Hi-Tech Ambiente n.7 - Luglio 2020

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXXI LUGLIO 2020

N7



SOMMARIO RIFIUTI

PANORAMA

Coripet sigla accordo con Anci

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I treni a idrogeno in Italia

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APPROFONDIMENTI

La raccolta dell’organico in Italia La Lombardia è la regione più virtuosa, ma l’Emilia Romagna è quella con il dato procapite maggiore. Cronica mancanza di impianti al Centro-Sud

La competitività passa anche dai rifiuti 8

L'Autorizzazione Unica Ambientale L’A.U.A. consente di semplificare gli adempimenti amministrativi alle piccole e medie imprese, inviando una sola pratica per via telematica

DEPURAZIONE La nanodepurazione di acque di falda

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Con la ripresa delle attività produttive si ripresentano i ben noti problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti industriali, tra cui la carenza di impianti di trattamento adeguati

TECNOLOGIE

Il sole per produrre il freddo

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L’efficace depurazione di reflui tessili

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Una tecnologia per raffrescare gli ambienti senza l’utilizzo di energia elettrica, ma sfruttando direttamente la radiazione solare

La bonifica efficace e a basso costo degli acquiferi contaminati mediante deposizione controllata di minuscole particelle metastabili di ossido di ferro

Cover Story

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GREEN ECONOMY

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Tetra Pak: obiettivo zero gas serra La società annuncia l'impegno a eliminare le emissioni climalteranti nelle proprie attività entro il 2030

GREEN FASHION

L’ecopelle a base di gelatina

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Abiti all’ortica per l’eco sviluppo dell’Appennino

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 31

ENTERPRISE EUROPE NETWORK

INSERZIONISTI AMG IMPIANTI Srl

IDROCLEAN – ITELYUM Srl

CENTRAX ITALIA Srl

N.C.R. BIOCHEMICAL Spa

FANTONI&LUCIANI Srl

RAGAZZINI Srl

GIOTTO WATERS Srl

Hi-Tech Ambiente

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panorama raCColta Differenziata bottiglie in Pet

Coripet sigla accordo con Anci Coripet, consorzio che a cui recentemente il Ministero dell’ambiente da dato il via libera a operare autonomamente nella gestione del riciclo delle bottiglie in Pet, ha siglato un accordo con anci per accedere alla raccolta differenziata dei contenitori in Pet per liquidi effettuata dai Comuni o loro delegati. l’intesa raggiunta, auspicata da più parti, rappresenta un passo significativo verso la piena apertura del mercato di settore. l’accordo, si inserisce nel solco tracciato dal Ministero dell’ambiente con il decreto di autorizzazione n.58/2018 e nel 2020 con la proroga del riconoscimento, con l’obiettivo di garantire maggiori risultati nella raccolta e nel riciclo del Pet sull’intero territorio nazionale anche alla luce delle più recenti normative europee (in particolare la c.d. direttiva SuP – single use plastics n. 904/2019). l’accordo ponte stipulato ha una durata di 1 anno in vista del successivo accordo a regime tra le parti. l’accordo prevede la sottoscrizione, su tutto il territorio nazionale, di singole convenzioni locali per la raccolta differenziata del Pet di competenza Coripet in proporzione

all’immesso a consumo dei produttori consorziati. accanto al sistema pubblico di raccolta differenziata, il Pet potrà essere intercettato e riciclato anche mediante l’installazione di eco compattatori, funzionali al bottle-to-bottle. evidenti i vantaggi della collaborazione Coripet-anci per i Comuni: corrispettivo economico oltre i 6

euro/ton; corrispettivi liquidati a 30 giorni; trasparenza e semplificazioni operative, ossia corrispettivi riconosciuti a prescindere dalle percentuali di impurità e maggiori quantità di bottiglie avviate a riciclo e attivazione del bottle-to-bottle grazie alla rete di ecocompattatori dedicata a raccogliere solo bottiglie di Pet. questa rete riducendo i quan-

Differenziata in quarantena

La raccolta di acciaio cresce al Sud il Covid-19 ha avuto un fortissimo impatto sulle abitudini di vita degli italiani, modificando dalle fondamenta gesti e azioni quotidiane con ricadute che hanno riguardato anche la raccolta differenziata. Per quanto riguarda gli imballaggi in acciaio, l’impatto è stato positivo, come segnala il consorzio ricrea, da cui si evince che la crescita più forte è stata registrata nel Sud italia. <<negli ultimi anni l’italia ha compiuto grandi passi avanti sul fronte della raccolta differenziata - spiega federico fusari, direttore di ricrea – e per quanto riguarda gli imballaggi in acciaio abbiamo raggiunto una percentuale di riciclo superiore all’80%, che posiHi-Tech Ambiente

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titativi di bottiglie in Pet presenti nella raccolta indifferenziata porterà ad un alleggerimento del sistema (compresi i costi di smaltimento) e degli impianti di smaltimento rifiuti (termovalorizzatori e discariche). <<Per la prima volta da vent’anni a questa parte – afferma Corrado Dentis, presidente Coripet - vi è un nuovo soggetto, il Coripet, che può interagire con le amministrazioni comunali attraverso offerte economiche vantaggiose per quanto concerne i corrispettivi riconosciuti per la raccolta del Pet>>.

ziona il nostro Paese tra i migliori in europa. il trend di crescita registrato in questa prima parte dell’anno è davvero molto marcato, in particolare nelle regioni del Centro e del Sud dove la crescita percentuale è stata rispettivamente del +31,5% e del +35%>>. risultati di eccezione su cui può certamente avere influito anche l’aumento dei consumi dei prodotti conservati in contenitori in acciaio, come barattoli di pomodoro o scatolette di tonno. Ma senza dubbio il maggiore tempo trascorso in casa durante le settimane di quarantena ha portato a una maggiore attenzione nei confronti del corretto conferimento dei rifiuti, con un conseguente incremento delle quantità raccolte che ha messo alla prova l’intera filiera del riciclo in un periodo già estremamente delicato e complesso a causa della chiusura delle acciaierie con forno elettrico in cui viene realizzata la fusione del rottame.



inteSa alStoM-SnaM

Per VeiColi elettriCi

I treni a idrogeno in Italia

La ricarica rapida mobile Si chiama e-gap ed è il primo operatore in europa che introduce sul mercato un servizio di ricarica rapida (fast charge) su richiesta e in mobilità attraverso l’utilizzo di automezzi propri. Si tratta di veri e propri centri di ricarica mobile veloce, in grado di fornire energia ai veicoli scarichi ovunque si trovino, prenotando il servizio tramite app e web. e-gap, 100% Made in italy, nasce dopo 2 anni di ricerca e progettazione da parte di oltre 70 professionisti tra ingegneri ed esperti del settore green ed elettrico. Milano è stata la città pilota del progetto europeo, nella quale sono entrati in circolazione a fine 2018 i primi 10 mezzi di ricarica. ne sono seguite ulteriori di metropoli, per un totale che arriverà a nove, sele-

alstom, azienda attiva in soluzioni integrate per la mobilità sostenibile, e Snam, una delle principali società di infrastrutture energetiche al mondo, hanno firmato un accordo quinquennale per sviluppare i treni a idrogeno in italia, l’infrastruttura tecnologica e i servizi di gestione. l’intesa, dopo una prima fase dedicata agli studi di fattibilità che si concluderà in autunno, ha l’obiettivo di realizzare, già ad inizio del 2021, progetti di mobilità ferroviaria. nello specifico, alstom si occuperà della fornitura e della manutenzione dei treni a idrogeno, di

nuova realizzazione o convertiti, mentre Snam lavorerà allo sviluppo delle infrastrutture per la produzione, il trasporto e il rifornimento. la collaborazione nasce dal comune impegno delle due società sull’idrogeno: alstom ha avviato in germania il Coradia ilint, il primo treno a celle a combustibile al mondo, già in servizio da un anno e mezzo su una tratta regionale, mentre Snam è stata tra le prime aziende al mondo a sperimentare l’iniezione di idrogeno al 10% nella rete di trasporto del gas naturale.

il riciclo dei Pneumatici fuori uso è un settore d’eccellenza dell’economia circolare in italia. grazie al recente Decreto end of Waste, avremo un miglior inquadramento delle procedure di riciclo dei Pfu, per garantire un’ancora più elevata qualità e sicurezza dei materiali in uscita dagli impianti così da consentirne un pieno ed effettivo recupero in tante valide applicazioni e prodotti, a vantaggio di tutte le imprese che fanno dell’economia circolare il fulcro delle proprie attività. Sono infatti circa 100 le aziende, con oltre 1.000 addetti, che su tutto il territorio nazionale si occupano di raccolta e trasporto dei Pfu e della produzione di granulo e polverino da utilizzare in utili ed eccellenti applicazioni nel settore

DeCreto enD-of-WaSte

I PFU oggi degli asfalti stradali, dell’impiantistica sportiva, del benessere animale, dell’edilizia, negli impieghi industriali, nell’arredo urbano e molto altro ancora. il poter contare su una normativa nazionale, eliminerà le incertezze che tutt’ora sussistono e consentirà di superare quelle differenze che, nel regime di autorizzazioni “caso per caso” finora in vigore, potevano anche creare gap competitivi tra impianti di riciclo analoghi ma situati in regioni o Province differenti. attraverso riferimenti comuni, gli

impianti di riciclo avranno invece la certezza di come verrà inquadrato il materiale riciclato in uscita dall’impianto, e allo stesso tempo le aziende utilizzatrici di granulo e polverino di gomma possono contare su una certificazione di ogni singolo lotto di materiale che ne garantisce qualità, caratteristiche e sicurezza. nel dettaglio, tra le principali novità operative introdotte troviamo: l’obbligo per gli impianti di trattamento di dotarsi di un sistema per il lavaggio dei Pfu in ingresso idoneo a eliminare le impurità su-

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zionate per il loro elevato tasso di crescita di veicoli elettrici: amsterdam, berlino, londra, Madrid, Mosca, Parigi, roma, Stoccarda e utrecht. <<il nostro vuole essere un servizio alla persona e al cittadino di ampio respiro – spiega eugenio de blasio, fondatore e presidente e-gap - non solo una semplice ricarica del mezzo elettrico a chiamata. offriamo molto di più, integrando una serie di servizi che fanno vivere meglio le persone e semplificano loro la vita, venendo incontro alle loro esigenze. Siamo partiti da Milano come progetto pilota, per presentarci in breve tempo in diverse città europee, adeguando i nostri servizi nelle singole realtà e in ogni contesto di mercato in cui opereremo>>.

perficiali; l’istituzione di campionamenti e analisi sul materiale riciclato in uscita; la certificazione del produttore su ogni lotto di produzione del materiale riciclato, che nel Decreto viene definito non più come gomma riciclata ma “gomma Vulcanizzata granulare”. il provvedimento contribuirà quindi in modo determinante a stabilizzare le attività delle aziende di riciclo e a stimolare un numero sempre crescente di imprese che utilizzano granulo e polverino di gomma, favorendo lo sviluppo di nuove applicazioni e il consolidamento di quelle esistenti, come ad esempio l’impiego del polverino di gomma riciclata nei conglomerati bituminosi per la realizzazione di asfalti modificati “silenziosi” e durevoli.



approfondimenti

L'Autorizzazione Unica Ambientale Quando è necessaria e come si ottiene?

l’a.u.a. consente di semplificare gli adempimenti amministrativi alle piccole e medie imprese, inviando una sola pratica per via telematica l'autorizzazione unica ambientale (a.u.a.) è stata istituita nel 2013 (DPr n.59 del 29/5/13) allo scopo di semplificare gli adempimenti amministrativi in materia ambientale, soprattutto pensando alle piccole e medie imprese. Per le grandi imprese con impatti rilevanti sull'ambiente si applica un altro tipo di autorizzazione, l'autorizzazione integrale ambientale (a.i.a.) istituita nel 1996 dalla Direttiva iPPC n.96/61/Ce, e notevolmente più impegnativa. la semplificazione introdotta dall'aua consiste nel fatto che essa sostituisce sette categorie di autorizzazioni, che in precedenza dovevano essere richieste separatamente a enti diversi, e precisamente: autorizzazione agli scarichi in pubblica fognatura; Comunicazione preventiva relativa all'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, acque di vegetazione e altri reflui da attività agroalimentari (art. 112, D.lgs 152/06); autorizzazione alle emissioni in atmosfera; autorizzazione generale alle emissioni in atmosfera per specifiche categorie di impianti; Comunicazione o nulla osta relativi all'impatto acustico; autorizzazione all'utilizzo agricolo di fanghi di depurazione; Comunicazione in materia di smaltimento e recupero in procedura semplificata di rifiuti non pericolosi nel luogo stesso di produzione (art. 215 e 216. D.lgs 152/06). e' molto improbabile che una impresa debba richiedere tutte e 7 le autorizzazioni sopracitate, ma di

(SuaP) presenti in tutti i Comuni italiani. CHI DEVE RICHIEDERE L'AUA?

solito occorre aprire almeno 3 pratiche per altrettante autorizzazioni base (scarichi in fognatura, emissioni in atmosfera, impatto acusti-

co). Con l'aua si apre una sola pratica, generalmente per via telematica, servendosi degli Sportelli unici per le attività Produttive

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il DPr 59/2013 (istitutivo dell'aua) prevedeva inizialmente che l'aua dovesse essere richiesta dalle piccole e medie imprese; successivamente la Circolare del Minambiente 0049801 del 7/11/2013 ha esteso l'applicabilità dell'aua a tutte le imprese che non siano soggette ad aia, con le sole esclusioni di: progetti già sottoposti a Valutazione di impatto aabientale (Via); procedimenti di per sè "unici", come l'autorizzazione unica per impianti di gestione rifiuti. la richiesta di aua è facoltativa (cioè il gestore può scegliere tra il vecchio regime delle autorizzazioni separate e quello dell'aua) in due soli casi: attività soggette a sole comunicazioni (ad es. il recupero di rifiuti in regime semplificato), attività soggette solo ad autorizzazione alle emissioni in atmosfera di carattere generale (ex "attività a inquinamento poco significativo"). e' evidente che chi intende aprire una nuova attività che rientri nei casi di obbligatorietà dell'aua, oppure intenda apportare modifiche sostanziali a un’attività già esistente, dovrà attivarsi tempestivamente per richiedere l'aua; tenendo presente che i tempi sono in genere di 120 gg a partire dalla data della domanda, e che l'esercizio dell'impianto in assenza di autorizzazione comporta le conseguenze penali previste per


le singole aree (ad es. chi sversa acque reflue senza essere autorizzato sarà sanzionato secondo quanto previsto dall'art. 137 del D.lgs 152/06). non esiste una esplicita previsione di sanzioni connesse all'assenza di aua, perchè il legislatore ha voluto sottolineare che l'aua non è un nuovo adempimento, bensì un "contenitore" che raccoglie gli adempimenti pre-esistenti, al fine di semplificarne l'esecuzione. tuttavia, il rinvio alle diverse autorizzazioni "conglobate" nell'aua stessa è prevedibile che comporterà problemi interpretativi e incertezze circa le sanzioni da applicare nei diversi casi concreti. le aziende che hanno già in esercizio attività provviste delle regolari autorizzazioni devono richiedere l'aua alla prima scadenza, presentando la domanda entro il termine previsto per il rinnovo dell'autorizzazione che scade: ad esempio, se le prima delle autorizzazioni è quella relativa agli scarichi, si applica quanto previsto dall'art. 124 del D.lgs 152/06 (rinnovo da chiedere un anno prima della scadenza). una volta ottenuta l'aua, questa ha la durata di 15 anni, a meno che non intervengano modifiche sostanziali degli impianti e della attività. il termine può essere abbreviato se l'autorità Competente (attualmente le regioni o Province autonome) ritenga che le prescrizioni contenute nell'aua siano superate da nuove disposizioni legislative o siano in disaccordo con gli obiettivi di qualità ambientale stabiliti dai piani regionali. COME SI FA A CHIEDERE L'AUA?

Come prima accennato, la natura di "provvedimento contenitore" dell'aua comporta che la domanda dovrà contenere tutte le informazioni che prima erano necessarie per ottenere le 7 autorizzazioni che oggi sono sostituite dall'aua. questo comporta inevitabilmente una notevole complicazione della modulistica; tanto più che le diverse regioni avevano cominciato ad elaborare diversi modelli, indipendentemente l'una dall'altra. a questa situazione ha posto fine il D.P.C.M. 8 maggio 2015, che ha predisposto un modello unico nazionale, che è scaricabile dai siti delle diverse regioni. Si tratta di un corposo fascicolo di 80 pagine, che si compone di: - una parte generale, contenente i

dati anagrafici del gestore e della azienda richiedente, l'indicazione delle diverse autorizzazioni applicabili alla sua attività e l'elenco delle autorizzazioni già in possesso (nel caso di impianti in esercizio) - una serie di 8 schede, delle quali verranno completate solo quelle attinenti alle attività per le quali si richiede autorizzazione; in esse vengono descritte in dettaglio le relative attività (ad es., la "Scheda C" relativa alle emissioni in atmosfera prevede la descrizione del ciclo produttivo, dei materiali utilizzati, degli impianti di combustione, delle diverse emissioni e dei relativi sistemi di abbattimento). in caso di impianti già in esercizio, che richiedono l’aua perchè è scaduta una delle autorizzazioni, se le condizioni di esercizio non sono cambiate non è necessario compilare la scheda; è sufficiente una "dichiarazione di invarianza", che avrà valore legale di autocertificazione. la domanda deve essere presentata per via telematica al SuaP del Comune ove si trova l'impianto. il

SuaP lo inoltra all'autorità Competente. Se questa ritiene sufficienti le informazioni fornite, l'iter della domanda prosegue; in caso contrario entro 30 gg devono essere richieste le integrazioni. a questo punto si definiscono 3 diversi percorsi, secondo che: l'aua sostituisca una autorizzazione il cui procedimento abbia durata pari o inferiore a 90 gg (in pratica solo l'autorizzazione a emissioni in atmosfera di carattere generale, ex "inquinamento poco significativo"); l'aua sostituisca una o più delle altre autorizzazioni, per le quali il procedimento ha durata superiore a 90 gg; l'aua è l'unico documento necessario. nei primi due casi, il SuaP indice (entro 30 gg. dalla ricezione della domanda) la Conferenza dei Servizi, prevista dall'art.7 del DPr n.160 del 7/9/2010. questa è una riunione collegiale di tutte le amministrazioni coinvolte, nella quale devono essere avanzate le eventuali opposizioni all'iter della richiesta. nell’ultimo caso il SuaP trasmette

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la comunicazione all'autorità Competente che, ove previsto, convoca la Conferenza dei Servizi. una volta ottenuto il parere della Conferenza dei Servizi, l'autorità Competente emana il provvedimento entro 90 gg (nel primo e terzo caso) o 120 gg (nel secondo caso) dalla presentazione della domanda e lo trasmette immediatamente al SuaP, che rilascia il titolo all'azienda interessata. LA PROCEDURA IN CASO DI MODIFICHE

le modifiche a un impianto esistente e già autorizzato si distinguono in "sostanziali" e "non sostanziali". la definizione è contenuta nel DPr 59/2013, che classifica come "sostanziale" ogni modifica che produce effetti negativi significativi sull'ambiente. Maggiori dettagli sono contenuti nelle normative regionali; particolarmente dettagliate sono quelle emesse dalla regione lombardia, con Dgr 18/12/17n.X/7570. Se il gestore dell'impianto ritiene che la modifica non sia sostanziale, deve semplicemente darne comunicazione all'autorità Competente. e' consigliabile che la comunicazione sia inviata almeno 6 mesi prima dell'inizio dei lavori relativi alla modifica. Se l'autorità Competente non risponde entro 60 gg, la modifica è eseguibile e sarà compito dell'autorità Compente aggiornare l'autorizzazione, senza che ciò incida sulla sua durata. Se invece l'autorità Competente ritiene che la modifica sia sostanziale, oppure in caso che la modifica sia considerata tale dallo stesso gestore, occorre presentare una nuova domanda all'aua, secondo l'iter già visto.


DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

La nanodepurazione di acque di falda Progetto REGROUND

la bonifica efficace e a basso costo degli acquiferi contaminati mediante deposizione controllata di minuscole particelle metastabili di ossido di ferro le acque sotterranee rappresentano una delle risorse idriche più importanti, per qualità e abbondanza: costituiscono circa il 30% delle acque dolci sfruttabili, mentre il restante 6% si trova accumulato sotto forma di ghiaccio e meno del 2% è disponibile nei corpi idrici superficiali. la bonifica e il ripristino ambientale dei sistemi acquiferi contaminati rappresenta quindi un tema di grande interesse e attualità. i metalli pesanti che contaminano le falde acquifere, i pozzi e le acque superficiali rappresentano la minaccia più grave (data la loro nota tossicità): i principali contaminanti dei corpi idrici sono arsenico, bario, cadmio, cromo, rame, piombo, mercurio e zinco. anche se esistono già diverse soluzioni per la loro rimozione o immobilizzazione, questi sistemi spesso richiedono elevati investimenti finanziari e tecnologici. il progetto europeo regrounD ha però sviluppato una nanotecnologia a basso costo per l'immobilizzazione dei contaminanti tossici, basata sulla deposizione controllata di nanoparticelle di ossido di ferro. le nanoparticelle, grazie alle loro ridotte dimensioni, possono essere iniettate nel sottosuolo in corrispondenza del-

l'area contaminata, generando un "zona reattiva" in grado di rimuovere gli inquinanti dall'acqua di falda. Ma, se la reattività delle nanoparticelle nella rimozione dei contaminanti è comprovata, il controllo della fase di iniezione e quindi la formazione della zona reattiva rappresentano ancora uno degli aspetti critici e dei principali fattori limitanti nell'applicazione di questa tecnologia su vasta scala. Ciò perché, in molti casi, non è possibile controllare in modo efficace se e dove le particelle si depositeranno: una mobilità troppo limitata non consente una

buona distribuzione delle nanoparticelle all'interno della zona reattiva, mentre una mobilità eccessiva causa una perdita anche significativa di materiale, che si disperde nel sottosuolo senza venire a contatto con gli inquinanti. la tecnologia reground si basa sulla creazione di una "barriera" di nanoparticelle di ossido di ferro di alta tecnologia, che vengono iniettate nel sottosuolo, penetrano a distanze pre-determinate e successivamente precipitano nella falda acquifera. Per superare i problemi sopra menzionati, è stato necessario realizzare speciali

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nanoparticelle metastabili, che restano in sospensione, e quindi non precipitano o sedimentano durante le fasi di sintesi, produzione, trasporto e iniezione, ma iniziano a precipitare solo dopo l'iniezione. questo ha reso necessario sviluppare un processo di sintesi innovativo, che fosse facilmente adattabile alle caratteristiche di ogni corpo idrico. nello sviluppo di questo sistema, un ruolo molto importante è stato svolto da un gruppo di ricercatori del Politecnico di torino. l'approccio proposto sfrutta l'iniezione sequenziale e modulata di una sospensione stabile di nanoparticelle e di un agente destabilizzante, che induce una migrazione ottimale delle nanoparticelle in falda e, successivamente, una deposizione controllata nella zona desiderata. un modello matematico, sviluppato dai ricercatori, supporta la progettazione delle fasi di iniezione, consentendo di adattare la procedura all'applicazione specifica. la tecnologia reground rappresenta perciò un importante passo avanti nel campo della nanodepurazione, in quanto ha reso possibile, per la prima volta, il controllo della distribuzione spaContinua a pag. 12



Continua da pag. 10

La nanodepurazione di acque di falda ziale di nanoparticelle nel sottosuolo. le acque contaminate passano quindi attraverso la barriera di nanoparticelle, dove i metalli pesanti dissolti vengono assorbiti, e l'acqua depurata fluisce a valle. Si tratta di un metodo di facile applicazione, che non richiede ampie infrastrutture o interventi di rimozione del suolo (oltre a limitare la perdita di materiale reattivo), riducendo significativamente i costi della depurazione e aumentando l'efficacia della depurazione. il progetto reground ha applicato la tecnologia su scala reale, dopo una sperimentazione pilota in tre siti, e due applicazioni su larga scala presso falde ubicate in siti industriali contaminati (rispettivamente, in Spagna e Portogallo), monitorando la riduzione dei metalli pesanti dissolti nelle acque sotterranee. il monitoraggio post-trattamento ha mostrato che i metalli pesanti sono stati rimossi con successo, fino al raggiungimento dei livelli prestabiliti nel piano di bonifica,

dando così "luce verde" all'avvio della fase commerciale. l'obiettivo del progetto reground è in linea con quelli delle politiche ue in materia di acque, in particolare la Direttiva

2013/39/eu, che tende a introdurre sul mercato nuove tecnologie per la depurazione delle acque. Per accelerare il raggiungimento degli obiettivi, il team di reground sta lavorando alla crea-

blue Water PlantS

L’evaporatore sottovuoto per reflui difficili la blue Water Plants realizza da oltre 20 anni impianti di evaporazione sottovuoto per la concentrazione e il recupero di reflui difficili, che non si prestano ai normali trattamenti di depurazione. queste apparecchiature trovano applicazioni in diversi settori, come industrie galvaniche farmaceutiche, colorifici, oleifici, frantoi, salumifici, impianti per il trattamento dei rifiuti, impianti termoelettrici ecc. la capacità di trattamento può andare da 240 a 150.000 litri/giorno, sia con tecnologie a basso consumo energetico (pompa di calore) che con cicli acqua calda/vapore, mono o pluri-effetto. alcuni dei più importanti impianti realizzati sono: trattamento del flusso di scarico (retentato) dell'im-

zione di una "spin-off" (la Colferox), che applicherà la depurazione basata sulle nanoparticelle ad altri contaminanti, come cianuri e idrocarburi policiclici aromatici (iPa).

Impianto da 16.000 l-g

pianto di osmosi inversa per la centrale termoelettrica di Crotone; trattamento dei liquidi esausti utilizzati per la depurazione dei fumi dell'inceneritore di amsterdam; concentrazione del percolato della discarica di terzigno (na); concentrazione delle acque di caldaia della centrale termoelettrica di aprilia (lt). in soli 5 anni di attività blue Water Plants ha ideato e installato più di 100 impianti di concentrazione e depurazione delle acque di scarico per diversi settori industriali, distinguendosi sempre per l'eccellente rapporto qualità/ prezzo e l'efficienza e disponibilità del servizio assistenza, operante in tutto il mondo, anche su impianti realizzati da altri.

Impianto da 2.400 l-g

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GREEN FASHION L A

P R O D U Z I O N E

" M O D A "

T U T E L A

L’ A M B I E N T E

L’ecopelle a base di gelatina Gelatex Technologies la start-up estone gelatex technologies ha messo a punto una pelle ecologica, alternativa a quella convenzionale, realizzata utilizzando gli scarti gelatinosi di scarso valore provenienti dalle industrie della carne e della pelletteria. il materiale è prodotto senza l'uso di tossine ed è organico e biodegradabile. grazie alla possibilità di personalizzare lo spessore e la texture, gelatex attira l'interesse dell'industria tessile e automobilistica. <<Con gelatex - dice Märt-erik Martens, Cto di gelatex technologies - vogliamo offrire un'alternativa alla pelle che sia più ecologica e anche più economica. il nostro innovativo materiale ha anche vinto il green alley award 2019, a conferma dell’approccio totalmente green usato per realizzarlo e anche del ruolo che gelatex ha in ambito di un’economia circolare>>. la gelatina, infatti, è un sottoprodotto di scarto sia della lavorazione delle carni sia del processo di concia. ebbene, laddove tanti vedono un

prodotto di scarto, gelatex technologies ha colto un’opportunità sprecata, riuscendo attraverso l’innovazione a dare valore a una risorsa abbondante e sottovalutata, ossia una proteina naturale estremamente versatile. <<Per noi, tale innovazione è un processo rivoluzionario per trasfor-

mare la gelatina in materiali nanofibrosi basati sulla gelatina in modo più rapido rispetto a qualsiasi altra tecnologia esistente - afferma Mariann Meigo fonseca, cofondatrice e aD di gelatex technologies – e ora, grazie al supporto del progetto europeo gelateX siamo pronti a incrementare il processo di produ-

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zione e a commercializzare i tessuti ecocompatibili sul mercato globale. grazie a una metodologia rivoluzionaria, abbiamo creato un tessuto ecocompatibile, chimicamente equivalente alla pelle, di altissima qualità e non tossico>>. l’azienda ricicla la gelatina dagli scarti di origine animale e la mescola in una soluzione. Successivamente, utilizzando un metodo proprietario, la soluzione viene filata in una maglia insolubile basata su nanofibre. tale maglia viene poi combinata con altri materiali, creando tessuti per un ampio ventaglio di applicazioni e settori. il prodotto finale, infatti, viene progettato e configurato in base ai requisiti dell’industria su forza, resistenza, isolamento, permeabilità e comodità tessile. attualmente la start-up estone è impegnata nella costruzione di una linea pilota, sta analizzando le opzioni per il lancio di una linea industriale su larga scala, ed è impegnata nell’ottenimento di tutti i brevetti e le certificazioni necessarie.


Abiti all’ortica per l’eco sviluppo dell’Appennino Moda sostenibile l’industria dell'abbigliamento rappresenta fino al 10% dell’impatto ambientale dell’unione europea. Pratiche dannose come l’agricoltura intensiva contribuiscono a tutta una serie di problemi socio-ambientali associati alla manodopera a basso costo e all’uso diffuso di prodotti chimici, insetticidi e altre sostanze dannose per la salute umana e ambientale. in risposta a tutto ciò, il progetto europeo ortiKa ha già apportato il suo contributo unico al settore emergente dell’abbigliamento sostenibile. ortika è una start-up che produce abbigliamento naturale dall’ortica e dal mirtillo coltivati in modo ecologico. i prodotti, biodegradabili al 100%, sono completamente riciclabili ed evitano i sottoprodotti nocivi associati a molti prodotti tessili. <<ortika mira a rivoluzionare il settore della moda sostenibile introducendo elementi innovativi non solo nel prodotto finale - afferma luisa Ciocci di essere Consulting e partner del progetto - ma anche lungo tutta la filiera produttiva. ortika, inoltre, riscopre le tradizioni del territorio, reinterpretandole in modo innovativo per aggiornarle>>. l’ortica è stata infatti una scelta ideale, nata dalla storia e dalla tradizione della regione montana: prima

dell’arrivo del cotone e delle fibre sintetiche negli anni ’50, la fibra di ortica veniva utilizzata nell’appennino come tessuto per la realizzazione di sacchi per la produzione locale, grazie alle sue straordinarie caratteristiche di conservazione. le fibre lunghe, morbide, uniformi e resistenti diventano ancora più forti nel tempo e il tessuto che ne deriva è altamente traspirante e regola il calore; inoltre, la pianta rappresenta

un simbolo dell’area appenninica, come del resto il mirtillo, che è però una pianta che ha già un enorme valore economico come frutto. l'ortica è una pianta pressoché sconosciuta e quindi ancora inutilizzata, ma ortika ritiene che le sue caratteristiche possano migliorare la resistenza e le proprietà termoregolatrici dell’abbigliamento a base di sola ortica. <<uno dei risultati più sorprendenti

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del progetto - racconta Ciocci - è la scoperta che l’intera pianta potrebbe essere utilizzata, aprendo l’idea a ulteriori opportunità di business. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione con tre giovani ricercatori che hanno studiato un innovativo sistema di estrazione che non spreca nulla. Siamo stati in grado di identificare e riprodurre una varietà di ortica selvatica locale che, grazie al metodo di estrazione, garantisce una resa della fibra del 35%, mentre in precedenza la resa massima era del 14%>>. il progetto ha inoltre rafforzato i valori e i legami con la comunità: inizialmente è stato difficile per il gruppo trovare un numero sufficiente di proprietari terrieri agricoli che partecipassero al progetto, ma coinvolgendo gli agricoltori in riunioni e sessioni di formazione, molti si sono uniti. il progetto ha ora a disposizione 36 ettari in più per coltivare i prodotti. <<Siamo molto orgogliosi di essere riusciti a creare un’intera catena di valori - conclude Ciocci - un gruppo di persone, esperienze, aziende, interessi ed esigenze diverse, in cui tutti hanno dimostrato il coraggio di lavorare per un obiettivo comune>>.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

La raccolta dell’organico in Italia Raggiunte 7,1 mln di tonnellate

La Lombardia è la regione più virtuosa, ma l’Emilia Romagna è quella con il dato procapite maggiore. Cronica mancanza di impianti al Centro-Sud

In questo momento così difficile per l’intero Paese, il settore del biowaste non si è fermato. Le aziende e gli impianti industriali del comparto hanno messo in atto tutte le strategie possibili per restare operative e far sì che, una volta rientrata l’emergenza, la catena possa riprendere a pieno e senza contraccolpi. Intanto, il CIC ha rielaborato i dati

2018 del rifiuto organico e degli impianti italiani a partire dai dati del Rapporto Rifiuti Edizione 2019 dell’Ispra, per raccontare l’andamento della raccolta in Italia. Sono 7,1 milioni le tonnellate di rifiuti organici raccolte, ossia +7,5% rispetto all’anno precedente e si conferma la frazione più importante per la raccolta differenziata. Il trend di crescita, tuttavia è dovuto

alla frazione umida che è passata da 4,5 a 5,1 mln di ton. Il verde (sfalci e potature), al contrario, ha registrato una flessione, non dovuta alla sua generazione ma al calato di raccolta e trattamento, con la conseguenza che una parte di questo rifiuto è uscito dai radar della tracciabilità. A livello nazionale il dato procapite di rifiuto organico intercettato

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mostra un’impennata importante, passando da 108 a 117 kg/ab/anno. In particolare, in Emilia Romagna ne sono stati raccolti in modo differenziato più di 170 kg/ab. Ma al primo posto per quantità di frazione organica raccolta si conferma la Lombardia, con quasi 1,3 mln di ton/anno, seguita dall’Emilia Romagna, che con circa 794.000 ton supera il Veneto, che quest’anno


scende al terzo posto (750.000 ton). Stabili al quarto e quinto posto la Campania (680.000 ton) e il Lazio (550.000 ton). <<Le stime di crescita ci portano a traguardare per il 2025 quota 9,2 mln di ton di rifiuto organico raccolto in Italia, ovvero più di 150 kg/ab/anno - analizza Massimo Centemero, direttore del CIC – e per questo è fondamentale continuare a lavorare soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud>>. DEFICIT DI IMPIANTI AL CENTRO-SUD

In Italia il riciclo dei rifiuti organici è affidato a 339 impianti di biodati aggiornati al 2017 certificano che in un anno sono state prodotte 3.424.500 tonnellate di pneumatici fuori uso con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente. Per questo il tema del corretto smaltimento dei PFu sta diventando sempre più cruciale nel trattamento dei rifiuti industriali. Se in Italia la gestione di questo rifiuto speciale è regolamentata dal consorzio Ecopneus, in altri Paesi del mondo si è ancora impreparati ad affrontarla. Spesso gli pneumatici a fine vita vengono stoccati nelle discariche, ma queste aree adibite alla raccolta di vecchi pneumatici sono ambienti pullulanti di insetti a rischio di diffusione malattie e incendi difficilmente estinguibili. Fortunatamente, lo pneumatico a fine vita può essere recuperato e impiegato nella realizzazione di nuovi prodotti. Allo scopo, di estrema utilità è il trituratore tX1600, una delle soluzioni più

trattamento, di cui 281 di compostaggio e 58 integrati tra digestione anaerobica e compostaggio (che trattano più del 50% della frazione umida della differenziata). In particolare, degli impianti di compostaggio ben 173 sono dislocati al nord, 46 al Centro e 62 tra Sud e Isole. degli impianti integrati (che quindi producono compost e biogas), invece, 47 si trovano a nord, 4 al Centro e 7 tra Sud e Isole. <<La geografica degli impianti rappresenta una criticità del sistema - afferma Centemero - che costringe il Centro e il Sud Italia a trasferire i propri rifiuti organici in altre regioni, con enorme diseconomicità.

Finora il sistema ha retto, ma solo perché non ci sono state emergenze>>. Secondo le stime del CIC, dai rifiuti organici raccolti sono stati prodotti 2,04 mln di ton di compost, che hanno contribuito a stoccare nel terreno 600.000 ton di sostanza organica, e 312 mln di nmc di biogas, corrispondenti a una produzione energetica di 664.000 MWh. grazie a uno schema di incentivi a favore della produzione di biocarburanti, la tendenza, in forte consolidamento a partire dal 2018, è quella che fa seguire alla produzione di biogas un processo di upgrading a biometano. Il trend in corso è infatti il seguen-

RICICLo dEgLI PnEuMAtICI

Il trituratore TX1600 recenti proposte da Forrec, nato proprio con l’obiettivo di rispondere alle richieste specifiche del mer-

cato, senza trascurare la produttività, che non deve mai scendere sotto le 5 t/ora affinché il tratta-

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te: nel 2018 gli impianti attivi erano 6 con 86 mln di mc/anno di biometano prodotto, nel 2019 il CIC ne stima 9 con 104 mln di mc e si prevede al termine del 2020 che 13 impianti possano produrre circa 200 mln di mc/anno di biometano. La filiera del rifiuto organico coinvolge numerose attività e ha dunque importanti ricadute economiche e occupazionali. Secondo le proiezioni del CIC, il volume d’affari generato nel 2018 è stato pari a 1,9 mld di euro di fatturato e 10.620 posti di lavoro. Con una raccolta differenziata a regime in tutta Italia, il Consorzio prevede che si potrebbe arrivare a 13.000 addetti e 2,5 mld di euro. mento sia economicamente sostenibile. La vera novità, però, è che il trituratore è dotato di lame speciali “taglio pulito” per ovviare alla problematica di sfilacciamento del filo d’acciaio contenuto nella gomma dello pneumatico. grazie a questo speciale bi-albero, infatti, il prodotto derivato dalla triturazione ha una qualità tale da essere richiesto in grandi quantità dai cementifici come combustibile, il così detto tdF “tyres derived fuel”. Forrec ha già fornito un impianto con la nuova tecnologia a un cliente negli Emirati Arabi uniti che cercava una soluzione efficace per questa specifica esigenza. Anche se in molte aree geografiche il problema dello smaltimento dei pneumatici si dimostra essere ancora uno scoglio difficile da superare, Forrec ha dimostrato che le soluzioni si possono trovare e applicare con successo.


La competitività passa anche dai rifiuti Made in Italy?

Con la ripresa delle attività produttive si ripresentano i ben noti problemi relativi allo smaltimento dei rifiuti industriali, tra cui la carenza di impianti di trattamento adeguati Il rifiuto come parte integrante del ciclo produttivo. un concetto che immaginiamo ormai assodato e interiorizzato in un’economia che vorrebbe – o dovrebbe – tendere alla circolarità, all’efficienza e dunque a una gestione integrata di ogni fase. E non solo dalle aziende che sanno di non potersi più semplicemente “disfare di qualcosa” quale scarto del loro lavoro, ma anche dalle istituzioni, locali e nazionali, che sono chiamate a gestire, organizzare e regolare questo sistema. Eppure, a livello italiano, ciò che sembra scontato non lo è affatto, considerando l’evidente carenza di impianti adeguati a smaltire e valorizzare i rifiuti industriali. un deficit infrastrutturale, per numero e tecnologie, doppiamente gravoso: primo per le imprese italiane che, costrette a pagare più denaro, perdono inevitabilmente in competitività; secondo per i cittadini e le comunità, che devono ciclicamente affrontare emergenze rifiuti; terzo per tutto il sistema Italia, che ancora una volta ne esce indebolito. Partiamo da una recente indagine promossa da Confindustria Veneto e realizzata da Fondazione nord Est. Il 60% dei quasi 500 imprenditori intervistati ammette difficoltà nel ritiro e nello smaltimento dei suoi rifiuti industriali. non solo. Se l’80% dice di aver registrato costi più alti, il 26% denuncia un aumento medio superiore al 25%. di chi parliamo? di aziende operanti in settori strate-

gici per il sistema produttivo (in questo caso veneto), ma che più in generale fanno parte di quello straordinario sistema che è la manifattura italiana, con le sue declinazioni, dal meccanico-metallurgico al chimico/farmaceutico, dalla gomma-plastica al vetro-ceramica, per arrivare al legno-arredo, al tessile-calzaturiero e, infine, al cartario. E la manifattura italiana insieme al settore delle costruzioni produce oltre il 60% del totale dei rifiuti speciali e il 27% (circa 39 milioni di tonnellate) di scarti che possono trovare spazio praticamente solo in discarica o nell’incenerimento (quelli contraddistinti dal Codice EER 19). In assenza di un piano infrastrutturale adatto alla necessità di smaltimento, non vi sono molte alternative. Per i rifiuti non riciclabili la destinazione è solo la discarica, ma in questo clima non sorprende il fiorire di attività ille-

gali legate alle cosiddette ecomafie, come sta accadendo con i capannoni stipati di scarti dati alle fiamme. I termovalorizzatori italiani, pochi per numero e tecnologicamente arretrati, sono un esempio di questo sistema inefficiente, per nulla sostenibile e, in molti casi, irresponsabile. oggi i 39 impianti operativi nel nostro Paese impiegano in linea di massima la tecnologia a griglia, che impedisce che si possano smaltire anche rifiuti speciali pericolosi; un problema che ricade sulle spalle delle aziende. Per essere più precisi ciò significa che in Italia sono attive solo 5 linee operative su 3 impianti che impiegano una tecnologia a tamburo rotante, cioè capace di accogliere anche i pericolosi. tradotto in numeri vuol dire che siamo in grado di processare al massimo 300.000 ton/anno di rifiuti pericolosi, mentre il resto deve andare

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necessariamente all’estero (Francia, germania, Paesi Bassi o Spagna). La soluzione più lineare? Costruire più impianti per venire incontro alle esigenze della produzione e dei territori. una risposta solo in apparenza “semplice” che si è scontrata con due fattori, purtroppo determinanti: l’opposizione di parte dell’opinione pubblica alla realizzazione di impianti e regolamentazioni talmente restrittive che ne ostacolano la costruzione. ogni iniziativa economica si trasforma in un percorso a ostacoli senza scampo, che lascia sul campo centinaia di migliaia di tonnellate di scarti, inevitabilmente destinate a percorrere migliaia di chilometri per trovare spazio. una spirale perversa che impedisce un vero ciclo integrato e industrializzato dei rifiuti, in contrasto a tutti gli effetti con gli indirizzi dell’uE. Inevitabile, in tutto questo, un aumento dei costi per le aziende che si trovano penalizzate per questa carenza infrastrutturale perché costrette a sborsare cifre anche due o tre volte superiori a quelle di qualche anno prima. un esempio riguarda i cosiddetti “fanghi” prodotti dai vari processi di trattamento: nel giro di breve tempo si è passati da un costo di 80 euro/ton a oltre 200 euro/ton. Benché più modesto, si segnala un aumento del 5-10% del costo per lo smaltimento di quei rifiuti speciali assimilati agli urbani (e quindi coperti dalla tARI).


In ogni caso, per i grossi player del settore l’aumento dei costi può essere quantificato in almeno il 50% rispetto al passato. Quali elementi rendono un determinato territorio attrattivo per le imprese? Sicuramente le infrastrutture per i trasporti e i servizi a rete, ma in effetti lo sono anche la presenza di impianti per lo smaltimento dei rifiuti. non a caso la mappa dell’Istat sugli insediamenti produttivi coincide alla perfezione con la mappa dell’Ispra sull’impiantistica a servizio dei rifiuti. ne è una prova il Sud d’Italia, in cui la totale mancanza di risposte in tal senso porta a una fuga degli investimenti e a una conseguente desertificazione produttiva. C’è di più: se, da un lato, la presenza di impianti di gestione/trattamento è indice di un tessuto produttivo più radicato, è vero pure il contrario, cioè che la possibilità di gestione efficiente degli scarti produce esternalità positive che sono da incentivo all’insediamento di nuove aziende, quindi di investimenti. La condizione critica dei distretti produttivi è il segno inequivoca-

bile di una situazione che richiede interventi urgenti. Mancanza di impianti, confusione normativa (soprattutto sui processi di end of waste e in genere autorizzativi) e le dinamiche internazionali che hanno visto la chiusura dei mercati asiatici (fino a un recente passato destinatari a pagamento dei nostri rifiuti), stanno favorendo solo il trasporto e i fornitori di carbu-

ranti fossili, i broker e in ultima analisi il malaffare. E non solo. Questi fattori stanno penalizzando fortemente la competitività delle aziende sui mercati internazionali e nuocendo al Made in Italy, tanto spesso promosso e difeso a parole e quanto poco con i fatti. In precedenza, abbiamo parlato di importanti rincari, addirittura di

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due o tre volte in poco tempo. Per capire l’impatto sui singoli comparti facciamo l’esempio di distretti produttivi in Emilia-Romagna e in toscana. In Emilia Romagna, gli aumenti dei costi oscillano per i rifiuti speciali non pericolosi dai 150 euro/ton del 2017 ai 200-220 euro/ton del 2019; per i pericolosi, invece, si è trattato della triplicazione dei costi, raggiungendo vette di oltre 600 euro/ton. gli operatori emiliano-romagnoli sottolineano che inizialmente le aziende hanno fatto ricorso al deposito temporaneo, con i relativi rischi di incappare in sanzioni amministrative e penali, ma questo a un certo punto non è stato più sufficiente. La Regione è intervenuta a fine 2018 autorizzando un’estensione del 3% per gli stoccaggi degli operatori. un modo per prendere tempo. Il territorio che ha sofferto di più è quello di Reggio Emilia e del basso modenese, cioè il distretto del tessile di Carpi e quello biomedicale di Mirandola. Rischio collasso, a breve termine, Continua a pag. 20


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La competitività passa anche dai rifiuti anche in toscana, che secondo i vertici delle principali società di gestione dei rifiuti sarà costretta ad ampliare le discariche già esistenti se non vuole portare fuori dai confini regionali gli scarti e rinunciare alla sua quasi autosufficienza. Per quanto riguarda invece i rifiuti speciali, il pacchetto base medio di smaltimento è passato da 70 a 120 euro/ton, un aumento di oltre il 70%. Secondo la rappre-

sentanza delle imprese locali sono particolarmente a rischio importanti distretti dell’area Lucca-Pistoia-Prato, come il cartario e il tessile: complessivamente si producono circa 330.000 ton/anno di rifiuti speciali, tra scarti di produzione e fanghi di depurazione. Le stime sugli aumenti di costi per i conferimenti agli impianti delle singole filiere sono notevoli: per esempio, risultano triplicati negli ultimi due anni i costi per le cartiere. Con impianti di termovalorizzazione in chiusura o con l’iter autorizzatorio bloccato e progetti di ampliamento di discariche anch’essi bloccati, il futuro per i di-

stretti economici toscani appare poco roseo. Alla fine dei conti rimangono per terra centinaia di migliaia di tonnellate di frazioni indifferenziate che devono andare fuori Regione o addirittura all’estero, mancando impianti di valorizzazione energetica e persino discariche a disposizione. Come emerge dai calcoli degli operatori economici ascoltati, complessivamente esiste un fabbisogno non soddisfatto di almeno: 75.000 ton nel tessile, 250.000 ton per le cartiere, 100.000 ton per le concerie, oltre a rifiuti misti vari. La gestione corretta dei rifiuti significa gestione corretta delle ri-

IN ITALIA MANCANO GLI IMPIANTI Questo, secondo lo studio, impedirà all'Italia di raggiungere gli obiettivi di recupero energetico fissati dalla uE. Il contesto di incertezza politica e normativa che condiziona il settore si riflette sul numero di operazioni straordinarie realizzate. Le iniziative mappate per il 2018 sono state 23, in netto calo rispetto alle 28 del 2017 e alle 45 del 2016: in due anni in pratica si sono dimezzate. nonostante ciò, il valore della produzione dei 124 maggiori operatori della raccolta e trattamento dei rifiuti urbani è cresciuto nel 2018 del 4,9%, raggiungendo i 9,18 miliardi di euro. nel 2018 i loro investimenti hanno raggiunto i 477,5 milioni di euro, in aumento del 17,4% rispetto al 2017.

sorse e innovazione dei processi produttivi, prima ancora che dei modelli di consumo, anch’essi di importanza strategica. È fuor di dubbio che lo stato di salute dell’economia italiana passa dalla piccola e media impresa e dal funzionamento dei modelli distrettuali. non a caso, secondo le stime della Fondazione per lo sviluppo sostenibile circa l’80% dell’impatto ambientale del settore industriale in Italia sarebbe da ascrivere alle attività delle PMI. Cosa fare dunque? Chiudere il cerchio, per usare il titolo del piano rifiuti proposto dalla Commissione Europea. E una strategia che conduce a una società del riciclo, è inevitabile che passi da un adeguato numero di impianti destinati al trattamento e alla valorizzazione dei rifiuti e da rinnovate sinergie industriali e buone policy. “Chiudere il cerchio” significa pianificare e costruire un ciclo integrato e ben governato dei rifiuti. I benefici saranno di natura ambientale ed economica, secondo una distinzione tra i due termini che man mano andrà ad assottigliarsi fino a scomparire. Fino a quando il tema della gestione dei rifiuti sarà confinato, genericamente, tra i bilanci di sostenibilità e tra i temi esclusivamente ambientali, e non come una cruciale questione economica e di competitività, si rimarrà lontani dall’offrire risposte davvero convincenti. Donato Berardi e Antonio Pergolizzi del Laboratorio Ref Ricerche

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tecnologia Raffrescare e riscaldare gli ambienti in cui viviamo o lavoriamo è un’esigenza comune nella maggior parte delle aree abitate. In Europa, l’energia consumata per la climatizzazione è già in aumento, ma l’innalzamento delle temperature in diverse regioni del mondo fa prevedere un possibile aggravarsi di questa esigenza. Per soddisfare il bisogno di raffrescamento degli edifici durante la stagione estiva, la tecnologia più diffusa a livello domestico e industriale è il classico condizionatore, che spesso impiega fluidi refrigeranti ad alto impatto ambientale e richiede inoltre un elevato fabbisogno di elettricità. Come ridurre, quindi, l’impatto energetico del raffrescamento degli edifici? una proposta arriva da un team del Politecnico di torino e dell’Istituto nazionale di Ricerca Metrologica (InRiM), che ha studiato un dispositivo capace di generare un effetto di raffrescamento senza l’utilizzo di energia elettrica. Come nei dispositivi tradizionali, anche questa nuova tecnologia diminuisce la temperatura di un ambiente sfruttando l’evaporazione di un liquido. tuttavia, la chiave della nuova soluzione proposta dai ricercatori torinesi è quella di usare semplice acqua e comune sale invece di composti chimici potenzialmente dannosi per l’ambiente. L’impatto ambientale del nuovo dispositivo è inoltre ridotto perché basato su fenomeni passivi, ossia processi spontanei come la capillarità o l’evaporazione, invece che su pompe e compressori che necessitano di energia e manutenzione. <<Far evaporare acqua per ottenere una sensazione di fresco è una soluzione nota da millenni - spiega Matteo Alberghini, dottorando del dipartimento Energia del Politecnico di torino – e la nostra idea permette di ingegnerizzare questa tecnologia, massimizzandone l’effetto e rendendola possibile in qualsiasi condizione ambientale. Anziché essere esposta all’aria, l’acqua pura bagna una membrana impermeabile che la separa da una soluzione di acqua e sale ad alta concentrazione. La membrana può essere immaginata come un setaccio con maglie grandi un milionesimo di metro: grazie alle sue proprietà idrorepellenti, questa membrana non viene attraversata dall’acqua liquida ma solo dal vapore. In questo modo, l’acqua dolce e salata non si mescolano, mentre il vapore d’acqua è libero di passare da una parte all’al-

Il sole per produrre il freddo Dal Politecnico di Torino

una tecnologia per raffrescare gli ambienti senza l’utilizzo di energia elettrica, ma sfruttando direttamente la radiazione solare

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tra della membrana. In particolare, la differente salinità nei due liquidi consente all’acqua pura di evaporare più velocemente di quella salata. Questo meccanismo raffredda l’acqua pura, e può essere amplificato grazie alla presenza di diversi stadi evaporativi. L’acqua salata tenderà gradualmente a “raddolcirsi” nel tempo e dunque l’effetto raffrescante ad attenuarsi; tuttavia, la differenza di salinità tra le due soluzioni può essere continuamente, e in modo sostenibile, ristabilita tramite l’energia solare>>. La caratteristica vincente del dispositivo ideato al Politecnico di torino risiede nella sua progettazione: queste unità refrigeranti, spesse qualche centimetro ciascuna, possono funzionare autonomamente oppure essere disposte in serie, come accade con le comuni batterie, impilandole per aumentare l’effetto di raffrescamento. In questo modo è possibile calibrarne la potenza in base alle singole esigenze, raggiungendo capacità di raffrescamento confrontabili a quelle tipicamente necessarie per gli usi domestici. Inoltre, l’acqua non ha bisogno di pompe per essere movimentata all’interno del dispositivo, ma si

“sposta” in modo spontaneo grazie all’effetto capillare di alcuni componenti che, così come la carta da cucina, sono capaci di assorbire e trasportare l’acqua anche contro la forza di gravità. <<Anche altre strategie per il raffrescamento passivo sono in fase di sperimentazione in diversi centri di ricerca mondiali, ad esempio quelle basate sulla dispersione di calore per effetto radiativo. Il raffrescamento radiativo, seppur promettente e adatto ad alcune applicazioni, presenta però due grossi limiti –

chiarisce Alberghini - innanzitutto il principio su cui si basa è inefficace in climi tropicali e in generale nelle giornate molto umide, quando peraltro il bisogno di condizionamento sarebbe maggiore; inoltre il limite teorico della potenza di raffrescamento che può fornire è piuttosto ridotto. Il nostro prototipo passivo, basato invece sul raffrescamento evaporativo tra due soluzioni acquose a diverse salinità, potrebbe superare questo limite, realizzando un effetto utile indipendente dall’umidità esterna. Per di più, potrem-

mo ottenere in futuro una capacità di raffrescamento anche più elevata aumentando la concentrazione della soluzione salina oppure ricorrendo ad un design modulare più spinto del dispositivo>>. Il potenziale basso costo di produzione, appena qualche euro per ciascuno stadio – e la semplicità dell’assemblaggio renderebbero il dispositivo ideale per essere installato in zone rurali, dove la scarsa presenza di tecnici specializzati può rendere difficoltosa l’installazione e la manutenzione dei sistemi tradizionali. Interessanti ricadute potrebbero anche aversi in regioni ricche di acque ad alta concentrazione salina, come ad esempio quelle costiere, nelle vicinanze di grossi impianti di dissalazione oppure in prossimità di saline. Ad ora, la tecnologia non è ancora pronta per una immediata commercializzazione, tuttavia ulteriori sviluppi (anche soggetti a futuri possibili finanziamenti o collaborazioni industriali) sono possibili. In prospettiva, tale tecnologia potrebbe affiancare gli impianti già esistenti alleggerendo il loro carico di lavoro e, così ridurre il consumo energetico a parità di effetto raffrescante.

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GREEN ECONOMY Tetra Pak: obiettivo zero gas serra Emissioni nette

La società annuncia l'impegno a eliminare le emissioni climalteranti nelle proprie attività entro il 2030 tetra Pak conferma la sua priorità strategica nel guidare la trasformazione sostenibile con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette di gas serra (gHg) lungo la catena di valore entro il 2050, supportando questo progetto con un obiettivo intermedio al 2030 per le proprie attività. La società stabilirà inoltre obiettivi di riduzione delle emissioni per contribuire a limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. L’azienda è stata fondata sull'idea che una confezione dovrebbe far risparmiare più del suo costo, con un orientamento alla sostenibilità sempre al centro dell’operato aziendale. dal 1999, raccoglie ogni anno dati sull'uso di energia e sulle emissioni di gas serra da tutta l'organizzazione, con i suoi resoconti gHg controllati da una terza parte indipendente dal 2013. <<Fin dal 2002, abbiamo costantemente raggiunto i nostri obiettivi climatici - dichiara Lars Holmquist, vice presidente esecutivo Packaging Solutions e Attività Commerciali di tetra Pak – e lo abbiamo fatto nuovamente nel 2005 e siamo sulla buona strada per raggiungere il nostro obiettivo 2020. nel 2017, siamo stati la prima azienda nel settore alimentare e delle bevande ad avere avuto l’approvazione da SBt per i nostri obiettivi di riduzione

Lars Holmquist, vice presidente esecutivo Packaging Solutions e Attività Commerciali di Tetra Pak Hi-Tech Ambiente

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dell'impatto climatico. Più di recente, abbiamo aderito all'Alleanza europea per il recupero verde, il primo appello paneuropeo per la mobilitazione su soluzioni di investimento verde post-crisi. oggi stiamo fissando nuovi e ambiziosi obiettivi per il raggiungimento di zero emissioni nette, obiettivi che guideranno la trasformazione in tutto il nostro settore e nell'intera catena di valore>>. Per raggiungere gli obiettivi che si è prefissata, tetra Pak si concentrerà su quattro aree chiave: - riduzione delle emissioni legate all’ambito energetico attraverso il risparmio di energia, miglioramento dell'efficienza, installazione di impianti solari fotovoltaici in loco (solare fotovoltaico) e acquisto di energia rinnovabile. dal 2011 tetra Pak ha investito oltre 16 milioni di euro in efficienza energetica, evitando così un aumento del 23% del consumo di energia. A oggi l'azienda ha installato circa 2,7 MW di fotovoltaico solare (o circa 8.000 pannelli), offrendo elettricità a basse emissioni di carbonio e risparmiando costi operativi. Membro dell'iniziativa RE100, tetra Pak è passata dal 20% di utilizzo di energia elettrica rinnovabile nel 2014 al 69% nel 2019 e sta per raggiungere l'obiettivo 2020 dell'80%. Questo


percorso ha previsto anche l'installazione di pannelli solari nelle sue attività e l'acquisto di certificati rinnovabili, una delle prime realtà a farlo in paesi come thailandia e Sudafrica - collaborazione con fornitori e altri soggetti lungo la catena di valore per ridurre significativamente l'impronta di carbonio. tetra Pak sta collaborando con i fornitori per ridurre le emissioni di carbonio a monte, con l’individuazione di obiettivi ambiziosi per le energie rinnovabili e l'aumento dell'uso di materiali rinnovabili e riciclati, fondamentali per rendere possibile un'economia circolare a basse emissioni di carbonio - accelerazione dello sviluppo del portfolio a basse emissioni di carbonio per imballaggi e apparecchiature e supporto ai clienti nel raggiungimento di propri obiettivi di riduzione delle emissioni. un passo in avanti nei livelli di investimento in innovazione sostenibile che sta portando l'azienda a realizzare le sue ambizioni di una confezione completamente riciclabile, realizzata esclusivamente con materiali rinnovabili o riciclati, e a offrire linee di lavorazione e confezionamento con impatto ambientale minimo. Sviluppo di catene di valore di riciclo sostenibile grazie alla collabora-

zione con clienti, società di gestione dei rifiuti, comuni, associazioni di settore e fornitori di attrezzature. Per tetra Pak tutti i cartoni per bevande possono essere raccolti per il riciclo e nessun cartone per bevande deve diventare rifiuto o essere avviato in discarica.

<<dieci anni fa abbiamo fissato un obiettivo 2020 sul clima per limitare il nostro impatto attraverso la catena di valore ai livelli del 2010, facendo crescere il business – chiarisce Holmquist – e questo ci ha aiutato a risparmiare fino a oggi 12 mln di ton di emissioni di gas serra.

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Riteniamo che la nostra capacità di fissare e compiere progressi in linea con le aspettative scientifiche e sociali, la nostra spinta all'innovazione e l'approccio collaborativo lungo la catena di valore ci abbiano messo sulla strada giusta per raggiungere i nostri nuovi obiettivi>>.


L’impatto ambientale da ridurre Cartiere Iggesund

L’esempio di un importante gruppo nel diminuire il consumo energetico e idrico e le emissioni, soprattutto quelle dovute al trasporto negli ultimi 60 anni requisiti normativi specifici hanno regolamentato il rispetto e la tutela ambientale nel processo industriale. oggi sono invece le imprese titolari di marchi che con le loro competenze green hanno assunto un ruolo chiave, esigendo dai fornitori una profonda attenzione alle tematiche sostenibili. <<L’attenzione è chiaramente focalizzata su ambiente e sostenibilità e rimarrà tale anche in futuro. Abbiamo notato come l’interesse e la competenza dei nostri clienti in questi settori sia in costante aumento,” spiega Johan granås, sustainability director di Iggesund Paperboard, riassumendo il lavoro dell’azienda sul tema sostenibilità - ed è per questo che mi riempie di orgoglio comunicare come Iggesund abbia compiuto importanti passi avanti in questa direzione>>. Iggesund Paperboard è parte del gruppo forestale svedese Holmen, una delle cento società al mondo più sostenibili, inclusa nello united nations global Compact Index. A partire dal 2010 Iggesund ha investito più di 380 milioni di euro per migliorare la sua efficienza energetica e per ridurre le emissioni di gas serra dalla sua produzione. Iggesund ed il gruppo Holmen comunicano le loro emissioni di gas serra al Carbon disclosure Project (CdP). I dati ambientali sono parte integrale di un rapporto annuale che si posiziona ai vertici del reporting di sostenibilità del global

Reporting Initiative (gRI). Iggesund produce cartoncino in due stabilimenti, uno in Svezia e uno in Inghilterra. Entrambe le cartiere riferiscono importanti progressi nella riduzione del proprio impatto ambientale e del consumo idrico, nonché un impegno concreto e costante per garantire sicurezza e salute sul lavoro. Per far fronte ai cambiamenti climatici, a partire dal 2012 Iggesund Paperboard ha trasformato il proprio sistema energetico, passando dall’utilizzo di combustibili fossili all’uso di biomasse. tale passaggio ha fatto si che nel 2019

la cartiera sia stata in grado di alimentarsi al 90% con sola bioenergia. Le emissioni di Co 2 fossile derivate dalla produzione del cartoncino si sono così radicalmente ridotte. <<Il nostro obiettivo a lungo termine - aggiunge granås - è quello di liberarci in modo definitivo dall’uso di energia di origine fossile, e molta strada è già stata fatta>>. nel 2019 lo stabilimento di Iggesund ha ridotto il proprio consumo energetico di circa 90 gWh, consumo equivalente a quello di 3.500 villette unifamiliari svedesi. Il cartoncino viene prodotto utiliz-

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zando il 98.6% di bioenergia, con una conseguente significativa riduzione di emissioni di anidride carbonica. tutto ciò dimostra come tecnologia, macchinari e apparecchiature rappresentino un solo tassello del mosaico. Ed è per questo che lo stabilimento di Iggesund si è impegnato a sensibilizzare i propri operatori energetici, evidenziando quanto alcune delle loro scelte siano in grado di contrastare i cambiamenti climatici, e incoraggiandoli a includere tali aspetti nei propri obiettivi aziendali. E i risultati si stanno vedendo. <<da sempre rimarchiamo come


il cartoncino sia un prodotto dell’uomo e non delle macchine spiega granås - e manteniamo lo stesso approccio sul tema delle emissioni dei gas serra. Siamo orgogliosi dell’impegno che il nostro personale sta dimostrando per le problematiche ambientali! Abbiamo organizzato programmi di sensibilizzazione e, sicuramente, la controversia sul riscaldamento globale di questi ultimi anni ha contribuito a focalizzare la loro attenzione su queste delicate tematiche. Ma nonostante siano stati fatti grandi passi avanti e la strada verso l’obiettivo emissioni zero sia sempre più in salita a mano a mano che ci si avvicina al traguardo, per noi rimane un’unica via da percorrere, dritta alla meta>>. non è la sola produzione del cartoncino ad avere un forte impatto sull’ambiente e sul clima. Iggesund Paperboard ha infatti concentrato la propria attenzione sulla sostenibilità dei trasporti. Se paragonata all’industria della carta e del cartone nel suo complesso, la produzione dei cartoncini ha un’impronta di carbonio relativamente bassa. È il trasporto del prodotto finito al cliente a gravare sulla quantità di emissioni rilasciate nell’ambiente. I clienti asiatici e americani si domandano come la spedizione di cartoncino dalla Svezia al giappone o agli usa possa essere una dopo un’attenta analisi e comparazione, sono stati calcolati i dati relativi ai consumi energetici che natura nuova, l’azienda specializzata nella produzione di polpe e frullati di frutta e nei prodotti a base di proteine vegetali, destina annualmente per alimentare i propri impianti. ne emerge un quadro in linea con i principi che hanno da sempre animato l’azienda, che del rispetto per l’ambiente e sostenibilità ne ha fatto una scelta culturale, oltre che imprenditoriale: dal 2017 al 2018 il consumo energetico complessivo è sceso, infatti, dell’8%. Ma non è tutto: la produzione da energie rinnovabili (fotovoltaico e cogenerazione) è aumentata del 14% portando così l’autoconsumo di energia a un +11% e la riduzione di quella acquistata a -12%. «L’attenzione per l’ambiente è

buona scelta in termini di politica climatica. <<I nostri calcoli dimostrano come questa sia la situazione attuale, ma se altre cartiere stanno concentrando i loro sforzi per passare ad un maggiore utilizzo di bioenergia - continua granås - il nostro obiettivo è invece quello di ridurre le emissioni generate dal trasporto del prodotto finito, così da mantenere il nostro vantaggio competitivo. E Iggesund sta lavo-

rando a stretto contatto con i suoi fornitori di servizi logistici per trovare soluzioni alternative a basso impatto ambientale>>. Per ridurre il loro consumo di acqua, entrambi gli stabilimenti hanno dato vita a progetti di grande portata. L’anno scorso il sito svedese della cartiera ha abbassato il consumo idrico del 10%, ma l’azienda è ancora lontana dall’essere soddisfatta del proprio risultato. L’azienda intende ridurlo ulterior-

mente. difatti, in le entrambe le cartiere Iggesund stanno adottando misure efficaci anche in questo campo, prevedendo di ridurre significativamente i consumi per tutto il 2020. <<Continueremo a lavorare con attenzione alle tematiche ambientali coinvolte nel nostro settore promette granås - per poter soddisfare le richieste sempre più pressanti di politica ambientale del mercato>>.

nAtuRA nuoVA

Risparmio energetico da record uno dei nostri punti di forza – sottolinea gabriele Longanesi, fondatore di natura nuova – infatti, disponiamo di tre impianti fotovoltaici che forniscono il 50% del fabbisogno energetico e un cogeneratore che fornisce il 30% della restante energia. Inoltre, gli scarti di produzione, ossia bucce di mele e scarti di tofu, diventano alimentazione per i biodigestori, mentre i materiali di imballo utilizzati sono certificati FSC, dunque riciclabili e sostenibili. difendiamo la nostra terra attraverso delle scelte concrete, riducendo al massimo l’impatto ambientale, per il benessere e il futuro di tutti».

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LE AZIENDE CITATE Alstom Italia Spa tel 3401764726 E-mail manuela.bozzolan@alstomgroup.com

Politecnico di Torino tel 011.0904557 E-mail eliodoro.chiavazzo@polito.it

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