UN LESSICO PER LA CITTÀ COMUNE (a cura della Commissione diocesana per la Pastorale sociale e del lavoro)
Non con i nostri soldi. Disarmiamo i nostri conti (1ª parte)
Nel 2015 ricorrono i 25 anni dall’approvazione della legge n. 185/90 che detta norme per il controllo dell’esportazione, dell’importazione e del transito di armi in Italia. Una legge fortemente voluta da un’ampia rappresentanza della società civile e dell’associazionismo laico e cattolico, quest’ultimo avendo avviato fin dagli anni ’80 la mobilitazione «Contro i mercanti di morte». La legge, che a giudizio dei suoi sostenitori rappresentava allora una delle norme più restrittive a livello mondiale, si basa su tre concetti fondamentali: la conformità al ripudio della guerra sancito dalla Costituzione, il controllo del Governo, l’informazione al Parlamento. Questo impianto conferiva alla legge un carattere di assoluta novità perché, a parte un paio di decreti del Ministero del Commercio estero della metà degli anni ’70, in Italia la previgente normativa si rifaceva sostanzialmente ad un Regio decreto del ’41, che sottoponeva l’intera materia al segreto di Stato. A distanza di 25 anni gli osservatori e gli analisti parlano di un bilancio problematico, dovuto sostanzialmente ad un aggiramento delle rigide maglie della legge, che ha permesso un grosso aumento dell’export di armi italiane soprattutto nelle regioni più turbolente come il Medio Oriente e il Nord Africa. Per queste zone geopolitiche le autorizzazioni alle esportazioni italiane di armi sono passate dal 23,2% del quinquennio 2005-2009 al 35,5% del quinquennio 2010-2014. Non a caso il 2014 ha fatto registrare negli ultimi 25 anni la «migliore prestazione» per le esportazioni italiane di armi e munizioni, militari e comuni. Altra questione problematica riguarda la mancanza di trasparenza. La relazione annuale che il Governo deve presentare alle Camere sarebbe infatti, a detta degli osservatori, un insieme di dati non utilizzabili per un chiaro rapporto su esportazioni, Paesi destinatari e ruolo delle banche. Inutile dire che tutto questo si inserisce in un contesto internazionale altamente problematico, che vede il commercio di molti sistemi di arma al crocevia tra legittimo contrasto al terrorismo, speculazione finanziaria degli «imprenditori di morte», azioni dei Governi nazionali, ruolo giocato dalle banche. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, si tenga conto che con le ultime modifiche della legge n. 185 non c’è più l’obbligo degli istituti di credito a richiedere l’autorizzazione del Ministero dell’Economia per i trasferimenti collegati ad operazioni di armamenti, essendo sufficiente una semplice comunicazione delle transazioni effettuate. Si tratta di una semplificazione burocratica ad indubbio vantaggio delle banche ma a svantaggio della trasparenza e del controllo preventivo pubblico, prima reso possibile dal meccanismo delle autorizzazioni.
Nel novembre 2014 la Campagna di pressione alle banche armate, avviata nel 2000 dalle riviste Missione oggi (Missionari Saveriani), Nigrizia (Missionari Comboniani) e Mosaico di pace (Pax Christi Italia), ha perciò promosso con la Rete italiana per il Disarmo una lettera a tutti i gruppi parlamentari chiedendo di riprendere il controllo delle esportazioni di armamenti e di attivarsi affinché nella Relazione governativa venga ripristinata la completa informazione richiesta dalla legge che regolamenta questa materia. Parte del mondo cattolico chiede da molti anni trasparenza e rigore in questa materia, come dimostrano anche le ultime prese di posizione di Pax Christi Italia. Il difficile bilancio a cui si è accennato riguardo all’applicazione della legge n. 185 ha indotto le stesse riviste promotrici della Campagna di pressione a proporre quest’anno un rilancio della campagna stessa con l’iniziativa denominata «quaresima disarmata», in occasione della quale sono state prospettate a diocesi, parrocchie, comunità religiose, credenti e non credenti le seguenti proposte che, ovviamente, conservano la loro validità anche oltre il tempo liturgico per il quale sono state formulate: 1) creare spazi di approfondimento e di sensibilizzazione sul tema delle spese militari e del ruolo delle banche nel commercio degli armamenti; 2) chiedere di verificare se la banca di cui si serve l’associazione, la parrocchia, la singola persona ha emanato direttive sufficienti per un’effettiva limitazione delle operazioni di finanziamento e di appoggio alle esportazioni di armi e, in caso contrario, chiedere di rivedere i criteri e le priorità della scelta della banca; 3) attivarsi presso il proprio Comune chiedendo che nella scelta della tesoreria vengano introdotti criteri di responsabilità sociale per appurare il coinvolgimento delle banche in settori non sostenibili e in attività finanziarie a sostegno dell’industria militare e delle esportazioni di armamenti. Su questa delicata e complessa materia abbiamo anche chiesto il qualificato contributo di Giorgio Beretta, ricercatore dell’OPAL di Brescia e analista della Rete italiana per il disarmo, che pubblicheremo nel prossimo numero di questa rubrica. (Continua) Giancarlo Uncini