Giorgio Beretta, "Non con i nostri soldi. Disarmiamo i nostri conti (2ª parte)"

Page 1

UN LESSICO PER LA CITTÀ COMUNE (a cura della Commissione diocesana per la Pastorale sociale e del lavoro)

Non con i nostri soldi. Disarmiamo i nostri conti (2ª parte)

Come preannunciato su Voce della Vallesina del 4 ottobre scorso, pubblichiamo la seconda parte del contributo della Commissione diocesana all’approfondimento del tema del commercio italiano di armi e delle connesse iniziative delle Chiese locali con un articolo di Giorgio Beretta, ricercatore dell’OPAL di Brescia e analista della Rete italiana per il disarmo. La campagna «banche armate» Lanciata nel 2000 in occasione del Grande Giubileo della Chiesa cattolica dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia, la Campagna di pressione alle “banche armate” rappresenta un positivo esempio di azione della società civile nei confronti di uno dei settori con cui l’interlocuzione è notoriamente difficile: le banche commerciali. La scelta dell’anno del Giubileo non è stata casuale: sulla scia dell’appello di Papa Giovanni Paolo II per la “remissione del debito dei paesi poveri”, la campagna ha infatti evidenziato che gran parte del debito contratto dai paesi del Sud del mondo era, ed è tuttora, costituito dal “debito odioso”, quello cioè che i dittatori di varie nazioni hanno contratto per acquistare dai nostri paesi del Nord armamenti sofisticati che spesso hanno usato per reprimere le proprie popolazioni e fomentare sanguinosi conflitti regionali. La campagna ha quindi voluto offrire un modo concreto per favorire un maggior controllo sulle esportazioni di armi e sistemi militari del nostro paese e sulle operazioni di finanziamento delle banche all’industria militare e al commerci di armi. Un commercio che vede l’Italia tra i primi otto paesi nel mondo per esportazioni di sistemi militari e al primo posto nell’export di “armi comuni”. Un giro di affari che nell’ultimo quinquennio ha superato i 15 miliardi di euro di operazioni autorizzate a quasi cento paesi nel mondo: dall’Algeria da 15 anni governata dal regime autoritario del presidente Bouteflika alle cui forze armate l’Italia ha inviato sistemi militari per 1,4 miliardi di euro, all’Arabia Saudita che oggi sgancia bombe anche italiane in Yemen in un’operazione militare che non ha ricevuto alcun mandato da parte delle Nazioni Unite e che ha già causato più di 4mila morti di cui la metà tra i civili; da Israele a cui lo scorso anno, proprio nel mezzo dell’operazione militare su Gaza il nostro paese ha inviato i primi due aerei addestratori M-346, al Turkmenistan, nazione governata da uno dei regimi più dispotici del mondo, alla quale è stato inviato un ampio arsenale di sistemi militari italiani, per continuare con gli Emirati Arabi Uniti, India e Pakistan, Oman e Bahrein e perfino al Kazakistan, al Niger e alla Namibia.


La buona legge disattesa Gran parte di queste esportazioni dovrebbero essere vietate. La legge n. 185 del 1990 proibisce infatti le esportazioni di armamenti e sistemi militari quando «sono in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell’Italia, con gli accordi concernenti la non proliferazione e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando mancano adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali di armamento». Le esportazioni di armamenti sono inoltre vietate verso i paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta dell’Onu; verso paesi la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione; verso paesi nei cui confronti siano in vigore forme di embargo totale o parziale delle forniture di armi da parte delle organizzazioni internazionali (Onu, UE, OSCE); verso i governi dei paesi che sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa e verso i paesi che, ricevendo dall’Italia aiuti, destinano al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze della difesa. Una buona legge, fortemente richiesta dalle associazioni della società civile a fronte degli scandali che durante tutti gli anni ottanta hanno visto implicate diverse aziende e banche del nostro paese per esportazioni di armamenti. Una legge che però lascia un ampio margine di discrezionalità al governo, ed in particolare al Ministero degli Esteri, che è incaricato di autorizzare queste esportazioni. Per questo le associazioni della società civile che fanno parte della Rete italiana per il disarmo, oltre a chiedere al governo maggiore rigore nell’applicazione e maggiore trasparenza, hanno sostenuto la Campagna di pressione alle “banche armate”. In questi anni la campagna ha saputo interpellare le banche italiane portandole ad emanare direttive restrittive, rigorose e trasparenti sulle operazioni in appoggio alle esportazioni di armi e, più in generale, riguardo alle attività di finanziamento all’industria militare. Nel contempo ha cercato di mantenere alta l’attenzione del mondo politico, del governo e delle rappresentanze parlamentari, sui temi del commercio di armi. Le risposte delle banche Le risposte da parte dei gruppi bancari alle richieste della campagna possono essere suddivise in quattro categorie. Alla prima categoria appartengono i gruppi bancari che hanno emesso direttive che escludono le operazioni di esportazione di armamenti e che danno un costante reporting in merito a tali operazioni. Oltre a Banca Popolare Etica che fin dalla sua fondazione ha escluso dalla propria attività queste operazioni, vanno inserite in questa categoria tutte le banche appartenenti ai gruppi Monte dei Paschi (MPS), Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano (BPM), Banco Popolare e Credito Valtellinese. Alla seconda categoria appartengono le banche che hanno emesso direttive che limitano le operazioni di esportazione di armamenti e ne hanno dato una dettagliata comunicazione. Tra queste va annoverato il gruppo UBI che già nel 2007 ha definito una direttiva molto restrittiva e pubblica un accurato resoconto annuale. Anche il gruppo BPER (Banca Popolare dell’Emilia Romagna) nel 2012 ha emanato una direttiva abbastanza rigorosa e ha cominciato a fornire un resoconto. Da segnalare anche le recenti direttive emanate dal gruppo bancario francese Crédit Agricole che in Italia controlla il gruppo Cariparma. Alla terza categoria appartengono le banche che pur avendo emanato direttive interne non le hanno rese pubbliche e/o non comunicano adeguatamente le operazioni riguardo al commercio di armi. Ne fanno parte le banche del gruppo UniCredit che nel corso degli anni ha modificato ampiamente la propria direttiva e presenta un reporting insufficiente. E soprattutto il gruppo francese BNP Paribas che controlla la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) ma svolge gran parte delle operazioni con la filiale italiana di BNP Paribas.


Alla quarta categoria appartengono le banche che non hanno emanato direttive o che risultano inadeguate per esercitare un efficace controllo sul commercio di armi. L’elenco è lungo e riguarda soprattutto le banche estere presenti in Italia: tra queste va segnalata soprattutto Deutsche Bank che è uno dei gruppi bancari più operativi nel settore. Non con i miei soldi Se il primo obiettivo si può dire sufficientemente raggiunto almeno da parte dei principali gruppi bancari italiani per quanto riguarda il secondo va invece segnalata la progressiva erosione di informazioni governative e la costante “disattenzione” del Parlamento. La Relazione annuale del Governo ha visto infatti un graduale impoverimento (tanto che oggi non è più possibile sapere con chiarezza quali e quanti armi vengono esportate verso quali paesi) e solo lo scorso febbraio – e dopo anni di pressioni – le competenti commissioni della Camera sono tornate ad esaminare la materia, con una sola seduta che è durata meno di un’ora. E’ pertanto urgente che le associazioni della società civile tornino a mettere in agenda il controllo delle esportazioni di armamenti. Ciò è reso ancor più necessario dall’attuale contesto di forte instabilità internazionale e dal recente ampio incremento di esportazioni dall’Italia di sistemi militari soprattutto verso i paesi in zone di conflitto, a regimi autoritari, a nazioni indebitate che spendono ampie risorse in armamenti e alle forze armate di governi noti per le gravi e reiterate violazioni dei diritti umani. Ma è altrettanto importante che le comunità cristiane (diocesi, parrocchie, istituti religiosi, centri missionari…) tornino a prestare attenzione al tema delle spese militari e al ruolo delle banche nel commercio di armamenti. Le indicazioni della campagna sono semplici e alla portata di tutti: anzitutto, promuovere in diocesi, nella propria parrocchia un momento di approfondimento sul tema delle spese militari e del ruolo delle banche nel commercio di armamenti; ma soprattutto verificare se la banca di cui si serva la propria parrocchia ha emanato direttive sufficienti per un’effettiva limitazione delle operazioni di finanziamento e d’appoggio alle esportazioni di armi e, in caso contrario, chiedere di rivedere i criteri e le priorità nella scelta della banca. (Fine) Giorgio Beretta (OPAL Brescia – Rete italiana disarmo)


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.