Education 2.0 Esperienze, riflessioni scenari A cura di paolo Calidoni e Clementina Casula Cuec University Press 2015 CAPITOLO 11 Verso nuove architetture degli ambienti di apprendimento Beate Weyland1
In questi anni una serie di fattori sta generando una profonda metamorfosi della scuola: le tecnologie da una parte rivoluzionano i processi informativi e conoscitivi, accelerano i meccanismi di recupero ed elaborazione dei dati, trasformano il modo di pensare alle cose; i cambiamenti sociali, culturali e politici, dall’altra, le impongono di fronteggiare le sfide delle pluralità culturali, di rispondere alle sempre maggiori segnalazioni di disturbi specifici dell’apprendimento, in aggiunta ai bisogni educativi speciali; non da ultimo lo star bene a scuola sta diventando un fattore di criticità segnalato non solo dall’utenza, ovvero i bambini e le famiglie, ma anche dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici, talvolta frustrati e sovraccarichi di impegni e responsabilità. Per rispondere a queste sfide la scuola si sta avviando verso una ricerca d’identità a cui accompagnare euristiche o piani d’azione efficaci. È sulle tracce delle modalità più adeguate per incontrare e lavorare con la complessità, ovvero con la sostanziale differenza (particolarità, specificità) tra gli individui. Una diversità di tutti tra tutti che richiede metodi e tempi di lavoro differenziati, plurali, innovativi, architetture scolastiche che interpretino ed esprimano una nuova cultura dell’apprendimento, ma soprattutto luoghi del fare scuola che rispondano al sempre più incessante bisogno di tempi lunghi e distesi, di momenti di sosta e ristoro, di momenti di convivialità e di incontro da accompagnare al processo formativo. La scuola è in ricerca per dare forma e sostanza ai principi pedagogici da tutti condivisi e da tempo ormai presenti nella quasi totalità dei Piani dell’Offerta Formativa. Ma sta cercando una pedagogia e una didattica da vedere, da sentire e da toccare concretamente, ovvero anche attraverso gli spazi architettonici, l’allestimento degli ambienti, l’organizzazione dei materiali didattici e delle tecnologie. Questo contributo mette a tema la metamorfosi della scuola in rapporto alle tecnologie e agli spazi. La scuola sta lavorando per trasformare il virus della tecnologia, l’affaticamento dato dalle trasformazioni socioeconomiche e culturali che rendono tutto più complesso e variegato in una sua nuova forza. Per questo ha bisogno di lavorare sulla sua fisionomia, sul suo portamento, sul suo abbigliamento. Questo lavoro comporta scelte precise, pensieri condivisi e azioni collegiali che ne tratteggino sempre meglio l’identità. Le tecnologie cambiano la scuola?
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Beate Weyland, Professore di Didattica Generale, Libera Università di Bolzano
Non pochi studi (Bertolini, 1999; Ferri, 2008; Arato e Geuna, 2009) fanno notare come il potenziale di attrazione dei media digitali (dalla televisione a Internet) sia un elemento fondamentale nei giovani per lo sviluppo delle competenze di alfabetizzazione. Le immagini, la grafica e i suoni stanno sostituendo o affiancando prepotentemente la lettura e la scrittura come mezzo di trasmissione di informazioni. Per queste ragioni l’intero sistema scolastico si sta interrogando sulle modalità più adeguate per accompagnare gli studenti a sviluppare nuove abilità di alfabetizzazione, che consistono innanzitutto in una buona capacità di analisi critica per destreggiarsi tra il flusso caotico delle informazioni, spesso fuorviante (Felini, 2004). L´impiego delle nuove tecnologie nella didattica è ormai fondamentale per agevolare la riuscita scolastica degli alunni, per potenziarne l´apprendimento con tecniche e strategie innovative e per fornire adeguate competenze attraverso l´uso di strumenti tipici del loro tempo. La loro introduzione nella scuola non può che cambiarne il setting didattico e fisico-‐spaziale e comporta una nuova riflessione sul concetto e sulla missione della scuola. Per questo le domande guida dello studio sono state le seguenti: le tecnologie cambiano la didattica a scuola? Come la trasformano? Ci si sta muovendo verso nuovi modi di insegnare e apprendere? Qual è il ruolo dell’insegnante quando insegna con – attraverso – su le tecnologie digitali? Cambia l’organizzazione degli spazi? C’è bisogno di ambienti diversi da quelli attuali ora che sono così presenti le tecnologie? Quando le tecnologie entrano a scuola, l’insegnante si trova a dover assumere un nuovo ruolo: oltre a offrire un adeguato supporto tecnico, preoccupandosi del ‘corretto funzionamento del sistema’, ha la responsabilità di garantire un vero e proprio sostegno pedagogico e intellettuale per organizzare e sviluppare “gli argomenti che saranno oggetto di discussione o di attività”, “intervenendo sulle procedure e sull’organizzazione” ed offrendo un supporto sociale, allo scopo di mantenere “un clima di fiducia reciproca all’interno dei gruppi di discussione o collaborativi” (Rotta e Ranieri, 2005, p.89-‐90). L’insegnante di oggi s’interroga molto sul suo ruolo educativo e su come si deve porre davanti “a un proliferare di new media che ibridano i vecchi caratterizzandosi per il crescente tasso d’interattività e per la prevalenza di interfacce che prediligono lo schermo e l’immagine”. Certamente si trasforma, riconsidera il suo ruolo, proprio a partire da una nuova definizione delle sue metodologie. Leggere il mercato digitale e giungere a una sua profonda comprensione, è un passaggio essenziale, che porta alla messa in discussione dei meccanismi utilizzati per insegnare (Ardizzone e Rivoltella, 2008, Rivoltella 2012). È necessaria l’acquisizione di una media literacy, ovvero di abilità e competenze acquisite attraverso una didattica in cui alle discipline si affiancano i mass media (tv, stampa, radio, ecc.) i multimedia e Internet. Il docente esplora le potenzialità che si legano all’impiego del computer e di software didattici a sistema aperto, ovvero poco strutturati e pensati per sviluppare la creatività (in genere sono programmi per creare animazioni multimediali o per disegnare), cerca le occasioni per categorizzare, discutere e tematizzare i contenuti e il formato delle pagine web dedicate a specifici temi, propone un’analisi partecipata dei portali che piacciono ai bambini, delle applicazioni di giochi scaricate dall’Ipad, dei videogames giocati sulle consolle. Insegnare per il domani significa includere sempre di più i media in un processo dialogico-‐educativo in cui alla diade del processo di insegnamento-‐apprendimento si aggiunge in maniera prepotente il momento generativo dell’alunno, che con la sua competenza accoglie, struttura, elabora, inventa e crea cultura. Tecnologie digitali negli ambienti scolastici
Accogliere le nuove tecnologie nella scuola non ha ricadute solamente sul ruolo del docente e sulla valorizzazione delle potenzialità di colui che apprende, ma incide anche sull’organizzazione degli ambienti e degli spazi dell’apprendimento e della formazione. In educazione quando si parla di ambienti di apprendimento solitamente si pensa a un’architettura virtuale in cui si realizzano con diversi approcci e metodi specifiche attività didattiche e formative. Il concetto di “ambiente” in questo caso non necessariamente si riferisce ad uno spazio fisico nel quale si realizza l’apprendimento e l’insegnamento. Si intende generalmente con esso un “luogo” dove chi apprende agisce, usa strumenti ed interpreta informazioni, interagisce con altre persone (Wilson, 1996). Il concetto di “ambiente di apprendimento” nasce nell’ambito del costruttivismo e ne rappresenta la traduzione operativa ossia il suo sviluppo didattico. “La metafora dell’ “ambiente d’apprendimento” indica un sistema dinamico, aperto, forse anche caotico, in cui le persone che apprendono hanno la possibilità di vivere una vera e propria “esperienza di apprendimento” (Marconato, 2012, p.283). Un “ambiente” ricco e ridondante di risorse in modo da poter essere funzionale alle differenti situazioni reali in cui si svilupperà il processo formativo. Gli “obiettivi di apprendimento” rappresentano più la direzione del percorso che la meta da raggiungere mentre i “contenuti” sono pre-‐strutturati e sono presentati da una pluralità di prospettive. Non tutti i contenuti devono essere appresi ma rappresentano una “banca dati” cui attingere al bisogno” (ibid.). Come già accennato in Media e spazi della scuola e in Fare Scuola (Weyland, 2013, 2014) insieme allo sviluppo tecnologico è nato un nuovo modo di pensare, quindi anche di insegnare ed apprendere. Di qui il passo per comprendere come le tecnologie incidano sull’organizzazione concreta degli spazi scolastici è breve. Si fanno strada nuovi modelli di scuola, dove le attrezzature (anche tecnologiche) sono disposte in modi diversi a seconda delle esigenze e dell’approccio considerato e nella quale si ripensa tutto l’ambiente fisico in direzione di un variegato “paesaggio di apprendimento” (Kühenbacher, Watschinger 2007). Per garantire un apprendimento efficace, l’ambiente deve consentire la crescita olistica dell’individuo (Kumpulanien, Krokfors, 2010, p.17) e offrire occasioni per una comprensione quanto più possibile dinamica e complessa dei fenomeni. La comprensione include la conoscenza, le competenze, le attitudini e i valori tra cui nello specifico: • lo sviluppo di competenze riflessive e di problem solving • la capacità di porre domande e di comprendere le informazioni • l’attitudine a ricercare, elaborare e valutare le informazioni e • l’abilità di creare le informazioni e di comunicare con significati e linguaggi plurimi. Riconoscere l’alunno come “l’esploratore della conoscenza” significa entrare nella logica di una cultura dell’apprendimento che è anche cultura dell’unione, e non della separazione e la parcellizzazione (delle esperienze, delle conoscenze, delle attività, ecc.). La scuola che accoglie le differenze come opportunità, e che cerca di trovare nessi e relazioni tra le diverse parti, offre occasioni motivanti per lo sviluppo e l’esercizio delle diverse intelligenze (Gardner, 2002) e coglie a pieno le potenzialità delle tecnologie nel variegato e dinamico contesto dell’apprendimento. Le qualità degli ambienti di apprendimento Le qualità degli ambienti di apprendimento sono diverse: uno spazio può risultare stimolante, un altro può invitare al raccoglimento, un altro ancora può sostenere l’elaborazione costruttiva degli stimoli. Peter Lippman (2010) offre interessanti riflessioni sul rapporto spazio e apprendimento cercando di definire alcune qualità specifiche che potrebbero avere alcuni ambienti.
Lo spazio del raccoglimento -‐ Uno spazio stimolante per impegnarsi e lavorare insieme sui materiali didattici e su contenuti culturali, per svolgere approfondimenti e discussioni, aperture a nuove strade e diversi modi di conoscere ed elaborare il materiale, che non sono possibili con l’approccio tradizionale al sapere in classe. Lo spazio riflessivo – È un luogo di raccoglimento, per lavorare con se stessi e su se stessi nell’elaborazione del materiale conoscitivo. Sono importanti ambienti in cui la dimensione personale, individuale, offre sia al docente che allo studente la possibilità di adeguare il processo conoscitivo al proprio ritmo, al proprio stile e secondo la modalità che gli è più congeniale per concentrarsi. Questa flessibilità ha il vantaggio di sostenere un legame sempre più forte tra il soggetto e il materiale di apprendimento. Lo spazio prossimale -‐ Nello svolgimento delle attività di apprendimento ciascuno deve avere la possibilità di individuare il posto fisico dove si trova più a proprio agio e che rispecchia bisogni altri che sono inclusi anch’essi nel processo di apprendimento. Nella psicologia dello sviluppo, lo spazio prossimale è quello in cui vengono compresi gli spazi visivi e afferrabili dell’individuo. Lo spazio prossimale, quindi rappresenta quelle situazioni, o luoghi, che sono in prossimità sia delle zone stimolo, laboratoriali sia delle zone di raccoglimento. Luoghi dove lavorare da soli, ma comunque in contatto con gli altri, oppure in gruppo. Zone di attività preferite nella quale il soggetto riesce ad associare l’apprendimento al suo personalissimo mondo percettivo, emotivo e situazionale. Un altro aspetto intimamente legato alle qualità degli spazi per apprendere è quello che Lippman definisce Place attachment. Gli individui percepiscono se stessi e raccontano le proprie esperienze in termini di appartenenza a uno specifico luogo. Questa intima relazione con il luogo è una ‘sub-‐ struttura’ dell’identità dell’individuo (Proshansky, Fabian, Kaminoff, 1983). È importante quindi offrire spazi scolastici che non siano troppo anonimi, ma che consentano di sviluppare il naturale attaccamento a un ambiente specifico. Questa è infatti la condizione che definisce un setting di apprendimento corrispondente ai bisogni di soddisfazione, senso di sicurezza e serenità. Consente di vivere l’apprendimento in una dimensione più personale, dove la creatività trova quindi più posto per esprimersi. Considerare questi aspetti contribuisce in maniera determinante alla nuova configurazione del corpo della scuola: fatto di spazi stimolanti, per il raccoglimento riflessivo, prossimali ovvero dove lavorare tra se e gli altri, identitari, quindi luoghi con cui identificarsi e dove ritrovarsi. Spazi “complessi, reticolari, sistemici” dove “quello che il sapere perde in organicità, potrà essere ripagato in termini di profondità, intensità, creatività e di educazione all’autonomia del giudizio, all’interpretazione critica, alla partecipazione attiva” (Corazza, 2008, p.65). Didattica negli spazi scolastici Il luogo e l’ambiente in cui si studia è fondamentale per la condivisione dei significati e il confronto reciproco, non è qualcosa di separato dal fare, ricercare e capire, ma piuttosto un momento che propende verso l’individuazione di sé nel rapporto con gli altri e con il contesto circostante, fatto non solo di persone, ma di spazi, di distanze e vicinanze ed energie. La ricerca scientifica mostra che le nuove tecnologie favoriscono le strategie della formazione basate su un approccio costruttivista. Secondo il costruttivismo (von Foerester, von Glasersfeld 2001) i soggetti sono chiamati ad essere gli attori principali del processo di apprendimento in cui si sviluppa una costruzione personale e attiva del sapere a partire dai bisogni e dalle motivazioni,
oltre che dai contesti e dalle contingenze: non si ascolta passivamente la lezione dell'insegnante e poi si ripassa lo stesso argomento sul manuale nel chiuso della propria stanza, ma si collabora attivamente e continuamente con i compagni e gli insegnanti in un ambiente predisposto in maniera tale da supportare questo tipo di approccio. Un modello d'insegnamento-‐apprendimento partecipativo e costruttivo può avvenire anche in contesti e utilizzando gli strumenti didattici tradizionali, ma le nuove tecnologie lo rendono più agevole e più naturale, aprendo a una diversa organizzazione dell’ambiente didattico, volta a valorizzare le qualità interattive e reticolare della didattica non frontale. Molti hanno sostenuto in questo senso addirittura che le tecnologie potranno dispiegare tutte le loro potenzialità solo dopo che si sia messo in crisi l'attuale modello scolastico, con la sua tradizionale metodologia e la sua rigida compartimentazione tra le varie discipline scolastiche (Papert 2006, Maragliano, Abruzzese 2008). La stessa istituzione di ricerca nazionale INDIRE, che ha per prima sostenuto l’innovazione del sistema scolastico italiano trainata dalle tecnologie, sta evolvendo le proprie direttrici di ricerca nel connubio inscindibile tra nuovi media, nuove didattiche e nuovi spazi.2 Il movimento delle “Avanguardie educative”, fondato da Indire e da 22 scuole capofila, ha come perno centrale la trasformazione del modello didattico che si basa sugli ingredienti "classici" della scuola -‐ il libro, la lavagna, la cattedra, il banco, i corridoi, le aule. In accordo con le ultime affermazioni di di Giovanni Biondi “La scuola può cambiare grazie alle tecnologie, ma non c'è nessuna tecnologia che può cambiare la scuola” 3, si evidenzia il chiaro messaggio secondo il quale le tecnologie hanno definito una nuova cornice di accesso e di organizzazione delle informazioni, introducendo un nuovo sistema conoscitivo e cognitivo che inevitabilmente conduce la scuola a reinventarsi. Come si reinterpretano gli insegnanti nel loro compito di farsi tramiti e depositari del sapere? Quale nuovo appeal possono avere per interfacciarsi con un mondo di informazioni pret a portè? Che ruolo gioca la scuola come spazio e luogo di istituzionale di raccolta e incontro di allievi e docenti? Il MIUR nel suo ultimo documento del 13 Aprile 2013, “Linee Guida per l’architettura scolastica”4 ha espresso indicazioni molto chiare rispetto a una radicale innovazione della didattica:” …Nella scuola, oltre allo spazio aula e allo spazio gruppo, si descrive lo spazio laboratoriale come … lo “spazio del fare”, “atelier”, dove l’alunno si muove in autonomia attivando processi di osservazione, esplorazione e produzione di artefatti. .... Lo spazio fisico diviene uno “spazio attrezzabile” … per la creazione di contesti di esperienza.… attività di “hands-‐on” che spaziano da un lavoro di investigazione a raccolte di informazioni/dati e analisi attraverso attrezzature tecnologiche specifiche fino all'esplorazione/manipolazione in ambienti immersivi di contesti e variabili legate a fenomeni reali.” Di seguito,seguendo le Linee Giuda del MIUR, si svilupperà il discorso intorno alle diverse possibilità di organizzazione della didattica con le tecnologie nello spazio scolastico, ponendo l’attenzione sul fatto che il dove si svolgono le attività caratterizza poi anche il cosa si fa. Didattica in classe
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http://www.indire.it/alert/content/index.php?action=read_article&articleid=2213 Intervento al convegno Immagina. Scuole del 21°secol: idee e pratiche visionarie, ADI, Bologna, 27 Febbraio 2015. 4 http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs110413 - NORME TECNICHE-QUADRO, CONTENENTI GLI INDICI 3
MINIMI E MASSIMI DI FUNZIONALITA' URBANISTICA, EDILIZIA, ANCHE CON RIFERIMENTO ALLE TECNOLOGIE IN MATERIA DI EFFICIENZA E RISPARMIO ENERGETICO E PRODUZIONE DA FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI, E DIDATTICA INDISPENSABILI A GARANTIRE INDIRIZZI PROGETTUALI DI RIFERIMENTO ADEGUATI E OMOGENEI SUL TERRITORIO NAZIONALE.
Come evidenziato nelle Linee Guida del MIUR. “Tradizionalmente l’aula è stata lo spazio unico della didattica quotidiana, un luogo in cui il docente, posto di fronte a file di ragazzi disposti in file di banchi, trasmetteva agli studenti le conoscenze da acquisire. L’aula moderna è ancora uno spazio pensato per interventi frontali ma è ora uno dei tanti momenti di un percorso di apprendimento articolato e centrato sullo studente. Nell’aula il docente introduce temi nuovi, fornisce indicazioni per le attività da svolgere o gestisce momenti di sintesi e valutazione. E’ lo spazio in cui il ruolo del docente si fa più esplicito e diretto e in cui si pongono le basi e si traggono le conclusioni del percorso didattico complessivo”. In generale la classe si identifica ancora oggi come il luogo primario in cui si dispiega il processo di insegnamento e apprendimento. Si tratta di un luogo ben delimitato in cui l’insegnante lavora in prevalenza da solo, ben protetto e giustificato dal diritto di libertà di insegnamento. Le attività programmate, anche se spesso collegate con quelle degli altri insegnanti in termini generali e comunque interagenti con i progetti trasversali e di istituto in corso, sono sviluppate in maniera autonoma. In classe in generale la didattica si attua secondo due modalità: isolando le attività con le tecnologie a un momento circoscritto e sviluppando un'attività su progetto specifica (con cadenza settimanale per un periodo circoscritto, con cadenza ritmica per tutto l’anno, ecc.); oppure lavorando quotidianamente e continuativamente con le tecnologie in termini interdisciplinari, cercando i rimandi e gli opportuni collegamenti tra gli obiettivi e i contenuti didattici e le potenzialità del digitale, impiegato sia come strumento sia come oggetto da esplorare. In questo modo si trasforma l’uso delle tecnologie in una strategia didattica sistematica. Rispetto alla prima opzione l’insegnante generalmente si sposta in aula computer, che diventa la sua classe per il tempo della lezione, e ha come obiettivo quello di proporre e sperimentare progetti già predefiniti e testati, utilizzando i supporti tecnici e metodologici predisposti. L’impegno è quello di ritrovare al loro interno il collegamento con gli obiettivi curricolari legati alle sue discipline e al suo gruppo classe. Questa metodologia funziona bene per coloro che necessitando di una programmazione ben definita delle attività didattiche e che trova maggiore sicurezza nell’isolamento delle attività con e sulle tecnologie in periodi di tempo chiari. Un approccio di questo genere può implementare specifiche tematiche tecnologiche a livello curricolare immaginando uno sviluppo delle attività per la classe su più annualità. Questa strategia trova riscontro efficace se l’insegnante si trova da solo nella programmazione e realizzazione delle attività didattiche, perché giocano a suo vantaggio la conoscenza approfondita del gruppo degli alunni e un setting didattico noto e circoscritto. Per lavorare in modo sistematico con le tecnologie, generando connessioni fruttuose tra le discipline, le esperienze dei bambini, le loro piccole e grandi domande esistenziali e i multimedia e in Internet (che riflettono, riprendono, amplificano o isolano informazioni, emozioni e sensazioni) è difficile immaginare di uscire dalla classe per andare in aula computer. La tecnologia diventa uno strumento sempre a disposizione, alla pari del libro e del quaderno, della matita e della gomma, uno strumento che si inserisce nel contesto vivace della didattica e che ne diventa complice. Lavorare con le tecnologie in classe può sembrare complesso in termini di preparazione iniziale, ma a lungo termine, diventa una pratica didattica consolidata e presenta grandi vantaggi sotto tre aspetti: l’apprendimento dei linguaggi culturali (ormai fortemente veicolati dai media), la capacità di orientarsi nel mare magnum delle informazioni e delle offerte (formative, ludiche, di svago ecc. dove Internet ha un ruolo centrale), l’autonomia di pensiero. La tecnologia in classe offre all’insegnante più occasioni per operare in termini interdisciplinari collegando molto più spesso lo sviluppo dei percorsi didattici con gli interessi dei bambini e la tematizzazione delle tecnologie (i loro messaggi, i loro linguaggi, le loro potenzialità per la
produzione espressiva ecc.). Nel migliore dei casi sarebbe opportuno disporre di strumentazioni hardware comode (buona biblioteca, tv e video didattici, film, film di animazione, touchscreen, computer portatili, stazioni con computer in aula, macchine fotografiche digitali) e una veloce e sempre disponibile connessione a Internet. Ma basterebbe semplicemente avere sempre in aula alcuni computer e un ipad collegato a Internet per poter declinare in ogni momento l’apprendimento in direzione di un percorso mediaeducativo. In questo caso si dovrebbe conquistare la fiducia dei genitori, presentando una proposta giustificata e attendibile e richiedendo il loro supporto per rifornire la classe degli strumenti necessari per lavorare sui temi disciplinari anche con l’ausilio delle tecnologie e di Internet. Al giorno d’oggi, infatti, con cifre non troppo impegnative è possibile disporre di un computer portatile e/o di un touchscreen che grazie alla loro leggerezza e facilità d’uso possono stimolare molto l’attività didattica e fungere da stimolo per un approfondimento successivo a casa. Perché le attività che nascono dalla pratica didattica acquistino valore e perché possa essere loro riconosciuta una certa sistematicità oltre che la necessaria giustificazione pedagogica, è opportuno premunirsi di alcuni strumenti metodologici. Il diario di bordo e la documentazione dei percorsi descriveranno il progetto nel suo evolversi e offriranno le tracce di una progettazione implicita ma consapevole e ragionata. Didattica negli spazi di mezzo In questi anni la classe come “homebase” è stata messa in risalto in diversi modi al fine di conferire un fondamentale senso di appartenenza al bambino e per dargli la sicurezza necessaria per poi orientarsi nell’edificio con maggiore autonomia ed indipendenza. Ciò ha prodotto una conseguente marginalizzazione degli spazi di “risulta” come ad esempio il corridoio. Per il bambino la propria classe col tempo significa la scuola e tutto ciò che accade al di fuori di questo epicentro, se mai vi è occasione di conoscerlo, rischia di suscitare tutt’altro che sicurezza, oltre che interesse (Weyland, Attia 2015, p. 198). Nelle Linee Guida del MIUR tuttavia si specifica in modo chiaro che “l’aula moderna è ancora uno spazio pensato per interventi frontali ma è ora uno dei tanti momenti di un percorso di apprendimento articolato e centrato sullo studente (…)Le home-‐base devono essere a diretto contatto con gli spazi dell’apprendimento informale e diventano alternativamente luoghi di lezione o di ricerca di gruppo o lavoro individuale “. Come evidenziato in Fare Scuola (2014 p. 74), si sta evidenziano una progressiva consapevolizzazione dell’impossibilità per insegnanti e allievi di poter fare tutto e bene in classe. La classe in sé è un ambiente troppo piccolo per poter accogliere per tante ore tanti bambini, soprattutto se si intende adottare modalità aperte, plurali e diversificate di fare didattica. Oggi si sta diffondendo, anche grazie all’approccio costruttivista che promuovono le nuove tecnologie, ipotesi di lavoro che alternano l’attività frontale di consegna dei contenuti e delle istruzioni a grande gruppo con l’insegnante al centro, attività di lavoro divisi in gruppi, lavoro autonomo individuale, con zone di impegno tematico suddivise per stazioni e/o con materiali didattici e tecnologici specifici e predisposti. Secondo questo approccio, la classe non ha più un ruolo centrale, ma diventa il locale in cui si incontra il gruppo di riferimento e dal quale gli alunni dipartono. Acquistano invece importanza gli spazi adiacenti all’aula, che viene ripensata con porte scorrevoli e trasparenze visive (finestre e pareti vetrate) per sostenere la comunicazione e il collegamento, per favorire una didattica partecipativa e la percezione una comunità in apprendimento (Montagstiftung 2012).
In questi spazi, spesso ancora i grandi corridoi delle vecchie scuole caserme, si vanno definendo angoli di lettura e lavoro, nicchie per disporre materiali didattici, di cartoleria e per consultare i libri alla portata e a disposizione di tutti, ma soprattutto trovano asilo le stazioni tecnologiche che supportano una didattica digitale sistematica. Agli spazi di mezzo si uniscono anche le sempre più richieste “aule gruppo”, che vengono annoverate anche nelle Linee Guida del MIUR come spazi in cui il docente “non svolge interventi frontali ma assume il ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando ambienti di apprendimento atti a favorire un clima positivo e la partecipazione ed il contributo di ciascuno studente in tutte le fasi del lavoro dalla pianificazione alla valutazione. Dovranno dunque essere pensati spazi per i lavori di gruppo, con arredi flessibili in modo tale da consentire configurazioni diverse coerentemente con lo svilupparsi e l’alternarsi delle diverse fasi dell’attività didattica.” Per riuscire a realizzare una didattica non frontale di gruppo, in cui l’insegnante assume il ruolo di facilitatore, l’aula gruppo diventa una promanazione della classe, spesso si trova tra due classi e la connessione tra le aule è garantita da porte scorrevoli o finestre vetrate, che offrono la possibilità di prevedere un ampio paesaggio di apprendimento tra gli ambienti. A ciò si aggiungono poi le zone intermedie, di solito di passaggio, che permettono di amplificare ancora di più le potenzialità dello spazio di azione didattica della classe. Appropriarsi degli spazi attigui e promuovere attività individuali e di gruppo permette anche alle tecnologie di trovare lo spazio che in aula spesso non c’è e di arricchire l’offerta didattica. Creare delle stazioni di apprendimento digitale o trasformare in ambiente didattico gli spazi non classe significa informare uno spazio neutrale, di raccordo, di una intelligenza pedagogico-‐didattica pregnante. Questo non-‐luogo (Augè 2009) diventa lentamente un ambiente significante che appartiene al gruppo, alla comunità dei bambini e degli insegnanti, influisce sia psicologicamente che fisicamente sul loro benessere rinforzando il principio dello sviluppo dell’apprendimento cooperativo, reticolare e complesso, tanto decantato non solo nei documenti ministeriali ma soprattutto nella giustificazione sull’impiego delle tecnologie nella didattica. Per appropriarsi di questi spazi di mezzo è necessaria una progettazione collegiale forte, che dia ampio respiro sia alle attività specifiche, su progetto sia a quelle interdisciplinari e interclasse a lungo termine. In particolare l’ambiente non classe si presta molto bene per promuovere pratiche didattiche supportate dalle tecnologie, che si integrano e compenetrano con lo spazio didattico e diventano strumenti e sussidi sempre disponibili per attività che vanno dalla consultazione e reperimento di informazioni, alla fruizione e analisi dei prodotti culturali e delle proposte multimediali, alla produzione creativa di messaggi che utilizzano diversi codici: simbolico, iconico, audio, video ecc.. Lo spazio di mezzo, oltre ad essere dunque l’aula gruppo, tra le classi, e l’ambiente adiacente alle classi (parte del corridoio o androne), può essere anche connotato come quello che le Linee Guida del MIUR chiamano “lo spazio informale e di relax”, ovvero i “luoghi nei quali gli studenti possono distaccarsi dalle attività d’apprendimento strutturate e trovare occasioni per interagire in maniera informale con altre persone, per rilassarsi, o per avere accesso a risorse anche non correlate con le materie scolastiche.” Sempre di più troviamo esempi di scuole nel mondo che ibridano tra loro gli spazi destinati alla didattica e quelli destinati all’apprendimento informale. Primo tra tutti il citatissimo esempio dell’Ørestad Gymnasium in Danimarca5 che, basando l’approccio didattico complessivo sul valore della comunicazione, dell’interazione reciproca e della sinergia, trasforma l’ambiente scolastico in un grande paesaggio di apprendimento interconnesso sia in orizzontale sia in verticale, dove non si distingue più nettamente il confine tra le zone destinate agli input, le zone per gli approfondimenti e gli ambienti informali. Tutto lo spazio assume il connotato 5
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dell’apparente “informalità”, sostanziandosi poi con una tecnologia leggera onnipresente che struttura virtualmente gli ambienti didattici. Didattica in laboratorio L’attività laboratoriale può avvenire in qualsiasi luogo e può dunque essere interpretata in diversi modi. Nei documenti ministeriali e nelle Linee guida del MIUR è assegnato ampio spazio alla descrizione del laboratorio e si afferma in particolare che più che uno spazio fisico si tratta di una metodologia didattica orientata all’esperienza e al fare. Riflettendo sul laboratorio come spazio fisico, generalmente le scuole dell’infanzia ed elementari italiane sono dotate di aule attrezzate e, per quanto riguarda il discorso tecnologico, dispongono in gran parte di un’aula computer con il collegamento a Internet. In alcuni edifici si può trovare anche l’aula tv o film, destinata alla visione di film e video didattici. Se si isola la tecnologia in una specifica aula, sarà necessario di definire chiaramente i tempi e le modalità di lavoro, oltre che di scandire bene un calendario delle attività in accordo con gli altri colleghi del plesso. I vantaggi nello svolgere attività in laboratori tecnologici attrezzati consistono certamente nella comodità di trovare strumentazioni funzionanti, ben organizzate e magari anche un supporto tecnico. I bambini si concentrano sulle tematiche loro proposte trovandosi in un ambiente che isola i media dalle altre attività della vita scolastica. D’altro canto gli svantaggi di questa collocazione consistono soprattutto nei tempi da destinare agli spostamenti degli alunni e all’adattamento momentaneo all’aula specifica. Inoltre le attività, per quanto certamente collegate a quelle svolte in aula o in sezione, rimangono comunque circoscritte al progetto di attività didattica da svolgere nel laboratorio tecnologico. Esistono esempi italiani molto validi ed avanzati di laboratori tecnologici avanzati. Un esempio è offerto dalle aule origami presso l’Istituto Fermi di Mantova, che sono costituite da un grande spazio doppio, con tavoli triangolari che possono combinarsi tra loro secondo varie forme a seconda delle attività da svolgersi, con diverse lavagne interattive posizionate sui muri e una grande LIM posizionata orrizzotalmente al centro della sala ad uso dell’insegnante. Nelle scuole nordeuropee (Germania, Austria, Paesi Bassi, Svezia, ecc.) si preferisce spesso rinunciare agli spazi specificamente destinati alle attrezzature multimediali per collocarle in più ampi ambienti intermedi o per metterli a disposizione su supporti mobili per il trasporto nelle aule che ne fanno uso. La tecnologia diventa sempre più leggera e nel tempo si sta affermando il concetto secondo il quale la scuola più tecnologica è quella in cui l’hardware, pur essendo diffusamente presente, diventa pressochè “invisibile” all’occhio, andando a integrarsi e contaminarsi con tutto l’ambiente didattico (Weyland 2013, Riva 2014). A volte, piuttosto, disporre di uno spazio laboratoriale poco strutturato può giocare a vantaggio delle tecnologie. Interessante è a questo proposito l’esperienza pluriennale degli atelieristi di Reggio Children nell’impiego disinvolto e creativo dei nuovi media. Il grande atelier spesso e volentieri è pervaso dagli strumenti multimediali utilizzati in maniera del tutto inaspettata: i proiettori per i lucidi a terra diventano gli schermi luminosi in mano ai bambini anche piccolissimi, che proiettano a muro luci, forme e colori. La webcam collegata al computer e al proiettore, posizionata a terra genera sul muro un paesaggio cangiante in continua trasformazione in cui i bambini, per esempio, costruendo dal vivo l’ambiente storico dei dinosauri in miniatura, si trovano proiettati in un gigantesca giungla in cui i piccoli dinosauri portati da casa assumono le dimensioni che si sono immaginate essere state. La lezione di Reggio Emilia è infatti quella di non parlare mai di angoli, di aree, di disciplina, ma di lavorare sulla costruzione dell’ idea di ambiente, luogo e comunità in apprendimento. Si evita la
specializzazione degli spazi, mentre si va alla ricerca della connessione tra le cose con l’idea di costruire un curricolo che cerca nuclei trasversali puntando sulla dimensione evolutiva e sullo sviluppo delle potenzialità di ciascuno. La zona laboratoriale per alcune scuole, come per esempio la scuola primaria di Monguelfo (Watschinger 2014), si connota come lo spazio tra le aule, il cosidetto “paesaggio di apprendimento diffuso”. In questa scuola le classi sono disposte ai quattro angoli dell’edificio e tutta la zona centrale e tra le aule viene denominata “laboratorio didattico”. Naturalmente in questo spazio trovano asilo anche le tecnologie, che diventano un sussidio fondamentale per tutte le attività di ricerca e di approfondimento che si svolgono. Questa scuola interpreta già con largo anticipo le indicazioni delle Linee Guida del MIUR quando descrive il laboratorio come lo” “spazio del fare”, che accoglie attività “hands-‐on” che spaziano da un lavoro di investigazione a raccolte di dati/informazioni e analisi attraverso attrezzature tecnologiche specifiche fino all’esplorazione/manipolazione in ambienti immersivi di contesti e variabili legate a fenomeni reali”. Per quanto riguarda invece le discipline o pratiche (es.: teatro, palestra, pittura ecc.) che necessitano di una specifica strumentazione necessaria alle attività, si presenta veramente l’utilità di destinarvi un ambiente ad hoc. Questi ambienti laboratoriali vengono definiti oggi sempre di più atelier, andando a rinominare gli spazi in maniera accattivante e generativa. Si parla di atelier della creatività, lasciando aperta l’interpretazione alle possibili declinazioni sulle molteplici le possibilità artistico-‐espressive ma anche tecnico-‐pratiche. L’atelier della musica diventa un luogo dedicato e particolarmente insonorizzato, che spesso si affaccia su spazi attigui che possono svolgere un ruolo di tribuna o di palco per le rappresentazioni teatrali. Addirittura la mensa in alcune scuole (come quelle del reggio approach) si ibrida con gli spazi di mezzo e diventa atelier del gusto, luogo in cui esplorare le qualità dei cibi e dei loro ingredienti (Weyland 2013a). Nel tempo si affaccia l’idea di poter considerare tutta la scuola come un grande atelier. La scuola di Malaguzzi è infatti un ambiente dedicato in cui avere al centro l'atelier significa realizzare un luogo di manutenzione e di cura delle cose, luogo materico, che abbia un archivio con manufatti dei ragazzi, che tiene dentro le operazioni di cura e di mantenimento degli arredi, ma che si interfaccia continuamente anche con le tecnologie come gli strumenti più potenti per l’archiviazione delle immagini, dei pensieri, dei ricordi, delle esperienze. L’atelier, laboratorio, officina della scuola stessa, diventa parte stabile della scuola stessa, spazio in dialogo con tutti gli altri ambienti della scuola. La scuola come luogo dell’innovazione Le nuove prospettive della cultura pedagogico-‐didattica delineate presuppongono una modalità di lavoro e di ricerca a tutto tondo, protesa alla qualificazione di tutti i segmenti e ambienti dello sviluppo umano. In particolare i concetti di cultura diffusa, intelligenza e creatività, permettono di approfondire il ruolo dell’innovazione come chiave di volta tra teoria e azione, tra acquisizione scientifica e processo culturale. E se per innovazione si intende un processo che genera sviluppo e crescita, che offre elementi costruttori di bene comune, uno dei più importanti luoghi dell’innovazione dovrebbe essere proprio la scuola. La scuola da luogo di accentramento del sapere, si sta aprendo a quelle che potremmo chiamare le “periferie dell’apprendimento”, che si muovono tra i mondi della formazione istituzionale,
informale, sportiva, del lavoro e della vita pubblica. In questo processo gli stessi luoghi tradizionalmente preposti all’insegnamento, le classi, si aprono ai corridoi, ai connettivi, cercando trasparenze visive o spazi di lavoro condiviso. I grandi androni diventano le piazze dell’incontro e dell’apprendimento, gli spazi abitualmente destinati a funzioni specifiche si smaterializzano a vantaggio di un’ibridazione dei tanti luoghi “morti” o di passaggio tra gli ambienti. Allo stesso modo l’apertura al territorio, diventa sempre di più la caratteristica della scuola moderna, il nuovo centro civico e culturale del quartiere o del paese. Terminiamo qui le nostre riflessioni ricordando che il concetto di “ambiente di apprendimento” è nato certamente con un’analisi delle potenzialità delle tecnologie e della Rete, come luogo dell’apprendimento individuale, ma anche condiviso e partecipato, in cui sostenere i processi conoscitivi in ottica costruttivista (Weyland 2013). Oggi tuttavia gli assunti e le modellizzazioni didattiche maturati sugli ambienti virtuali, pensiamo al problem solving e agli ask system di Jonassen (2004), cercano una loro traduzione operativa in spazi fisici e negli ambienti scolastici concreti. La tecnologia nella didattica è efficace quando si fa alleata di processi di sviluppo e di crescita significativi per la vita degli individui. I luoghi istituzionali destinati ai processi di acculturazioni diventano dunque interessanti terreni di ricerca educativa in cui la “geografia degli spazi” (Ziliotto 2013) contribuisce a sviluppare l’orientamento consapevole e l’esperienza di sé come individuo collocato in un contesto fisico ben definito, con le sue misure e i suoi odori, le sue resistenze e aperture. Si fa strada la riflessione sul concetto di “apprendimento creativo”(craft 2005), che supportato dalle infinite potenzialità dei nuovi media può connotarsi sempre meglio come divergente, diversificato, multiprospettico, proteso verso la validazione delle qualità, ma anche dei gusti e degli interessi di ciascuno come differente dagli altri, secondo il principio inclusivo, certamente anche gardneriano (2002) del: tutti uguali e tutti diversi. La scuola sta già mettendo a punto proposte in cui la tecnologia si mette al servizio dell’innato interesse ed entusiasmo umano per il viaggio nei territori della conoscenza. Ora questo proposito deve trovare riscontro ed espressione nel corpo della scuola, inteso come lo spazio fisico in cui le attivitá trovano luogo. Tutto questo poggia su euristiche pedagogico-‐didattiche condivise, e su un piano organizzativo ad indirizzo pedagogico (Weyland Attia 2015) sugli spazi scolastici ben giustificato e chiaro. Dire cosa si fa in certi spazi e perché, pensare dove collocare i supporti mediali e come usarli, descrivere l’approccio didattico e la tipica giornata scolastica, offrono infatti l’occasione di ripensare tutto l’edificio scolastico in maniera più coerente e ordinata. Lo spazio allora diventa un dispositivo didattico straordinario, che si ordina ai bisogni già mirabilmente descritti da Abraham Maslow, che accomunano insegnanti e allievi, dirigenti e custodi: essere sicuri, essere parte di un gruppo, essere riconosciuti e accettati, realizzarsi, ovvero trovare la propria più completa identità nel rapporto con il mondo, quindi con la cultura e il sapere. Bibliografia Arato A.; Geuna M. (2009), La vita è un'emozione? Mass media, nuovi media e sfide educative, Effatá, Torino. Ardizzone P., Rivoltella P. C. (2008), Media e tecnologie per la didattica, Milano, Vita e Pensiero. Augé M. (2009), Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano. Bertolini P. (1988), L’esistere pedagogico. Ragioni e limiti di una pedagogia come scienza fenomenologicamente fondata, Firenze, La Nuova Italia. Corazza L., Internet e la società conoscitiva. Cyberdemocrazia e sfide educative, Trento, Erickson. Craft A. (2005), Creativity in Schools: Tensions and Dilemma, Routlege, New York.
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