Hi-Tech Ambiente n.3 - Marzo 2020

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXXI MARZO 2020

POCO SPAZIO A QUALITA’ E SCARCA FLESSIBILITA’

La regolazione dei rifiuti oggi

a pagina 14

DPR 120/2017 E LINEE GUIDA

Terre e rocce da scavo: cosa dice la legge

a pagina 6

UN MATERIALE ANTICO, MA SEMPRE ATTUALE

IL CARBONE ATTIVO EVOLVE

a pagina 8

N3



SOMMARIO 4

PANORAMA

RETI IDRICHE

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La best practice di Acque

APPROFONDIMENTI

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Terre e rocce da scavo: cosa dice la legge Tre i regimi normativi secondo l’attuale legislazione, che ha riordinato la materia e fornito precisazioni per alcune particolari situazioni

GREEN ECONOMY

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Audi: caccia alla sostenibilità

DEPURAZIONE Il carbone attivo evolve

Il marchio di Ingolstadt ha presentato il suo programma ambientale, che punta a ridurre le emissioni di anidride carbonica e gli effetti sull’ambiente del ciclo produttivo

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Produzione e recupero, meccanismo di azione, tipologie ,e applicazioni, da quelle classiche a quelle più recenti

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Il Gruppo CAP favorisce il “green” Per il gestore del servizio idrico integrato di Milano la sostenibilità è essenziale nella propria governance aziendale

RIFIUTI La regolazione dei rifiuti oggi

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La tariffa è uno degli elementi centrali per determinare la possibilità o meno di un cambiamento in positivo

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ENTERPRISE EUROPE NETWORK

COUPON DI ABBONAMENTO Desidero abbonarmi ad Hi-Tech Ambiente per un anno (10 numeri, di cui 5 cartacei

BIOMASSE & BIOGAS

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Il processo CApure

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Recupero di biometano oltre il 99,9%, rimozione di composti solforati su carbone attivo e di CO2 mediante adsorbimento chimico con solventi organici

via e-mail alla newsletter

Ragione Sociale Cognome e Nome

ENERGIA

Via

CAP

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Come saranno le batterie del futuro?

Città

Un Rapporto della CE mette in luce aspetti quali la disponibilità dei materiali, le fonti energetiche e il loro fine vita

Tel.

LABORATORI

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Batteri: analisi rapide e sensibili Messo a punto un innovativo sistema analitico in loco, che rileva in massimo 2 ore i diversi microorganismi presenti nell'acqua

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panorama RaPPoRTo IsPRa

I gravi danni all'ambiente Dall’interramento di liquami a Rende, alle emissioni della Tirreno Power a Vado Ligure, per un totale di 30 casi di sussistenza accertata si definisce danno ambientale un deterioramento significativo e misurabile, provocato dall’uomo, ai suoli, alle specie, agli habitat e alle aree protette, alle acque superficiali (fiumi, laghi, mare) e sotterranee. Per la prima volta in Italia si fornisce un resoconto nazionale delle istruttorie tecnico-scientifiche aperte da IsPRa e dal sistema nazionale di protezione dell’ambiente (sNPa) nel biennio 2017-2018 su incarico del Ministero dell’ambiente. I CASI ACCERTATI sono 30 i casi per i quali è stato accertato un grave danno o minaccia ambientale: si tratta di 22 procedimenti giudiziari (penali e civili) e 8 casi extra-giudiziari (iter iniziati su sollecitazioni giunte dal territorio e al di fuori di un contesto giudiziario). In 10 di questi casi il Ministero dell’ambiente si è già costituito parte civile o ha attivato il relativo iter: Ispra fornisce le informazioni su località, danni provocati all’am-

liminare (nei quali l’accertamento del danno è ancora a livello potenziale). La sicilia è la regione dove sono state aperte più istruttorie (29), seguita da Campania (20), Lombardia (14) e Puglia (13). Le attività che potenzialmente possono portare a danno ambientale sono risultate soprattutto quelle svolte dagli impianti di depurazione e di gestione dei rifiuti, dai cantieri edili e di realizzazione delle infrastrutture, dagli impianti industriali. I casi riportati nel Rapporto non rappresentano la totalità di quelli aperti in Italia. Non sono considerati quelli per i quali sono già state avviate azioni di riparazione prima del 2017 (ad esempio i siti di Bussi sul Tirino, Giugliano, Castelvolturno, Taranto e altri), anche sulla base di precedenti istruttorie dell’Ispra. LA NORMATIVA

biente circostante, lavori di riparazione da eseguire e, laddove disponibili, i costi dell’operazione. Tra i casi accertati i danni e le minacce concernenti le discariche di Chiaiano e Casal di Principe in Campania, quelle di Malagrotta e anagni nel Lazio, quella di Bellolampo in sicilia, le emissioni della Tirreno Power a Vado Ligure e Quiliano, l’interramento di fanghi e scarti di lavorazione a Rende in provincia di Cosenza. I 30 casi accertati hanno interessato soprattutto le acque sot-

terranee (32%), laghi e fiumi (23%), i terreni (19%). LA SITUAZIONE IN ITALIA Dei 240 casi segnalati all’Istituto dal Ministero dell’ambiente, nel 2017-2018 sono state aperte 161 istruttorie di valutazione del danno ambientale grazie alle verifiche operate sul territorio da sNPa: 39 per casi giudiziari (sede penale o civile), 18 per extra-giudiziari, 104 istruttorie per casi penali in fase pre-

Elettricità Futura aderisce a Bioenergy Europe Elettricità Futura, associazione delle imprese che rappresenta in Italia e in Europa l’intera filiera industriale elettrica, ha aderito a Bioenergy Europe, organizzazione internazionale no-profit delle bioenergie costituita da 40 associazioni, 90 imprese e istituti di ricerca. Quello della decarbonizzazione è una grande opportunità di crescita economica, di miglioramento ambientale e valorizzazione della filiera industriale, soprattutto nel caso di tecnologie come le bioenergie, strettamente legate al settore agroalimentare, alla manutenzione boschiva, oltre che alla gestione di scarti e sottoprodotti e quindi all'eHi-Tech Ambiente

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a dare una definizione comune di danno ambientale in Europa è intervenuta la direttiva 2004/35/CE che ha introdotto una disciplina unica in tema di responsabilità e riparazione. L’Italia ha pienamente introdotto nella propria normativa il principio di danno ambientale e ad oggi è il paese che dichiara più casi in Europa. Restano, tuttavia, da affrontare alcuni importanti temi, come ad esempio stabilire i criteri per definire la procedura amministrativa, la copertura assicurativa del danno, i criteri di accertamento e quelli di riparazione.

conomia circolare. <<Vogliamo lavorare insieme a Bioenergy Europe per garantire il fondamentale apporto delle bioenergie agli sfidanti obiettivi delle rinnovabili e in materia di sicurezza del sistema elettrico - commenta andrea Zaghi, dg di Elettricità Futura – e in questo momento, in Italia, vi è una grave problematica legata alla dismissione di quasi 3.000 impianti di produzione da bioenergie, in grado di fornire 20 TWh di energia rinnovabile, tramite una produzione programmabile e funzionale alla gestione del sistema elettrico. È pertanto necessario rendere economicamente sostenibile l’approvvigionamento della materia prima utilizzata in questi impianti, oltre che promuovere interventi di ammodernamento, al fine di mantenere elevate performance di generazione nel pieno rispetto degli standard ambientali>>.


È nella fase di progettazione che si definisce l’80% degli impatti che un imballaggio avrà nel corso del suo ciclo di vita. Per questo Conai sostiene e promuove da sempre l’eco-design come strumento fondamentale del sistema dell’economia circolare. a tale riguardo, il Consorzio Nazionale Imballaggi mette a disposizione delle aziende aderenti sistema consortile uno strumento per ridurre l’impatto ambientale dei propri imballaggi: l’EcoD Tool. Evoluzione del tool già usato per valutare la sostenibilità di tutti gli imballaggi che ogni anno vengono iscritti al Bando Conai per la prevenzione, il nuovo EcoD Tool diventa un vero strumento di eco-design, in grado di fornire non solo indicazioni sugli impatti ambientali di un imballaggio, ma anche di proporre per l’imballaggio stesso azioni di miglioramento

ECoD TooL DI CoNaI

L’eco-design a portata di clic Il software che permette di calcolare l’impatto ambientale di ogni imballaggio e di simulare interventi di miglioramento per renderlo più green che lo rendano più sostenibile e di fare dei possibili confronti mediante simulazioni prima/dopo. Utilizzabile on-line, il nuovo software elabora i dati forniti dalle aziende mediante un questionario guidato e fornisce indicazioni sull’impatto del pack in tutte le fasi del suo ciclo di vita, in relazione a consumo di acqua e di energia ed emissioni di anidride carbonica. E, soprattutto, in relazione a questi tre indicatori, suggerisce azioni di eco-design personalizzate in grado di ridurre l’impatto dell’im-

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ballaggio oggetto di analisi. Il grande valore aggiunto del tool è la possibilità di effettuare simulazioni confrontabili al fine di scegliere, fra le soluzioni proposte, la migliore: il software, infatti, è in grado di mostrare che caratteristiche e che impatti avrà il nuovo imballaggio dopo gli interventi di eco-design suggeriti, confrontandolo con le sue caratteristiche di partenza. Un ulteriore indicatore arricchisce questa analisi comparativa: quello della circolarità. Una sorta di valutazione dell’imballaggio, che è tanto più circolare quanto più usa materia riciclata, quanto più è riciclabile e quanto più è riutilizzabile.


approfondimenti

Terre e rocce da scavo: cosa dice la legge DPR 120/2017 e linee guida

Tre i regimi normativi secondo l’attuale legislazione, che ha riordinato la materia e fornito precisazioni per alcune particolari situazioni Con il termine "terre e rocce da scavo" si indica il materiale derivante da scavi in genere (trincee, fondazioni, sbancamenti), perforazioni e trivellazioni del terreno, consolidamento e infissione di pali, opere infrastrutturali (gallerie, strade, ecc.), livellamento e rimozione di opere in terra (rilevati stradali e ferroviari, argini fluviali, ecc.). a prima vista si supporrebbe che, trattandosi di materiale di origine naturale, non dovrebbero esserci problemi di smaltimento, ma la realtà è molto più complessa.

Il principale testo legislativo applicabile è il DPR 120/2017, che ha riordinato la materia, abrogando alcuni decreti precedenti. Tuttavia, alcuni suoi punti necessitavano di maggiori precisazioni, per cui in data 9/5/19 il sistema Nazionale per la Protezione ambientale (sNPa) ha approvato (con delibera n.54) le Linee Guida per l'applicazione di questo decreto. USO COME SOTTOPRODOTTO

I REGIMI NORMATIVI

L'attuale legislazione (D.Lgs 152/06, DPR 120/17) distingue tre diversi regimi normativi: - Terre e rocce da scavo non contaminate, scavate nel corso di attività di costruzione e riutilizzate allo stato naturale nello stesso sito. In base al D.Lgs 152/06 (art. 185, comma 1c), non sono soggette ad alcuna disciplina legislativa, a meno che non provengano da affioramenti geologici naturali contenenti amianto. In quest'ultimo caso si dovrà analizzare il materiale, per verificare che il contenuto di amianto sia inferiore alla Concentrazione soglia di Contaminazione (CsC, stabilita in 1g/kg nelle colonne a e B della Tab. 1, all. 5 al Titolo V, parte IV, D.Lgs 152/06) o ai valori di fondo naturali. se però l'utilizzo di terre e rocce da scavo "naturali" avviene nell'ambito di opere soggette a Valutazione di Impatto ambientale

(VIa) occorre presentare un "Piano preliminare di utilizzo in sito di terre e rocce da scavo escluse dalla disciplina dei rifiuti". Ulteriori dettagli sono contenuti nell'art. 24 del DPR 120/17 - Terre e rocce da scavo riutilizza-

bili come sottoprodotti, nell'ambito della stessa opera, in opere diverse o in processi produttivi - Terre e rocce da scavo che non rientrano nelle categorie di cui sopra e per le quali si applica la normativa dei rifiuti.

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Il DPR 120/17 stabilisce (art. 4, comma 3) le condizioni per poter qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Tali condizioni sono: - le terre e rocce da scavo sono prodotte durante la realizzazione di un'opera, che non ha per fine la loro produzione. ad esempio, se si scava una galleria per far passare una strada, il materiale di scavo può essere qualificato (a particolari condizioni) come sottoprodotto; se si scava una galleria mineraria, il materiale che se ne ricavo non è qualificabile come sottoprodotto - le terre e rocce da scavo soddisfano i requisiti di qualità ambientale, che sono differenziati secondo le dimensioni dei cantieri - le terre e rocce da scavo possono essere riutilizzate "direttamente, ossia senza ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale". Il riutilizzo deve avvenire secondo quanto comunicato all'autorità Competente e all'aRPa con il "Pia-


no di utilizzo" o (per i cantieri di piccole dimensioni) con la "Dichiarazione di utilizzo". Due le possibili modalità: realizzazione di reinterri, riempimenti, rimodellazioni, rilevati, miglioramenti fondiari e viari, recuperi, ripristini e miglioramenti ambientali; in processi produttivi, dove sostituisce materiali da cava. se le terre e rocce da scavo contengono materiali di riporto, i materiali di origine antropica (calcestruzzo, mattoni, plastiche, vetro, metalli, ceramiche, cavi elettrici e simili) non devono superare il 20% in peso; inoltre, queste terre devono essere sottoposte a una particolare prova di cessione, per assicurarsi che non portino contaminazioni alle acque sotterranee. Nei materiali di riporto possono essere presenti rifiuti, purchè non pericolosi. Il deposito intermedio, il trasporto e l'avvenuto utilizzo devono essere documentati secondo una modulistica prestabilita (art. 5,6,7, DPR 120/17).

lizzo è prevista una dichiarazione nella quale il produttore, oltre ad attestare le caratteristiche non inquinanti, indica le quantità di terre e rocce da scavo destinate al riutilizzo come sottoprodotti, l'eventuale sito di deposito intermedio, il sito di destinazione finale, gli estremi delle autorizzazioni per la realizzazione delle opere nelle quali le terre e rocce da scavo verranno utilizzate, e i tempi previsti per l'utilizzo. La dichiarazione deve essere trasmessa al Comune del luogo di produzione e all’aRPa, almeno 15 giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo. Le stesse procedure si applicano nei cantieri di grandi dimensioni relativi ad opere non sottoposte a VIa o aIa. LA "NORMALE PRATICA INDUSTRIALE"

LA DIFFERENZIAZIONE DEI CANTIERI

Gli adempimenti sono differenziati secondo le dimensioni dei cantieri, ossia oltre 6.000 mc di terre e rocce da scavo (grandi dimensioni), o meno di 6.000 mc (piccole dimensioni). Nel caso di cantieri di grandi dimensioni sottoposti a VIa o aIa, almeno 90 giorni prima del previsto impiego di terre e rocce da scavo, deve essere presentato all'autorità Competente e all'aRPa un Piano di Utilizzo. L'autorità Competente può chiedere integrazioni entro i primi 30 giorni; dopo 90 giorni dalla presentazione del Piano o delle integrazioni, qualora l'autorità Competente non abbia notificato il diniego, il Piano si intende accettato e possono iniziare (non oltre 2 anni) i lavori di riutilizzo. I controlli durante i lavori sono eseguiti dall'aRPa competente per territorio; i relativi oneri economici sono a carico del richiedente. Inoltre, entro 30 giorni dalla presentazione del Piano di Utilizzo (o di eventuali integrazioni), l'autorità competente può chiedere ad aRPa di verificare se nelle terre e rocce da scavo che si vogliono utilizzare siano presenti inquinanti in concentrazioni che superano le Concentrazioni soglia di Contaminazione (CsC) stabilite nella Tab.1, Colonne a e B, dell'all. 5 al Tit. V , Parte IV, D.Lgs 152/06.

Nel caso che le concentrazioni di inquinanti presenti nelle terre e rocce da scavo superino le CsC a causa di fenomeni naturali, il proponente può chiedere ad aRPa di definire un piano di indagine per accertare i "valori di fondo naturale". Il piano viene eseguito dal proponente (con oneri a suo carico) in contraddittorio con aRPa, entro 60 giorni dalla sua presentazione. In questo caso, le terre e rocce da scavo possono essere riutilizzate se la concentrazione degli inquinanti non supera i valori di fondo naturali; il riutilizzo può avvenire nel sito di produzione o in un sito diverso, a condizione che questo presenti analoghi valori di fondo naturali. Le terre e rocce da scavo prodotte in siti oggetto di bonifica (già conclusa o in corso) costituiscono un caso particolarmente complesso, per il quale occorre riferirsi alle Linee Guida sNPa (delibera n.54 del

9/5/19). Le stesse Linee Guida stabiliscono i dettagli operativi per i campionamenti e i parametri da analizzare. se nel corso dell'istruttoria o dell'utilizzo avvengono modifiche sostanziali di quanto esposto nel Piano di Utilizzo, occorre presentare un aggiornamento. Per "modifiche sostanziali" si intendono: aumento di oltre il 20% del materiale da utilizzare o smaltire; comportamento difforme (per sito di destinazione, deposito intermedio o utilizzo) a quanto indicato nel Piano di Utilizzo; modifica delle tecnologie di scavo. Per quanto riguarda i cantieri di piccole dimensioni si applicano le stesse prescrizioni relative alle CsC, ai valori di fondo naturale (e alle modifiche sostanziali) già visti per i cantieri di grandi dimensioni. La modulistica risulta semplificata, in quanto al posto del Piano di Uti-

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Le operazioni di normale pratica industriale hanno lo scopo di migliorare le caratteristiche delle terre e rocce da scavo, per renderne l'utilizzo maggiormente produttivo e tecnicamente efficace. operazioni di questo tipo sono: selezione granulometrica, con eventuale eliminazione dei materiali estranei di origine antropica (cioè residui e rifiuti); riduzione volumetrica mediante macinazione; stesa al suolo, per consentire l'asciugatura, la maturazione e l'eventuale biodegradazione naturale degli additivi utilizzati per consentire le operazioni di scavo. Tra le normali pratiche industriali rientra anche il trattamento con calce che, secondo quanto precisato dalle Linee Guida, deve essere indicato nel Piano di Utilizzo, specificandone le modalità e descrivendo le tecniche costruttive adottate e le operazioni previste per prevenire eventuali impatti negativi sull'ambiente. MODULISTICA E PROCEDIMENTO

Gli allegati al DPR 120/17 descrivono in dettaglio la modulistica per il Piano di Utilizzo e le altre comunicazioni, nonchè le procedure di campionamento, di caratterizzazione chimico-fisica e di accertamento delle qualità ambientali. Ulteriori dettagli su questi punti si trovano nelle Linee Guida, in particolare per quanto riguarda i piani di campionamento e le modalità di accertamento dei valori di fondo naturali per terre e rocce da scavo contenenti amianto.


DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

Il carbone attivo evolve Un materiale antico, ma sempre attuale

Produzione e recupero, meccanismo di azione, tipologie e applicazioni, da quelle classiche a quelle più recenti Le proprietà decoloranti e adsorbenti del carbone di legna in forma di polvere fine erano conosciute già nell’antico Egitto. successivamente, nei primi anni del IXX secolo, quando si iniziarono a costruire le prime reti di distribuzione di acqua potabile su larga scala, il carbone in polvere veniva usato per eliminare gli odori dall’acqua. Tuttavia, il carbone usato allora era molto diverso dall’attuale carbone attivo, che viene oggi ottenuto con procedimenti complessi e diversificati secondo l’utilizzo finale; attualmente, alle applicazioni classiche del carbone attivo se ne sono aggiunte di nuove, in particolare nel settore della purificazione del biogas e della bonifica dei sedimenti contaminati. IL PROCESSO DI PRODUZIONE

Le materie prime più utilizzate per produrre il carbone attivo sono i gusci legnosi di origine vegetale, come gli involucri delle noci di cocco e delle mandorle; è possibile usare anche legno, lignite, torba e carbon fossile. L’uso di materiali di origine animale, come ossa e sangue, è oggi praticamente abbandonato, soprattutto dopo l’allarme connesso alla “malattia della mucca pazza”. seguente alle operazioni preliminari di frantumazione, miscelazione ed essiccamento, il primo stadio di produzione consiste nel riscaldamento in assenza di aria, a temperature progressivamente crescenti, fino a 600 °C. Inizialmente (da 100 a 400 °C) si ha l’emissio-

ne delle sostanze organiche volatili, sia di quelle inizialmente presenti che di quelle che si formano per “cracking” delle frazioni organiche a basso peso molecolare. aumentando la temperatura (da 400 a 600 °C) le reazioni di cracking lasciano una massa carboniosa, che presenta già un’elevata porosità; la struttura chimica è simile a quella della grafite, ma i gruppi di atomi di carbonio sono disposti irregolarmente e non hanno una struttura lamellare, essendo collegati da legami carbonio-carbonio orientati in senso verticale. I successivi trattamenti di attivazione hanno lo scopo di “disorganiz-

zare” ulteriormente questa struttura, creando una enorme quantità di pori, cavità, spaccature e altre irregolarità; un grammo di carbone attivo presenta una superficie interna equivalente a quella di un campo di calcio. Lo stadio successivo, cioè l’attivazione vera e propria, si compie in atmosfera di vapor acqueo, a temperatura tra 700 e 1.050 °C. Circa metà del carbonio reagisce con l’acqua, trasformandosi in ossido di carbonio gassoso e lasciando degli spazi vuoti; secondo la dimensione, i pori così formati si distinguono in macropori (diametro >50 nm), mesopori (diametro

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compreso tra 2 e 50 nm) e micropori (diametro <2 nm). Per produrre carboni attivi destinati a impieghi particolari si usa l’attivazione chimica, che consiste nel miscelare la biomassa con un prodotto chimico a forte azione disidratante (acido fosforico o cloruro di zinco), riscaldando poi il tutto da 400 a 700 °C. L’agente disidratante viene recuperato mediante estrazione, lasciando un carbone con pori di maggior diametro rispetto a quelli del carbone attivato con vapore. Dopo l’attivazione, sono generalmente necessari trattamenti di finitura, che variano secondo l’utilizzo previsto. Vengono di solito eseguiti trattamenti di lavaggio con acidi, selezione dimensionale, formazione in granuli, in cilindretti o altri tipi di strutture, impregnazione con sostanze chimiche (tipo argento, per disinfettare l’acqua ad uso potabile, zolfo per assorbire le emissioni di mercurio, sali metallici e ammine per le maschere antigas ad uso militare, ecc.). LE VARIABILI DELL’ADSORBIMENTO

Il meccanismo di azione del carbone attivo (e di altre sostanze dal comportamento analogo) viene chiamato “adsorbimento”. Questa parola indica un fenomeno per cui una sostanza trattiene sulla sua superficie un sottile strato di molecole o ioni di un gas o di un liquido con cui viene a contatto, senza Continua a pag. 10



Continua da pag. 8

Il carbone attivo evolve stabilire un legame chimico stabile, ma soltanto in base a meccanismi di attrazione tra le diverse molecole; si tratta, cioè, di un “legame chimico labile”, che comunque si distingue dall’assorbimento, che indica un fenomeno di tipo puramente fisico, di solito connesso alla capillarità (come avviene nelle spugne o nella carta assorbente). Nel caso del carbone attivo le proprietà adsorbenti sono dovute a due fattori: - la struttura di tipo grafitico, che contiene elettroni “delocalizzati”, cioè liberi di muoversi e quindi in grado di produrre cariche elettriche superficiali; queste cariche esercitano forze di attrazione elettrostatica sulle molecole che hanno una distribuzione asimmetrica degli elettroni di legame - l’enorme porosità, che mette a disposizione una grandissima superficie dove fissare le molecole adsorbite. Le forze di attrazione che producono l’adsorbimento sono piuttosto deboli, per cui si annullano a poca distanza dalla superficie; lo strato adsorbito ha quindi uno spessore corrispondente a quello di una sola molecola. Per stabilire quali molecole possono essere adsorbite occorre considerare il rapporto esistente tra le dimensioni delle molecole e il diametro dei pori del carbone attivo. Le molecole più grosse rispetto al diametro dei pori non riescono ad entrare nei pori stessi, e quindi non vengono adsorbite; d’altra parte le molecole di medie dimensioni vengono adsorbite più stabilmente rispetto alle molecole piccole, perchè avendo un’area maggiore possono formare un maggior numero di legami con la superficie del carbone attivo. ad esempio, per le sostanze organiche volatili a basso peso molecolare, o per l’idrogeno solforato, risulterà efficace un carbone attivo in cui prevalgono i micropori; mentre per adsorbire batteri e sostanze organiche è necessario un carbone mesoporoso. I macropori hanno un ruolo marginale nell’adsorbimento, ma sono necessari per convogliare le molecole da adsorbire fino all’interno della struttura del carbone attivo. La capacità di adsorbimento ha un suo limite quando tutta la superfi-

cie disponibile è coperta da molecole adsorbite; a questo punto il carbone attivo non trattiene più gli inquinanti e deve essere rigenerato. La rigenerazione avviene per riscaldamento, in quanto l’aumento della temperatura accresce l’agitazione delle molecole adsorbite, fino al punto in cui riescono a “sganciarsi” dalla superficie; nelle applicazioni industriali cicliche la rigenerazione è agevolata da un flusso di vapore o di gas inerte, che allontana le molecole che via via si liberano. GAC E PAC

Il carbone attivo viene commercializzato in due tipologie principali: - GaC (Granular activated Carbon), formato da particelle con diametro medio di circa 0,8 mm, contiene di solito pori piccoli e ha una superficie specifica elevata - PaC (Powdered activated Carbon), formato da particelle impalpabili con dimensione inferiore a

0,18 nm, contiene di solito pori più grandi e ha quindi una superficie specifica minore, ma ha un’azione adsorbente molto rapida. Il GaC è usato in tutte le applicazioni in cui il letto di carbone attivo è stazionario e viene attraversato dal flusso da depurare. Il PaC invece viene immesso entro il fluido, trasportato da esso e raccolto in una struttura a valle: l’esempio tipico è costituito dall’iniezione di carbone attivo nei fumi delle centrali termoelettriche a carbone; si inietta PaC nei fumi in uscita dalla caldaia e lo si rimuove a valle, nei precipitatori elettrostatici o nei filtri a maniche. In molte applicazioni GaC e PaC sono intercambiabili: ad esempio, per la rimozione di inquinanti organici delle acque si può far passare l’acqua attraverso un filtro contenente GaC, oppure disperdere PaC nel liquido, che verrà poi filtrato per recuperare il PaC. Nella depurazione dei gas e dell’aria si preferisce di solito utilizzare letti

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fissi di GaC. oltre alle forme GaC e PaC, il carbone attivo viene commercializzato in forma di pellets (ottenuti per estrusione) e di tessuto. LE PRINCIPALI APPLICAZIONI

Le applicazioni industriali del carbone attivo sono numerosissime, ma possiamo distinguere tra le quelle su gas e vapori e quelle su liquidi. Per quanto riguarda le applicazioni su gas e vapori, bisogna premettere che tutte le industrie che utilizzano prodotti contenenti solventi, inchiostri da stampa, vernici, adesivi, ecc., impiegano letti di carbone attivo per evitare l’emissione di soV in atmosfera. Dove i quantitativi di soV sono consistenti, vengono impiegati sistemi ciclici di recupero: un gruppo di assorbitori va in rigenerazione, recuperando le soV adsorbite, mentre un altro gruppo lavora in adsorbimento, e periodicamente i due gruppi si alternano. I carboni attivi sono largamente utilizzati in tutti i casi in cui occorra eliminare cattivi odori dall’aria. abbiamo già accennato alla rimozione del mercurio dai fumi delle centrali termoelettriche a carbone, ma lo stesso processo viene impiegato negli inceneritori di rifiuti, dove grazie ai carboni attivi vengono rimosse efficacemente anche le diossine. Nel settore dei gas industriali è importante l’uso del carbone attivo nella purificazione della Co2 ottenuta per fermentazione. Un’applicazione che sta assumendo importanza sempre maggiore è l’upgrading del biogas a biometano, mediante trattamento su carboni attivi in due passaggi: nel primo passaggio si usa un carbone attivo impregnato con rame o con cromo esavalente, che fissa l’idrogeno solforato ossidandolo a zolfo elementare; nel secondo passaggio si possono usare carboni attivi dello stesso tipo, oppure non impregnati


(che sono più economici). Infine, un’applicazione non legata ai processi di purificazione è l’uso del carbone attivo come supporto per catalizzatori. Nell’ambito, invece, delle applicazioni su liquidi, come accennato all’inizio, il trattamento dell’acqua potabile costituisce storicamente la prima applicazione su larga scala del carbone attivo, e questa è tuttora una delle principali. Un recente sviluppo è rappresentato dall’attivazione con ozono, che viene impiegata per eliminare agenti patogeni e microinquinanti, allo scopo di consentire il riutilizzo di acque reflue per usi agricoli e industriali. L’acqua da depurare viene prima inviata ad una camera di ozonizzazione e successivamente addizionata di carbone attivo e filtrata. Nel settore delle acque di processo, il carbone attivo è usato per la rimozione dei composti organici dove sia necessaria acqua di elevatissima purezza, come nelle industrie farmaceutiche ed elettroniche; nelle acque di scarico industriali, il trattamento su carbone attivo costituisce uno stadio di finissaggio utile a rimuovere idrocarburi alogenati, derivati dal petrolio e composti fenolici, oltre che i residui di coloranti degli effluenti dell’industria tessile. Un’applicazione nuova e particolarmente interessante è l’impiego di carbone attivo nella decontaminazione di sedimenti marini o fluviali. Il carbone attivo può essere miscelato nel sedimento, oppure incorporato in materassi di geotessile, posizionati sopra i sedimenti contaminati. sono stati sviluppati carboni attivi con elevata capacità di adsorbimento su PCB, idrocarburi pesanti, diossine e furani, anche in presenza di materiali organici di origine naturale; impiegando questi carboni attivi secondo le modalità indicate da un modello sviluppato dall’Università Tecnica del Texas (denominato CaPsIM), è possibile bloccare i contaminanti per un periodo di 100 anni o più.

Chemviron: carboni e servizi

Chemviron è la filiale europea di Calgon Carbon, una multinazionale americana pioniera nella creazione di nuovi prodotti, sistemi e servizi nel settore dei carboni attivi, dei filtri a carbone e dei sistemi di purificazione. Calgon fornisce attualmente numerose tecnologie utilizzate in oltre 700 applicazioni di mercato (tra cui purificazione dell’aria, potabilizzazione delle acque, riciclo e recupero del carbone esausto). Chemviron dispone di sei impianti di produzione e tre impianti di riattivazione, e offre un pacchetto

completo di servizi di riattivazione, comprensivi di movimentazione del carbone esausto presso il sito del cliente, trasporto e recupero del carbone tramite appositi filtri mobili. Il carbone esausto estratto dai filtri viene conferito in un impianto mediante mezzi autorizzati, gestendo tutto il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti. MODALITA’ DI RIATTIVAZIONE

Tre le tipologie di riattivazione dei carboni esausti: riattivazione

I CarboSorb di Comelt La Comelt è un’azienda italiana nata nel 1995, che commercializza carboni attivi destinati a diversi trattamenti, quali la purificazione di aria, acqua, e più generalmente, di gas e liquidi. Essa dispone di oltre 4.000 mq di magazzini e di una struttura logistica avanzata; ciò consente un’ampia disponibilità ed una pronta distribuzione dei prodotti. La società possiede inoltre un impianto di lavaggio di carboni attivi, che consente di raggiungere i più elevati livelli di purezza per applicazioni esclusive. Grazie ad una unità di impregnazione di carboni attivi e allumine, l’azienda svilup-

pa e produce prodotti speciali (omologati e brevettati) per il chemiadsorbimento di composti inorganici e tossici; essa dispone, inoltre, di un impianto di riattivazione di carboni attivi granulari, in cui vengono rigenerati i carboni attivi esauriti. Per migliorare i servizi logistici legati al trasporto e al recupero dei carboni attivi esausti, Comelt ha istituito un centro di stoccaggio temporaneo di rifiuti (ossia carboni attivi granulari esausti) per il successivo invio al recupero mediante il servizio di riattivazione termica; inoltre, mette a disposizione dei clienti un impianto pilota

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dedicata, riattivazione per caratteristica e riattivazione alternativa di smaltimento. La riattivazione dedicata è un servizio studiato con il cliente, che può riattivare il suo carbone attivo esausto con trattamenti “su misura”. Questo approccio, spesso adottato dai gestori di reti idriche, consente di mantenere la completa tracciabilità del carbone attivo durante l’intero processo di riattivazione. Nella riattivazione per caratteristica il carbone attivo viene conferito come rifiuto e successivamente classificato e gestito in lotti omogenei in base alle caratteristiche chimico-fisiche; in questo modo si garantisce la disponibilità immediata di quantità precise di carbone riattivato, con le specifiche tecniche richieste dal cliente. La riattivazione alternativa di smaltimento è prevista nei casi di decommissioning, fermata di impianti o dove sia richiesto lo smaltimento dei carboni attivi a seguito di attività di controllo. Ebbene, in questi casi è possibile riattivare il carbone esaurito senza alcun obbligo di ri-acquisto da parte del cliente. Ciò rappresenta un’alternativa vantaggiosa rispetto allo smaltimento tradizionale, evitando i costi che ne deriverebbero. Continua a pag. 12 mobile, in grado di sperimentare ogni possibile soluzione tecnica per la depurazione dei carboni attivi. L’azienda dispone anche di un proprio laboratorio di analisi, nel quale ricerca nuove soluzioni e sviluppa processi di trattamento, avvalendosi di un team di personale qualificato. Tra le applicazioni più recenti, interessante la rimozione di perfluoroalcani (PFos e PFoa) dalle acque di falda, dove sono state raggiunte efficienze di abbattimento superiori al 99%. allo scopo, infatti, sono stati messi a punti i carboni attivi mesoporosi Carbosorb 1240 e Carbosorb 830, che operano con tempi di contatto da definire in funzione delle caratteristiche generali delle acque da trattare.


Continua da pag. 11

raggiamento con UV.

Chemviron: carboni e servizi

NOLEGGIO FILTRI MOBILI

TECNOLOGIE DISPONIBILI

Chemviron offre la soluzione ideale per rispondere alla crescente domanda da parte delle aziende di riduzione dei costi: il servizio noleggio dei filtri mobili consente infatti di risparmiare sull’acquisto dell’attrezzatura, sul trattamento e sulla manodopera. La consegna dei filtri è rapida, e inoltre essi sono facili da installare e avviare, e il personale della Chemviron è disponibile per offrire assistenza in situ. La gamma dei filtri Chemviron per i trattamenti in fase liquida (Cyclesorb) o gassosa (Cyclevent) è costituita da unità mobili con volumi di carbone attivo fino a 30 mc.

oltre alla riattivazione dei filtri mobili, Chemviron offre diversi servizi e tecnologie complementari, quali: laboratori per testare il carbone da selezionare; prove pilota per l’installazione e la supervisione dei filtri mobili; sviluppo di soluzioni su misura per il cliente; installazione e avvitamento dell’attrezzatura (compreso il training per la gestione e la manutenzione); rimozione e sostituzione del carbone attivo utilizzato; eventuali tecnologie alternative, come lo scambio ionico in continuo (IsEP), la filtrazione su perlite o terra di diatomee, l’ir-

Desotec: l’adatto carbone attivo

Desotec commercializza carboni attivi con una particolare attenzione ai problemi del cliente. L’azienda, infatti, dopo approfondite analisi di laboratorio, seleziona il tipo di carbone attivo più adatto, insieme al sistema più appropriato di filtro mobile. Il carbone è immediatamente disponibile, l’installazione avviene rapidamente, e quando il carbone attivo è esausto l’azienda assicura la tempestiva sostituzione del filtro completo e la riattivazione del carbone attivo in essa contenuto (24 ore su 24, 7 giorni su 7). Desotec con una grande flotta di filtri mobili, fornisce sistemi mobili per applicazioni nei settori di: bonifica di siti contami-

Jacobi Carbons: 2.400 diverse tipologie

nati e risanamento delle discariche, depurazione delle acque reflue, purificazione delle emissioni in atmosfera, purificazione del biogas purificazione di prodotti chimici e alimentari. Per molti clienti, il filtro mobile a carbone attivo è la soluzione migliore, in quanto offre vari vantaggi: facilità d’uso, nessuna spesa di manutenzione, evita la manipolazione in situi del carbone esausto e fresco, flessibilità di impiego in quanto le unità Desotec possono trattare tipologie, flussi e concentrazioni molto diverse.

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La lunga esperienza e l’attenzione nei confronti dei problemi della clientela hanno portato la Jacobi Carbons alla formulazione di oltre 2.400 tipi diversi di carboni attivi, che vengono ottenuti da 5 diverse materie prime: gusci di noce di cocco, carbone bituminoso, antracite, lignite, legno. ogni materia prima fornisce un prodotto con diverse caratteristiche, che viene ulteriormente “personalizzato” con i trattamenti di attivazione e con le forme del prodotto finito (in polvere, in granuli, estruso). oltre agli usi classici nella depurazione dell’aria e delle acque di processo, i carboni attivi Jacobi si sono rivelati particolarmente utili nei trattamenti di de-

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purazione spinta delle acque di scarico, grazie alla loro capacità di adsorbire microinquinanti come residui di prodotti farmaceutici, sostanze radio-opache e diserbanti come l’atrazina. anche le sostanze naturali come geosmina e metilisoborneolo, che spesso creano problemi nelle riserve di acqua per uso potabile, vengono adsorbite con i carboni attivi Jacobi; di particolare interesse è la possibilità di usare unità filtranti mobili, disponibili in tempi brevi e adatte alle più diverse esigenze. L’azienda offre anche servizi diversificati di riattivazione e rigenerazione dei carboni attivi esausti.



RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

La regolazione dei rifiuti oggi Poco spazio a qualità e scarsa flessibilità

La tariffa è uno degli elementi centrali per determinare la possibilità o meno di un cambiamento in positivo Come determinare il valore monetario di un servizio? Quale costo per chi ne usufruisce? Quanto incide la qualità con la quale il servizio è svolto, considerando che tra zona e zona esiste una distanza qualitativa talvolta siderale? a questo si aggiungano altri fattori e cioè: che il prezzo di cui si discute non è determinato dall’azionamento di leve di marketing, ma dalle deliberazioni di organismi super partes come arera o dalle decisione dei Comuni e che la materia della discussione è la gestione dei rifiuti, una questione che ci riguarda tutti da vicino. Con il Documento per la Consultazione DCo 35119, pubblicato il 30/7/2019, l’authority sta cercando un modo per assicurare a utenza e operatori trasparenza, uniformità e tariffe aderenti ai reali costi. secondo il team di REF Ricerche, com’è intuibile la tariffa (ovvero quanto paghano gli utenti per il servizio offerto) è uno degli snodi centrali per determinare la possibilità o meno di un cambiamento in positivo. Infatti, un avanzamento generalizzato del servizio passa, se non totalmente almeno in massima parte, dalla concreta possibilità di investimento di risorse monetarie da parte delle a-

ziende del settore per migliorare l’attività in ogni sua fase, dalla raccolta allo smaltimento. Ciò significa più risorse per le infrastrutture, per il personale, per l’acquisto di mezzi e tecnolgie o di quanto serve per soddisfare le esigenze dei territori di pertinenza. Un altro elemento da considerare è proprio la diversità qualitativa che esiste tra realtà territoriali o urbane, con alcune caratterizzate da un buon grado di efficienza e

altre, invece, dove (e la cronaca ne è piena) il servizio funziona male o malissimo. E non parliamo solo dell’accumulo sistematico e molto visibile della spazzatura lungo le strade, ma anche dell’assenza di infrastrutture adeguate per il riciclo o lo smaltimento. Un terzo elemento, altro punto nodale del metodo tariffario, è il riconoscimento dei cosiddetti costi di capitale, indubbiamente alti quando un’azienda che opera nel

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settore dei rifiuti si trova a dover investire denaro in un impianto esso sia di trattamento, smaltimento o altro. E arera, per incentivare gli investimenti del ciclo dei rifiuti urbani, sembra dirigersi verso un'impostazione regolatoria del tipo RaB-based (Regulatory asset Base). Un modello di remunerazione, in genere, usato per aziende di pubblica utilità che erogano un servizio i cui costi di capitale (le risorse investite in infrastrut-


ture, per esempio) sono piuttosto elevati. È accaduto così anche per il sistema Idrico, con quelle utility che hanno finanziato progetti di forte impatto economico. Un sistema che probabilmente assicura buoni incentivi per quei territori che presentano una carenza di impianti, laddove la gestione integrata del servizio comprende anche la realizzazione degli impianti e in cui prevalentemente operano aziende pubbliche. Questa è una prima criticità. In contesti del genere, una maggiore quantità di risorse a disposizione non conduce necessariamente a investimenti nella costruzione di infrastrutture e impianti. Inazione, opposizione delle popolazioni locali da una parte e scarsa volontà di dialogo dall’altra, logiche di conservazione dello status quo, sono le cause che spesso portano questa tipologia di aziende a preferire la fase della raccolta (anche porta a porta) a quello dello smaltimento. Di conseguenza si preferisce sovrainvestire sulla prima, nonostante non vi sia una reale necessità o sebbene i costi superino i benefici, e trascurare o rinviare a momenti futuri la seconda. È evidente che assumere più personale, acquistare più automezzi o dotarsi di nuove e costose tecnologie sia più semplice in assoluto e più vantaggioso in termini di consenso sul territorio piuttosto che decidere per la costruzione di un impianto (per tutto quanto comporta in termini di lavoro di pianificazione, progettazione e approvazione). Va da sé che questo sistema presenta evidenti limiti nelle realtà più avanzate del Paese, cioè dove il servizio funziona bene e secondo moderne logiche aziendali. La principale criticità? Con questo sistema (RaB-based) si finirebbe per riconoscere tariffe sensibilmente inferiori agli attuali prezzi di mercato con la conseguenza di penalizzare proprio quegli operatori più virtuosi o lungimiranti che, avendo già investito risorse in mezzi e infrastrutture, assicurano all’utenza un servizio tanto efficiente come efficace. Un servizio che non ha solo concorso a rendere migliore la qualità della vita dei territori interessati (liberi da emergenze rifiuti lungo le vie), ma che ha fornito il suo contributo al raggiungimento della cosiddetta “autosufficienza nazionale” nello smaltimento.

Un ulteriore rischio è che l’approccio di remunerazione assetbased proposto da arera ponga in secondo piano la “qualità del servizio”, anche laddove la qualità già esiste. offrendo incentivi deboli agli operatori che hanno raggiunto standard elevati e che sono maggiormente orientati al mercato, si corre il pericolo di spingere questi stessi soggetti ad abbandonare le fasi della raccolta e del trasporto in favore di altre attività

economicamente più remunerative. Quale soluzione, dunque? Una possibilità per scongiurare questo scenario è quella di spostare il focus verso obiettivi importanti di miglioramento della qualità del servizio, in particolare sui versanti ambientali, come quelli sul riciclaggio, che portino a investimenti per migliorare la raccolta e ridurre l’incidenza del rifiuto indifferenziato nel processo di smaltimento.

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Un po’ come è avvenuto nel servizio idrico integrato, ci si attende che la regolazione incentivante garantisca adeguati livelli di qualità del servizio e un’infrastrutturazione del settore compatibile con i target stabiliti dall’Unione Europea. Con un warning di carattere generale: troppa regolazione può diventare elemento d’intralcio alle dinamiche di mercato, specialmente in quei contesti dove il mercato funziona.


biomasse & biogas

Il processo CApure Puregas Solutions

Recupero di biometano oltre il 99,9%, rimozione di composti solforati su carbone attivo e di Co2 mediante adsorbimento chimico con solventi organici

La svedese Puregas solutions (parte del gruppo Wartsila) è specializzata nell'elaborazione di soluzioni efficienti e affidabili per il trattamento del biogas. Nei suoi vent'anni di attività, ha sviluppato l'esclusivo processo Capure, in cui il biogas viene trasformato in biometano, da essere immesso direttamente in rete, da essere compresso per l'alimentazione di veicoli o liquefatto per ottenere carburante in forma liquida. In ogni caso, si tratta di un carburante alternativo che presenta minime emissioni di Co2. Tale processo recupera oltre il 99,9% del biometano presente nel biogas, rimuovendo i composti solforati su carbone attivo e separando la Co2 mediante un processo di adsorbimento chimico basato sull'impiego di solventi organici; la Co2 può essere segregata e impiegata per usi commerciali.

L'ultimo innovativo progetto della Puregas solutions si è concluso con la costruzione di un impianto in grado di produrre fino a 2.000

Nmc/h di biogas dalla digestione anaerobica di scarti e residui alimentari; il biogas viene poi trasformato in biometano e succes-

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sivamente compresso a una pressione di 250 bar. Il biometano compresso viene poi stoccato in autocisterne capaci di portare fino a 6.000 mc presso gli impianti di cogenerazione. L’azienda, inoltre, offre soluzioni economiche su piccola scala per la trasformazione del biogas e la successiva trasformazione in biocarburante liquido, destinato all'impiego per autotrazione. Infatti, piuttosto che liquefare il gas naturale proveniente dalla rete di distribuzione, l'impiego del biometano consente consistenti vantaggi economici e ambientali, così come la miscelazione del gas naturale e del biometano per la produzione di carburante liquido a minori emissioni di Co2. al momento la Puregas propone quattro impianti, della capacità rispettivamente di 6, 10, 17 e 25 ton/giorno di biocarburante liquido.


energia

Come saranno le batterie del futuro? Aspetti tecnici e ambientali

Un Rapporto della CE mette in luce aspetti quali la disponibilità dei materiali, le fonti energetiche e il loro fine vita La Commissione Europea ha recentemente pubblicato un rapporto dal titolo "Towards the battery of the future", che passa in rassegna gli aspetti tecnici e ambientali delle batterie. Il tema è considerato di primaria importanza, in vista degli obiettivi europei di "decarbonizzazione dell'economia": entro il 2050 la CE punta a ridurre dell'80% le emissioni di Co2 rispetto al 1990. Questo ambizioso obiettivo è realizzabile soltanto convertendo completamente la produzione di elettricità alle energie rinnovabili ed eliminando i carburanti derivati dal petrolio, che dovranno essere sostituiti con la trazione elettrica e con i biocarburanti. La disponibilità su larga scala di batterie efficienti, durevoli e con basso impatto ambientale è indispensabile:

Batteria agli ioni sodio

grandi batterie immagazzineranno energia nei momenti di sole e vento favorevoli, per restituirla di notte o in assenza di vento, in modo da assicurare continuità alle forniture di energia elettrica; batterie più piccole forniranno energia alle auto elettriche, mentre in casa diventeranno un elettrodomestico di uso generalizzato, come sono oggi i frigoriferi.

I PROBLEMI DELLE ATTUALI BATTERIE

Il primo problema da affrontare, nell'ipotesi di un incremento esponenziale nell'uso delle batterie, è la disponibilità dei materiali. sembra che ci siano sufficienti riserve della maggior parte dei componenti delle batterie al litio (che sono la tipologia di batteria

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che sta avendo la maggior diffusione sul mercato); ma non potremo fare affidamento all'infinito su queste riserve e, inoltre, restano preoccupazioni per la sicurezza (in particolare tossicità e infiammabilità) di alcuni componenti di queste batterie. Un altro importante aspetto è quello energetico (cui è strettamente connesso quello ambientale): ci vuole energia per costruire le batterie e altra energia per caricarle. Infatti, la produzione su larga scala di batterie al litio consuma notevoli quantità di energia elettrica, con i relativi impatti ambientali derivanti dalla attuale produzione elettrica da fonti fossili (come emissioni di gas serra e inquinanti). Continua a pag. 18


Continua da pag. 17

tonomia dei veicoli elettrici in quanto, a parità di potenza, possono fornire energia per un tempo maggiore rispetto a una batteria a bassa densità, abbassando la frequenza delle ricariche. Le batterie ad alta densità sono preferibili anche sotto l'aspetto dell'impatto ambientale legato alla produzione in quanto, per produrre una certa quantità di energia, sono necessarie meno batterie di quante ne occorrerebbero impiegando batterie a bassa densità.

Come saranno le batterie del futuro? occorre poi considerare il problema del "fine vita", cioè il riciclo e lo smaltimento finale di ciò che non può essere riciclato. sotto questo aspetto è importante incrementare il tempo di vita utile per ridurre i costi, il consumo di risorse e i relativi impatti ambientali: la vita utile delle batterie può essere aumentata mediante miglioramenti tecnologici nella produzione, ma anche recuperando e riciclando le vecchie batterie, ad esempio convertendo le vecchie batterie per auto in batterie per l'accumulo domestico. Queste strategie sono parte di una "economia circolare" diretta a diminuire l'impatto derivante dal consumo di risorse, assicurando una riserva di materie prime secondarie e a superare i problemi legati allo smaltimento delle batterie esauste. Per realizzare ciò è necessario adottare un nuovo approccio, che includa fin dalle prime fasi di progettazione i requisiti necessari in vista del futuro recupero e riciclo della batteria (come la modifica del design delle batterie in modo da facilitarne lo smantellamento). LITIO, COBALTO, NIKEL E MANGANESE

Come accennato precedentemente, la produzione di batterie al litio sta crescendo rapidamente e si prevede per loro una forte diffusione nel prossimo futuro. Nonostante la ricerca sia già impegnata a migliorare la loro efficienza, si ritiene che presto esse raggiungeranno il loro limite massimo, in particolare in termini di densità energetica. E’ quindi evidente l'importanza di individuare possibili materiali alternativi, in grado di offrire migliori rese energetiche e migliorare l'impatto ambientale. In realtà quella delle batterie al litio non è una singola tecnologia, ma un insieme di tecnologie, che si differenziano tra loro in quanto combinano l'azione degli ioni litio con altri materiali, in modo da ottenere diverse proprietà: esistono ad esempio le batterie litio-ossido di cobalto (chiamate "LCo"), che sono maggiormente diffuse per le ap-

POSSIBILI MATERIALI ALTERNATIVI Batteria litio-aria

parecchiature elettriche ed elettroniche portatili, e le batterie litio-nickel-manganese-ossido di cobalto ("NMC"), il cui impiego si sta diffondendo per l'alimentazione dei veicoli elettrici. In ogni caso, è vero che al momento i principali componenti (litio, manganese, nickel e grafite) sono disponibili in abbondanza; ma i giacimenti sono concentrati in pochi Paesi (quasi tutti extraeuropei), che non assicurano una fornitura continua e a prezzi stabili. Inoltre, sembra improbabile che le riserve di cobalto, e forse anche di litio, siano sufficienti per sostenere nel lungo termine la crescente domanda del mercato, alimentata dalla sempre maggiore diffusione dei veicoli elettrici. In particolare, il 64% del cobalto naturale è concentrato nelle miniere del Congo (nazione notoriamente instabile politicamente); esso può anche essere ottenuto come sottoprodotto o co-

prodotto della lavorazione del rame e del nickel, ma in tal caso la sua disponibilità dipende dalla domanda di quest’ultimi materiali. Per tali motivi, i ricercatori stanno lavorando a soluzioni volte ad abbassare il contenuto di cobalto nelle batterie, ma si ritiene che ciò non sarà comunque sufficiente se la diffusione dei veicoli elettrici continuerà a seguire il trend attuale. oltre al riciclaggio, un'altra via è lo sviluppo di batterie a elevata densità energetica, che richiedono minori quantità di materiali e, quindi, riducono la domanda di materie prime e il relativo impatto ambientale. L'elevata densità è particolarmente importante per le apparecchiature portatili (telefonia, computer, ecc.), che richiedono batterie piccole e leggere; mentre per le applicazioni nel settore dell'autotrazione, le batterie ad alta densità sono di cruciale importanza per aumentare l'au-

Litio-zolfo è considerata una delle tecnologie più promettenti per la produzione di batterie di nuova generazione per i veicoli elettrici. Queste batterie contengono litio, ma sono prive di nickel e cobalto, sostituiti dallo zolfo (che è economico e ampiamente disponibile); inoltre, si stima che abbiano un impatto ambientale inferiore del 22% rispetto a una batteria al litio, in quanto le attività estrattive sono ridotte. attualmente, comunque, le batterie al litio-zolfo presentano una bassa densità volumetrica (ossia sono leggere ma ingombranti) Litio-aria sono batterie che impiegano ossigeno come elettrodo positivo. In teoria, esse potrebbero raggiungere una densità energetica 10 volte superiore rispetto alla maggior parte delle batterie oggi disponibili, ma in pratica richiedono una quantità significativa di componenti aggiuntivi per evitare che l'ossigeno puro si diluisca con l’aria ambiente, e ciò abbassa drasticamente la loro densità energetica Ioni sodio, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, sembra essere la tecnologia più promettente, in quanto non impiega litio e il sodio è ampiamente disponibile, economico e "pulito". La densità energetica è inferiore rispetto alle batterie al litio, per questo l'impiego più appropriato per queste batterie è di tipo "statico" (domestico o industriale), in cui il contenimento di peso e volume non sono requisiti essenziali; un'alternativa è l'utilizzo per la trazione di mezzi pesanti. SOSTITUIRE IL COBALTO

I produttori di batterie al litio Hi-Tech Ambiente

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stanno gradualmente riducendo il contenuto di cobalto nei catodi, sostituendolo con manganese o litio e fosfato di ferro. La densità energetica è minore, ma l'alta stabilità e l'elevata capacità di stoccaggio energetico rende queste batterie interessanti per applicazioni su larga scala, come nelle reti elettriche. FINE VITA E RICICLO

Il riutilizzo è uno dei "pilastri" dell'economia circolare, in quanto aumentando la vita utile di un prodotto si può diminuire sensibilmente l'impatto ambientale. Per quanto riguarda le batterie dei veicoli elettrici, quando esse hanno perso il 20-25% della loro capacità iniziale, potrebbero essere impiegate in altre applicazioni, dopo una opportuna riconversione. E' anche possibile restaurare una batteria per renderla nuovamente idonea al suo impiego originario, esaminando e recuperando ogni componente possibile; per le batterie al litio esaurite è possibile "restaurare" i catodi restituendo loro l'originario contenuto di li-

Batteria litio-nickel-manganese-ossido di cobalto (NMC)

tio. Per questo è particolarmente importante definire dei "principi progettuali", che già al momento della produzione della batteria rendano le future operazioni di disassemblaggio semplici, economiche e sicure per il personale addetto e per l'ambiente. oltre a incrementare un uso efficiente delle risorse, il riciclaggio porta a diretti vantaggi ambientali: produrre una batteria riciclando i catodi e i componenti in rame e alluminio potrebbe ridurre

del 50% le emissioni di gas serra rispetto all'impiego di materie prime vergini, oltre a un abbattimento prossimo al 100% delle emissioni di ossido di zolfo (derivanti dalla fusione del minerale di cobalto). Mentre il riciclaggio delle batterie per auto tradizionali nell’EU ha ormai raggiunto livelli elevati grazie alla loro semplicità costruttiva e allo sviluppo consolidato di una filiera di recupero, il riciclo delle batterie al litio è in-

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vece molto più difficile, in quanto esse contengono una varietà di materiali diversi e il loro design è molto più complesso e variabile a seconda del produttore. Inoltre, le attuali tecnologie di recupero delle batterie al litio sono energeticamente dispendiose. Inoltre, le batterie al litio esaurite rappresentano un problema emergente, soprattutto a causa della crescente diffusione dei veicoli elettrici: si calcola che entro il 2020 esse supereranno i 25 milioni di unità. secondo la legislazione europea, queste batterie non possono essere smaltite in discarica, in quanto disperdono sostanze potenzialmente tossiche e possono anche esplodere; e non possono neanche essere inviate a incenerimento. In molti casi, il riciclaggio delle batterie si limita attualmente al recupero di cobalto, nickel e rame (ossia i componenti di maggior valore economico), mentre altre sostanze non vengono riciclate, sebbene ciò sia tecnicamente possibile. ad esempio, il litio spesso finisce nei rifiuti dei processi di riciclaggio, che vengono utilizzati come materiale da costruzione.


laboratori

Batteri: analisi rapide e sensibili Progetto Cyto-Water

Messo a punto un innovativo sistema analitico in loco, che rileva in massimo 2 ore i diversi microorganismi presenti nell'acqua I microorganismi presenti nell'acqua sono spesso causa di malattie infettive che rappresentano il rischio sanitario più comune e diffuso; ridurre tale rischio migliorerebbe indubbiamente la reputazione e la competitività di aziende come società idriche, alberghi, industrie alimentari e impianti chimici. Per raggiungere questi obiettivi è stato varato il progetto europeo Cyto-Water, nel cui ambito è stato sviluppato un innovativo sistema analitico in loco, in grado di rilevare rapidamente i diversi microorganismi presenti nell'acqua. Il processo analitico, che dura al massimo due ore, è stato convalidato per l'individuazione dei microorganismi Legionella ed E.coli, ma può essere facilmente adattato per individuare altri microorganismi, in modo da consentire la tempestiva adozione di azioni decisive dirette a contenere il contenimento di potenziali focolai di malattia. La nuova piattaforma funziona concentrando automaticamente un campione d'acqua ed etichettando automaticamente ogni microorganismo oggetto di studio. ogni specifico microorganismo etichettato per campione viene rilevato e contato per mezzo di un citometro per immagini a fluorescenza (che è come una sorta di microscopio senza lente, che individua la presenza di un microrganismo in base alla fluorescenza emessa). Uno dei principali vantaggi del sistema è che può essere implementato in loco, evitando di dover inviare i campioni in laboratorio e attendere giorni per i ri-

sultati. Nel caso della Legionella, i metodi tradizionali basati sull'isolamento delle colture possono richiedere fino a 12 giorni, mentre la piattaforma Cyto-Water fornisce risultati definitivi in sole due ore. Un altro vantaggio è che ognuno dei tre moduli utilizzati nel campionamento, etichettatura e conteggio dei patogeni può essere venduto singolarmente, aprendo le porte a un mercato potenzialmente più ampio. ad esempio, il modulo di etichettatura automatica potrebbe essere adattato al flusso di lavoro di laboratori di diversi settori, come ospedali e università. Cyto-Water, quindi, è una piattaforma universale con applicazioni per qualsiasi tipo di microorganismo acquatico, con un potenziale enorme (dal monitoraggio dello Pseudomonas e del Mycobacterium nelle strutture ospedaliere, alla rilevazione di inquinamenti e contaminazioni da agenti patogeni negli impianti per la preparazione di alimenti e bevande). Per realizzare la piattaforma di analisi, il team del progetto ha dovuto affrontare una serie di sfide tecniche, come l'integrazione delle tecnologie per la concentrazione, l'etichettatura e la rilevazione degli agenti patogeni all'interno di un sistema analitico miniaturizzato, e assicurare una sensibilità del citometro adeguata al soddisfacimento dei rigorosi standard normativi. I diversi moduli sono stati adattati e convalidati uno a uno per garantire la loro conformità alle specifiHi-Tech Ambiente

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che di mercato. sono state pertanto valutate le prestazioni operative in condizioni reali; un confronto ambientale ed economico con i tradizionali campionamenti spot ha indicato che Cyto-Water è più efficiente dal punto di vista ambientale per il rilevamento della Legionella, ed è meno costoso perchè necessita di meno personale e mezzi di trasporto, essendo

realizzato in forma di apparecchiatura portatile. sono attualmente in corso di definizione nuovi piani commerciali e di valorizzazione per capire come ottimizzare ulteriormente i costi di produzione. saranno inoltre effettuate analisi commerciali per determinare il livello di richiesta della piattaforma e dei singoli moduli da parte dei clienti.

CoMPETENZa E QUaLITa’ DEI CoNTRoLLI

nei confronti dell’acqua erogata da aQP>>. Nel 2018, i laboratori hanno effettuato sulle acque potabili, analisi su oltre 15.000 campioni prelevati su acque distribuite e fonti, per oltre 452.000 parametri. alcuni principali indicatori di potabilità sono, altresì, controllati in tempo reale da remoto, attraverso il telecontrollo, un articolato sistema di sensori distribuiti lungo l’intera rete di adduzione. aQP ha sottoscritto con l’Istituto superiore di sanità una convenzione finalizzata alla redazione di un Piano di sicurezza dell’acqua (Psa). Il progetto coinvolge arpa Puglia e l’assessorato Regionale alla salute. L’approccio innovativo alla base del Psa prevede l’esame dell’intero sistema idrico in un’ottica preventiva, al fine di valutare in anticipo i rischi e porre in essere eventuali contromisure.

I laboratori di AQP promossi analisi su campioni di acque distribuite e di fonti, per oltre 452.000 parametri, di cui alcuni in tempo reale da remoto grazie al telecontrollo I controlli sull’acqua di rubinetto effettuati dai laboratori di acquedotto Pugliese sono affidabili e di elevata qualità tecnica. E’ quanto certifica anche quest’anno accredia. <<L’acqua – sottolinea simeone di Cagno abbrescia, presidente di aQP - è una risorsa preziosa e grazie ai controlli che effettuiamo ininterrottamente sulle reti, siamo in grado di garantire acqua buona a quattro milioni di cittadini>>.

Dopo dieci giorni di visite ispettive nei laboratori aQP di Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto il team di ispettori di accredia, composto da esperti in microbiologia e chimica, ha confermato che i laboratori aQP operano in conformità con la severa norma Iso17025:2018 e rilevato con quanta attenzione e professionalità sono eseguite le analisi sull’acqua potabile. <<Bere l’acqua di rubinetto –

commenta Nicola De sanctis, amministratore delegato - rappresenta una scelta sostenibile, sempre più condivisa. In base a una recente indagine di customer satisfaction, condotta da un primario istituto di rilevazioni statistiche, un numero sempre più elevato di clienti dichiara di bere l’acqua di acquedotto Pugliese. Il 54,8% rispetto al 52,8% del 2014. Un trend in continua crescita, segno di una sempre maggiore fiducia

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reti idriche WaTER saFETy PLaN

La best practice di Acque Rendere ancora più sicura l’acqua di rubinetto, ridisegnando il settore dei controlli con un modello basato su un sistema globale, che si prenda cura della risorsa idrica dal punto di captazione fino all’utenza finale. È la missione dei Piani di sicurezza dell’acqua, conosciuti anche come Water safety Plan, il nuovo modello introdotto dall’oMs e recepito dalla normativa europea in materia di valutazione e gestione dei potenziali rischi nell’erogazione dell’acqua potabile. Un approccio che supera il concetto di “controllo” giungendo a quello di “sotto-controllo”, affiancando alla prassi delle analisi basate sul rispetto dei parametri microbiologici e fisico-chimici della risorsa, criteri e strumenti di prevenzione da possibili contami-

nazioni e di eliminazione/riduzione dei potenziali agenti di pericolo. In questo senso, acque, gestore idrico del Basso Valdarno, è stato tra i primi gestori in Italia a sposare volontariamente tale approccio (divenuto nel frattempo cogente) portando avanti negli ultimi mesi dell’anno scorso, con il supporto della scuola superiore sant’anna di Pisa, un progetto sperimentale

applicato a tre sistemi idrici del territorio (Empoli, Montopoli in Val d’arno e Villa Basilica), scelti per le differenti caratteristiche e le diverse modalità di accesso alla risorsa. La best practice ha portato alla redazione di un modello di analisi che descrive il sistema idrico e le sue relazioni con gli aspetti ambientali e socio-economici attraverso la definizione di una serie di indicatori, ai quali è stato poi attribuito un indice di vulnerabilità. sono stati identificati quindi gli eventi potenzialmente più critici da misurare nella fase di valutazione del rischio. Questa esperienza può rappresentare uno strumento utile al fine di individuare, prevenire e gestire i possibili rischi nella filiera idropotabile in maniera comple-

KNoW-hoW E CoMPETENZE

“Water Erasmus” per sfide comuni E’ consolidata oramai anche presso l’associazione europea delle aziende del sistema idrico (aPE-aqua Publica Europea) la prassi dell’Erasmus, di “Water Erasmus” nello specifico, per promuovere la circolazione libera e gratuita della conoscenza tra gli operatori pubblici dell’acqua attraverso un programma di scambi di personale. L’obiettivo è sviluppare una cultura comune della gestione dell’acqua, per incrementare le competenze delle aziende idriche pubbliche nell’affrontare le sfide comuni. Il primo scambio di personale si è avuto sull’asse Milano-Parigi tra Gruppo CaP e Eau de Paris. <<Tra gli obiettivi con cui è nata l’associazione - afferma alessandro Russo, presidente di Gruppo CaP e vicepresidente di aPE - c’è sempre stato quello di condividere le best practices per trovare insieme le migliori soluzioni alle sfide che ci attendono. siamo convinti che dallo scambio di esperienze tra i dipendenti della nostra rete di imprese possano nascere stimoli, riflessioni e sinergie per continuare a garantire

ta e sistematica. <<Il nostro obiettivo – sottolinea Giuseppe sardu, presidente di acque – è quello di portare su tutto il territorio gestito questa mini-rivoluzione nella filiera di controllo dell’acqua potabile, per garantire oltre alle già assicurate caratteristiche di accuratezza e trasparenza delle analisi, anche la valutazione degli eventuali pericoli, calibrata sulle peculiarità del territorio. Questo è stato e sarà possibile grazie anche al fruttuoso dialogo con tutti gli attori-chiave e in particolare delle amministrazioni comunali che, sin dalla fase sperimentale, hanno offerto una collaborazione fondamentale>>. l’opportunità di acquisire nuove conoscenze ed estendere la loro rete professionale riportando, allo stesso tempo, le competenze acquisite nelle loro utility. ad oggi, l’iniziativa è estesa anche a neolaureati e ricercatori, che possono seguire progetti in aree di interesse per i gestori di acqua pubblica. Questi scambi contribuiscono a far diventare aPE una “learning network”, con l’obiettivo di affrontare al meglio le sfide legate all’acqua.

CHI E’ APE

al meglio la gestione pubblica dell’acqua in Europa>>. La collaborazione volontaria e gratuita tra le utility del servizio idrico è alla base del progetto Water Erasmus, che aiuta anche a favorire lo sviluppo di una cultura comune sul tema della gestione dell’acqua. <<Uno degli obiettivi del progetto Water Erasmus è promuovere la cooperazione e gli scambi tecnici tra operatori pubblici, ma non solo -

dichiara Célia Blauel, presidente di Eau de Paris e di aPE – poiché vogliamo mostrare che la gestione dell’acqua pubblica a livello europeo è basata su relazioni umane, guidata da donne e uomini aperti al mondo e impegnati a garantire la qualità e la sostenibilità del servizio pubblico>>. attraverso brevi scambi, il personale delle aziende pubbliche che gestiscono il servizio idrico hanno

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aqua Publica Europea (aPE) è l’associazione europea di gestori pubblici dell’acqua. Riunisce aziende pubbliche che gestiscono il servizio idrico e un’ampia gamma di stakeholder che lavorano per promuovere la gestione dell’acqua pubblica sia a livello europeo sia internazionale. I suoi membri coprono 13 stati europei, servendo direttamente più di 70 milioni di persone. Le aziende idriche italiane associate ad aPE sono Gruppo CaP, acquedotto Pugliese, MM, Viveracqua, smat, abbanoa, Brianzacque, Uniacque, secam, amap, Padania acque, sal, abc.


GREEN ECONOMY Audi: caccia alla sostenibilità Mire ambiziose

Il marchio di Ingolstadt ha presentato il suo programma ambientale, che punta a ridurre le emissioni di anidride carbonica e gli effetti sull’ambiente del ciclo produttivo Le case automobilistiche sono dentro una fase di profondo cambiamento del mercato e degli obiettivi. Da una parte la spada di Damocle delle vendite è sempre in agguato; dall’altra le richieste per ridurre le emissioni di Co 2 sono sempre più pressanti, sia dall’esterno con i movimenti ambientalisti, sia dagli stessi board amministrativi. abbattere le emissioni e ridurre in generale l’impronta inquinante sono diventati due obiettivi fondamentali anche per audi, marchio del gruppo Volkswagen che ha aderito agli accordi sul clima di Parigi. L’obiettivo più grande è diventare carbon neutral entro il 2050. Ma per arrivarvi ci sono diversi step da compiere per audi. Il primo traguardo è la riduzione dell’impronta di carbonio del 30% entro il 2025. Il progetto è in corso grazie ad alcune soluzioni che hanno interessato la produzione di automobili nella sua totalità. Il primo grande passo è legato all’elettrificazione della gamma, con l’immissione sul mercato di veicoli ibridi o elettrici. Ma non è sufficiente: per rendere al meglio dal punto di vista ambientale, una casa automobilistica

può seguire la strada dell’economia circolare. audi ha varato a tal proposito l’aluminium Closed Loop, processo grazie al quale gli scarti di lavorazione vengono restituiti ai fornitori e riciclati, contribuendo significativamente alla decarbonizzazione dell’azienda e alla conservazione delle risorse. Il riutilizzo, invece, può ridurre in maniera drastica la richiesta di nuove materie prime: lo scopo è promuovere l’utilizzo di materiale secondario. oltre ad alluminio e acciaio, sono in particolare le materie impiegate per la batteria a offrire un potenziale elevato: un progetto di ricerca specifico ha permesso di attivare le procedure per il riciclo di cobalto e nichel. Le batterie usate, per altro, stanno trovando una seconda vita nello stabilimento principale di Ingolstadt, dove alimentano muletti e motrici industriali. Un altro modo per ottenere risultati è intervenire sulla catena di approvvigionamento. Nel 2025 circa un quarto di tutte le emissioni di Co2 audi arriverà da qui e dai processi produttivi. Per contrastare questa tendenza Continua a pag. 24 Hi-Tech Ambiente

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Continua da pag. 23

Audi: caccia alla sostenibilità audi ha definito, insieme ai fornitori, 50 misure che aiutano a tagliare le emissioni fin dall’inizio delle attività: dall’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, ai processi di riciclo fino alla chiusura dei cicli dei materiali. In questo modo, in futuro si potrebbero risparmiare 1,2 tonnellate di Co2 per veicolo. Il principio del riutilizzo include la rigenerazione, ovvero il processo industriale che prende i componenti usati e li riporta al livello qualitativo originale. Queste parti possono poi essere vendute come pezzi di ricambio, generando un valore aggiunto ambientale ed economico. Partendo da questo presupposto, audi ha avviato il progetto Exchange 2.0, che dopo una fase di test su componenti complessi come le trasmissioni, sarà esteso ad altri elementi. Un esempio pratico dell’impegno audi per la salvaguardia delle risorse ambientali è quello dell’alluminio. La sua lavorazione richiede molta energia e l’utilizzo di risorse naturali: per una tonnellata di alluminio ci vogliono circa 15 MWh di potenza, che corrispondono al consumo di una famiglia di due persone nell’arco di 5 anni. Per questo motivo nel 2013 audi è entrata a far parte dell’aluminium stewardship Initiative (asI), organizzazione che ha sviluppato uno standard globale per la gestione dell’alluminio, con criteri ambientali e sociali lungo l’intera catena del valore. Tornando alle batterie, gli elementi portanti delle auto elettriche e del mercato automotive del futuro, la Casa dei quattro cerchi ha aderito alla Global Battery alliance, organizzazione che concentra le proprie attività sia sul rispetto dei diritti umani e sociali durante le fasi di estrazione delle materie prime, sia sulla definizione di soluzioni per il riutilizzo delle batterie stesse. E con il Gruppo Umicore si è posta l’obiettivo di sviluppare un circuito di riutilizzo per alcuni componenti delle batterie ad alto voltaggio, che in questo modo possono essere impiegati più volte.

Inaz mira al “plastic free” La lotta allo spreco e all’inquinamento deve coinvolgere anche i luoghi di lavoro. Con questa convinzione Inaz, specializzata in software e servizi per amministrare e gestire il personale, ha deciso di incoraggiare nei propri uffici una buona pratica fondamentale: sostituire le bottigliette di plastica usa e getta con alternative sostenibili. Per farlo ha donato bottiglie riutilizzabili ai lavoratori della sede centrale di Milano che potranno riempirle tramite i nuovi erogatori installati in azienda: sono collegati alla rete idrica e distribuiranno acqua filtrata a temperatura ambiente e fredda, liscia e gasata. «Con questa iniziativa – afferma Linda Gilli, presidente e amministratore delegato di Inaz – ci colleghiamo a due campagne meritorie: Milano Plastic Free, portata avanti dal Comune di Milano con Legambiente, e #Iosonoambiente promossa dal Ministero dell’ambiente. Tutti noi privati cittadini, con i nostri

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gesti quotidiani, dobbiamo prenderci cura del pianeta, e i nostri dipendenti stanno dimostrando una grande sensibilità e responsabilità verso questo tema, adottando buone pratiche anche nell’ambiente lavorativo. Per questo le imprese e le organizzazioni devono fare di più per facilitare e diffondere questi comportamenti virtuosi». Ma l’impegno di Inaz per l’ambiente non si ferma qui. Provvedimenti sono stati attivati per rendere ancora più efficiente la raccolta differenziata dei rifiuti in azienda, mentre i distributori automatici di bevande calde utilizzano esclusivamente bicchieri e palette realizzati in materiale ecosostenibile. «Tutela dell’ambiente e riduzione dei rifiuti devono essere una priorità di tutti – torna a sottolineare Linda Gilli – e le imprese non solo devono dare il buon esempio, ma devono anche adottare soluzioni innovative per promuovere in ogni ambito uno stile di vita sostenibile».

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Il Gruppo CAP favorisce il “green” Politiche attente all’ambiente

Per il gestore del servizio idrico integrato di Milano la sostenibilità è essenziale nella propria governance aziendale Una menzione per e un premio per l’innovatività nei progetti di Gender Equality: Gruppo CaP, azienda pubblica che gestisce i 195 Comuni dell’hinterland milanese, per un bacino totale di circa 2,2 milioni di abitanti, è fortemente impegnata a sviluppare e consolidare il proprio sistema di qualificazione ambientale e sociale della catena di fornitura, tanto da essere stata premiata nell’ambito del Forum Compraverde Buygreen 2019, evento che riunisce le esperienze nazionali più significative in un’ottica di scambio di buone pratiche e strumenti innovativi. <<Per noi è essenziale fare impresa in maniera sostenibile, condividendo quanto facciamo con il territorio e i nostri stakeholder spiega alessandro Russo, presidente e amministratore delegato di Gruppo CaP - ovvero dipendenti, fornitori, amministrazioni comunali e cittadini. abbiamo voluto includere i criteri di Green Public Procurment e Corporate social Responsability nei bandi per tutti gli appalti pubblici che ci riguardano, perché riteniamo costituiscano un importante tassello di sostenibilità nella governance di un’azienda moderna che contribuisce ogni giorno allo sviluppo di un territorio complesso come quello dell’area milanese>>. sostenibilità per Gruppo CaP non è solo un principio sulla carta, ma la parola chiave che permea la strategia aziendale descritta nel suo Piano di sostenibilità, roadmap nata dalla riflessione

condivisa del management che guarda al 2033, immaginando l’evoluzione degli scenari futuri per anticipare l’impatto dei principali trend sociali, ambientali ed economici sulla vita dei cittadini. In questo quadro, per la monoutility pubblica, la capacità di intercettare le istanze sociali e rispondere agli stakeholder in modo rapido ed esaustivo assume un’impor-

tanza strategica. La sfida di una governance sostenibile caratterizza dunque anche le dinamiche di selezione dei fornitori. Con il Vendor Rating è stato introdotto nelle procedure di gara, accanto al criterio di valutazione economica, un meccanismo premiante legato alla presenza di certificazioni ambientali e sociali (sa8000, Iso 18001, Iso

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14001) e ai temi della sicurezza sul lavoro. si tratta di uno strumento che permette di valutare, sulla base di criteri prestazionali e reputazionali oggettivi, gli operatori economici iscritti all’interno dei sistemi di qualificazione, durante tutto il periodo di collaborazione. sono oggetto di verifica i comportamenti tenuti durante l’esecuzione dei contratti e gli aspetti di qualità e sostenibilità che caratterizzano i fornitori. Tra gli obiettivi di sostenibilità del Gruppo c’è anche l’applicazione dei principi di Gender Procurement nelle gare di appalto Dal 2018 il Gruppo CaP assegna maggiori punteggi a chi promuove la parità di genere per l’erogazione di servizi e lavori, consolidando un sistema volto a premiare, tramite l’assegnazione di punti tecnici discrezionali, i fornitori che si impegnano a offrire una quota maggiore di dipendenti donne rispetto al servizio erogato, con particolare riferimento a figure femminili che rivestono ruoli manageriali. L’obiettivo è chiaro: sensibilizzare i fornitori rispetto ai principi di responsabilità sociale che guidano da 90 anni il lavoro di Gruppo CaP, per innescare un processo virtuoso che coinvolga anche i fornitori stessi. Un approccio che contraddistingue l’azienda anche per quanto riguarda trasparenza, responsabilità e partecipazione. Il nuovo codice appalti permette infatti di richiedere certificazioni di processo su sicurezza e responsabilità sociale di impresa come requisiti premianti.


Birra Peroni va a rinnovabili Un altro passo verso la sostenibilità

Ridotte del 30% le emissioni di Co2 con la totalità di energia elettrica verde generata da eolico, fotovoltaico e biomasse Birra Peroni passa ad alimentazione elettrica prodotta al 100% da fonti rinnovabili. Dal 1 gennaio 2020, infatti, i siti produttivi di Roma, Bari e Padova utilizzano energia generata esclusivamente da fonti eoliche, fotovoltaiche e da biomasse; ulteriore conferma dell’impegno e del percorso di sostenibilità seguito dall’azienda e volto alla riduzione dell’impatto ambientale dei suoi stabilimenti produttivi. <<Birra Peroni riduce le emissioni di Co2 del 30% 2025 - dichiara Roberto Cavalli, direttore “integrated supply chain” Italia di Birra Peroni - passando da 4,51 kg Co2/hl a 3,18 kg Co2/hl e prevediamo di arrivare a una riduzione del 50% entro il 2025. Continua

così il nostro impegno per migliorare le performance produttive ma con grande attenzione ver-

so l’ambiente>>. Un risultato importante e un’ulteriore tappa nel percorso di pro-

I quattro Atenei piemontesi insieme per lo sviluppo sostenibile strategia nazionale e che ora devono essere tradotti in strategia regionale. I numeri della comunità universitaria sono notevoli: i quattro atenei contano complessivamente 115.000 studenti e più di 12.000 persone tra docenti e personale. Una massa critica che può fare la differenza. oltre all’impegno di chi vive all’interno del mondo universitario, le Università sono già al lavoro e

L’Università degli studi di Torino, il Politecnico di Torino, l’Università degli studi del Piemonte orientale e l’Università degli studi di scienze Gastronomiche uniscono le forze a difesa dell’ambiente e del clima. I quattro atenei piemontesi, infatti, pongono l’attenzione sull'urgenza delle azioni per la lotta al cambiamento climatico, realtà purtroppo indiscutibile, mettendo al centro gli obiettivi dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite già presenti nella

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gressiva riduzione dell’impatto ambientale dell’azienda. I successi industriali e commerciali, infatti, non possono essere considerati tali se non vanno di pari passo con il rispetto dell’ambiente e del territorio nel quale si opera: il legame con l’Italia deve essere un impegno quotidiano. L’aumento della produzione registrato nel corso degli ultimi anni, che ha portato l’azienda a superare oggi i 6 milioni di ettolitri annui, è coinciso con un deciso miglioramento delle performance ambientali. Birra Peroni in 10 anni ha ridotto il consumo di acqua per ettolitro di birra prodotto del 34%, il consumo di energia termica del 39% e il consumo di energia elettrica del 25%. sono pronte ad affiancare, con le loro conoscenze e competenze, la Regione Piemonte in primis nella transizione verso l'azzeramento delle emissioni climalteranti e un modello di sviluppo duraturo e sostenibile. È in corso di preparazione la candidatura ad un bando di finanziamento del Ministero dell’ambiente, finalizzato a costruire una governance regionale sulle strategie per lo sviluppo sostenibile. azioni concrete che saranno supportate operativamente dalla RUs - Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile, promossa dalla CRUI, a livello nazionale, per la diffusione della cultura e delle buone pratiche di sostenibilità, sia all’interno che all’esterno degli atenei.


MoBy, TIRRENIa E ToREMaR

NasCE UN IsTITUTo aD hoC

Un'anima green per il Mediterraneo

Nestlé: alla ricerca dell’ecopackaging

Le compagnie Moby, Tirrenia e Toremar, del Gruppo onorato armatori, sono sempre più attente al mare e all'ambiente. a bordo, infatti, è stato implementato, in collaborazione con il Gruppo Ligabue, addetto alla ristorazione, un progetto teso alla riduzione della plastica, con l’obiettivo finale di limitare drasticamente il consumo dei prodotti monouso non riciclabili. Dal 2018, su tutte le navi della flotta, nell’ambito del servizio di catering e ristorazione di bordo, è stata avviata inizialmente la sostituzione dei prodotti monouso di maggiore utilizzo, come piatti e bicchieri in plastica che sono stati rimpiazzati con altri di polpa di cellulosa, cartoncino e PLa o proprio con nuove modalità di servizio. ad esempio, panini e croissant, già dalla scorsa estate, vengono serviti in sacchettini di carta evitando il classico piatto in plastica. sono state eliminate anche le palettine per il caffè e tutte le posate e le cannucce pieghevoli in plastica per le bibite, con un notevole sforzo organizzativo e in notevole anticipo rispetto alla futura entrata in vigore della normativa europea in materia, e alla tipologia di articoli coinvolti nell’operazione. Il progetto ha infatti interessato non solo i prodotti che non potranno essere immessi sul mercato, ma anche quelli per cui la legge prevedrà “solo” una riduzione del consumo. Nel secondo semestre 2019 sono stati consumati oltre 4 milioni di articoli in plastica monouso in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. attualmente Moby, Tirrenia e Toremar stanno lavorando sulle ultimissime sostituzioni degli articoli in plastica monouso non riciclabili, prospettando il comple-

E’ stato di recente inaugurato da Nestlé l'Institute of Packaging sciences, che consente all’azienda di accelerare i propri sforzi per portare sul mercato soluzioni di imballaggio funzionali, sicure ed ecologiche, oltre che per affrontare la sfida globale dei rifiuti derivanti dagli imballaggi in plastica. L’Istituto, il primo del suo genere nell'industria alimentare, si concentra su una serie di aree scientifiche e tecnologiche, come imballaggi riutilizzabili, materiali di imballaggio semplificati o riciclati, oppure biologica, compostabili e biodegradabili, e tipi di carta altamente performanti in termini di conservazione e sicurezza dei prodotti. <<La nostra visione è un mondo in cui nessuno dei nostri imballaggi finisce in discarica o nella tamento del progetto indicativamente entro l’estate 2020. Il Gruppo onorato armatori ha anche costituito un apposito dipartimento “Energy saving” per limitare le emissioni di Co 2 nell’atmosfera e ogni viaggio delle proprie navi delle costituisce un risparmio dell’anidride carbonica rilasciata nell’aria. Un altro aspetto green importante è la presenza a bordo di tutte le navi della flotta di dotazioni tecniche compatibili con il rispetto dell’ambiente, dagli scrubber per la pulizia dei fumi alla possibilità di alimentazione ibrida già prevista in fase di progetto. Hi-Tech Ambiente

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raccolta indifferenziata - dichiara Mark schneider, CEo di Nestlé – e a tal fine, introduciamo soluzioni di imballaggio riutilizzabili e materiali di imballaggio ecologici all'avanguardia. Inoltre, sosteniamo lo sviluppo di infrastrutture di riciclo locali e schemi di deposito su cauzione per aiutare a costruire un mondo privo di rifiuti. Il Nestlé Institute of Packaging sciences ci consente di creare una solida base di soluzioni di imballaggio sostenibili per i prodotti Nestlé, in tutti i nostri business e mercati>>. Nell’ambito dei suoi impegni sul packaging al 2025, Nestlé ha già lanciato nuove soluzioni di imballaggio per alcuni prodotti, come l’imballaggio di carta riciclabile per il cacao in polvere Nesquik all Natural e la barretta yes!


LE AZIENDE CITATE Acque Spa Tel 050.843332 E-mail ufficiostampa@acque.net

Comelt Spa Tel 02.9244761 E-mail comelt@comelt.it

Moby Spa Tel 02.7625561 E-mail ufficiostampa@onoratoarmatori.com

Acquedotto Pugliese Spa Tel 080.5723442 E-mail v.palumbo@aqp.it

Conai Tel 02.54044233 E-mail bizzotto@conai.org

Nestle Italiana Spa Tel 02.81811 E-mail relazioni.esterne@it.nestle.com

Aqua Publica Europea Tel +32.2.5188058 E-mail info@aquapublica.eu

CONAU Tel 06.9969579 E-mail info@conau.it

Politecnico di Torino Tel 011.5646286 E-mail relazioni.media@polito.it

Assosistema Tel 06.5903430 E-mail assosistema@assosistema.it

CYTO-WATER project Tel +34.965.106070 E-mail vicente.catalan@labaqua.com

Puregas Solutions Ab Tel +46.480.38100 E-mail info@puregas.solutions.com

Audi - Volkswagen Group Italia Spa Tel 045.2084900 E-mail info@audi.i

Desotec Italia Tel 02.82952811 E-mail info@desotec.com

REF Ricerche Srl Tel 02.87078150 E-mail info@refricerche.it

Birra Peroni Srl Tel 06.225441 relazioni.esterne@peroni.it

Inaz Srl Tel 3450014096 E-mail gioinia@inaz.it

Università degli Studi di Torino Tel 011.6709611 E-mail ufficio.stampa@unito.it

CAP Holding Spa Tel 02.82502357 E-mail ufficio.stampa@gruppocap.it

ISPRA Tel 06.50072076 E-mail stampa@isprambiente.it

Università di Scienze Gastronomiche - UNISG Tel 0172.458507 E-mail comunicazione@unisg.it

Chemviron Italia Srl Tel 02.93185811 E-mail info@chemvironcarbon.com

Jacobi Carbons Italia Srl Tel 02.95762100 E-mail infoit@jacobi.net

Worn Again Technology Ltd Tel +44.7549.168616 E-mail info@wornagain.co.uk

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