual ora l’esito sia positivo, si stabilisce come procedere: concorso di progettazione, concorso a inviti, gare d’appalto ecc.. Nei processi concorsuali la legge stabilisce la partecipazione del dirigente scolastico come rappresentante della componente pedagogica. Il ruolo del consulente pedagogico La costruzione di un progetto pedagogico non è un percorso facile, perché implica un’analisi e riflessione sugli elementi fondamentali della didattica scolastica, oltre che sui principi pedagogici e i valori a cui il gruppo fa riferimento. Il processo conduce la scuola a percepirsi come una comunità che condivide alcuni fondamenti basilari, e questo, soprattutto per quanto riguarda la scuola pubblica, non è scontato, ma piuttosto il risultato di un percorso di consapevolizzazione. Per redigere tale documento è importante considerare il supporto di un consulente pedagogico, che può facilitare il processo generativo insieme al dirigente scolastico, al gruppo dei docenti, e alle figure che si ritiene utili alla discussione circa l’identità della scuola. Questa figura ha una competenza interdisciplinare tale da cogliere sia le istanze pedagogiche, sia le condizioni architettonico-‐progettuali della scuola. Il suo compito è quindi quello di interfacciarsi con il quadro normativo e politico all’interno del quale si colloca il processo della nascita/ristrutturazione di un edificio scolastico e di sostenere i processi partecipativi per chiarire l’orientamento pedagogico-‐didattico della scuola. Il suo ruolo di amico critico, che
accoglie e modera le discussioni, è quello di aprire nuovi scenari e di sollecitare discorsi metacognitivi, ovvero che nascono dalla riflessione sull’azione pedagogico-‐didattica. La sua responsabilità è quella di condurre il gruppo in una zona franca, fuori dalla routine scolastica, in cui si apre uno spazio anche per sognare e desiderare la scuola del futuro. In questo processo non sono da sottovalutare gli impegni pratico-‐organizzativi del consulente, che sgrava il dirigente e il gruppo docente da diversi impegni: definizione dei tempi per giungere al risultato; presentazione degli opportuni riferimenti normativi, degli esempi e delle condizioni architettoniche; organizzazione dei materiali e dei metodi per strutturare il momento generativo; consultazione dei vari soggetti coinvolti; documentazione del percorso; analisi e concettualizzazione grezza dei risultati delle discussioni e dei momenti produttivi. Una esperienza Nel contesto altoatesino di lingua italiana la familiarità con un concetto pedagogico in cui si tematizzano gli spazi e gli ambienti scolastici in modo più diretto non è ancora molto diffusa. La dirigente Vally Valbonesi presso l’Istituto Comprensivo Merano a fronte di una ipotesi di ampliamento e ristrutturazione degli edifici, ha richiesto il mio supporto per definire il progetto organizzativo a orientamento pedagogico della scuola. Il documento è stato il frutto di un processo di analisi, riflessione e di condivisione collegiale, durato da Gennaio a Giugno 2013. La consulenza pedagogica è consistita nell’offrire innanzitutto al gruppo di lavoro alcuni input per riflettere sul significato dei concetti di apprendimento e insegnamento e per stabilire gli orientamenti di valore ai quali aderisce il corpo docente. Le sollecitazioni di carattere teorico (lezioni, testi, documenti), esemplificativo (prevalentemente attraverso l’impiego di immagini documentative) ed esperienziale (sopralluoghi e visite didattiche), a cui sono seguite profonde e vivaci discussioni, sono stati orientati all’idea conoscere attraverso i sensi (ascoltare, vedere, toccare e sentire) le ipotesi e le proposte delle scuole d’avanguardia. Il secondo momento importante del processo è consistito nella realizzazione di un workshop generativo aperto a tutto il collegio docenti, per raccogliere dati sulle concezioni pedagogico-‐ didattiche (“la scuola è un luogo in cui…”), sui bisogni e sugli auspici per la scuola. All’incontro sono stati invitati anche il Sindaco ed alcuni rappresentanti del Comune. Si è lavorato con la tecnica del metaplan, una sorta di brain-‐storming visivo come strumento partecipativo, democratico e creativo per generare progetti. I partecipanti avevano il compito di esprimere in forma visiva e con parole chiave le loro concezioni sul software pedagogico della scuola. In un terzo momento i dati raccolti sono stati elaborati su un documento condiviso online e sono quindi stati sintetizzati in un momento partecipativo aperto a tutti gli interessati. L’ultima fase della redazione del progetto pedagogico è stata destinata alla pianificazione dell’organigramma, ovvero nell’attenta valutazione degli spazi a disposizione, di quelli richiesti con chiare indicazioni sulle destinazioni d’uso e sull’impiego didattico. Infine sono stati indicati nello specifico i dati tecnici relativi allo sviluppo presunto dell’utenza. L’aspetto interessante di questo processo è consistito in un passaggio da un’iniziale diffidenza e perplessità nei confronti dell’innovazione a una graduale eccitazione e una progressiva convinzione della possibilità di tradurre “le belle idee e i buoni principi pedagogici” in qualcosa di fattibile. Il primo passo concreto verso il cambiamento è proprio il progetto pedagogico che sta alla base delle buone architetture per l’apprendimento. Attualmente la consulenza di processo sta proseguendo per tutto il 2014 con i seguenti scopi: da una parte per accompagnare dirigente e committenza nella redazione del piano di fattibilità che sarà il documento base per il bando di concorso di architettura per la ristrutturazione della scuola; dall’altra per accompagnare il gruppo di lavoro, o la “commissione spazi”, come si suole chiamare, nel processo di trasformazione del dire in fare, ovvero per tradurre i desiderata pedagogici, in azioni didattiche concrete che manifestino l’effettiva necessità degli spazi
richiesti. Da notare è la composizione del gruppo: oltre alla dirigente sono presenti diversi insegnanti di tutto l’istituto comprensivo (della scuola primaria a tempo pieno e a tempo normale, delle piccole scuole primarie periferiche e della scuola media) oltre che una rappresentante dei genitori molto attiva nel consiglio d’istituto e una bidella, figure fondamentali per avere uno sguardo di insieme su tutto l’agire scolastico. La presenza di queste figure diversificate arricchisce il dibattito e il confronto, promuove e sostiene l’identità di tutto l’istituto comprensivo nelle sue ampie ramificazioni. Si espongono di seguito le prime azioni volte a dare concretezza al concetto pedagogico. ü Una classe lavora per isole, inventa nuove modalità di arredare l’aula , posiziona la LIM sulla parete laterale ad altezza di bambino e elimina la cattedra. ü Un’interclasse in accordo con le famiglie attiva un progetto di percorso autonomo e responsabile dei bambini dal cortile alla classe. ü Una scuola primaria periferica si appropria degli spazi intermedi e posiziona il guardaroba di tutte le classi all’entrata. ü Presso la scuola media si prova ad abitare gli ampi androni vuoti posizionando computer e libri; una classe sperimenta l’organizzazione dei banchi su isole. ü Due classi di scuola primaria si appropriano dell’androne antistante per fare attività didattiche differenziate e individuali e per creare postazioni di lavoro per gli insegnanti. ü Il consiglio d’istituto si assume il compito di studiare un progetto per la riqualificazione di una parte del cortile da destinare a uso scolastico e civico. In conclusione La scuola inizia a riconoscersi come una piattaforma di dialogo e scambio, di sviluppo e azione tra molti e diversi attori del contesto socioculturale in cui crescono le giovani generazioni: le amministrazioni locali e statali, i soggetti politici, i progettisti e i tecnici, i pedagogisti e gli educatori, gli insegnanti e i loro dirigenti, la comunità dei genitori e degli alunni, gli enti culturali sul territorio. Tutti sono chiamati in causa per ragionare su un nuovo modo di fare scuola. È arrivato il momento di sognare edifici scolastici che possiedano una qualità architettonica e chiari profili pedagogici. I tempi sono maturi perché si diffonda una profonda cultura cooperativa degli ambienti di apprendimento e per tutto questo sembra necessario sviluppare un buon dialogo interdisciplinare tra pedagogia e architettura. Il dirigente in questo senso può diventare il volano dell’innovazione, promuovendo un processo di consapevolizzazione sugli opportuni passi da fare per garantire la nascita o la metamorfosi della scuola verso un modello adatto alle circostanze attuali e alle sfide incombenti.