12/2014
n.38
inceppa l’arte e la poesia
PASTICHE versicontroversi
mensile gratuito
Helbones Artist - Eleonora
Pastiche
La mia vita è un incubo, disse rivolto all'erba". Suttree /// Cormac McCarthy
Amare la poesia è una missione, e viverla è l’unica via possibile. Vivete la poesia, vivetela fino a impazzire, fino a restarci secchi, fino a vomitarla, fino a sguazzarci dentro come pesci sconosciuti. Vivere la poesia è oscuirità se avete bisogno di oscurità, è luce, se avete bisogno di luce, sogno se avete bisogno di sogno. Vivere la poesia è semplicemente Poesia! Tutto il resto è normalità!
PASTICHE pensata e redatta da Paolo Battista. Grafica e impaginazione a cura di
Moodif www.facebook.com/pasticherivista http://issuu.com/pasticherivista
Collaboratori:
Chiara Fornesi, Fara Peluso. Per ricevere a casa Pastiche in abbonamento ( costo 12 euro ) scriveteci a: pasticherivista@gmail.com, indicando nome e recapito. Per inviare il vostro materiale ( poesie, racconti – lunghezza da concordare -, disegni, racconti per immagini, fotografie b/n, stencil e quant’altro ) scrivete a: pasticherivista@gmail.com. Chi collabora con Pastiche lo fa senza ricevere compensi. La proprietà intellettuale resta chiaramente agli autori.
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Pastiche
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razie
grazie a te che ancora mi sopporti anche se vorresti essere altrove e dici che non ti capisco non ti apprezzo non lavoro non parlo non rido e non ti faccio ridere come fa quel famoso comico in tv grazie a mio padre per le lunghe passaggiate in giro per la città ( quando riusciamo a trovare il tempo! ) grazie a mia madre sempre presente nel momento del bisogno anche se non ci capiamo poi molto grazie a mio fratello per i dischi di Bob Dylan e Tom Petty quando ancora ero un bambino grazie a Marco che da anni rende suono le parole a spasso nel mio cervello dandogli un senso grazie a Rimbaud a Nietzsche a Burroughs a Miller a Hemingway a Gadda a Pasolini a Cioran a Camus a Kerouac a Kurt Cobain a Jim Morrison a Robert Smith a John Lennon per il suo Plastic Ono Band e a Muddy Waters che mi consola dopo la pioggia grazie alla montagna agli alberi ai fiori alle sterpaglie all'uva al vino alle ortiche alle more alle formiche ai ragni agli uccelli ai cani ai vermi alla marijuana grazie al cielo e ai NoTriv e ai NoTav e ai NoNuke e ai NoCoke e ai NoWind e a tutti quelli che hanno la forza di dire NO grazie ai partigiani che senza di loro chissà adesso che fine avremmo fatto grazie a chi muore per una giusta causa schierandosi dalla parte dei più deboli grazie a chi sa dire grazie e a chi sa dire scusa ( sempre molto pochi ) grazie a ilaria luigi daniele e kiara per tutto quello in cui abbiamo creduto e tutto quello in cui non smetteremo di credere grazie a Dio non credo in dio in buddha in allah in krishna e in nessun altro della banda grazie al cielo alla terra all'acqua e al fuoco che brucia dentro le mie viscere grazie ai contadini che ancora resitono anche se la loro terra va a fuoco grazie a chi non preme il grilletto e non sgancia nessuna bomba grazie all’odore di caffè che raddrizza le mie nottate peste e grame grazie all’odio al punk alla poesia ai mostri alle visioni allo zoo alla lingua per leccarti e al naso per sniffarti grazie al cazzo al culo alla fica ai seni alla bocca alle orecchie agli occhi al naso e alle mani che uso per toccarti grazie al mio culo che stamattina ha fatto quello che doveva fare grazie alle canzoni che ho amato e a quelle che ancora devo ascoltare grazie a Lucio Battisti a Luigi Tenco ai Ribelli e a Giorgio Gaber grazie a chi dedica la sua misera vita all’arte e alla poesia rendendola un poco meno misera
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Pastiche
PAOLO BATTISTA grazie alla rabbia che provo quando le cose non vanno per il verso giusto grazie al sudore che sgocciola sulle pelli sabbiate quando attacca l’ultimo pezzo del concerto grazie alle parole che poi alla fine un senso ce l’hanno in mezzo al nonsense quotidiano grazie ai biscotti e alle banane che negli anni dell’università mi hanno tenuto in vita grazie ai giovani che fanno così inkazzare i vecchi e grazie ai vecchi senza dei quali non ci sarebbero giovani grazie alle felpe col cappuccio che quando piove o fa freddo o semplicemente vuoi nasconderti e tirare dritto per la tua strada sono perfette grazie ai treni che hanno sempre lo stesso fascino anche se dove vivo io stanno scomparendo grazie ai politici che con le loro inutili circonlocuzioni mi hanno fatto capire da che parte stare, e non è la loro grazie al dolore che ho provato senza del quale non avrei capito l’amore grazie al dolore che ho provato per gli amici che non ci sono più grazie ai sogni che mi tengono vivo e a quelli che non mi fanno dormire grazie alla confusione che c’è nella mia testa senza della quale non saprei come vivere grazie a Rossellini Fellini De Filippo Lynch Godard Boyle e Abel Ferrara e infinitamente grazie a Marcello Mastroianni GianMaria Volontè Al Pacino James Dean Marylin Monroe Anna Magnani e Merlene Dietricht grazie a chi nella vita reale non è capace di recitare e lotta per essere se stesso grazie alla pornografia, di sicuro più interessante della filosofia grazie al sole che quando apro la finestra mi fa venire voglia di fare pazzie grazie a quell'unghia di luna che da sempre accompagna le mie insonnie e quando apro la finestra mi fa venire voglia di fare pazzie grazie ai matti ai barboni ai delinquenti agli immigrati ai ladri ai senzatetto a chi ha perso il lavoro e a chi un lavoro non ce l’ha mai avuto grazie a chi crede che un giorno riusciremo a cavarcela rinascendo dalle ceneri del nostro pianeta grazie, non posso che dirvi grazie, e non posso che ripeterlo fino alla sfinimento, fino alla resurrezione: grazie, grazie di tutto!!! grazie e vaffanculo!!!
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QUASI IN FORMA D’HAIKU marco fioramanti S'appanna lo specchio che ti riflette nuda mentre scavalchi il bordo della vasca.
NASCE NELL’ACQUA LA RANA EMBRIONE CH’ORA RESPIRA. Sono radici le linee sulle palme incise. Correre correre correre verso l'oasi anche se è miraggio.
Silenzioso incontro. Telepatia di stoffa e (m)argini d'aria. I misteri giocano a rincorrersi nascosti nella bocca di ognuno di noi. Per questo forse ci trasmettiamo i segreti attraverso bacio di lingua
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Nelle tenebre in assedio accade che il respiro si fermi aggrappato alle labbra sull'equilibrio precario delle parole non dette. Accade poi il contrario che le parole escano imbizzarrite annerite dalla guerra indurite dal tempo e in quell'istante colpiscano senza alcun preavviso.
KSENJA LAGINJA
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Una voce prigioniera salpata nella notte mantiene la rotta sulle onde che ruggiscono nel corpo in battaglia. L'apnea dell'onda ci ha reso cosÏ uguali e imbastarditi dalla vita: tornare indietro è impossibile.
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La poesia è la battaglia dell'incontro l'eterna lotta contro il vento dove il massacro della vita ci ha messi all'angolo.
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Pastiche
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In questo freddo che circonda i piedi in una matassa di gelo il respiro affilato si agita nell'anticamera di silenzio che è la tua bocca. Questa l’assenza - la tua di bestia selvatica pronta al massacro? Indosso la vita rinnegando il destino e la sua vendetta.
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Ho visto oceani di rabbia schiantarsi sulla riva come intestini intrecciati al vento danzare e volteggiare cani rabbiosi gridanti con forza tutto il veleno - e ho visto giorni d’assenza genuflessa rotolare via lontano dai miei occhi di vetro lungo il solco delle natiche socchiuse al galoppo sul tuo sesso eretto. Nel paese di vetro dove vivono i miei occhi ti ho visto spingere sui fianchi riempire con precisione le fessure e cucire le mie labbra alle tue.
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Pastiche
LENTO FINO
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AL FERMO
||| GIULIANA MASSARO ||| h
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a condanna
(a tutti i carcerati e alla loro metà)
FELICE SERINO
bianco urlo dell'altra metà del cielo (tempo scandito a elaborare: due prigioni – di qua di là delle sbarre -patteggiare dell’essere con lo stillicidio che squaderna le ore) dal fondo del mondo luce ferita dove è terra di nessuno
A
dove il cappio oscilla
l parco
(fuori da un periodo depressivo) vade retro male di vivere nuova luce di orizzonti leggo nello sguardo dell'anziano sottobraccio nella macchia di sole a farci isola ora che nuovi m'appaiono i semplici gesti un sorriso una parola forse questo il senso mi dico Lui ben sa "utilizzarmi" al meglio va-de re-tro mal du vivre ti riconosco dal tuo odore acre ti ricaccio nel buio fondo
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Pastiche Alle giornate così non si crede. Verso la fine dell’estate, nel mezzo dell’apnea agostana, si determina ogni anno qualche mattina sbilenca e nera, allegramente fuori luogo. Nascere d’inverno, come mi è capitato, è tutt’altra cosa, ci sono mattine in febbraio che vengono fuori dall’oscurità già grigie e lì dentro se ne tornano, appena possibile, come soffrissero tremendamente il tempo. Vengono a dirmi che non credo mai a niente. “Sonia sei logorante, prova a fare almeno una volta come ti dico, altrimenti non saprai mai se funziona”. Non sono in grado di soddisfare mia sorella, seguendo un consiglio per accontentarla, riesco soltanto a guardarle l’orlo della gonna diffusa, per vedere quanti strati di sottane e merletti riesco a contare con una luce così. Privata della soddisfazione che avrei potuto darle come sorella minore, nell’ammonire gli altri con saggezza, la poverina è costretta a visitare ogni salotto e giardino delle compagne per dedicarsi a lunghe sessioni d’ascolto e buon senso, in un complesso giro settimanale che ha rodato nel corso dell’adolescenza. Ma si parlava di me, delle mattine di febbraio che, a non avere mai visto il sole, non si crederebbe possibile l’esistenza della luce. Kaspar Hauser, il Fanciullo d’Europa, non poteva soffrire il colore verde, ed era una gran pena per lui la vista del giardino verdeggiante appena fuori dalla finestra. Quando il suo maestro, per rallegrarlo, gli disse che d’inverno tutto il panorama sarebbe virato a un bel bianco luminoso, Kaspar sorrise ma non gli diede affatto credito.Non l’avrebbe mai scoperto se, per accidente, fosse morto prima dell’inverno, magari ruzzolando giù per le scale della torre. Questo pensiero mi affascinava, quelli come me, che nascono al buio o dentro una stanza chiusa, non prenderanno mai l’alba completamente sul serio e la collina lucida di neve continuerà, in segreto, a sembrare una irresistibile bizzarria. Pensavo queste cose seduta dentro la mia fresca mattina di agosto o in fondo a un divano dello stesso colore; cominciava a piovere dietro gli infissi sguaiati delle villette. Mia sorella Maria, quella delle assurde gonne di pizzo, venne a turbare quel mio torpore, gonfia di stoffa e commozione, con una valigia in mano. “Sonia dobbiamo andarcene subito, lasciare il villaggio, la radio dice che nel giro di due ore sarà tutto allagato qui, verrà un temporale pazzesco e non si potrà più fuggire in macchina, perché ci saranno due metri di pioggia per strada” Scoppiai a ridere “Ma cosa dici? Stupida, siamo al mare, cosa fa la gente di fronte a una catastrofe meteorologica? Scappa al mare, normalmente”. Ancora frastornata Maria provava a protestare, seria seria “Ma ti dico che l’ho sentito alla radio, hanno
IL CANE
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Pastiche detto due ore, non di più…” “Quelli della radio vogliono spaventare la gente per tenerla a casa, e tu ci caschi con tutte le ciabatte.” “Allora facciamo che vado di sopra a cucinare per stasera, va bene? Tu almeno fammi il favore di non uscire” detto questo, Maria si girò gravemente e cominciò a salire gli scalini uno alla volta, in modo che il rumore ben distinto degli zoccoli suonasse come una lenta condanna. GIORGIA MASTROPASQUA Che ragazza strana mia sorella, a quel punto del divano non sapevo più che farne, così raccolsi il borsone di Maria che, di certo, doveva contenere tutto il necessario per una notte fuori, e decisi di andarmene a spasso con il cane, vicino la scogliera. Il cane me lo avevano regalato per strada, letteralmente, vicino casa. La vicina che lo aveva raccolto in canile diceva che il cane mi conosceva ed era felice di stare con me. Non avevo osato controbattere. Per fortuna il cane era grosso e, per quanto fosse gentile, agli estranei incuteva timore, è per questo motivo che non lo avevo mai portato in spiaggia, per non spaventare i bagnanti. Per quanto ne sapevo, il cane non aveva mai visto il mare in vita sua e di certo non gli importava, a giudicare dall’aspetto montanaro da pastore. Pochi metri prima dell’accesso alla pineta la pioggia si era fatta davvero insistente e mi rendevo conto di avere incontrato l’ultimo, impavido, ciclista parecchio tempo addietro; avevo percorso almeno un chilometro a piedi da allora, e passeggiando lentamente, presi a cercare un ombrello nel borsone di Maria ma non trovai nulla, giusto un buffo berretto con la visiera che rinunciai a indossare nel punto dove i pini si facevano più fitti. Conoscevo quella strada a memoria, mi ripetevo che era il giorno ideale per portare il cane a vedere la spiaggia. La pineta si interrompeva di colpo in quella zona, segnalata da un lampione, per dare accesso alla scogliera, in effetti, a questo punto, la scena era surreale, come al termine di un tunnel stradale, se il viaggio è inevitabile, si accedeva a un universo d’acqua, qualcosa che non c’era prima e si era sviluppato assieme al nostro guidare. Un pessimo giornalista avrebbe detto: un muro d’acqua. A me e al cane non fregava proprio niente del muro d’acqua, così evitai persino il berretto, per rimanere fradicia come in un gioco che avevo inventato assieme alla mia amica Federica, nelle giornate piovose di città. Il sentiero lungo la scogliera era pieno di pozzanghere, per una buona volta non temevo le vipere e neppure le parasaure da scoglio, non c’era mai stato nulla di più sicuro di un paesaggio morto, annegato, inaccessibile alle biciclette e ai quod, che lo animavano di solito. Il cane trovò per conto suo la strada verso la scaletta di creta che portava in basso, verso la spiaggia. Di spiaggia rimaneva ancora una lingua. La scaletta l’attraversammo tutta di corsa, io e il cane, per guadagnarci un piccolo spazio asciutto sotto la scogliera, all’ombra di un cartello piccolo che urlava pericolo! in rosso grassetto. Seduti per bene e
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Pastiche comodi, s o p r a uno scoglio asciutto a un passo dal mare, io e il cane ci dividevamo i tramezzini industriali conservati nella tasca più esterna del borsone di Maria, io guardavo la pioggia e il modo in cui deviava le onde alte verso le quinte della mia costa, osservavo la maniera bestiale in cui spappolava un povero pezzo di legno sbattendolo su e giù contro la parete più esterna e frastagliata. Mi godevo lo spettacolo mezza addormentata con il borsone sotto il collo, come avessi riconquistato il mio divano grigio di pensieri, proprio allora o esattamente lì. Di una cosa mi ricordo bene, non appena il cane montanaro ebbe finito di magiare il suo tramezzino al tonno si rese conto di essere al mare, era un poco timoroso. Persino in una giornata come questa si poteva osservare l’orizzonte e riconoscere la cresta dei monti balcanici, come se il cielo non fosse esistito affatto, e neppure la morte, ma solo qualche cosa di appuntito ed evanescente che chiamavamo Albania. Fu così che successe, il cane pastore senza il minimo indugio e digiuno di etichetta si lanciò in mare nuotando con convinzione, e mestiere, come folgorato dalla visione di quelle vette in fondo all’orizzonte, o magari dalle onde stesse. Il mare era parecchio agitato ma il cane procedeva dritto dritto verso l’orizzonte. In un primo momento scoppiai a ridere, poi cominciai a chiamarlo a gran voce, ma mi resi conto che un nome non lo aveva mai avuto, mentre ripetevo “Cane! Cane per Dio, vieni qui, è pericoloso!”, ma quello filava come un ossesso e non lo si poteva fermare in nessun modo. Non posso dire, oggi, che il cane annegò, perché fino all’ultimo istante in cui lo seguì con lo sguardo nuotava dritto verso i monti. Poi mi toccò andare via, per forza e controvoglia, perché le onde si facevano sempre più alte e cominciavano a battere sopra la scaletta, mentre mi rendevo conto che se avessi esitato ancora un attimo sarei crepata su quella spiaggia, e neppure annegata a dirla tutta. Me la cavai con qualche graffio. Nei giorni a venire avrei detto a Maria che il cane sarebbe tornato di certo, prima o dopo, che i cani sanno sempre trovare la strada di casa ed è per questo che di tanto in tanto qualcuno, in oriente, gli erige una brutta statua alla Lealtà. Tuttavia, io lo sapevo bene che l’ultima immagine del pastore che mi sarebbe spettata, era quella di una cosa grigia, sempre più piccola, che filava verso i monti balcanici come un’anguilla sull’acqua liscia. Sapevo che non lo avremmo rivisto mai più, come la luce nel giorno tutto nero di febbraio in cui nascevo per caso. Non dissi mai a Maria che quella mattina, scura, il cane si era portato via per sempre la mia e la sua immortalità.
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E DO A I I SVEGLI E ANDREA DORO
Accendi la radio ma è un continuo gracchiare in onde medie. Accendi la tv. Mtv sul primo canale, Deejay sul secondo, VirginTV sul terzo. Nient'altro, i restanti canali sono grigi e pieni di crrr crr crrr. Spegni la tv. Apri la finestra. Puzza di cenere e gas di scarico e mandarini. Ti si chiude lo stomaco e chiudi la finestra. Ti fai la doccia e il tuo bagnoschiuma di fiducia è stato sostituito da un flacone anonimo verde scuro con la scritta: Per Lavarsi. Indossi il giubbotto, sul portone c'è un foglio che ti ricorda di indossare la maschera. A fianco al portone è comparso un mobiletto pieno di maschere bianche da carnevale. Una ha un sorriso, l'altra un ghigno, un altra ancora è verde, un altra è blu e un altra ancora non ha né sorriso né naso, solo il contorno degli occhi nero. Indossi quest'ultima perchè ti sembra la più divertente. In strada poca gente, autobus vuoti, traffico veloce e scarso. Tutte le persone che riesci a distinguere indossano la tua stessa maschera. Il panettiere, lo spazzino, il ma-
cellaio, la tizia col passeggino, il bambino dentro il passeggino, la tipa che vedi sempre alla fermata dell'autobus che scende una fermata prima della tua, i vecchietti che sputano per terra, i business-man o i finti tali in camicia con aloni di sudore sotto le ascelle coperti dalla giacca obbligatoria e cravatta scorsoia al collo, anche loro con la tua stessa maschera, i ragazzi che hanno saltato la scuola e si sono sdraiati sull'erba del parco a farsi le canne, tutti con la tua stessa maschera. Ti sale un irrefrenabile voglia di comunicare, proprio a te, che te ne sei sempre fregato di tutto e tutti. Fermi una maschera a caso con maglietta dei rancid e borchie e provi a dirgli qualcosa, ma non riesci a parlare, la maschera non ha bocca e tutto quello che pronunci è un biascicare riverberato incomprensibile. La maschera ti risponde allo stesso modo, ti spara davanti agli occhi il suo dito medio e se ne va. Continui a camminare disorientato, decidi di fermare due maschere. Una bionda e una mora, entrambe con le tette grandi e delle belle scollature. Chiedi aiuto, chiedi se ti capiscono, se ti sentono, se comprendono le tue parole. Quelle ti guardano, ti spingono en-
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O SAI PIÙ LEGGERE trambe e tu cadi a terra. Poi arrivano gli sbirri di quartiere, in tenuta antisommossa. Le loro maschere sono i loro caschi neri e la visiera è nera anch'essa. Sui loro visori, in sovraimpressione, tra il logo di un centro commerciale e l'altro, lampeggiano di rosso le parole: NON PARLARE, VIETATO PARLARE, DEVI STRE IN SILENZIO. Poi i manganelli iniziano ad accarezzarti, le spalle, il petto, le gambe, le braccia, i coglioni, i manganelli adorano accarezzarti i coglioni, poi ti accarezzano i capelli e la maschera. La tua vista diventa rossa, la maschera si spezza in due e cade a terra. I manganelli smettono di accarezzarti, tu riesci in qualche modo ad alzarti in piedi, li osservi, tutti, gli sbirri, le tipe con le tette grandi, i vecchi catarrosi, gli sballati, i manager, i finti manager, i finti punk, i finti finti che fingono qualcosa, i panettieri, i macellai, gli automobilisti, li osservi tutti, uno per uno, con la tua vera faccia piena di sangue, li guardi, loro si fermano. Inizi a sghignazzare, poi ridi, istericamente, continui a ridere, sguaiatamente, facendoti sentire da tutti, ridi e ridi e ridi, più ridi, più diventi alto, inizi a crescere e
a sollevarti, due metri, tre metri, quattro metri, li guardi dall'alto e ridi, ridi, continui a salire, ti appoggi al tetto di un palazzo per non cadere e ridi, ridi, ridi, e sali ancora, non vedi più nessuno e continui a salire, eviti con la testa un aereo, ridi, sali. Il cielo diventa nero, compaiono le stelle, le guardi. Smetti di ridere. Smetti di respirare perchè a quest'altitudine non c'è più ossigeno. Inizi a precipitare, con un sorriso, attendendo lo schianto.
Cristiano HelbonesQuagliozzi Artist