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AMBIENTE
MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -
ANNO XXXI APRILE 2020
SERVIZI E TRATTAMENTI
LE PRIME LINEE GUIDA
La gestione rifiuti al tempo del Covid
Il recupero dei tessuti come sottoprodotto
a pagina 29 a pagina 26
NUOVI PROCESSI
LA DECARBONIZZAZIONE DELL'ACCIAIO È POSSIBILE? a pagina 41
N4
SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS
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PANORAMA
Il pretrattamento dei biorifiuti
APPROFONDIMENTI
Sistemi di tipo fisico, come il processo Ecogi o la cavitazione idrodinamica, migliorano la digestione anaerobica
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Le B.A.T. dei grandi impianti di combustione
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Le migliori tecniche disponibili per le emissioni industriali, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento
ENERGIA
DEPURAZIONE
Energia dalla fotosintesi artificiale
SOS microplastiche
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I depuratori attuali non le fermano. Un aiuto può arrivare da tecnologie di separazione spinta, trasformazioni chimiche o biologiche, conversione in metano
Schiume: problema risolto!
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Dopo l’installazione di dodici pompe serie IQ, un importante depuratore urbano non deve più ricorrere agli autospurghi per lo svuotamento dei pozzetti
SICUREZZA
La gestione digitale della sicurezza sul lavoro
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TECNOLOGIA
La decarbonizzazione dell'acciaio è possibile?
RIFIUTI Una breve analisi di come l’emergenza coronavirus influenzi raccolta, stoccaggio e smaltimento di rsu, speciali, pericolosi e non
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Messe a punto o sempre in fase di test alcune soluzioni per rigenerare questi dispositivi essenziali, aumentandone durata e riducendo così anche i rifiuti
Gli impianti di essiccazione di C.S.S.
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Meno emissioni di acciaieria 29
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Il Combustibile Solido Secondario ottenuto dai rifiuti deve raggiungere un tasso di umidità del 13% per poter essere utilizzato, soprattutto in cementerie e inceneritori
GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 50
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Esistono tecnologie produttive alternative che potrebbero risolvere i problemi ambientali dell'ex Ilva di Taranto
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GREEN FASHION
Nuova vita alle mascherine
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Pianificare, creare e organizzare solo con un software le autorizzazioni necessarie per interventi sul campo
SPECIALE “LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL’ARIA”
La gestione rifiuti al tempo del Covid
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Ricerche in corso e risultati più promettenti per riuscire a replicare in laboratorio ciò che la natura fa così egregiamente
Messo a punto uno speciale reattore che consente di ottenere maggiore efficienza, ridotti consumi energetici e minori gas inquinanti
MARKET DIRECTORY
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ECOTECH
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INSERZIONISTI AMG IMPIANTI Srl AQSEPTENCE GROUP Srl BARRA PROJECT Srl BRUNO WOHLFARTH Srl CID ING. VENTURA Srl DELTA COVER Srl GIOTTO WATER Srl GRAMAGLIA Srl
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IDROCLEAN/ITELYUM Srl I.S.P.A. Srl NCR BIOCHEMICAL Spa RAFT Srl PPE Srl RAGAZZINI Srl SCOLARI Srl VOGELSANG Srl
panorama CAmbIAno lE REgolE
La nuova gestione dei PFU Riduzione dell’eco-contributo, più controlli su acquisti on-line, miglior servizio ai gommisti e obblighi più stringenti relativi alla raccolta Con la pubblicazione in gazzetta Ufficiale ha visto la luce il Dm 182/2019, contenente la revisione delle modalità di gestione dei Pneumatici Fuori Uso (PFU). Una filiera virtuosa per garantire il corretto recupero e riciclo del 100% dei PFU generati da pneumatici regolarmente immessi sul mercato del ricambio. Tra le principali novità introdotte, l’impiego degli eventuali avanzi di gestione economici di fine anno per la riduzione del contributo ambientale sui pneumatici a carico dei consumatori, un maggior controllo sui gestori di PFU in forma individuale e sugli acquisti di pneumatici on-line (da cui spesso hanno origine flussi irregolari), e l’introduzione per tutti i responsabili della gestione dei PFU dell’obbligo di effettuare la raccolta su tutto il territorio nazionale. Più nel dettaglio, le principali no-
vità introdotte dal Dm 182/2019 sono: - gli eventuali avanzi economici di fine anno dovranno essere utilizzati per ridurre l’importo del contributo ambientale legato
all’acquisto di pneumatici nuovi e non solo per interventi “straordinari” di gestione dei PFU come era in precedenza - con l’istituzione del “Rappresentante autorizzato” si vincolano
produttori e importatori di pneumatici con sede legale all’estero (es. le piattaforme web) ad avere una figura giuridica responsabile degli obblighi di gestione dei PFU a cui sono tenuti - i soggetti autorizzati alla gestione dei PFU dovranno garantirne la raccolta su tutto il territorio nazionale, rendicontando al ministero i quantitativi raccolti semestralmente secondo delle macroaree geografiche individuate dal Decreto stesso. E’ anche previsto l’obbligo di gestione di PFU corrispondenti alle tipologie di pneumatici immessi nel mercato l’anno precedente. Il Decreto obbliga anche a rispondere alle richieste di raccolta dei PFU da parte dei gommisti in base all’ordine di arrivo, con l’obiettivo di uniformare gli obblighi di raccolta tra tutti i soggetti, impedendo che vengano servite solamente le aree di più facile servizio e minor costo, oppure che vengano preferite tipologie di più facile ed economica gestione - i sistemi di gestione dei PFU “individuali” in Italia sono circa 50 e coprono il 10% del totale nazionale e, al pari dei soggetti “associati”, saranno tenuti agli obblighi di comunicazione e informazione al ministero, a dimostrare di essere strutturati per la gestione del recupero dei PFU, nonché agli obblighi di raccolta dei PFU su tutto il territorio nazionale.
Carta e vetro: cresce l’eco-contributo
Arriva il manager per la sostenibilità
Il CdA Conai, valutate le richieste dei consorzi Comieco e Coreve, ha deliberato l’aumento del contributo ambientale per gli imballaggi in carta e in vetro. Il contributo per gli imballaggi in carta passerà da 35 a 55 euro/tonnellata a partire dal 1° giugno 2020. Resterà invece invariato il contributo aggiuntivo (20 euro/ton) per i poliaccoppiati a prevalenza carta idonei al contenimento di liquidi, per i quali l’eco-contributo sarà quindi di 75 euro/ton. Il contributo ambientale per gli imballaggi in vetro passerà da 27 a 31 euro/tonnellata sempre a
Una nuova figura professionale si sta affacciando nel mercato del lavoro. E’ il “manager per la sostenibilità”, ossia una persona deputata a indirizzare la struttura per cui lavora verso l’innovazione sostenibile. In buona sostanza, si tratta di figure manageriali che sono valutate idonee a riconvertire i processi di produzione industriale e a realizzare in concreto gli obiettivi di economia circolare. Ad aver attivato specifici percorsi di certificazione delle competenze, per questa nuova tipologia di professione, è Federmanager, che punta a certificare circa 100 professionisti entro la fine del 2020.
partire dal 1° luglio pv. Per il 2020, in Italia il sistema rappresentato da Conai e dai Consorzi di filiera prevede di recuperare l’83% dei rifiuti di imballaggio immessi al consumo. Di questi, la parte avviata a riciclo dovrebbe superare il 71%.
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InDAgInE IsTAT
Il ConsEnso CREsCE
RSU: riciclo a metà
OK all’European Plastic Pact
secondo una recente ricerca dell’Istat, nel 2017, la quantità raccolta di rifiuti urbani è stata di 488,7 kg per abitante (+1,6% rispetto al 2016), mentre la percentuale di raccolta differenziata sul totale dei rifiuti è stata del 55,5% (+3%). I livelli più alti di produzione di rsu sono stati in Emilia-Romagna (642,2 kg per abitante) e Toscana (600,0). Il molise (377,0) e la basilicata (345,2), invece, sono le regioni in cui se ne sono prodotti di meno. la frequenza della raccolta differenziata dei rifiuti urbani varia sul territorio: livelli molto elevati si sono registrati in provincia autonoma di Trento (74,6%), in Veneto (73,6%), in lombardia (69,6%), in provincia autonoma di bolzano (68,5) e in Friuli-Venezia giulia (65,5). In queste stesse zone la quantità pro capite di rifiuti urbani è stata inferiore o prossima alla media nazionale. nel 2018 l’87,1% delle famiglie ha
effettuato con regolarità la raccolta differenziata della plastica (39,7% nel 1998), il 71,3% quella dell’alluminio (27,8%), l’86,6% della carta (46,9%) e l’85,9% del vetro (52,6%). le famiglie residenti nel nord hanno differenziato maggiormente i rifiuti rispetto alle altre zone del Paese, con il primato del nord-ovest: vetro 92,1%, alluminio 76,3%, plastica 92,5% e carta 91,6%. sempre nel 2018, il 68,2% delle famiglie ha ritenuto di sostenere un costo elevato per la raccolta dei rifiuti (solo il 28,2% lo ha giudicato adeguato). le famiglie residenti nelle Isole sono state le più insoddisfatte: giudicato elevato il costo nel 79,4 dei casi, quota scesa al 58,9% nelle regioni del nord-ovest. Rispetto al servizio di raccolta porta a porta dei rifiuti è risultato molto soddisfatto il 25,3% delle famiglie italiane (il 33,4% nel nord-est e il 31,0% nel nord-ovest). Al di sotto della media nazionale le altre ripartizioni geografiche: 17,7% al sud, 19,4% al Centro e 21,9% nelle Isole.
Anche l’Italia ha sottoscritto l’European Plastic Pact, lanciato nel 2019 da Francia e olanda. obiettivo principale del Patto è quello di favorire e accelerare la transizione verso un’economia circolare della plastica e, quindi: ridurre i prodotti e gli imballaggi in plastica vergine di almeno il 20%, aumentare la capacità di raccolta e riciclo degli imballaggi di plastica in Europa di almeno il 25% e aumentare l’uso di plastica riciclata negli imballaggi di almeno il 30%. Tali obiettivi dovranno essere raggiunti entro il
ERRATA CORRIGE In relazione all’articolo “gravi danni all’ambiente” pubblicato su Hi-Tech Ambiente n.3.2020, Tirreno Power precisa che non è stato accertato nessun danno per la propria attività a Vado ligure poiché il procedimento è tuttora in corso. l’unico fatto accertato al momento, sulla base dei dati ufficiali dell’agenzia regionale per l’ambiente, è che la qualità dell’aria nel territorio in cui operava l’impianto era ed è ottima, tra le migliori delle province italiane, sostanzialmente uguale prima e dopo il fermo dei gruppi a carbone avvenuto nel 2014.
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2025, andando anche oltre l’attuale legislatura. Chiave del successo di questa coalizione pubblico-privata sarà comunque la cooperazione tra i governi, le aziende (di cui 40 solo in UK) e le organizzazioni di settore che hanno scelto di aderirvi in modo del tutto volontario, per un totale di 94 soggetti europei partecipanti, i cui progressi verranno monitorati ogni anno. Tra gli attori privati illustri vi è ad esempio nestlé, che punta al 100% di imballaggi riciclabili entro il 2025.
approfondimenti
Le B.A.T. dei grandi impianti di combustione Soluzioni specifiche e generali
le migliori tecniche disponibili per le emissioni industriali, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento nella g.U. dell’Unione Europea l 212 del 17/8/2017 è stata pubblicata la Decisione di esecuzione (UE) della Commissione del 31/7/2017, che stabilisce le condizioni sulle migliori tecniche disponibili (b.A.T.), a norma della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (in materia di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) per i grandi impianti di combustione. la Decisione è il risultato di un processo durato 5 anni, che ha coinvolto 290 esperti provenienti da Enti governativi, industrie e ong ambientali; il documento stabilisce le condizioni di autorizzazione degli impianti, indirizzando le autorità competenti nel fissare valori limite tali da garantire il rispetto dei livelli di emissioni associate alle bAT. le tecniche sono applicabili agli impianti indicati in allegato al testo della Decisione, tra i quali gli impianti di combustione in installazioni con potenza termica nominale totale pari o superiore a 50 mW, gli impianti di gassificazione di carbone o altri combustibili in installazioni con una potenza termica nominale totale pari o superiore a 20 mW, e quelli di smaltimento o recupero dei rifiuti in impianti di incenerimento o di coincenerimento per rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 3 ton/ora, oppure per i rifiuti pericolosi con capacità superiore a 10 ton/giorno. Complessivamente gli impianti interessati da queste bAT in Europa sono circa 3500, ed emettono nell’atmosfera degli stati UE il 46% degli ossidi di
A titolo di esempio, illustreremo in dettaglio le bAT relative alla combustione di carbone e lignite, la cui struttura si ritrova nelle altre bAT. B.A.T. PER LA COMBUSTIONE DI CARBONE E/O LIGNITE
zolfo, il 18% degli ossidi di azoto e il 39% del mercurio; entro 4 anni tutte le autorizzazioni relative a questi impianti dovranno essere riesaminate, con l’obiettivo di arrivare alla piena conformità entro la metà del 2021. Per la prima volta vengono fissati limiti alle emissioni in atmosfera di mercurio, acido cloridrico e acido fluoridrico; i precedenti limiti sulle emissioni di biossido di zolfo e ossidi di azoto vengono resi più severi. Inoltre vengono introdotti valori limite relativi alle emissioni in acqua e all’efficienza energetica, oltre a standard relativi alle tecnologie utilizzate e alle modalità di progettazione, costruzione, gestione e dismissione. I combustibili considerati nelle conclusioni sulle bAT sono le materie combustibili solide (car-
bone, lignite), liquide (olio combustibile pesante e gasolio) e/o gassose, le biomasse e rifiuti (tranne i rifiuti urbani misti e quelli indicati all’art.42, par.2, let.a, punti ii e iii della direttiva 2010/75/UE). la Decisione comprende le bAT relative a: gestione (sistemi di gestione ambientale, monitoraggio, prestazioni ambientali generali), carattere generale (efficienza energetica, consumi idrici, gestione dei rifiuti, emissioni sonore), combustione di carbone e/o lignite, combustione di biomassa solida e/o torba, caldaie ed ai motori alimentati a gasolio o olio combustibile, combustione di gas naturale, combustione in piattaforme offshore, combustione nell’industria chimica, coincenerimento dei rifiuti, gassificazione e impianti IgCC.
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Al fine di migliorare la prestazione ambientale generale della combustione di carbone e/o lignite, viene indicato come bAT il processo di combustione integrata, che garantisce un’elevata efficienza della caldaia e include tecniche primarie di riduzione dei nox (processi quali la combustione di polverino e la combustione a letto fluido o a griglia mobile). la bAT indicata per migliorare l’efficienza energetica della combustione è la movimentazione a secco delle ceneri pesanti, che vengono estratte dal forno per esservi riconvogliate per una seconda combustione, e successivamente raffreddate in aria ambiente, recuperando energia utile sia dalla ricombustione delle ceneri sia dal loro raffreddamento. la Decisione espone i livelli di efficienza energetica differenziati per tipo di combustione e taglia dell’impianto Al fine di prevenire o ridurre le emissioni in atmosfera di nox, limitando le emissioni in atmosfera di Co e n2o risultanti dalla combustione di carbone e/o lignite, vengono indicate le seguenti bAT: ottimizzazione della comContinua a pag. 8
Continua da pag. 6
Le B.A.T. dei grandi impianti di combustione bustione (generalmente utilizzata in combinazione con altre tecniche); combinazione di tecniche primarie per la riduzione dei nox, come immissione di aria in fasi successive (air staging), immissione di combustibile in fasi successive (fuel staging), ricircolo degli effluenti gassosi, impiego di bruciatori a bassa emissione di nox; riduzione non catalitica selettiva (snCR); riduzione catalitica selettiva (sCR); altre tecniche per la riduzione di nox e sox. Vengono esposti i livelli di emissione di nox, e di Co, differenziati secondo le taglie dell’impianto. Per ridurre, invece, le emissioni di sox, HCl e HF, vengono indicate come bAT: iniezione di sorbente in caldaia (nel forno o sul letto in fase di combustione), oppure in linea; atomizzatore o assorbitore a secco (sDA); depuratore (“scrubber”) a secco a letto fluido circolante (CFb); scrubbing a umido; desolforazione degli effluenti gassosi a umido (FgD a umido); combinazione di tecniche per la riduzione di nox e sox; scelta del combustibile (combustibile a basso tenore zolfo, di cloro o di fluoro). Anche in questo caso vengono esposti i livelli di emissione di sox, HCl e HF, secondo la taglia dell’impianto. Per quanto riguarda le emissioni in atmosfera di polveri e metalli inglobati nel particolato, la bAT consiste nell’utilizzare uno o più delle seguenti tecniche: precipitatore elettrostatico (EsP), filtro a manica, iniezione di sorbente in caldaia (forno a letto), sistema FgD a secco o semi-secco, desolforazione degli effluenti gassosi a umido (FgD a umido). E, secondo la taglia dell’impianto, vengono esposti i livelli di emissioni di polveri e metalli inglobati nel particolato. Per prevenire o ridurre le emissioni di mercurio, invece, la bAT consiste nell’utilizzare una o più delle seguenti tecniche, usate principalmente per ridurre le emissioni di altri inquinanti: precipitatore elettrostatico (EsP), filtro a manica, sistema FgD a secco o semi-secco, desolforazione degli effluenti gassosi a umido
(FgD a umido), riduzione catalitica selettiva (sCR). sono poi indicate tecniche specifiche di riduzione delle emissioni di mercurio: iniezione di carboni assorbenti (carboni attivi o carboni attivi alogenati) negli effluenti gassosi, aggiunta al combustibile o iniezione nel forno di additivi alogenati, pretrattamento del combustibile e scelta del combustibile. Vengono indicati i livelli di emissioni di mercurio, secondo la taglia dell’impianto. B.A.T. RELATIVE ALLA GESTIONE
Per migliorare le prestazioni ambientali complessive, la bAT consiste nell’istituire e applicare un sistema di gestione ambientale avente caratteristiche normalmente previste per questi sistemi (controllo delle prestazioni e adozione di misure correttive, in particolare rispetto a monitoraggio e misurazione, e attenzione allo sviluppo di tecnologie più pulite). Particolare attenzione viene rivolta alla predisposizione di specifici Piani di gestione, quali: Piano di gestione per la riduzione delle emissioni in atmosfera e/o nell’acqua in condizioni di esercizio diverse da quelle normali, compresi i periodi di avvio e di arresto; Piano di gestione dei ri-
fiuti, finalizzato a evitarne la produzione e a far sì che siano preparati per il riutilizzo, riciclati o altrimenti recuperati; Piano di gestione delle polveri, per prevenire o quantomeno ridurre le emissioni diffuse; Piano di gestione degli odori derivanti da combustione, gassificazione o coincenerimento di sostanze specifiche. Circa il monitoraggio, viene indicata come bAT la determinazione del rendimento elettrico netto delle unità di gassificazione, IgDD e/o combustione, mediante l’esecuzione di una prova di prestazione a pieno carico dopo la messa in servizio dell’unità e dopo ogni modifica che potrebbe incidere in modo significativo sul rendimento elettrico netto, applicando le norme En, Iso o norme nazionali o internazionali che assicurino dati di qualità scientifica equivalente. Altre bAT consistono nel monitorare i parametri di processo, le emissioni in atmosfera e in acqua, con frequenze dettagliate in apposite tabelle. Per migliorare invece le prestazioni ambientali generali degli impianti di combustione e ridurre le emissioni, la bAT consiste nell’ottimizzare la combustione e nell’adottare un’adeguata combinazione delle seguenti tecniche: dosaggio e miscela di combustibili, al fine di garantire condizio-
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ni di combustione stabili e/o ridurre le emissioni di inquinanti; manutenzione del sistema di controllo; adozione di un sistema di controllo avanzato; buona progettazione delle apparecchiature di combustione (del forno, delle camere di combustione, dei bruciatori e dei dispositivi connessi); scelta del combustibile con il miglior profilo ambientale (basso tenore di zolfo e/o di mercurio). B.A.T. DI CARATTERE GENERALE
Vengono raccomandate ben 19 tecniche, tra le quali sono particolarmente importanti l’ottimizzazione delle condizioni operative, i sistemi di preriscaldamento, di controllo avanzato, di recupero mediante cogenerazione, l’impiego di materiali avanzati e di condizioni del vapore supercritiche e ultra-supercritiche (300 bar, 600 °C). Al fine di ridurre i consumi idrici e la produzione di reflui, vengono indicate come bAT il riciclo dell’acqua e la movimentazione a secco delle ceneri pesanti, oltre a tenere distinti i flussi delle acque reflue e trattarli separatamente, in funzione degli inquinanti. Per minimizzare le emissioni di reflui derivanti da trattamento degli effluenti gassosi, si indica come bAT la combustione ottimiz-
zata e sistemi di depurazione dei gas, oltre a adsorbimento su carboni attivi e i sistemi di trattamento biologico aerobico (da at-
tuare il più vicino possibile alla sorgente, per evitare la diluizione). Per ridurre la produzione di rifiuti risultanti dalla combustio-
ne e/o dal processo di gassificazione e dalle tecniche di abbattimento, la bAT consiste nell’ottimizzare la prevenzione, la prepa-
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razione dei rifiuti per il loro riutilizzo, il riciclaggio, e altri modi di recupero dei rifiuti (ad esempio recupero di energia). A tal fine possono essere impiegate in combinazione le seguenti tecniche: produzione di gesso come sottoprodotto, riciclaggio o recupero dei residui nel settore delle costruzioni, recupero di energia mediante l’uso dei rifiuti nel mix energetico, preparazione per il riutilizzo del catalizzatore esaurito. Al fine di ridurre le emissioni sonore, infine, la bAT consiste nell’utilizzare una o più delle seguenti tecniche: misure operative (ispezione e manutenzione delle apparecchiature, chiusura di porte e finestre, evitare attività rumorose nelle ore notturne, misure di contenimento del rumore durante le attività di manutenzione); impiego di apparecchiature a bassa rumorosità; attenuazione del rumore mediante l’inserimento di barriere fonoassorbenti; adozione di dispositivi antirumore (fono-riduttori, isolamento e confinamento delle apparecchiature, insonorizzazione degli edifici); localizzazione adeguata delle apparecchiature e degli edifici.
DEPURAZIONE A C Q U A
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A R I A
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SOS microplastiche Un problema complesso
I depuratori attuali non le fermano. Un aiuto può arrivare da tecnologie di separazione spinta, trasformazioni chimiche o biologiche, conversione in metano
“Pacific Trash Vortex”
Tutti i giorni leggiamo sui quotidiani notizie allarmanti sull’enorme quantità di plastica presente nei mari. le stime sono contrastanti: una ricerca del 2014 ne stimava 269.000 ton, ma secondo stime dell’UnEP (United nations Development Program) ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani. Una stima attendibile può essere un contenuto in plastiche galleggianti (escludendo cioè la plastica presente sul fondo) intorno a 15 milioni di ton. Esiste poi molta confusione sui tipi di plastiche presenti, sulla loro provenienza e sulle possibili azioni per invertire la tendenza, ed evitare che nel 2050 in mare ci sia più plastica che pesci, come previsto dal citato rapporto Unep.
Campionamento di Legambiente
MACROPLASTICHE, MICROPLASTICHE E MICROFIBRE
generalmente si considerano “macroplastiche” i frammenti con dimensioni maggiori di 5 mm, facilmente visibili a occhio nudo. Questi frammenti sono trattenuti dei filtri presenti negli impianti di depurazione delle acque reflue, per cui la loro presenza in mare è dovuta soprattutto a deficiente gestione dei rifiuti, sia urbani che industriali. non stupisce che la maggior parte delle macroplastiche che arriva in mare provenga dai fiumi della Cina, dell’Indonesia e delle Filippine. Il più vistoso accumulo di macroplastiche è il cosiddetto “Pacific Trash Vortex”, un’isola galleggiante che
contiene circa 80.000 ton di plastica, per quasi metà (46%) derivante da vecchie reti da pesca. nonostante il rilevante impatto visivo, il contributo delle macroplastiche all’inquinamento globale è minoritario: si stima che in peso costituiscano (su scala mondiale) circa l’8% della massa totale di plastica dispersa in mare. Il termine “microplastiche” non è al momento ben definito: in genere comprende le particelle con dimensioni da 5 mm a 5 micron, che sono appena visibili o del tutto invisibili a occhio nudo. Tra queste microplastiche sono particolarmente rilevanti quelle intenzionalmente aggiunte nei cosmetici, per ottenere effetti esfolianti e blandamente abrasivi. secondo uno studio del Ismac-CnR di
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biella, in un flacone di prodotto esfoliante da 250 ml sono presenti circa 750.000 microparticelle; e anche i prodotti che si qualificano in etichetta come “naturali” non ne sono affatto esenti. I sistemi convenzionali di decantazione e filtrazione non sono in grado di rimuovere le microparticelle, che possono essere trattenute solo utilizzando tecnologie a membrana. scendendo ancora nelle dimensioni, le particelle con dimensioni inferiori a 5 micron vengono considerate “nanoplastiche” e sono del tutto invisibili a occhio nudo. le particelle più piccole potrebbero passare le barriere naturali del nostro organismo, passando dai polmoni o dall’intestino entro Continua a pag. 12
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SOS microplastiche il sistema linfatico o il flusso sanguigno; non ci sono ricerche sugli eventuali effetti dannosi di queste particelle, che sono presenti nell’acqua potabile e perfino nelle acque minerali in bottiglia e nelle bibite. A livello “micro” e “macro”, diviene impossibile distinguere tra le particelle provenienti dalla plastica vera e propria, e quelle provenienti dalle fibre (sia naturali
quinamento marino da plastica. l’unica considerazione in certo qual modo “consolante” è che, dal momento che l’uso generalizzato di plastiche e fibre sintetiche è iniziato a partire dagli anni ’50 dello scorso secolo, il fatto che non siano finora emersi effetti nocivi sull’uomo e sugli animali autorizza a pensare che tali effetti non siano di grave entità. In particolare, per quanto riguarda l’ambiente marino, l’unico effetto dannoso documentato su pesci e crostacei è dovuto alla falsa sazietà: microplastiche e microfibre
vello UE possono avere un efficace impatto sensibilizzante sull’opinione pubblica, e forse migliorare la situazione nel mediterraneo, nel mare del nord e del mar baltico, ma non cambierebbero la situazione su scala mondiale. secondo uno studio tedesco, infatti, oltre il 90% della plastica che finisce in mare è trasportata da 10 grandi fiumi, tutti situati fuori dall’Europa. E’ inoltre ormai noto che le macroplastiche sono in realtà la punta di un iceberg, e che il principale contributo all’inquinamento
depurazione a membrana: le membrane di microfiltrazione trattengono efficacemente microplastiche e microfibre, e anche nanoparticelle con dimensioni maggiori di 0,1 micron. Risultati ancora più spinti si ottengono con le membrane di ultrafiltrazione, nanofiltrazione e osmosi inversa. In tutti i casi, occorre però considerare che le particelle rimosse dalle acque di scarico vanno poi a finire nei fanghi di depurazione, e se questi vengono utilizzati come fertilizzanti, le microplastiche vanno a finire nel terreno e nell’atmosfera. COSA SI PUO’ FARE?
che sintetiche). Chi usa l’asciugatrice ha certamente notato che sui filtri dell’aria emessa si raccoglie una lanugine, che è costituita da finissime fibre; le stesse microfibre, derivanti dalla naturale usura, vengono trasferite ad ogni lavaggio negli scarichi. si stima che ogni ciclo di lavaggio in lavatrice rilasci nello scarico fino a 700.000 microfibre; secondo alcune ricerche, la maggior parte dell’inquinamento da plastica proverrebbe in realtà dalle fibre sintetiche, in quanto raccogliendo i rifiuti spiaggiati in diverse località nel mondo si è trovato che le microfibre costituiscono in media l’85% dei rifiuti di materiali sintetici. secondo altre fonti (International Union for Conservation of nature), le microfibre contribuirebbero per il 15-30% all’in-
vengono scambiate per cibo, ma in parte non vengono espulse e si accumulano nell’apparato digerente, dando un’illusione di sazietà e riducendo il naturale desiderio di ricercare il cibo. Da rilevare che le microfibre sembrano essere due volte più dannose delle microplastiche, anche se il meccanismo di questa nocività non è chiaro. MICROPLASTICHE E DEPURATORI
Come detto, la maggior parte dell’inquinamento marino da macroplastiche proviene da Paesi che non hanno efficienti sistemi di gestione dei rifiuti. Pertanto, provvedimenti di proibizione delle plastiche “usa e getta” e delle microplastiche nei cosmetici a li-
marino è dato da microplastiche e nanoplastiche, convogliate nella rete fognaria e da qui ai depuratori. le attuali tecnologie di depurazione, basate su decantazione e filtrazione meccanica, trattengono abbastanza bene le macroplastiche, ma sono scarsamente efficaci su microplastiche e microfibre. Il risultato è che gli effluenti dei depuratori convogliano ai fiumi grandi quantità di inquinanti, come evidenziato da una recente ricerca di legambiente: la differenza nella concentrazione di microplastiche a monte e a valle dei depuratori può arrivare all’80%. la situazione potrebbe migliorare notevolmente con l’adozione di tecnologie di separazione mediante centrifughe o idrocicloni, e soprattutto con le tecnologie di
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Il problema è complesso e non presenta soluzioni semplici. Tutti sono d’accordo sul fatto che occorre disincentivare lo smaltimento in discarica e potenziare il riutilizzo (per le fibre tessili) e il riciclo (per gli imballaggi). Tuttavia, riutilizzo e riciclo non fanno altro che prolungare il ciclo di vita, ma prima o poi plastiche e fibre sintetiche finiranno nei rifiuti. sono in corso molte diverse iniziative di disinquinamento, sia nei mari (con battelli “mangiaplastica”) che nei fiumi, come la recente installazione di reti a 40 km dalla foce del Po; ma va considerato che difficilmente ciò che si raccoglie potrà essere riciclato, perché costituito da diversi polimeri, per di più già degradati dall’esposizione alla luce ed agli agenti atmosferici. Esiste comunque, almeno in linea teorica, la possibilità di sottoporre gli scarti a processi pirolitici, per ricavarne carburanti. l’attuale strategia di gestione dei rifiuti prevede solo come ultima istanza l’eliminazione (mediante discarica o incenerimento). Il problema delle microplastiche (e microfibre) disperse nell’ambiente richiederà una inversione di tendenza, privilegiando sistemi che eliminino le microplastiche, mediante trasformazioni chimiche o biologiche. la trasformazione chimica (più propriamente, fotochimica) è in corso di valutazione nel quadro del progetto europeo ClAIm (Cleaning litter by developing and Applying innovative methods): ricercatori del KTn Royal Institute of Technology, in svezia, stanno mettendo a punto
speciali reti, costituite da nanofili rivestiti di un materiale semiconduttore con proprietà fotocatalitiche. Il semiconduttore eccita le molecole di plastica, avviando un processo di degradazione che porta ad acqua o anidride carbonica. la trasformazione biologica, attraverso batteri o enzimi in grado di metabolizzare la plastica, è da tempo oggetto di intense ricerche, che hanno avuto un’accelerazione nel 2016, con la scoperta in una discarica giapponese di un batterio (Ideonella sakaiensis) che si nutriva di bottiglie in PET. scienziati dell’Università di Portsmouth (UK) e del laboratorio Usa per le Energie Rinnovabili (nREl, Colorado) hanno modificato la struttura del batterio e isolato l’enzima che svolge il lavoro di biodegradazione, che si svolge nel giro di pochi giorni. Una volta prodotto su scala industriale, l’enzima potrebbe essere spruzzato dall’alto sulle attuali “isole” di plastica galleggiante. Un altro indirizzo di ricerca è la conversione dei rifiuti plastici in metano, mediante digestione anaerobica.
In Australia è stata costituita una società (PoET systems) che punta a realizzare un impianto da 100 ton/settimana, utilizzando una tecnologia che è già stata riconosciuta semi-finalista nella Austra-
lian Technologies Competition del 2017. la sigla PoET è abbreviazione di Polymer organic Energy Treatment; secondo l’inventore di questa tecnologia (David Thompson), è possibile im-
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piegare infrastrutture già presenti in quasi tutti gli impianti di depurazione delle acque reflue, utilizzando batteri derivanti da quelli che si trovano nel terreno dei giardini.
spesso l’impiego della giusta tecnologia può ovviare a problemi che, fino a quel momento, avevano richiesto consistenti sforzi organizzativi o impegni economici anche importanti. A questo proposito, interessante è il caso dell’installazione di una batteria di pompe volumetriche Vogelsang che ha posto fine a un annoso inconveniente riscontrato presso un importante depuratore in area urbana.
gRAZIE A VogElsAng
Schiume: problema risolto! Dopo l’installazione di dodici pompe serie IQ, un importante depuratore urbano non deve più ricorrere agli autospurghi per lo svuotamento dei pozzetti
IL PROBLEMA DELLE SCHIUME
Periodicamente, e in particolar modo durante i cambi di stagione, le vasche di depurazione a fanghi attivi iniziano a produrre schiume. Queste ultime sono raccolte in una serie di pozzetti, all’interno dei quali, per mezzo di un sistema a sifone, si separa la parte acquosa, che è riportata in testa al depuratore, dalla componente solida, che resta in essi stoccata. Per la periodica asportazione del materiale accumulato, la società ha fatto ricorso, fino all’inverno scorso, ad autospurghi che effettuavano l’aspirazione e il trasporto delle schiume presso la linea fanghi all’interno dell’impianto. si trattava, come è facile immaginare, di un’operazione onerosa, in quanto richiedeva un notevole impiego di manodopera. LA SOLUZIONE: POMPE VOLUMETRICHE
Il gestore, al fine di porre in essere una soluzione tecnologicamente avanzata e automatizzare lo svuotamento periodico dei pozzetti di raccolta schiume, ha predisposto un appalto per la fornitura e posa di pompe volumetriche, relativi quadri elettrici e automazione, nonché circuito annesso dedicato al trasferimento delle schiume direttamente in linea fanghi. Vogelsang Italia si è aggiudicata la gara proponendo l’installazione di una batteria di pompe volumetriche a lobi, da destinare al recupero e pompaggio delle schiume, tramite un circuito dedicato e un meccanismo automatizzato. I dispositivi impiegati sono pompe a lobi modello IQ112-81, scelte sia perché la conformazione (in particolare i punti di innesto dei collettori) si presta particolarmente a questo tipo di attività, sia
perfettamente in grado di gestire anche picchi importanti di tracimazione di schiume. Quest’ultime si formano, essenzialmente, per la presenza di batteri filamentosi che modificano la tensione superficiale dell’acqua, impedendo all’aria insufflata nelle vasche di liberarsi in atmosfera. Un fenomeno abbastanza noto e comune negli impianti a fanghi attivi. CONCLUSIONI
perché la notevole capacità autoadescante, fino a 9 metri teorici, risulta preziosa in una situazione in cui le schiume sono per la maggior parte sotto il livello stradale. le pompe sono state posizionate tra i pozzetti e dotate di un sistema di valvole e rinvii che permette, in caso di necessità, di gestire due pozzetti con uno stesso dispositivo. Per l’attivazione automatica in caso di aumento del livello delle schiume è stato
invece scelto un interruttore a galleggiante. I primi test realizzati sono stati senza dubbio positivi, nonostante la notevole distanza di trasferimento (circa 800 metri), che deve essere coperta per raggiungere un centro di raccolta e trattamento in grado di gestire le schiume. grazie alla notevole pressione di esercizio e alla capacità di pompare la miscela di fango e aria, di circa 20 mc/ora, le pompe sono
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l’impiego di pompe a lobi volumetrici della serie IQ ha dunque consentito di risolvere un inconveniente che, seppure non di eccezionale gravità, costringeva i tecnici dell’impianto a interventi repentini e onerosi sotto il profilo economico e dell’impegno di capitale umano. Con un investimento tutto sommato modesto l’impianto è ora più efficiente, funzionale e autonomo. le caratteristiche delle pompe volumetriche Vogelsang si sono pertanto, ancora una volta, rivelate vincenti. Da citare, tra le tante, l’alto potere autoadescante, che consente di utilizzarle in tutte quelle occasioni ove sia necessario estrarre fluidi da pozzetti o serbatoi interrati, e la capacità di funzionare a secco senza subire danni, che le rende adatte a impieghi in cui il materiale in aspirazione sia discontinuo nel tempo e nella quantità. In aggiunta, da evidenziare che tutte le pompe Vogelsang sono realizzate secondo il principio Quickservice, grazie al quale è possibile effettuare le manutenzioni ordinarie, come la sostituzione dei lobi, direttamente in loco, in tempi brevi e senza disconnettere la pompa dalle tubature, così da ridurre al massimo l’intervallo di inattività del dispositivo.
HI -TE CH
AMBIENTE
SPECIALE
LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA
SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA
La depolverazione a secco dei gas Inquinamento da polveri
Una panoramica su normativa in materia e attuali tecnologie: filtri ad azione meccanica, a campo elettrico e a intercettazione dimensionale La presenza di polveri e fumi è il segno più immediato e visibile dell'inquinamento atmosferico. I metodi di abbattimento sono diversi secondo le dimensioni delle particelle; la tecnologia offre oggi molte possibilità, tra le quali si sceglie secondo criteri sia di efficacia sia di economia. I rischi che le polveri presentano per la salute umana dipendono ovviamente dal materiale che costituisce le polveri stesse; va però tenuto presente che anche materiali considerati innocui, come il legno, quando sono in forma di polvere possono diventare pericolosi per la salute e addirittura cancerogeni. Questo preoccupante scenario ha quindi spinto i Governi di tutti i Paesi a emanare leggi e regolamenti che limitano l'emissione di polveri sia nell'atmosfera esterna alle fabbriche, che nell'ambiente di lavoro interno. LA NORMATIVA SULL'INQUINAMENTO DA POLVERI
La normativa sull'inquinamento da polveri è contenuta nel D.Lgs 152/06 (il cosiddetto Testo Unico Ambientale), che però è stato modificato dal D.Lgs 183/17; la modifica comporta che i valori limite possano essere stabiliti con riferimento alle migliori tecnologie disponibili (B.A.T.) fissati dalle Direttive Europee. Per gli impianti di combustione, i limiti di emissione sono distinti secondo la potenza termica nominale
ATTENTI ALLE ESPLOSIONI! Un aspetto da considerare con molta attenzione nei sistemi di depolverazione a secco è il rischio di esplosioni. Si possono creare condizioni favorevoli alla formazione di atmosfere esplosive (indicate nelle norme di sicurezza con la sigla atex) tutte le volte che ci sono accumuli di polveri combustibili (legno, carbone,
farine, ecc.) o soggette a fenomeni di ossidazione, come i metalli finemente suddivisi. Per questo motivo è opportuno che i sistemi di depolverazione a secco siano posti all'aperto, e che la struttura ove sono alloggiati sia dotata di dischi o pannelli a rottura prestabilita (o altri sistemi per la soppressione delle esplosioni).
degli impianti, il flusso di massa al camino, il tipo di combustibile utilizzato, e se si tratti di impianto nuovo o esistente (in esercizio prima del 20/12/18); vi sono poi deroghe e facilitazioni, ad esempio per gli impianti collegati a reti di teleriscaldamento, e un elenco di esclusioni. Tralasciando gli impianti termici civili, che sono oggetto di una normativa specifica, troviamo anzitutto nella Parte II dell'All.I alla Parte V i limiti per le sostanze cancerogene, tossiche per la riproduzione e/o mutagene, che possono trovarsi nei fumi allo stato solido, cioè di polveri. I valori sono ovviamente molto bassi, da 0,01 mg/Nmc per le diossine fino a 5 mg/Nmc per i metalli come piombo, cromo, rame, manganese stagno e altri. Valori più elevati (da 50 a 150 mg/Nmc, secondo il flusso di massa) sono consentiti per i composti organici sotto forma di polveri. Successivamente, nella Parte III dello stesso Allegato, troviamo i limiti per gli impianti di combustione. La casistica è molto complessa; i limiti variano da 5 mg/Nmc per gli impianti alimentati a combustibili gassosi, fino a 150 mg/Nmc per gli impianti di potenza termica inferiore a 5 MW, alimentati a combustibili solidi. Seguono gli impianti industriali: vetrerie, piastrelle in ceramica, impianti per fusione di bitume e pietrisco di catrame, cokerie, impianti per l'agglomerazione di minerale di ferro, impianti per l'agglomerazione del minerale di ferro, Continua a pag. 18
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SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA Continua da pag. 16
La depolverazione a secco dei gas impianti per la produzione di ghisa, impianti per la produzione di acciaio, impianti di zincatura a caldo, impianti per la produzione di ferroleghe, di metalli non ferrosi, di accumulatori al piombo, di fertilizzanti, antiparassitari, nerofumo, impianti di verniciatura, di produzione di gomma, zuccherifici, oleifici. Una successiva Parte IV è dedicata all'estrazione di idrocarburi e fluidi geotermici. LE TECNOLOGIE
Possiamo distinguere tre diversi tipi di impianto, secondo il principio fisico su cui si basano: azioni meccaniche, campi elettrici e intercettazione dimensionale. Depolveratori ad azione meccanica La deposizione per caduta (sotto l'azione della forza di gravità) viene utilizzata nelle "camere a polvere" o "camere di calma", in cui la velocità del flusso dei gas viene abbassata e si fa percorrere al gas che contiene le polveri un cammino sufficientemente lungo da dare a queste il tempo di depositarsi. Tuttavia solo le particelle più grossolane hanno tempi di deposizione accettabili dal punto di vista industriale. Le camere di calma vengono ancora utilizzate quando si ha a che fare con polveri grossolane (oltre 50 micron), oppure come stadi preliminari, per separare le frazioni più pesanti prima dell'ingresso al vero e proprio impianto di depolverazione. Se la caduta per gravità è troppo lenta, il metodo più diretto è sostituire alla gravità la forza centrifuga; questo viene realizzato nei cicloni, che sono apparecchiature molto diffuse. Il loro principio di funzionamento si basa sulla trasformazione del moto rettilineo del gas in ingresso in moto rotatorio elicoidale; la forza centrifuga generata dalla rotazione spinge le particelle contro le pareti interne dell'apparecchiatura, da dove poi cadono nel recipiente di raccolta posto in basso. Il vantaggio principale dei cicloni è il basso costo, sia di costruzione che di esercizio; lo svantaggio è l'efficienza piuttosto modesta, specie quando il diametro delle particelle scende sotto i 10 micron. La temperatura dei gas da depurare di solito non deve superare 400 °C, anche se con rivestimenti interni di materiale
I RISCHI PER LA SALUTE Il principale rischio dovuto alle polveri interessa ovviamente l'apparato respiratorio. Gli effetti sono molteplici e dipendono sia dalle dimensioni delle particelle che dalla loro natura. Lasciando da parte i casi particolari (silicosi, asbestosi), in genere si può dire che: - le particelle più grosse (diametro superiore a 10 micron) si depositano nella regione naso-faringea, dove possono provocare sinusiti e laringotracheiti, ma non arrivano mi ai polmoni • le particelle con diametro tra 10 e 3 micron si distribuiscono tra i bronchi e bronchioli, da dove vengono in gran parte allontanate dal sistema muco-ciliare; esposizioni prolungate possono tuttavia aggravare malattie respiratorie croniche, come asma e bronchiti • le particelle con diametro tra 3 e 0,5 micron sono le più insidiose, perchè arrivano fino agli alveoli polmonari; qui in parte refrattario si può arrivare a 800 °C. A temperature elevate e con polveri di natura abrasiva la vita utile dei cicloni può risultare limitata dall'erosione esercitata dalle particelle contro le pareti. Sostituendo alla forza centrifuga la forza di inerzia, troviamo i filtri i-
vengono allontanate dai macrofagi, ma una quota rilevante (specie nel caso di particelle insolubili) rimane intrappolata nei tessuti polmonari per anni, e le conseguenze possono arrivare anche a essere gravi, come enfisemi e tumori • le particelle più piccole (inferiori a 0,5 micron) vengono prevalentemente espulse durante l'espirazione; tuttavia una parte di esse può attraversare l'epitelio polmonare ed entrare nel circolo sanguigno, dove (in dipendenza della loro natura chimica) può esercitare una azione tossica su diversi organi e tessuti. Specialmente le polveri metalliche, agendo con questo meccanismo, possono provocare danni neurologici irreversibili ed effetti a carico del sistema nervoso centrale. Oltre agli effetti sul sistema respiratorio, non tuttavia vanno trascurati quelli a carico degli occhi (congiuntiviti allergiche) e della pelle (dermatiti, orticaria). nerziali pieghettati, che funzionano facendo compiere molti repentini cambi di direzione al flusso dell’aria da depurare. Le particelle solide, più pesanti dell’aria, vanno a depositarsi in apposite sacche di contenimento. Questi filtri sono molto usati nelle cabine di verniciatura,
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perché consentono il passaggio di grandi volumi d’aria con poca perdita di carico. Depolveratori a campo elettrico Chiamati anche elettrofiltri, essi funzionano caricando elettricamente le particelle da separare mediante un campo elettrico ad elevata differenza di potenziale. La carica elettrica viene conferita alle particelle da separare grazie all'urto con gli ioni gassosi creati da un campo elettrico per effetto corona; le particelle caricate elettricamente vengono successivamente attratte da elettrodi caricati con segno opposto ("piastre di captazione"), dove cedono la loro carica e si depositano. Il distacco delle particelle dalle piastre può avvenire con diversi metodi (vibratori, sistemi a percussione o getti d'acqua, e in quest'ultimo caso si parla di separatori elettrostatici a umido). Gli elettrofiltri sono apparecchiature versatili ed efficienti, che funzionano bene in un campo molto alto di diametro delle particelle da separare (l’efficienza è intorno al 98% per polveri di 1 micron, ma sale al 99,95% per particelle di 5 micron), e possono ricevere gas a temperatura fino a 600 °C e con pressione fino a 10 atmosfere, con basse perdite di carico. Gli svantaggi sono l'elevato ingombro e il costo iniziale, mentre le spese di esercizio sono di solito abbastanza contenute. I campi di impiego più comuni sono le centrali termiche e termoelettriche, gli impianti di essiccazione di vari materiali, di produzione di fertilizzanti, i cementifici. Fino ad alcuni anni fa gli elettrofiltri erano largamente impiegati negli inceneritori, ma oggi sono stati soppiantati dai filtri a maniche. Depolveratori a intercettazione dimensionale Sono i classici "filtri", in cui le particelle vengono forzate contro tessuti, pannelli o altri mezzi porosi. Le particelle con diametro superiore a quello dei pori vengono bloccate, mentre i gas sono liberi di passare. Questi filtri vengono costruiti in diverse varianti; sono soprattutto diffusi i filtri a maniche e quelli a cartucce. Si deve rilevare che l'effetto di filtrazione non è ottenuto soltanto nel mezzo filtrante vero e proprio, ma vi contribuisce in modo decisivo lo strato di polvere che si deposita inizialmente sul filtro; si ha così una efficienza nettamente superiore a quella che si otterrebbe a tessuto pulito, per cui si possono usare anche elementi in lana di ve-
SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA tro o in reti di speciali leghe di acciaio. Nei filtri a maniche è indispensabile la presenza di dispositivi per facilitare il distacco delle particelle, quando lo strato raggiunge uno spessore tale da causare una eccessiva riduzione della portata; in genere il distacco delle particelle viene ottenuto per scuotimento, ma in alcuni casi si usano liquidi di lavaggio (specie quando sia opportuno neutralizzare polveri aggressive). I filtri a tessuto hanno un'ottima efficienza (oltre il 99%), anche per particelle molto fini (da 1 a 10 micron); in caso di alte concentrazioni di polvere richiedono però uno stadio preliminare a monte per la separazione delle particelle più grossolane, generalmente ottenuta mediante un ciclone. Le temperature di esercizio dipendono dal tessuto utilizzato; con fibre di vetro si arriva a 260 °C. I costi di installazione sono abbastanza bassi, ma ingombro e spese di manutenzione risultano piuttosto onerosi. Una applicazione importante per i filtri a tessuto è la depurazione dei fumi degli inceneritori: molti impianti dell'ultima generazione utilizzano sistemi a secco (con immissione di calce o bicarbonato di sodio) per la neutralizzazione dei gas acidi, con aggiunta di carbone attivo in polvere per adsorbire metalli pesanti e diossine. I filtri a maniche costituiscono il mezzo ideale per trattenere la miscela di calce, sali e carbone, consentendo ai fumi di cedere i microinquinanti mentre attraversano lo strato aderente al tessuto. Un tipo speciale di filtri a intercettazione dimensionale è costituito dai "filtri assoluti" (detti anche "fil-
tri Helpa"), generalmente costituiti da speciali membrane, nanofibre o materiali ceramici. Questi filtri riescono a trattenere il 99% di tutte le particelle con diametro superiore a 0,3 micron. Il principio di funzionamento è analogo a quello dei filtri a tessuto, ma le piccolissime dimensioni dei pori nel mezzo filtrante consentono di trattenere particelle con diametro inferiore al micron; sono sempre abbinati a prefiltri che trattengono le particelle maggiori, in modo da evitare un rapido intasamento. Si tratta di sistemi molto costosi, impiegati solo in casi particolari (camere sterili, blocco di particelle radioattive).
Filtri a ciclone
Filtro Helpa
Filtro Helpa Hi-Tech Ambiente
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SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA AAF INTERNATIONAL
AIR CLEAN
Il depolveratore a cartucce OptiFlo RC di AAF, ora disponibile con una trappola antiscintilla integrata, rimuove contaminanti e fumi durante la lavorazione dei metalli. Può fornire un’eccellente pulizia dell’aria e un’estesa durata del filtro usando la tecnologia dei media filtranti RedClean, sviluppata per resistere ai rigori della pulitura a impulsi, con un ottimo rilascio di polvere ed elevate prestazioni. Le cartucce RedClean, infatti, sono progettate per estendere la durata della filtrazione riducendo al contempo la caduta di pressione operativa, la frequenza delle sostituzioni e i costi operativi. La gamma disponibile comprende: RedClean NFR ad alte prestazioni, con strato di nanofibre e trattamento fiamma ritardante; RedClean SA, ad alta resistenza e antistatico; RedClean S, filtro sintetico
La depolverazione a secco o depolverazione meccanica viene utilizzata per la rimozione di polveri da correnti gassose. A seconda delle caratteristiche delle polveri da trattarie (granulometria) e della loro quantità vengono utilizzati sistemi diversi. Air Clean realizza questi tipi di impianti per diversi settori, tra i quali l’industria meccanica, siderurgica, alimentare e della produzione del cemento. L’azienda selezionare caso per caso la migliore tecnologia per la specifica applicazione. I cicloni, ad esempio, sono sistemi di captazione e abbattimento delle polveri a bassa energia, funzionanti grazie alla forza centrifuga che consente di fare aderire le particelle di polvere da trattare alle pareti del ciclone, dalle quali poi vengono raccolte sul fondo del ciclone stesso. Molto spesso vengono utilizzati come preseparatori a
con eccellente resistenza all’umidità. OptiFlo RC SPK è ideale per numerosi problemi di qualità dell’aria e può essere usato come parte integrante dei processi di lavorazione metallurgici e automobilistici. I suoi principali benefici e caratteristiche sono: design modulare compatto per esigenze di ingombro ridotto; trappola antiscintilla che estingue le scintille e dirige i contaminanti nella tramoggia; ingresso sottile che riduce la turbolenza, minimizza l’abrasione della cartuccia e del supporto; fermo di accesso rapido regolabile e porta a cerniera riducono notevolmente i tempi di cambio della cartuccia; progettato per soddisfare le normative atex per i rischi di polvere combustibile; pulsazione migliorata che riduce l’uso di aria compressa e aumenta l’efficienza del filtro.
www.aafintl.com
BRUNO BALDUCCI Da 76 anni Bruno Balducci realizza una vasta gamma di macchine e impianti per l’aspirazione e la filtrazione di polveri, tra cui i filtri a cartucce, di cui ne progetta, costruisce, installa e mantiene una vasta gamma. Con montaggio delle cartucce verticale o orizzontale, fissi e carrellati, fornisce la soluzione ideale per ogni esigenza di depolverazione industriale. Le polveri generate dai processi produttivi industriali (movimentazione, carico, scarico, lavorazione, ecc.) così come i fumi (saldatura, smerigliatura, estrusione, ecc.) possono essere estremamente dannosi per i lavoratori, l’ambiente e gli stessi macchinari. Le cinque tipologie di filtri a cartucce proposte (che possono essere
monte di sistemi idonei alla rimozione delle polveri fini e sono adatti per la captazione di polveri di forte granulometria. A secco possono essere utilizzati per il recupero di materie prime in campo industriale, ad esempio la polvere di gesso, o per la separazione di polvere alimentare, a monte di sistemi idonei per la captazione di polveri fini. I cicloni possono anche essere usati come sistemi sgrossatori in tutti i casi in cui ci sia un flusso di massa di polvere notevole e quindi si vuole proteggere i sistemi di filtro dell'aria.
www.aircleansrl.com
CORAL ENGINEERING costruiti in lamiera zincata, acciaio al carbonio verniciato, aisi304, aisi316 o atex) sono: PF, PFO, Kitfilter, Compact, Carfilter. Il gruppo filtroaspirante Carfilter con cartuccia da 14 o 21 mq di superficie filtrante, ad esempio, rappresenta la più semplice quanto affidabile soluzione del problema relativo alla filtrazione di polveri di molatura, sbavatura, lucidatura, taglio di materiali metallici e non e di trucioli. Il gruppo può essere fornito con diverse motorizzazioni e numerosi accessori, quali: sacco in polietilene, contenitore metallico per trucioli, carrello, braccio aspirante, tubazione flessibile, sistema di pulizia manuale o motorizzato, carenatura della cartuccia. La cartuccia filtrante tipo SF.806 è realizzata in poliestere e ha un'efficienza del 99,92%, secondo i test cui viene sottoposto periodicamente. Le dimensioni del gruppo Carfilter 1300 base sono di mm 1.200 x 750 x 1400 h e peso di 80 kg.
www.brunobalducci.com
Il filtro a maniche AirCom di Coral Engineering è un efficacissimo depuratore di polveri con pulizia ad aria compressa completamente automatica. Di struttura particolarmente robusta, in pannelli modulari autoportanti verniciati, è costituito da un corpo superiore di aspirazione con il sistema di pulizia ad aria compressa, da uno centrale che alloggia le maniche filtranti e da uno inferiore con gambe, tramogge di scarico e attacchi di ingresso aria polverosa. Il filtro è concepito per funzionare in depressione seguendo il seguente schema: l'aria polverosa entra dall’ingresso in tramoggia, per effetto della brusca diminuizione di velocità , le particelle con granulometria maggiore decantano e finiscono nell'apposito bidone di raccolta carrellato. E’ inoltre disponibile la versione con camera di calma (CC) che incorpora un preabbattitore per le polveri con concentrazioni elevate. L’ingresso, in questo caso, non avviene in tramog-
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gia ma direttamente in camera di calma. In alternativa, la tramoggia può essere dotata di valvola stellare e coclea di scarico (CVS). La pulizia di AirCom è garantita dal sistema in controlavaggio ad aria compressa, gestito dal programmatore con depressostato che attiva automaticamente le elettrovalvole, pulendo una fila di maniche per volta. Un programmatore ciclico gestisce le elettrovalvole a membrana, mediante il quale i filtri a maniche vengono puliti per settori ed è possibile determinare i tempi di pausa e di lavoro. Grazie a questo sistema di pulizia in controcorrente, quindi, lo stato di efficienza del filtro a maniche è mantenuto sempre al massimo livello. Da evidenziare che un pressostato differenziale monitora il livello di intasamento delle maniche e conseguentemente gestisce il ciclo di pulizia pneumatico.
www.coral.it
SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA DENA ASPIRAZIONI La depolverazione a secco con filtri a tessuto è alla base di vari processi industriali e in molti casi ne condiziona le possibilità di sviluppo e di evoluzione. E' senza dubbio un dispositivo di grande utilità in tutte le operazioni e i processi industriali, coadiuvando l'azione di filtrazione e relativa separazione di polveri medie, fini e impalpabili. Inoltre, l'azione di pulizia automatica consente di mantenere in maniera costante le perdite di carico e di permettere quindi un'azione aspirante costante. Il filtro depolveratore a cartucce modello GIC di Dena Aspirazioni prevede che l'aria polverosa venga immessa nella parte inferiore della tramoggia attraverso la bocca collegata al pannello. Le polveri più grossolane contenute nell'aria aspirata già subiscono un primo abbattimento e precipitano nella tramoggia di raccolta per la notevole diminuzione della velocità. Superando la tramoggia le
GF ASPIRAZIONI polveri attraversano le cartucce filtranti passando dall'esterno all'interno e depositando in tal modo le impurità nella tramoggia di raccolta. Durante il lavoro, il filtro viene mantenuto sempre in perfetta efficienza attraverso un sistema di pulizia ciclica in controcorrente. Un getto d'aria compressa, accumulata in un apposito serbatoio, viene velocemente iniettato all'interno delle cartucce, creando una violenta onda di scuotimento in controcorrente in grado di staccare e far precipitare le particelle depositate all'esterno delle cartucce. La valvola a doppio clapet provvederà a scaricare le polveri ciclicamente. Il filtro GIC è realizzato totalmente in lamiera zincata di forte spessore, opportunamente lavorata e trattata, per favorirne la durata nel tempo.
www.denaspirazioni.com
Il depolveratore a maniche per polveri industriali di GF Aspirazioni è stato progettato e costruito per il trattamento di aria contenente polveri molto fini, mantenendo un rendimento di captazione molto elevato, potendo arrivare, in funzione della tipologia di maniche inserite, a temperature di esercizio superiori ai 200 °C. La manica filtrante è confezionata in forma tubolare, con tessuti speciali. I depolveratori G.F.M. sono provvisti di un sistema di pulizia continua ad inversione di aria compressa, il cui funzionamento è programmato da un PLC. La depolverazione a secco con filtri a tessuto è alla base di molti processi industriali e in molti casi ne condiziona sviluppo ed evoluzione. Oltre a coprire un vasto intervallo per quanto riguarda la granulometria delle polveri più comuni, la depolverazione a secco con filtri a maniche è il sistema che permette la maggiore efficienza di separazione, e quindi minor contenuto di solidi, nei gas
filtrati. La natura delle polveri è spesso uno dei parametri più difficili da definirsi ai fini della filtrabilità. Essa dipende da numerosi fattori: dimensione e forma delle particelle, potere abrasivo, elettrostaticità, potere deflagrante, tendenza all’agglomerazione, peso specifico. Il filtro di aspirazione è essenzialmente costituito da: monoblocco in robusta lamiera di opportuno spessore; sportelli di manutenzione ordinaria, per mezzo dei quali è possibile rimuovere rapidamente le maniche filtranti per la pulizia e/o sostituzione periodica dei setti filtranti; sportelli d’ispezione per la pulizia generale del macchinario; sistema di pulizia dei setti filtranti in controlavaggio d’aria compressa; sistema di raccolta del materiale intercettato durante l’azione filtrante; pannello ad unità logiche per la pulizia periodica, automatica o manuale, dei setti filtranti.
www.gfaspirazioni.it
HFILTRATION I filtri a maniche serie HJL Bag di HFiltration sono personalizzabili e studiati ad hoc. Sono realizzati in acciaio S275JR con spessore idoneo a lavorare con carichi di polvere elevati, per installazione esterna e funzionamento h24. Le maniche filtranti di 125mm di diametro, e disponibili in lunghezze variabili di 2,5-4,5m, sono dotate di fondello rinforzato e sistema di fissaggio a Snap-Ring. La fibra con la quale è realizzata la manica viene scelta in funzione dell’applicazione. Le maniche sono tenute in posizione da cestelli tendi-manica in acciaio zincato antitaglio e antisfondamento. L’estrazione di maniche e cestelli è prevista dal tetto pedonabile del filtro. Questi filtri sono dotati di sistema di pulizia ad aria compressa Pulse-jet in controcorrente, composto da un serbatoio per aria compressa dotato di valvole a membrana “Full Immersion” precablate con sistema di gestione BUS e centralina elettronica installata a bordo filtro per pulizia Hi-Tech Ambiente
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automatica in funzione dell’intasamento delle maniche. Per ottimizzare l’efficacia del sistema di pulizia è possibile installare come optional ugelli Venturi su ogni manica. Tutte le maniche sono collegate alla linea di messa a terra per evitare l’accumulo di elettricità statica e ridurre il rischio di innesco di esplosione. Il sistema di scarico polveri del filtro a maniche è composto da una coclea collettrice posta sul fondo della tramoggia e da una rotocella a tenuta predisposta per lo scarico in BigBag. I vantaggi sono: costi di manutenzione ridotti grazie all’efficiente sistema di pulizia; basse perdite di carico in esercizio, con minimi consumi di aria compressa ed energia; elevata durata delle maniche filtranti; costruzione robusta e a tenuta, a garanzia di un esercizio sicuro e affidabile nel tempo; disponibile anche nella versione Atex II 3D.
www.hfiltration.it
SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA IMAS AEROMECCANICA
TECNO ASPIRA
Da oltre 40 anni Imas Aeromeccanica progetta e costruisce impianti di aspirazione e filtrazione che, grazie a una vasta gamma di accessori, risultano completi, moderni e sicuri. Tutta la gamma può essere dotata: di sistemi di pulizia automatica a vibrazione elettromeccanica o ad aria compressa in controlavaggio/ controcorrente; di maniche o cartucce in tessuto specifico e con diversa grammatura a seconda dell’inquinante trattato; pressostato differenziale per segnalazione intasamento filtri; portelli di ispezione e contenitori di raccolta; estrattori a
Tecno Aspira è specializzata nella costruzione e installazione di impianti di aspirazione e depurazione di aria, fumi e polveri, tra cui i filtri a maniche. Questi filtri hanno il grande vantaggio di non essere costosi, ma molto efficienti e di dimensioni compatte. I filtri a maniche per l’aspirazione delle polveri possono essere con pulizia a scuotimento meccanico o con lavaggio ad aria compressa, e tutti rispondono alle normative atex e, quindi, sono dotati di pannelli anti scoppio. I filtri FSM a maniche, ad esempio, ideali per portate d’aria da 2.000 a 10.000 mc/h. hanno un sistema di pulizia meccanica a scuotimento tramite motoriduttore o a vibrazione. Il sistema di raccolta prevede un
coclea, kit di scarico in big-bag e sistemi di travaso pneumatico; valvole stellari, serrande e indicatori di livello; dispositivi antincendio ed antiesplosione certificati atex; scale e ballatoi, ecc. Il depolveratore compatto serie CO, ad esempio, è un filtro a cartucce orizzontali con pulizia ad aria compressa (Jet Pulse Cleaning) in controcorrente. Funzionante in depressione, trova applicazione per il trattamento di polveri asciutte con diversa granulometria e concentrazione. E’ dotato di: aspiratore a pale rovesciate ad alta efficienza, quadro elettrico e centralina di gestione pulizia integrata; contenitore carrellato standard da 75 lt. I modelli CO-6 e CO-9, possono essere equipaggiati di due contenitori carrellati da 350 lt totali, e movimentazione tramite traspallet. A richiesta sono disponibili in versioni atex, con sistema di estinzione incendio (a polvere o liquido) e plenum insonorizzato di diffusione dell’aria. Per tutti i modelli sono disponibili anche cartucce in versione antistatiche.
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bidone metallico o il rilancio in container esterno. L'accesso della camera filtrante avviene frontalmente tramite sportello di ispezione. Ad integrazione possono venire installati pannelli anti scoppio e un pressostato differenziale per rilevare intasamenti. I filtri FPT-ZI a maniche con gambe corte hanno un sistema di pulizia ad aria compressa gestito in automatico da centralina. Per la raccolta delle polveri sono previsti dei sacchi in cellophane oppure dei bidoni metallici. A tali impianti possono essere installati pannelli anti scoppio, sprinkler, sensore termico, valvola stellare per lo scarico in continuo del materiale, pressostato differenziale per la rilevazione dell'intasamento. Tali filtri, ideali per portata d’aria da 1.700 a 8.400 mc/h, sono prodotti anche nella versione con gambe allungate (modello FPT-ZIL); ma sono anche disponibili in versione FT-Z con scala alla marinara e parapetto, idonei per portate d’aria da 3.800 a 13.100 mc/h.
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SPECIALE: LA DEPOLVERAZIONE A SECCO DELL'ARIA TECNOSIDA Il multiciclone Turbovortex di Tecnosida per la separazione delle polveri rappresenta l’evoluzione del concetto di ciclone tradizionale. La sua flessibilità e adattabilità lo rende ideale all’impiego come preabbattitore (nei casi in cui il contenuto di polvere nel flusso da trattare debba essere drasticamente ridotto, a protezione del filtro principale) o come separatore stand-alone. Turbovortex viene impiegato per polveri di diversa natura, laddove si richiedano efficienze elevate di separazione senza l’utilizzo di filtri meccanici. Nel dettaglio, questo multiciclone risulta particolarmente idoneo per l’abbattimento delle polveri provenienti da impianti di combustione cippato, pellet e altre biomasse solide. Nei sistemi di separazione di polveri mediante componenti Turbovortex, il flusso aeriforme da trattare viene condotto all’interno del corpo attraverso un sistema di palette che gli imprimono un moto
VENETA IMPIANTI vorticoso. Le polveri e il particolato presente, sottoposte alla forza centrifuga, si separano dal vortice aeriforme dirigendosi verso le pareti interne del corpo, fino a raggiungere la bocca di scarico inferiore. Successivamente, il flusso gassoso purificato inverte la direzione e risale nel tubo interno (posto al centro) fino alla bocca di uscita. Il Turbovortex è caratterizzato da geometria proprietaria e da una struttura esterna che può essere realizzata in diverse forme a seconda degli spazi disponibili e delle esigenze del cliente. Inoltre, in fase progettuale è molto importante definire portata e temperatura di utilizzo, per creare il giusto equilibrio tra efficienza energetica e perdita di carico, garantendo così la massima efficienza. Allo scopo, Tecnosida dispone di un prototipo che usa per testare l’efficienza del Turbovortex in relazione a diversi inquinanti specifici.
Veneta Impianti realizza macchine filtranti progettate per applicazioni medie e grandi, oltre che tutti gli accessori e le canalizzazioni necessarie per completare e realizzare il sistema di aspirazione polveri secondo le specifiche del cliente. Il filtro a maniche FMJZ-B di Veneta Impianti è un depolveratore autopulente con pulizia ad a-
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I filtri a maniche autopulenti in controcorrente di Ventilazione Industriale sono adatti a tutti i tipi di polveri e funzionano h24. La costruzione prevede pannelli componibili e ciò facilita trasporto, montaggio ed eventuale ampliamento. Il depolveratore è dotato di ampi portelli di ispezione per eseguire con facilità manutenzioni o controlli. Gli elementi filtranti sono costituiti da cestelli opportunamente dimensionati e da una manica costituita da un particolare tessuto filtrante, le cui caratteristiche vengono determinate in funzione di ogni specifica applicazione. L’aggancio dell’elemento filtrante ai Venturi,
La gamma di filtri poligonali WamAir di WamGroup è una soluzione estremamente versatile e compatta per la depolverazione negli impianti industriali. Si tratta di filtri costituiti da un corpo poligonale in acciaio inox aiai304, da elementi filtranti inseriti orizzontalmente o verticalmente e da un sistema di pulizia pneumatico ad aria compressa. Questi filtri sono impiegati per applicazioni "venting" o come unità autonoma montata su tramoggia di raccolta polvere. Nei depolveratori WamAir la polvere è separata dalla corrente d'aria mediante elementi filtranti a tasche o del tipo speciale Polypleat. La polvere raccolta sugli elementi filtranti viene rimossa grazie al sistema automatico programmabile di pulizia in controcorrente, integrato nel portellone di ispezione. Aprendo lo sportello di accesso, l'operatore può rimuovere con facilità e in sicurezza gli elementi filtranti dal lato aria pulita. Il flusso d'aria sporca può entrare attraverso l'apertura in alto nel corpo del filtro, dove in seguito vengo-
solidali con il diaframma superiore, è pratico e di facile e veloce esecuzione, così da contenere i costi di manutenzione. Il ciclo di lavaggio è variabile in funzione delle reali necessità: il sistema di controllo prevede la variazione sia del tempo di lavaggio sia della frequenza dell’aria. Questa elasticità di funzionamento facilita i fenomeni fisici secondari derivanti dal lavaggio in controcorrente, che provocano il distacco dello strato di polvere depositato sul tessuto, in modo da pulire lo stesso in profondità, restituendo al tessuto filtrante il massimo grado di permeabilità. La pulizia avviene mediante aria compressa a 6-7 atm, attraverso elettrovalvole dall’interno verso l’esterno delle maniche. Ogni elettrovalvola è comandata con intervalli di 10-50 sec e le perdite di carico delle maniche non superano i 120 mm, mentre il consumo di aria compressa è di circa 0,15 mc/ora per mq di tessuto (2,5 lt/min).
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ria compressa, ideale per la filtrazione polveri fini e grossolane. Il suo funzionamento può essere così sintetizzato: l’aria polverosa attraversa il tessuto filtrante che separa le polveri. La pulizia delle maniche è gestita automaticamente da un economizzatore con pressostato differenziale che controlla le perdite di carico e mantiene costante la portata d’aria. Le polveri, invece, sono raccolte in appositi bidoncini. Tale filtro è realizzato da pannelli zincati modulari autoportanti e costituito da un modulo superiore con il sistema di pulizia delle maniche, un modulo centrale con le maniche filtranti, un modulo inferiore con gambe e sistema di raccolta polveri. Nella versione GL il filtro è fornito con tramoggia aperta senza bidoncino metallico. Le maniche all’interno dell’unità filtrante, 144 in tutto, sono realizzate in feltro agugliato poliestere antistatico da 550 gr/mq e garantiscono una superfice filtrante da 137 mq.
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no preseparate le particelle più pesanti nella caduta. In alternativa, l'aria sporca può entrare attraverso la flangia inferiore connessa ad una tramoggia Wam, tipo PT, o ad un qualsiasi sistema da depolverare (silo, trasportatore a nastro, elevatore a tazze, trasportatore a catena, ecc.). Sono disponibili su richiesta versioni speciali atex per zona 22 (cat.3D) e zona 21 (cat.2D), entrambe adatte per applicazioni in zona interna 20. Altre caratteristiche tecniche sono: superficie filtrante 3-70 mq, volume d'aria 2506.500 mc/h, elevata efficienza di pulizia grazie alle elettrovalvole "Full Immersion" incorporate nel serbatoio d’aria in alluminio, gamma aspiratori silenziati integrati nel portellone d’ispezione frontale per la riduzione della rumorosità.
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T U T E L A
L’ A M B I E N T E
Il recupero dei tessili come sottoprodotto Le prime linee guida
Indirizzi operativi per gli addetti del settore riguardo a procedure e condizioni di legge in materia, favorendo la riduzione dei rifiuti Il distretto tessile di Prato ha costruito la sua fortuna sul recupero degli scarti tessili, sia provenienti dal ciclo di produzione che dal recupero di abiti usati. Fin dalla fine del’800 è stato messo in pratica un approccio circolare alla gestione delle risorse, che la legislazione sui rifiuti ha messo del tutto in crisi: in passato era sufficiente che gli scarti da lavorare avessero un prezzo (magari simbolico) per essere qualificati “materie seconde”, mentre oggi l’applicazione rigida della legislazione europea costringerebbe gli operatori della filiera tessile a diventare “smaltitori di rifiuti”, con tutte le complicazioni burocratiche ed economiche che ne conseguono. La Regione Toscana, ha messo ordine nella materia, con la Deliberazione della Giunta regionale n.12/2020 (Bollettino ufficiale della Regione Toscana n. 4/2020), avente come oggetto le "Prime linee guida per l'applicazione del regime di sottoprodotto nell'industria tessile". Il documento (elaborato in collaborazione con ARPAT, ARR e associazioni di categoria) intende fornire indirizzi operativi agli operatori del settore (che nel contesto imprenditoriale del distretto tessile toscano sono costituiti per
lo più di micro e piccole imprese), in merito alle procedure e condizioni di legge sul regime dei sottoprodotti tessili, favorendo il raggiungimento dell'obiettivo di riduzione della produzione dei rifiuti, in linea con i principi dell'economia circolare. IL CONCETTO DI “SOTTOPRODOTTO”
Durante la lavorazione dei prodotti tessili, inevitabilmente una
parte di materiale viene scartata: ad esempio le fibre corte tendono a depositarsi sui pavimenti o sono catturate dagli impianti di aspirazione e filtraggio (peluria), gli spezzoni di fili rotti o tagliati vengono scartati (fila), così come gli avanzi di tops e stoppini (laps). Altri pezzi di tessuto residuano dalle successive lavorazioni (quali tessitura, finissaggio e confezione) e tutti questi materiali costituiscono per le aziende tessili una perdita non irrilevante, che
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in certi casi può superare il 6%. Questi residui devono essere gestiti come rifiuti, a meno che non si trovi modo di reintrodurli in un ciclo produttivo; in questo caso potranno essere qualificati come “sottoprodotti”. In particolare, affinchè un residuo possa essere qualificato come sottoprodotto, esso deve soddisfare i requisiti stabiliti dall'art. 184 bis del D.Lgs n.152/2006, e successive disposizioni, come il D.M. n.264/2016, seguito dalla Circolare esplicativa del 30/5/2017, che ha lo scopo di fornire chiarimenti al fine di consentire un'uniforme applicazione e un'univoca lettura del suddetto Decreto. Ai sensi della nuova disciplina, quindi, si stabilisce che è un sottoprodotto (e non un rifiuto, ai sensi dell'art.183, com.1, let.a), D.Lgs 152/2006), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa contestualmente tutte le seguenti condizioni, sin dal momento in cui il residuo viene generato: - la sostanza o l'oggetto è originato da un processo di produzione, di cui sostituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto. Da notare che nel caso del recupero e rigenerazione del materiale tessile usato (come abi-
ti usati e stracci) è evidente che il materiale non può essere considerato un sottoprodotto, in quanto proveniente da un ciclo di consumo e non di produzione; la normativa sui sottoprodotti non potrà mai consentire di ricreare le “disinvolte” condizioni che c’erano in passato - è certo che la sostanza o l'oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. La certezza dell'impiego non può essere semplicemente "dichiarata", ma deve essere dimostrata dal produttore del residuo con ogni mezzo di prova (meglio se con documenti contrattuali o commerciali). Le operazioni necessarie al riutilizzo possono essere svolte in tutto o in parte nel luogo di produzione dal fabbricante, o presso l'utilizzatore successivo, o anche da intermediari, ma resta in capo al produttore l'onere di assicurare la tracciabilità - la sostanza o l'oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica indu-
striale. Questa condizione si presta a differenti interpretazioni; lo scopo è comunque quello di evitare che rifiuti che necessitano di essere trattati per poter essere impiegati sfuggano alla disciplina di settore. Se ne deduce che il materiale potrà essere sottoposto a lavorazioni necessarie per renderlo riutilizzabile (ad es. trattamenti di lavaggio, essiccatura, raffinazione e omogeneizzazione, controlli
qualità, ecc.), che possono essere effettuati dal produttore o da terzi; mentre non rientrano nella "normale pratica industriale" i processi necessari per conferire al residuo particolari caratteristiche sanitarie e ambientali che esso non possiede al momento della produzione, a meno che tali processi non siano svolti all'interno del medesimo ciclo produttivo - l'ulteriore utilizzo è legale, ossia
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la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non porterà a impatti complessivi sull'ambiente e sulla salute umana. Ciò comporta anche una attività in termini di controllo qualità sulle caratteristiche del sottoprodotto, Continua a pag. 28
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Il recupero dei tessili come sottoprodotto che dovranno essere confrontate con gli eventuali requisiti di legge applicabili per la categoria (ad es., un sottoprodotto destinato all'uso cosmetico dovrà soddisfare i requisiti di legge richiesti per tali prodotti) IL CICLO DI PREPARAZIONE DEI SOTTOPRODOTTI TESSILI
Il sottoprodotto deve tornare com'era all'origine, ossia una massa fibrosa. Il ciclo di preparazione comprende in genere le seguenti lavorazioni: - lavaggio (ovvero la ripulitura dalle varie impurità presenti), e questa prima fase può essere eventualmente preceduta dalla "cernita", ossia la separazione del materiale in base al colore e alla composizione fibrosa (va da sè che quando si lavora un sottoprodotto omogeneo la cernita diventa superflua) - asciugatura e stracciatura, cioè l'utilizzo di un macchinario riduce il tessuto in brandelli e fili, e in alcuni casi (soprattutto nel distretto tessile di Prato) vengono usati i cosiddetti "lavaggioni", ovvero delle macchine che in un solo passaggio svolgono sia la funzione di lavaggio che quella di stracciatura - carbonizzo, ossia la lavorazione che tramite l'utilizzo di acido cloridrico spruzzato sotto forma di vapore elimina, riducendole in residui carboniosi, tutte le parti a base cellulosica come ad esempio impurità vegetali o a base vegetale. La lavorazione viene eseguita in una camera ad alta temperatura, oppure direttamente in pezza, cioè sul tessuto, che viene immerso in un bagno di una soluzione di acido solforico che elimina anch'esso le parti cellolusiche - battitura, viene effettuata sempre dopo il carbonizzo, per eliminare i residui carboniosi lasciati dalle fibre cellulosiche - tintura, tecnologia oggi molto ridotta, che prevedeva l'utilizzo dell'obermayer, ovvero un macchinario da tintura in cui venivano sistemati i ritagli - sfilacciatura, operazione complementare alla stracciatura che riduce ulteriormente i brandelli in pezzi ancora più piccoli e il filato
in fibre. Da rilevare che, qualora le lavorazioni di cui sopra generino scarti aventi natura completamente diversa rispetto al sottoprodotto trattato, il processo che li genera potrebbe essere inquadrato tra le attività di recupero rifiuti. COME SI RICONOSCE UN SOTTOPRODOTTO?
Con l'introduzione della nuova disciplina, è il produttore del materiale che ha l'onere di verificare la sussistenza di tutti i requisiti richiesti affinchè i materiali e i residui di lavorazione possano essere qualificati come sottoprodotti e non rifiuti. Ciò in quanto l'art.184bis introduce una disci-
plina eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria, che sottrae i sottoprodotti al regime dei rifiuti; quindi spetta alle aziende che vogliono giovarsene fornire la prova di tutte e quattro le condizioni previste dal'art. 184bis. A tale proposito, il D.M. 264/2016 e l'allegato alla circolare 30/5/2017 stabiliscono che "Gli strumenti probatori indicati dal D.M. sono la documentazione contrattuale e la scheda tecnica di cui all'art.5, com. 4 e 5". Con riferimento alla documentazione contrattuale, essa dovrà assicurare la dimostrazione della certezza del riutilizzo mediante la piena riconducibilità del contratto allo specifico quantitativo/lotto di
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sottoprodotto ceduto nell'ambito di un rapporto contrattuale. Le condizioni della cessione devono assicurare la produzione di una utilità economica o di altro tipo, e i contenuti devono essere tali da fornire elementi a dimostrazione della concretezza e "solidità" del rapporto di cessione, che non si deve mai configurare nella mera eventualità della cessione. In particolare, la certezza delle tempistiche e una dettagliata descrizione delle modalità di gestione del materiale sono considerate condizioni necessarie per dimostrare la certezza del riutilizzo, la quale deve essere esclusa nei casi in cui lo stoccaggio/cessione da parte del produttore/utilizzatore del materiale sia indefinito nel tempo o comunque sia previsto per tempi che possano far venir meno la certezza del riutilizzo. Infine, qualora una parte del materiale non conservi i requisiti del sottoprodotto, esso diventerà rifiuto e dovrà quindi essere stoccato separatamente e trattato in conformità alla legislazione inerente ai rifiuti. Questo può accadere ad esempio per la perdita delle caratteristiche necessarie al suo impiego oppure qualora l'azienda intenda o debba disfarsene (ad es. se il mercato non dovesse assorbire tutta la produzione disponibile).
RIFIUTI T R A T T A M E N T O
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S M A L T I M E N T O
La gestione rifiuti al tempo del Covid Servizi e trattamenti
Una breve analisi di come l’emergenza coronavirus influenzi raccolta, stoccaggio e smaltimento di rsu, speciali, pericolosi e non Come stabilito nell’art. 177, comma 2, del D.Lgs 152/06, la gestione dei rifiuti (cioè il complesso delle attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento), costituisce attività di pubblico interesse, che non può essere interrotta neppure nelle situazioni di emergenza originate dall’attuale pandemia di Covid-19. Le attività di gestione dei rifiuti dovranno quindi proseguire, adottando modalità atte a minimizzare le probabilità di contagio da parte di tutti gli operatori della filiera e tenendo conto del fatto che il personale disponibile risulterà temporaneamente ridotto a causa delle assenze per malattia (le Linee di Indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità precisano che “gli operatori della raccolta rifiuti devono astenersi dal servizio in caso di affezioni respiratorie o stati febbrili”); potranno quindi essere sospesi alcuni servizi, come la raccolta a domicilio degli ingombranti e l’apertura al pubblico dei centri di conferimento. RIFIUTI URBANI
Il calo dei consumi imposto dalla forzata clausura sta portando a una sensibile diminuzione nella quantità di rifiuti prodotta (stimata intorno a 2,5 milioni di ton/anno in meno), soprattutto nei settori com-
mercio e ristorazione. Tuttavia le nuove regole di gestione aumentano la complessità, mentre rischiano di entrare in crisi le raccolte differenziate, a causa della chiusura sia dei canali interni di consumo dei materiali riciclati, che dei canali di esportazione; in alcune aree questo ha già portato alla sospensione della raccolta della carta e degli imballaggi. Per quanto riguarda le modalità di
raccolta dei rifiuti urbani, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha emanato, fin dal 12/3/2020, le “Linee di indirizzo” identificate come Prot. n.8293, successivamente aggiornate il 31/3/2020. Queste linee, oltre a raccomandare l’uso di idonei DPI per gli operatori dei servizi ambientali, e di procedure di sanificazione e disinfezione delle cabine degli automezzi, contengono dettagliate prescrizioni relativa-
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mente a: rifiuti urbani prodotti dalla popolazione generale (non comprendente soggetti in isolamento o in quarantena; rifiuti urbani prodotti in abitazioni dove soggiornano soggetti positivi al tampone, in isolamento o quarantena obbligatoria. Nel primo caso non c’è ragione di modificare le normali procedure: l’ISS raccomanda esplicitamente di non interrompere le raccolte differenziate, adottando però alcune prescrizioni “a scopo cautelativo”: conferire fazzoletti e carta da cucina nell’indifferenziato, utilizzare due sacchetti uno dentro l’altro, chiudere bene i sacchetti con legacci o nastro adesivo. Mascherine e guanti usati andranno conferiti nell’indifferenziato; d’altra parte non rientrano tra le normali raccolte differenziate. Per quanto riguarda invece i rifiuti prodotti da soggetti in isolamento o in quarantena, questi si devono raccogliere in modo indifferenziato, assegnando ad essi il codice CER 200301; i sacchi utilizzati dovranno essere di colore diverso da quelli normalmente usati per i rifiuti urbani, dovranno essere posti uno dentro l’altro e chiusi indossando guanti monouso (da smaltire nel successivo conferimento). Continua a pag. 30
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La gestione rifiuti al tempo del Covid Gli oggetti taglienti o appuntiti dovranno essere protetti avvolgendoli con carta o inserendoli in altri. I sacchi dovranno essere forniti dai soggetti incaricati della normale gestione dei rifiuti urbani, i quali dovranno istituire “un servizio dedicato di ritiro da parte di personale opportunamente addestrato”, con frequenza di almeno 2 volte per settimana, stabilendo le modalità di raccolta in modo da escludere i contatti diretti, e provvedendo alla sanificazione e igienizzazione dei mezzi usati per la raccolta stessa. Dove viene effettuata la raccolta porta a porta, dovranno essere forniti, oltre ai sacchetti, anche speciali bidoncini; oppure, temporaneamente ripristinando i vecchi “cassonetti” o appositi contenitori condominiali, in modo da evitare la permanenza dei rifiuti sul suolo pubblico. In caso di indisponibilità da parte dei normali soggetti, la ASL di competenza dovrà ricorrere agli Enti deputati alla gestione delle emergenze (Protezione Civile, Esercito, Croce Rossa, ecc.). La nuova edizione delle “Linee di Indirizzo” fornisce inoltre raccomandazioni circa le procedure di uso dei DPI per gli addetti alla raccolta e allo smaltimento, e per gli operatori e i volontari che svolgono assistenza domiciliare. Una nota di ISPRA-SNPA in data 23/3/2020 (“Prime indicazioni generali per la gestione dei rifiuti - Emergenza Covid-19”), recepita nella nuova edizione delle “Linee di Indirizzo” precisa che questi rifiuti sono “prioritariamente avviati a incenerimento senza alcun trattamento preliminare” oppure, in mancanza di impianti di incenerimento, conferiti a: impianti di trattamento meccanico o meccanicobiologico (TMB), purchè sia sempre evitata la selezione manuale e sia possibile garantire l’igienizzazione del rifiuto e la protezione degli addetti dal rischio biologico; impianti di sterilizzazione (con successivo conferimento in discarica); direttamente in discarica, limitando il più possibile la movimentazione dei rifiuti, che “andranno possibilmente confinati in zone definite della discarica” e coperti giornalmente con un “adeguato strato di materiale protettivo, tale
LA RACCOLTA DI RAEE L’effetto del lockdown per contenere i contagi da Covid-19 ha già avuto ripercussioni negative anche sulla raccolta di raee e pile: su scala nazionale, infatti, nel mese di marzo si registra una riduzione del 75% di raccolta rispetto allo scorso anno. Peraltro, la maggior parte dei centri di raccolta per il conferimento dei rifiuti sono chiusi per evitare as-
da evitare ogni forma di dispersione”. ALTRI TIPI DI RIFIUTI
Le attività industriali e commerciali sono state limitate a quelle indispensabili e, pertanto, il relativo flusso di rifiuti si è molto ridotto. Uno studio Althesys stima per le sole regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna una riduzione da 4,2 a 4,8 milioni di tonnellate, con una conseguente perdita di fatturato, per le aziende che gestiscono i rifiuti speciali, intorno a 1 miliardo di euro. Tuttavia, si è ridotta anche
COSA FARE DEI FANGHI DI DEPURAZIONE? Il coronavirus viene eliminato dal nostro organismo attraverso le urine e le feci, e quindi passa nelle acque fognarie; questo è stato confermato da accertamenti compiuti dall’Istituto Superiore di Sanità nelle fognature di Roma e Milano. I normali trattamenti di disinfezione compiuti sulle acque reflue in uscita dagli impianti di depurazione dovrebbero tuttavia essere sufficienti ad evitare l’immissione di virus nei corpi idrici superficiali. Per quanto riguarda la presenza del coronavirus nei fanghi di depurazione, al momento non ci sono dati conclusivi. Un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS Covid-19, n.9/2020) segnala che i trattamenti termici (digestione anaerobica termofila, essiccamento a oltre 80 °C) e il trattamento con calce sono adeguati a produrre un fango igienizzato; non ci sono al momento dati sui fanghi sottoposti a compostaggio, anche se i tempi e le temperature raggiunte durante il trattamento portano a ritenere irrilevante il rischio
sembramenti e rischi di contagio. Il periodo di difficoltà è purtroppo anche aggravato dalla frenata dei costi delle materie prime. Già nel primo trimestre del 2020, ad esempio, rame e alluminio hanno subito un calo rispettivamente del 14% e dell’8%, che porterà nel breve ad una probabile riduzione del flusso economico generato dalle attività dell’industria del riciclo dei rifiuti tecnologici.
la capacità di smaltimento mediante operazioni di riciclo o di esportazione; per cui (molto opportunamente) sono state emanate, mediante la circolare del MATTM del 27/3/2020, dettagliate indicazioni circa la possibilità di aumentare le capacità di stoccaggio dei rifiuti, entro il limite massimo del 50%. L’aumento della capacità di stoccaggio dovrà essere notificato all’Autorità Competente (Regioni o Province Autonome), alla Prefettura, ad Arpa o Appa e ai Vigili del Fuoco, mediante SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). A questo documento dovrà essere di trasmissione dell’infezione. L’operazione più critica sembra essere il riutilizzo in agricoltura: questo canale di smaltimento può essere considerato accettabile (cioè ragionevolmente privo di rischi) se i fanghi vengono adeguatamente stabilizzati e igienizzati. Questo si può ottenere mediante trattamento con calce, acido solforico, ammoniaca, soda (o combinazione di queste sostanze), digestione anaerobica mesofila o termofila, disidratazione termica, idrolisi termica a temperatura oltre 100 °C per almeno 20 minuti, pastorizzazione a 70 °C per almeno 30 minuti, oppure tempi di stoccaggio secondo una formula in dipendenza dalla temperatura (indicativamente, a 25 °C deve essere assicurato uno stoccaggio di almeno 28 giorni). Sono inoltre considerati igienizzati i fanghi provenienti da impianti di ossidazione prolungata, con tempi di permanenza del refluo nella vasca di ossidazione di almeno 24 ore, tempi di permanenza dei fanghi di almeno 15 giorni, e concentrazione di solidi volatili inferiore al 60% dei solidi totali.
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allegata una relazione tecnica, che attesti i quantitativi incrementali dei rifiuti e il rispetto delle norme tecniche relative alla prevenzione incendi, al confinamento, ai sistemi di copertura e ai sistemi di raccolta e trattamento degli eluati. MANCANO GLI IMPIANTI? FATE LE ORDINANZE!
La circolare sopracitata raccomanda a Regioni e Province Autonome di ricorrere a “ordinanze contingibili e urgenti”, secondo quanto previsto dall’art.191 del D.Lgs 152/06. Tali ordinanze consentono “il ricorso temporaneo a forme, anche speciali, di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti”. La circolare suggerisce di ricorrere a ordinanze di questo tipo per: consentire il deposito temporaneo di quantità doppie di rifiuti rispetto a quanto autorizzato; aumentare le capacità di incenerimento fino al massimo “valutato in sede di autorizzazione”, in particolare per smaltire i rifiuti urbani provenienti dalle abitazioni di soggetti in isolamento o quarantena, e per smaltire i nuovi flussi di rifiuti indifferenziati e di fanghi di depurazione. Mentre queste misure sono senz’altro opportune, e rispondono a ripetute sollecitazioni delle Associazioni di Categoria, l’emergenza Covid-19 ha messo in evidenza la cronica insufficienza (specialmente al Sud) degli impianti di termodistruzione, che per i rifiuti sanitari sono l’unica forma sicura di smaltimento finale. In condizioni normali, questa situazione comporta la circolazione sulle nostre strade di circa 200.000 tir ogni anno, per trasportare i rifiuti da una regione all’altra, oppure verso l’estero; l’emergenza Covid-19 farà peggiorare la situazione almeno per un 20-30% in più.
Nuova vita alle mascherine Riciclo in sperimentazione
Messe a punto o sempre in fase di test alcune soluzioni per rigenerare questi dispositivi essenziali, aumentandone durata e riducendo così anche i rifiuti Scarsità di mascherine da una parte e abbondanza di mascherine usate da buttare dall’altra, e quindi montagne di rifiuti da gestire. Ad oggi, per cittadini e aziende l’unica soluzione possibile è gettare mascherine, guanti ed eventualmente anche tute tra i rifiuti indifferenziati. Per le strutture sanitarie, invece, trattandosi di materiale sanitario infetto, più che a rischio infettivo, la gestione è opportunamente separata, con contenitori e sacchi appositamente dedicati. Per questi rifiuti, a prescindere dalla loro origine, la destinazione finale è comunque l’incenerimento, preferibilmente senza passaggi intermedi, onde evitare rischiose manipolazioni da parte del personale delle aziende di trattamento rifiuti e pericolose dispersioni di virus in atmosfera. Pensare oggi al riciclo delle mascherine, magari con recupero di materiale, è pressochè impossibile. Al di là del rischio legato a movimentazione e manipolazione di dispositivi potenzialmente infetti, ci sono anche delle difficoltà tecniche dovute al fatto che esistono troppi modelli diversi di mascherine, accomunati però da un fattore comune: sono dei compositi, fatti di più materiali, che per definizione sono i più difficili da riciclare. Inoltre, una parte di questi componenti è costituito da polimeri plastici, ossia materiali sui quali il Covid-19 resiste più a lungo. Tuttavia, il riciclo diretto delle mascherine è in via di doppia sperimentazione. Da una parte c’è l’azienda De Lama, specializzata in impianti di sterilizzazione, che ha messo a punto un’autoclave pilota per de-
contaminare mascherine usate da poter riutilizzare immediatamente, ossia abbatterne la carica batterica e virale ma preservandone l’integrità meccanica e filtrante. Gli ingegneri e i tecnici dell’azienda, in sinergia con l’Università di Pisa, il Politecnico di Torino, il policlinico San Martino di Genova e l’Ordine dei medici di Genova, hanno sviluppato il software rivisitato per l’autoclave, che è oggetto test microbiologici all’ospedale San Martino di Genova. Le mascherine FFP2 e FFP3 vengono inserite in autoclave e immerse in atmosfera di vapore modulato per circa un’ora, risultando perfettamente sanificate. I test preliminari hanno dato esito positivo, ma si tratta comunque ancora una sperimentazione, dato che il protocollo per la decontaminazione non è al momento normato e ci sono aspetti burocratici ancora da definire. Altra sperimentazione è quella che invece deve coinvolto il Nucleo Biologico Chimico Radiologico dei Vigili del Fuoco, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica del Politecnico di Milano e con l'Ospedale Sacco. Quattro le strade che il team di ricerca sta seguendo: utilizzare i raggi ultravioletti, i raggi gamma, l'ozono oppure gli essiccatori. Una volta effettuate tutte le prove, e stabilito quale sia la soluzione più efficace di decontaminazione (e non è da escludere anche una combinazione di esse), dovrà essere verificato se le mascherine mantengano le medesime caratteristiche di quelle iniziali. La sperimentazione è rivolta alle mascherine sia chirurgiche, sia FFP2 e FFP3. Hi-Tech Ambiente
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Gli impianti di essiccazione di C.S.S. Scolari
Il Combustibile Solido Secondario ottenuto dai rifiuti deve raggiungere un tasso di umidità del 13% per poter essere utilizzato, soprattutto in cementerie e inceneritori
Anno installazione 2002
L’interesse rivolto in questi ultimi anni ai temi della sostenibilità ambientale è da riguardare, oltre che come difesa dei valori ambientali, culturali della vita dell’uomo, come necessità di utilizzare risorse fisiche economiche sociali che la società non può più sprecare nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale ed energetica. E’ necessario quindi trovare soluzioni alternative, in grado di dare il loro supporto alla lotta per il cambiamento climatico. Tra le
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opzioni a disposizione ve ne è una che coinvolge qualcosa che la nostra società produce e possiede in abbondanza e di cui si deve costantemente occupare: i rifiuti. Il loro riciclo con sistemi tecnologicamente avanzati da ottimi risultati in termini di minor inquinamento. Una grande potenzialità del riciclaggio potrebbe permettere di trasformare ciò che viene scartato in una nuova fonte energetica meno inquinante da utilizzare al posto di quelle fossili
(carbone, petrolio o gas). Il carburante proviene dal trattamento dei rifiuti e si chiama C.S.S. acronimo di Combustibile Solido Secondario. È un combustibile a basso contenuto di carbonio ed è composto dalla frazione secca e dal bioessiccato derivante dal trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani. Come detto, il C.S.S. è il risultato di una serie di operazioni realizzate con impianti tecnologicamente avanzati che selezionano il materiale e garantiscono che il
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prodotto finale rispecchi la normativa europea per i combustibili. Il materiale è normalmente utilizzato come combustibile, soprattutto in cementerie e inceneritori; ma affinchè ciò possa avvenire è indispensabile che esso venga essiccato così da raggiungere una umidità finale indicativa del 13%. In Italia i primi impianti di essiccazione in questo settore sono tati realizzati da Scolari negli anni 80 quando il C.S.S., che allora si chiamava R.D.F., non poteva es-
sere ancora considerato un combustibile per mancanza di normativa. Dopo i primi impianti si è registrato un periodo di rallentamento, con la realizzazione di qualche impianto, per poi riprendere negli ultimi anni in cui l’interesse è notevole sia in campo nazionale sia a livello Europeo. Sul territorio italiano Scolari ha realizzato impianti nelle più importanti realtà del settore privato e pubblico. Gli impianti di essiccazione installati sono a bassa temperatura (75-120 °C) basati sulla tecnologia con tappeti mobili forati, ciclo di funzionamento totalmente automatico, gestito da quadro con PLC e teleservice collegato con la sede Scolari per eventuale assistenza telefonica, se richiesta. Normalmente gli impianti prevedono un sistema di abbattimento polveri e un sistema di trattamento odori prima dell’emissione dell’aria satura in atmosfera. Qualora il C.S.S. abbia un contenuto di materiale organico la parti dell’impianto, a contatto con il prodotto in essiccazione, vengono realizzate in Aisi 304. Uno dei paesi europei che sta incentivando maggiormente il riciclaggio del C.S.S. è la Francia, dove Scolari si è appena aggiudicata la realizzazione di un importante impianto per conto di Veolia, che sarà realizzato entro quest’anno e che si aggiunge agli altri impianti già in funzione in numerosi centri di trattamento rifiuti nelle varie città d’oltralpe. Una delle caratteristiche degli impianti Scolari è la possibilità di recuperare l’energia termica necessaria per l’essiccazione da termica disponibile in azienda. Infatti, in quasi tutte le aziende, in cui sono stati installati gli impianti, la termica è stata recuperata da gruppi di cogenerazione (acqua calda), da caldaie, da reflui termici aziendali, da vapore, ecc. Quando non vi è energia termica da recuperare si prevede l’installazione di bruciatore in vena d’aria che può essere alimentato con gas naturale, GPL o biogas. In generale, quando la termica è recuperata in loco, i cicli di lavoro sono in continuo con 8.0008.200 ore lavorative annue. Quando si utilizza gas naturale o biogas si può lavorare 24 ore su 24 ma anche 16 ore su 24. L’in-
Anno installazione 2017
terruzione dei cicli di lavoro non comporta perdite di rendimento termico perché gli impianti si possono fermare senza doverli svuotare e quando vengono riaccesi sono a regime in pochi minuti. L’umidità del materiale in entrata negli impianti è in funzione del ciclo di preparazione e può variare dal 25% al 50% ed è, normalmente, riportata al 12-13% fi-
nale. Considerato l’ambiente di lavoro, gli impianti sono curati con protezioni e avvertenze sia per gli operatori, che li devono assistere, sia per la sicurezza intrinseca dell’impianto. A tale riguardo, sono previsti in opzioni sistemi che intervengono per arrestare l’impianto in maniera automatica qualora vi fosse un innalzamento di temperatura al loro
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interno, non previsto dai cicli di lavoro programmati nel PLC. Gli impianti rispettano le caratteristiche tecnico-scientifiche indicate nel quadro del piano europeo “Industria 4.0” ed economia circolare. Questo permette di usufruire degli incentivi previsti per queste tipologie di impianti e ridurre in maniera significativa i tempi di ammortamento.
BIOMASSE & BIOGAS B I O M A S S A
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Il pretrattamento dei biorifiuti Uso di materiali diversi e maggiore resa
Sistemi di tipo fisico, come il processo Ecogi o la cavitazione idrodinamica, migliorano la digestione anaerobica L’uso generalizzato di processi di digestione anaerobica per il trattamento della frazione organica dei rifiuti urbani (e in genere di tutti i rifiuti di origine biologica) potrebbe consentire una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra su scala mondiale. Per ottenere una applicazione generalizzata di questa tecnologia è importante disporre di impianti adattabili alle diverse esigenze. I sistemi di pretrattamento costituiscono una risposta, in quanto consentono di utilizzare rifiuti di diversa natura e di aumentare la resa. In particolare, i pretrattamenti sono spesso impiegati in presenza di biomasse ad alto contenuto di fibre lignocellulosiche (come gli steli vegetali), che sono difficili da fermentare e tendono a galleggiare nella superficie interna dei digestori. UN NUOVO PRETRATTAMENTO DALLA DANIMARCA
La società danese Gemidan Ecogi ha recentemente inaugurato un impianto di pretrattamento di rifiuti di origine alimentare, della capacità di 25.000 ton/anno. L’impianto lavorerà i rifiuti pro-
Impianto della Gemidan Ecogi
venienti da 6 Comuni della provincia della Zelandia del Sud, aggiungendo ai rifiuti alimentari un massimo del 20% di rifiuti di giardinaggio. L’impianto sarà gestito dalla società danese Affald Plus, che distribuirà il materiale in uscita ad impianti di digestione anerobica per la produzione di biometano, che verrà immesso nella rete di distribuzione del gas naturale. Le specifiche del processo Ecogi prevedono la possibilità di trattare rifiuti organici contenenti fino al 20% di materiali estranei, come residui di imballaggi; la pu-
rezza del materiale lavorato in uscita dovrà essere almeno 99,9%, con una resa di processo di almeno il 95%. Nel corso del processo, il materiale organico viene sminuzzato in modo che il 90% dei frammenti presenta dimensioni inferiori a 1,3 mm, e il 60 inferiori a 100 micron. Il processo prevede l’immissione del materiale organico proveniente da raccolta differenziata entro un “pulper”, analogo a una lavatrice domestica, dove si generano condizioni di elevata turbolenza grazie a un agitatore centrale a
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vite. Queste condizioni sminuzzano i rifiuti organici e consentono la separazione dei materiali estranei. Quando la fase di agitazione è completa, si apre una valvola al fondo del pulper e il materiale passa nel separatore, dove vengono eliminati i materiali estranei; questi passano attraverso due fasi di lavaggio, la prima con acqua di processo, e la seconda con acqua pulita, in modo da estrarre tutto il materiale organico. I materiali estranei lavati vengono disidratati in una pressa a vite e accantonati per invio alle ditte di riciclaggio. Il materiale organico in uscita ha un contenuto di sostanza secca del 15-18%, che è ideale per avere una consistenza pompabile; è comunque possibile regolare il processo per avere contenuti di sostanza secca più bassi o più alti, secondo quanto richiesto dal successivo processo di digestione anaerobica. Alimentando i digestori con il materiale trattato secondo il processo Ecogi si ottiene una migliore resa in metano, a un costo relativamente basso. L’intero processo è controllato da computer e può essere gestito da un solo operatore, che ha il com-
pito principale di alimentare il materiale del pulper e successivamente di controllare il quadro di comando. Nel corso delle fasi di messa a punto del processo sono state compiute varie prove di simulazione di condizioni estreme, come il trattamento di grandi quantità di condimenti per insalata e formaggi cremosi in contenitori di vetro; il sistema ha funzionato benissimo, dimostrandosi capaci di eliminare anche i più piccoli frammenti di vetro. Buoni risultati sono stati ottenuti anche con latte in polvere contenuto in buste di plastica o in lattine metalliche. Il processo è stato validato nel quadro del programma europeo ETV, che ha certificato la purezza del materiale prodotto e l’idoneità del digestato da esso ottenuto ad essere utilizzato come fertilizzante, senza alcun rischio di inquinamento del terreno agricolo, anche quando nel rifiuto in entrata è presente fino al 20% di materiali estranei come vetro, plastica o metalli. Il processo Ecogi può essere utilizzato non solo per gli scarti alimentari, ma anche per i rifiuti di giardinaggio, che quindi possono essere avviati a digestione anaerobica anziché a compostaggio.
sulla superficie dei digestori, formando croste e stratificazioni. Il pretrattamento di cavitazione idrodinamica ha consentito di ridurre considerevolmente il contenuto di steli con oltre 3 mm di diametro; gli steli residui vengono sfibrati e sfilacciati, rendendoli più sensibili all’attacco biologico e riducendo la tendenza al galleggiamento e alla stratificazione. Il risultato è stato un incremento del 28% nella produzione specifica di metano.
Impianto della Gemidan Ecogi
LA CAVITAZIONE IDRODINAMICA
Un processo fisico in condizioni particolarmente “spinte” è la cavitazione idrodinamica, particolarmente utilizzata per la digestione di biomasse agricole e sottoprodotti agroindustriali. Questo trattamento viene compiuto in sistemi rotore/statore che inducono entro la massa liquida la formazione, crescita e collasso di micro bolle; a questi fenomeni è connessa la formazione di zone ad altissima densità energetica, con condizioni fisiche estreme e tali da provocare la parziale destrutturazione dei materiali trattati. Presso il Centro Ricerche Produzioni Animali (CRPA Lab) sono stati svolti esperimenti di cavitazione idrodinamica su scarti di fieno essiccati in campo (rotoballe), contenenti una elevata percentuale di steli vegetali con diametro di oltre 3 mm; questi steli richiedono tempi di digestione lunghi e tendono a galleggiare Hi-Tech Ambiente
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E’ NATA IBA
Una partnership per il biogas Un’unione di competenze per offrire le migliori tecnologie chiavi in mano per trasformare i rifiuti organici in ecoenergia e biofertilizzanti IBA (Integrated Biogas Alliance) è l’innovativa partnership, su base non esclusiva, di cinque aziende attive nel settore biogas e trattamento rifiuti. Si tratta di Eisenmann (Usa), Greenlane Renewables (Canada), Tietjen (Germania), e le italiane Entsorga e AB Energy, che hanno unito le forze per dare vita a una piattaforma tecnologica unica ed integrata per trasformare qualsiasi biomassa (dai liquami zootecnici alla forsu) in biogas, compost e altri biofertilizzanti per progetti in qualunque parte del mondo. Questa soluzione di piattaforma ridurrà drasticamente i rischi connessi alla costruzione degli impianti rendendo molto più facile il loro finanziamento, con grande
IBA (Integrated Biogas Alliance) è l’innovativa partnership, su base non esclusiva, di cinque aziende attive nel settore biogas e trattamento rifiuti. Si tratta di Eisenmann (Usa), Greenlane Renewables (Canada), Tietjen (Germania), e le italiane Entsorga e AB Energy, che hanno unito le forze per dare vita a una piattaforma tecnologica unica ed integrata per trasformare qualsiasi biomassa (dai liquami zootecnici alla forsu) in biogas, compost e altri biofertilizzanti per progetti in qualunque parte del mondo. Questa soluzione di piattaforma ridurrà drasticamente i rischi connessi alla costruzione degli impianti rendendo molto più facile il loro finanziamento, con grande beneficio per gli sviluppatori e per gli investitori. <<Questa partnership riunisce aziende del settore con tecnologie comprovate - dichiara Christoper Maloney, neoeletto presidente dell'IBA – e il mercato ci sta decisamente spingendo verso la fornitura ai clienti di soluzioni “chiavi
beneficio per gli sviluppatori e per gli investitori. <<Questa partnership riunisce aziende del settore con tecnologie comprovate - dichiara Christoper Maloney, neoeletto presidente dell'IBA – e il mercato ci sta decisamente spingendo verso la fornitura ai clienti di soluzioni “chiavi in mano” che rendono possibile l’ottimizzazione dell'intera catena di valore economica, agronomica e ambientale dei prodotti, promuovendo un ritorno dell’investimento più rapido, consentendo maggiori vantaggi in termini di economia circolare riducendo al contempo i tempi di realizzazione del progetto ed i rischi associati>>. AB Energy opera nel campo dell'ingegneria di soluzioni di cogenerazione e valorizzazione energetica del biogas. Eisenmann è attiva nella progettazione di soluzioni di digestione anaerobica per la produzione di biogas. Entsorga realizza impianti per trattare biologicamente l’intero ciclo dei rifiuti. Greenlane Renewables è fornitore di sistemi di potenziamento del biogas. Tietjen offre una gamma completa di strumenti e servizi per il trattamento delle biomasse.
SINERGIA STRATEGICA
Il futuro di Milano passa per il biometano Grazie agli impianti esistenti già oggi è possibile riciclare rifiuti organici per alimentare ben 39.000 automobili in mano” che rendono possibile l’ottimizzazione dell'intera catena di valore economica, agronomica e ambientale dei prodotti, promuovendo un ritorno dell’investimento più rapido, consentendo maggiori vantaggi in termini di economia circolare riducendo al contempo i tempi di realizzazione del progetto ed i rischi associati>>. AB Energy opera nel campo dell'ingegneria di soluzioni di cogeHi-Tech Ambiente
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nerazione e valorizzazione energetica del biogas. Eisenmann è attiva nella progettazione di soluzioni di digestione anaerobica per la produzione di biogas. Entsorga realizza impianti per trattare biologicamente l’intero ciclo dei rifiuti. Greenlane Renewables è fornitore di sistemi di potenziamento del biogas. Tietjen offre una gamma completa di strumenti e servizi per il trattamento delle biomasse.
energia
Energia dalla fotosintesi artificiale Progetto europeo Synthphoto
Ricerche in corso e risultati più promettenti per riuscire a replicare in laboratorio ciò che la natura fa così egregiamente Ogni anno le piante catturano 1.100 miliardi di tonnellate di CO2 e, combinandola con acqua e sfruttando l'energia della luce solare, la trasformano in carboidrati e altri prodotti utili per le piante stesse. Il primo passaggio delle reazioni chimiche che stanno alla base della fotosintesi è la scissione dell'acqua in idrogeno ionico (H+) e ossigeno (che viene liberato in atmosfera). Questa scissione richiede energia, che viene ottenuta dalla luce solare mediante un trasferimento di elettroni, attivato dalla clorofilla mediante una complessa serie di reazioni chimiche; riuscire a replicare in modo controllato queste reazioni consentirebbe di ottenere idrogeno dall'acqua mediante la luce del sole, utilizzando poi l’idrogeno per convertire la CO2 in metanolo o altri biocarburanti.
Il primo elettrolizzatore di CO2 del tutto automatizzato di Siemens Nel modulo di Evonik (progetto Rheticus), i batteri convertono i gas di sintesi in sostanze chimiche come il butanolo
PANORAMA DELLE RICERCHE
Le ricerche per realizzare questa "fotosintesi artificiale" sono in corso da vari anni; negli Usa è stato costituito con finanziamenti governativi il Joint Center for Artificial Photosynthesis (JCAP), cui partecipano le università più prestigiose, come il California Institute of Technology, Lawrence Berkley National Laboratory, Stanford University e altre. La struttura schematica di un sistema fotosintetico artificiale comprende: - un insieme di cromofori, denominato "antenna", cioè molecole colorate che hanno la funzione di assorbire la luce solare e convogliarla in un sito specifico, trasfor-
mando la luce solare in energia - un "centro di reazione", nel quale l'energia elettronica viene trasformata in "energia redox", compiendo una serie di processi di trasferimento di elettroni che portano alla separazione delle cariche - dei catalizzatori multi-elettronici, capaci di accumulare cariche per compiere processi multielettronici, come la scissione dell'acqua e la riduzione dei protoni (ioni H+) a idrogeno molecolare. I risultati più promettenti sono stati ottenuti dal Politecnico di Losanna, mediante un catalizzatore bifunzionale a base di nanofili di ossido di rame modificati con ossido di stagno, integrato in un sistema di elettrolisi e collegato a una cella solare a tripla giunzione; questo sistema si è dimostrato in grado di convertire selettivamente la CO2 in CO, con una efficienza energetica del 13,4% e una efficienza coulombica (relativa cioè al trasferimento degli elettroni) del 90%. Buoni risultati sono stati ottenuti anche dall’Università dell'Illinois di Chicago, che ha messo a punto una "foglia bionica", che converte la CO2 in ossido di carbonio (utilizzabile per sintesi di carburanti e altri prodotti) e ossigeno. In Germania la Evonik Industries e la Siemens sono a buon punto con il loro progetto congiunto "Rheticus II", che separa mediante elettrolisi la CO2 e l'acqua in syngas costituito da ossido di carbonio e idrogeno, utilizzando energia ottenuta da celle fotovoltaiche. L'importanza del syngas deriva dalla possibilità di impieContinua a pag. 38
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FOTOVOLTAICO MADE IN ITALy
RICERCA EBS
Le celle solari Il valore dell'energia “tandem” più efficienti da biomasse Un’innovativa cella solare “tandem” in perovskite e silicio con un’efficienza record superiore al 26% è stata messa a punto da un gruppo tutto italiano di ricercatori. La cella sviluppata è composta da due celle solari accoppiate meccanicamente una sull’altra in modo da lavorare in tandem. La cella frontale, a base di perovskite, opportunamente dimensionata, converte bene la luce blu e verde dello spettro solare, lasciando passare la luce solare rossa e infrarossa verso la cella posteriore realizzata in silicio. <<La combinazione dei due materiali massimizza l’assorbimento dei raggi solari e produce un'elevata fototensione - sottolinea Mario Tucci, responsabile del Laboratorio Tecnologie Fotovoltaiche dell’Enea - pari alla somma delle tensioni generate dalle due singole celle, producendo in questo modo una maggiore efficienza rispetto ad una singola cella solare>>. Due elementi chiave nella realizContinua da pag. 37
Energia dalla fotosintesi artificiale garlo per la produzione di carburanti sintetici o prodotti chimici diversi, utilizzando il processo Fischer-Tropsch. Nel caso del progetto Rheticus II, questa trasformazione è stata ottenuta mediante batteri selezionati, che trasformano il syngas in prodotti chimici, come butanolo ed esanolo, utilizzabili a loro volta per produrre materie plastiche e additivi alimentari. Un notevole contributo alle conoscenze sulla fotosintesi è stato fornito dal progetto europeo SyNTHPHOTO, coordinato dall'Università inglese di Sheffield. Nell'ambito di questo progetto sono state create strutture fotosintetiche artificiali; in particolare, è stato creato il primo complesso fotosintetico ibrido in batteri, che ha mostrato una efficienza di sfruttamento della luce solare su-
zazione della cella tandem hanno permesso di ottenere alta efficienza: il grafene ha migliorato le prestazioni nella cella in perovskite, mentre l’eterogiunzione con film amorfi nella cella posteriore in silicio ha consentito di aumentarne la tensione. Finora è stata ottenuta l’efficienza record del 26,3%, ma l’obiettivo è di superare il 30%. Grazie alla tecnica messa a punto dai ricercatori italiani nella struttura tandem delle celle, è possibile conservare i vantaggi delle singole tecniche di fabbricazione, combinando la semplicità di realizzazione di film sottili in perovskite mediante “solution process” con la produzione di celle in silicio ad eterogiunzione.
Secondo uno studio dell'Università Ca' Foscari di Venezia, commissionato dall'associazione EBS (Energia da Biomasse Solide), che riunisce le aziende del settore, nel 2017 il valore aggiunto della produzione di energia da biomasse in Italia è stato tra i 210 e i 280 milioni di euro e 1.300 gli occupati. La ricerca si concentra su 9 degli impianti di dimensioni medio-grandi membri di EBS, che trattano biomassa proveniente per metà dal settore agro-industriale e per metà da quello agricolo e da manutenzione delle foreste. Dall’analisi si evince un beneficio
periore alla fotosintesi naturale. E' stato costruito mediante un supercomputer un modello teorico di una membrana fotosintetica composta da 100 milioni di atomi; mediante questo modello è stato possibile simulare tutti i passaggi delle reazioni di fotosintesi, dalla fase iniziale di cattura dei fotoni
della luce, fino alla fase finale di produzione di ATP (la molecola che costituisce la riserva energetica degli organismi viventi). Infine, sono state messe a punto tecnologie di produzione in nanoscala, che hanno consentito la realizzazione di sistemi fotosintetici artificiali impiantati su foglie d'oro o di
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economico delle biomasse a livello di impatto ambientale rispetto all'utilizzo di fonti non rinnovabili. Le biomasse hanno un impatto ambientale positivo in termini di riduzione delle emissioni di CO2: l'anidride carbonica provocata dalla combustione è compensata da quella assorbita dalla pianta durante la crescita, e quindi l'energia prodotta dalle biomasse è considerata a emissioni zero. Tuttavia, le biomasse hanno anche un impatto ambientale negativo, legato alle emissioni di ossidi di azoto (NOx) e di polveri sottili PM2.5. Secondo lo studio, il contributo negativo di questa fonte rinnovabile nel 2017 in Italia è stato pari a 3,7 milioni di euro. Nello stesso anno, il beneficio in termini di emissioni di CO2 evitate va dai 42 ai 102 milioni di euro, a seconda di come viene valutato il costo sociale delle emissioni. Il "saldo positivo" delle biomasse va quindi da un minimo di circa 38 milioni ad un massimo di quasi 100 milioni di euro. silicio, analoghi a chips biologici per computer. UNA LAMPADA DALLA FOTOSINTESI
Come abbiamo visto, un ruolo chiave nella sintesi clorofilliana è svolto dal trasferimento di elettroni. Inserendo appositi elettrodi nel terreno, vicino alla radice, è possibile catturare parte degli elettroni emessi nel processo di fotosintesi; questi elettroni vengono successivamente "intrappolati" entro una batteria che può così fornire energia elettrica. L'energia ottenuta alimenta una lampada a LED; in questo modo si ottiene un dispositivo portatile e poco costoso, adatto per assicurare l'illuminazione notturna nelle case dei centri abitati non allacciati alla rete, oppure privi di corrente elettrica a causa di catastrofi naturali (terremoti, alluvioni, ecc.). La lampada è stata realizzata dall'università peruviana UTEC, che l'ha battezzata "plantalampara".
sicurezza ECOMEDIT
La bonifica sicura dei serbatoi Un sistema robotizzato senza accesso di personale per interventi senza rischi L’accesso all’interno di un serbatoio adibito allo stoccaggio di prodotti pericolosi e non, finalizzato alla sua pulizia e manutenzione, espone i lavoratori a numerosi rischi dovuti a diversi fattori: difficoltà di accesso ed uscita dal serbatoio a causa delle dimensioni ridotte dei passi d’uomo d’ingresso, condizioni di areazione spesso insufficienti e frequente presenza di vapori tossico-nocivi e infiammabili, difficoltà di movimento per la geometria del manufatto, difficoltà di comunicazione tra gli operatori all’interno del serbatoio e quelli in assistenza all’esterno. La presenza di questi fattori di rischio, fa si che per operare in assoluta sicurezza siano indispensabili una perfetta conoscenza dello scenario di intervento, la predisposi-
zione di adeguate procedure operative, l’utilizzo di attrezzature e dispositivi per i quali è richiesta una specifica formazione e addestramento all’uso. Per tali motivi qual-
siasi attività può essere svolta unicamente da imprese che ai sensi del DPR 177/11 siano qualificate a operare in ambienti sospetti di inquinamento o confinati e sempre sotto
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la supervisione di un rappresentante del datore di lavoro della committente, anch’esso adeguatamente informato, formato e addestrato in materia. La EcoMedit, con la sua pluridecennale esperienza nel settore, dispone di attrezzature idonee e personale qualificato, e oggi è in grado di garantire una ancora maggiore sicurezza di intervento in tutte le situazioni più difficili attraverso sistemi robotizzati di accesso “No Man Entry” certificati atex per operare in luoghi altamente esplosivi. Grazie al sistema idropneumatico automatizzato, l’unità remota di dimensioni ridotte viene inserita nel serbatoio dal passo d’uomo collegata a un sistema di idro-pressione per il lavaggio del fondo e delle pareti interne, a un automezzo di aspirazione per il recupero dei fanghi con le acque residue e pilotata esternamente da un operatore attraverso un monitor di controllo che consente di seguire in diretta tutte le operazioni fino a completa bonifica gas-free. Tale sistema innovativo permette in situazioni particolarmente a rischio di consegnare, operando in tutta sicurezza, il serbatoio pronto per qualsiasi successiva attività di manutenzione.
La gestione digitale della sicurezza sul lavoro Quentic
Pianificare, creare e organizzare solo con un software le autorizzazioni necessarie per interventi sul campo Con l’aggiornamento 12.2, Quentic presenta un nuovo modulo del proprio software per la gestione della sicurezza sul lavoro, dell’ambiente e della sostenibilità. Elemento chiave del modulo Supervisione Lavori è una componente che consente agli utenti di creare e gestire le autorizzazioni ai lavori direttamente dal software. La digitalizzazione dell’intero processo consente di ridurre le pratiche cartacee, aumentare la produttività e ottimizzare la conformità rispetto alle disposizioni normative e agli standard in materia di sicurezza sul lavoro, come ISO 45001. Con l’aggiornamento 12.2, il fornitore di soluzioni SaaS (Software as a Service) Quentic rafforza la gestione digitale della sicurezza sul lavoro. Il nuovo modulo Supervisione Lavori si integra perfettamente nella piattaforma software di EHS (Health Safety and Environment) e CSR (Corporate Social Responsibility). Caratteristica principale dell’aggiornamento è una componente che consente la creazione, l’attivazione e la gestione digitale delle autorizzazioni ai lavori.
no uno strumento importante, poiché trasmettono in modo chiaro e contestuale le misure di sicurezza vigenti all’interno della propria impresa ai lavoratori temporanei e a contratto. In combinazione con altri moduli Quentic, il modulo Supervisione Lavori aiuta le organizzazioni a soddisfare tali requisiti. SVILUPPO ORIENTATO AL CLIENTE
Nuovo modulo Quentic Supervisione Lavori
l’intero processo, dalla creazione e approvazione fino all’attivazione delle autorizzazioni ai lavori. Per fare ciò, il programma attinge a informazioni relative alla sicurezza già prevalentemente gestite nei moduli Quentic Sicurezza sul Lavoro, Sostanze Pericolose o Compliance. Passo dopo passo, gli utenti aggiungono le misure protettive rilevanti per il loro contesto, le sostanze pericolose e le attività da
svolgere e, se necessario, possono integrare ulteriori dati, come contatti di emergenza o documenti lockout/tagout. La procedura standardizzata di autorizzazione e modifica consente di armonizzare l’intero processo: solo gli incarichi strettamente necessari vengono svolti su carta, i tempi di attesa vengono ridotti grazie alle autorizzazioni digitali e le persone coinvolte ottengono così una panoramica in tempo reale di tutte le operazioni attive.
LA SICUREZZA IN PRIMO PIANO
L’ATTUAZIONE DELLA NORMA ISO 45001
Le autorizzazioni ai lavori garantiscono una gestione sicura per lo svolgimento di attività non di routine, come ad esempio la manutenzione e la riparazione di impianti, e rappresentano un importante documento di sicurezza sia per i propri dipendenti che per i collaboratori e le aziende terze. Il nuovo modulo Supervisione Lavori digitalizza
Un aspetto importante del sistema di gestione della sicurezza e della salute sul lavoro a norma ISO 45001 è l’ampliamento dei requisiti per le ditte terze. Le organizzazioni devono assicurare che gli appaltatori rispettino tutti i requisiti di sicurezza vigenti, al pari dei propri dipendenti. A questo scopo le autorizzazioni ai lavori si rivela-
Dott. Mario Lenz, Chief Product Officer di Quentic
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Per lo sviluppo di questo modulo, Quentic ha lavorato a stretto contatto con un gruppo di clienti che ha messo a disposizione le proprie competenze nel settore. <<La collaborazione produttiva e fiduciosa con i nostri clienti non solo garantisce che la nuova soluzione soddisfi le reali necessità del settore - conferma Mario Lenz, chief product officer di Quentic ma contribuisce anche ad accelerare l’espansione continua del nuovo modulo e dell’intera piattaforma Quentic>>. Formato da nove moduli liberamente abbinabili, il software online abbraccia tutti gli aspetti relativi a sicurezza sul lavoro, rischi e audit, sostanze pericolose, compliance, training online, processi, gestione ambientale e sostenibilità. Quentic connette dati, collega tutte le parti interessate nel processo EHS e CSR e conquista per l’ampiezza del suo campo d’azione (via browser o via app). I processi aziendali possono essere gestiti in modo efficiente in conformità con i requisiti di legge, anche quando gli incarichi spaziano fra reparti, sedi e Paesi.
tecnologia
La decarbonizzazione dell'acciaio è possibile? Nuovi processi
Esistono tecnologie produttive alternative che potrebbero risolvere i problemi ambientali dell'ex Ilva di Taranto Nell'attuale dibattito circa il futuro dell'ex-Ilva di Taranto viene invocata spesso la riconversione ambientale dello stabilimento, adottando processi "decarbonizzati" per la produzione dell'acciaio. Questi processi esistono? Se esistono, sarebbero competitivi dal punto di vista economico con i processi attuali? Cercheremo brevemente di rispondere a queste domande; inizialmente dobbiamo però riassumere brevemente il processo tradizionale di produzione dell'acciaio, evidenziandone i problemi ambientali.
una lega ferro-carbonio con oltre il 4% di carbonio. La ghisa viene trasformata in acciaio con diversi processi; il più comune è il convertitore LD, detto anche BOS (Basic Oxygen Steelmaking). Si tratta di un grosso recipiente aperto in alto, provvisto di un asse di rotazione orizzontale che ne consente il ribaltamento, avente un rivestimento interno in materiale refrattario. Nel convertitore viene immessa la ghisa allo stato fuso, insieme a diversi altri composti, scelti in funzione del tipo di acciaio che si desidera produrre. Una volta completata la carica, viene immesso ossigeno a 10-15 atm attraverso speciali lance; l'ossigeno reagisce con il carbonio ossidandolo a CO2. Al termine della reazione, il convertitore viene inclinato in modo che l'acciaio fuso possa uscire ed essere avviato alle successive fasi di colata (in lingotti o continua) e formazione dei semilavorati. Dal punto di vista ambientale, i punti critici del processo sono soprattutto quelli nei quali è direttamente coinvolto il carbone in presenza di temperature elevate, e cioè: la cokeria, l'impianto di agglomerazione del minerale, l'altoforno. Nella cokeria il carbon fossile (litantrace o antracite) viene riscaldato a 1.100 °C per 12-24 ore in assenza di aria; questo provoca la liberazione di tutte le sostanze volatili contenute entro il carbone, con emissioni di idrocarburi policiclici aromatici (come il benzopirene, notoriamente cancerogeno), benzene (anch'esso cancerogeno), ammoniaca, idrogeno solforato, metalli pe-
IL PROCESSO DELLE ACCIAIERIE A CICLO COMPLETO Acciaieria ex Ilva di Taranto
Le acciaierie a ciclo completo partono dai minerali di ferro, nei quali il ferro si trova prevalentemente come ossido. Le fasi iniziali consistono nella purificazione e agglomerazione dei minerali, attraverso una serie di operazioni (frantumazione, flottazione, essiccazione, calcinazione, arrostimento, agglomerazione e vagliatura) al termine delle quali il minerale è adatto per essere caricato nell'altoforno. Come indica la parola, l'altoforno è un forno verticale di grandi dimensioni, che viene caricato con strati alternati di minerale ferroso, carbone coke e calcare. Nella parte bassa dell'altoforno si immette aria a 1.1001.200 °C; a contatto con l'ossigeno dell'aria il coke brucia lentamente in modo controllato, producendo ossido di carbonio, che sottrae l'ossigeno all'ossido di ferro passando a CO2 e lasciando il ferro come metallo fuso. Il ferro metallico si raccoglie nella parte bassa del forno (crogiolo) in forma di ghisa, che è
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sere alimentati anche con ferro "preridotto", ottenuto cioè per riduzione del minerale usando processi diversi dagli altiforni.
La decarbonizzazione dell’acciaio è possibile? santi, ossidi di zolfo e di azoto, oltre che di polveri diffuse in grandi quantità. Si forma anche un liquido catramoso, che è un vero concentrato di sostanze cancerogene. Nell'impianto di agglomerazione del minerale, questo viene miscelato con coke e riscaldato a 8001.100 °C; lo scopo è di eliminare i materiali fini (che rallenterebbero il flusso di gas nell'altoforno), trasformandoli in granuli con diametro da 1 a 5 cm. Il problema è che, nonostante i trattamenti preliminari, il minerale contiene moltissime impurità, come sostanze organiche, cloro e metalli pesanti; in particolare, la presenza di cloro, ossigeno e sostanze organiche ad alta temperatura porta alla formazione di diossine (oltre a polveri, ossidi di zolfo e di azoto, e altri microinquinanti). Se le operazioni di produzione del coke e di preparazione del minerale sono state condotte bene, gli inquinanti più pericolosi sono già stati eliminati, e il principale problema dell'altoforno saranno le emissioni di polveri; a queste si aggiungono gli ossidi di azoto, formati dall'azoto atmosferico a causa delle alte temperature, e gli ossidi di zolfo, che si formano a causa delle impurezze di solfato di calcio, spesso presenti nel calcare usato come fondente. Oltre agli inquinanti citati, la combustione del carbone forma CO2 in grande quantità: per ogni tonnellata di acciaio prodotto si immettono in atmosfera 2 tonnellate di CO2. Il 30% della CO2 emessa dalle industrie è dovuta alla produzione di acciaio, che su scala mondiale contribuisce per quasi il 6% a tutta la CO2 prodotta dalle attività umane. Quanto sopra esposto porta alla logica conseguenza che per eliminare le fasi più inquinanti della produzione dell'acciaio occorre trovare il modo di produrre acciaio senza usare carbone, cioè in modo "decarbonizzato". Questo obiettivo è possibile usando diverse tecnologie; il problema di base è trovare un materiale che sia abbondante e a buon mercato, e che possa svolgere la stessa funzione del carbone, cioè "ridurre" (come si dice in chimica) il minerale togliendogli l'ossigeno e trasformando così gli ossidi di ferro in ferro metallico allo stato puro.
PROCESSI CON GASSIFICAZIONE DEL CARBONE
Progetto Hybrit
PROCESSI AL FORNO ELETTRICO
La produzione di acciaio mediante il forno elettrico non è un processo a ciclo completo, perchè non parte dal minerale ma dai rottami ferrosi. Tuttavia, merita di essere citata perchè è un classico esempio di "economia circolare", e pur non essendo esente da problemi ambientali, non produce nè diossine nè idrocarburi aromatici, e soprattutto porta a una diminuzione del 64% delle emissioni di CO2 rispetto al processo basato sull'altoforno.
Per quanto sia auspicabile, ed entro certi limiti possibile, un aumento nel riciclo dei rottami di ferro, non si arriverà mai a “chiudere il cerchio”, cioè a soddisfare il 100% della domanda di acciaio fondendo i rottami: le economie emergenti (Cina, India, Indonesia) richiedono sempre più acciaio e buona parte dell'acciaio prodotto viene consumato dalla ruggine e non è più recuperabile. Tuttavia, i processi al forno elettrico sono considerati come il futuro della siderurgia, in quanto i forni elettrici possono es-
I processi Corex e Finex impiegano carbone naturale e ossidi di ferro in pellets e in polvere; si eliminano quindi le fasi più inquinanti (agglomerazione e cokeria), utilizzando come riducente il gas di sintesi (ossido di carbonio e idrogeno) prodotto per combustione parziale a 1.000 °C del carbone in presenza di vapor acqueo. Il processo Corex impiega due reattori: un fusore/gassificatore, nel quale il carbone viene trasformato in gas di sintesi, e contemporaneamente si effettua una prima riduzione del minerale di ferro in pellets; un forno riducente, dove la riduzione viene completata dal gas di sintesi prodotto nel gassi-
Processo Midrex
ficatore. Di solito è presente anche un forno elettrico, che serve per i trattamenti di affinazione. Le emissioni inquinanti sono ridotte grazie all'elevata temperatura di gassificazione del carbone; ma il processo Corex ha l'inconveniente di richiedere un eccesso di produzione di gas di sintesi, che poi deve essere in qualche modo utilizzato (ad esempio per alimentare centrali elettriche a ciclo combinato). Il processo Finex impiega carbone e minerali di ferro, entrambi in polvere. Anche in questo processo il carbone viene gassificato e il gas di sintesi utilizzato come riducente in un processo multistadio. Il primo stadio è la riduzione del minerale (precedentemente essiccato) in un reattore a letto fluido, dal quale si ottiene il Direct Reduced Iron (DRI), detto anche "ferro in spugna" o "preridotto". Il DRI viene compattato e immesso in un fusoregassificatore, dove si completa il Hi-Tech Ambiente
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I PROCESSI DEL FUTURO L'idrogeno può sostituire il carbone, con indubbi vantaggi ambientali; ma se impieghiamo metano per produrre l'idrogeno, avremo sempre notevoli emissioni di CO2, per quanto minori rispetto ad oggi. Un modo completamente "ecologico" per produrre l'idrogeno è l'elettrolisi dell'acqua, purchè l'elettricità sia ottenuta da fonti rinnovabili; questo è l'obiettivo del progetto Hybrit, in corso di realizzazione in Svezia da parte di una joint venture tra Lkab, Ssab e Vattenfall. La prima fase del progetto è iniziata nel giugno 2018, con la costruzione di un impianto pilota che è attualmente in costruzione nella città svedese di Lulea. Tale impianto, che servirà per la messa a punto del processo, avrà una capacità di circa 2 ton/ora e sarà in esercizio fino al 2024. L’anno successivo è in programma la realizzazione di un impianto industriale dimostrativo, con una capacità di 500.000 ton/anno, per poi così arrivare ad avere il processo operativo entro il 2035. I costi di produzione risulteranno superiori del 2030% rispetto a quelli dell'acciaio
processo di riduzione e si ottiene al fondo la ghisa; oppure può essere alimentato tal quale a un forno elettrico.
prodotto oggi con i metodi tradizionali; ma il divario dovrebbe ridursi quando il costo dei combustibili fossili crescerà, e il costo dell'elettricità da fonti rinnovabili diminuirà. Un processo ancora più rivoluzionario è allo studio da parte del MIT (Massachussetts Institue of Tecnology), su incarico della Nasa, che cercava un metodo per ottenere ossigeno dal suolo lunare. Facendo passare corrente elettrica attraverso minerali ferrosi presenti sulla Luna, i ricercatori del MIT ottennero la fusione dei minerali e la loro elettrolisi allo stato fuso, con accumulo del ferro sul catodo e sviluppo di ossigeno all'anodo. Sembra “futuribile”, ma un processo molto simile è attualmente impiegato su larga scala per la produzione dell'alluminio; il problema principale è trovare un materiale per gli elettrodi che resista a 1.600 °C. Secondo recenti studi, la soluzione sarebbe stata trovata in una lega ferro-cromo, che si auto-protegge formando una pellicola protettiva di ossido di cromo. Il MIT conta di arrivare entro 3 anni alla messa a punto di un metodo adatto alla produzione industriale su larga scala.
drogeno, ottenuta per reazione (mediante un catalizzatore a pentossido di vanadio) tra metano e la CO2 recuperata dal forno di riduzione. Questo processo copre il 60% della
produzione mondiale di DRI ed era stato proposto per l'Ilva di Taranto dalla Jindal; la fase finale prevedeva la lavorazione del DRI al forno elettrico. L'applicazione di questa tecnologia avrebbe consentito una riduzione delle emissioni di CO2 del 63%, di ossidi di zolfo dell'88%, di ossidi di azoto dell'81% e l'abbattimento completo delle emissioni di diossine e di particolato. Per applicare questo processo all’ex Ilva, il problema è duplice: da una parte il fabbisogno di metano (ne servirebbero 1,4 miliardi di mc) e di energia elettrica (2.500 GWh); dall'altra i costi della riconversione, che sono stimati in 1,2 miliardi di euro, con lavori che comporterebbero la fermata dell'impianto per 18
PROCESSI DI RIDUZIONE PER REFORMING DEL METANO
La maggior parte dell'idrogeno oggi prodotto nel mondo si ottiene per steam refoming del metano, cioè mediante la reazione di metano con vapor acqueo, in presenza di catalizzatori a base di nichel. La reazione produce CO2, idrogeno e minori quantità di ossido di carbonio. La CO2 viene eliminata per assorbimento e si ottiene un gas a forte azione riducente, che può essere impiegato per ottenere DRI a partire dal minerale. Il processo HyL impiega un gas costituito dal 74% di idrogeno e 13% di ossido di carbonio, che viene alimentato in un impianto multistadio composto da 4 reattori, che lavorano tra 870 e 1.040 °C, alternandosi nelle fasi di preriscaldo, riduzione, raffreddamento, scarico del materiale ridotto. Un processo analogo è il Midrex, che utilizza come gas riducente una miscela di ossido di carbonio e iHi-Tech Ambiente
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mesi. Il gas potrebbe arrivare attraverso il gasdotto TAP, attualmente in fase di completamento; l'energia elettrica potrebbe (almeno teoricamente) essere prodotta utilizzando maggiormente le fonti rinnovabili (che già oggi in Puglia forniscono circa 7.500 GWh) purchè venisse risolto, con batterie o altri sistemi di accumulo, il problema della continuità di fornitura. I costi non sono indifferenti, e si deve tener conto che l'acciaio prodotto con le nuove tecnologie costerà di più di quello prodotto oggi con gli altiforni, e avrà quindi bisogno di sovvenzioni per competere sul mercato; ma nel conto andrebbero considerati i costi sanitari e ambientali che sono oggi a carico dei cittadini di Taranto.
Meno emissioni di acciaieria Processo HIsarna
Messo a punto uno speciale reattore che consente di ottenere maggiore efficienza, ridotti consumi energetici e minori gas inquinanti Impianto pilota HIsarna
L'industria metallurgica è responsabile di circa il 7% delle emissioni globali di gas serra e inquinanti, e le aziende del settore stanno cercando soluzioni per ridurre l'impatto ambientale. Una tecnologia promettente è stata sviluppata dalla Tata Steel, che è una multinazionale indiana produttrice di acciaio, presente in Europa con stabilimenti in Inghilterra e Olanda. La società, che è membro della Ultra-Low CO 2 Steelmaking (ULCOS) (una partnership di 48 organizzazioni europee che si sono impegnate a ridurre le emissioni delle acciaierie del 50% entro il 2050) ha dichiarato di aver creato una nuova tecnologia in grado di conseguire questo obiettivo. Questa tecnologia, denominata "HIsarna", è stata inizialmente
sperimentata presso un impianto pilota ubicato in un sito della Tata Steel in Olanda. Essa si basa su un reattore, al cui interno si raggiungono temperature superiori al punto di fusione del ferro, per cui i minerali di ferro immessi al suo interno fondono istantaneamente, producendo al contempo gas ad elevata temperatura. I minerali di ferro vengono immessi in un ciclone posto alla sommità del reattore, dove la temperatura è ulteriormente aumentata grazie all'aggiunta di ossigeno, che reagisce con il monossido di carbonio presente nei gas. Grazie alla turbolenza nel ciclone il tempo di contatto con il gas caldo è sufficiente per fondere i minerali di ferro, che percolano allo stato liquido fino al fondo del reattore; qui viene immessa la
polvere di carbone, che reagisce con l'ossido di ferro derivante dalla fusione dei minerali ferrici e si lega con l’ossigeno, creando ferro liquido di elevata qualità, che può quindi essere sfruttato commercialmente come materia prima per la produzione di acciaio di prima scelta. I gas in uscita dal reattore sono costituiti da CO2 concentrata quasi pura, in condizioni ideali per essere utilizzata industrialmente o “catturata” sottoterra. Secondo la Tata Steel, questa tecnologia elimina numerose fasi che nei tradizionali processi produttivi sono responsabili di elevati consumi energetici, tra cui il pre-trattamento dei minerali (agglomerazione) e del carbone (cokerie) in impianti separati; inoltre, essa richiede requisiti meno stringenti per quanto riguarda
la qualità delle materie prime in ingresso. Ciò significa un'enorme guadagno in termini di efficienza, con una riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 del 20%, e una riduzione delle emissioni di particelle fini, ossido di zolfo e ossido di azoto tra il 60 e l'80%. E’ stata condotta una lunga serie di test sperimentali, fin dal giugno 2011, ottenendo riduzioni delle emissioni di CO2 di oltre il 50% e produzioni di circa 60.000 ton di ferro liquido all’anno. Tata Steel sta ora progettando un impianto su scala industriale, che richiederà un investimento di 250 milioni di euro e sarà in grado di produrre una quantità di ferro in forma liquida 10 volte superiore a quella attuale. L’impianto sarà operativo nei prossimi 7 anni. Impianto pilota HIsarna
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ECOTECH
a cura di ASSITA
La nuova desolforazione del syngas
condizioni ne consentono il collegamento diretto ai gassificatori industriali, migliorando l’efficienza e riducendo sia i costi di investimento che le spese di funzionamento.
La valorizzazione del pastazzo di arancia
La produzione del gas di sintesi a partire da una vasta gamma di rifiuti (dalle plastiche alle biomasse) costituisce il primo stadio di molti processi di valorizzazione dei rifiuti stessi. Tuttavia, per poter essere utilizzato come combustibile o come “materia prima” per i processi chimici, il gas di sintesi deve essere depurato, e soprattutto privato dei contaminanti a base di zolfo; i processi convenzionali prevedono l’uso di torri di lavaggio, con la conseguente produzione di soluzioni esauste, che è necessario rigenerare o smaltire. Da oltre 10 anni l’Ente di ricerca Usa “Research Triangle Institute” lavora per la messa a punto di un processo di desolforazione in fase solida, denominato WDP (Warmgas Desulfuration Process); il processo è ora disponibile e verrà commercializzato dalla società svizzera Casale. Il processo WDP impiega due reattori in parallelo: in uno si svolge la desolforazione, mentre nell’altro avviene la rigenerazione dell’agente neutralizzante (prodotto dalla Clariant). Le prove compiute su un impianto pilota di gassificazione del carbon fossile, situato in Florida, hanno mostrato che l’impianto riduce il contenuto di composti solforati con rese di abbattimento dal 99,8 al 99,9%; se l’impianto di produzione del gas di sintesi comprende una fase di rimozione della CO2, il contenuto finale di composti solforati sul gas in uscita risulterà dell’ordine delle parti per miliardo, consentendo l’utilizzo del gas di sintesi nella produzione di biocarburanti, fertilizzanti e intermedi chimici. Il processo WDP opera a caldo ed alla pressione di 80 bar; queste
L’industria di trasformazione delle arance genera ogni anno enormi quantità di scarti, sotto forma di “pastazzo“, un mix di bucce, semi e polpa residui della produzione di succo d’arancia (55-65% del prodotto iniziale), che vanno trattati come rifiuti e che ad oggi rappresentano un problema ambientale ed economico. Il pastazzo ha in realtà un grande valore, in quanto contiene una serie di importanti composti bioattivi e funzionali, come pectina, polifenoli e terpeni che possono essere riutilizzati in svariati settori. La possibilità di valorizzare i sottoprodotti della lavorazione delle arance rappresenta quindi una grande opportunità, che potrebbe portare benefici ambientali ed economici all’intero comparto della coltivazione e trasformazione. Su queste premesse è stato condotto un interessante studio da parte di un team di ricerca italiano (tra cui il CNR di Firenze) e portoghese, che ha dimostrato la fattibilità del percorso proposto, basato sulla cavitazione idrodinamica controllata, per la valorizzazione della buccia d’arancia di scarto, attraverso una tecnologia semplice, economica e altamente efficiente e veloce, che richiede l’acqua come unica materia prima aggiuntiva (senza solventi, quindi), aderendo
quindi ai principi dell’estrazione verde. Oltretutto, il residuo solido, polverizzato e ricco di cellulosa ed emicellulosa, ha rivelato un eccellente potenziale di generazione di biometano in caso di digestione anaerobica, con pochi minuti di tempo di processo sufficienti a determinare un elevato rapporto tra l’energia contenuta nel metano generato e l’energia consumata. In estrema sintesi, la cavitazione è un fenomeno di formazione, accrescimento e implosione di bolle di vapore in un liquido a temperature inferiori rispetto al punto di ebollizione, che genera microambienti caratterizzati da temperature localmente elevatissime e intense onde di pressione e getti idraulici, capaci di intensificare una serie di processi fisici, chimici e biochimici, in modo efficiente ed ecologico. Per la prima volta è stato applicato al processamento degli scarti dell’industria dei succhi di arancia prodotti in Sicilia. Il metodo utilizzato è scalabile al livello industriale, aprendo una nuova strada per la valorizzazione degli scarti agro-industriali, non solo delle arance, ma di tutti gli agrumi. Nonostante gli ottimi risultati già raggiunti, esistono tuttavia ampi margini per ulteriori miglioramenti.
I grassi di scarto producono metano Gli impianti di depurazione delle acque reflue comprendono di solito all’inizio un sistema di rimozione dei grassi (degrassatore), perché la presenza di grassi osta-
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colerebbe il trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivi. Infatti, i grassi tendono a rivestire con una sottile pellicola le particelle di sostanza organica, impedendo lo scambio con l’ossigeno dell’aria e quindi ostacolando il processo di ossidazione. Per lo stesso motivo, pozzetti di intercettazione di oli e grassi sono presenti nelle linee di scarico dei ristoranti e delle industrie di preparazione degli alimenti, anche per evitare che accumuli di grasso possano causare intasamenti delle fognature. I grassi raccolti in questi modi vengono spesso bruciati o inviati a discarica; ma possono essere invece trattati negli impianti di digestione anaerobica, dove aumentano la resa in metano. Tuttavia occorre molta attenzione nel gestire l’immissione di grassi nei digestori, perché la normale popolazione batterica di questi impianti è assuefatta a matrici di tipo prevalentemente cellulosico, e l’aggiunta di grassi potrebbe causare un abbassamento della produzione di metano. I ricercatori della North Carolina State University hanno studiato a fondo questo problema, riscontrando che aumentando gradatamente la percentuale di grassi in ingresso al digestore si ottiene una modifica della popolazione batterica, con aumento dei batteri Syntrophomonas da meno di 1% al 25%, dei Methanosaeta da 2,3 a 12%, e dei Methanospirillum da meno di 1% fino al 6,6%. La nuova popolazione batterica si è dimostrata in grado di accettare concentrazioni di grassi fino al 75%, con ottimi risultati nella produzione di metano, che è aumentata del 336%, passando da 0,180 litri a 0,785 litri per ogni grammo di solidi volatili in ingresso.
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LE AZIENDE CITATE AB Energy Spa Tel 030.9942411 E-mail info@gruppoab.com
European Plastic Pact Tel +31.6.53200852 E-mail europeanplasticspact@minienw.nl
Joint Center for Artificial Photosynthesis Tel +1.626.3953066 E-mail innovation@caltech.edu
Carrara Marble Way Tel 0585.52275 E-mail info@carraramarbleway.it
Evonik Industries Ag Tel +49.201.1772225 E-mail edda.schulze@evonik.com
North Carolina State University Tel +919.515.7416 E-mail fldelosr@ncsu.edu
Città Metropolitana Milano Tel 02.77402402 E-mail a.devivo@cittametropolitana.milano.it
Federmanager Tel 06.440701 E-mail federmanager@federmanager.it
Quentic Italia Tel 06.93188530 E-mail contact.it@quentic.com
CLAIM project E-mail claim@hcmr.gr
Gemidan Ecogi As Tel +45.76.782101 E-mail info@gemidanecogi.dk
Research Triangle Institute Tel +1.919.4852609 E-mail ddenton@rti.org
Gruppo Cap Tel 392.9724096 E-mail matteo.colle@gruppocap.it
Scolari Srl Tel 030.6848012 E-mail commerciale@scolarisrl.com
HYBRIT project Tel +46.722.465765 E-mail yvonne.edenholm@hybrit.se
SYNTHPHOTO project Tel +44.114.2224191 E-mail c.n.hunter@sheffield.ac.uk
ISTAT Tel 06.46734544 E-mail garozzo@istat.it
Tata Steel Tel +44.207.7174532 E-mail bob.jones@tatasteel.com
Istituto Superiore di Sanità Tel 06.49903340 E-mail riccardo.crebelli@iss.it
Vogelsang Italia Srl Tel 0373.970699 E-mail info@vogelsang-srl.it
CNR di Firenze Tel 055.4483056 E-mail federica.zabini@ibe.cnr.it C.R.P.A. Spa Tel 0522.436999 E-mail m.garuti@crpa.it EcoMedit Srl Tel 800.592637 E-mail ecomedit@libero.it Entsorga Italia Spa Tel 0131.811383 E-mail info@entsorga.it
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