UN LESSICO PER LA CITTÀ COMUNE (a cura della Commissione diocesana per la
pastorale sociale e del lavoro) Da molti anni si registra una crescente sfiducia nella possibilità del governo virtuoso del territorio e della città, prevalendo l’uso strumentale della cosa pubblica o, persino, la sua gestione corruttiva. Parimenti il tema della coesione sociale è avvertito come anticaglia ideologica, sommersa dalle contrapposizioni della società urlata, dall’estraneità e frammentazione tra le persone, dimentiche della cittadinanza e della con-cittadinanza. Si possono trovare buone e argomentabili ragioni per la convivenza, la convivialità e la relazionalità, che non siano solo dettate dalle buone maniere, come base per una comunità di vita, di lavoro e di cura? In questa prospettiva la categoria del civile consente un doppio vantaggio. Da un lato permette il dialogo tra le differenze e la valorizzazione delle buone esperienze prodotte nella società civile, dall’altro costituisce un’efficace metafora per l’esercizio della cittadinanza nello spazio globale della modernità. Diventa, cioè, uno dei grandi temi dell’etica applicata, accanto a quelli, per esempio, dell’inizio e fine vita, della sostenibilità ambientale delle filiere produttive, delle responsabilità e dei costi sociali delle imprese economiche e finanziarie. L'etica civile per un nuovo umanesimo, ci suggerisce l’autore dell’articolo che segue, non è una questione di buona educazione o una battaglia moralistica ma la valorizzazione di ciò che sta alla base della convivenza, nel segno della corresponsabilità, dove la componente etica diventa la condizione significativa della costruzione del bene comune, che rifiorisce grazie anche alla riscoperta dei beni comuni, che richiedono cittadini attivi e capaci di prendersene cura (BiagiMorandini, Aggiornamenti sociali n. 6-7, 2013). Quella che pubblichiamo è la prima di tre riflessioni che il loro autore ha voluto offrire alla nostra rubrica quindicinale sui temi correlati dell'etica civile, del bene comune e del futuro sostenibile.
Simone Morandini è coordinatore del gruppo di ricerca “Etica, filosofia, e teologia” della Fondazione Lanza di Padova ed è membro del gruppo “Custodia del creato” della CEI. Insegna presso l'Istituto di Studi ecumenici S. Bernardino di Venezia e la Facoltà teologica del Triveneto.
Giancarlo Uncini
Parole per la democrazia: Etica civile Può sembrare fuori luogo aprire con un termine come etica una riflessione dedicata alla democrazia, una realtà così caratterizzata dal pluralismo da apparire quasi incompatibile con il riferimento ad indicazioni legate ai comportamenti personali. Eppure proprio la democrazia porta con sé un bisogno di etica di cui solo di rado ci rendiamo conto, ma che in effetti è intrinseco alla sua stessa struttura. La democrazia, infatti, è quella forma di organizzazione della vita sociale che non pone al centro l’obbedienza del suddito, ma la partecipazione e la soggettività dei cittadini – uomini e donne liberi/e, che si pongono come costruttore di una convivenza da inventare sempre e di nuovo. È chiaro dunque che la democrazia ha come suo punto di partenza il pluralismo delle visioni del mondo dei soggetti che ne fanno parte; altrettanto costitutiva per essa è però anche la necessità del riconoscimento reciproco, l’esigenza di confronto, la necessità di ritrovare ciò che rende possibile la convivenza dei diversi. C’è davvero insomma un’etica sottesa alla democrazia,
ma ci siamo così abituati, da essere capaci coglierne il valore e la portata solo quando essa sembra venir meno. Proprio questo accade però in un tempo come il nostro, quando la dialettica delle differenze diviene così dura da rischiare di declinarsi semplicemente come contrapposizione; quando il dialogo franco tra le varie posizioni trapassa delegittimazione urlata delle diversità (e si pensi ad alcune voci risuonate nel dibattito legato alle recenti elezioni europee). È in situazioni come queste – quando sembra venire meno quel tessuto connettivo che è necessario ad una fisiologica dinamica democratica – che percepiamo maggiormente il bisogno di un’etica che ci aiuti a mantenere stabile la vita assieme; il bisogno di un’etica civile che sappia raccogliere le differenze in un contesto di reciproco rispetto e di riconoscimento della diversità come valore. A questo tema sta lavorando ormai da alcuni anni la Fondazione Lanza di Padova (Centro di Studi in Etica Applicata, www.fondazionelanza.it) che vi ha dedicato diverse pubblicazioni; ad esse attingiamo anche per le prospettive accennate in questa sede. L’aggettivo civile riferito all’etica non intende certo contrapporsi all’etica religiosa, ma esprimere piuttosto il riferimento all’immagine della città – la civitas dei latini – come luogo di una convivenza che è essenziale per il nostro essere di umani. Come esseri culturali, infatti, non possiamo sviluppare appieno la varietà di dimensioni del nostro essere, se non entro quella relazionalità di cui proprio la civitas offre un’espressione alta. È una realtà che non ha solo una valenza strumentale, quasi il rapporto con altri servisse semplicemente a fornirmi ciò di cui ho bisogno per realizzare i miei scopi privati; al contrario, è proprio la stessa relazione a costituire quello spazio che permette di vivere appieno la nostra umanità. L’aveva ben compreso il Concilio Vaticano II, che al n.24 della Costituzione Gaudium et Spes si spingeva fino a suggerire “una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore”. Comprendiamo, allora, che il dato della vita buona assieme non può in alcun modo essere considerato indifferente o semplicemente funzionale alla realizzazione di altri valori, ma costituisce invece una realtà già di per sé preziosa, da custodire. È per questo che quando la sua struttura relazionale appare a rischio, quando le tensioni sembrano capaci di lacerarla, emerge così pressante la necessità di interrogarsi sulle condizioni che permettono di darle futuro. Come far sì che la civitas – le tante città che costellano il nostro paese, ma anche quella più ampia rete di relazioni che fa l‘Italia e la stessa Europa – torni ad essere uno spazio stabile, in cui possa svilupparsi una umanità buona capace di vivere assieme in modo sinergico, realizzando interazioni costruttive tra i diversi soggetti coinvolti in essa? Quali parole possono orientarci in tal senso? È in questa direzione che guarderemo con i prossimi interventi. Simone Morandini (Fondazione Lanza Istituto Studi ecumenici San Bernardino)