Marco Moroni, "Dare centralità al lavoro perché senza lavoro non c’è dignità"

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UN LESSICO PER LA CITTÀ COMUNE (a cura della Commissione diocesana per la pastorale sociale e del lavoro)

Nell'ambito delle attività della Commissione diocesana per la pastorale sociale e del lavoro, la rubrica “Un lessico per la città comune”, che inizia con questo numero di Voce della Vallesina, vuole essere una proposta di riflessione su alcune parole chiave per capire meglio questo tempo di grandi preoccupazioni e di altrettanto grandi speranze. Queste parole possono anche aiutare nell’esercizio della cittadinanza responsabile, che si edifica attorno alla riflessione sul bene comune ed all’azione per i beni comuni e che rappresenta il tratto distintivo dell’impegno civile di un laicato maturo. La formazione di laici adulti, cristiani e cittadini, diventa allora anche nella nostra realtà un imprescindibile servizio ecclesiale. Per queste finalità stiamo chiedendo a persone di pensiero e di azione il commento a parole da loro ritenute strategiche per il nostro tempo, sulla base delle rispettive competenze e del loro impegno sociale e culturale. Appena a ridosso del 1° maggio, esordiamo con una parola cruciale per l’attualità sociale, per il suo valore di rango costituzionale, per l’esercizio della democrazia e per il rispetto della dignità umana: il lavoro. La riflessione è del Prof. Marco Moroni, storico dell’economia dell’Università Politecnica delle Marche e responsabile del Centro studi di ACLI Marche. Giancarlo Uncini

Dare centralità al lavoro perché senza lavoro non c’è dignità Senza lavoro non c’è dignità: è la frase che Papa Francesco ha ripetuto con forza nel settembre scorso a Cagliari. Nella visione della Chiesa il lavoro è un diritto fondamentale, che consente all’uomo di esprimere appieno la propria dignità umana. Il lavoro dunque è alla base della dignità della persona. La crisi economica che ancora ci attanaglia ha provocato una enorme crescita della disoccupazione, della povertà e della disperazione. Milioni di famiglie si sono impoverite e non riescono a far vivere dignitosamente i propri figli. Ma la crisi non è una fatalità. Dobbiamo capire che l’attuale sistema economico non è una realtà immutabile, ma il frutto di precise scelte degli uomini e quindi può essere modificato e reso più giusto. Un sistema economico che sia davvero più più umano deve rimettere al centro il lavoro. E non solo perché una società con una enorme massa di disoccupati rischia di esplodere, ma perché il lavoro è la porta della cittadinanza (è grazie al lavoro che si diventa pienamente cittadini); perché il lavoro è stato e rimane la radice della socialità e il fondamento dei legami di solidarietà; e perché – ripetiamolo – il lavoro, come ha detto il Papa, è alla base della dignità della persona. Ancora una volta è utile richiamare il magistero sociale della Chiesa: per avere una crescita economicamente stabile e socialmemente sostenibile è necessario riprendere i primati indicati dall’encilcica Laborem exercens: il primato del lavoro sul capitale e il primato dell’uomo sul lavoro. Nella drammatica fase economica che stiamo vivendo, i primati della Laborem exercens possono essere tradotti come il primato del lavoro e dell’impresa sulla finanza e sulla rendita. Concretamente ciò significa alcune scelte precise: è necessario introdurre regole e condizioni per avvantaggiare il lavoro rispetto ad altre modalità dell’agire economico, in particolare rispetto alla rendita finanziaria e rispetto al consumo. E questo perché solo valorizzando appieno il lavoro è possibile realizzare contemporaneamente crescita economica stabile ed elevata integrazione sociale.


Il lavoro che deve tornare al centro del sistema economico non è un lavoro qualsiasi, ma un lavoro dignitoso: lo dicono sia il magistero sociale della Chiesa sia l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che talvolta preferisce adoperare l’aggettivo “decente”. Secondo l’Organizzazione Internazionale del lavoro, decente è un lavoro scelto liberamente, svolto in sicurezza e con un’equa retribuzione. Sono queste le tre dimensioni costitutive della dignità del lavoro; ad esse, oggi si tende ad aggiungere anche il diritto a una formazione permanente e la possibilità di conciliare tempi di vita e di lavoro. Solo così il lavoro diventa decente. Senza lavoro non c’è dignità, ma il lavoro deve essere decente e dignitoso: per tutti e dappertutto. Serve un nuovo modello economico e sociale più equilibrato, più umano e più giusto. Questa è la lezione della crisi: dopo il fallimento di un capitalismo iper-individualistico, basato su un consumismo sfrenato e su un mercato senza regole, dobbiamo sperimentare nuove vie in modo da realizzare un nuovo tipo di economia, più attenta alle istanze della società, e un mercato orientato alla società. Per quello che riguarda il grande tema del lavoro, le strade per realizzare una crescita economica più equilibrata e una più elevata integrazione sociale sono chiare: garantire un reddito minimo a chi è in povertà assoluta, dare stabilità al lavoro precario, ridurre il peso fiscale sul lavoro e soprattutto dare il via a un grande piano nazionale per l’occupazione; un piano che incentivi fiscalmente il lavoro dei giovani e ogni nuova assunzione a tempo indeterminato. Dalla crisi si esce, ma soltanto se si punta sull’economia reale e si torna a dare centralità al lavoro. In un momento in cui la crisi della politica rischia di trasformarsi in crisi della democrazia, il lavoro può essere anche forza di nuova democrazia. Marco Moroni Univ. Politecnica delle Marche ACLI Marche


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