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La moda esce più forte dalla pandemia, ma in piena rivoluzione COMPLESSITÀ. Le sfide tecnologiche e culturali impongono nuove COMPETENZE. Cambiano anche i tempi di lavoro: alle porte c’è la SHORT WEEK

07-608 LUGLIO/AGOSTO DICEMBRE 2018 2021

COVER BY BETTI SPERANDEO

Poste Italiane - In caso di mancato recapito inviare al CMP di Roserio per la restituzione al mittente previo pagamento resi - ANNO XVII - N°6 DICEMBRE 2021

NUMERI, FATTIE PROTAGONISTI E PROTAGONISTI DELLA MODA DEL LUSSO NUMERI, FATTI DELLA MODA E DELELUSSO







editoriale

La rivoluzione delle competenze di David Pambianco

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uesto è senz’altro il momento della grande complessità. Se ne parla da tempo, ma oggi è integrata in modo tangibile nella attività quotidiana. Una complessità che dipende dal cambiamento accelerato della cultura e delle abitudini dei consumatori, trainati dalla dimensione digitale e dalla consapevolezza della sostenibilità. Un cambiamento che procede a una velocità mai vista in precedenza, grazie all’esplosione della tecnologica. Questo fattore, infatti, oltre ad aver spalancato le porte a nuove opportunità di relazione con i clienti e tra i clienti, ha anche reso la ‘intelligenza artificiale’ uno strumento strategico, consentendo l’elaborazione in tempo zero di dati che, fino a qualche anno fa, non era possibile gestire. Tutto questo rende attuale quella che era una rivoluzione annunciata, e che ora è un fenomeno che accompagna la vita aziendale con continuità. Anzi, in qualche modo, è evidente che più che accompagnare, si tratta ormai di guidare la vita dell’azienda e dei manager. Non ci sono momenti di stacco, non ci sono periodi di stallo e di riflessione. È un continuo che coinvolge le collezioni, gli eventi, le strategie di marketing e comunicazione. E non è solo ‘continuità’. C’è un altro fattore che mette sotto pressione il management, anche quello dei gruppi più strutturati, anche i vertici che vengono indicati come più visionari e innovativi. È il fattore ‘necessità’. Non è più possibile scegliere, valutare se agire o non agire. Oggi, bisogna esserci. Sempre, e sempre possibilmente prima degli altri. Questa necessità della continuità, inoltre, impone un’accelerazione da parte delle aziende sul fronte del capitale umano. Non solo i volumi di lavoro si sono amplificati, ma si sono moltiplicate le competenze richieste. Il digitale ha imposto l’innesto nelle strutture di nuovo know how operativo, capace di gestire i messaggi e le relazioni virtuali. Trasformando, di fatto, l’azienda di moda in un editore di se stessa. E, in prospettiva, in qualcosa di ancor più complesso. Si pensi agli eventi in diretta da diverse location e città, su differenti canali, con pluralità di ospiti e contenuti. Ecco che l’azienda di moda si trasforma ulteriormente: diventa un broacasting, una rete di trasmissione. Tale passaggio, forse nemmeno immaginato anche solo fino a un paio d’anni fa, oggi richiede una ulteriore integrazione di capacità. Necessità. Continuità. Conoscenza. Tre variabili cruciali che vanno ad affiancarsi agli obiettivi economici dell’impresa. Il manager di oggi e del futuro, perciò, sarà chiamato a vincere una partita il cui campo principale non sarà quello delle risorse economiche, ma quello delle nuove competenze.

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sommario

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Attualità Desigual scommette sulla short week

La pandemia ha acceso la riflessione già viva intorno all’esigenza di un maggiore work life balance, con un approccio che ottimizzi il tempo e non comprometta la produttività. Tra le mosse più audaci, la settimana corta.

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Dossier Summit Pambianco-PwC, il settore è forte Interviste sul palco Marco Bizzarri Remo Ruffini Ennio Fontana Attila Kiss Martino Scabbia Guerrini Riccardo Vola Donatella Doppio Luca Colombo Lorenzo Osti

Il 26esimo Summit Pambianco-Pwc certifica la forza del settore. Ma anche quanto il settore stesso sia cambiato nel corso degli ultimi due anni. La parola chiave è ‘complessità’ ed è la sfida che stanno affrontando le aziende.

Sul palco del Summit, David Pambianco ha intervistato i top manager di Gucci, Moncler, Roberto Cavalli, Florence, Vf Corporation, Zalando, McArthurGlen, Facebook e C.P. Company.

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Tendenze It’s cold outside

Gli effetti del global warming iniziano a farsi sentire. Per fronteggiare con stile il freddo più ostile questo Natale occorre avvalersi di un valido capospalla, dal classico formal coat ai modelli più sportivi.

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Fenomeni Il lusso guarda al packaging green

Il packaging diventa sempre più sostenibile e anche i brand di cosmetica di lusso vanno alla ricerca dei produttori più green per diminuire l’uso di plastica. Ma non solo. Vince anche il metodo del refill.

In copertina: Betti Sperandeo “Emilie Floge”, 2021 Olio su tela, 100X80 cm Photo Alberto Bernasconi Courtesy by the artist

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Cover story pag. 80

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overview

Prada guarda a quota 4,5 mld

In occasione del secondo Capital Markets Day,Prada ha annunciato che nel medio periodo il gruppo punta ai 4,5 miliardi di euro di ricavi, a un margine ebit di circa il 20% e a un gross margin del 78 per cento. Per un confronto, il gruppo cui fanno capo Prada, Miu Miu, Church’s e Car Shoe aveva archiviato il 2020 con ricavi per 2,42 miliardi di euro, mentre i 12 mesi al 31 dicembre 2019 si erano chiusi con ricavi netti per 3,226 miliardi.Quanto alla performance del terzo quarter del 2021, il Gruppo Prada ha evidenziato un’accelerazione delle vendite al dettaglio (+18% sul 2019, con un 75% di fullprice sales) e una continua crescita online (+400% rispetto al terzo trimestre del 2019). Importanti novità anche sul piano della sostenibilità con il varo di un piano ambizioso verso il raggiungimento degli obiettivi a emissioni-zero e la nomina di due esperti in materia ESG.

Addio a Virgil Abloh

Si è spento lo scorso 27 novembre Virgil Abloh, classe 1980, è morto ieri. Fondatore di Off White e direttore creativo del menswear di Louis Vuitton, è stato una delle voci più dirompenti degli ultimi anni sperimentando prima di altri un inedito connubio tra lusso e streetwear. A dare la notizia i vertici del gruppo Lvmh con una nota: “Lvmh, Louis Vuitton e Off White sono devastati nell’annunciare la morte di Virgil Abloh domenica 28 novembre a causa del cancro contro il quale aveva combattuto privatamente per diversi anni”. Vuitton ha omaggiato Virgil Abloh con show di Miami andato in scena pochi giorni dopo.

L’Italia brilla nella top 100 luxury di Deloitte

Secondo lo studio annuale “Global Powers of Luxury Goods”, redatto da Deloitte, che classifica i 100 top player del settore fashion & luxury a livello globale sulle base delle vendite consolidate durante il 2020, l’annus horribilis del Covid, l’Italia ha brillato nelle performance delle sue best in class del settore, ben 26 all’interno del raking della società di consulenza. Complessivamente, le prime 100 aziende del lusso hanno generato vendite per 252 miliardi di dollari (circa 222 miliardi di euro), 29 miliardi in meno rispetto al 2019 pre-pandemia (in calo del 12,2% a valuta costante), ma con un profit margin positivo del 5,1 per cento.

Geox, vendite per 800 mln al 2024

Il piano strategico 2022-2024 di Geox prevede di raggiungere un fatturato superiore agli 800 milioni di euro al 2024, partendo da un fatturato atteso, a fine 2021, leggermente superiore ai 600 milioni. Il tasso medio annuo di crescita è dell’11 per cento. I ricavi digitali rappresentano il principale driver di crescita del gruppo e andranno a raggiungere

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circa il 30% del fatturato totale (dal 17% nel 2019) in linea con i trend di mercato.

Valentino lascia Luxottica. Ed entra nel gaming Valentino cambia partner per l’eyewear. La griffe disegnata da Pierpaolo Piccioli ha comunicato di aver concluso la licenza con Luxottica, attiva dal 2017. La risoluzione avverrà il 30 giugno 2022. Il nuovo partner sarà il gruppo svizzero Akoni che si occuperà del design, la produzione e la distribuzione mondiale delle collezioni eyewear del brand. L’accordo decennale entrerà in vigore a partire da luglio 2022. Novità anche sul fronte gaming. La maison debutta su Drest, app di fashion gaming che permette agli iscritti di customizzare i propri avatar.

Exor, nel 2022 nuove acquisizioni nel lusso

Exor, la holding della famiglia Agnelli, si prepara a nuove acquisizioni nei settori del lusso, ma anche della tecnologia e della sanità nel 2022. Lo ha anticipato il presidente John Elkann in occasione della conferenza stampa prima dell’investor day che si è tenuto ieri. Ma tra le maison nel mirino non ci sarà Giorgio Armani, sottolinea il presidente di Exor, smentendo così una serie di rumors che si erano susseguiti nei mesi scorsi.

Cambio ai vertici di Inditex. Lascia Isla, sale Marta Ortega

Inditex torna a essere guidata dalla famiglia Ortega. Il colosso del fast fashion ha annunciato in una nota che sarà Marta Ortega, figlia del multimiliardario spagnolo Amancio Ortega, il nuovo presidente del gruppo a partire dal primo aprile 2022. A lasciare gli incarichi saranno Pablo Isla che darà il suo addio all’azienda che ha guidato per 17 anni, prima come vicepresidente e amministratore delegato dal 2005 e, dal 2011, come presidente. Rimarrà presidente esecutivo fino al 31 marzo. Contestualmente alla nomina di Marta Ortega, Óscar García Maceiras, finora general counsel e segretario del consiglio di amministrazione, è stato nominato AD di Inditex con effetto immediato e riceve l’incarico da Carlos Crespo che diventa direttore generale delle operazioni, trasformazione sostenibile e digitale di Inditex.

Herno rileva la maggioranza di Montura

Herno acquisisce Montura ed entra in un nuovo segmento di mercato: l’active sport. L’operazione finanziaria, che terminerà a gennaio 2022, è stata perfezionata con Nuo Spa, partner scelto da Claudio Marenzi per la quota di minoranza. Montura nasce a Rovereto, nel 2000 ed in 20 anni diventa riferimento mondiale per gli alpinisti per la qualità sul prodotto tecnico da montagna.

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Anche Chanel mira a Piazza Cordusio entro il 2022

Anche Chanel si unisce al restyling di piazza Cordusio. Dopo Starbucks nell’ex palazzo delle Poste, Uniqlo nell’immobile di proprietà di Hines e l’ultimo arrivo di Fao Schwarz, tra gli spostamenti più significativi, ora potrebbe essere il turno della maison della doppia C, pronta a diventare uno degli inquilini della storica sede del Credito Italiano, all’angolo tra via Broletto e via Tommaso Grossi.

nel quale la società di ricerca ha evidenziato come nel 2020 il mercato globale del fast fashion abbia raggiunto un valore di 68,6 miliardi di dollari circa e, nonostante la diminuzione del tasso di crescita annuale (Cagr) del 3% dal 2015, il comparto abbia recuperato nel 2020. Il fast fashion crescerà fino a toccare i 163,4 miliardi in cinque anni con un incremento costante del 19% per poi raggiungere quota 211,9 miliardi di dollari (188,8 miliardi di euro) nel 2030 (con un tasso di crescita annuale in cinque anni del 5,3%),

Philipp Plein riparte da hotel e bar a Milano

Richemont affida l’IT ad Amazon

Philipp Plein scommette su Milano. L’etichetta ha inaugurato a fine novembre la sua nuova base a Milano, in via Burlamacchi 5. Si tratta di uno spazio che si estende su una superficie di oltre 1400 metri quadri. L’azienda ha anticipato gli altri progetti sulla città: apriranno il primo hotel Philipp Plein e il primo club-bar e ristorante Philipp Plein. Questo complesso di attività aprirà negli spazi di via Manin 19-21 (il vecchio spazio Krizia), si tratterà di un club e due ristoranti, un bistrot, un ristorante più formale e un bar più un hotel di 18 camere.

Roland Mouret finisce in amministrazione Roland Mouret finisce in amministrazione controllata. La notizia è stata diffusa dal Financial Times che fa riferimento a un documento ufficiale depositato alla Companies House britannica. Mouret è nativo di Lourdes, in Francia, ma risiede nel Suffolk, e ha basato le proprie attività a Londra. Il brand, che fa capo allo stilista e a Simon Fuller, conta circa 50 dipendenti, che sarebbero dunque rimasti senza lavoro, mentre il flagship nel quartiere di Mayfair a Londra è già stato chiuso. Secondo il quotidiano dall’inizio della crisi pandemica, le vendite del marchio sono crollate dell’80 per cento.

Cina, lusso a 29 miliardi di euro entro il 2025

Il mercato cinese dei beni di lusso arriverà a superare i 208 miliardi di yuan (circa 29 miliardi di euro) entro il 2025, con un tasso di crescita annuale composto (cagr) del 32,5 per cento. Nel 2020, il suo valore si era attestato a quota 51 miliardi di yuan (7 miliardi di euro). Sono i dati contenuti nel report pubblicato dalla società di consulenza iResearch.

Fast fashion, oltre i 200 mld $ nel 2030 Nel 2030 il settore potrebbe raggiungere un business complessivo superiore ai 200 miliardi di dollari, spinto in modo particolare dal boost dei prossimi cinque anni. La previsione arriva dal rapporto ‘Fast fashion global market opportunities and strategies to 2030: Covid-19 growth and change’ di Research and markets

Richemont ha annunciato che sta spostando la sua intera infrastruttura IT aziendale su Amazon Web Services (Aws). Il trasferimento comporterà la chiusura dei suoi data center europei e la migrazione delle sue stazioni aggiuntive di Hong Kong e negli Stati Uniti ad Aws entro la fine del 2022. La parent company di Cartier, Montblanc e Iwc, è pronta a trasportare più di 5mila macchine virtuali e 120 istanze SAP su Aws, nell’ambito di una strategia di trasformazione digitale che mira a modernizzare la sua infrastruttura, aumentare la sicurezza e dare priorità all’automazione delle operations in tutto il mondo. Ltk, il portale delle influencer vale miliardi Ammonta a due miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro) la valutazione stellare a cui è arrivata Ltk, l’azienda texana fondata dieci anni fa dalla fashion blogger, divenuta imprenditrice, Amber Venz Box. La capitalizzazione dell’azienda con sede a Dallas è schizzata a una quota vertiginosa dopo il recente investimento da 300 milioni di dollari (circa 266,4 milioni di euro) da parte di SoftBank.

Delude il Black Friday, -28% sul 2019

L’atteso Black Friday, una delle ricorrenze più importanti per lo shopping negli Stati Uniti, si è concluso con un ritorno agli acquisti fisici rispetto allo scorso anno, a dispetto del diffondersi della variante omicron (quella sudafricana), ma con dati ancora molto inferiori rispetto al pre-pandemia. Le stime indicano che le vendite sul “fisico” sono balzate del 48%, sebbene restano il 28% inferiori a quelle registrate nel 2019, prima della pandemia

Smi, nasce il consorzio per i rifiuti tessili

Sistema moda Italia (Smi) ha presentato pochi giorni fa un progetto in atto per lo smaltimento dei rifiuti tessili. Il presidente Sergio Tamborini ha illustrato ai parlamentari la nascita di un consorzio di imprenditori italiani riuniti per una gestione ottimizzata dei rifiuti provenienti dal mondo moda, anticipando le decisioni normative sul tema e dando un indirizzo concreto all’attività industriale del settore.

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attualità

L’headquarter Desigual di Barcellona (Courtesy of Desigual)

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attualità di Laura Bittau

Lavoro, comincia la REVOLUCIÓN. Desigual scommette sulla SHORT WEEK La pandemia ha acceso la riflessione già viva intorno all’esigenza di un maggiore work life balance, con un approccio che ottimizzi il tempo e non comprometta la produttività. Tra le mosse più audaci, la settimana corta.

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ome diventerà il lavoro dopo la pandemia? È una delle domande che l’ultimo anno e mezzo ha portato con sé, dando spazio a nuove soluzioni e strade alternative. Anche la fashion industry si interroga sul futuro del lavoro, tra l’esigenza di tornare in ufficio e lo smart working. La risposta più audace e fuori dal coro arriva da Desigual che ha appena inaugurato presso il suo headquarter di Barcellona la 4 days week. Tra le condizioni della proposta, anche la possibilità di lavorare da remoto un giorno la settimana. Lo stesso CEO della maison iberica Alberto Ojinaga ha spiegato a Pambianco Magazine le ragioni della strategia di Desigual, alla cui base c’è la consapevolezza di dover passare da un sistema lavoro-centrico a un modello che sappia conciliare e insieme valorizzare la sfera professionale e quella privata con flessibilità ed equilibrio. E senza compromessi in termini di produttività. “L’idea - ha raccontato Ojinaga - nasce dall’origine stessa di Desigual, la cui vocazione è sempre stata quella di porsi come un posto in cui sia bello e piacevole lavorare. Con l’avvento del Covid io e Thomas (Meyer, fondatore dell’azienda, ndr) ci siamo trovati a riflettere su come ritornare a questo concetto, elaborando una strategia che tra le proprie linee includesse inclusività, divertimento, sostenibilità e naturalmente ‘work life balance’. E da qui è iniziato il nostro progetto”. La proposta del gruppo ha ottenuto una grande approvazione da parte dei dipendenti che l’hanno promossa con una larghissima maggioranza: il progetto ha ottenuto l’86% dei voti dell’assemblea aziendale. Non ha pesato, quindi, nemmeno la riduzione di salario (seppur contenuta) conseguente al taglio delle ore lavorative, passate dalle consuete 39,5 ore a 34,5 ore settimanali. Un successo di consenso che ha colpito anche il management. “A essere onesti - ha rivelato il CEO - non ci aspettavamo una reazione

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attualità

del genere. Naturalmente eravamo convinti che si trattasse di una proposta allettante e che i vantaggi fossero evidenti sia per i lavoratori sia per noi, ma non pensavamo di convincere a questo livello i dipendenti”. Una parte cruciale della sfida è quella della produttività. Una variabile che, ovviamente, un’azienda non può permettersi di perdere di vista. Il rischio di un calo su questo fronte, tuttavia, non ha spaventato Ojinaga: “Sapevamo che una scelta del genere avrebbe comportato uno sforzo da parte dell’azienda per sopperire a questa riduzione delle ore lavorative, ma sostanzialmente abbiamo ritenuto che ci saranno delle cose che dovremo smettere di fare, altre che dovremo cercare di fare in modo più efficiente, e altre ancora in cui avremo bisogno di un potenziamento e quindi assumere nuove persone”. La tesi che ha spinto Desigual a fare il salto sembra essere una: quello della produttività è un falso problema, perché la priorità dovrebbe diventare il procedere per obiettivi anziché per tempi prestabiliti. Intercettando un bisogno sempre più diffuso in questo momento storico. Less is more, ancora una volta. Certamente, i lavori più legati a orari e tempistiche si prestano meno a un’ottimizzazione di questo tipo, perché la riduzione delle ore lavorative non potrebbe essere compensata con maggiore efficienza e organizzazione. Ma anche i ruoli più ‘timerelated’, come il personale in store o coloro che operano nella supply chain, possono ambire a ritmi lavorativi più flessibili e a un maggiore work life balance con nuove modalità che, ha anticipato Ojinaga, l’azienda sta mettendo a punto. Riguardo all’estensione della settimana corta ad altre realtà, l’executive mostra un realismo ottimista. “Per estendere il cambiamento a livello universale ci sarà naturalmente bisogno del sostegno dei governi, in modo che i costi che ne derivano non gravino sulle aziende. Altrimenti, ci vuole un concorso di condizioni necessarie ad attuarlo, come nel caso del nostro headquarter. Penso fermamente che questo però ci renda davvero competitivi nell’attrarre nuovi talenti, è una scelta strategica in questo senso. E molte aziende si stanno mostrando interessate”. UN LAVORO DAVVERO ‘SMART’ Questa scommessa, dunque, comporta dei rischi calcolati e delle opportunità di crescita soprattutto in termini qualitativi. La sfida consiste proprio nel ripensare i ritmi, la struttura e il senso stesso del lavoro, tagliando il superfluo e ottimizzando l’indispensabile. Una riflessione che proprio in Spagna ha trovato terreno fertile, e si è trasformata sei mesi fa in un progetto pilota di settimana corta, di durata triennale, che coinvolgerà circa 200 imprese e 50 milioni di fondi europei stanziati dallo Stato, pronto a prendere il via nel 2022. A fare da catalizzatore, proprio la pandemia, che ha riacceso i riflettori sull’importanza capitale delle qualità della vita. Gli esempi virtuosi in Europa già non mancano, dalla Germania, in cui si lavora in media due ore in meno la settimana che a Madrid, ma con una produttività superiore di 4 punti e mezzo, alla Norvegia con le sue 33 ore settimanali e la più vicina Francia, che arriva a 35. Proprio qui il monte ore ridotto è realtà dal 1977, quando il presidente Jacques Chirac lo aveva promosso cavalcando l’idea che lavorando meno si sarebbe consumato di più, con una conseguente crescita del Pil. Intanto a San Francisco, la startup tecnologica Bolt, riporta tra gli esempi Business of fashion, ha implementato la settimana lavorativa di quattro giorni a settembre sperando di aumentare l’efficienza e prevenire il burnout dei dipendenti, i quali, nonostante la politica particolarmente flessibile dell’azienda, usufruivano ben poco dei permessi retribuiti e delle cosiddette ‘giornate del benessere’. In questo senso è fondamentale una riorganizzazione del lavoro nel suo complesso, affinché il carico di lavoro non venga semplicemente ridistribuito, ma ripensato tout court, in una direzione che si possa davvero definire ‘smart working’.

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benetton.com


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dossier

Un settore forte, in un mondo che ha cambiato marcia Il 26esimo Summit Pambianco-Pwc certifica la forza del settore. Ma anche quanto il settore stesso sia cambiato nel corso degli ultimi due anni. Le sfide sono differenti. Sul piano tecnologico, l’online non solo ha un’incidenza decisiva sulle vendite, ma guida l’identità dei brand. Sul piano culturale, i consumatori appartengono a nuove generazioni. Ecco perché la parola chiave è ‘complessità’. Le stesse aziende lo testimoniano: i piani strategici sono in aggiornamento continuo. Quelli a lungo termine, parlano di rinnovo concettuale e strutturale. DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit

Un sistema in SALUTE in uno scenario con nuovi driver e nuovi CONSUMATORI I lavori del Summit 2021 riflettono un settore che esce con forza dal periodo pandemico, ma profondamente cambiato. Le parole chiave sono ‘accelerazione’ e ‘complessità’. Le variabili non sono più solo economiche.

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e, lo scorso anno, il tema era quello di trovare le chiavi di lettura del mondo post pandemia, l’edizione 2021 del Summit Pambianco-Pwc ha senz’altro fatto un passo avanti nell’individuare il nuovo scenario della moda e del lusso. Mettendo in chiaro che, nei numeri, il periodo Covid è ormai alle spalle, e il settore si trova quasi una benzina inattesa nel motore. Ma anche evidenziando come, per quanto la pandemia sia (auspicabilmente) superata dal punto di vista delle chiusure di store e impianti, sia comunque possibile indentificare il 2020-2021 come un chiaro spartiacque tra ciò che era e ciò che è oggi il mercato del fashion. Ovvero, un mondo assai più accelerato, dominato da nuove e continuamente rinnovate richieste del consumatore, in cui, per usare le parole di David Pambianco, CEO di Pambianco, “la annunciata rivoluzione della complessità è ormai la realtà predominante della gestione aziendale”. I LAVORI A PALAZZO MEZZANOTTE Il manager ha aperto, come di consueto, la giornata di lavori a Palazzo Mezzanotte che ha ospitato il 26esimo Pambianco-Pwc Fashion Summit, quest’anno tornato anche nella forma fisica, oltre che in quella in streaming sui diversi canali dell’azienda. A seguire l’evento, intitolato “La fashion Industry e i nuovi paradigmi”, sono state 150 persone nel parterre della Borsa con posti riservati, mentre online si sono collegati in circa 10mila. I lavori, appunto, si sono focalizzati sui temi della complessità menzionata da Pambianco, e richiamati nel sottotitolo: Accelerazione digitale, Ricerca e Competenze. Uno scenario, ha proseguito il CEO, che “ha imposto l’innesto nelle strutture di un nuovo know how operativo, capace di gestire i messaggi e DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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le relazioni virtuali”. E che oggi sta spingendo “l’azienda di moda a trasformarsi ulteriormente: diventa un broacasting, una rete di trasmissione. Tale passaggio, forse nemmeno immaginato anche solo fino a un paio d’anni fa, oggi richiede una ulteriore integrazione di capacità professionali”. L’evento si è sviluppato con le presentazioni di Barbara Lunghi (Head of Primary Markets Italy Borsa Italiana), Alessio Candi (Consulting e M&A Director Pambianco), Erika Andreetta (Partner PwC), Sara Bernabè (General Manager Italy Planet) e Alessandro Binello (Managing Partner Made in Italy Fund). Sono poi seguire una serie di interviste, tutte moderate da Pambianco, di alcuni tra i principali protagonisti del made in Italy (vedi pagine seguenti). LIFESTYLE PROTAGONISTA Lunghi ha fatto gli onori di casa, esprimendo la soddisfazione di Borsa per aver ospitato tutte le recenti edizioni del Summit, e auspicando che “nel tempo, questo Palazzo, possa ospitare sempre più aziende del lifestyle, in un cluster cui diamo visibilità e crediamo che possa trovare in Borsa Italiana un hub per raccogliere capitali e sostenere la propria crescita”. Negli ultimi esercizi, ha evidenziato, “non c’è quasi anno che società del lifestyle non siano sbarcate sul listino, e oggi sono 84 quelle quotate, per una capitalizzazione aggregata di oltre 152 miliardi di euro, circa il 20% della capitalizzazione totale del mercato”. PROMOSSI RICAVI ED EBITDA Nella prima ricerca presentata, Candi ha svolto un’analisi sulle tendenze del settore, dal punto di vista economico ed esaminando i nuovi driver del mercato. Sul fronte delle performance, la ricerca ha monitorato un campione di 16 big del lusso a livello italiano, europeo e statunitense, registrando un passaggio ‘indenne’ nel periodo della pandemia: il 2021 dovrebbe chiudersi con una crescita del 28% dei ricavi, a quota 146 miliardi di euro, livello superiore anche a quello ottenuto nel 2019 (137 miliardi), e con una crescita media annua composta sui cinque anni pari al 6 per cento. Uno spunto notevole arriva anche dalla redditività. Nel 2019, il rapporto tra ebitda e fatturato è stato del 29%, mentre, l’anno successivo, quello del Covid, è sceso leggermente, ma comunque rimanendo al 21 per cento. Sul fronte delle componenti del mercato, interessante la stabilità tra i diversi comparti: nel 2020 è rimasta pressoché invariata, sul fatturato complessivo, la quota di ricavi legati ad abbigliamento, calzature, pelletteria, orologi e gioielli, e cosmetici e profumi. Ciò che invece è cambiato in modo sostanziale è il ruolo dell’e-commerce: l’incidenza dell’online nel 2016 era l’1%, mentre nel 2020 è arrivata all’8 per cento. Questo ha portato la quota del fatturato retail al 75% del totale (rispetto al 64% del 2016), e alla corsa degli e-tailer: il campione considerato di piattaforme online ha registrato un tasso di crescita composto annuo del 22% tra il 216 e il 2021. WHAT’S NEXT Lo spunto finanziario della ricerca ha consentito all’M&A Director di Pambianco di evidenziare la ripresa delle acquisizioni nel 2021 (contabilizzate in 53 deal, contro i 34 del 2019), e di arrivare in questo modo alle previsioni ‘what’s next’. Tra i trend, secondo Candi, c’è appunto la “continuazione del percorso di concentrazione e apertura del capitale, attraverso le M&A e le quotazioni”. Un fenomeno che si inserisce in un quadro congiunturale di prevedibile “rimbalzo dei risultati del settore nel 2021 che, dopo il calo del 2020 dovuto alla pandemia, tornerà ai livelli 2019 e li supererà”.

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Fonte: Pambianco Dall’alto, Alessandro Binello (Managing Partner Made in Italy Fund), Sara Bernabè (General Manager Italy Planet), Barbara Lunghi (Head of Primary Markets Italy Borsa Italiana), Erika Andreetta (Partner PwC) e Alessio Candi (Consulting e M&A Director Pambianco)

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Ma “la vera sfida all’orizzonte – ha concluso il manager - è l’ingresso (già avvenuto) delle nuove generazioni che sta modificando la base della clientela del lusso e continuerà a richiedere cambiamenti”. In quale direzione? I cambiamenti riguarderanno il prodotto, con un consolidamento dello streetwear e il ripetersi di fenomeni come quello delle sneakers; riguarderanno la comunicazione che dovrà integrare e seguire le evoluzioni del linguaggio dei social media (l’ultimo esempio è Tik Tok); riguarderanno i canali distributivi, con la progressiva affermazione della multicanalità, del reselling e del second-hand; e riguarderanno l’organizzazione, con la nascita e la diffusione di nuove figure professionali (per esempio, il diversity & inclusive manager). CONSUMI PERSONALI E SOSTENIBILI Segnali forti sono arrivati anche dalle ricerche relative all’evoluzione dei comportamenti di consumo. Erika Andreetta, partner PwC, ha presentato due analisi, una sugli acquisti del Black Friday di fine novembre, e una sugli acquisti di Natale. “Quello che è emerso dalle analisi – ha commentato Andreetta – è il ritorno a una volontà di spendere e con una spesa anche mediamente molto più alta rispetto all’anno scorso. Parliamo infatti di ticket medi maggiori del 50 per cento”. La ricerca ha anche approfondito nuove abitudini di spesa del consumatore. “Adesso spende in primis per sé stesso, e questo non lo avevamo rilevato negli anni precedenti, quindi soprattutto acquisti personali”. La ricerca evidenzia che gli acquisti ‘For me’ ottengono il 90% delle risposte per la categoria dei beni tecnologici, l’87% per l’abbigliamento da bambino-scarpe-accessori, l’89% per l’abbigliamento da adulti e il 91% per salute e bellezza. Anche in termini di valore, “i consumatori sono pronti a viziarsi”, poiché per le vacanze natalizie 2021 prevedono il record di spesa dal 2015 a oggi. “Contemporaneamente – ha proseguito -, il consumatore è molto legato al tema della sostenibilità e all’abbigliamento, sia da adulto sia da bimbo”. Alla domanda ‘Quanto sono importanti ognuna delle seguenti cose quando prende le sue decisioni di acquisto per le vacanze?’, il 92% risponde la ‘fiducia nel brand’, l’85% ‘i produttori locali e i negozi’ e il 76% ‘marchi attenti alla sostenibilità e socialmente responsabili’. I comportamenti del consumatore sono poi inevitabilmente legati alla fascia d’età di appartenenza. “La silver generation o i boomers – ha aggiunto Andreetta – ritornano a comprare durante i festival dello shopping come Single’s day e Black friday e acquistano soprattutto capi d’abbigliamento. Invece, i giovanissimi, ovvero la generation Z, focalizzano i loro acquisti su elettronica di consumo, ma anche abbigliamento; una caratteristica della Z generation è la predisposizione al secondhand, sia attraverso piattaforme online sia negozi fisici, sia per vendere che per comprare i prodotti cosiddetti vintage”. IL CONSUMATORE POST PANDEMICO Un altro punto di osservazione sulle evoluzioni dei cambiamenti di abitudini dei consumatori lo ha portato Sara Bernabè, general manager Italy di Planet, fornitore globale di servizi di pagamento e di servizi tecnologici. L’analisi sui flussi ha confermato che, anche in termini di acquisti turistici, c’è un ritorno piuttosto solido della fascia di clienti tradizionali, con la quota di spesa di quelli che possono definirsi gli “elite shopper” che è pressoché raddoppiata rispetto alle posizioni 2019 (dal 26 al 48%). La presentazione ha inoltre riportato i dati relativi all’incremento dei risparmi delle famiglie, accumulati nel corso della pandemia, ma rimasti come attitudine dettata dall’accrescersi dell’incertezza. Fenomeno molto interessante, sotto

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il profilo della spesa, quello del buy now-pay later, che “ha permesso ai consumatori di fare acquisti senza incorrere nell’aumento del debito della carta di credito, e che si stima valga 100 miliardi di dollari. Si tratta, forse, di una nuova via di accesso in rapida crescita per molti acquirenti nel mercato dei beni di lusso”. Bernabé ha poi tratteggiato il profilo del consumatore post pandemico. “Molto più critico e più consapevole”, ha spiegato, perché “si aspetta dal brand esperienze sempre più personalizzate, e si aspettano di passare con sempre maggiore naturalezza dal canale online all’offline e viceversa”. In questo contesto, diventano sempre più fondamentali per i brand due elementi: l’importanza dei dati e la personalizzazione dei servizi. I dati relativi al proprio cliente arrivano da molteplici canali digitali, perché il consumatore entra in contatto con il brand attraverso più touchpoint, per esempio la messaggistica piuttosto che lo store fisico o l’e-commerce. “Questi – ha sottolineato Bernabè – sono tutti canali che non comunicano tra di loro, e quindi il brand deve convogliare tutti questi dati nel proprio back end, sincronizzarli rispetto al proprio magazzino, distribuzione delle vendite, e avere in mano quindi la cabina di regia del proprio business. Poter leggere tutti i dati e conoscere così il cliente diventa un elemento di differenziazione”. L’altro elemento chiave per i marchi è il servizio personalizzato. “Diventa fondamentale per il consumatore post pandemico, perché ha in mano tutti gli strumenti per fare una scelta più consapevole. Il brand, quindi, non deve prestare attenzione solo al prodotto, ma anche a tutti quei servizi che danno un valore aggiunto”. Difficile, secondo la manager, definire al momento gli aspetti ai quali i marchi devono prestare più attenzione. “Il nostro barometro è stato piuttosto puntuale, ma occorre ora tenere a mente anche altri fattori come il programma di vaccinazione nel Paese di provenienza e in quello di destinazione nonché le politiche introdotte nei vari Paesi, per esempio in Cina. Con l’uscita graduale dalla pandemia sarà necessario anche capire quali sono i Paesi che sollevano le restrizioni al viaggio. In questo momento, per esempio, i consumatori cinesi non stanno viaggiando perché al ritorno a casa dovrebbero stare in quarantena per circa un mese”. LA VISIONE DEL PRIVATE EQUITY A chiudere la serie di interventi una testimonianza del private equity, con Alessandro Binello, Managing Partner di Made in Italy Fund, progetto che coinvolge anche Pambianco. Il quale ha presentato le linee d’azione del fondo, indicando i driver per una crescita anche manageriale delle aziende. Annunciando anche un passaggio significativo: “Il programma di investimento per l’anno in corso è di 300 milioni, e l’abbiamo portato a termine per l’80 per cento. Ma siamo molto ottimisti, e faremo per il prossimo anno un piano di investimento da 500 milioni”.

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A MARCO BIZZARRI

A febbraio GUCCI tornerà a sfilare a Milano. “Il segreto per restare rilevanti? Saper CAMBIARE insieme al mercato”

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arco Bizzarri, CEO di Gucci, entra nel vivo della visione strategica della maison ammiraglia del gruppo Kering sul palco del 26° PambiancoPwC Fashion Summit. A partire dall’annuncio più atteso: il brand affidato alla creatività di Alessandro Michele ritorna nel calendario delle sfilate milanesi di febbraio e settembre. Gucci prevede di chiudere il 2021 in linea con i ricavi del 2019, forte anche di una struttura distributiva rimodellata.

Lei ha partecipato al Summit Pambianco anche nel 2016. Quali sono stati i momenti più importanti del percorso di Gucci negli ultimi cinque anni? Gli ultimi cinque anni sono stati una cavalcata, fatta eccezione per il 2020 che per il settore è stato un anno traumatico. Ci siamo posti degli obiettivi più da songo che da business plan, ma i risultati ci hanno dato ragione: abbiamo triplicato il fatturato da 3,3 a 9,6 miliardi di euro. Quest’anno chiuderemo in linea con il 2019, se non in lieve crescita. Abbiamo un team incredibile, che è lo stesso dal mio approdo in Gucci. È importante per me aver ‘coltivato’ il talento di queste persone. È importante che abbiano creduto in quello che io e Alessandro volevamo portare avanti. Inoltre, era fondamentale, in questi anni, proteggere l’enorme talento creativo di Alessandro. Ci si abitua alla crescita: per analisti e investitori un +40% di progressione annuale diventa la normalità. Diventa quindi necessario fermarsi a riflettere ed è quello che abbiamo fatto nel 2020, rimodulando il nostro modello di business. Che azioni avete intrapreso? Abbiamo rivisto il modello di business e abbiamo cambiato anche l’estetica. Dopo cinque anni, soprattutto nei cicli di moda spinti come il nostro, ci può essere un senso di affaticamento e l’ideale è saper anticipare il calo. Nel nostro mondo, per eventi esterni o interni, non ci si può fermare. Non puoi limitarti a piani quinquennali o settennali. O meglio, li fai, ma poi devi navigare a vista, capire da dove arrivano le onde più alte e cercare di schivarle. Devi trovare nuove opportunità ogni giorno. La partita si gioca sia nel lungo periodo sia nella gestione quotidiana. Nei risultati dei nove mesi si parla di una transizione di Gucci, che sta riducendo la quota wholesale a favore del retail. Cosa c’è dietro questa scelta? Non è semplicemente una riduzione della quota wholesale, perché sembra di banalizzare il lavoro dei wholesaler italiani, che invece è straordinario. A marzo 2020 abbiamo pensato che, dopo cinque anni impostati secondo una precisa strategia, era il momento di cambiare. Abbiamo optato per un upgrade del brand, facendo un’importante scelta di distribuzione: siamo usciti da Neiman Marcus, abbiamo trasformato le doors di Saks e Bloomingdales da wholesale a concessions. La stessa cosa è stata fatta in Italia, dove con i wholesaler abbiamo siglato dei contratti di distribuzione selettiva, tagliando realtà che non erano soddisfacenti in termini di immagine. Abbiamo cambiato il contratto con Dfs, abbiamo convertito i contratti degli e-tailer da wholesaler a e-concessions. L’idea era di creare una struttura di business molto più solida in termini di controllo della brand equity per i prossimi 5-10 anni. Dal 2019 al 2021 abbiamo ridotto il wholesale da 1,2 miliardi di euro a 750 milioni, quindi abbiamo poi ‘perso’ il rimbalzo wholesale che c’è stato nel 2021. Questa è quindi una scelta importante che puoi fare se ragioni a lungo termine e non sul quarter. Ci sono i dati, ma c’è anche la qualità dei dati. Oggi siamo più forti di quanto non fossimo nel 2019. DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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Quali sono stati invece i cambiamenti a livello estetico? Innanzitutto abbiamo ridotto il numero di presentazioni che facciamo in termini di show. Nel 2020 ne abbiamo fatti solo due, a differenza di alcuni nostri competitor. Abbiamo cercato di fare le cose bene, impostando Gucci come un laboratorio creativo. Nel 2021, abbiamo lanciato Gucci Fest, poi Vault per il reselling, abbiamo gestito diverse collaborazioni. Tutto questo ha dato la possibilità ad Alessandro di reimmaginare Gucci. Siamo un brand pazzesco, dove creatività e immaginazione hanno sempre dato risultati positivi se cavalcati con coraggio. Di fatto, nell’ultimo quarter del 2021, questo allineamento di scelte è emerso. Il modello è cambiato. La ‘pulizia di mercato’ raggiungerà il pieno effetto alla fine di quest’anno. Lo stesso discorso vale per l’estetica, con la collezione Aria presentata ad aprile e consegnata in store a ottobre. Arriviamo ai blocchi di partenza del 2022 più forti di prima. Uno dei segni di come il mercato è cambiato in questi anni è la disruption della tradizionale presentazione delle collezioni due volte l’anno? Come vede questo cambiamento? Dipende sempre dai momenti. Ogni marchio avrà l’autonomia di fare quello che vuole. A noi serviva tempo per lasciare che Alessandro ridisegnasse la Gucci dei prossimi cinque anni. È vero che nel 2015 Alessandro ha realizzato la prima collezione dal direttore creativo della maison in cinque giorni, ma è anche vero che era in Gucci da 12 anni. Quindi era preparato. Non credo che nella storia della moda ci sia mai stato un tentativo così forte, in un momento di grande successo, in cui un direttore creativo ha avuto la forza di reimmaginare se stesso. Di solito quando accade è perché si cambia direttore creativo. Questo dà l’idea del livello di autonomia e flessibilità che abbiamo in Gucci e di come la creatività e il talento vengano da noi protetti. Con Aria ad aprile e con Love Parade, presentata a Los Angeles, si è dato pieno risalto alla nuova visone di Alessandro. Oggi non c’è ragione per noi di restare fuoiri dalle fashion week milanesi di febbraio e settembre e, in generale, nelle cadenze tradizionali di febbraio, settembre e, per la presentazione della cruise, di maggio-giugno. Quale è invece la strategia alla base dell’apertura di ristoranti insieme a Massimo Bottura? È un’iniziativa di immagine? Sicuramente non è un’iniziativa di business, mettiamola in questo modo. Con Bottura non parli di business. Parli di emozioni, di qualità, di altri valori. È un progetto nato, appunto, da valori comuni e dalla nostra amicizia. Ci conosciamo da oltre 40 anni. Ci stava fare qualcosa insieme. Inoltre, collaboravo con Massimo già dai tempi di Bottega Veneta. Con Gucci c’è stato un ulteriore avvicinamento perché i valori che condivide Massimo sono quelli di Alessandro. È stato bellissimo ascoltarli parlare di come questo ristorante avrebbe potuto essere. Abbiamo aperto a Firenze e preso la prima stella Michelin. Abbiamo aperto a Los Angeles e preso la prima stella a Los Angeles, nonostante la pandemia. Abbiamo aperto a Tokyo e apriremo presto a Seoul. Nel 2019 lei ha lanciato la CEO Carbon Neutral Challenge. Come è nata l’idea e come sta andando? Il progetto sta andando avanti. Per un business come il nostro, che quest’anno compie 100 anni, è impossibile pensare di non avere un impatto sull’ambiente. Tuttavia, è anche impossibile pensare di cambiare il modello di business dall’oggi al domani. Dal 2015 abbiamo iniziato a misurare il nostro impatto ambientale, riducendolo, da allora, del 47 per cento. Ci siamo riusciti grazie all’utilizzo di energie rinnovabili, materiali riciclati e riduzione delle sostanze chimiche nei processi. Tuttavia, l’impatto rimane. Come CEO non sono abituato ad avere obiettivi al 2050. Io nel 2050 avrò quasi 90 anni. Credo non sia possibile darmi un obiettivo di questo tipo e non voglio lasciarlo ‘in dote’ al mio successore. Abbiamo quindi

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deciso di ‘offsettare’ tutto quello che non riusciamo a mitigare. Si continua a lavorare per migliorare i processi, ma fino alle emissoni zero ci si tassa. A nessuno piace la carbon tax, ma se si inquina è giusto pagare una tassa. Quest’anno avete presentato Demetra, definendolo il materiale del futuro... Il team di sviluppo prodotto di Gucci ci ha lavorato per anni e ora lo abbiamo messo a disposizone del settore. Il punto di questi materiali è che nel momento in cui cominci a raccontare l’aspetto sostenibile non devi perdere l’accento moda. La gente preferisce prodotti sostenibili, ma in negozio compra prodotti belli. Devi fare un prodotto che sia strepitoso e poi anche sostenibile. Il nostro è un mondo emozionale. Utilizzeremo Demetra per fare le sneakers? Si, ma l’obiettivo è innanzi tutto un prodotto che il consumatore possa desiderare. Io devo rendere il business profitable e sostenibile nel tempo sia dal pinto di vista materiale che per le persone lavorano con me. Quest’anno festeggiate 100 anni. Come si resta rilevanti in un mondo che cambia rapidamente? Il mondo cambia a una velocità pazzesca e tu devi essere in grado di posizionarti correttamente in base al brand che gestisci. Gucci ha un forte legame con i consumatori. Noi dobbiamo lavorare sui nostri punti di forza che sono la creatività e l’immaginazione. Dobbiamo muoverci più veloci degli altri e avere in organico persone che sposino questa logica, che siano disposte a mettere in discussione quello che hanno fatto 15 giorni prima, perché nel frattempo il mondo è cambiato. Questo ritmo è la bellezza del nostro lavoro. Vi ha fatto piacere il riconoscimento di Tom Ford, che, nel libro Tom Ford 002, dice che ha potuto distaccarsi da Gucci grazie al lavoro di Alessandro? Ci ha fatto estremamente piacere. Io non sarei qui se Tom Ford e Domenico De Sole non avessero preso le redini di Gucci anni fa. Ho un grandissimo rispetto per loro. Gucci è capofila di una filiera incredibile, quella italiana. Una Pmi su cosa deve concentrarsi per crescere nei prossimi anni? A volte è utile un po’ di distanza manageriale dalla propria azienda, dalla ‘creatura’ che l’imprenditore ha avviato. Nel tempo, infatti, c’è il problema della gestione del passaggio generazionale, della ricerca di nuove competenze, ecc. Il bilanciamento tra iniziativa, creatività imprenditoriale e una distanza manageriale, o il supporto di capitali, può quindi essere il futuro delle Pmi.

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A REMO RUFFINI

“Moncler è una STARTUP che ogni giorno si mette in discussione. A guidare è la COMMUNITY”

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emo Ruffini, CEO di Moncler, sul palco del Pambianco-Pwc Fashion Summit, ha ripercorso le tappe principali che hanno portato alla realizzazione del progetto Genius, riformulato durante l’ultima fashion week milanese con il format Mondo Genius. Creare un rapporto omnichannel con le community di riferimento, contaminare il proprio know-how e mantenere il controllo dei propri touch point sono alla base della spinta evolutiva del gruppo italiano. Il manager ha inoltre spiegato i motivi dell’acquisizione di Stone Island.

Com’è nata l’idea di Genius? Qual è stata l’intuizione alla base? Da una parte c’era la noia per un’azienda come la nostra di partecipare al mondo della moda e del lusso con le sfilate tradizionali. Ma il punto più importante è che stava cambiando il modello di business, era quindi decisivo essere molto più vicini al consumatore. Da lì siamo partiti con un approccio no-season, avere un contenuto tutti i mesi, una relazione con il mondo completamente diverso. La stampa tradizionale esisteva e non esisteva, era tutto più digitale e dovevamo diventare dei media anche noi, ci servivano idee, prodotti e contenuti per comunicare. A livello industriale, logistico e di comunicazione non è stato semplice. Di fatto eravamo un’azienda stagionale per il dna della marca, Moncler, associato alla giacca. Abbiamo stravolto tutto questo, facevo i fitting due o tre volte a stagione mentre ora ogni mese ho qualcosa da fare: vedere uno stilista, convincere sette persone con una forte creatività a partecipare a un progetto coordinato, tante difficoltà risolte, alcune non ancora. Prima eravamo molto più fisici, oggi cerchiamo anche contaminazioni diverse, ad esempio abbiamo appena annunciato un accordo con Jony Ive che è stato direttore artistico e creativo di Apple, cerchiamo collaborazioni in mondi totalmente diversi e l’evoluzione è stata, quest’anno, che siamo passati da un posto per pochi a un posto per tanti. A questo proposito, in tanti sono senz’altro quelli connessi in via digitale. Abbiamo fatto un progetto su cinque città collegate a trenta piattaforme nel mondo, un approccio totalmente diverso, i risultati sono stati incredibili. Abbiamo avuto 4,2 miliardi di reach, 510 milioni di visualizzazioni, un successo mediatico fortissimo. Credo che oggi la vera gara sia saper dialogare creando la stessa esperienza nel mondo fisico e in quello digitale. A raccontarlo sembra semplice, ma farlo non è così banale. Il futuro è lì, se si vuole essere vicini alle nuove community perché oggi non si tratta più di vendere un prodotto, ma attrarre una comunità, un approccio totalmente diverso a livello di marketing, costruzione di collezione, prodotto. I processi non sono banali, io vivo sempre l’azienda come fosse una startup mettendomi in discussione. All’interno delle aziende ci sono punti di vista diversi, ma alla fine quello che è importante è mettersi in discussione tutti i giorni. Quanto sono cambiati i paradigmi dell’impresa? L’accelerazione di questo ultimi due anni è stata pazzesca, quello che nel marzo 2020 pensavo potesse succedere nei prossimi dieci anni è successo nei nove mesi successivi quindi bisogna mettere in discussione se stessi, l’azienda, la cultura e tutte le armi a disposizione per conquistare la community. È cambiato il modo di possedere un prodotto, oggi bisogna far vivere al consumatore un’esperienza. Prima quando il consumatore entrava in un negozio si voleva vendere una giacca oggi ci sono tanti touch point quindi occorre creare un sogno a prescindere dalla transazione fisica, digitale o DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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tramite gli e-tailer. È molto più complicato, noi siamo ossessionati dal controllo della qualità dei canali, da sempre siamo diretti, abbiamo cercato di non avere distributori e agenti del mondo quindi oggi la gara è avere e controllare i propri canali. L’energia del multimarca è fondamentale e stiamo cercando di trasformarli in concession, di controllarli direttamente, ma non per vendere di più, ma perché anche attraverso il grandi player digitali è possibile comunicare il nostro progetto. Non bisogna rincorrere le quantità dal mio punto di vista, l’esperienza multicanale è tutto, è la cosa più complicata da fare. Alla luce di Genius, quante nuove competenze ha dovuto portare all’interno dell’azienda e come si sono organizzate quelle già presenti? L’azienda è stata molto forte, mi ha sorpreso. Se penso alla prima stagione, siamo passati dalle sfilate a Parigi e Milano con Giambattista Valli e Thom Browne a un progetto che richiede invece un’organizzazione costante. L’azienda ha reagito in maniera eccezionale. Per affinare questa strategia ci sono stati degli inserimenti, ma la formazione in Italia deve essere completamente diversa. Non ci sono scuole che formano le persone che a noi servono ed è importante avere una base. Tanti impiegati non sono italiani, nella mia giornata io parlo tre-quattro ore in inglese. L’Italia deve pensare a una formazione diversa rispetto a quella che c’è oggi perché altrimenti non andiamo da nessuna parte e non si tratta solo della digitalizzazione, che è fondamentale, ma anche la logistica è diventata un punto strategico per un’azienda. Noi non siamo un grande colosso del lusso, ma un’azienda piccola, quindi dobbiamo essere più energetici e creativi, più unici. L’unicità è fondamentale quando non si hanno grosse risorse economiche. Quando è partita la ‘casualization’, specialmente nell’uomo è arrivata una certa energia, soprattutto nelle marche che hanno voluto partecipare a questo mondo. Cinque anni fa questo linguaggio in via Montenapoleone o New Bond Street non c’era, era molto più tradizionale. Alcuni marchi, anche i più grossi, hanno capito che bisogna dialogare in modo completamente diverso col consumatore come confermano i successi di Gucci, Louis Vuitton, Dior, Balenciaga. Bisogna cambiare l’approccio, il dialogo con la comunità è molto importante. Moncler oggi è un marchio italiano o del mondo? Moncler è sempre molto legato alla marca, al nostro logo, la bandiera francese con il galletto bianco rosso e blu. La Francia per noi è tutto. Detto ciò, ho deciso tanti anni fa di spostare la nostra facility da Grenoble in Italia. Oggi un’azienda non è più italiana, ma del mondo, bisogna essere più globali possibili, ma con una domesticità forte sulle region. Il team è fondamentale, attrarre risorse umane di qualità, avere il dialogo con le persone in loco. Lei su cosa si concentra maggiormente? Il pensiero del futuro è ciò che mi affascina di più per esprimere i concetti. Un piano è fondamentale ma la flessibilità è tutto. Il mio lavoro originale, dal 1982, è il prodotto e sono molto presente in quell’area come nel marketing e nel retail. Siamo un’azienda senza amministratore delegato, che in realtà sarei io, perché ci sono quattro persone specializzate in altrettante aree. Ho sempre cercato nel mondo persone che mi facessero imparare. Oggi abbiamo una struttura unica nel mondo del lusso, non c’è un padre padrone, ma ognuno fa il suo lavoro. Dopo l’acquisizione di Stone Island cosa avete imparato dal brand e cosa avete insegnato? Siamo agli inizi. Noi non cercavamo un’acquisizione, ma ci è capitata questa opportunità. Abbiamo acquisito Stone Island perché ha valori molto simili alla nostra marca, un modo di ragionare, un rigore gestionale a cui io tengo tantissimo, un po’ come eravamo noi dieci anni

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fa. Voglio provare a cambiare la cultura che c’è attualmente in azienda, parliamo di passare da pura distribuzione wholesale a direct to consumer e allo stesso tempo digitale, peraltro hanno un fatturato digitale già importante, più di Moncler. Anche per Stone Island potrebbe esserci un mondo Genius con uscite più continuative? L’acquisizione risale quasi a un anno fa e abbiamo bisogno di 18 mesi per riorganizzare e fortificare la macchina prima di cambiare rotta. Dopo Stone Island prevede altre acquisizioni? Io spero di no perché abbiamo due startup. Nel livello di cultura e organizzazione vedo in Moncler e Stone Island due startup, siamo tutti molto impegnati. Mi auguro di riuscire a sviluppare ciò che il mercato ci chiede con questi marchi, il mondo è cambiato, ma sono convinto che noi ce la possiamo fare. Il modello co-lab sarà presentato anche in futuro o a un certo punto stancherà? Io credo sia necessaria un’evoluzione forte. La mia prima collaborazione l’ho fatta nel 2004 con Junya Watanabe e ne sono seguite tantissime negli anni. Quando sono partito con Genius era un progetto mio vecchio riorganizzato in una casa, il Genius Building. Credo ci vogliano fortissime evoluzioni, come abbiamo sperimentato con Mondo Genius questa stagione, ed è importante fare entrare altre persone con altre culture, professioni, idee e l’esempio calzante è proprio Jony Ive. Vedi un’estensione di Moncler anche in mondi più allargati, ad esempio l’hotellerie, o per ora resta un progetto ancorato al ready to wear? Io credo molto nell’esperienza che in questi due anni si è un po’ fermata, ma ripartirà alla grandissima. Basta vedere cosa è successo nel settore food & beverage in cui è cambiato il mondo perché oggi la gente ha bisogno di esperienza. Il sogno di creare un’esperienza diversa da un negozio in via Montenapoleone o Galleria Vittorio Emanuele II potrebbe essere una bella idea.

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A ENNIO FONTANA

Nuova guida e nuovo STILE. Cavalli prevede il ritorno a 160 mln e “non escludiamo ACQUISIZIONI”

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nnio Fontana, managing director di Roberto Cavalli, riassume le tappe principali del nuovo corso dell’azienda che nel 2020 ha fatturato 46 milioni di euro e si appresta a chiudere l’anno fiscale corrente a quota 60 milioni per arrivare nel prossimo esercizio a 80 e quindi al break even. Dal 2019, la casa di moda è passata da Clessidra Sgr al fondatore e presidente di Damac Properties, Hussain Sajwani, attraverso la sua società d’investimento privata Dico Group. Nell’ottobre dello scorso anno Roberto Cavalli ha annunciato la nomina di Fontana, precedentemente general manager di Philipp Plein. A pochi giorni di distanza è arrivata la nomina di Fausto Puglisi a consulente creativo. Grazie all’arrivo dello stilista siciliano, il brand sembra aver ritrovato un’identità felina coerente con il proprio heritage, lontana dalle sperimentazioni azzardate di Peter Dundas e Paul Surridge. Nonostante i promettenti curricula, i precedenti designer non sono riusciti a replicare i successi raggiunti dal brand a cavallo del nuovo millennio. La fase di rinnovo della griffe si legge anche nello sbarco nel mondo del calcio. Il mese scorso la maison è diventata official fashion partner dell’Ac Monza. L’accordo biennale tra il luxury brand e il football team prevede la fornitura delle divise formali e una serie di capi casual per la squadra e la dirigenza. Si tratta della prima collaborazione nel mondo del calcio per Roberto Cavalli.

È direttore generale dal settembre 2020, com’è arrivato a ricoprire questa posizione? Tre anni fa lavoravo per Philipp Plein ed eravamo in trattativa per acquisire Roberto Cavalli, di conseguenza ho avuto l’opportunità di dare un’occhiata da vicino alla storia del brand e ai numeri degli ultimi dieci anni. Sono quindi arrivato abbastanza preparato, ciò che avevo visto nel 2018 era quello che pensavo Cavalli avrebbe raggiunto nel 2019-2020. La pandemia ha dato l’opportunità all’azienda di riorganizzarsi, cambiare management, semplificare le strutture e ripartire. I manager che mi hanno preceduto erano capaci, ma il fatto che non fossero molto appoggiati dagli investitori dell’epoca non ha aiutato. Oggi stiamo facendo un lavoro ottimo perché abbiamo le spalle coperte, siamo solidi, possiamo pensare al futuro, a nuovi opening. Ripartiremo negli Stati Uniti, a gennaio apriremo la prima boutique americana a Bel Harbour, Miami, e poi ne arriveranno altre. Lo scorso maggio è stata svelata la prima collezione del nuovo corso seguita dall’esordio in passerella del nuovo Cavalli durante l’ultima Milano fashion week con la sfilata co-ed dedicata alla stagione primavera/estate 2022. Puglisi è arrivato pochi giorni dopo di lei. Ha segnato una svolta? Per me è una fortuna di lavorare insieme a Fausto Puglisi che è stato scelto da Hussain Sajwani. Puglisi rappresenta perfettamente il dna del brand, ma ha una visione verso le generazioni future capace di allargare il mercato a clienti diversi. Adesso l’azienda è tutta a Milano? La sede storica di Firenze era in dismissione da diverso tempo, era troppo ampia per l’entità di business che facciamo. Meglio concentrare le forze dove viene fatto il business, quindi Milano, e riorganizzarci a livello di personale riuscendo a lavorare vicini gli uni con gli altri. Cavalli oggi è un brand internazionale.

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A questo proposito, è forte il legame con il Medio oriente. A settembre il marchio ha presentato un imponente progetto immobiliare a Dubai. Sì, Cavalli ha un forte legame con Dubai, e in generale il link con il Middle East è forte. Appunto, basta vedere cosa stiamo facendo adesso con la Cavalli Tower. Un grattacielo super lusso a Dubai, in collaborazione con Damac Properties. La nuova torre, formata da 485 unità, è situata nel quartiere di Dubai Marina. Il grattacielo fronte spiaggia, progettato dal pluripremiato architetto Shaun Killa, conta 70 piani con vista su Palm Jumeirah Island e interni firmati dalla nostra maison. Il valore del progetto è di circa 545 milioni di dollari; i lavori di costruzione della torre inizieranno il prossimo anno per una durata stimata di quattro anni, ma alcuni appartamenti sono già stati prenotati. Secondo lei un marchio di questo tipo che potenzialità può immaginare nei prossimi anni? Dipende da come si evolve il mercato e dalle categorie merceologiche. Se rimane un brand di abbigliamento e calzature penso si possa ritornare in 4-5 anni a 160-180 milioni di euro escludendo le licenze. Se dovesse partire il segmento accessori allora i limiti si allargano perché un certo tipo di crescita dipende dalle borse. Cavalli è stato storicamente un brand forte nel ready to wear e nelle calzature, quindi per fare uno step successivo dovrebbe andare dove non si è mai spinto finora. La proprietà ci supporta molto perché c’è la volontà di sviluppare le potenzialità del marchio. La proprietà ha intenzione di acquistare anche qualche altro brand? Credo sia una possibilità che stiano valutando anche perché quando riesci a creare una piattaforma di brand riesci automaticamente a creare delle sinergie commerciali, produttive, amministrative che sono fondamentali per creare margini interessanti. Che visione avete per quanto concerne le licenze? Dipende, quelle legate direttamente al mondo del fashion le stiamo chiudendo e riportando in casa perché è già difficile comunicare un brand, trovo estremamente complicato comunicarne diversi e anche obsoleto come ragionamento. Diverso è il ragionamento legato alla casa, ad esempio, settore in cui devono crescere e potenziarsi ulteriormente. L’eyewear, la cosmetica, i profumi prendono un’altra direzione e sono estremamente importanti nel nostro business.

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A ATTILA KISS

AGGREGARE i fornitori. Così, Florence “risponde alle sfide del LUSSO”

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è la Borsa tra gli obiettivi del gruppo Florence, la piattaforma industriale che punta a supportare i principali brand della moda e del lusso. Lo ha spiegato il CEO Attila Kiss al 26° Pambianco-PwC Fashion Summit. L’aggregazione di imprese familiari comprende Giuntini, Ciemmeci Fashion, Mely’s, Manifatture Cesari, Emmegi, Antica Valserchio e Metaphor. Nel breve, le aziende diventeranno 12 (con scarpe e pelletteria), per un fatturato totale di 170 milioni. Florence è un progetto nuovo nel suo genere perché da sempre l’Italia è terra di produzione, ma fino a poco tempo fa nessuno aveva pensato di aggregare realtà produttive. Come è nata, perciò, l’idea? Siamo partiti dalla considerazione che il 70% della produzione del lusso avviene in Italia, perché qui troviamo dalle materie prime fino alla realizzazione del prodotto finito e tutte le tecniche di produzione, dalla maglieria alla pelle e al tessuto. Tutto questo, però, è nelle mani di pochissime aziende familiari. I clienti di queste aziende sono dei grandissimi gruppi. Il progetto Florence nasce proprio dalla volontà di alcuni fornitori che hanno voluto mettersi insieme. Sono tutte società sane, che avrebbero potuto anche andare avanti da sole. Le sfide che però le griffe stavano portando avanti stavano diventando sempre più impegnative. Hanno capito la necessità di strutturarsi e diventare sempre più manageriali e di qui l’esigenza di aggregarsi. Abbiamo avuto la fortuna di trovare anche gli investitori giusti. La peculiarità è che si tratta di un progetto nato dal basso, dalla volontà di imprenditori che volevano lavorare assieme, e si è trovata la giusta collaborazione con

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gli investitori, ovvero Francesco Trapani con il fondo Vam che conosce bene il mondo del lusso, il Fondo Italiano di investimento che ha nella sua mission far unire le piccole eccellenze italiane, e Italmobiliare con la sua visione lungimirante e che investe con un lungo termine. Da dove viene il nome Florence? Florence rappresenta il Rinascimento, la culla della manifattura in Italia. Non è un caso che nel gruppo entrino aziende da tutt’Italia, ma che il baricentro resti toscano. Quante sono le aziende presenti nel vostro gruppo? Stiamo concludendo alcuni accordi e arriveremo a breve a quota 12 con un fatturato totale che supererà i 170 milioni di euro. Quali sono a vostro avviso le competenze che un produttore deve avere per mantenere la sua posizione sul mercato? Le sfide sono sempre più sofisticate. I brand della moda sono impegnati in strategie che mirano ad abbassare l’impatto ambientale. Una buona fetta di questo impatto deriva dalla filiera, ma bisogna trovare dei partner nella filiera con cui realizzare questi progetti strategici. Questo è uno dei temi caldi: i brand chiedono sostenibilità, ma le piccole aziende fanno fatica a rispondere adeguatamente e in modo strutturato. La dimensione ci permette di poter investire sulla sostenibilità o sulla formazione che è un altro elemento chiave. La tendenza all’aggregazione delle aziende sotto un’unica struttura ha fatto alzare a vostro avviso le valutazioni e i prezzi delle piccole realtà dei fornitori? È possibile un impatto del genere, ma è un bene. I grandi brand hanno bisogno che la loro filiera si strutturi. Qual è il vostro obiettivo nel medio termine? La peculiarità del nostro gruppo è che da noi gli imprenditori diventano soci della holding. Non rimangono dentro la società d’origine, ma salgono di livello. Tutte le aziende sono controllate al 100% dalla holding, ma mantengono l’impronta familiare che è l’elemento vincente di queste realtà. Questa doppia identità, familiare e di gruppo, ci porta a un comune interesse e riusciamo in questo modo a creare delle sinergie. Ci consente anche di arrivare a una dimensione maggiore perché la partecipazione degli imprenditori non rimane frammentata. Chiaramente ci sarà un limite perché la complessità della gestione sarà tale che non converrà crescere all’infinito, ma possiamo ancora estenderci. Avete in programma l’ingresso in nuovi settori? Ci allargheremo alle calzature e alla pelletteria a breve. Pensate alla Borsa in futuro? Sì, l’obiettivo è quello di quotarci in Borsa. Gli investitori che ci stanno accompagnando in questo viaggio sicuramente faranno un passo indietro, anche se non è detto che escano del tutto perché sono convinto che ognuno di loro si diverta molto a lavorare con noi. Parlando di numeri, qual è la redditività prevista quest’anno? Rimane costante in tutte le aziende. Abbiamo ottenuto delle efficienze e ne stiamo cercando altre e questo controbilancia i costi che si trova ad affrontare il gruppo. L’ebitda delle nostre aziende va dal 10 al 20 per cento. DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A MARTINO SCABBIA GUERRINI

“I marchi devono accompagnare la DANZA dei consumatori. Sono i giovani a dettare l’AGENDA”

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iattaforme digitali, integrazione omnicanale ed empatia digitale. Sono questi gli ingredienti della strategia di crescita di Vf Corp, come ha racontato Martino Scabbia Guerrini, executive vice president e president Emea sul palco del 26° Pambianco-PwC Fashion Summit. Con accento su sostenibilità, digitale e riscoperta del design come cuore pulsante dei marchi.

Siete il gruppo leader a livello internazionale nel settore dello sport, a parte i colossi come Nike e Adidas. Soprattutto penso sia un portfolio sempre più evoluto. L’azienda ha 122 anni, quindi è chiaro che abbia attraversato diverse trasformazioni e, nell’ultimo decennio, ha cercato sempre di più di essere in sintonia con quella che è la visione futura, sia creativa che di valori, con marchi che appartengono a un certo tipo di attività e di consumatori. Quando ci siamo sentiti abbiamo parlato di tre ambiti in cui vedete che si giocherà la partita dei prossimi anni. Quali sono? Nel modo di lavorare e di creare empatia verso il consumatore contano sicuramente la velocità, che per noi è intensità e valori. Naturalmente, quando parli di integrità, empatia, curiosità e coraggio, subito generi un’interazione tra i marchi e con i consumatori. Questa velocità si trasmette nell’evoluzione del modello di business. Negli ultimi tre-quattro anni direi piattaforme digitali, integrazione dei canali ma soprattutto una nuova empatia digitale che attraverso la pandemia si è modificata velocemente: l’agenda viene decisa dai consumatori e i temi che comandano arrivano dalle nuove generazioni. Quello che i marchi secondo me devono fare molto bene è ascoltare, guidare la loro visione creativa e al tempo stesso accompagnarla nella ‘danza con i consumatori’: c’è sempre una fase di ascolto e una di continua evoluzione. La velocità dipende da questo, ma è sicuramente molto intensa oggi. Questo mondo che io chiamo ‘digiland’, che parte dal nostro e-commerce e arriva in tutte le piattaforme terze, diventa un ecosistema in cui i marchi devono essere sia veloci sia consistenti. Solamente in Europa, noi oggi abbiamo un ordine ogni 7 secondi nel nostro e-commerce, mandiamo 1.600 email al minuto. Il ritmo di quest’interazione è incredibile. Il gruppo fattura più di un terzo online, giusto? Sì, direttamente o attraverso piattaforme digitali terze. Oltre a questo, c’è una parte di innovazione fondamentale: quella del modello di business, che deve adattarsi all’evoluzione dei mercati, ma soprattutto quella che io chiamo la centralità del design. Oggi il design è tornato prepotente al centro della creazione del futuro dei marchi, con due anime. Una estetica e una legata all’intensità produttiva dei marchi: finita la stagionalità, siamo immersi in un continuo cercare di dare contenuti, prodotti e storie ai consumatori. Una narrativa ormai spezzata a livello mensile o addirittura settimanale. La visione creativa, quindi, si deve trasformare in un’intensità di contenuti incredibile. Dall’altra parte, la sostenibilità comincia proprio con il ‘responsibile design’. Basti pensare che il tessile globale, l’anno scorso, ha consumato 109 milioni di tonnellate di fibre: è chiaro che l’impatto della nostra industria è enorme e la nostra sostenibilità comincia dal design perché è proprio da lì che parte la scelta dei materiali. Tutto quello che stiamo cercando di fare in termini di circolarità comincia lì. E i designer hanno la capacità di prendere delle scorciatoie verso il futuro che i manager invece a volte non hanno.

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Parlando di sostenibilità, un gruppo come il vostro dove e come riesce a essere eco-friendly? Abbiamo pubblicato pochi mesi fa il nostro quarto report di sostenibilità e abbiamo avuto subito 500 milioni di impressions. Abbiamo chiaramente degli obiettivi sul lungo periodo, non oltre il 2030 perché devono essere realizzabili da noi, non da chi verrà in futuro, e facciamo tanto. Un esempio: entro nove anni, il 100% dei materiali più importanti che usiamo sarà rigenerativo, riciclabile o proveniente da approvvigionamenti sostenibili. I nostri distribution center vedono 400 milioni di pezzi all’anno, che poi vengono spediti e sono già tutti ‘zero waste’ a livello mondiale. E poi abbiamo un lunghissimo elenco di obiettivi su gas, emissioni e impatto ambientale. Dall’altra parte è importante anche la narrativa, non bastano solo gli obiettivi scientifici. Tutto questo porta con sé, però, grandi complessità. Un’azienda meno strutturata di voi riesce ad affrontare queste tematiche? Io ho un’idea ben precisa su questo. È fondamentale la semplificazione del modello, quindi non tutte le aziende possono fare tutto. Io ammiro molto gli imprenditori che riescono a compiere i primi cento milioni di vita. Devi avere una sequenza, non puoi risolvere tutti i problemi in ogni fase della vita dell’azienda. Per esempio, Supreme, acquisizione per noi fondamentale anche in termini di modello rispetto ai nostri altri asset, non ha certo risolto la questione della sostenibilità. Secondo me, però, anche le aziende piccole, se riescono ad avere una strategia molto chiara e fare delle scelte semplici che portino avanti fino in fondo, questo è il modo migliore per crescere più velocemente. Però è evidente che i grandi gruppi debbano assumersi una responsabilità sociale. Infine, penso sia fondamentale quando si parla di responsabilità sociale che le grandi aziende facciano pressione all’interno delle comunità politiche affinché creino un’infrastruttura, un sistema. Le aziende più piccole, quindi, non devono creare una soluzione, ma in futuro essere supportate da un sistema che consenta loro di essere sostenibili. Il prezzo della sostenibilità non può pesare solo sulle aziende e sul consumatore, altrimenti sarà molto difficile un’accelerazione e una crescita vera. Vf è sempre cresciuta per acquisizioni. È un modello che ha un limite o pensate possa proseguire? Vf è un’azienda industriale, non è una holding finanziaria, per questo ha 122 anni di attività. Ha saputo reinventarsi. Noi avevamo 30 marchi tre anni fa, oggi ne abbiamo dodici. La pandemia ha dato a tutta la società e alle grandi aziende una scossa per ripensare alla miglior versione di noi stessi. Noi abbiamo fatto delle scelte di portafoglio abbastanza drastiche negli ultimi due anni. Abbiamo acquisito un marchio, Supreme, e abbiamo ceduto tutta la parte del workwear e alcuni altri business. Gestire un portafoglio in modo attivo per noi non è un esercizio finanziario, ma un esercizio strategico. Noi abbiamo un ‘purpose’, la lente attraverso cui prendiamo tutte le decisioni strategiche, che è anche quella determinante per le scelte di portafoglio. Noi guardiamo chiaramente a marchi che abbiano una sintonia con le vite attive e sostenibili, un impatto sull’ambiente sempre migliore e fondamentalmente sappiano anche spingere la creazione di movimenti. Le persone che lavorano in Vf sono molto attive anche privatamente, e per noi questo è fondamentale. Secondo te, le realtà americane sono più avanti dell’Europa o c’è un allineamento nel mondo occidentale? Io penso che l’opportunità di essere allineati ci sia. Le nuove generazioni sono globali, la trasparenza del digitale è infinita quindi non dovrebbe essere diverso. È evidente poi che ci siano aree d’eccellenza ovunque, ma non catalogherei sulla base di una suddivisione geografica.

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A RICCARDO VOLA

Zalando porta i NEGOZI sul web. Perché “la moda sarà CONNESSA”

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alando mira a posizionarsi come “starting point for fashion” o, più semplicemente, come punto di partenza e di riferimento per la moda e il retail. Ad affermarlo è stato Riccardo Vola, general manager Italy and Spain del gigante europeo dell’e-commerce, in occasione del 26° Pambianco-PwC Fashion Summit. L’executive ha sottolineato come il futuro del comparto sarà legato a digital, sostenibilità e diversity & inclusion.

Zalando è uno dei colossi e-commerce del panorama europeo. Può darci qualche numero macro dell’azienda? Siamo una piattaforma leader dello shopping online, siamo sugli otto miliardi di euro di fatturato nel 2020 e sui 200 milioni di ordini, siamo presenti in 23 Paesi e siamo quotati in Borsa in Germania. L’azienda sta crescendo bene e abbiamo grandi ambizioni per il futuro. Avete lanciato il servizio Connected Retail che vi porta ad avere un rapporto ibrido con il B2b perché lavorate anche con la distribuzione wholesale. Come funziona? Abbiamo lanciato Connected Retail in Italia molto recentemente, è un servizio che per noi è fondamentale, diamo la possibilità ai negozi fisici di connettersi su Zalando e vendere direttamente dandogli l’accesso a più di 45 milioni di consumatori. La nostra visione è quella di essere lo “starting point for fashion” e, a tal fine, crediamo che la strategia di piattaforma sia fondamentale per raggiungere questa visione: connettendo direttamente i marchi e i negozi possiamo soddisfare sempre più domanda. In futuro sarà tutto connesso.

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Al momento siamo presenti con Connected Retail in 13 Paesi inclusa l’Italia e più di 5mila negozi. Quest’anno, finora, grazie a questo servizio abbiamo offerto 500 marchi incrementali in più e oltre 10 milioni di prodotti in più che non avevamo; se guardiamo al futuro vediamo ancora tantissimo spazio di crescita. Tra le nuove funzionalità che lanceremo ci sarà il ‘click and collect’, e daremo inoltre al negoziante la possibilità di crearsi la sua pagina dentro Zalando come già possono fare i marchi. In futuro il consumatore potrà seguire il negozio e creare un rapporto di fiducia. In futuro, che peso avrà questo servizio sul vostro business? Non abbiamo un numero specifico da condividere, però la nostra ambizione sul 2023 è che la quota di business che arriva da marchi e negozi connessi sia più o meno il 40% del nostro gmv, un numero abbastanza significativo. Attraverso questo modello, il brand ha inoltre il controllo totale con la possibilità di scegliere prezzo e assortimento dei prodotti. Oggi voi avete moda, gioielli e cosmetica. In Italia avete in programma novità o servizi aggiuntivi? Noi abbiamo moda, accessori di tutti i tipi, cosmetica e beauty. L’Italia per noi è un Paese fondamentale, uno dei più grandi mercati della moda nonché uno dei Paesi che sta crescendo maggiormente ed è uno di quelli nel quale abbiamo investito di più. L’anno scorso abbiamo aperto un grossissimo centro logistico a Nogarole Rocca, nei pressi di Verona, e abbiamo lanciato Connected Retail poco tempo fa. In primavera, poi, abbiamo lanciato Second Hand e, a questo proposito, voglio sottolineare che nella moda di seconda mano noi vediamo la dinamicità di mercato esplodere, ci sono stime che dicono che tra 5-10 anni questo segmento sarà più grande del mercato di ‘prima mano’. Riscontriamo questo interesse direttamente sulla nostra piattaforma, dove l’assortimento di seconda mano è passato da 20mila a 200mila prodotti. Ci teniamo inoltre a rendere il processo di vendita semplice per i clienti, garantendo gli stessi benefici e le stesse facilità di uso che applichiamo al mercato di ‘prima mano’. Si tratta di una terza categoria di interlocutore, oltre al brand e al negozio, anche il consumatore può vendere a Zalando. Infine, l’ultimo servizio che abbiamo lanciato più di recente è Zalando Plus, un servizio che diamo in cambio di una quota annuale che dà la possibilità di avere prodotti spediti più in fretta con la possibilità di riceverli anche la sera dopo, che conferisce l’accesso ad un customer service più veloce, ma soprattutto che garantisce l’accesso alle capsule collection ed edizioni limitate prima del resto dei consumatori della piattaforma, andando a creare così un rapporto più intimo col cliente. Dal vostro punto di vista, quali sono i trend che prevedete per il prossimo futuro, su cui si giocherà l’attenzione dei clienti dell’e-commerce? Crediamo che il futuro del mondo fashion è connesso e vediamo tre trend principali. L’innovazione e la digitalizzazione sono fondamentali, così come dare la possibilità ai negozi di vendere attraverso la nostra piattaforma. La sostenibilità è assolutamente una priorità nel mondo della moda, come dimostrano tantissime ricerche di mercato. Nel 2020 siamo passati dal 20% dei nostri active customers orientati verso prodotti più sostenibili al 50%, ne è la dimostrazione anche il fatto che i filtri per la ricerca green siano sempre più usati. Crediamo in un futuro in cui bisogna bilanciare gli aspetti economico-aziendali e gli aspetti di impatto sul pianeta; abbiamo lanciato la nostra strategia di sostenibilità nel 2019 e operiamo carbon neutral dallo stesso anno. Infine, il tema della diversity & inclusion è anch’esso fondamentale, anche da noi in Zalando. Siamo tutti diversi, ed è importante rappresentare ciò sia all’interno della nostra azienda e sia per quanto riguarda la scelta di prodotti che offriamo al consumatore. DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A DONATELLA DOPPIO

“Cambiano i CONSUMI. Ma McArthurGlen tornerà ai livelli del 2019”

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o scontrino medio è aumentato e questo consentirà di mitigare gli effetti del calo dei turisti di lungo raggio. Lo ha spiegato Donatella Doppio, Regional Director McArthurGlen Group, al 26° Pambianco-PwC Fashion Summit. In Italia continuano gli investimenti per allargare i servizi nei centri outlet.

La pandemia ha impattato sulle abitudini di acquisto anche negli shopping center. Come sono cambiati i centri McArthurGlen a seguito della situazione legata al Coronavirus? Durante il periodo di pandemia, la nostra attenzione è andata alla sicurezza dei nostri centri, dei nostri brand partner e dipendenti e resta tuttora una priorità. Sicuramente, ci sono tre aspetti che segnalano un cambiamento post pandemico. C’è un maggior ‘Need for experience’: quindi i visitatori cercano dei luoghi fisici in cui essere coccolati. Il secondo aspetto riguarda il valore stesso del prodotto, che oggi è rivalutato al di là del prezzo. Ultima direttrice individuata è il cosiddetto ‘Local hero’. Significa che i nostri clienti li sentiamo un po’ più consapevoli e attenti a tutte quelle che sono le comunità locali. Oggi quanti centri contate in Italia? Al momento abbiamo cinque centri. In Europa e Vancouver abbiamo 26 centri. Abbiamo di recente inaugurato il primo centro in Spagna, a Malaga. Qual è la vostra visione sul mercato italiano? Proseguirete con nuovi investimenti? A livello generale e di gruppo gli investimenti sono continui. Non credo sia il momento

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di aprire nuovi centri in Italia, ma è importante rafforzare la presenza sul territorio. Lo scorso 19 ottobre abbiamo dato il via a una ulteriore fase alla Reggia, il centro vicino Napoli, con altri 25 punti vendita, mentre a giugno abbiamo completato l’investimento da 40 milioni a Serravalle con nuove guestroom e nuove unità di vendita. Ma, soprattutto, abbiamo costruito uno spazio da 6mila metri quadri al cui interno è presente il primo parco acquatico situato in un centro commerciale. È stata una innovazione. Nel fashion e non solo, ormai, si parla sempre di e-commerce. Come si declinano le vendite online in un outlet come McArthurGlen? Sicuramente l’e-commerce sta crescendo in tutti i settori, ma è comunque un valore intorno all’8%, perciò siamo convinti che lo shopping fisico resti preponderante. Nel nostro caso, quel che abbiamo fatto durante la pandemia (ma che abbiamo mantenuto anche oggi) è stato il servizio di ‘Shopping from home’, una piattaforma che consente di contattare i negozi e di farsi consegnare i prodotti a casa. È ancora attivo ed è diventato, quindi un servizio aggiuntivo. È una modalità di shopping in crescita? Ovviamente i dati sono diminuiti con la riapertura dei centri, ma non è scomparso. Noi pensavamo sarebbe andata a scemare con il tempo, ma continuiamo a tenere la piattaforma perché è ancora utilizzata. Il cliente fidelizzato alla boutique o che magari abita lontano e ha quindi difficoltà nel venire, vuole proseguire lo shopping da remoto. Dal punto di vista dei flussi esteri, avete dovuto riadattare l’offerta a causa della minore presenza di stranieri in Italia? Sicuramente la pandemia ha impattato la parte turistica e gli outlet sono quelli che ne hanno risentito di più perché i nostri centri più importanti e internazionali arrivavano fino ad una quota di circa il 60% di turisti. I nostri mercati di riferimento sono sempre stati Cina, Corea, sud-est asiatico e Russia, e questi sono stati i mercati più impattati dalle restrizioni legate all’emergenza sanitaria. Ci aspettiamo il primo ritorno nel secondo quarter del 2022 e consideriamo di tornare ai regimi del 2019, nel 2023-2024. Ad oggi, però, altri mercati sono tornati a registrare recuperi importanti: abbiamo già recuperato un 50% degli Stati Uniti, un 30-40% del medioriente, un 20% dei russi. I brand sono stati costretti a riadattare l’offerta anche in termini di prezzi? Ovviamente, durante la pandemia la parte di sportswear e casual l’ha fatta da padrone e, anche oggi, quel che vediamo sono nuove attitudini di acquisto. Ogni brand sceglie il proprio mix di prodotti e quel che facciamo è cercare di dare una linea comune. La parte turistica ha ovviamente avuto un certo peso perché erano più legati ai prodotti luxury. Abbiamo però notato che anche il nostro bacino di utenza si sta avvicinando a questa fascia di mercato. Ed è stato confermato anche da un incremento dello scontrino medio. Vi aspettate di tornare già nel 2022 ai risultati del 2019? Per il 2022 ci attestiamo su un ritorno del 50% dei turisti. Sul fronte dei risultati, già quest’anno contiamo di essere vicini ai risultati del 2019 e contiamo di mantenerci anche nel 2023 sugli stessi livelli del 2019, mitigando l’effetto del long haul con turisti europei e incrementando lo scontrino medio.

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26° Pambianco-PwC Pambianco-PwC Fashion FashionSummit Summit INTERVISTA A LUCA COLOMBO

Tra reale e VIRTUALE, “il paradigma del futuro diventa META”

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uca Colombo, country manager di Facebook Italia, ha raccontato al 26° Pambianco-PwC Fashion Summit la rivoluzione di Meta. Zuckerberg ha investito tutto nel metaverso, un mondo che integra reale e virtuale e sta cambiando irreversibilmente l’approccio che le aziende hanno verso la comunicazione digitale. Per la trasformazione completa ci vorranno ancora dai cinque ai dieci anni, ma nuove dinamiche si stanno già facendo strada.

Come si sta evolvendo questo mondo digitale, anche nel rapporto con i brand? Molte delle persone che non sono dentro il mondo della comunicazione digitale non percepiscono quello che è un grosso terremoto, in corso da qualche mese a questa parte, e che proseguirà anche nel prossimo anno e mezzo. Faccio un passo indietro: negli ultimi dieci anni, il mondo della pubblicità sul digitale è cambiato tantissimo, spostandosi da quella che era la ‘banneristica’ e la presenza di un messaggio all’interno di un’audience affine al targer di riferimento a un modello basato sui dati. La capacità di profilare le persone e raggiungerle in maniera capillare e precisa è quello che proprio attraverso i dati si è riusciti a fare con Facebook e altri player del settore. Il dato è stato l’elemento discriminante per rendere le campagne di comunicazione più efficaci: oggi la misurazione e la possibilità di profilare le persone ti permette di essere preciso e molto efficiente nel comunicare. Negli ultimi mesi, un grosso player cui fanno capo molti dei nostri smartphone, Apple, ha cambiato in maniera un po’ troppo unilaterale molte regole del proprio sistema operativo: i dati sono condivisibili con terze parti solo se le persone danno

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un’autorizzazione esplicita. Quel che magari sembra una sciocchezza nella prospettiva dell’utente, ha un impatto enorme sulle aziende che fanno comunicazione, non solo Facebook, ma tutta la filiera, dalla pubblicità alle agenzie che fanno da intermediari fino ai clienti finali. Questo rende il modello degli ultimi dieci anni molto meno efficiente e richiede oggi moltissima attenzione. Ci aspettiamo che nei prossimi mesi la discontinuità si assesti perché le aziende faranno in modo di mantenere l’efficacia anche con meno dati, ma sarà un percorso non banale. Anche nel mondo Google e il suo Chrome la scomparsa dei ‘cookie di terze parti’, cioè dei file associati alla tecnologia di browsing, renderà complicato il mondo della comunicazione. Questa sarà una transizione più graduale, ma in generale quelli a venire saranno mesi di assestamento per le aziende. Le aziende quindi troveranno più complessità nel lavorare sul digitale. Invece, dal punto di vista dei consumatori, ha visto dei cambiamenti post-pandemia? Noi l’anno scorso in Italia, nel periodo di inizio della pandemia, abbiamo visto delle accelerazioni incredibili di consumo, di accessi a strumenti come le nostre piattaforme e in particolare della messaggistica come Whatsapp. È chiaro che ora non siamo più a quei livelli di accesso, ma non siamo tornati nemmeno al pre-febbraio 2020. Se devo dire dove oggi c’è la gran parte del tempo speso, è abbastanza trasversale tra i social network (Instagram e Facebook), però la messaggistica continua a essere e sarà sempre di più, grazie ai servizi che saranno associati alla semplice conversazione testuale, il principale attrattore di tempo e interesse per le persone. Lo si vede già in aree come la Cina, dove Wechat è il principale canale d’accesso: l’implementazione di maggiori funzionalità e servizi sopra la messaggistica base aiuterà a crescere sempre di più. Significa che anche Whatsapp potrebbe diventare un sistema più organico come Wechat? Già oggi, anche se non ancora in Italia, una serie di elementi sono stati lanciati, per esempio legati ai pagamenti o all’e-commerce, un passaggio che diventa naturale all’interno di quel contenitore. C’è un’idea di quando arriveranno anche in Italia queste novità? No, anche perché non dipende unicamente da noi, ci sono anche terze parti coinvolte. Zuckerberg ci dice che Meta sarà il futuro, ma per noi utenti cosa significherà? Durante l’evento di annuncio è stato raccontato come la visione del futuro, ricerca e sviluppo e investimenti vadano nella direzione di un mondo che sarà sempre più fisico e virtuale. Questa visione è partita nel 2015, quando abbiamo acquisito Oculus per 2 miliardi di dollari (il brand che permette di accedere alla realtà aumentata tramite gli appositi visori) tracciando la strada per la prossima ‘generazione computazionale’ dal punto di vista informatico. Oggi ci sono più elementi: l’avvicinamento a questo mondo avviene con strumenti come gli occhiali che abbiamo realizzato con Luxottica, attraverso videoconversazioni con gli avatar. Ma, attenzione, la fisicità vincerà sempre. Non stiamo dicendo che promuoveremo un mondo virtuale, ma ci sono dei momenti in cui la fisicità non può essere vissuta. In quel caso, le nuove tecnologie che stiamo sviluppando andranno a sopperire a quella carenza facendo vivere il mondo più realistico possibile senza la fisicità. Questa è la nostra prospettiva, ma da qua a viverla ci vorranno dai cinque ai dieci anni, se non di più perché c’è un aspetto tecnologico-hardware da sviluppare. Meta, quindi il metaverso, è la direzione verso cui siamo orientati; i prodotti che ci sono oggi (Facebook, Instagram e Whatsapp) mantengono i propri nomi perché hanno una propria riconoscibilità ma tutto ciò che vedrà la luce in futuro andrà sotto la nuova dicitura. DICEMBRE 2021 PAMBIANCO MAGAZINE

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26° Pambianco-PwC Fashion Summit INTERVISTA A LORENZO OSTI

CP COMPANY oltre i 100 milioni nel 2022. Il focus è sulle evoluzioni culturali: “Oggi ai brand serve una PERSONALITÀ”

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p Company punta a superare i 100 milioni di euro di fatturato nel 2022. A fissare questo obiettivo, dal palco del 26° Pambianco-PwC Fashion Summit, è Lorenzo Osti, presidente e general manager del brand, nel quale ha investito nel 2015. Oggi la maggioranza di Cp Company fa capo alla investment company asiatica Tristate Holding, quotata a Hong Kong. Il brand urban-sportswear è stato fondato da Massimo Osti nel 1971.

Lei è il figlio del fondatore dell’azienda. Come ha portato Cp Company in una nuova fase di successo? Sebbene io sia nato in questo ambiente per il lavoro di mio padre, nella vita ho fatto tutt’altro, occupandomi di web, di comunicazione e di branding. Mio padre ha fondato l’azienda nel 1971, per poi venderla nel 1984 e uscirne nel 1993. Nel 2015, il marchio era di nuovo in vendita: io stavo lavorando con un imprenditore cinese, gli ho proposto di acquistarlo e lui ne è stato entusiasta (il riferimento è a Tristate Holdings Limited, ndr). Questo imprenditore è un appassionato del lavoro di mio padre, per il quale io ho creato un archivio che potesse essere tramandato alle nuove generazioni. Nel 2015 è quindi iniziata una nuova avventura e devo dire che gli ultimi sei anni sono stati una cavalcata. Quando sono arrivato in azienda ho approcciato il lavoro con gli strumenti che avevo, quelli del marketing e della comunicazione. La capogruppo di Cp Company è a Hong Kong, la filiale che gestisce il marchio è in Svizzera e poi ci sono due centri di ricerca e sviluppo prodotto, in Italia e in Cina, ad Hangzhou. Appena arrivato ho cercato di capire come mai questo marchio, con la sua storia e la bravura dimostrata nel fare un prodotto di qualità, avesse vissuto diversi alti e bassi. Ho capito che il successo era legato alla capacità del brand di capire e interpretare le tensioni della società. Lo aveva fatto negli anni Settanta, quando i giovani si sono ribellati al mondo dei loro genitori e alla rigidità di ruoli molto determinati, evidente anche nel vestire. Mio padre ha messo nel suo lavoro anche un po’ di queste tensioni. Nei primi anni Duemila, il designer Moreno Ferrari aveva proposto, come Cp Company, dieci capi estremamente diversi da quello che era stato fatto prima, dieci capi in nylon, tutti neri. Ho chiesto a Ferrari perché avesse optato per una proposta così diversa e lui mi ha spiegato che era stato in realtà un ritorno alle origini di Cp Company, ovvero la sua capacità di tradurre le tensioni della società in abbigliamento. Qualcosa sta succedendo anche adesso, perché registriamo una crescita molto forte. Quest’anno toccherete quota 80 milioni di euro di fatturato... Non posso rilasciare cifre ufficiali. La capogruppo è quotata a Hong Kong. Abbiamo rilevato l’azienda nel 2015 e allora fatturava circa 8 milioni di euro. Il prossimo anno vorremmo portarci oltre i 100 milioni. Quali sono le competenze che guidano questa crescita? Oltre alle classiche competenze legate allo sviluppo del prodotto, alla comunicazione e alla gestione aziendale, oggi servono competenze nuove come la capacità di capire come la società stia cambiando. E la società cambia molto in fretta. Le nuove generazioni seguono paradigmi molto diversi rispetto alle generazioni precedenti. Stiamo lavorando per costruire un osservatorio permanente che sia in grado di studiare non solo il mercato, ma anche la cultura. Gli insight culturali sono ciò che ti permette di capire cosa è rilevante per il tuo target e quindi come dialogare. Ascoltare è la premessa per ogni dialogo.

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Quindi osserverete la cultura per poi declinare i ‘valori’ nel prodotto? Se riesci a riportare quello che le persone sentono in ciò che fai, comincia una sorta di connessione tra pubblico e brand, ed è la chiave del branding contemporaneo. I marchi oggi si stanno antropomorfizzando, incarnano delle personalità, con delle caratteristiche, dei valori, con un’etica. Le persone si affidano ai brand non solo per i loro prodotti, ma per avere una sorta di visione e di guida. Ci vuole fiducia, ci vuole credibilità. Il tema della sostenibilità è fondamentale. Se però non hai l’onestà di impegnarti seriamente, non sei un interlocutore adeguato per queste persone. Il vostro socio cinese è solo un socio finanziario o c’è un supporto decisionale? Quando le cose vanno bene ci lascia carta bianca [ride]. Sono molto contento di avere questo partner perché è una realtà di grande interesse. È un partner industriale che ha una filiera; è un grosso produttore e distributore di marchi in Cina ed è un reale appassionato di prodotto. Per un’azienda come la nostra, trovare qualcuno che sia più interessato a come è fatta una cucitura che all’ebitda è un grande regalo, perché ci permette di concentrarci su ciò che sappiamo fare. I risultati economici arrivano di conseguenza. In questa fase di crescita c’è molta domanda di prodotto. Una delle sfide è controllare la distribuzione. Quando ci siamo trovati a dire di no a ordini da decine di milioni di euro, il partner cinese non ha avuto esitazioni e, come noi, ha optato per la protezione del brand. Quindi è qualcuno che conosce il prodotto, conosce l’industria ed è appassionato come noi di quello che facciamo. L’andamento di Cp Company si è riflesso nell’andamento in Borsa della controllante? Non credo. Il gruppo è molto grande, con attività in ambiti diversi. Come vede l’evoluzione connessa a mondi come il metaverso? La tecnologia è da sempre la mia passione. L’accelerazione digitale tocca tutti gli aspetti del business in maniera pervasiva. La realtà virtuale è qualcosa che è lì da tempo. I tempi sono maturi per una proliferazione di mondi virtuali dove ci si esprime. La moda ha una funzione d’essere in questi mondi. Nel metaverso la parte funzionale della moda non esiste, ma quella espressiva è portata all’estremo. La sfida è capire come i fashion brand dovranno adattarsi per abitare questi mondi. Fortnite, azienda nata nel 2017, fattura 5 miliardi di dollari all’anno in abbellimenti digitali. L’esperimento di Balenciaga, proprio su Fortnite, ha stimolato l’attenzione dell’industria su queste potenzialità. Il made in Italy nello sportswear può esistere? Mio padre ha sempre cercato di rendere i suoi prodotti democratici, anche se le materie prime di alto livello fanno sì che le cose costino. Abbiamo sempre cercato di produrre dove c’erano competenze adatte a prodotti di qualità. Il nostro posizionamento ci permette un made in Italy solo parziale.

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WHAT’S NEW? It’s cold outside

di Marco Caruccio

Gli effetti del global warming iniziano a farsi sentire. Per fronteggiare con stile il freddo più ostile questo Natale occorre avvalersi di un valido capospalla, dal classico formal coat ai modelli più sportivi, c’è l’imbarazzo della scelta. Per brillare di luce propria affidarsi ai numerosi abiti pensati per festeggiare il nuovo anno, da alternare ai morbidi maglioni di cashmere pensati per le serate accanto al camino. Splendidi gioielli e segnatempo preziosi da sfoggiare per sedurre, perfetti anche da scartare sotto l’albero. Il guardaroba maschile celebra la tradizione con avvolgenti indumenti tricot mentre per i bambini Santa Claus ha pensato ad abiti glitterati, pull dai motivi norvegesi e piumini imbottiti.


Special gifts EMILIO PUCCI

PENCE 1979

PASQUALE BRUNI

ALESSANDRO DELL’ACQUA PER ELENA MIRÒ

OBLIQUE CREATIONS

YAMAMAY

LANCEL

RED PASSION Tra un brindisi e l’altro, il colore della seduzione si sposa perfettamente con lo spirito delle festività.

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GUCCI PRIMADONNA COLLECTION

MOORER

MARZI FIRENZE

Moorer fonde l’eccellenza manifatturiera con le tendenze urban grazie al trench coat dalla linea moderna unito a un caldo gilet in piuma staccabile che permette di soddisfare un triplice utilizzo.

Un pezzo in storia in testa. La Fabbrica Marzi nasce nei primi anni del 1900 e ancora oggi la passione per la produzione di cappelli made in Italy viene tramandata di generazione in generazione.

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tendenze

JIMMY CHOO

DAMIANI TAGLIATORE

ROLEX

MANGO AMATO DANIELE

VERSACE

ERMANNO SCERVINO

MALIPARMI

GUM DESIGN

ELEONORA CARISI X PINKO

Glamour eco-friendly. La pochette Gum Design è in pvc 100% riciclabile, come certificato dal marchio Csi plastica riciclabile. Il body della borsa può essere rilavorato e riutilizzato.

I capi del progetto #FearlessBeauty di Pinko realizzati in collaborazione con la digital content creator Eleonora Carisi mixano sensualità e joie de vivre. Perfetti per essere immortalati sui social.

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tendenze

COLLEZIONE EYEWEAR VALENTINO

BEATRICE .B

BOTTEGA VENETA

MISSONI

ALVIERO MARTINI 1a CLASSE

MIU MIU

REVOLVER REQUEEN

WHITE CHRISTMAS Il candido cappotto vestaglia da sfoggiare con gioielli luccicanti e un tocco di verde, inaspettato color of season.

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FABIANA FILIPPI

RENÉ CAOVILLA

LORENA ANTONIAZZI

STEPHEN VENEZIA

Pochi marchi riescono a concentrare la propria identità in tratti stilistici così netti. La luminosità e le forme delle proposte per l’inverno 2021 rappresentano al meglio il dna di Lorenza Antoniazzi.

Fondato da Francesco Bertollo, il marchio di calzature guidato oggi dalla direzione creativa di Stefano Bertollo traduce con occhio gemoetrico e ironico il know-how della trazionale calzaturiera.

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tendenze

POLICE

ROSSOPREZIOSO

CHIARA BONI LA PETITE ROBE

PISA DIAMANTI

VIVIENNE WESTWOOD

PAUL SMITH

SALVATORE FERRAGAMO

COCCINELLE

PIAZZA SEMPIONE

MTOF

VERGUENZA

Il brand emergente nato nel 2017 produce solo utilizzando rimanenze di magazzino selezionando fili di altissima qualità, nasce così il progetto upcycling ‘What a messy surprise!’.

Sofia Marsili è l’artefice della luxury label seasonless di abbigliamento femminile interamente made in Tuscany che ha come diktat la qualità dei materiali e la ricerca del prodotto.

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tendenze

BIKKEMBERGS GALLO

ALPHA STUDIO

DRUMOHR PINEIDER

BLAUER

RED

LET IT SNOW Ammirare i paesaggi imbiancati con la complicità di indumenti caldi e water resistant, con un tocco di brio.

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TONINO LAMBORGHINI

IMPULSO

LUCA CANTARELLI

LA MARTINA

‘Second round’ è la prima collezione di gioielli genderless di Luca Cantarelli. Dodici pezzi ispirati allo sport tra cui orecchini, pendenti, bracciali e anelli handmade in Italy in argento 925, smalti colorati e pietre preziose.

Less is more. Un capo che non passa mai di moda e proprio per questo adatto a ogni occasione. La camicia bianca si abbina allo smoking ma è anche il passepartout ideale per cardigan e pull.

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tendenze

LARDINI MONTBLANC

PATEK PHILIPPE

EBERHARD & CO ARMATA DI MARE

HERMÈS

MARNI

IN THE BOX

GO CARPISA

LOCMAN

ERMENEGILDO ZEGNA

Locman rivisita un caposaldo del suo heritage. In Montecristo Skeleton la bellezza del movimento scheletrato appare nella sua interezza attraverso il vetro zaffiro del quadrante e del fondello.

Morbidezza e tepore assicurati grazie al girocollo in 100% premium cashmere con lavorazione a maglia rasata e incorniciato dai profili a costine. Un evergreen della maison maschile italiana.

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tendenze

OVS IDO

PRÈNATAL

N°21 KIDS

MONNALISA

ZARA KIDS

MC2 SAINT BARTH

WAITING FOR SANTA CLAUS La spasmodica attesa sta per finire. Lo spacchettamento dei regali si avvicina ed occorre avere il look giusto.

MOSCHINO BABY KID TEEN

SIMONETTA X CHANTECLER

La fiaba del Natale prende vita attraverso una capsule dedicata che riecheggia le atmosfere tipiche del Christmas Carol interpretate nel gusto Simonetta ed arricchite dall’allure di Chantecler.

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NATURINO

PHILOSOPHY DI LORENZO SERAFINI KIDS

L’innato spirito neo-romantico del brand si traduce perfettamente anche attraverso la collezione childrenswear che riprende il dna creativo della linea donna, per un effetto mini-me assicurato.


tendenze

DSQUARED2 ORIGINAL MARINES

PRIMARK

CHICCO H&M KIABI

CALZEDONIA

IL GUFO

UNITED COLORS OF BENETTON

MONCLER ENFANT

PETIT BATEAU X TAJINEBANANE

Prima di partire per la tradizionale settimana bianca assicurarsi di avere con sé l’indispensabile per affrontare le primissime escursioni in alta quota. Non è mai troppo presto per festeggiare con stile.

Non solo bebè, la nuova capsule di Petit Bateau con il marchio specializzato in abiti per l’allattamento ecologici è stata pensata per tutta la famiglia: t-shirt, pigiami, body e traversine in cotone biologico.

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Le aziende si raccontano

in collaborazione con:

JOOR

RADICI GROUP

EASTLAB

PWC

EDITSTUDIO

VENISTAR

LOUISIANE SALESFORCE


PwC

Le fibre riciclate saranno mainstream passa da loro il futuro della moda Secondo PwC il mercato delle fibre arriverà a 146 milioni di euro entro il 2030. Al momento le uniche fibre sostenibili ampiamente utilizzate sono il poliestere riciclato e cotone sostenibile. Molte aziende si stanno attrezzando, come dimostra il caso di RadiciGroup. Il futuro del tessile e della moda sarà legato a doppio filo alla domanda di fibre riciclate. Grazie all’evoluzione del sistema di raccolta dei rifiuti tessili, alle tecnologie di riciclo meccanico e chimico in rapido avanzamento e ai brand dell’abbigliamento, sempre più interessati all’utilizzo di materiali riciclati nelle proprio collezioni, l’utilizzo di queste fibre è destinato a diventare mainstream. Ad affermarlo è uno studio di Pwc ‘Re-fiber: il futuro delle fibre tessili è sostenibile’. Secondo la ricerca, il mercato globale delle fibre, oggi pari a 110 milioni di tonnellate l’anno, cresce a una 64

media annua del 2,8% ed entro il 2030 raggiungerà quota 146 milioni e le uniche fibre sostenibili a raggiungere una dimensione percentuale rilevante sono il poliestere riciclato e il cotone sostenibile. Nel caso del cotone, si stima che entro il 2025 il 50% del cotone proverrà da fonti sostenibili, come da obiettivo definito nel 2017 nell’ambito della 2025 Sustainable Cotton Challenge. Nonostante, le proiezioni siano positive, il punto di partenza è ancora limitato. Nel caso del poliestere riciclato, per esempio, nel 2019 la quota della proposta riciclata rispetto alla produzione

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di poliestere complessiva è pari ‘solo’ al 14 per cento. “Per fibre sostenibili facciamo riferimento sia all’utilizzo di materiali riciclati sia all’impiego di processi di produzione a basso impatto ambientale”, spiega Omar Cadamuro di PwC. “Nel primo caso, che fa riferimento al mercato dei materiali riciclati il problema è legato alle performance e alle tecnologie disponibili. Le fibre riciclate che hanno le caratteristiche idonee per essere re-inserite nella catena del valore della moda scarseggiano a causa di processi di separazione e raccolta poco evoluti e allo stesso tempo le tecnologie di riciclo esistenti non sono adeguatamente avanzate per consentire il recupero di qualunque tipo di scarto presente sul mercato. Nel secondo caso invece, i processi di produzione a basso impatto non sono diffusi poiché difficili da implementare con costi maggiori. Questa condizione di scarsità di materia prima a fronte di una domanda sempre crescente da parte dei players delle moda provoca un innalzamento dei prezzi di mercato”. Inoltre, nonostante la domanda di prodotti riciclati sia in aumento, il grosso problema è dato dalle infrastrutture per le produzioni che “non sono ancora totalmente disponibili su vasta scala e necessitano di finanziamenti significativi prima che si possa rispondere pienamente alla domanda del mercato di massa”. Una tra le aziende del settore moda più attente e attive sotto questo profilo è RadiciGroup, multinazionale il cui core business è legato alla poliammide e la cui filiera è verticalmente integrata. “RadiciGroup - spiega il presidente del gruppo, Angelo Radici - produce poliestere da riciclo da moltissimi anni con la capacità di soddisfare anche richieste di piccoli lotti. Di recente ci siamo inoltre dotati di una nuova linea che produce i cips partendo dalle scaglie di PET. Questo ci consente di ottimizzare ulteriormente il processo produttivo, grazie a un maggior controllo della catena e offrire filati di altissima qualità, che ci differenziano da quelli di provenienza asiatica”. La richiesta di prodotti sostenibili è un tema forte per il gruppo. “Le potenzialità ci sono, data la sempre maggiore attenzione ai temi di sostenibilità. C’è però bisogno di lavorare in squadra a tutti i livelli della filiera per trovare un giusto equilibrio tra performance tecniche e ambientali. E i produttori di materie prime, con una profonda conoscenza della chimica dei materiali, giocano un ruolo fondamentale. Anche

in tema riciclabilità a fine vita”. Proprio sul fronte del riciclo, per l’azienda da un miliardi di ricavi nel 2020, “la parola chiave è eco-design: progettare cioè qualsiasi capo di abbigliamento in ottica della sua riciclabilità a fine vita”. “Se pensiamo ad esempio a una giacca invernale in nylon - aggiunge Angelo Radici - bisogna tenere conto dei vari elementi di cui è composta: tutte le sue parti, dal tessuto agli accessori come ad esempio imbottitura, zip, velcri, bottoni dovrebbero essere mono-materiale o composte da pochi materiali tra loro chimicamente affini per poter riciclare “agevolmente” il prodotto a fine vita. Nel caso del nylon, il riciclo meccanico è la via più sostenibile da percorrere per recuperare un capo realizzato con questa fibra sintetica”. “Per noi il futuro sostenibile non è di chi lo immagina, è di chi lo fa”, sottolinea Radici. E per il futuro il gruppo continua a portare avanti il modello di business improntato sulla circolarità. “Già oggi tutti i nostri materiali sono riciclabili, essendo materiali termoplastici. Stiamo lavorando sull’ampliamento dell’offerta di prodotti provenienti dal recupero, in nylon e in poliestere, così come di origine bio”.

Collant Oroblù realizzati con i filati da riciclo prodotti da RadiciGroup

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Salesforce

Sarà un altro Natale da record per lo shopping online. Ma salgono i prezzi Dopo un terzo trimestre in crescita sul 2020 e all’insegna dei consumi digitali, Salesforce prevede una ‘holiday season’ che supererà il trilione di vendite a livello globale. All’orizzonte, però, c’è la pressione sulla supply chain e il cambiamento nelle abitudini d’acquisto. Non perde slancio l’accelerazione degli acquisti online nel 2021. Nel terzo trimestre dell’anno il commercio digitale globale è cresciuto dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2020 e l’Italia, in particolare, conferma la sua propensione allo shopping online, superando il dato globale con un incremento complessivo pari al 15%. È quanto emerge dai dati relativi al terzo quarter 2021 dello Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce che racconta i trend dello shopping online attraverso i dati di oltre un miliardo di consumatori in tutto il mondo. “Oggi il consumatore è più evoluto e ben 66

si adatta alle mutevoli condizioni del mercato”, commenta Maurizio Capobianco, area vp cloud sales di Salesforce. “L’e-commerce continuerà a crescere nonostante il previsto aumento dei prezzi ma le modalità e le tempistiche cambieranno. Le aziende devono continuare nel loro percorso di trasformazione digitale in quanto questo è garanzia di flessibilità e velocità. Solo in questo modo riusciranno ad adattare i loro processi per intercettare e interpretare i comportamenti di un consumatore che ormai spazia senza problemi tra il fisico e il digitale”. Le abitudini di acquisto digitale che si

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sono formate durante la pandemia ormai sono diventate una vera e propria costante e secondo le previsioni sui comportamenti di acquisto dei consumatori per la stagione dello shopping natalizio 2021, le vendite digitali supereranno ancora una volta il trilione di dollari a livello globale. Ma all’orizzonte si profila la forte pressione sulla supply chain, tra costi crescenti e scorte di magazzino in diminuzione (del 5% rispetto al 2020), a cui dovranno far fronte consumatori, rivenditori e fornitori. In attesa della ‘holiday season’, Salesforce ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla Cyber Week, che analizza i dati sugli acquisti di oltre un miliardo di consumatori sulla piattaforma Salesforce Customer 360 utilizzata per attività di marketing, e-commerce e post-vendita. Nel complesso, le vendite globali online del 2021 hanno raggiunto il massimo storico di 275 miliardi di dollari, in aumento del 2% rispetto al 2020. Percentuale di crescita anno su anno messa a segno anche dal solo Black Friday. I dati, inoltre, mostrano che il trend degli acquisti digitali, rafforzatosi durante la pandemia, è ancora ben presente e continua a crescere nonostante i prezzi più elevati, gli sconti meno rilevanti e la diminuzione delle scorte di prodotto. La stessa Cyber Week (23-29 novembre) ha assistito a una crescita moderata, con i consumatori che hanno scelto di acquistare in anticipo rispetto al tradizionale picco di fine mese. Quest’anno, dunque, lo shopping

natalizio sembra iniziato molto prima con i consumatori che, alla ricerca di opportunità, hanno speso 297 miliardi di dollari a livello globale (+5% rispetto all’anno precedente) nelle prime tre settimane di novembre. In uno scenario di crisi e assestamento globale come quello attuale, l’inflazione ha spinto verso nuove modalità di pagamento: con prezzi più alti e meno sconti, i consumatori hanno abbracciato le offerte buy now-pay later (Bnpl). A livello globale, l’utilizzo del Bnpl durante la Cyber Week è cresciuto del 29% rispetto all’anno precedente (8% di tutti gli ordini) con oltre 22 miliardi di dollari di ordini finanziati. Durante il Black Friday, il 7% degli ordini globali sono stati pagati con questa modalità di acquisto. Emerge inoltre la preferenza dei consumatori per i negozi che offrono la possibilità di acquistare online e ritirare in store. “Mentre le vendite online si sono stabilizzate durante la Cyber Week rispetto all’impennata festiva che abbiamo sperimentato durante la pandemia, i consumatori digitali hanno guidato vendite significative per le prime settimane di novembre e hanno mantenuto i livelli della Cyber Week stabiliti nel 2020”, ha dichiarato Gianluca De Cristofaro, regional vice president per Commerce Cloud. “I consumatori hanno fatto acquisti in anticipo e in modo più frequente per aggirare il boom nella domanda che di solito siamo abiutati a vedere concentrata in una settimana”.

La crescita dei prezzi medi di vendita dei prodotti venduti quest’anno e lo scorso anno

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Venistar

PHILIPP PLEIN amplia la rete retail guardando all’omnicanalità La maison continua a crescere e prosegue nel suo percorso di espansione internazionale. Dall’Europa alla Russia, dalla Cina agli Emirati Arabi, PLEIN continua a inanellare nuovi opening con focus sull’online e sul retail monomarca. Con le sue sfilate provocatorie e spettacolari, PHILIPP PLEIN è uno dei protagonisti indiscussi della moda internazionale. Nel giro di pochi anni, il brand ha acceso la propria insegna nei principali mercati della moda e del lusso mondiali, per un totale di quasi 80 boutique, di cui oltre 20 aperti nel 2021, in netta controtendenza rispetto ad altri fashion retailer. “La mission del nostro marchio consiste nel trascendere confini e culture, cogliere nuove opportunità, creare, costruire e stabilire nuovi standard”, ha commentato Mr. Plein, CEO del brand. Da sempre attento ai piani di sviluppo del proprio network distributivo, PHILIPP PLEIN ha deciso di intraprendere un percorso orientato all’omnichannel, così da garantire un’effettiva integrazione tra canali online e offline, in una stretta collaborazione tra e-commerce, e-tailers e stores, ottimizzando al contempo la gestione dei processi e delle operazioni dei nego-

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zi presenti in oltre 64 Paesi. Il progetto, che porta la firma tecnologica di Venistar, digital fashion company del gruppo Retex, ha visto l’implementazione di Retail Pro Prism, soluzione PoS e di retail management a supporto dell’operatività in store, della gestione di vendite, ordini, inventari, giacenze di magazzino e promozioni. Prism dialoga con CX – Commerce eXperience, piattaforma che orchestra i sistemi legacy in uso (tra cui Farfetch) per la condivisione dei dati relativi allo stock distribuito e che abilita l’attivazione di nuovi servizi omnicanale a valore aggiunto. La crescita del brand proseguirà anche nel 2022, con nuovi opening per presidiare principalmente Cina, Stati Uniti e Europa. “Siamo orgogliosi della partnership con PHILIPP PLEIN”, dichiara Roberto Da Re, CEO di Venistar. Le nostre soluzioni creano un ponte tra fisico e digitale e tra il brand e la customer experience del cliente”.

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Eastlab

Proposte Eastlab

Eastlab, lo specialista di calzature e accessori è l’alleato per crescere su scala internazionale L’azienda guidata ds Andrea Zini punta ad ampliare il portfolio licenze forte dell’alta qualità e puntualità delle sue collezioni. A fare da traino è anche l’esperienza sui mercati esteri. Un’azienda nata nel 2015 e che in pochi anni ha saputo imporsi sul panorama internazionale per la produzione e commercializzazione di borse, calzature, accessori e valigeria. È Eastlab, realtà marchigiana oggi gestita, a livello creativo e strategico, dal socio unico Andrea Zini a Firenze. Il gruppo è licenziatario dei brand U.S. POLO ASSN. 1890, Gattinoni e Gattinoni Roma e pronto ad ampliare il suo portafoglio. A guidarne la crescita sono la cultura del prodotto e dei materiali, l’estrema precisone nel lavoro e nella gestione dei processi, nonché, ovviamente la passione per la creatività. Nei mesi più duramente penalizzati dalla pandemia, Eastlab ha saputo adattarsi in maniera efficiente alle nuove regole commerciali, con risposte veloci al mercato, rapidità nelle consegne, agilità nella gestione dei campionari. L’azienda ha adottato un approccio staccato dalle deadline della campagna vendita, lanciando produzioni con anticipo e guidando la clientela nell’orientamento degli ordini, forte della storicità, degli studi e delle analisi di mercato che consentono di intercettare precisamente le esigenze del consumatore e dei mercati. La gestione

aziendale è il fattore chiave che ha permesso una crescita sana ed equilibrata della società. Molto attenta nella quotidianità, Eastlab guarda al futuro con lungimiranza e con propensione all’innovazione. Un management efficace e trasparente si è guadagnato la fiducia di clienti, fornitori, partner ed istituzioni finanziarie. I prodotti di Eastlab sono completamente ideati da un gruppo creativo interno che rappresenta il punto di forza della società. La squadra di professionisti e designer ad alto contenuto di creatività sviluppa quotidianamente progetti nuovi, attraverso la ricerca costante di materiali, mantenendo sempre un filo diretto con il mercato e le sue repentine evoluzioni. Le collezioni riflettono la flessibilità dell’azienda, rispondendo perfettamente alle esigenze di diversi canali di vendita, online e offline, e di diversi mercati di sbocco, in un contesto in cui la clientela è sempre più esigente. Eastlab è proiettata verso una crescita costante nel tempo seguendo una logica chiara e precisa di programmazione, sfruttando il suo know-how commerciale internazionale che le permette di distribuire prodotti in oltre 100 Paesi nel mondo.

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JOOR

Il futuro del b2b: JOOR promuove l’innovazione digitale di brand e retailer JOOR supporta lo sviluppo digitale di brand e retailer. Adottando una visione olistica del processo b2b, l’azienda è in grado di costruire un ecosistema focalizzato in maniera univoca sull’avanzamento e la crescita delle attività. La pandemia globale ha evidenziato l’urgenza di accelerare la trasformazione digitale del business b2b. JOOR è la piattaforma b2b digitale leader nel settore della moda, grazie alla quale brand e retailer possono connettersi, collaborare ed effettuare ordini digitalmente da qualsiasi parte del mondo. Attualmente JOOR collabora con oltre 13.000 brand e più di 350.000 retailer in 150 Paesi, registrando mensilmente oltre 1,5 miliardi di dollari in transazioni b2b e detenendo una quota di mercato del 75% dei brand del lusso che vendono a retailer di fascia alta. Brand e retailer utilizzano l’applicazione l’iPad di JOOR quando si incontrano fisicamente in uno showroom e la piattaforma desktop quando si connettono virtualmente da qualsiasi parte del mondo. In questo modo, JOOR combina le funzionalità di showroom virtuali dinamici con strumenti collaborativi, tra cui l’inserimento avanzato degli ordini e la gestione post-ordine. Su JOOR è possibile creare il proprio showroom digitale, mostrare in modo unico le proprie collezioni e persino personalizzarle per clienti

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specifici. I brand possono condividere facilmente il proprio profilo e le proprie presentazioni dinamiche tramite link o QR code personalizzati. I brand che usano JOOR possono collaborare con qualsiasi retailer scelto, senza alcun costo per quest’ultimo. Utilizzando JOOR per ricevere gli ordini, i brand ne guadagnano in efficienza e visibilità in tempo reale dei dati durante il processo di vendita b2b. La piattaforma retail di JOOR semplifica la vita ai buyer, permettendo loro di inserire, accedere e scaricare facilmente i dati nell’applicazione iPad quando sono in showroom e lavorare in tempo reale. Il “momentum” di JOOR non è mai stato così forte. Dal 2020, il business è più che raddoppiato e la crescita continua. L’obiettivo dell’azienda di espandersi in Asia ha attirato l’attenzione di un investitore di lunga data nonché socio azionario, Itochu Corporation. Grazie alla forza dei propri investitori e ai clienti di alto calibro, tra cui LVMH, Kering, Richemont, Valentino e retailer come Harrod’s, JOOR ha consolidato la propria posizione come leader dell’industria b2b digitale.

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EditStudio

Da sinistra: lo studio di produzione all’interno della sede di EditStudio, i CoFounder, Federico Coccia e Roberto Di Tivoli

EditStudio delinea i nuovi asset della consulenza strategica e creativa L’agenzia ingloba tutti i servizi e le competenze essenziali per sviluppare un planning adeguato alle nuove sfide digitali. In arrivo la prima sede milanese nel 2022. La comunicazione cambia, EditStudio anticipa le evoluzioni del mercato. L’agenzia multidisciplinare, verticalizzata nei settori fashion, beauty e lifestyle, vanta un’esperienza collaudata in branding, strategia, e-commerce e produzione contenuti. La sede di Roma copre uno spazio polifunzionale di 600 metri quadrati in cui lavora un team di oltre 25 professionisti, per il prossimo anno è in programma l’inaugurazione di una location nel cuore di Milano. L’obiettivo dell’agenzia è fornire ai suoi clienti un servizio di consulenza strategica e creativa in outsourcing a 360 gradi con un focus sull’essenziale processo di digital transformation. L’innovativo modello di business di EditStudio consiste nel fornire alle aziende il supporto e i servizi necessari per emergere tra i competitor. Dal posizionamento strategico aziendale alla produzione di contenuti multimediali, dalla creazione di piattaforme e- commerce alla fornitura di servizi di marketing, social media management e advertising. Il metodo di successo lanciato nel 2017 ha portato ad una costante crescita aziendale, con un aumento del

fatturato del 120% nel 2021 rispetto all’anno precedente. “La difficoltà che spesso trovano le aziende del settore fashion, nello sviluppo del segmento digital, è il dover affidare il loro brand a più realtà esterne – spiega Federico Coccia, AD di EditStudio –. Questa dispersione di professionalità e competenze, si tramuta in una onerosa attività di coordinamento da parte del referente aziendale, che si ritrova spesso a dover gestire la comunicazione tra più parti, non necessariamente interconnesse, con conseguente dispersione di budget, sforzi ed energie. Senza contare la difficoltà nel mantenere lo stesso identico linguaggio di comunicazione, sia visivo che strategico, quando i brand si trovano a collaborare con più realtà contemporaneamente. Per questo le aziende si rivolgono ad EditStudio, perché trovano in noi un unico partner di riferimento che li supporta nella crescita, offrendo i servizi di cui necessitano”. Tra i marchi che hanno già collaborato con EditStudio spiccano Fendi, Netflix, Gruppo Miroglio, Subdued, Dan John, Roche Bobois, Gas Jeans, Doppelganger, Nuvolari, Empresa e Diesel.

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Louisiane

Louisiane, al via l’innovation hub. La creatività al servizio del cliente La società specializzata in pelli esotiche che fa capo al gruppo Hcp ha aperto le porte del suo nuovo spazio creativo dedicato ai consumatori. Nel cuore della Toscana, la sede si inserisce all’interno della struttura Tonilab, partner di lunga data, e offre un’esperienza d’acquisto fuori dal consueto. Louisiane si trasferisce nel cuore dell’artigianato toscano. La società milanese che fa capo al gruppo Hcp (Hermès Cuirs Précieux), attivo dal 1988 nel settore delle pelli esotiche, è specializzata in tutte le principali specie di coccodrilli e impronta il proprio business a etica, professionalità e qualità del prodotto offerto. Proprio in quest’ottica la label ha inaugurato un nuovo showroom e innovation hub da dedicare alla cura dei propri clienti. Situata a Ponte a Egola, la nuova sede è facilmente raggiungibile da Pisa e Firenze ed è aperta tutti i giorni al pubblico. L’innovation hub si inserisce all’interno della struttura di Tonilab25, partner di lunga data di Louisiane, dando accesso diretto ai clienti per gli sviluppi creativi all’interno dello stesso showroom grazie al supporto del personale tecnico. Lo spazio, inoltre, è stato completamente rinnovato per

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ospitare i clienti in un’atmosfera distensiva e progettata per far evadere dalla frenesia della quotidianità, immersa nel verde e nella luce naturale. Proprio grazie alla collaborazione con Tonilab25, Louisiane diventa una delle prima realtà sul mercato delle pelli esotiche a una offrire alla propria clientela una collaborazione creativa e un’esperienza di acquisto fuori dal consueto. L’innovation hub, infatti, è uno spazio in cui arte, design, tecnologia e know-how manifatturiero si fondono per valorizzare la creatività e le esigenze dei clienti. Le loro idee, dai modelli ai colori, possono essere sottoposte allo staff di tecnici e artigiani di Tonilab25 con l’obiettivo di lasciar andare via i clienti con sviluppi e campioni che si trasformino nelle fondamenta di un nuovo progetto creativo. Per fissare un appuntamento presso lo showroom o l’innovation hub si può contattare milan@groupehcp.com o visitare il sito web.

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RadiciGroup

RadiciGroup alza l’asticella della circolarità con la tuta da sci riciclabile La multinazionale di stanza a Bergamo ma presente in tutto il mondo ha realizzato insieme a DKB la prima tuta per lo sci che, a fine vita, può essere sminuzzata e diventare materiale per realizzare nuovi oggetti, dagli scarponi alle applicazioni in ambito automotive. Progettare capi che utilizzino materiali da recupero e che a fine vita possano essere facilmente riciclabili per realizzare nuovi materiali e nuovi prodotti. Per il fashion non è il futuro ma la realtà. Ne è la prova il progetto ideato da RadiciGroup e DKB. Le due aziende bergamasche hanno realizzato – a chilometro zero – la prima tuta da sci realizzata in materiale riciclato e riciclabile a fine vita. La tuta, al termine del suo uso, può essere ‘sminuzzata’ e diventare materia prima seconda per realizzare nuovi compound che, a loro volta, possono essere utilizzati per produrre ad esempio parti di scarponi e attacchi da sci, oppure trovare applicazioni in ambito automotive, arredamento o in qualsiasi settore che prevede l’utilizzo di poliammide ad alte prestazioni. Il materiale principale di questa tuta da sci è RENYCLE, un filato che deriva dal riciclo meccanico della poliammide, certificato Oeko Tex Standard 100 che garantisce l’assenza di sostanze chimiche pericolose ed è certificato GRS (Global Recycled

Standards). La tuta, disponibile a partire dall’inverno 2022, è stata pensata in modo che anche i suoi accessori siano in poliammide. Essendo realizzata quasi totalmente con un solo materiale è più agevolmente riciclabile. La composizione in poliammide permette, inoltre, di avere un peso (1,8 chili) inferiore del 20% rispetto alle tradizionali tute da sci, ma con alte performance di resistenza agli urti e all’usura di e garantisce inoltre traspirabilità, isolamento termico, impermeabilità e idrorepellenza. Per RadiciGroup, azienda da 1,019 miliardi di fatturato nel 2020, il progetto rappresenta la punta di diamante di un percorso sulla circolarità improntato sull’ottimizzazione dell’uso di materie prime ed energia rinnovabile, riduzione e riutilizzo degli scarti e riciclabilità sin dalle fasi di progettazione dei materiali. Non è un caso che la scelta del primo indumento interamente riciclabile sia caduta sul mondo ski. Proprio la montagna è parte del claim del gruppo, ‘Una sostenibilità all’altezza delle nostre montagne’.

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master di Alessia Perrino

Pambianco ACADEMY, un Master sul wine&food Le tematiche scelte sono in linea con le ultime tendenze in materia di gestione aziendale, nettamente caratterizzate dalla richiesta di nuovi punti di riferimento per ripensare i modelli di business.

V

ogliamo diventare il punto di riferimento nella formazione professionale dei settori fashion, design e beauty e wine&food. La necessità di orientarsi nei nuovi scenari del consumo rende necessario per i professionisti un aggiornamento costante, verticale e dal forte orientamento digital e sostenibile”, ha commentato David Pambianco, a proposito di Pambianco Academy, la piattaforma di formazione realizzata da Pambianco. Fresco di realizzazione e appena lanciato, il Master online in “Nuove strategie di comunicazione nel Wine&Food” ha l’obiettivo di fornire ai partecipanti tutti gli strumenti necessari per poter creare una strategia di comunicazione e marketing efficace nel settore del wine&food. Il Master online in “Social Media Management e New Media” ha l’obiettivo di insegnare tutte le tecniche necessarie per poter creare un percorso di strategie social nella propria azienda, o per iniziare una carriera come libero/a professionista. Il Master online “Aprire e gestire un e-commerce: come sviluppare una strategia di vendita efficace” ha l’obiettivo di far comprendere ai partecipanti come poter avviare e utilizzare in maniera efficace questo canale di vendita, sia attraverso canali proprietari che marketplace. Affronta un tema quanto mai attuale il Master online “Sostenibilità nel Fashion, Design e Beauty”, che si propone di fornire ai partecipanti gli strumenti per avviare e gestire un percorso di sostenibilità all’interno della propria azienda. Il Master più venduto continua a essere “Digital marketing and online strategy”, anch’esso online, in cui parliamo di: rivoluzione digitale, come scegliere la piattaforma e-commerce e come gestire il CRM, fondamenti di base della SEO, Content Marketing, luxury Brand Storytelling, Social Media e Community Marketing, e ancora Email Marketing, Influencer marketing, marketing automation e molto altro. La proposta si avvale di un sistema di formazione con video-lezioni in HD sempre disponibili, docenze di professionisti qualificati e numerose testimonianze di manager delle più importanti aziende di settore. Per informazioni dettagliate e costi, potete visitare il sito academy.pambianconews.com o scrivere alla nostra Sales Manager Chiara Gentilini c.gentilini@pambianco.com. 74

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Alcune immagini di packaging di Pozzoli, Baralan e Lumson, e il nuovo flacone di Chanel N°5 Eau de Parfum

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fenomeni di Chiara Dainese

Il packaging GREEN converte anche il LUSSO. E Chanel passa al vetro riciclato Il packaging diventa sempre più sostenibile e anche i brand di cosmetica di lusso vanno alla ricerca dei produttori più green per diminuire l’uso di plastica. Ma non solo. Vince anche il metodo del refill.

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l beauty diventa sempre più green, sia fuori che dentro. A livello di packaging primario e secondario la tendenza è quella della sostenibilità, in tutte le sue sfaccettature: dalla riduzione dell’impatto ambientale ed energetico all’innovazione di prodotto, spesso realizzato con materiali riciclati post consumo, fibre naturali come la canapa o materiali di scarto, dallo studio di soluzioni di packaging mono-materiale, soprattutto nelle box, alla riduzione dell’uso della plastica in favore di eco-plastiche derivanti da materie prime riciclate al 100%. Dall’ultimo report sulle tendenze dell’innovazione del packaging 2020 di Research and Markets emerge che la sostenibilità è diventata un fattore di grande importanza nelle decisioni di acquisto del consumatore, ormai consapevole che il futuro dipende anche dall’utilizzo di prodotti beauty sostenibili e rispettosi dell’ambiente. Il passaggio a vasetti e flaconi che non danneggino il pianeta non è più, dunque, solo un’opzione ma diventerà presto la regola. PACKAGING VERDI Lo sa bene la Maison Chanel che in occasione del centesimo compleanno della fragranza Chanel Nº5 si rinnova passando al vetro riciclato. L’ingresso di Chanel nell’economia circolare avviene con una collaborazione di lunga durata con il gruppo Pochet du Courval che ha sviluppato un processo industriale in grado di garantire qualità, purezza e trasparenza del vetro riciclato, risparmiando al tempo stesso 25 tonnellate di materia prima. “Il nostro obiettivo - spiega la Maison Pochet - era lo sviluppo di un vetro riciclato di altissima qualità che risponda ai requisiti di eccellenza e di creatività della Maison Chanel”. Il risultato di questa collaborazione è virtuoso sotto più punti di vista, perché promuove l’economia circolare, riduce l’utilizzo di risorse naturali e

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limita le emissioni di carbonio, pur preservando l’estetica del profumo iconico. Una prima assoluta per la casa di bellezza di lusso, il nuovo packaging è un’estensione della celebrazione del marchio dei 100 anni dal lancio della fragranza. N°5 Eau de Parfum in edizione limitata nel formato 100 ml è il primo profumo a beneficiare di questa innovazione, che sarà progressivamente estesa agli altri profumi della Maison a partire dal 2022. Chanel, tuttavia, non è l’unico marchio di fascia alta che adotta forme di packaging sostenibili per i suoi prodotti. Carolina Herrera, di proprietà del gigante dei cosmetici Puig, ha abbracciato il packaging ricaricabile per il lancio della sua linea di cosmetici colorati da 36 prodotti nel marzo 2020. E numerosi profumi della linea di fragranze di Mugler, concessi in licenza da L’Oréal, hanno bottiglie ricaricabili da oltre due decenni. Prendendo ispirazione dalle stazioni di rifornimento del 18° secolo, il marchio infatti, ha creato una fontana di ricarica in negozio per i suoi profumi Alien, Angel e Aura Mugler. Grazie a questo sistema si possono risparmiare ogni anno nel mondo 2,3 milioni flaconi e scatole. I flaconi gioiello di Mugler sono dunque eterni e ricaricabili all’infinito. Anche Angelini Beauty con Trussardi Eau de Parfum ha posto massima attenzione della realizzazione della sua nuova fragranza femminile, uno dei must tra i profumi della scorsa estate. Oltre al ricercato jus e ai visual d’impatto, Trussardi ha curato anche l’aspetto green. Il marchio, per creare i flaconi, ha scelto infatti una vetreria che adotta una tecnologia di produzione che riduce il consumo di acqua del 55%, le emissioni di monossido di azoto e di anidride carbonica del 30% e quella delle polveri sottili del 35 per cento. Anche il flacone e il packaging abbracciano questa filosofia: l’anima del tappo, ad esempio, è realizzata in polipropilene a base parzialmente biologica con un buon contenuto di risorse rinnovabili, mentre la parte superiore è realizzata con un’eco-pelle sostenibile, prodotta utilizzando fibre derivate da residui della lavorazione industriale di prodotti vegetali, nello specifico la mela. Infine, la scatola cilindrica della confezione è in carta FSC e tutti i decori del packaging sono stati realizzati con vernici a base d’acqua invece che a base chimica. BELLI FUORI BUONI DENTRO Baralan, azienda attiva nel settore del packaging primario per l’industria cosmetica, ha lanciato il nuovo packaging Biobased per prodotti skincare, fragrance e make-up. Sono tutte varianti di prodotti standard Baralan esistenti, ma prodotti con un biopolimero derivante da risorse rinnovabili e materiali naturali non legati alla catena alimentare, esemplificando l’impegno di Baralan verso la sostenibilità. “La nostra serie di packaging Biobased sostenibili - afferma Maurizio Ficcadenti global R&D manager di Baralan - rappresenta uno sviluppo stimolante e rivoluzionario per Baralan. La nostra abilità nel progettare packaging accattivanti e funzionali per i nostri clienti, che provengono anche da fonti rinnovabili, rappresenta un passo importante nel ridurre l’impatto ambientale e ottenere risultati positivi a livello sociale. In futuro lavoreremo per incorporare i biopolimeri in ulteriori sviluppi di nuovi prodotti”. “Siamo fermamente convinti che il futuro di tutti dipenda dalle scelte e dall’impegno sociale, etico e ambientale di ciascuno - dichiara Aldo Pozzoli, fondatore e presidente dell’omonima azienda di packaging su misura e di alto profilo con sede a Inzago (Milano) - ogni giorno diamo il massimo per rendere la nostra attività più responsabile e il nostro packaging ecosostenibile. Dall’intrattenimento, per il quale abbiamo progettato il Pozzoli GreenBox, un pack totalmente in carta e cartone con l’ambizione di eliminare la plastica dal mercato, al Food, che ci vede impegnati nel produrre vaschette in carta che, oltre a essere sostenibili, allungano la vita dell’alimento che contengono, 78

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fino alle soluzioni per un lusso sostenibile nell’ambito dei mercati Wine&Spirits e Cosmetics&Perfumery. L’impegno di Pozzoli per la salvaguardia dell’ambiente è massimo”. Questo impegno passa dalla promozione di packaging ecologici caratterizzati per il loro design, rigorosamente affidato al reparto interno di R&D, eco-friendly e sempre più frequentemente plastic free. Ma non solo. Pozzoli di recente lanciato il servizio di pack a zero emissioni di carbonio. E non è tutto. Lumson, azienda attiva nel packaging cosmetico primario, ha lanciato Re Place, il suo primo sistema refill siglando una nuova importante tappa sulla strada della riciclabilità e sostenibilità. “Re Place il nuovo vaso in vetro con sistema ricaricabile (inner cup) - spiega Matteo Moretti presidente di Lumson - è uno dei refill studiati dal nostro centro di eccellenza per essere facilmente removibile, sostituibile e rispondere perfettamente alle richieste del mercato. Nei nuovi sistemi di progettazione circolare, i refill sono una soluzione efficace per il loro impatto estremamente positivo sull’ambiente ed inoltre suggeriscono ai consumatori più attenti nuove abitudini di consumo più etiche e virtuose”. NESSUNO STA A GUARDARE Il mondo beauty si è attivato da tempo e si sta organizzando, privilegiando in ogni fase produttiva l’abbandono del superfluo e rivolgendo la propria attenzione anche agli imballaggi. Negli stabilimenti di Istituto Ganassini, sotto il cui cappello spiccano marchi come Rilastil e Korff, gli investimenti per minimizzare gli impatti diretti dell’attività produttiva e utilizza plastica riciclata e riciclabile per il confezionamento sono sempre maggiori, e negli stabilimenti e uffici viene utilizzata energia rigorosamente rinnovabile azzerando le emissioni di Co2. È particolarmente attento alla sostenibilità anche il brand Guerlain del Gruppo Lvmh. Nel 2019 ha messo sul mercato i barattoli per crema Abeille Royale in vetro riciclato al 90 %, di cui il 25% è post-consumo (PRC). Il marchio prevede di avere il 100% della propria produzione con il minor impatto ambientale e conta di raggiungere l’ambizioso obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2028. Obiettivi ambiziosi anche per EuroItalia che nel 2020 ha pubblicato per la prima volta il suo Bilancio di Sostenibilità. Infatti l’azienda ha importanti progetti legati alla sostenibilità fra cui, per il breve periodo, arrivare alla creazione di profumi biodegradabili al 95% e al 100% di utilizzo di carta Fsc nei propri packaging. Inoltre l’azienda ha deciso di sviluppare è un Lca (life cycle assessment) su alcuni dei propri prodotti con l’obiettivo di analizzare l’impatto ambientale lungo tutto il ciclo di vita e di sviluppare soluzioni concrete per ridurre possibili impatti negativi individuati. Anche Collistar, parte di Bolton Group, ha a cuore questa importante tematica ed è impegnata in un percorso di riprogettazione in ottica eco-design dei propri packaging, secondo criteri di utilizzo di materia plastica riciclata, di riciclabilità e di riutilizzabilità. “In generale – conclude Lorenza Battigello, general manager di Collistar – stiamo rivedendo la composizione dei nostri packaging per raggiungere i target condivisi con Bolton Group, di cui facciamo parte: packaging 100% riciclabile entro il 2025; introduzione di almeno il 25% di plastica riciclata entro il 2025; revisione del rapporto packaging/prodotto, andando a diminuire il peso delle nostre confezioni e, quindi, a generare meno rifiuti. Già nel 2019, inoltre, abbiamo raggiunto l’obiettivo di ‘zero deforestazione’, con l’impiego di carta riciclata o certificata FSC”.

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di Giulia Mauri

Betti Sperandeo. Di FIGURE e di SFONDI

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iceva Le Corbusier che “il colore è intimamente legato al nostro essere, ciascuno ha il suo colore, se spesso lo ignoriamo, i nostri istinti, loro, non si sbagliano”. Dalle parole del grande maestro dell’architettura trae ispirazione Betti Sperandeo per conciliare la tensione tra forma e colore presente nelle sue opere, per la prima volta esposte presso la Galleria Francesco Zanuso a Milano. Un debutto sulla scena meneghina sancito dal titolo ‘Di figure e di sfondi’ e dedicato al mondo femminile. Al centro, lo sguardo dell’artista sempre rivolto alla composizione e allo sfondo, accentuato da pattern e colori vibranti, da cui emergono silhouette sensuali, tavolta assorte nel silenzio di una stanza, spesso colte in movimento. Laureata in Architettura al Politecnico di Milano nel 1988 e tra le fondatrici di studio98 negli anni Novanta, Sperandeo oggi vive nel capoluogo lombardo dove oltre a dipingere si occupa di ristrutturazione di interni e di grafica editoriale. Interessi che nel suo lavoro inevitabilmente si fondono. Come nei suoi progetti architettonici il colore definisce lo spazio, così nella pittura delimita corpi e oggetti.

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