Pastiche n° 45 luglio 2015

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“imparare a dormire sulla vita che scorre”

Son[n]o di Antonio Rezza

Pastiche non va in vacanza! E chi lotta lo sa bene; abbiamo sempre tante cose da dire, e culo in acqua o testa sotto la pioggia, non smetteremo mai di fare quello che facciamo. mai ci stancheremo e continueremo a farlo finchè ne avremo la forza! Pastiche sarà sempre lì a tenervi compagnia, a farvi riflettere, divertire, arrabbiare, gioire. Inverno o estate non fa differenza, noi ci saremo sempre!!! Pastiche è Resistenza!!!

Rafael Flores Lobo

Attila Schwanz e Gianluca Avella


Wrong Way di Gianluca Avella


volteggiavi. iedi. in punta di p ntessa. fa le 'e n come u

S e c o n d o P a s t i c c i o d’ H a i k u

blues in attesa del zi az g ra guardo us. b el d in attesa

cendo quasiquasi S Birra a Bermi una chio. e uno Stravec

reparabile è il sapore ir della perdita tà nso alla real a dare un se

buio dal culo del diarrea olanti di stelle sfrig


nelle trappole ci sguazzo. e rinasco!

siamo fatti d'acqua e alcol

oi è dentro di n primordiale questa ferita prigionarci destinata a im

Svegliarsi esia e avere la po ella lingua. sulla punta d

eggiate 19 auto parch nella notte. ! il bar è vuoto

ta Paolo Battis


tutto scorre. siate scurrili

Epigrafe di Roberto Acerra


1° IL PRIMO VERSO ho chiesto ad un amico un primo verso perché di nuovo il mio l'avevo perso il generoso amico m'ha prestato questo “ho chiesto ad un mio amico un primo verso” ho letto il primo verso ad un'amica che se lo è rigirato tra le dita restituendomelo poi molto diverso: adesso c'era dentro la sua vita l'ho letto il giorno dopo a mio fratello ha detto “è bello, ma non ti somiglia” ho chiuso il verso dentro una bottiglia e sono andato a bermelo nel cesso ruttando m'è venuto fuori un verso di certo non eccelso nello stile; aveva quel sentore di già detto che torna buono a chi non sa che dire l'ho messo sulle labbra di una donna con tutto il mio turgore più creativo m'ha chiesto se poteva farci sesso per capire s'era un verso morto o vivo ho quasi scomodato l'universo per un endecasillabo decente ma il primo verso, in fondo, conta niente se non come pretesto a ripartire. Roberto Acerra


Andrea Carenzi


continua


Dissolvenze

G

iulia fissa il muro della sua camera con occhi liquidi e inespressivi. Probabilmente con la mente cerca di ritornare, per quanto possibile, alle ombre confuse di quella sera di Ottobre. Sua madre entra nella stanza. C'è qualcosa di comico nella focomelia, pensa la donna mentre guarda il braccio più corto della figlia. «Giulia...» Le scuote una spalla. Giulia si gira. Entra il padre. C'è qualcosa di comico nella focomelia, pensa anche lui guardando il braccino della figlia. Un flash. Giulia, nuda tra due ragazzi schiamazzanti, che dà spettacolo di sé tentando di masturbarsi con il braccio invalido. Si avvicina alla figlia. «Giulia... allora?»

È dall'inizio della serata che sono nascosto nell'armadio. Mi hanno ordinato di entrare qui dentro e io ho obbedito, semplicemente. «Se vuoi vedere, scosta leggermente un'anta», mi ha detto Sandro. «Ma non intrometterti in nessun modo.» «Ok», ho risposto. «Va bene.» «Se puoi», ha aggiunto lui, «cerca di mugolare un pochino. Sai, serve atmosfera...» «Ok» ho annuito. «Atmosfera.» «Sì. Atmosfera.» «Uh uh.» Fa caldo ed è completamente buio; immagino di trovarmi all'interno di un enorme utero, in partenza per galassie lontanissime; dico a me stesso che in silenzio riuscirò a sopravvivere. Sopravvivere a cosa? Si stanno preparando. Benché non abbia ancora assistito a nulla, la situazione mi ricorda un video che ho visto con Mario qualche tempo fa. Nel video c'erano tre uomini – o forse erano donne, la qualità delle riprese era pessima – che sopra un letto enorme facevano strani giochi con quello che a prima vista sembrava un cane imbalsamato ma che poi, a fine video, si rivelava un neonato – morto – con indosso un abito da quadrupede. Il cigolio del letto mi fa capire che hanno iniziato. Scosto verso destra l'anta scorrevole e sporgo un poco il viso. Frontalmente vedo i piedi di loro tre. La ragazza (la riconosco per il piede destro deformato) al centro; Claudio a sinistra e Sandro a destra. «Riesci a toccarti?» gli domanda Claudio. «A toccarti. Sì, qui in mezzo. Dove c'è la mia mano. Ci riesci?» La ragazza allunga il braccio sano verso le gambe ma Sandro glielo blocca subito. «No, con l'altro», dice lui. «Sennò non vale.» La ragazza emette un gemito. «Prova.» «Sì, prova,» gli fa eco Claudio. «Brava... così... ci sei quasi». La ragazza geme ancora e borbotta qualcosa di insensato che suona come: "ombranelferrodelgiardino". «Allungati un po' di più, dai», la incita dolcemente Sandro.

«Giulia... allora?» Nessuna risposta; è un pomeriggio di Settembre. Giulia fissa il poster di Topolino appeso al muro. La mamma le scuote di nuovo la spalla. Il padre bestemmia ed esce dalla stanza. Ora le due donne sono vicine. La mamma le parla di responsabilità e di altri cose che Giulia non


di Gabriele Galloni

può comprendere. L'anima, dice, l'anima innanzitutto. Giulia ridacchia e la donna per un momento si sente offesa. Non ha reali idee sul da farsi.

Improvvisamente si accende la luce. Sandro è in piedi, nudo. Si volta e mi fa l'occhiolino. Chiudo l'anta dell'armadio e mi riaffaccio dopo trenta secondi. Sul letto Sandro e Claudio stanno truccando la ragazza. Finiscono di colorargli le labbra con un pennarello rosso e passano agli occhi. Claudio estrae dall'astuccio un trattopen e disegna sopra la palpebra destra - "chiudi gli occhi, brava, così," - una pupilla spalancata. Fa lo stesso sopra la palpebra sinistra. Giulia (ho scoperto solo poco fa il suo nome) continua a tenere gli occhi chiusi. La sua espressione è identica a quella di una vecchia bambola di porcellana. Sandro mi guarda di nuovo. «Allora?» mi domanda. «Cosa?» «Non ho sentito nulla. Voglio atmosfera.» «Va bene.» «Altrimenti che ti abbiamo chiamato a fare?» Giulia tiene ancora gli occhi chiusi. Dopo avermi lanciato un'occhiataccia Claudio si alza in piedi e si posiziona davanti a lei. «Tieni gli occhi chiusi e apri bene la bocca», le sussurra. Sandro mi sta ancora guardando.

La donna esce dalla stanza. Nel salone il ronzio di un televisore acceso. C'è il sole; un sole pallido, convalescente. Le cose sembrano appassire a poco a poco. La donna domanda qualcosa a suo marito, ma nessuno dei due riesce a sentire nulla. L'uomo pensa alla pancia di sua figlia e alla sua espressione vacua. La donna ripete la domanda. Tra le mani stringe un bicchiere di vetro. Finalmente il marito risponde. «Non so». La donna va in cucina. Con sorpresa si accorge che sta ancora stringendo il bicchiere. Se stringesse più forte, pensa, potrebbe romperlo. Immagina allora, come in un sogno, le sue mani piene di sangue. Immagina il marito entrare allarmato in cucina. «Cosa è successo?» - lei non risponde. Il marito si inginocchia ai suoi piedi, le prende le mani e le bacia. «Smettila,» dice lei. «Ti sporcherai tutto.» Torna di là. L'uomo sta guardando la televisione; ogni tanto guarda qualcosa sul cellulare. La donna vorrebbe domandargli qualcosa; sfiorarlo, forse: non sa. Probabilmente è domenica. Dall'altra parte della strada alcuni ragazzini stanno giocando a pallone utilizzando come porta la saracinesca abbassata di quello che una volta era un negozio di alimentari bengalese. La donna li guarda da dietro le tendine, cercando di indovinare la loro età. La penombra alle sue spalle le ricorda che il peso di certe domeniche non è affatto uno stato mentale. Moglie e madre, pensa. Quando aveva vent'anni le sembrava impossibile. A vent'anni molte cose le sembravano impossibili: le notti troppo lunghe e i giorni troppo brevi. A vent'anni l'idea di un cielo bianco, accecante, senza variazioni di intensità.

CONTINUA


La torre di Caosele di Andrea Matarazzo


domenico porfido

Lezione

Non ne è rimasto nemmeno un bicchiere l'hai bevuto tutto non mi resta che sorseggiarti vuotando i tuoi seni spremendo i tuoi duri capezzoli da cui non esce che vile latte materno. Costruimmo una casa io e te una casa con dure mani e duri cuori senza destino solo il cadere dei rottami degli aerei che non ci riguardavano. Non c'era poi nemmeno bisogno dei diti medi o delle bestemmie sparite tra i denti solo tenere linguacce e baci soffiati. Io e te eravamo apertura alare, altari sacri da non violare, fiamma inestinguibile, mari mossi da principi primi, terre sicure già esplorate, coppia di sangue senza incesto. Non ti donavo che discorsi severi per contrariarmi e tu divertita ridevi nel saggiare preziosi piaceri di una mente volatile. Risalivi al verbo primo delle mie parole dalle radici scomposte di una balbuzie che tu mi aiutavi a ricomporre con facili cenni del capo ed occhi fermi. Fu in una notte di ghiaccio che ti colpii con la violenza inaudita del troppo amore con la follia dell'angoscia per l'infinito ti sfregiai il volto e pugni e calci che quasi andasti in coma ma tu non capivi che l'amore è violenza e non hai mai lottato: deduco oggi tu non mi abbia mai amato. Ah, se potessi tornare indietro ti insegnerei a lottare e ad armi pari ti affronterei piÚ forte fino a ritrovare un'aspra coincidenza fra il tuo modo di amare ed il mio.


Picarissimo Pinocchio Maria Matteacci Peppino, piantando pialla per prendere punteruolo, per professione plasmava pezzi porosi. Portava per pseudonimo Polendina, perché possedeva parrucca paglierina: pareva proprio padana pietanza! Per procurarsi pagnotta, poverissimo produttore progettò preparare pupazzo, proposito presentare pantomime pubbliche. Pertanto, preso prestito pezzo parlante, principiò piallarlo, pensando prenome: « Peppino... Pinuccio... Pinolo... Pinocchio! » Presto prodotto, « Posso passeggiare! » pronunciò pupazzo, poi (personalità portata per pasticci) precipitosamente partì - « Pappappero pappappà! » - prendendo paesani percorsi. Poliziotto, per proteggere pargolo, portò presso prigione papà Peppino. Piccola pulce parlante, probo precettore, principiò predicozzo: « Pondera, Pinocchio... » PUM! Pinocchio premette pidocchio, pedante piantagrane, producendone poltiglia. Poi però, perdendo piedi, piagnucolò. Paziente padre provvide, porgendogli pure pere polpose. Per pagare premure paterne, pupazzo promise progressi parascolastici. Palle. Partecipando pantomima pubblica, Pinocchio provocò parapiglia presso pupi protagonisti. Padron Puparo, possente personaggio peloso, prima pensò punire pupazzo, poi pietoso prosciolse piangente pargolo, porgendogli pure preziosa pecunia. Presso paese, paio procacciatori predoni (profittatori professionisti) puntarono pollastro: « Porgi picciol padiglione, perché particolare per poche persone: Prodigioso Podere prolifica palanche! Piantandole potrai poi prendere più pecunia! » Pinocchio provò. Prosieguo: predoni portarono pupazzo presso pub "Paguro Purpureo", pernottando pure. Pinocchio, povero pollo, pagò. Pervenne Pervinca, provvidenziale pulzella, poteri prodigiosi. Pulce parlante predicò: « Prendiamo provvedimenti: papà Peppino patisce, poverino! » Pinocchio, pentito, piangeva. Proposito pecunia percepita, « Perduta! Perduta! » protestò. Parole, parole, parole: profilo puntuto progredì, protendendosi parecchio. Pervinca provvide. Però pasticci proseguirono! Perseguendo perfidi propositi, procacciatori predoni persuasero pollastro piantare pecunia presso Prodigioso Podere. Pupazzo provò, poi passò per paese Prendipirla (perlomeno), poi, presso portentoso podere, pappagallo parlante pronunciò: « Piazza pulita! Predoni prendono pecunia! » Pinocchio presentò problema presso perito: pensate, paradossalmente, per poco preminente personaggio provvidegli prigione! Pupazzo prese pure polpose palline purpuree presso pampinoso podere: padrone prontamente punì profittatore. Piccione preavvisò Pinocchio: « Papà Peppino, preoccupato, parte per periglioso periplo, panfilo pronto. » Presto, Pinocchio! Prontamente protagonista pervenne presso proda. Peccato però: papà, partito prima, pencolava pallido, palesemente provato: pelago paurosamente procelloso. PLUFF! Penetrando profondità, piano piano Pinocchio pervenne presso palmosa penisola: Paese Prònubi (popolo produttivo). Pervinca promise pupazzo parvenza primate, purché primeggiasse per prestazioni parascolastiche. Pertanto, perseverando, Pinocchio perdurò pupillo presso professore. Pargoli, prendendosela (personale pagella pessima), proposero pupazzo passeggiata presso proda, poi principiarono picchiarsi. Piombarono poliziotti. Puf, promessa persa. Per piantare piedipiatti, Pinocchio - PLUFF! - penetrò pelago. Pescatore, prendendolo per particolare, pregiato pesce - Pesce Pupo - pronunciò: « Per primo, pupazzo panato! » Pinocchio (parole pleonastiche) prontamente piantò personaggio.


Prodigandosi, pupazzo prese positiva pagella. Pervinca, per premiarlo, prospettò promessa. Pimpante, Pinocchio procacciò pertanto pargolo pigrissimo: Pelleossa (pareva prosciugato). « Preparo party per promozione! - proclamò pupazzo - Partecipi? » « Partiamo per Paese Pacchia, Pinocchio! - propose Pelleossa - Potremo permetterci party perpetui, pomeridiane pennichelle! » Profilasi poi Postiglione: personaggio panzone, pareva Platinette. Pronunciava parole paterne: pareva proprio personaggio positivo! Profondamente, però, perfido, perverso, perché prendeva pargoli pigri, portandoli presso piacevole paese per produrne puledri prigionieri. Pinocchio, persuaso, partì (perdonatelo però, perché presto proverà personale prodezza). Pertanto, poltrendo presso Paese Pacchia, Pinocchio, Pelleossa presero pelosa parvenza. Puntualmente Postiglione procedette perseguendo pena, piazzandoli per profitto personale. Perfido proprietario pagò per prendere Pinocchio, pensando produrne percussione. Perciò precipitò puledro presso pelago: PLUFF! Pesciolini papparono pezzo pezzo pelle puledra, palesando primario pupazzo. Purtroppo però, pantagruelico, Pauroso Pescecane pappò Pinocchio. Presso profonda pancia pupazzo percepì presenza: papà! Personaggi poterono partire perché, pare, Pauroso Pescecane possedesse problema polmonare. Presso proda, Pinocchio, Peppino pescarono procacciatori predoni. Parevano pidocchiosi pezzenti: « Pecunia! Pecunia per pietà! » pigolavano. Pupazzo proseguì: proporzionata punizione per perfidi personaggi. Pinocchio per professione produceva panieri, pupo perbene provvedeva per papà. Per premiarlo, Pervinca perdonò pasticci passati: - puf! - protagonista percepì pelle, polpastrelli, polpacci, piedi... Possibile? Puntò pupille: poggiato presso panca, penzolava piccolo poroso pupazzo, picaresco personaggio, picarissimo Pinocchio.

PUNTO. PERSONAGGI Pinocchio Peppino Geppetto Pulce parlante il Grillo-parlante Padron Puparo Mangiafoco Procacciatori predoni la Volpe e il Gatto Pervinca la Fata dai capelli turchini Pelleossa Lucignolo Postiglione il conduttore del carro Pauroso Pescecane il terribile Pesce-cane

POSTI Prodigioso Podere il Campo dei miracoli Pub "Paguro Purpureo" l'osteria del Gambero Rosso Paese Prendipirla la città di Acchiappacitrulli Paese Prònubi il paese delle Api industriose Paese Pacchia il Paese dei balocchi



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