Appunti Matematici 04

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

Evariste Galois Bourg-la-Reine 25.10.1811 - Parigi 31.05.1832

numero 4 - aprile 2015



INDICE

IN QUESTO NUMERO

RUBRICHE PILLOLE MATEMATICHE

Gli sviluppi del calcolo differenziale I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO

Evariste Galois

L’ANGOLO DEL FISICO LE FUNZIONI VETTORIALI E GLI SVILUPPI DELLA MECCANICA CLASSICA

DIAMO I NUMERI LE PROPRIETÀ DI N E DI Q E LA SCOPERTA DEGLI IRRAZIONALI


IN QUESTO NUMERO

Questo quarto numero nella rubrica PILLOLE MATEMATICHE contiene gli sviluppi del calcolo differenziale. A questo punto è possibile studiare le funzioni matematiche in modo completo. Anche in questa occasione sono stati inseriti esercizi applicativi abbastanza semplici. Ciò consentirĂ di passare nella prossima occasione allo studio del calcolo integrale, ovvero allo studio, ovvero alla determinazione – in questo senso era nato – dell’area sottesa da una f, come avremo modo di vedere. Ma ho deciso di dedicare le mie riflessioni al calcolo integrale solo dopo una PILLOLA MATEMATICA interlocutoria, quella di maggio, in cui introdurrò una ampia gamma di strumenti algebrici e geometrici, quali gli spazi di matrici, sicuramente utili e le prime fondamentali nozioni di algebra lineare, tra le quali quella di spazio vettoriale (appena abbozzata nell’ANGOLO DEL FISICO nei mesi scorsi).

Nella rubrica I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO ricorderò brevemente il giovane francese Evariste Galois nei suoi contributi alla teoria algebrica a partire dal concetto di struttura e alla risoluzione delle equazioni algebriche.

L’ANGOLO DEL FISICO di questo mese rappresenta l’affinamento della meccanica classica uscendo dall’astrazione del moto e della fisica in �1 per giungere al piÚ naturale � 3 . Questo avverrà senza una pretesa di esaustività in quanto se le tecniche di derivazione sono note al lettore quelle di integrazione (o di antiderivazione) non lo sono. Ho deciso di utilizzare le funzioni vettoriali. Ho deciso poi di introdurre una dimostrazione di un problema di fisica della SNS che risolsi lo scorso anno nel tempo libero. L’ho trovato utile per ripassare‌ Si tratta sempre di utili cimenti!


PILLOLE MATEMATICHE Gli sviluppi del calcolo differenziale

1. ConvessitĂ e concavitĂ di funzioni di una variabile reale Pur esistendo una definizione rigorosa di convessitĂ e di concavitĂ di funzioni di una variabile reale è sufficiente per queste note ricordare il criterio della derivata seconda, per il quale data una f: I â&#x;ś R, una f è detta convessa se ∀x: x ∈ I ⊆ R si ha f’’(x) ≼ 0. La condizione di concavitĂ si ha per f’’(x) ≤ 0. Per una trattazione rigorosa si rimanda a Soardi, Analisi matematica, CittĂ Studi.

2. Punti di interflessione I punti di flesso (detti anche di interflessione) sono ben rappresentati nelle figure a fianco. Anche in questo caso alla definizione formale rigorosa, che pure esiste, si ritiene opportuno fornire il criterio della derivata seconda per il quale se è data una f ove si consideri l’intervallo simmetrico di centro đ?‘Ľ0 e di raggio δ, ovvero l’insieme (đ?‘Ľ0 – δ , đ?‘Ľ0 + δ) se f’’(đ?‘Ľ0 ) = 0 il punto (đ?‘Ľ0 , f(đ?‘Ľ0 )) è di flesso quando per x≠đ?‘Ľ0 il segno della derivata seconda non è dello stesso segno nei due intervalli asimmetrici (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ľ0 + δ) e (đ?‘Ľ0 – δ , đ?‘Ľ0 ), risultando comunque f’’(x) ≠0.


3.Teoremi di De L’Hospital-Bernoulli per le forme indeterminate Molte volte i teoremi sui limiti conducono a forme indeterminate di limite del tipo ∞/∞ oppure del tipo 0/0. In questi casi sovviene un teorema detto di De l’Hospital-Bernoulli per il quale se sono assegnate due funzioni f e g (a, b) â&#x;ś R. Esse devono essere derivabili in (a, b) con a ≤ - ∞ e b ≤ + ∞. Quando f(x)/g(x) =

∞ ∞

oppure 0/0 per x â&#x;śđ?‘Ž+ oppure per xâ&#x;ś đ?‘? − Si determinano i limiti di f(x)/g(x)

per x â&#x;śđ?‘Ž+ oppure per xâ&#x;ś đ?‘? − . Se tale limite esiste ed è finito, ovvero âˆŁuâˆŁ <∞ đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘Ž si ammette che tale limite sia eguale al limite di f(x)/g(x) per x â&#x;śđ?‘Ž+ oppure per xâ&#x;ś đ?‘? − .

3.1 Qualche semplice applicazione dei teoremi di De L’Hopital Ho tratto dai piÚ semplici esercizi proposti dal Demidovic (Esercizi e problemi di analisi matematica) i seguenti. lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

đ?‘Ľ cos(đ?‘Ľ)− sin(đ?‘Ľ) đ?‘Ľ3 0 0

Ăˆ immediato osservare che si tratta di una forma indeterminata del tipo . Ăˆ la x che precede cos(x) che complica tutto‌. Ricorrendo le condizioni del teorema di de l’Hospital è possibile calcolare le derivate prime del numeratore e del denominatore, avendo , rispettivamente đ??ˇđ?‘Ľ = đ?‘Ľ cos(đ?‘Ľ) − sin(đ?‘Ľ) = (1)cos(x) + x(-sin(x)) – cos(x) =– x(sin(x)). Per il denominatore si ha đ??ˇđ?‘Ľ = đ?‘Ľ 3 = 3(đ?‘Ľ 2 ). A questo punto possiamo scrivere

lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

đ?‘Ľ cos(đ?‘Ľ)− sin(đ?‘Ľ) đ?‘Ľ3

= lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

− đ?‘Ľ sin(đ?‘Ľ) 3 đ?‘Ľ2

= lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

− sin(đ?‘Ľ) 3đ?‘Ľ

= -1/3( lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

sin(đ?‘Ľ) ) đ?‘Ľ

1

1

= - 3 *1 = - 3 .

Vorrei notare che in questi ultimi passaggi ho potuto dividere per x ≠0 e quindi trovare un risultato essendo noto un limite fondamentale, ovvero lim

đ?‘Ľ â&#x;ś0

Vorrei considerare questo secondo esempio. lim del tipo

∞ ∞

sin(đ?‘Ľ) = đ?‘Ľ ln(đ?‘Ľ) 3

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞ √đ?‘Ľ

1.

. Trattasi banalmente di una forma indefinita

Ricorrono le condizioni del t. di De l’Hospital e si ha đ??ˇđ?‘Ľ = ln(x) = 1/x. per il denominatore si 1

1

ha đ??ˇđ?‘Ľ √đ?‘Ľ = đ??ˇđ?‘Ľ (đ?‘Ľ 1/3) = (1/3)(đ?‘Ľ 3− 1 ) = (1/3) đ?‘Ľ −2/3 = (1/3)(đ?‘Ľ)2/3 . Pertanto il limite anzidetto è eguale a 3

lim

1/đ?‘Ľ

1 đ?‘Ľâ&#x;ś+∞ 1/3(đ?‘Ľ)2/3

1

2

= 3 lim (đ?‘Ľ)1−3 = 3* 0 = 0. đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

4. Infinitesimi e ordine di infinitesimo Bisogna partire da alcune definizioni. Si dice che f è un infinitesimo per x â&#x;ś đ?‘Ľ0 se lim đ?‘“(đ?‘Ľ) = đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ľ0

0. Deve osservarsi che può capitare che x â&#x;ś đ?‘Ľ0 (anche per đ?‘Ľ0 â&#x;ś Âąâˆž) risulti lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) / đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ľ0

đ?‘”(đ?‘Ľ)) = 0. In casi del genere viene utilizzata la cosiddetta notazione di Landau, ovvero f(x) = o(g(x) per x â&#x;ś đ?‘Ľ0 .


5. Infiniti La funzione f è un infinito per x â&#x;śđ?‘Ľ0 se lim âˆŁ đ?‘“(đ?‘Ľ) âˆŁ = ∞. đ?‘Ľ â&#x;śđ?‘Ľ0

đ?‘“(đ?‘Ľ)

Se esiste una costante k ∈ đ?‘… + tale che âˆŁđ?‘”(đ?‘Ľ)âˆŁ ≤ k ∀x : x ∈(đ?‘Ľ0 – δ, đ?‘Ľ0 + đ?›ż). In đ?‘Ľ0 non deve đ?‘“(đ?‘Ľ )

necessariamente valere âˆŁđ?‘”(đ?‘Ľ0 )âˆŁ ≤ k. 0

6.Comportamento asintotico In molti casi capita che si abbia lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) /đ?‘”(đ?‘Ľ)) = 1. Quando si verifica questa evenienza si đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ľ0

dice che le due funzioni sono equivalenti e si scrive f âˆż g per đ?‘Ľ â&#x;ś đ?‘Ľ0 . Tale evenienza si può avere anche per x â&#x;ś +∞ oppure per x â&#x;ś - ∞. In questo caso le due funzioni sono dette asintotiche.

7.Derivata logaritmica Ăˆ di grande rilevanza la formula della derivata logaritmica ovvero đ??ˇđ?‘Ľ log f(x). Essa è una conseguenza del teorema della derivata di funzione composta e la formula đ??ˇđ?‘Ľ log f(x) = đ??ˇđ?‘Ľ đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘“(đ?‘Ľ)

è facilmente ottenibile ricordando che log f(x) è una funzione composta secondo lo

schema đ?‘“

log(.)

x → f(x) →

log f(x).

E noto che đ??ˇđ?‘Ľ log f(x) è il prodotto delle derivate đ??ˇđ?‘Ľ đ?‘“(đ?‘Ľ) e della derivata della funzione logaritmo, ovvero 1/ f(x). Moltiplicando dette derivate, come vuole il teorema della derivata di funzione composta si ottiene il risultato.

8.Asintoti obliqui


Questa figura evidenzia il caso degli asintoti obliqui, terza ed ultima tipologia di asintoti. Anche in questo caso si evoca il caso di avvicinamento ad una retta da parte di una f quando x â&#x;ś Âąâˆž. Se la funzione si deve avvicinare alla retta quando x â&#x;ś +∞ è đ?‘?đ?‘’đ?‘› đ?‘’đ?‘Łđ?‘–đ?‘‘đ?‘’đ?‘›đ?‘Ąđ?‘’ che la f deve essere illimitata inferiormente‌. Questo ampiamente giustifica il modo di procedere del Soardi che ricorda che evidenzia come la retta y = mx + q è un asintoto obliquo del grafico di f per x â&#x;ś −∞ đ?‘žđ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − (đ?‘šđ?‘Ľ + đ?‘ž)) = 0 dovendo essere dom f = ( -∞ , đ?‘Ž). In modo del tutto đ?‘Ľ â&#x;śâˆ’∞

analogo si riflette per l’asintoto obliquo relativamente a f per le quali dom f = (a, +∞) risultando per essa la y = mx + q un asintoto obliquo se lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − (đ?‘šđ?‘Ľ + đ?‘ž)) = 0 . đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

Vorrei osservare che in generale analoghe considerazioni possono farsi per una f tale che dom f = (−∞, +∞). In effetti è lo stesso Autore che evidenzia graficamente gli asintoti di f(x) = x arctg(đ?‘Ľ 3 ). Nel caso di funzioni pari, cioè tali che f(x) = f(-x) gli asintoti se esistono sono tali che il coefficiente angolare di essi è Âąđ?‘š . In pratica esiste un metodo che consente di determinare l’equazione della retta asintoto. Devono essere determinati due limiti. đ?‘“(đ?‘Ľ) lim đ?‘Ľ â&#x;ś+∞ đ?‘Ľ

=m

lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − đ?‘šđ?‘Ľ) = q

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

Pertanto l’equazione dell’asintoto y = mx + q. Analogamente đ?‘“(đ?‘Ľ) lim đ?‘Ľ â&#x;śâˆ’ ∞ đ?‘Ľ

= m’

lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − đ?‘šđ?‘Ľ) = q’

đ?‘Ľâ&#x;śâˆ’∞

Allora y = m’x + q’ è un asintoto di f(x) per x â&#x;ś - ∞. Nel caso di funzione pari m’ m’ e q = q’.

Una funzione dispari illimitata ammette un unico asintoto.

8.1 Esercizi sugli asintoti Gli esercizi sugli asintoti sono tratti da quelli proposti da Galligani, LaganĂ , Mazzone, in Esercitazioni di analisi matematica, Ecig, 1987. Ho risolto i seguenti esercizi.

1. y = (2x)(đ?’™ − đ?&#x;‘)−đ?&#x;? 2đ?‘Ľ

Tale funzione può essere scritta nella forma y = đ?‘Ľâˆ’3 . La funzione non è definita in đ?‘Ľ0 = 3. La đ?&#x;?đ?’™

retta x = 3 è un asintoto verticale. Calcolo i limiti di f per x â&#x;ś 3− e per x â&#x;ś3+ . đ??Ľđ??˘đ??Ś+ đ?’™âˆ’đ?&#x;‘ = đ?’™ â&#x;śđ?&#x;‘


+∞. Tale limite si giustifica anche intuitivamente in quanto nell’avvicinamento x si avvicina a 3 senza raggiungerlo da valori maggiori di 3 ma via via descrescenti. Con un ragionamento simile si evidenzia che

2đ?‘Ľ

lim− đ?‘Ľâˆ’3 = - ∞. Ăˆ immediato dimostrare che lim

đ?&#x;?đ?’™

đ?‘Ľâ&#x;śÂą đ?’™âˆ’đ?&#x;‘

đ?‘Ľ â&#x;ś3

= 2. Pertanto la

funzione ammette la retta y = 2 come asintoto orizzontale.. Essa non ammette asintoti obliqui.

2. y = x(đ?&#x;? − đ?’™đ?&#x;? )−đ?&#x;? - 8x Detta funzione può essere riscritta come

đ?‘Ľ 1− đ?‘Ľ 2

- 8x. La funzione non è definita per x = ¹1.

Pertanto dette rette sono asintoti della funzione. Per capire l’andamento della funzione in prossimitĂ dei punti di discontinuitĂ si calcolano i limiti sinistro e destro come nel caso 1). Si ha poi che lim đ?‘Ś = - ∞, mentre đ?‘Ľ â&#x;śâˆž

Calcolo

đ?‘“(đ?‘Ľ) lim = lim đ?‘Ľ â&#x;ś+∞ đ?‘Ľ đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

đ?‘Ľ 1− đ?‘Ľ2

Calcolo ora lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − đ?‘šđ?‘Ľ) = đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

− 8x

đ?‘Ľ

lim đ?‘Ś = ∞. Non esistono asintoti orizzontali.

đ?‘Ľâ&#x;śâˆ’∞

1 đ?‘Ľ â&#x;ś+∞ 1− đ?‘Ľ 2

= lim đ?‘Ľ

đ?‘Ľ

- 8x – (-8x)) = lim (1− đ?‘Ľ 2) = 0 ⌋Infatti 1− đ?‘Ľ 2

lim (

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

– 8 = 0− - 8 = - 8 = m

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

đ?‘Ľ 1− đ?‘Ľ 2

=

1 đ?‘Ľ

1 1 + đ?‘Ľ2 1

quando si è diviso numeratore e denominatore per đ?‘Ľ 2 ≠0 Applicando il limite si ha 0/1 = 0 âŚŒ. L’asintoto per đ?‘Ľ â&#x;ś +∞ è y = mx = - 8x.

3. y = đ?’™âˆ’đ?&#x;? sin(x) La funzione y = đ?‘Ľ −1 sin(x) può essere scritta come y = sinx/x. La funzione seno è una funzione limitata essendo - 1 ≤ sin(x) ≤ 1, ovvero âˆŁsin(x)âˆŁâ‰¤ 1. La funzione è definita per ogni x ≠0 e prolungabile per continuitĂ per x = 0. L’asse delle x è per essa un asintoto orizzontale come si prova calcolando il limite di detta funzione per x â&#x;ś +∞ e per x â&#x;ś - ∞.

4. y = √ đ?’™đ?&#x;? − đ?&#x;? In questo caso sarĂ bene partire dal dominio di f. Deve essere đ?‘Ľ 2 – 1 ≼ 0 â&#x;ž đ?‘Ľ 2 ≼ 1. Pertanto il dominio di detta funzione è dom f = ( − ∞ , -1âŚŒ âˆŞ ⌋ 1 , + ∞). Vorrei cominciare con la ricerca di eventuali asintoti verticali studiando due limiti. Essi sono lim √ đ?‘Ľ 2 − 1 đ?‘Ľâ&#x;ś −1

lim √ đ?‘Ľ 2 − 1 = 0 Non vi sono quindi asintoti verticali. Calcolo ora e

đ?‘Ľâ&#x;ś +1

avendosi che lim √ đ?‘Ľ 2 − 1 đ?‘Ľâ&#x;ś Âąâˆž

scrittura sono

lim √ đ?‘Ľ 2 − 1

đ?‘Ľâ&#x;ś Âąâˆž

=

=0e

lim √ đ?‘Ľ 2 − 1

đ?‘Ľâ&#x;ś Âąâˆž

2

lim (đ?‘Ľ 2 – 1) = Tali due limiti unificati in una sola √ đ?‘Ľâ&#x;ś Âąâˆž

= + ∞. La funzione è pari, infatti y = √ đ?‘Ľ 2 − 1

=y=

√ (−đ?‘Ľ)2 − 1 ∀ x ∈ dom f. PoichĂŠ il limite appena trovato non è finito la curva non ammette asintoti orizzontali.


Occorre procedere con la ricerca degli asintoti obliqui. đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘Ľ â&#x;ś+∞ đ?‘Ľ

Calcolo lim

√ đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? đ?‘Ľ đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

∞

= lim

. Si tratta di una forma indeterminata del tipo ∞. PoichĂŠ si ragiona

su quantitĂ positive in quanto đ?‘Ľ â&#x;ś +∞ è possibile considerare la quantitĂ âˆš đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? √đ?‘Ľ 2

đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;?

=√

. Pertanto

đ?‘Ľ2

√ đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? đ?‘Ľ đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

đ?&#x;?

đ?’™ −đ?&#x;? = lim √ đ?‘Ľ 2 =

lim

đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

lim

đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

√ đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? đ?‘Ľ

=

√ đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? âˆŁđ?‘ĽâˆŁ

=

2)

√1−(1/đ?‘Ľ = 1 1

m = 1, quindi l’asintoto obliquo o è la retta bisettrice del I e del III quadrante oppure una parallela. Dalla paritĂ della f(x) si ottiene che l’altro asintoto obliquo ha coefficiente angolare m’ = - 1. Calcolo ora lim (đ?‘“(đ?‘Ľ) − đ?‘šđ?‘Ľ) = đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

lim (√ đ?‘Ľ 2 − 1

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

- x). Si ottiene una forma indeterminata del √ đ?’™đ?&#x;? −đ?&#x;? đ?‘Ľ đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

tipo ∞ − ∞. PoichĂŠ i due infiniti sono dello stesso ordine in quanto lim detto limite vale lim (√ đ?‘Ľ 2 − 1

= 1 allora

- x) = 0.

đ?‘Ľâ&#x;ś+∞

Le rette y = x e y = - x sono gli asintoti obliqui per x â&#x;ś +∞ e per x â&#x;ś -∞.

5. y = âˆŁđ?’™đ?&#x;? - 4âˆŁđ?’™âˆ’đ?&#x;? (đ?’™ − đ?&#x;?)− đ?&#x;? La funzione assegnata può essere posta nella forma piĂš usuale y =

âˆŁđ?‘Ľ 2 − 4âˆŁ đ?‘Ľ(đ?‘Ľâˆ’2)

. Ăˆ bene patire dal

dominio di definizione della funzione. Esso costituito da ogni x che non annulla x(x-2), ovvero, formalmente si ha dom f = R – (âŚƒ0⌄ âˆŞ âŚƒ2⌄). Per x > 2 è lecito riscrivere la f nella forma y = âˆŁđ?‘Ľ 2 − 4âˆŁ âˆŁđ?‘Ľ 2 − 2đ?‘ĽâˆŁ

đ?‘Ľ2− 4

4

= âˆŁđ?‘Ľ 2 − 2 đ?‘Ľ âˆŁ = âˆŁ

1− 2 đ?‘Ľ 1−

2 đ?‘Ľ

4

âˆŁ â&#x;ž lim âˆŁ

1− 2 đ?‘Ľ 1−

đ?‘Ľ â&#x;ś+∞

2 đ?‘Ľ

1

âˆŁ = âˆŁ1âˆŁ = 1.

Pertanto la retta y = 1 è un asintoto orizzontale della curva per đ?‘Ľ â&#x;ś +∞. Lo studio degli asintoti in corrispondenza dei punti x = 0 e x = 2 è immediato. Per x < 0 il denominatore è positivo. Infatti, se si studia la relazione đ?‘Ľ 2 - 2 x > 0 in đ?‘… − posso dire đ?‘Ľ 2 > 2 x ma sotto il vincolo x ∈đ?‘… − la divisione di ambo i membri per x ∈đ?‘… − : x ≠0 conduce a x < 2. Pertanto, anche in questo caso si può ragionare in termini modulari, potendo dire che per x < 2 (salva la limitazione del dom f), risultando lecito riscrivere la f nella forma y = đ?‘Ľ2− 4

âˆŁđ?‘Ľ 2 − 2 đ?‘Ľ âˆŁ = âˆŁ

4

1− 2 đ?‘Ľ 1−

2 đ?‘Ľ

4

âˆŁ â&#x;ž lim âˆŁ đ?‘Ľ â&#x;śâˆ’∞

1− 2 đ?‘Ľ 1−

2 đ?‘Ľ

1

âˆŁ = âˆŁ1âˆŁ = 1.

Pertanto la retta y = 1 è un asintoto orizzontale della curva per đ?‘Ľ â&#x;ś − ∞.

âˆŁđ?‘Ľ 2 − 4âˆŁ âˆŁđ?‘Ľ 2 − 2đ?‘ĽâˆŁ

=


9. Serie đ??´đ?‘˜ = ∑đ?‘˜đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› è una forma compatta per designare la somma đ?‘Ž1 + đ?‘Ž2 + đ?‘Ž3 + --+đ?‘Žđ?‘˜âˆ’đ?‘– + ----- + đ?‘Žđ?‘˜ . Se i numeri đ?‘Žđ?‘› ∊ âŚƒđ?‘Žđ?‘› ⌄ ovvero se è assegnata una f: N â&#x;ś R. viene definita una nuova successione detta serie numerica e la si indica formalmente come âŚƒđ??´đ?‘˜ ⌄. Il numero đ??´đ?‘˜ è detto somma parziale k-esima della serie. Formalmente la serie di termine generale đ?‘Žđ?‘› viene indicata con il seguente formalismo ∑+∞ đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› . Va ricordato che poichĂŠ N è illimitato superiormente i termini di una serie sono infiniti. In molti casi è possibile osservare che │ lim (đ??´đ?‘˜ = ∑đ?‘˜đ?‘›=1 đ?‘Žđ?‘› )│ = A < ∞ . In questi casi la serie ha un đ?‘˜ â&#x;ś+∞

limite finito e si dice che essa è convergente. Nello studio della teoria delle serie si vedrĂ che in alcuni casi le serie hanno limiti eguali a Âąâˆž e in questo caso esse sono dette divergenti, ma non mancano neppure i casi di serie oscillanti. Per vedere in una stessa serie i tre comportamenti ci si può documentare sul comportamento della serie geometrica.

10. Serie armonica Essa ha la forma ∑+∞ 1 1/đ?‘›. Si dimostra che essa diverge a + ∞. Tale divergenza si dimostra

agevolmente evidenziando che le somme parziali costituiscono una successione crescente che non soddisfa il criterio di convergenza di Cauchy per le successioni.

11. Criteri di convergenza Data la serie ∑+∞ 1 đ?‘Žđ?‘– se đ?‘Žđ?‘– ≼ 0 per ogni i allora essa è detta a termini non negativi. La serie converge se la somma đ??´đ?‘– è limitata superiormente. Esistono per dette serie diversi criteri che consentono di affermare che una serie è convergente. Il primo di essi è il criterio del confronto. Se si ha 0 ≤ đ?‘Žđ?‘– ≤ đ?‘?đ?‘– dalla convergenza di ∑+∞ 1 đ?‘?đ?‘– discende la +∞ convergenza di ∑1 đ?‘Žđ?‘– . Il secondo è detto criterio della radice presuppone il calcolo del seguente limite lim đ?‘›âˆšđ?‘Žđ?‘› . Una serie đ?‘› â&#x;ś+∞

∑+∞ 1 đ?‘Žđ?‘–

e convergente se

đ?‘›

lim √đ?‘Žđ?‘› = Îą ∈ ⌋0 , 1) . Tale criterio è detto di Cauchy.

đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘Žđ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘Žđ?‘›

Il terzo è detto criterio del rapporto. Per esso una serie ∑+∞ 1 đ?‘Žđ?‘› è convergente se lim

= Îą ∈ ⌋0 ,

1) . Questo è detto criterio di D’Alembert. Questa è una sintesi degli aspetti piĂš elementari, visti dal solo punto della convergenza. Prima di concludere vorrei considerare un ulteriore criterio di convergenza per le serie detto di đ?‘› Leibniz per il quale le serie del tipo ∑+∞ 1 (−1) đ?‘Žđ?‘› sono convergenti se sono verificate le seguenti condizioni: 1) đ?‘Žđ?‘› > 0 per ogni n;


2) la successione degli đ?‘Žđ?‘› è non crescente; 3) lim đ?‘Žđ?‘› = 0. đ?‘›â&#x;ś +∞

11.2 Esempi di applicazione dei criteri di convergenza Ho tratto questi esempi dagli esercizi proposti dal Demidovic. 3

4

đ?‘›+1

2 +( 3)2 + ( 5)3 + ‌. +( 2đ?‘›âˆ’1 )đ?‘› L’autore chiede di studiare la convergenza con il criterio di Cauchy, quindi di determinare đ?‘›

đ?‘›

đ?‘›+1 lim √( 2đ?‘›âˆ’1 )

đ?‘› â&#x;ś+∞

= lim ( đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘›+1 đ?‘›/đ?‘› 2đ?‘›âˆ’1

)

đ?‘›+1 = đ?‘› â&#x;ś+∞ 2đ?‘›âˆ’1

= lim

½ < 1 quindi la serie converge al valore

+1/2. đ?‘›

Lo stesso criterio è suggerito per la seguente serie di termine generale (3đ?‘›âˆ’1)2đ?‘›âˆ’1 đ?‘›

đ?‘› lim √(3đ?‘›âˆ’1)

2đ?‘›âˆ’1

đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘›

=

2đ?‘›

đ?‘›

3đ?‘›âˆ’1 đ?‘› lim √( đ?‘› )(3đ?‘›âˆ’1)

đ?‘› â&#x;ś+∞

2đ?‘›

đ?‘›

đ?‘› =( lim √(3đ?‘›âˆ’1) đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘›

) ( lim √( đ?‘› â&#x;ś+∞

3đ?‘›âˆ’1 ) đ?‘›

) = ( lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

1

đ?‘›

(3đ?‘›âˆ’1)2 )( ( lim √3 − (đ?‘› ) ). đ?‘› â&#x;ś+∞

A questo punto devo osservare che

(lim

đ?‘›

đ?‘› 3đ?‘›âˆ’1

1 3

â&#x;ś ( )+ per n â&#x;ś + ∞. Pertanto

lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

2

đ?‘›

(3đ?‘›âˆ’1)2 =

) = 1/9 . Il secondo limite vale 0. Pertanto la serie converge.

đ?‘›â&#x;śâˆž 3đ?‘›âˆ’1

Tra gli esercizi proposti vi è questa serie di termine generale

2đ?‘›âˆ’1 √2

đ?‘›

che l’autore consiglia di studiare

con il criterio di D’Alembert. Per esso si ha

đ?‘Ž lim đ?‘Žđ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘›

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

2đ?‘›+2−1 đ?‘›+1 √2 2đ?‘›âˆ’1 đ?‘› √2

= lim ( đ?‘› â&#x;ś+∞

2đ?‘›+1 √2

√2

đ?‘›

2đ?‘›+1 (2đ?‘›âˆ’1) √2 đ?‘› â&#x;ś+∞

) = lim đ?‘›+1 ) ( 2đ?‘›âˆ’1

=

2đ?‘›+1 2đ?‘› √2− √2 đ?‘› â&#x;ś+∞

lim

=

1/√2 < 1, quindi la serie converge. Studiare le seguenti serie di termine generale n2 2n2 + 1

. Provo ad utilizzare il criterio di D’Alembert avendo

2đ?‘›2 + 2đ?‘›+1

2đ?‘›2 +1 ) đ?‘›2

(4đ?‘›2 + 4đ?‘›+3)(

4đ?‘›4 + ‌‌‌.. =1 đ?‘› â&#x;ś+∞ 4đ?‘›4 + ‌‌‌

= lim

lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

(đ?‘›+1)2 2(đ?‘›+1)2 + 1

n2 2n2 +1

=

lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

e quindi tetto criterio è inutilizzabile.

Osservo però una particolarità . Se calcolo il limite

n2 đ?‘› â&#x;ś +∞ 2n2 + 1

lim

= ½. Tale quantità non è un

infinitesimo, pertanto la serie non può convergere. Devo riconoscere che nello studio delle serie ritenendo che per il caso prospettato, per la sua “sembianzaâ€?, il criterio piĂš adatto fosse quello utilizzato. In realtĂ , il calcolo del limite portava a 1. Il caso Îą = 1 è il peggiore perchĂŠ non consente neppure di dire che la serie diverge.


Non è vero il contrario ovvero se avessi trovato che tetto limite è infinitesimo non si sarebbe con ciò dimostrata la convergenza della serie. 3n

(3n+1)n In questo caso sembra ragionevole, data la “sembianza� del termine generale della serie provare con il criterio di Cauchy, della radice di ordine n. Si ha 3n

lim (3n+1)

n/n

đ?‘› â&#x;ś+∞

n3 en

n3

. Si ha

lim

đ?‘›

√(

đ?‘› â&#x;ś+∞

3n n ) 3n+1

=

3n

= lim (3n+1) = 1. Detta serie non può convergere. đ?‘› â&#x;ś+∞

â&#x;ś 0 per n â&#x;ś +∞. La serie potrebbe convergere. Provo a verificare la convergenza

en

đ?‘› â&#x;ś+∞

3

√nn = lim e

đ?‘›

con il criterio della radice. lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘›1/3 đ?‘›

√đ?‘’ đ?‘›

1

3

= (đ?‘’) lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

√đ?‘› = + ∞. Detta serie, quindi, non

converge. Essa diverge a + ∞.

2n−1 nn

. Si ha che

2n−1 nn

â&#x;ś 0 per n â&#x;ś + ∞. Quindi ∑∞ đ?‘›=1

2n−1 nn

potrebbe essere convergente. Bisogna

verificarlo per esempio, anche in questo caso, con il criterio della radice di ordine n. Calcolo quindi đ?‘›

n−1

√2

lim

nn

đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘›

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

√2n−1 đ?‘›

√đ?‘›đ?‘›

đ?‘›

đ?‘›

√2n−1

= lim

đ?‘›

đ?‘› â&#x;ś+∞ (đ?‘›)đ?‘›

2đ?‘›âˆ’1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘›

= lim

= + ∞.

Verifico se è possibile usare il criterio di D’Alembert. Si ha

đ?‘Ž lim đ?‘Žđ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘›

=

lim (2đ?‘›âˆ’đ?‘›+1 )(đ?‘›đ?‘›âˆ’đ?‘›+1) = lim 2n = 2 lim n = + ∞.

đ?‘› â&#x;ś+∞

2n−1 (n−1)!

đ?‘› â&#x;ś+∞

2n+1 −1 nn+1 2n−1 nn

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

2đ?‘›

đ?‘› â&#x;ś+∞

. Anche in questo caso il criterio di D’Alembert sembra il piÚ idoneo, avendosi

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

2n+1−1 ((n+1)−1)! 2n−1 (n−1)!

2đ?‘›

(đ?‘›âˆ’1)!

= lim ( đ?‘›! )( 2đ?‘›âˆ’1 ) = lim đ?‘› â&#x;ś+∞

��

(đ?‘›đ?‘›+1 )(2đ?‘›âˆ’1 ) =

đ?‘› â&#x;ś+∞

(đ?‘›âˆ’1)!

1

(2đ?‘›âˆ’đ?‘›+1 )(đ?‘›(đ?‘›âˆ’1)!) = lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

2(đ?‘›) = 2 lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

đ?‘Ž lim đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘Žđ?‘›

(1/n) = 0+ . Ăˆ

2n−1

soddisfatta la condizione di convergenza data da D’Alembert. Pertanto ∑∞ 2 (n−1)! = 0

∑∞ n=2

1 n2 − n

. Ăˆ ben evidente che lim

đ?‘›â&#x;śâˆž

1 n2 − n

= 0 in quanto n2 − n â&#x;ś +∞. La serie potrebbe

convergere. In effetti tale serie converge per il criterio del confronto tra serie, avendosi che 1

1

0 ≤ n2 − n < đ?‘›2 ∀n intero. 1

1

∞ Ăˆ noto che la serie ∑∞ đ?‘›=1(đ?‘›) è convergente risultando ∑đ?‘›=1(đ?‘›) =

intero allora

1 ∑∞ n=2 n2 − n è

convergente.

Usando D’Alembert si otterrebbe come limite 1.

đ?œ‹2 6

. PoichÊ 0 ≤

1 n2 − n

1

< đ?‘›2 ∀n


Ho proceduto alla risoluzione dei seguenti esercizi sulle serie tratti da “Katzan, Intermediate Calculus and Linear Algebra, Harward University Lecture Notes, 1965 �.

1. ∑∞ đ??§=đ?&#x;?

đ?&#x;? đ??§đ?&#x;? +đ?&#x;?

Ăˆ ben evidente che lim

đ?‘›â&#x;śâˆž

1 n2 + 1

= 0 in quanto n2 + 1 â&#x;ś +∞. La serie potrebbe convergere. In

effetti tale serie converge per il criterio del confronto tra serie, avendosi 0 ≤

1 n2 + 1

<

1 đ?‘›2

∀n

intero.

2. ∑∞ đ??§=đ?&#x;?

đ?&#x;? đ??§đ?&#x;? −đ?&#x;?

Per questa serie non è ammissibile il criterio del confronto con la serie di termine 1

generale

đ?‘›2

. In effetti in questo caso si avrebbe 0 ≤

1 n2

<

1

. Verifico con il m. di

n2 −1

D’Alembert. đ?‘Ž lim đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘Žđ?‘›

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

1 (n+1)2 −1 1 n2 −1

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

1

(

2đ?‘›2 + 2đ?‘›+1

đ?‘›2 − 1 ) 1

)(

= lim

đ?‘›2 − 1

đ?‘› â&#x;ś+∞

2đ?‘›2 + 2đ?‘›+1

= ½ . PoichÊ detto limite

positivo è minore di 1 allora detta serie è convergente.

đ?&#x;?

3. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ??§(đ??Ľđ??§(đ??§))đ?&#x;? đ?’‚ đ??Ľđ??˘đ??Ś đ?’?+đ?&#x;? đ?’? â&#x;ś+∞ đ?’‚đ?’?

đ?‘›

đ?&#x;? (đ??§+đ?&#x;?)(đ??Ľđ??§(đ??§+đ?&#x;?))đ?&#x;? = đ??Ľđ??˘đ??Ś đ?&#x;? đ?’? â&#x;ś+∞ đ??§(đ??Ľđ??§(đ??§))đ?&#x;?

(đ??Ľđ??§(đ??§))đ?&#x;?

lim

đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ (đ??Ľđ??§(đ??§+đ?&#x;?))đ?&#x;?

= lim

đ?&#x;?

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞ (đ??§+đ?&#x;?)(đ??Ľđ??§(đ??§+đ?&#x;?))đ?&#x;?

đ?‘›

lim (

đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞

ln(đ?‘›) 2 ) ln(đ?‘›+1)

(đ??§(đ??Ľđ??§(đ??§))đ?&#x;? ) = lim

đ??§(đ??Ľđ??§(đ??§))đ?&#x;?

đ?‘› â&#x;ś+∞ (đ??§+đ?&#x;?)(đ??Ľđ??§(đ??§+đ?&#x;?))

per confronto, la convergenza di ∑∞ n=1 1

nk

1 n2

1

đ?&#x;?

4. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ?&#x;?đ?&#x;Žđ??§đ?&#x;? 1

1

đ?‘› â&#x;ś+∞

ho desunto,

∀ k ≼ 3. Ciò è vero anche per k =3 quindi si ha

0 < n(ln(n))2 < n3 in quanto ln(n) < n â&#x;ž (ln(đ?‘›))2 < đ?‘›2 .

1

= lim

= 1*(1)2 = 1. Tale criterio è inefficace.

In questo caso ho ragionato in termini di confronto. Infatti dalla convergenza ∑∞ n=1 1

đ?&#x;?

∞ In questo caso si ha ∑∞ n=1 10n2 = ∑n=1 10*đ?‘›2 =

1 10

∑∞ n=1

1 đ?‘›2

=

đ?œ‹ 60


đ??§

5. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ??§đ?&#x;? +đ?&#x;? n

PoichĂŠ

e un infinitesimo quanto n tende all′ infinito positivo, allora la

n2 +1

serie

potrebbe

convergere. Provo utilizzando il criterio del rapporto. đ?‘Ž lim đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘Žđ?‘›

=

n+1 (n+1)2 +1 lim n đ?‘› â&#x;ś+∞ n2 +1

đ?‘›2 +1 ) đ?‘›

n+1

= lim (đ?‘›2 + 2đ?‘›+1+1)( đ?‘› â&#x;ś+∞

Tale limite vale 1 e il criterio non sovviene. Per

definire la convergenza della serie ho ragionato sulla quantitĂ

lavorare sul reciproco. Infatti 1

đ?‘›2 +1

−1 = ∑∞ . Da 1 + đ?‘›) n=1(1 + đ?‘›)

1

1

= 1 + đ?‘› > đ?‘›2 â&#x;ž (1 + đ?‘›)

đ?‘› 1 −1

1

<

đ?‘›2

1

n

, osservando che era meglio

n2 +1 1 −1 1

<

đ?‘›2

n

∀đ?‘›. Posso porre ∑∞ n=1 n2 +1

∀đ?‘› discende per confronto la convergenza di

−1 ∑∞ n=1(1 + đ?‘›) . Per la posta eguaglianza tra serie infinite si desume la convergenza di

∑∞ n=1

n

.

n2 +1

đ??§

6. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ?&#x;?đ??§+đ?&#x;‘ Detta serie non può convergere. Ciò si desume dal fatto che lim

n

đ?‘›â&#x;śâˆž 2n+3

= ½. Infatti

condicio necessaria ma non sufficiente per la convergenza è che detto limite sia un infinitesimo, ovvero valga 0+ .

7. ∑∞ đ??§=đ?&#x;?

đ??œđ??¨đ??Ź đ?&#x;? (đ??§) đ?&#x;?đ??§+đ?&#x;‘

La serie infinita considerata può essere convergente in quanto

cos2 (n) 2n+3

è un

infinitesimo in quanto la funzione cos2 (n) = (cos(n))2 è limitata e 2n + 3 è un infinito, quindi (1/2n+3) un infinitesimo. Essa non è decidibile con il criterio di d’Alembert in quanto all’espressione đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (n) / đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (n+1) non è applicabile il limite in quanto lim đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (n) e lim đ?‘?đ?‘œđ?‘ 2 (n + 1) non esistono. đ?‘› â&#x;ś +∞

đ?‘› â&#x;ś +∞

Caso da riprendere in considerazione.

đ??§

√ 8. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ??§đ?&#x;‘ +đ?&#x;?

La serie può convergere in quanto

√n n3 +1

è un infinitesimo per n â&#x;ś+∞. Mi sono reso

conto della impossibilitĂ di venire a qualche esito con i criteri algebrici del rapporto e della radice, decidendo, quindi di manipolare la quantitĂ reciproco

n3 +1 √n

avendo

n3 +1 √n

=

đ?‘›3 √đ?‘›

+

1 √đ?‘›

√n n3 +1

. Ho in particolare considerato il

= đ?‘›3−1/2 + đ?‘›âˆ’1/2 = đ?‘›5/2 + đ?‘›âˆ’1/2. Quindi

√n n3 +1

=


1 đ?‘›5/2 + đ?‘›âˆ’1/2

. PoichĂŠ esiste un k > 1 per il quale 0 < 1

1

1

đ?‘›5/2 + đ?‘›âˆ’1/2

< đ?‘›đ?‘˜ si dimostra la convergenza

√n

∞ della serie ∑∞ n=1 đ?‘›5/2 + đ?‘›âˆ’1/2 ovvero della ∑n=1 n3 +1.

đ??§!

9. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ?&#x;?đ?&#x;?đ??§ Ci si leva d’impiccio provando con il criterio di D’Alembert. Per esso si ha (n+1)!

lim

đ?‘›â&#x;ś+∞

22(n+1) n! 22n

22n

(n+1)!

= lim (22(n+1))( đ?‘›! ) = lim

âˆŁđ??š âˆŁ

đ??§ 10. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ?&#x;?đ?&#x;Žđ??§

đ?‘›â&#x;ś+∞

đ?‘›â&#x;ś+∞

(đ?‘›+1)đ?‘›! 22đ?‘› 22đ?‘›+2

đ?‘›+1

* đ?‘›! = lim

đ?‘›â&#x;ś+∞

22

= Âź lim (n+1) = +∞. đ?‘›â&#x;ś+∞

âˆŁ đ??šđ??§ âˆŁ < 10

Devo ritenere che an sia un valore dipendente da n – quindi non una costante – per il quale valga la condizione âˆŁ an âˆŁ < 10. Al variare di n il numero âˆŁ đ?‘Žđ?‘› âˆŁ ∈ ( 0, 1

10). Detta serie può essere convergente perchĂŠ da âˆŁ an âˆŁ (10n ). Dalla limitatezza di 1

âˆŁ an âˆŁ discende che âˆŁ an âˆŁ (10n ) è un infinitesimo per n â&#x;ś +∞. Dal testo non ho notizia dell’andamento a(n) = âˆŁ an âˆŁ . Ho deciso di esplorare due ipotesi, quelle della nonotonia crescente e della nonotonia decrescente per âˆŁ an âˆŁ . Nel primo caso âˆŁ an âˆŁ â&#x;ś 10− per n â&#x;ś +∞. Mentre nel secondo caso si ha âˆŁ an âˆŁ â&#x;ś 0+ per n â&#x;ś +∞. A detti casi particolari ho applicato il criterio di Cauchy della radice di ordine n, avendo: đ?‘›

âˆŁa âˆŁ

lim √10nn =

đ?‘› â&#x;ś+∞

lim

đ?‘›

lim

đ?‘›

đ?‘› â&#x;ś+∞

√an âˆŁ

đ?‘› â&#x;ś+∞

√10n

=

đ?‘›

√10− 10

< 1. Pertanto essa converge.

Nel secondo caso considerato si ha:

đ?‘›

âˆŁa âˆŁ

lim √10nn =

đ?‘› â&#x;ś+∞

lim

đ?‘›

lim

đ?‘›

đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘› â&#x;ś+∞

√an âˆŁ

√10n

=

đ?‘›

√0+ 10

= 0. Anche in

questo caso la serie converge.

đ??Š −đ?’? 11. ∑∞ đ??§=đ?&#x;? đ??§ đ?’†

p∈R

Questa la si risolve elementarmente usando il criterio di D’Alembert per il quale si ha

đ?‘Ž lim đ?‘›+1 đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘Žđ?‘›

= lim

đ?‘› â&#x;ś+∞

(đ?‘›+1)đ?‘? đ?‘’(đ?‘›+1) đ?‘›đ?‘? đ?‘’đ?‘›

(đ?‘›+1)đ?‘? đ?‘’ đ?‘› )( ) đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘’ (đ?‘›+1) đ?‘›đ?‘?

= lim ((

p −đ?‘› quindi la serie ∑∞ p ∈ R. n=1 n đ?‘’

(đ?‘›+1)đ?‘? đ?‘› â&#x;ś+∞ đ?‘’đ?‘›đ?‘?

= lim

= đ?‘’ −1

(đ?‘›+1)đ?‘? đ?‘›đ?‘? đ?‘› â&#x;ś+∞

lim

= (1/e)*1 < 1


12. Funzioni di đ?‘šđ?’? â&#x;ś R Una funzione di đ?‘… đ?‘› â&#x;ś R è una legge di corrispondenza che associa ad una n-pla di numeri reali (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ) uno e un solo y = y((đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ). Non è necessariamente vero il contrario. Gli đ?‘Ľđ?‘– e y sono quantitĂ reali.

13. Funzioni di đ?‘šđ?&#x;? â&#x;ś R Una funzione di đ?‘… 2 â&#x;ś R è una legge di corrispondenza che associa ad una n-pla di numeri reali (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) uno e un solo y = y(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) Non è necessariamente vero il contrario. Gli đ?‘Ľđ?‘– e y sono quantitĂ reali. Vorrei adeguarmi alla prassi piĂš operativa per la quale si considerano le variabili colle stesse lettere degli assi, avendosi quindi z = f(x, y). Alla coppia (x, y) è associato univocamente un valore z, secondo la f. Vorrei esplicitare il “Non è necessariamente vero il contrarioâ€? del paragrafo precedente. Ăˆ ben evidente che è possibile associare ad ogni (x. y) uno ed un solo comune valore z = đ?‘§0 . Il luogo ottenuto è un piano di đ?‘… 3 parallelo al piano xy. Al solito le variabili x e y sono dette indipendenti, mentre z è detta variabile dipendente.

13.1 Dominio di definizione Il dominio di definizione di una funzione è in questo caso costituito dall’insieme delle coppie (x, y) per cui la funzione è definita, ovvero ha significato matematico. Formalmente si ha che dom z = âŚƒâŚƒ(x, y)⌄ ⊂ đ?‘… 2 âˆś │đ?‘§â”‚ ≤ âˆžâŚ„. A volte è possibile che âŚƒ(x, y)⌄ per il quale sia │đ?‘§â”‚ ≤ ∞ đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘ đ?‘˘đ?‘™đ?‘Ąđ?‘– đ?‘’đ?‘ đ?‘ đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘’ âŚƒ(x, y)⌄ = đ?‘… 2 . In buona sostanza è possibile ma non è sempre vero che il dominio di z(..) sia đ?‘… 2 anche se piĂš frequentemente esso è costituito da una parte di esso (un sottoinsieme non vuoto e quindi proprio di esso).

13.1.2 Esempi di domini di definizione In pratica i domini di definizione delle funzioni đ?‘… 2 â&#x;ś R si determinano abbastanza agevolmente. Abbozzo alcune determinazioni utilizzando a mo’ d’esempio alcuni esercizi non risolti tratti dal Calcolo. Funzioni di piĂš variabili, del Stewart. Determinare il domino di f(x, y) = ln(9 - đ?‘Ľ 2 - 9đ?‘Ś 2 ). Deve


essere 9 - đ?‘Ľ 2 - 9đ?‘Ś 2 > 0 â&#x;ž - đ?‘Ľ 2 - 9đ?‘Ś 2 > − 9 â&#x;ž đ?‘Ľ 2 + 9đ?‘Ś 2 < 9 . Al di lĂ di ulteriori considerazioni che possono essere fatte sul luogo occorre osservare che se (x, y) appartiene al dominio pure (- x, - y) appartiene al dominio. Ulteriori considerazioni possono farsi quando verrĂ introdotta la topologia. Un ulteriore esempio potrebbe essere f(x, y, z) = đ?‘’ √đ?‘§âˆ’ đ?‘Ľ

2 − đ?‘Ś2

. Si tratta di una funzione đ?‘… 3 â&#x;ś R. Ăˆ possibile 2

calcolare f(2. -1,6) per mera sostituzione avendo quindi f(2. -1, 6) = đ?‘’ √6−1− 2 = đ?‘’ 1 = e. Ai fini della determinazione del dominio della funzione è necessario sia reale il radicale ovvero sia đ?‘§ − đ?‘Ľ 2 − đ?‘Ś 2 ≼ 0. Ovvero − đ?‘Ľ 2 − đ?‘Ś 2 ≼ − đ?‘§ . Moltiplicando per (-1) si ha đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 ≤ z. Tale luogo al di lĂ di una sembianza poco nota in effetti è notissimo e definisce i punti di un cerchio il cui raggio √đ?‘§ . Dalla osservazione ad occhio del radicale si evince che deve essere z > 0 in quanto per z = 0 si avrebbe una scrittura insensata del tipo f(x, y, z) = đ?‘’ √− đ?‘Ľ

2 − đ?‘Ś2

. Essa è insensata in quanto √− đ?‘Ľ 2 − đ?‘Ś 2 ∉ R mai! I

punti della crf. non sono del luogo. Vorrei infine osservare che essere f(x, y, z) = đ?‘’ √đ?‘§âˆ’ đ?‘Ľ

2− đ?‘Ś2

≼ 0.

Vorrei considerare ancora qualche esercizio tratto dallo Stewart. f(x, y) = x ln(x - đ?‘Ś 2 ). Deve essere x đ?‘Ś 2 > 0 ovvero x > đ?‘Ś 2 ≼ 0. (x=0, y= 0) non è elemento del dom f(x,y) in quanto ln(0) non è definito. Pertanto dom f(x,y) = {(x, y) : x ∈đ?‘… + , đ?‘Ś ∈ (đ?‘… − {0})}.

13.2 Curve di livello Data una funzione z = f(x, y) viene definita curva di livello il luogo che si ottiene ponendo in luogo della variabile z la quantità z = �0 che appartiene all’insieme i cui elementi sono i valori di z peri possibili valori ammessi per le coppie (x, y) del dominio di f. Esse si ottengono risolvendo l’equazione f(x, y) = �0 = cost. In buona sostanza si tratta del luogo ottenuto dall’intersezione della superficie f(x, y) con il piano di equazione φ = �0 .

13.2.1 Esempi di curve di livello Vorrei fare qualche esemplificazione sempre mutuando dallo Stewart (op. cit.). Si consideri ad esempio la f(x, y) = y – ln(x). Ăˆ ben evidente che deve essere x > 0. Pertanto la funzione è correttamente definita per (x, y) ∈ RXđ?‘… + . L’insieme degli f(x,y) ammessi è R, ovvero âŚƒf(x, y)⌄ = R. Possiamo a titolo esemplificativo porre f(x, y)= 6 avendo il corrispondente luogo y - ln(x) = 6 (sotto la condizione x > 0).

13.3 Superficie di livello Assegnata una funzione f(x, y, z) di đ?‘… 3 â&#x;ś R posto, per valori ammissibili, f(x, y, z) = Ď„ si ottiene una superficie di livello.


13.4 Limite Credo che il formalismo piĂš semplice e intuitivo per definire il limite di f(x,y) in un punto sia quello di formalizzare nel modo seguente. f(x, y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (a, b)

(Stewart, op. cit.)

con il significato che la funzione assume valori sempre piĂš prossimi al valore L finito quanto piĂš (x,y) si avvicina a (a, b) non necessariamente raggiungendolo. Nel caso delle funzioni đ?‘… 2 â&#x;ś R al punto (a, b) ci si può avvicinare da infinite direzioni. Per con conversi di ciò basta disegnare (a,b) come punto di đ?‘… 2 . Vengono definiti i limiti iterati. Al riguardo mi vorrei coordinare la notazione f(x, y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (a, b) con i limiti iterati. Essi sono cosĂŹ definiti. lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) e đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ľ0 đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0

lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś). Se tali limiti esistono e sono finiti è possibile che esista L finito tale che f(x,

đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0 đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ś0

y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (a, b). Molte volte piuttosto che calcolare il limite si preferisce evidenziare la inesistenza di un limite comune, e quindi di un limite vero e proprio. In pratica se lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) ≠lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) è possibile dire che il limite non esiste. Non đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0 đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ś0

đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0 đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ś0

è vero il contrario quindi da │ lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) │=│ lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) │ < ∞ non discende đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0 đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ś0

đ?‘Śâ&#x;śđ?‘Ś0 đ?‘Ľâ&#x;śđ?‘Ś0

ex se l’esistenza di detto limite. Ăˆ bene ricordare che f(x, y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (a, b) non implica che │f(a,b)│ < ∞. Semplici esempi chiariranno i termini della questione.

13.4.1 Esempi di limiti di funzioni f(x,y) Per la determinazione di molti limiti è possibile utilizzare la definizione formale di limite, oppure usare i teoremi di linearitĂ del limite. Ad esempio – ho trovato tra gli esercizi non risolti dello Spiegel (op. cit.) la richiesta di dimostrare che lim (3đ?‘Ľ − 2đ?‘Ś) = lim 3đ?‘Ľ (đ?‘Ľ â&#x;ś4, đ?‘Ś â&#x;ś −1)

đ?‘Ľâ&#x;ś4

2 lim đ?‘Ś = 12 – (2)(-1) = 12 +2 = 14. In questo caso è anche possibile usare la definizione di đ?‘Śâ&#x;ś −1

limite e ammettere che assegnato un Îľ > 0 esiste un δ = đ?›ż(đ?œ€) per il quale posto 0 < │x - 4│ < δ e posto pure 0 < │y – (-1)│= │y + 1│ < δ risulti essere │3đ?‘Ľ − 2đ?‘Śâ”‚< Îľ. Gli sviluppi sono pruramente algebrici e portano ovviamente allo stesso risultato ovvero a lim (3đ?‘Ľ − (đ?‘Ľ â&#x;ś4, đ?‘Ś â&#x;ś −1)

2đ?‘Ś) = 14. L’operativitĂ dei limiti iterati è ben esposta in Citrini (Analisi matematica, BB). Vorrei svilupparla con un esempio tratto da Spiegel di cui è chiesta la risoluzione. Esso è lim

(đ?‘Ľâ&#x;ś0,đ?‘Ś â&#x;ś0)

2đ?‘Ľâˆ’đ?‘Ś đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś2

. Ho proceduto come segue

lim

2đ?‘Ľâˆ’đ?‘Ś

(đ?‘Ľâ&#x;ś0, đ?‘Ś â&#x;ś0) đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2

â&#x;ś lim lim đ?‘“(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) = −đ?‘Ś/đ?‘Ś 2 = đ?‘Śâ&#x;ś0 đ?‘Ľâ&#x;ś0

- (1/y)= - ∞. In questo contesto ho usato il simbolo â&#x;ś nel significato di “si ottieneâ€?.


Osservo che dalla inesistenza di un limite finito non è necessario calcolare l’altro limite iterato. Quindi tale limite non esiste. Giova osservare che f(0,0) non è definita (in quanto per (0, 0) si annulla il denominatore della frazione!). Non è comunque ammissibile affermare che dalla non definizione di una f(x,y) in un punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) non esista un L finito tale che f(x, y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ).

13.5 La continuitĂ delle funzioni đ?‘šđ?&#x;? â&#x;ś R Anche per esse esiste il concetto di continuitĂ . Esso è abbastanza intuitivo e presuppone che: 1) f(x, y) â&#x;ś L per (x, y) â&#x;ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) 2) f(x, y) = L. In termini formali essa è mutuabile dalla nozione di limite potendo dire che │f(x,y) – f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) │ < Îľ quando │x - đ?‘Ľ0 │< δ e │y - đ?‘Ś0 │< δ.

13.5.1 Osservazioni esemplificatrici sulla continuitĂ Anche in questo caso vorrei attingere da alcuni esercizi supplementari che ho risolto dallo Spiegel (op. cit.). Viene richiesto di esaminare la continuitĂ di alcune funzioni tra le quali la seguente: f(x, y) = đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 per (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ). Tale funzione è definita in tutto đ?‘… 2 . Per (0, 0) essa è pure definita avendosi f(0, 0) = 0. Ai fini della dichiarazione di continuitĂ della f per (0 , 0) è sufficiente a questo punto dimostrare l’esistenza del limite lim ( đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 ) = lim đ?‘Ľ 2 + (đ?‘Ľâ&#x;ś0 ,đ?‘Ś â&#x;ś 0)

lim đ?‘Ś

đ?‘Ľ â&#x;ś0

2

đ?‘Ľ â&#x;ś0

= 0 + 0 = 0. PoichĂŠ detto limite esiste ed eguaglia il valore della funzione in detto

punto allora la f è continua in detto punto. Al punto b) l’Autore chiede di discutere la đ?‘Ľ continuitĂ della funzione f(x,y) = 3đ?‘Ľ+5đ?‘Ś nel punto (0, 0). Giova solo osservare che la funzione assegnata non è definita nel punto (0, 0), avendosi una scrittura del tipo 0/0. Pertanto essa non può essere continua in (0, 0). Da una osservazione che mutuo dallo Stewart – riferita ad altra f – posso dire che detta funzione p continua per ogni (x, y) ≠( 0, 0). Vorrei sviluppare un diverso tipo di quesito (tratto da un quesito non risolto dello Stewart) che per la f(x,y) = 1/ 1 - đ?‘Ľ 2 - đ?‘Ś 2 chiede dei determinare per quali (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) la f assegnata è discontinua. Anche in questo caso la risposta è immediata. La f non è definita per 1 - đ?‘Ľ 2 - đ?‘Ś 2 â&#x;ž 1 = đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 . Si tratta dei punti (x, y) che distano 1 unitĂ di lunghezza dall’origine O del sistema di riferimento nel piano xy. Sono essi i punti di una circonferenza unitaria.

13.6 Derivate parziali del I ordine Per le funzioni đ?‘… 2 â&#x;ś R data la f(x, y) non esiste una unica derivata prima bensĂŹ due, potendo la derivazione essa riferita ad una variabile piuttosto che all’altra, tenendo conto che l’altra variabile viene considerata alla stregua di una costante.


đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

f(x, y) = lim

đ?‘“(đ?‘Ľ+ ∆đ?‘Ľ, đ?‘Ś )– đ?‘“(đ?‘Ľ,đ?‘Ś)

f(x, y) = lim

đ?‘“(đ?‘Ľ , đ?‘Ś+ ∆đ?‘Ś)– đ?‘“(đ?‘Ľ,đ?‘Ś)

∆đ?‘Ľ

∆đ?‘Ľâ&#x;ś0

= �′� (x, y) = �′� (x, y)

∆đ?‘Ś

∆đ?‘Śâ&#x;ś0

Tali derivate possono essere determinate in un punto definito per esempio in (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ). Vorrei osservate che mentre il passaggio dy/dx = f’(x) â&#x;ž dy = f’(x)dx è ammissibile una trattazione lgebrica simile per le derivate parziali è inammissibile. Pertanto il simbolo

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

applicato alla

funzione f(x, y) deve intendersi come un operatore che data una f(x, y) la trasforma in una nuova funzione formalmente chiamata đ?‘“′đ?‘Ľ (x, y). Vorrei poi ricordare che molto spesso l’operazione di derivazione parziale è iterabile per ottenere per esempio le derivate seconde di f(x, y). Ăˆ immediato comprendere che per esempio la funzione đ?‘“′đ?‘Ľ (x, y) è derivabile secondo due distinte modalitĂ , avendosi, quindi đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

f’(x, y) = lim

đ?‘“′(đ?‘Ľ+ ∆đ?‘Ľ, đ?‘Ś )– đ?‘“′(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) ∆đ?‘Ľ

∆đ?‘Ľâ&#x;ś0

đ?œ•

f’(x, y) = lim đ?œ•đ?‘Ś

= �′′� (x, y)

đ?‘“′(đ?‘Ľ , đ?‘Ś+ ∆đ?‘Ś)– đ?‘“′(đ?‘Ľ,đ?‘Ś) ∆đ?‘Ś

∆đ?‘Śâ&#x;ś0

= � ′′� (x, y)

Essendosi quindi definite due nuove funzioni. Anche in questo caso è possibile calcolare le funzioni ottenute in un punto particolare, ovvero in (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ).

13.6.1 Esempi di determinazioni di valori di derivate parziali Vorrei anche in questo caso fare alcuni esempi di applicazioni di derivate parziali usando đ?‘Ľâˆ’đ?‘Ś alcuni esercizi supplementari dello Spiegel (op cit.). Essi sono i seguenti. Se f(x, y) = đ?‘Ľ+đ?‘Ś si chiede di determinare Si ha

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

f’(2, - 1) = lim

f’(x, y) e

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

f’(x, y) in ( 2 , - 1).

đ?‘“′(2+ ∆đ?‘Ľ,−1 )– đ?‘“′(2,−1) ∆đ?‘Ľ

∆đ?‘Ľâ&#x;ś0

= �′′� (2, -1). Per calcolare questa prima derivata

occorre ed è sufficiente porre y come una costante. Con questo criterio è come se si dovesse calcolare la derivata della funzione g(x) = x – y / x + y quando sia y = đ?‘Ś0 = cost. All’uopo si utilizza il noto teorema della derivata del rapporto tra due funzioni, dovuto a von Liebnitz, per il quale si ha: g’(x) = (h(x)k’(x) – k(x)h’(x))/ âŚ? (â„Ž(đ?‘Ľ))2âŚ? = ((x+y)(1) – (x-y)(1))/ đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 + 2xy = y+y/(đ?‘Ľ + đ?‘Ś)2 = -2/ (2 − 1)2 = -2/1 = - 2. đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

f’(2, - 1) = lim

∆đ?‘Śâ&#x;ś0

đ?‘“′(2 , −1+ ∆đ?‘Ś)– đ?‘“′(2,−1) ∆đ?‘Ś

= � ′′� (2, -1). Per calcolare questa derivata bisogna

considerare sia costante x, considerando una funzione φ(y). Essa è la seguente φ(y) = x – y / x + y per y assegnato e assunto quindi costante. Occorre quindi determinare φ’(y) =âŚ? (x+y)đ??ˇđ?‘Ś (x-y) – (x-y)đ??ˇđ?‘Ś (x+y)âŚ?/ (đ?‘Ľ + đ?‘Ś)2 = âŚ?(x+y)(-1) – (x-y)(1) âŚ?/ (đ?‘Ľ + đ?‘Ľ)2 = - x – y – x + y / (đ?‘Ľ + đ?‘Ľ)2 = - 2x/ (đ?‘Ľ + đ?‘Ľ)2 = -2(2)/1 = - 4.


Come da risposta del testo le due derivate sono: đ?‘Ľ đ?‘Ľđ?‘Ľ đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

f’(2, - 1) = - 4

f’(2, - 1) = - 2.

13.6.2 Significato geometrico delle derivate parziali.

13.7 Funzioni composte Anche per queste funzioni è possibile definire la composizione di funzioni. Credo sia sufficiente fare qualche esempio prendendo spunto da due esercizi proposti da J.Stewart (op. cit.). Viene chiesto, ad esempio, di determinare h(x, y) = g(f(x,y)) e l’insieme ove h è continua. g(t) = đ?‘Ą 2 + √đ?‘Ą f(x,y) = 2x + 3y – 6 Dalla osservazione h(x, y) = g(f(x,y)) = g(t) si evidenzia che t = f(x, y) pertanto il problema è gestibile algebricamente con la sostituzione 2x + 3y – 6 â&#x;ś t pertanto è possibile ridefinire g come segue g(t) = h(x, y) = (2đ?‘Ľ + 3đ?‘Ś − 6)2 – √2đ?‘Ľ + 3đ?‘Ś − 6. Ai fini della realtĂ del radicale deve essere 2x + 3y ≼ 6. Giova osservare che trattasi di un semipiano superiore definito dalla r.etta di equazione 2x + 3y = 6. In modo analogo si tratta il secondo esercizio proposto di cui non sono dati i risultati. Esso prevede di dovere determinare h(x, y) = g(f(x,y)) e l’insieme ove h è continua g(z) = sin(z) f(x, y) = y ln(x) Anche in questo caso h(x, y) = g(f(x,y)) = g(z) â&#x;ž z = f(x,y) = yln(x) â&#x;ž g(z) = sin(y ln(x)). Deve essere x > 0 per la condizione di esistenza di ln(.). Deve poi essere │sin(y ln(x))│≤ 1â&#x;ş 1 ≤ sin(y ln(x)) ≤ 1. Non si hanno limitazioni particolari per y.


13.8 Punti di discontinuitĂ Anche per queste funzioni possono essere definiti punti di discontinuitĂ . Riporto due esempi tratti dagli esercizi proposti agli studenti dallo Stewart. 1

1° esempio. f(x, y) = đ?‘’ đ?‘Ľâˆ’đ?‘Ś La funzione è sicuramente discontinua ove non è definita. Essa non è definita quando l’argomento dell’esponenziale è privo di significato, ovvero per x = y. I punti della retta y = x del piano đ?‘… 2 di assi x ed y non appartengono a dom f(x,y). Formalmente dom f(x, y) = âŚƒ(x, y) ∈đ?‘… 2 âˆś đ?‘Ľ ≠đ?‘Ś ⌄. Giova osservare che anche la funzione đ?œ‘(đ?‘Ľ, đ?‘Ś) = 1/x – y è continua quando đ?‘Ľ ≠đ?‘Ś. 2° esempio. f(x, y) = 1/ 1 - đ?‘Ľ 2 - đ?‘Ś 2 . La funzione assegnata è sicuramente discontinua per tutte le coppie (x, y) tali che il denominatore della f(x , y) si annulli. Posto 1 - đ?‘Ľ 2 - đ?‘Ś 2 = 0 si ottiene 1 = đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 ovvero đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = 1. I punti (x, y) che distano 1 da (0, 0) sono tali per cui f(x, y) non è definita. Per essi essa è sicuramente discontinua.

13.9 Piano tangente e differenziabilitĂ Data una superficie z = f(x, y) può essere utile definire i piano tangente a detta superficie. Si ammetta che la f abbia derivate parziali continue. Sia dato un punto P≥(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) della superficie z = f(x, y). L’equazione del piano tangente la superficie nel punto P≥(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ). Ăˆ z - đ?‘§0 = đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) (x - đ?‘Ľ0 ) + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) (y - đ?‘Ś0 ) Ăˆ ben evidente che sviluppando i calcoli la precedente relazione porta sempre ad una relazione di primo grado del tipo z = Îąx + βy + φ, ove i parametri Îą, β e φ sono reali. Seguendo la falsariga dello Stewart (op. cit.) possiamo dire che z = Îąx + βy + φ costituisce una approssimazione lineare accettabile di f per coppie (x, y) â&#x;ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ). Per questa ragione detta funzione si indica con L(x, y) = = Îąx + βy + φ. Vorrei osservare che in essa il parametro φ è tale che φ = - đ?‘§0 . Anche per le funzioni đ?‘… 2 â&#x;ś R è definito l’incremento ∆z come segue: ∆z = f(a + ∆x, b+∆y) – f(a, b) (a, b) è un punto di dom f. f è differenziabile in un punto (a,b) se e solo se esistono due infinitesimi đ?œ€1 đ?‘’ đ?œ€2 per cui quando (∆x, ∆y) â&#x;ś (0, 0) si abbia ∆z = đ?‘“đ?‘Ľ (a,b)∆x + đ?‘“đ?‘Ś (a, b)∆y + đ?œ€1 ∆x + đ?œ€2 ∆y. La differenziabilitĂ in (a, b) è piĂš utilmente evidenziabile usando un teorema per il quale se data una f le sue due derivate prime, ovvero đ?‘“đ?‘Ľ e đ?‘“đ?‘Ś , sono continua in (a,b) e se esistono in punti vicini ad (a,b) allora f è differenziabile in (a,b).


13.10 Differenziale totale Per le funzioni đ?‘… 2â&#x;ś R il differenziale totale è dato dalla seguente formula di immediata interpretazione. dz = đ?‘“đ?‘Ľ (x,y) dx + đ?‘“đ?‘Ś (x,y) dy

13.11 Derivazione di funzioni composte Ăˆ in questo caso passare a qualche esemplificazione pratica. Considero un esercizio dello Stewart non risolto per fornire la ricetta pratica. z = sinx cos y

x = πt

y = √đ?‘Ą

si ha dx/dt = Ď€ e dy/dt = ½(1/√đ?‘Ą). đ?œ•đ?‘“ đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘“

= cos(x)cos(y) mentre đ?œ•đ?‘Ś = sin(x)(-sin(y))

Pertanto la derivata di f rispetto a t è

đ?œ•đ?‘“ đ?œ•đ?‘Ą

=

đ?œ•đ?‘“ đ?‘‘đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ą

+

đ?œ•đ?‘“ đ?‘‘đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ą

= (cos(x)cos(y)) π + sin(x)(-

sin(y))(½(1/√đ?‘Ą). Questo è un caso molto particolare ma in genere si hanno funzioni ben piĂš complesse. Potrebbe capitare di avere una z = f(x, y) ove x = g(s, t) e y = h(s, t). In questo caso esistono đ?œ•đ?‘§

due derivate parziali che sono đ?œ•đ?‘ đ?‘’

đ?œ•đ?‘“ đ?œ•đ?‘Ą

.

Le questioni della derivazione di funzioni composte meritano un approfondimento analitico. Questo esempio tratto dagli esercizi non risolti ma proposti dallo Stewart chiarirĂ questo caso praticamente. z =đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ľđ?‘Ś + đ?‘Ś 2 x = s + t

y = st

đ?œ•đ?‘§

Calcolo đ?œ•đ?‘

Determino đ?œ•đ?‘§ đ?œ•đ?‘Ś

đ?œ•đ?‘§ đ?œ•đ?‘Ľ

= 2x + (1)y + 0 dx/dt = 1 per s = cost.

= 0 + x + 2y dy/dt = s đ?œ•đ?‘§

Da cui đ?œ•đ?‘ =

đ?œ•đ?‘§ đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘§ đ?‘‘đ?‘Ś

( ) + đ?œ•đ?‘Ś ( đ?‘‘đ?‘Ą ) = (2x+y)1 + (x+2y)s

đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ą


13.12 Derivata direzionale Si ammetta di operare in đ?‘… 2 e in esso un versore unitario u = (a, b) = (cosφ, sinφ) ove φ è l’angolo che la direzione di u forma con una parallela all’asse delle x passante per un punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ). Dicesi derivata direzionale di f in un punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) nella direzione del vettore u = (a, b) = (cosφ, sinφ) il seguente limite, ove esso esista finito đ??ˇđ?‘ź f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = lim ( đ?‘“(đ?‘Ľ0 + â„Žđ?‘Ž, đ?‘Ś0 + â„Žđ?‘?) − đ?‘“(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )/ h) â„Ž â&#x;ś0

Esiste una interessante relazione che coordina le tre derivate prime. Essa è la seguente đ??ˇđ?‘ˆ f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) a + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) b Ma la quantitĂ đ?‘“đ?‘Ľ ((đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )a + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) b è la seconda espressione di un prodotto scalare. Pertanto si possono (per la necessitĂ e sufficienza dei passaggi formali) considerare i vettori (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) ) e (a, b) = u potendo scrivere che đ??ˇđ?‘ˆ f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) ) (a, b) = (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) u.

13.13 Il vettore gradiente In generale se f è una funzione đ?‘… 2 â&#x;ś R il vettore (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) ) riferito ad un punto del dominio di f è detto vettore gradiente. Si usa la seguente notazione ∇f(x, y) = ((đ?‘“đ?‘Ľ (x, y) , đ?‘“đ?‘Ś (x, y))=

đ?œ•đ?‘“ đ?œ•đ?‘Ľ

i+

đ?œ•đ?‘“ đ?œ•đ?‘Ľ

đ?’‹. In pratica per la determinazione del gradiente occorre calcolare le due

derivate parziali prime e quindi sostituire ad (x, y) i valori corrispondenti riferiti ad un punto particolare (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ). Ma in generale il gradiente è coordinabile con la derivata parziale secondo un vettore di assegnata direzione. Si ha đ??ˇđ?‘ˆ f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = ∇f (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )u

13.13.1 Esempi di calcoli di gradienti e di derivate direzionali Ăˆ il caso di fare qualche esempio considerando esercizi proposti e non risolti dallo Stewart( op. cit.). f(x, y) = 5xđ?‘Ś 2 - 4đ?‘Ľ 3 y nel punto (1, 2) nella direzione del vettore (5/13, 12/13). Assegnata la funzione f occorre calcolare le due derivate prime: 5đ?‘Ś 2 - 12yđ?‘Ľ 2 e

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

f(x, y) = 5đ?‘Ś 2 (1) + (-8y)đ?‘Ľ 2 =

f(x, y) = 5x(2y) - 4đ?‘Ľ 3 (1) = 10xy - 4đ?‘Ľ 3 .

Pertanto il gradiente della funzione è ∇f (x, y) = ( 5đ?‘Ś 2 - 12yđ?‘Ľ 2 )i + (10xy - 4đ?‘Ľ 3 )j


Per la concreta determinazione del gradiente in un punto occorre sostituire alle indeterminate x ed y i valori dati ovvero, nel caso di specie, x = 1 ed y = 2, avendo ∇f (x, y) = ( 5(2)2 – 12(2)(12 )i + (10(1)(2) – 13 )j, immediatamente calcolabile. La derivata direzionale nella direzione del versore u = (5/13, 12/13) è data dalla notazione đ??ˇđ?‘ˆ f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) ) (a, b) = (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) , đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) u. Tale notazione è sviluppabile all’uopo utilizzando la seconda formula del prodotto scalare avendosi che đ??ˇđ?‘ˆ f(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) = đ?‘“(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )a + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )b. Anche tale valore è immediatamente determinabile ove si ponga a = 5/13 e b = 12/13 oltre a đ?‘Ľ0 = 1 e đ?‘Ś0 = 2. Ho constatato che in alcuni degli esercizi proposti agli studenti non vengono indicate le componenti (minori dell’unitĂ ) che definiscono il versore unitario bensĂŹ si considera la direzione della retta passante per un dato punto, con una inclinazione assegnata đ?œ‘0 . In casi del genere ai passaggi precedenti ne va premesso uno per il quale assegnato đ?œ‘0 occorre determinare sin(đ?œ‘0 ) e cos(đ?œ‘0 ). Tali valori sono la coppia ordinata che definisce il versore u. Sono facilmente bypassabili le difficoltĂ del tipo l’avere non un versore ma un vettore di norma maggiore dell’unitĂ . Se per esempio fosse richiesto di determinare la derivata direzionale nella direzione di un vettore v = (4, - 3) si evidenzia che dato detto vettore è possibile determinare il versore avente la medesima direzione (e anche lo stesso verso!)ricordando che vale đ?’–đ?’— = (1/âˆŁvâˆŁ v. Nel caso di specie sarebbe âˆŁvâˆŁ = √ đ?&#x;’đ?&#x;? + đ?&#x;‘đ?&#x;? = √25 = 5. Pertanto đ?’–đ?’— = (4/5, - 3/5). Detto vettore (di modulo unitario) può essere posto nella forma đ?’–đ?’— = (4/5)i + (-3/5)j = (4/5)i – (3/5)j.

Ho deciso di riservare al futuro la continuazione dello studio delle funzioni đ?‘… đ?‘› â&#x;ś R e in particolare la determinazione per n = 3 dei massimi, dei minimi e dei punti di sella.


I GRANDI MATEMATICI DEL PASSATO Evariste Galois

Il nome di Evariste Galois è legato alle strutture algebriche, al gruppo delle permutazioni e alle problematiche legate alla risoluzione delle equazioni algebriche. Nell’elaborazione di questa nota ho tratto spunto, per gli aspetti inevitabilmente introduttivi di un vecchio testo di algebra delle scuole superiori (Swirner-Scaglianti, Algebra, strutture-funzioni, parte I, Cedam). Dovrò essere ovviamente molto sintetico e andrò per punti salienti.

Ovviamente il moderno approccio alla teoria non è quello di Galois ma a Lui è attribuibile l’inagurazione dell’algebra moderna astratta.

(copia originale di un manoscritto del Galois)


1. Nozione di struttura algebrica Dato un insieme non vuoto E viene definita legge di composizione interna (operazione binaria interna) la corrispondenza che associa ad una coppia ordinata (a, b) di elementi di E uno ed uno solo elemento, c, pure di E. La legge di corrispondenza può essere indicata con un simbolo qualunque, per esempio, il simbolo ⎈. Molte volte ⎈ assume significati più concreti, come + oppure * che designano le ordinarie somme o moltiplicazioni su insiemi numerici. In astratto possono avere significato scritture del tipo a⎈b = a che significa che per ogni coppia (a, b) il risultato della composizione riproduce la prima componente della coppia. Vorrei ricordare che alcune leggi di composizione sono definite ovunque, nel senso che esse portano ad un risultato comunque si considerino a e b. Questo non è sempre vero. Basti pensare al caso, già ricordato in precedenza in DIAMO I NUMERI, del fatto che la differenza in N è ammissibile per a > b, ovvero (a – b) ∈ N, quando a > b. In casi del genere si parla di leggi di composizione parzialmente definite con riferimento ad un dato insieme. Dato un insieme non vuoto E ed una legge di composizione interna ⎈ la cui natura è astratta ma definibile rigorosamente (un simbolo cui è associato un criterio oggettivo che consente di definire e = a⎈b, quando si ha nota la coppia (a, b) si dice che ⎈ è: 1) associativa se (a⎈b)⎈c = a⎈(b⎈c). Le parentesi indicano la precedenza nella composizione; 2) commutativa se a⎈b = b⎈ a; 3) cancellazione (o semplificazione): a⎈b = a⎈c ⟾ b = c ed anche b⎈a = c⎈a ⟾ b =c. 4) elemento neutro: a ⎈n = n⎈ a = a. l’elemento n è detto neutro rispetto alla legge ⎈. 5) elemento simmetrico a⎈a’ = a’⎈a = n. Devo osservare in relazione ai punti 4) e 5) il nesso con la commutatività. I punti 4) e 5) devono intendersi nel senso della possibilità di esistenza del neutro e del simmetrico, sempre riferiti ad una assegnata (quando essi esistono) legge di composizione interna binaria. Il termine “binaria” afferisce al fatto che si opera su una coppia di elementi per ottenere un elemento pure appartenente al dato insieme. A questo punto è possibile dare una definizione di struttura algebrica. Essa coinvolge un insieme non vuoto nel quale siano definite una o più leggi di composizione interna binaria. Si utilizza anche il termine insieme strutturato.

2. Il gruppo commutativo Sia dato un insieme G non vuoto. Esso può avere un numero finito di elementi, oppure un numero infinito di elementi. Se l’insieme ha un numero finito di elementi detto numero intero è detto numero cardinale. Un insieme G non vuoto, dotato di una legge di composizione * (non è detto sia l’ordinaria ben nota moltiplicazione tra numeri!), è detto gruppo commutativo se la legge di composizione interna * gode della proprietà associativa, rispetto ad essa esiste (ed è


unico) l’elemento neutro, esiste, per ogni elemento a di G un elemento a’ detto simmetrico. Il simmetrico di un elemento è unico e distinti elementi hanno distinti simmetrici. Vale la proprietà commutativa. Tra le proprietà ulteriori dei gruppi commutativi (o abeliani) deve essere ricordata la semplificazione, valevole per ogni elemento di G. Per essa si ha a*b = a*c ⟾ b=c. Se a e b sono elementi di G, pure a*b è elemento di G (perché * è una legge di composizione interna). Ma pure (a*b)’ ovvero il simmetrico di a*b è elemento di G. Si può dimostrare che (a*b)’ = b’*a’. Il termine gruppo utilizzato da Galois è stato formalizzato successivamente. Ecco una rappresentazione grafica, in una forma dovuta a Klein.

(questa figura è attribuita al matematico tedesco Klein)

3. Criteri di “studio” di una legge di composizione Gli step sono i seguenti: 1) verificare se essa è interna; 2) se essa e risultata interna verificare se 2.1) essa è associativa e 2.2) se essa è commutativa; 3) verificare se esistono l’elemento neutro e l’elemento simmetrico.

Risoluzione delle equazioni Ho potuto trovare in rete un bel saggio su Evariste Galois (wwwdimat.unipv.it/∿rosso/Galois.pdf) ove si ricorda che Egli “riscrive una equazione algebrica F(x) = 0 con F polinomio di grado n nella forma φ(x) = x considerandola cioè come un problema di punto fisso e si pone il problema di trovare le radici reali più vicine ad un numero reale a , una per difetto l’altra per eccesso. (….). Il metodo di risoluzione è articolatamente enunciato in tale testo. Ma più in generale Egli partì dal concetto di riducibilità dei polinomi nel senso della esistenza di divisori razionali. Nel caso di equazioni letterali “la sua riducibilità consiste nell’avere essa un divisore i cui coefficienti si possono esprimere razionalmente in termini di coefficienti dell’equazione di partenza”. Egli introdusse un accrescimento del campo Q dei coefficienti dell’equazione che “può rendere riducibile un’equazione che non lo era prima”.


Permutazioni In effetti le idee di Galois vengono rappresentate con l’approccio elaborato da Camille Jordan per il quale “un sistema di sostituzioni forma un gruppo se il prodotto di due sostituzioni qualsiasi appartenenti al sistema pure appartiene al sistemaâ€?. Un gruppo di sostituzioni tra le lettere Îą, β, Îł, ‌. è detto transitivo se le sostituzioni consentono di portare una qualsiasi di esse al posto inizialmente occupato da una di esse, ad esempio Îą. La trasformazione di una sostituzione a da parte di una sostituzione b è: bađ?‘? −1 . Dato un gruppo G il gruppo trasformato da b∈ đ??ş è il gruppo i cui elementi sono (bđ?‘Žđ?‘– đ?‘? −1 ,‌‌‌). Se detto gruppo coincide con G esso è detto permutabile. Quanto alle Memorie di Galois vorrei ricordare per punti che: 1) una equazione irrazionale non può avere alcuna radice in comune con una equazione razionale senza dividerla; 2) assegnata una equazione priva di radici coincidenti, a, b, c,‌. si può formare una funzione delle radici; 3) le radici dell’equazione si esprimono razionalmente essendo V= Aa + Bb +‌‌ . Per gli sviluppi e gli approfondimenti rimando a www-dimat.unipv.it/âˆżrosso/Galois.pdf, al quale, parzialmente, mi sono ispirato, per elaborare questa modesta sintesi.

Da un punto di vista puramente combinatorio le permutazioni di un insieme i cui elementi sono a, b e c sono immediatamente le seguenti: (a, b, c), (a, c, b), (b, a, c), (b, c, a), (c, a, b), (c, b, a). In un insieme di n elementi il numero delle possibili permutazioni è n! Nel caso n = 3 si hanno 3! = 3*2 = 6 permutazioni. La ragione della presenza del fattoriale è immediata perchĂŠ se si hanno n elementi, ognuno di essi può essere il primo elemento della sequenza, il secondo elemento può essere uno degli (n-1) elementi, etc. Viene definito un principio, detto della piccionaia, per il quale immaginando di inserire gli elementi entro caselle la prima casella può contenere n distinti elementi, la seconda (n-1) elementi, la terza (n-2) elementi, e via fino all’ultima che – inseriti gli (n-1) elementi nelle prime (n-1) caselle, consenti di inserire l’ultimo elemento in unico modo nell’ultima casella. Pertanto đ?‘ƒđ?‘›,đ?‘› = n!


L’ANGOLO DEL FISICO Le funzioni vettoriali e gli sviluppi della meccanica classica

1. Formalizzazione delle proprietà dei vettori Gli sviluppi della fisica classica richiedono una breve formalizzazione delle proprietà devi vettori. Viene definito un insieme i cui elementi si dicono vettori. Ogni vettore di detto elemento è l’elemento rappresentativo della classe dei segmenti orientati, tutti equipollenti. Due segmenti orientati sono equipollenti quando hanno la stessa direzione, lo stesso verso e lo stesso modulo (o distanza tra gli estremi). Due vettori sono distinti se appartengono a distinte classi di equivalenza. In pratica due vettori sono distinti quando differiscono per almeno una delle tre condizioni che definiscono l’equipollenza tra segmenti orientati, ovvero se essi hanno differente verso e/o differente direzione e/o differente lunghezza (o distanza tra gli estremi). Due vettori sono eguali se e solo se sono lo stesso vettore. Vengono definite particolari proprietà algebriche dei vettori, dovendo introdursi due particolari operazioni sui vettori, la somma vettoriale + e il prodotto di un vettore per uno scalare reale. Le proprietà sono A+B=B+A

commutatività della somma

A + (B + C) = (A + B) + C

associatività della somma

m(nA) = (mn)A = n(mA)

associatività della moltiplicazione

(m+n) A = mA + nB

leggi di distibutività

m(A + B) = mA + mB Già da come sono introdotte le proprietà si dovrebbe comprendere che la somma di vettori è un vettore, quindi un elemento dell’insieme dato, così come la moltiplicazione di un vettore per uno scalare. Solitamente i numeri m ed n sono reali, ma potrebbe capitare di trovare m ed n come quantità complesse, del tipo a+ib, essendo a e b due numeri reali.


2. Definizione di versore Assegnato un vettore A il vettore đ?’–đ?‘¨ = A/│A│ è detto vettore unitario (versore). Per esso si ha │u│= 1. I vettori đ?’–đ?‘¨ e A hanno la stessa direzione e lo stesso verso.

3. La base ortonormale i, j, k I versori i , j , e k sono tre versori, quindi vettori di modulo unitario, aventi la direzione dei tre assi

coordinati,

x,

y,

e

z.

Sono

detti

anche

vettori

unitari

rettangolari.

4. Le componenti di un vettore Ăˆ utile ricordare che un vettore di đ?‘… 3 può essere inteso come la somma vettoriale di tre vettori aventi le direzioni dei vettori costitutivi della base ortonormale i, j, k. Pertanto un generico vettore di tale spazio è del tipo V = đ?‘Ľ0 đ?’Š + đ?‘Ś0 đ?’‹ + đ?‘§0 đ?’Œ . Questo modo di intendere definisce, come detto precedentemente, il raggio vettore o vettore posizione.

5. Spazio vettoriale đ?‘˛đ?’? e sottospazi Lo spazio đ??ž đ?‘› è uno spazio vettoriale se sono verificate le seguenti condizioni: 1) chiusura della somma vettoriale e della moltiplicazione di un qualunque vettore per uno scalare; 2) il vettore (0, 0, ‌., 0) costituito da una sequenza di n zeri è elemento di đ??ž đ?‘› . Esso è l’elemento neutro per l’addizione; 3) dato il vettore v = (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ‌ ‌ . đ?‘Łđ?‘– , ‌ . . , đ?‘Łđ?‘› ) esiste (ed è unico) il vettore – v = (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ‌ ‌ . đ?‘Łđ?‘– , ‌ . . , đ?‘Łđ?‘› ) = ( - đ?‘Ł1 , − đ?‘Ł2 , ‌ ‌ . , − đ?‘Łđ?‘– , ‌ ‌ . , − đ?‘Łđ?‘› ); 5) esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione (unico). Per K = R esso è il numero reale + 1.


Si ammette che (đ??ž đ?‘› , +) sia un gruppo abeliano. Le proprietĂ formali sono quindi immediatamente definibili (vedasi la parte che riguarda la struttura di gruppo commutativo). Per le applicazioni pratiche elementari si ammette sia K = R, ovvero si definisce la struttura (đ?‘… đ?‘› , +). Per quanto riguarda l’azione del campo R su V , ovvero le proprietĂ moltiplicative (prodotto di un vettore per un scalare) è immediato stendere al caso di đ?‘… đ?‘› quando giĂ detto per đ?‘… 3 .

6. Dipendenza e indipendenza lineare Ăˆ possibile definire il concetto di dipendenza lineare di vettori. Assegnati k vettori dello spazio vettoriale V è possibile considerare k parametri reali , al limite tutti distinti, đ?‘Žđ?‘– , ottenendo il vettore v = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . Tale vettore esiste giacchè sono coordinabili nella forma che lo definisce le proprietĂ di chiusura della somma vettoriale e del prodotto di un vettore per uno scalare. Ma spesso il problema è un altro, ovvero se gli assegnati vettori sono tali che đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ = 0 (eguali quindi al vettore nullo). L’eguaglianza diventa banale quando tutti gli đ?‘Žđ?‘– = 0 (per l’annullamento del prodotto). In questo caso i vettori considerati si dicono linearmente indipendenti. Quando gli scalari đ?‘Žđ?‘– non sono tutti nulli e risulta đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ = 0 allora detti vettori sono linearmente dipendenti.

7. Base canonica Bisogna partire dalla definizione appena data di combinazione lineare di vettori. Essa è nella forma đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . Si dice che i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ ., đ?’—đ?’Š ,. ‌., đ?’—đ?’Œ formano un sistema span se ogni vettore v ∈ V è del tipo v = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . L’insieme di vettori ( đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ ., đ?’—đ?’Š ,. ‌., đ?’—đ?’Œ ) costituisce una base se sono verificate due condizioni: a) i vettori che lo costituiscono sono linearmente indipendenti e b) se sono uno span. L’esempio piĂš tipico di base canonica in đ?‘… 3 è la nota base ortonormale dei versori i, j, k. Si noti che data una base – la cosa è davvero molto intuitiva – un vettore viene definito in modo univoco. Anzi, l’unicità è riferita ad una base. Infatti si potrebbe sempre pensare di introdurre una distinta base i’, j’, k’, con versori non mutuamente ortogonali.


8. Il prodotto scalare e le relative proprietĂ Nell’introdurre i vettori e le operazioni su di essi si era considerata la somma e la moltiplicazione di un vettore per uno scalare. Esiste una prima operazione di moltiplicazione di vettori, detta prodotto scalare, che ha come risultato uno scalare, quindi un elemento non vettoriale. Il risultato del prodotto scalare non è un vettore. Il prodotto scalare viene definito come A*B = │A│*│B│cosφ con 0 ≤ φ ≤π, φ in pratica esprime l’angolo, con la data limitazione, tra i due vettori. Alcune proprietĂ del prodotto scalare (commutativitĂ , distributivitĂ , moltiplicazione per uno scalare) sono banali quanto a dimostrazione. Avendo in questa sintesi seguito lo Spiegel (Analisi matematica, McGraw Hill) correi ricordare per importanza che se si considerano le componenti dei vettori si ha una seconda forma del prodotto scalare A*B = đ?‘Ľ0 đ?‘Ľ1 + đ?‘Ś0 đ?‘Ś1 + đ?‘§0 đ?‘§1 . Se i vettori sono ortogonali si ha cos(Ď€/2) = 0. Questo giustifica scritture del tipo i*j = 0 etc. A*B = 0 A≠0 and B ≠0 â&#x;ž A⊼B. Non ho rinvenuto nel testo usato come “guidaâ€? (Spiegel, Analisi matematica, Mc Graw Hill) una relazione formale molto utile, quella che si rinviene solitamente nelle lezioni, per la quale │A│= √đ?‘¨ ∗ đ?‘¨ .

9. Il lavoro svolto da una forza L’esempio piĂš semplice di prodotto scalare è costituito dal concetto fisico di lavoro. Nella fisica elementare viene introdotta una grandezza fisica detta lavoro. Formalmente la grandezza fisica lavoro L è legata alla grandezza vettoriale F e allo spostamento vettoriale s dalla relazione L = F*s = │F││s│ cosφ con 0 ≤ φ ≤π, φ in pratica esprime l’angolo, con la data limitazione, tra i due vettori. Quindi L è una grandezza scalare. Considero ora l’equazione dimensionale corrispondente avendo che [L] = [F][L]= [L đ?‘‡ −2 đ?‘€âŚŒ[L] = [đ??ż2 đ?‘‡ −2 đ?‘€âŚŒ. Bisogna senz’altro definire l’unitĂ di misura del lavoro. Si ha lavoro unitario quando una forza di modulo unitario determina uno spostamento unitario. L’unitĂ di misura del lavoro in fisica è detta jaule, in onore del fisico inglese Jaule, avendosi che 1 jaule = 1 mewton * 1 metro. Giova osservare che in generale la quantificazione del lavoro presuppone sia noto l’angolo minimo tra i vettori assegnati. Nel caso essi siano ortogonali si ha il caso L = 0. In questo caso la forza non compie lavoro. Vorrei osservare che dimensionalmente il lavoro ha le dimensioni del quadrato di una velocitĂ per una massa, essendo [đ??ż2 đ?‘‡ −2 âŚŒ = [đ?‘‰]2 ⌋MâŚŒ.


Questa figura emblematica contiene la definizione dimensionale di lavoro in una forma meno evidente rispetto alla indicazione che il lavoro è dimensionalmente pari a una massa per il quadrato di una velocitĂ . Essa contiene l’indicazione di una unitĂ di misura ormai in disuso, l’erg. Lavoro può essere considerato sinonimo di trasferimento di energia.

10. L’energia è! l’attitudine a compiere un lavoro. L’unitĂ di misura è la medesima del lavoro. Essa verrĂ considerata sub specie di energia cinetica (legata al moto dei corpi), ma anche come energia potenziale (di un corpo nel campo g) etc. Essa va considera di volta in volta.

11. L’energia cinetica L’energia cinetica è ( Halliday, Resnick, Walker, Fondamenti di fisica, VI edizione) “l’energia associata al movimento dei corpiâ€?. Anche in questo caso, l’energia è dimensionalmente pari a una massa per il quadrato di una velocitĂ . La formula classica, valida per v << c, è data dalla formula đ??¸đ?‘?đ?‘–đ?‘› = ½ mđ?‘Ł 2 . Si è detto che il lavoro è una grandezza scalare, ottenuta dal prodotto scalare di due vettori F e d secondo la relazione L = Fd cosφ. Infatti -1 ≤ cosφ ≤ 0 per Ď€/2 ≤ φ ≤ Ď€. Ove operino piĂš forze il lavoro totale è la somma (algebrica) dei lavori imputabili alle singole forze. Dal punto di vista operativo il lavoro è la differenza tra l’energia cinetica finale e quella iniziale, con riferimento ad un dato ∆t. Quindi si può scrivere L = ∆K = đ??¸đ?‘?đ?‘–đ?‘› đ?‘“đ?‘–đ?‘› - đ??¸đ?‘?đ?‘–đ?‘› đ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘§ Questa riflessione vale anche nel campo gravitazionale g. Basta ricordare che đ??żđ?‘” = đ??šđ?‘” d cosφ, ove đ??šđ?‘” = mg. Nel caso della salita del corpo cosφ = - 1. Quindi si avrĂ đ??żđ?‘” < 0. Nel caso di discesa


(dopo averlo lanciato un corpo raggiungerĂ solitamente un massimo di altezza per poi iniziare la caduta‌) e in questo caso sarĂ đ??żđ?‘” > 0. Ăˆ immediato dimostrare che se si misura l’energia cinetica alla fine dello spostamento essa è la stessa di quella posseduta dal corpo all’inizio dello spostamento.

12. La conservazione dell’energia

In ipotesi ideali (assenza di attrito) in ogni istante vale per un corpo M il principio di conservazione dell’energia. Ho rinvenuto in Internet questa pregevole figura che indica una traiettoria vincolata rispetto alla quale è possibile dire che in ogni istante vale la seguente relazione: Energia totale posseduta dal corpo = energia potenziale gravitazionale + energia cinetica. All’inizio dei tempi il corpo ha una energia potenziale gravitazionale + mgh, quindi esso comincia la discesa e nel secondo punto esso ha una energia potenziale gravitazionale mgh’ e una energia cinetica (1/2)mđ?‘Ł 2 . In questo istante l’energia totale sarĂ mgh’ + (1/2)mđ?‘Ł 2 . Si ammette che valga la conservazione dell’energia totale quindi si ammette sia mgh = mgh’ + (1/2)mđ?‘Ł 2 . Questa può essere considerata una equazione in v ammettendosi accettabile solo la soluzione v > 0. Nella figura è disegnata una terza posizione nella quale l’energia potenziale si ammette sia nulla e tutta l’energia sarĂ cinetica. Ma deve valere sempre la conservazione dell’energia quindi si potrĂ dire che mgh = ½m(đ?‘Łđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ )2 . Anche questa può essere considerata una equazione ove l’incognita è la velocitĂ . Vorrei poi osservare che nelle dette equazioni è possibile dividere ambo i membri per m evidenziando che v e đ?‘Łđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ dipendono da g (supposto costante) e da h. Considerare l’energia gravitazionale potenziale nulla nel punto di minimo (al suolo‌.) è ammissibile in quanto i valori in quota e al suolo sono dati a meno di una costante. Analoghe riflessioni possono essere fatte per le successive posizioni disegnate sulla data


montagna russa. Questa riflessione vale per ogni t, quindi possiamo dire che E(t) = đ??¸đ?‘?đ?‘œđ?‘Ą (t) + đ??¸đ?‘?đ?‘–đ?‘› (t) = mgh(t) + ½(m)(đ?‘Łđ?‘Ą )2 . đ?‘Łđ?‘Ą indica la velocitĂ istantanea al tempo t. Ho mutuato dal testo Halliday, Resnick, Walker ma questa figura di autore ignoto mi è stata molto utile per semplificare le mie precedenti osservazioni sulla conservazione dell’energia. In realtĂ le cose sono molto piĂš complesse perchĂŠ intervengono forze che ostacolano il moto, quali la resistenza e l’attrito. Su di esse bisognerĂ ritornare nel futuro‌.

13. La potenza Per potenza in fisica si intende il rapporto tra il lavoro compiuto e il tempo necessario. Formalmente si ha la potenza media P = L/∆t. Molto spesso viene utilizzata la potenza istantanea definita come đ?‘ƒđ?‘–đ?‘ đ?‘Ą. = dL /dt. L’unitĂ di misura della potenza è il watt = 1 jaule/1secondo. Ăˆ immediato dimostrare che la potenza è un prodotto scalare, ovvero si ha P = F.v.

14. Sistema destrorso La figura sottostante evidenzia chiaramente cosa debba intendersi per terna destrosa.

15. Il prodotto vettoriale Esiste una seconda operazione di moltiplicazione tra vettori che genera un vettore. Trattasi del prodotto vettoriale di due vettori. Si consideri un piano su cui giacciono i due vettori. Il vettore C = A X B è un vettore ortogonale ai vettori dati e quindi anche al piano su cui


giacciono i dati vettori. Tale vettore ha modulo │C│ = │A││B││sinφ│ ove 0 ≤ φ ≤ Ď€. Quanto alla direzione essa è quella della retta ortogonale al piano definito dai due vettori. Resta da definire il verso del vettore C tra i due possibili. Il verso è quello che consente di definire i tre vettori come una terna destrorsa. Si ha che C = (│A││B││sinφ│) u. Il prodotto vettoriale è nullo quando i vettori A e B sono entrambi nulli nulli, quando sono lo stesso vettore ovvero A = B, oppure quando sono linearmente dipendenti, ovvero nel caso di due vettori quando esiste un scalare non nullo Ď„ per il quale A = Ď„B. Per la limitazione fatta │sinφ│ = sinφ. In fisica è di particolare utilitĂ il determinante di Laplace đ?’Š đ?‘Ž1 đ?‘?1

đ?’‹ đ?‘Ž2 đ?‘?2

đ?’Œ đ?‘Ž3 = A X B đ?‘?3

Questa notazione potrĂ essere rivista dopo le PILLOLE MATEMATICHE del prossimo mese nel quale saranno introdotte le prime nozioni di Algebra lineare. Ăˆ bene ricordare che il prodotto vettoriale gode di precise proprietĂ che potranno essere esaminate in sede di approfondimento. Per ora è bene ricordare la non commutativitĂ del prodotto vettoriale. Questa pregevole figura esprime bene la non commutativitĂ del prodotto vettoriale.

16. Funzione vettoriale e campo vettoriale L’avvio de L’ANGOLO DEL FISICO aveva visto, a febbraio, la considerazione che un vettore v di đ?‘… 3 è individuato da una terna di numeri reali (x, y, z). Analoga riflessione può essere riferita ai versori della base ortonormale, avendosi che i = ( 1, 0, 0), j = ( 0, 1, 0) e k = (0, 0, 1). Vorrei osservare che è possibile definire il vettore 0 = ( 0, 0, 0). Rimanendo nello spazio a tre dimensioni è possibile introdurre operativamente le funzioni vettoriali, utili nello studio concreto dei problemi cinematici piĂš elementari. Fino ad ora si era


rimasti a riflessioni cinematiche sfumate e si era definito il vettore spostamento. Ora bisogna affinare le problematiche per giungere a “vedereâ€? il moto del corpo nel tempo, a individuare quindi la sua traiettoria. Fino ad ora avevamo visto il vettore posizione ai tempi đ?‘Ąđ?‘– e đ?‘Ąđ?‘–+1 definendo ∆r. A questo punto è opportuno considerare con continuitĂ il moto del corpo nello spazio. Lo strumento matematico che consente di fare ciò è la funzione vettoriale cosĂŹ formalizzata r(t) = f(t)i + g(t)j + h(t)k, ove f(t), g(t) e h(t) sono tre funzioni di R â&#x;ś R. t in luogo di x indica che la variabile indipendente è il tempo. All’istante t = đ?‘Ą0

la posizione del corpo è definita dalla terna (x=

f(t 0 ), y= g(đ?‘Ą0 ) , z = h(đ?‘Ą0 )). I limiti e la continuitĂ di una funzione vettoriale sono ricondotti ai limiti e alla continuitĂ delle funzioni scalari che la definiscono. Pertanto una funzione vettoriale ammette un limite per t â&#x;śđ?‘Ą0 quando tale limite esiste finito per tutte le funzioni scalari. In modo analogo si procede per la continuitĂ . Quindi una funzione vettoriale risulta continua quando sono continue le dette funzioni per t â&#x;śđ?‘Ą0 . r(t) = f(t)i + g(t)j + h(t)k definisce la traiettoria del corpo in moto. Ove si decidesse di operare in đ?‘… 2 allora si potrebbe ammettere che h(t) = 0 ∀ t ≼ 0 (dichiarando quindi h(.) identicamente nulla). Operando in R (in una dimensione, dunque‌) sarebbe da porre g(t) = h(t) = 0 ∀ t ≼ 0.

17. Derivata vettoriale Anche per le funzioni vettoriali viene definita una nuova funzione vettoriale detta derivata vettoriale. In genere si deriva rispetto al tempo. Formalmente possiamo scrivere che đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

r = r’(t) = lim (đ?’“(t + ∆t) − đ?’“(đ?‘Ą))/ ∆đ?‘Ą ∆đ?‘Ą â&#x;ś0

Operativamente la derivata vettoriale di una funzione vettoriale si ottiene immediatamente facendo le derivate delle funzioni scalari di r(t). Presupposto dell’esistenza della derivata vettoriale è quindi la derivabilitĂ delle funzioni f(t), g(t) e h(t). Formalmente possiamo sintetizzare il tutto nel modo seguente: đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

r = r’(t) = lim (đ?‘&#x;(t + ∆t) − đ?‘&#x;(đ?‘Ą))/ ∆đ?‘Ą = f’(t)i + g’(t)j + h’(t)k ∆đ?‘Ą â&#x;ś0

ovvero r’(t) = f’(t)i + g’(t)j + h’(t)k


Il vettore r’(t) è tangente alla traiettoria definita da r(t) Per prassi viene spesso utilizzato un versore T(t) = r’(t)/ │r’(t)│.

18. Equazioni parametriche Sia assegnata una funzione a valori vettoriali r(t) = ( f(t), g(t), h(t) ). Le corrispondenti equazioni parametriche sono x = f(t), y = g(t) e z = h(t). Giova osservare che per avere una traiettoria complanare deve essere una delle tre funzioni identicamente nulla o costante per t ≼ 0. Ma questa osservazione non esaurisce tutte le possibilità di traiettoria in un piano qualunque. Il testo di Stewart fornisce interessanti esemplificazioni. In genere si tende a eliminare il parametro t.

18.1 Semplici esercizi sulle equazioni parametriche Dai dati x = t, y = 1/1+đ?‘Ą 2 , z = đ?‘Ą 2 si ha la seguente funzione vettoriale r(t) = ti + (1/1+đ?‘Ą 2 )j + đ?‘Ą 2 đ?‘˜ = (t, (1/1+đ?‘Ą 2 ), đ?‘Ą 2 ). Anche i domini delle funzioni vettoriali sono abbastanza standard rifacendosi ai domini delle corrispondenti funzioni scalari. Anche in questo caso mi rifaccio al testo di Steward (op. cit.). Per esempio viene chiesto di determinare il dominio della seguente funzione vettoriale r(t) = (đ?‘Ą 2 , √đ?‘Ą − 1 , √5 − t). Deve osservarsi che poichĂŠ si ragiona nel dominio del tempo deve essere t ≼ 0. Giova poi osservare che per la seconda componente scalare deve essere t -1 ≼ 0 â&#x;ž t ≼ 1. Per la terza componente scalare deve essere 5 – t ≼ 0 ovvero – t ≼ - 5 quindi t ≤ 5. Pertanto, l’assegnata funzione vettoriale descrive nel dominio del tempo una traiettoria per un corpo nell’intervallo di tempo ⌋0 , 5âŚŒ. Altro esempio potrebbe đ?‘Ąâˆ’2

essere il seguente r(t) = đ?‘Ą +2 i + sin(t)j + ln(9 - đ?‘Ą 2 )k . La quantitĂ

đ?‘Ąâˆ’2 đ?‘Ą +2

per t ≼ 0 è non negativa

per t ≼ 2. Nessun problema per sin(t). Deve però essere, per la condizione di esistenza in relazione all’argomento del logaritmo. Deve risultare 9 - đ?‘Ą 2 > 0 â&#x;ž (3 + t) (3 – t) > 0 Quando t ≼ 0 la condizione di esistenza è t ∈ ⌋0, 3). Pertanto detta funzione vettoriale descrive la traiettoria per t ∈ ⌋0, 3). Vorrei fare una piccola osservazione sempre utile quando non è data una limitazione per t : t ≼ 0, per esempio quando si utilizza l’indeterminata x la condizione seguenti:

đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘”(đ?‘Ľ)

> 0 presuppone si debbano considerare i due casi


1) f(x) < 0 e g(x) < 0; 2) f(x) > 0 e g(x) > 0. Ăˆ immediato discutere il caso Il caso

đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘”(đ?‘Ľ)

đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?‘”(đ?‘Ľ)

< 0.

= 0 si ha per gli x che annullano f ovvero risolvendo la equazione f(x) = 0.

La f non è definita per gli x che annullano g, ovvero per gli x soluzioni della equazione g(x) = 0.

Vorrei osservare che in relazione alle funzioni vettoriali deve sempre porsi t ≼ 0. L’intervallo di tempo (đ?‘Ą1 , đ?‘Ą2 ) per il quale essa è idonea a definire la traiettoria è (đ?‘Ą1 , đ?‘Ą2 ) = â‹‚ đ?‘‘đ?‘œđ?‘š đ?‘“đ?‘– (t) per t ≼ 0. All’uopo vorrei esplicitare quanto detto risolvendo un esercizio proposto dallo Stewart. Esso chiede di determinare dominio, limite per t â&#x;ś 0 della seguente funzione vettoriale: r(t)= (√2 − đ?‘Ą ,

đ?‘’ đ?‘Ą −1 đ?‘Ą

, ln(t+1))

PoichÊ si opera nel dominio del tempo deve essere t ≼ 0 . Ove si considerino le funzioni scalari h(t) =

đ?‘’ đ?‘Ą −1 đ?‘Ą

đ?‘’ g(t) = ln(t+1)) non si hanno particolari problemi in quanto dom h(t) = dom g(t)

= {t : t ≼ 0}. Non resta che considerare la prima funzione scalare f(x) = √2 − đ?‘Ą. In questo caso deve essere 2 – t ≼ 0 ovvero – t ≼ - 2 ovvero t ≤ 2. Pertanto dom f(t) = ⌋0 . 2âŚŒ. Pertanto il dom r(t)= (√2 − đ?‘Ą ,

đ?‘’ đ?‘Ą −1 đ?‘Ą

, ln(t+1)) = dom h(t) â‹‚ dom g(t) â‹‚ dom f(t) = ⌋0 . 2âŚŒ. Viene quindi richiesto

di determinare il limite per t â&#x;ś 0. lim đ??Ť(t) si ottiene calcolando i limiti delle tre funzioni đ?‘Ąâ&#x;ś0

scalari, per t â&#x;ś 0. Essi sono immediati. Infatti lim √2 − đ?‘Ą = √2 − lim đ?‘Ą = √2 − 0 = √2 . đ?‘Ą â&#x;ś0 đ?‘Ąâ&#x;ś0 lim

đ?‘Ą â&#x;ś0

đ?‘’ đ?‘Ą −1 đ?‘Ą

=1 (si tratta di un limite notevole!). Anche il terzo limite è immediato. Infatti per t

â&#x;ś0+ si ha che ln(1+ t) â&#x;ś ln(1). Ma ln(1) = 0, infatti, per la definizione elementare di logaritmo, esso è l’esponente cui elevare la base, in questo caso e, per ottenere il numero dato, dovendo, quindi, aversi đ?‘’ 0 = 1. Una diversa tipologia di esercizi prevede di dover stabilire se una curva di assegnate equazioni parametriche passa o meno per un punto dato. Ăˆ proposto di stabilire se la curva definita da x = đ?‘Ą 2 , y = 1 + 3t, z = 1 - đ?‘Ą 3 passa per (1, 4, 0). In questo caso occorre verificare se esiste un t* tale che 1 = (đ?‘Ą ∗)2 4 = 1 + 3t* , 0 = 1 –( đ?‘Ą ∗)3. Da 1 = (đ?‘Ą ∗)2 đ?‘ đ?‘– â„Žđ?‘Ž t* = 1. Tale valore è soluzione pure delle due ulteriori equazioni. Quindi (1, 4, 0) è un punto della traiettoria. Il


corpo passa per detto punto al tempo t = 1. La condizione di posizione iniziale si ha per t = 0 e corrisponde al punto (0, 1+3*0, 1 – 3*0) = (0, 1, 1). Quando non esiste un t* che verifica le equazioni nel dominio del tempo assegnate allora il punto ipotizzato non è del luogo.

18.2 Le coordinate cilindriche Ăˆ istruttivo ricordare che la posizione di un punto può essere definita oltre che dalla terna (a, b, c) anche dalle cosiddette coordinate cilindriche, come ben si desume dalle due figure sotto riportate.

Esistono immediate formule di trasformazione che consentono il passaggio dalle coordinate cartesiane a quelle cilindriche e viceversa. Le coordinate cilindriche sono x = r cosθ, y = r sinθ, z = z. Come ben si vede dalle figure θ è l’angolo che il raggio vettore forma con la direzione positiva delle x. I valori di x e di y tengono conto che sezionando un cilindro con un piano ortogonale all’asse z si ottiene per ogni z sempre una circonferenza di raggio r. Quando r = 1, si può definire il coseno e il seno. đ?‘Ś

Le formule di trasformazione sono elementari risultando đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = đ?‘&#x; 2 tg(θ) = đ?‘Ľ per x ≠0 z = z

18.3 Qualche esercizio sulle coordinate cilindriche Scrivere le coordinate sferiche date le rettangolari. (- 3, 0, 0). Occorre calcolare r = √ (−3)2 + 02 = √9 = 3, ma si ha che x = r cosθ â&#x;ž - 3 = 3 cosθ â&#x;ž cosθ = - 1 â&#x;ž θ = arccos (-1) â&#x;ž θ = Ď€ + 2kĎ€ = Ď€(1 + 2k) per ogni k intero relativo. A


meno della periodicitĂ possiamo scrivere che θ = Ď€ (in rad.). Pertanto le coordinate cilindriche del punto (- 3, 0, 0) sono date dalla terna ( 3, Ď€, z). (0, 2, -2). Questo caso è ancora piĂš immediato perchĂŠ r = √ (2)2 + 02

= √4 = 2. Considero

la relazione y = r sinθ, avendo, per i dati del problema, che 2 = 2 sinθ â&#x;ž sinθ = 1 â&#x;ž θ = arctg(1) â&#x;ž θ =

đ?œ‹ 2

đ?œ‹

+ 2kĎ€. A meno della periodicità θ = 2 . Pertanto le coordinate cilindriche di

detto punto sono (2,

đ?œ‹ 2

, -2).

(1, - √3, 2). In questo caso si ha r = √ (1)2 + (− √3 )

2

= √1 + 3 = √4 = 2. Per la seconda

coordinata, quella angolare, in questo caso poichĂŠ x = 1 ≠0, posso utilizzare la relazione tgθ = đ?‘Ś đ?‘Ľ

1

avendosi che tgθ = −√3 = -

1

. Tale valore si ricava con un semplice calcolatore tascabile. Nel

√3

risolvere detta equazione bisogna comunque ricordare la periodicitĂ della funzione tg(.) che è periodica di periodo Ď€. Pertanto θ = artg(-

1

) = đ?œƒđ?‘šđ?‘–đ?‘› + kĎ€, ove k è un intero relativo.

√3

Potrebbe essere richiesto di disegnare un punto di đ?‘… 3 di cui sono assegnate le coordinate cilindriche, per esempio (3,

đ?œ‹ 2

, 1). La prima coordinata individua r quindi è bene disegnare

una circonferenza del piano xy di centro O≥(0, 0) e di raggio 3. La seconda coordinata (quella đ?œ‹

angolare) ci dice che il raggio vettore forma un angolo di 2 con la direzione delle x positive. In pratica per i dati r giace sull’asse delle y. Questa informazione (lunghezza e direzione) ci consente di definire la y (in coordinate cartesiane). Essa è y = 3. Ma da y = 3 poichĂŠ r = 3 deve essere, ricordando che r = √ (đ?‘Ľ)2 + (đ?‘Ś)2 , si ottiene immediatamente che x = 0. z non subisce trasformazioni, quindi đ?‘§đ?‘?đ?‘–đ?‘™

= đ?‘§đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ą = 1. Pertanto il punto (stante x = 0) si trova nel

piano yz di coordinate (3, 1). Può capitare di dover determinare l’equazione in coordinate cilindriche, come nel caso che segue. đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 + đ?‘§ 2 = 16. Occorre metterla nella forma z = z(r). Giova osservare che đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 + đ?‘§ 2 = 16 â&#x;ž (đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 ) + đ?‘§ 2 = 16 â&#x;ž đ?‘&#x; 2 + đ?‘§ 2 = 16 â&#x;ž đ?‘§ 2 = 16 − đ?‘&#x; 2 â&#x;ž z = Âąâˆš16 − đ?‘&#x; 2 . In questo caso credo utile ricordare che deve essere 16 − đ?‘&#x; 2 ≼ 0, ovvero 16 ≼ đ?‘&#x; 2 â&#x;ž đ?‘&#x; 2 ≤ 16 ma per la limitazione su r > 0 deve essere 0 < r ≤ √16 = 4. Possiamo anche considerare un caso forse piĂš semplice. đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 =2y. In questo caso non è coinvolta la z si possono fare le sostituzioni đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = đ?‘&#x; 2 e 2y = r sin(θ) da cui đ?‘&#x; 2 = 2r sin(θ). Dividendo per r ≠0 si ha r = 2sinθ.


Ho tratto queste considerazioni da esercizi proposti dallo Stewart (op. cit.).

18.4 Ancora qualche osservazione sulle equazioni parametriche In buona sostanza può capitare che due grandezze variabili siano funzioni del tempo, ovvero siano assegnate due funzioni φ e θ tali che x = φ(t) e y = đ?œƒ(đ?‘Ą). Usando la notazione di Leibniz la derivata dy/dx è immediata essendo dy/dx =

đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ą

/

đ?‘‘đ?‘Ľ

. Tale è la formula indicata nel

đ?‘‘đ?‘Ą

Demidovic (op. cit). Se per esempio fosse richiesto di determinare la derivata dy/dx per x = 2t – 1 y = � 3 . Si ha dy/dt = 3� 2 e dx /dt = 2, quindi dy/dx = 6� 2 .

18.5 Funzioni implicite e loro derivazione Una scrittura del tipo F(x, y) = 0 è detta funzione implicita. Ăˆ una forma implicita ad esempio đ?‘Ľ 3 y + 2xđ?‘Ś 2 + x – y. Si ammette sia y = f(x). Si impone

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

F(x, y) = 0. Esempi risolti dal đ?‘‘

đ?‘‘

đ?‘‘đ?‘Ś

Demidovic. 2x – 5y + 10 = 0 In questo caso F(x, y) = 2x – 5y + 10. �� F(x, y) = 2 (�� (x)) – 5 �� �

+ �� 10 = 2(1) – 5

đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

+ 0 = 0 â&#x;ž 2 = 5(đ?‘‘đ?‘Ľ ) â&#x;ž

đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ

= 2/5

Forse è il caso di considerare un caso un poco piĂš complesso quale F(x,y) = đ?‘Ľ 3 + đ?‘Ś 3 = đ?‘Ž3 . I forma implicita essa viene scritta đ?‘Ľ 3 + đ?‘Ś 3 - đ?‘Ž3 = 0 Procediamo alla derivazione rispetto alla x avendo

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

F(x, y) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

đ?‘Ľ 3 + 3đ?‘Ś 2 (đ?‘‘đ?‘Ľ ) +

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?‘‘đ?‘Ś

đ?‘‘đ?‘Ś

(−đ?‘Ž3 ) = 3đ?‘Ľ 2 + 3đ?‘Ś 2 (đ?‘‘đ?‘Ľ ) + 0 = 3đ?‘Ś 2 (đ?‘‘đ?‘Ľ ) = - 3đ?‘Ľ 2 â&#x;ž

đ?‘Ľ

dy/dx = - ( đ?‘Ś)2 Credo che in questo esercizio l’unica difficoltĂ consista nel dover “vedereâ€? đ?‘Ś 3 come una funzione composta! dovendo applicare il relativo teorema sulla derivata di funzione composta. Vorrei concludere con un ulteriore esempio, sempre tratto dagli esercizi proposti dal Demodovic (op. cit.). Derivare đ?‘’ đ?‘Ś = x + y. Essa va messa in forma implicita, ovvero F(x.y) = đ?‘’ đ?‘Ś - x – y. Si deve ricordare che si intende đ?‘’ đ?‘Ś = đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) . Anche questa innegabilmente è una funzione composta per la quale si ha che đ??ˇđ?‘Ľ = đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) = f’ (x) đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) . Per gli altri due “pezziâ€? della funzione si ha che đ??ˇđ?‘Ľ (- x) = - 1 e đ??ˇđ?‘Ľ (- y) = - f’ (x). Pertanto F ‘(x.y) = f’ (x) đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) - 1 – f’(x) = 0


đ?‘‘đ?‘Ś

1

đ?‘‘đ?‘Ś

1

â&#x;ž f’(x) ⌋ đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) - 1 âŚŒ = 1 da cui đ?‘‘đ?‘Ľ = đ?‘’ đ?‘“(đ?‘Ľ) − 1. L’autore mette il risultato nella forma đ?‘‘đ?‘Ľ = x+ y

.

−1

Ad esso si arriva per sostituzione in quanto đ?‘’ đ?‘Ś = x + y.

19. Il vettore v Con riferimento ai contenuti del § 17 vorrei ricordare che dal punto di vista fisico il vettore r’(t) = f’(t)i + g’(t)j + h’(t)k definisce la velocitĂ vettoriale del corpo in moto. Pertanto v(t) = r’(t). La figura a destra illustra un caso concreto in uno spazio a due dimensioni (piano). Si noti che i vettori r(t) e v(t) sono ortogonali.

20. Il vettore a Derivando doppiamente r(t) si ottiene il vettore a(t), ottenibile anche derivando v(t). Il vettore a(t) è detto accelerazione vettoriale. Pertanto, formalmente si ha: a(t) = f’’(t)i + g’’(t)j + h’’(t)k. Data l’accelerazione vettoriale ci si potrebbe chiedere come si possa ottenere l’ accelerazione scalare istantanea. La risposta è semplice. Si tratta dell’accelerazione misurata in un preciso istante di tempo, per esempio in đ?‘Ą0 , ed è pari a │a(đ?‘Ą0 )│= √âŚ?đ?‘“′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 + âŚ?đ?‘”′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 + âŚ?ℎ′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 GiĂ questa formulazione da conto che │a(đ?‘Ą0 )│= 0 â&#x;ş âŚ?đ?‘“′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 = âŚ?đ?‘”′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 = âŚ?ℎ′′(đ?‘Ą0 )âŚ?2 = 0. Se ciò vale ∀t si è evidenziato che un moto rettilineo uniforme di đ?‘… 3 è la risultante di tre moti rettilinei e uniformi lungo i tre assi cartesiani.

20.1 Un primo esercizio applicativo delle funzioni vettoriali alla cinematica Esso è tratto da Stewart (op. cit.). Una particella si muove seguendo la traiettoria r(t) = ( tln(t), t, đ?‘’ −đ?‘Ą ). Determinare la velocitĂ e l’accelerazione della particella . Per determinare la velocitĂ vettoriale v(t) occorre determinare r’(t), avendosi per definizione che v(t) = r’(t). Per trovare r’(t) occorre trovare le derivate delle tre funzioni scalari dovendo ricavarsi đ??ˇđ?‘Ą t(ln(t)) = đ??ˇđ?‘Ą (t) ln(t) + t đ??ˇđ?‘Ą ln(t) = (1)ln(t) + t(1/t) = ln(t) + 1, quindi đ??ˇđ?‘Ą t = 1 e infine đ??ˇđ?‘Ą đ?‘’ −đ?‘Ą = - đ?‘’ −đ?‘Ą (anche in questo caso si tratta di una funzione


composta e quindi si applica il relativo teorema). Riunendo i risultati si ha che v(t) = r’(t) = ( ln(t) + 1 , 1, - đ?‘’ −đ?‘Ą ). Ove

si

volesse

determinare

la

√ (ln(đ?‘Ą) + 1)2 + (1)2 + ( − đ?‘’ −đ?‘Ą )2

velocitĂ

scalare

al

tempo

t

si

=√ (ln(đ?‘Ą) + 1)2 + (1)2 + ( − 1/đ?‘’ )đ?‘Ą )2

avrebbe

âˆŁv(t)âˆŁ

=

=

√ (ln(đ?‘Ą) + 1)2 + 1 + ( 1/e )2đ?‘Ą . Ove poi si decidesse di voler sapere dove si trova la particella in un istante t = đ?‘Ą0 basterĂ sostituire nelle formule trovate l’indeterminata t con il valore đ?‘Ą0 ∈ dom r(t). Per determinare l’accelerazione si procede nel modo seguente. Si definisce una funzione vettoriale đ??š(t) le cui componenti scalari sono le derivate seconde delle componenti della funzione vettoriale r(t), ovvero le derivate prime di r’(t). Le derivate prime delle due prime funzioni scalari sono banali. Esse valgono 1/t + 0 = 1/t e 0 rispettivamente. Per la terza componente occorre qualche passaggio in piĂš. đ??ˇđ?‘Ľ ( - đ?‘’ −đ?‘Ą ) = đ??ˇđ?‘Ľ ( - 1) ( đ?‘’ −đ?‘Ą ) = - 1 đ??ˇđ?‘Ľ ( đ?‘’ −đ?‘Ą ) = (-1)(-1) 1

đ?‘’ −đ?‘Ą = ( đ?‘’)đ?‘Ą . 1 đ?‘Ą

1 đ?‘’

Quindi đ??š(t) = ( )ĂŹ + 0j + ( ( )đ?‘Ą )k . Ăˆ immediato determinare il valore scalare dell’accelerazione 1

1

istantanea che risulta âˆŁ đ??š(t) âˆŁ = √ ( đ?‘Ą )2 + (đ?‘’)2đ?‘Ą Ove poi fosse richiesto di calcolare l’accelerazione al 1

1

1

tempo đ?‘Ą0 = 2 porterebbe dal punto di vista vettoriale al vettore đ??š(2) = (2)ĂŹ + 0j + ( ( đ?‘’)2 )k = (2)ĂŹ + ( ( 1 2 ) )k. đ?‘’

1 2

1 đ?‘’

1 4

1 đ?‘’

In detto istante il modulo della accelerazione è âˆŁ đ??š(2) âˆŁ = √ ( )2 + ( )2∗2 = √( ) + ( )4 . Essa

viene misurata in m*đ?‘ đ?‘’đ?‘? 2.

20.2 Un ulteriore esercizio cinematico Ho reperito questo esercizio nel sito della Scuola Normale Superiore di Pisa e sono stati assegnati ai candidati del IV anno nella prova di concorso per Biologi, etc. Esso è il seguente: “Un punto materiale di massa m si muove in un piano (x,y) secondo la legge oraria x = vt y = (1/2)a(t^2), con v ed a costanti, di dimensioni opportune. (a) Scrivere l’equazione geometrica della traiettoria; (b) Calcolare i moduli della velocitĂ e dell’accelerazione ad ogni istante t.â€?


RISOLUZIONE. Il moto risultante, quello da studiare, è la risultante di due moti ortogonali tra di loro. La grandezza m ai fini della risoluzione non rileva. Il moto lungo la direzione delle x è un moto rettilineo e uniforme, pertanto v(t) è costante. Si osserva che la dimensione della costante v è quella di una velocità, misurata quindi in m/sec. È immediato osservare che la costante a ha le dimensioni fisiche di una accelerazione Essa sarà espressa in m/sec^2. A tali osservazioni si perviene formalmente quando nelle date equazioni del moto si esplicitino la v e la a rispettivamente, avendo per esempio v = x/t da cui dimensionalmente si giunge al risultato evidenziato. Per discutere il punto (a) si può osservare che da x = vt si ha anche t = x/v. Tale valore ottenuto può essere sostituito nella seconda legge oraria avendosi, per conseguenza, la seguente successione di passaggi: Y = (1/2)a(t^2) = (1/2)a ((x/V)^2) = (1/2) (a/v^2)(x^2) Per i dati del problema si ha che a e v sono costanti quindi pure la quantità a/v^2 è costante e in generale y ∝ x^2. Il moto risultante è pertanto un moto parabolico. Per t = 0 il corpo puntiforme si trova nella condizione iniziale in (0; 0). L’equazione della traiettoria descritta è Y = k(x^2), con k = (1/2) (a/v^2) La costante k ha dimensioni L^-1. Il secondo quesito riguarda la velocità istantanea e la accelerazione istantanea scalari del moto. Dalla prima equazione del moto osservo che Vx = v, Vx è interpretabile come la componente scalare della velocità lungo la direzione dell’asse delle x. Con riferimento al moto devo poi osservare che Ax (accelerazione lungo la direzione delle x) = 0. Bisogna determinare quindi le componenti Vy e Ay del moto secondo la direzione delle y. All’uopo giova osservare che il moto lungo la direzione delle y è uniformemente accelerato, stante che a = Ay = cost. Sovviene una nota formula per la quale v(t) = at. Con riferimento al moto di cui i due moti cono la composizione posso scrivere che Vy(t) = at. Si osservi che la velocità cresce nel tempo e l’accelerazione è la costante di proporzionalità. È richiesto di determinare i valori istantanei della velocità del moto risultante e il valore della corrispondente accelerazione istantanea. Siano V(t) e A(t) rispettivamente tali grandezze. Quanto ad A(t) sovviene una osservazione semplice. A(t) = Ay(t) = at ∀t ∈〔0 ; +∞) con a = cost. A tale esito si perverrebbe nello stesso modo che di farà più sotto per la V(t) solo che si ricordi che Ax(t) è identicamente nulla ∀t : t ∈〔0 ; +∞). Quanto alla velocità V(t) essa è scalarmente ricavabile dalla seguente relazione: V(t) = ((Vx(t))^2 + (Vy(t)^2) )^1/2 = ((v^2) + (at)^ 2)^1/2 In ogni istante il corpo di massa m si trova su una traiettoria parabolica di cui è data l’equazione e pero ogni istante del moto (corrispondente ad un punto del luogo) sono date le componenti scalari delle due grandezze istantanee e per questa via per ogni t è possibile avere gli scalari A(t) e V(t) come definiti. In effetti, in ogni istante la velocità e la accelerazione del moto risultanti sono esprimibili anche con relazioni vettoriali. Il moto risultante sarebbe espresso da due vettori V(t) e A(t) ottenuti con la regola della diagonale di Newton. Dal chè il passaggio ai valori scalari │V(t)│ e │A(t)│è


immediato, come piĂš sopra evidenziato. Vorrei fare qualche osservazione partendo dalla equazione del moto e considerare il piano (x, y). Fissato il senso positivo delle x la relazione x = vt deve intendersi che se v > 0 il moto si ha nella direzione delle x crescenti, mentre se v < 0 il moto deve intendersi nel senso delle x decrescenti ovvero nell’intervallo (0 ; - ∞). CosĂŹ facendo si avrebbero due rami di parabola distinti aventi (0 ; 0) come punto comune. Quello del primo quadrante per v > 0, quello del secondo quadrante cartesiano per v < 0. I due rami stanno nei quadranti I e II perchĂŠ nella equazione della traiettoria compare v^2 e si è ammesso a > 0. Per il caso a < 0 dalla condizione iniziale (0, 0) si arriverebbe a y(t) < 0 ∀t. Nel caso particolare di due moti rettilinei e uniformi il problema avrebbe una spiegazione semplice, avendosi le leggi orarie seguenti x = Vx*t e y = Vy*t da cui di avrebbe immediatamente y(t) = (Vy/Vx) x(t). Il moto risultante sarebbe descritto da un corpo puntiforme su una retta tale che l’angolo formato da essa con l’asse delle x misura arctg (Vy/Vx).

20.3 Ancora qualche applicazione cinematica A titolo di esemplificazione vorrei risolvere due esercizi tratti dal Demodovic (Esercizi e problemi di analisi matematica). 1° esercizio. La legge di moto di un punto sull’asse OX è x = 3t - đ?‘Ą 2 . Determinare la velocitĂ del moto di questo corpo negli istanti đ?‘Ą0 = 0, đ?‘Ą1 = 2 (x è dato in centimetri e t in secondi). Ove si sostituisse a t il valore đ?‘Ą0 = 0, đ?‘Ą1 = 2 nella data x(t) = x = 3t - đ?‘Ą 2 si avrebbe la posizione del corpo al tempo t dato. Per esempio per đ?‘Ą0 = 0 si ha x(0) = 0 quindi il corpo al tempo t = đ?‘Ą0 = 0 si trova in x(0) = 0. Per determinare la velocitĂ istantanea occorre derivare la x(t) rispetto al tempo avendo x’(t) = 3 – 2t. Al tempo t = 0 si ha x’(O) = 3. Quindi le condizioni iniziali del moto sono x(0) = 0 e x’(0) = 3. Per t = 2 si ha x’(2) = 3 – 2*2 = - 1 cm/sec. Al crescere di t il corpo si muoverĂ sull’asse delle x verso valori via via minori in modulo ma maggiori in valore assoluto. Avendosi x(t = + ∞) = − ∞. 2° esercizio. Due punti si muovono sull’asse OX secondo le leggi del moto x = 100 + 5t e x 1

=(2)đ?‘Ą 2 dove t ≼ 0. Quale è la velocitĂ con la quale questi due punti si allontanano l’uno dall’altro all’istante del loro incontro (x è dato in cm e t in secondi). Credo sia utile partire dalla condizione iniziale per i due corpi, al tempo t = 0. Siano A e B i due corpi. đ?‘Ľ(0)đ??´ = 100 đ?‘Ľ(0)đ??ľ = 0 Ma ci si deve attendere che il corpo B dopo đ?‘Ą1 secondi raggiunga il corpo A, che si muove con legge lineare in luogo di quella quadratica del corpo B. I due corpi


si muovono entrambi nella direzione delle x positive. La condizione di contatto tra i due corpi 1

si ha al đ?‘Ą1 tale che đ?‘Ľ(đ?‘Ą1 )đ??´ = đ?‘Ľ(đ?‘Ą1 )đ??ľ â&#x;ž 100 + 5đ?‘Ą1 = (2)(đ?‘Ą1 )2 â&#x;ž 200 + 10 đ?‘Ą1 = (đ?‘Ą1 )2 â&#x;ž (đ?‘Ą1 )2 10đ?‘Ą1 - 200 = 0. Dalla regola dei segni di Cartesio dei segni si ha che detta equazione ammette una sola soluzione positiva, avendo ∆ > 0. đ?‘Ą1 = essere đ?‘Ą1 > 0 deve essere đ?‘Ą1 =

10+ √900 2

=

10+ √9∗100 2

=

10Âąâˆš100−4(1)(−200) 2(1) 10+(√9 )(√100) 2

=

=

10Âą √900

10+30 2

2

=

40 2

. PoichĂŠ deve

= 20 sec.

21. L’ascissa curvilinea Ăˆ bene ricordare che specie in đ?‘… 2 il moto non necessariamente è rettilineo, anzi il moto su una retta è molto piĂš una astrazione che un dato fisico reale. Ăˆ possibile dover studiare il moto su una curva. In questi casi è data la curva e quindi la sua espressione analitica. Una curva potrebbe essere quella disegnata in figura.

In questo caso si stabilisce – arbitrariamente – un punto cui corrisponde il numero 0. Ăˆ sempre ammissibile la corrispondenza biunivoca tra numeri e punti. Pertanto al tempo t è possibile definire l’ascissa del punto. In pratica si tratta di dovere definire la distanza tra il punto O e il punto P(x) considerando come unico percorso quello definito dall’espressione analitica della curva f assegnata. Ăˆ ovvio che da O a P(x) ci si può andare in infiniti modi, ma rileva solo quello definito dalla curva e quindi dalla f. Le modalitĂ di calcolo presuppongono gli integrali di linea che saranno considerati in una delle prossime PILLOLE MATEMATICHE.


22. La curvatura

23. Componenti dell’accelerazione

Anche in questo caso questa emblematica rappresentazione nel piano evidenzia come un vettore a possa essere scomposto secondo due direzioni mutamente perpendicolari, una tangente la curva e l’altra, ovviamente, ortogonale. Le due componenti, đ??šđ??œ e đ??šđ??­ , sono dette rispettivamente componente centripeta e componente normale dell’accelerazione a. Una rivisitazione dei concetti trattati specie in relazione all’energia e alla sua conservazione sarĂ effettuata nell’ANGOLO DEL FISICO dopo che saranno introdotti nelle PILLOLE MATEMATICHE gli integrali. Saranno pure considerati gli aspetti cinematici inversi.


DIAMO I NUMERI Le proprietĂ di N e di Q e la scoperta degli irrazionali

1. Le proprietĂ dei naturali e dei razionali Lo studio degli insiemi numerici prevede ora di dover considerare le proprietĂ dei numeri naturali e dei numeri razionali. Per entrambi gli insiemi numerici vale la proprietĂ di chiusura. Se a e b sono due naturali anche il numero (a + b) è naturale. Ad analoga conclusione si giunge se Îą e β sono due numeri razionali. La stessa considerazione può farsi in relazione al prodotto, nel senso che il prodotto di due naturali (di due razionali) è un naturale (razionale). Per entrambi gli insiemi la somma e il prodotto sono commutativi. Se a e b sono due naturali a + b = b + a per ogni coppia di naturali a e b. La commutativitĂ vale anche per il prodotto, ovvero si ha che a*b = b*a, comunque siano presi a e b. La proprietĂ commutativa della somma e del prodotto vale anche per i numeri razionali avendosi rispettivamente đ?›ź + đ?›˝ = β + Îą ed anche Îą*β = β*Îą per ogni coppia di razionali Îą e β. I due insiemi contengono anche un elemento neutro additivo detto 0, per il quale si ha a + 0 = a ∀a ∈ N e Îą + 0 = 0 + Îą = Îą, per ogni Îą ∈ Q. I due insiemi sono pure muniti di un elemento neutro dispetto alla moltiplicazione per il quale a*1 = 1*a = a ∀a: a ∈ N, e, quando si lavora in Q, Îą*1 = 1*Îą = Îą âˆ€Îą : Îą ∈ Q. Nel caso dei due insiemi valgono pure le proprietĂ associativa a+ (b+c) = a + (b+c) quando si lavora su quantitĂ naturali a, b e c, oppure, quando si lavora in Q Îą + β + φ = (Îą+ β) + φ = Îą +(β +φ). Infine, per entrambi gli insiemi vale la proprietĂ distributiva per la quale, con riferimento ai naturali, si può scrivere a*(b+c) = a*b + a*c e in relazione ai razionali. Vorrei osservare che nella pratica aritmetica tali proprietĂ possono essere usate lavorando con quantitĂ intere e razionali, dovendo ricordare che un numero intero può essere fatto corrispondere a una scrittura formalmente corrispondente ad un numero razionale del tipo a/1. Ăˆ possibile ammettere che a = a/1, ∀a : a ∈ N. I due insiemi non ammettono il simmetrico additivo di un elemento di essi. Per esempio in N dato a non esiste alcun naturale a’ tale che a + a’ = 0 ∀a : a ∈ N. Riflessione analoga vale per Q. Nessuno dei due insiemi contiene l’elemento simmetrico additivo. A questo punto però occorre ricordare che mentre in N non esiste il simmetrico moltiplicativo in quanto se a ∈ N allora il numero 1/a ∉ N. Tale riflessione non può essere estesa all’insieme Q dei razionali. Infatti se Îą ∈ Q il numero (1/Îą) ∈ Q. Esso è proprio l’elemento simmetrico moltiplicativo in đ?›ź quanto Îą(1/Îą) = = 1. đ?›ź

A questo punto sono state studiate le proprietà dei numeri naturali e dei numeri razionali assoluti. Tali insiemi godono invero di ulteriori proprietà quali la proprietà di tricotomia per la quale è possibile


dire che dati due naturali a e b è vera una ed una soltanto delle due seguenti relazioni a < b, a = b, a > b. In Q è vera una ed una soltanto delle tre relazioni Îą > β, Îą= β oppure Îą < β. Gli insiemi per i quali è possibile definire relazioni d’ordine stretto del tipo a > b â&#x;ž b < a sono detti archimedei. Comunque vengano presi due interi distinti a e b è possibile definire una relazione d’ordine tra essi. A questo punto sono stati studiati i numeri naturali e i numeri razionali. Nella retta reale essi stanno tutti alla destra dello zero.

2. Gli interi relativi Z e l’insieme I dei numeri interi (positivi e negativi) Ho deciso di utilizzare la nozione di simmetrico per definire i numeri interi relativi. Essi come noto sono preceduti dal segno meno. In N la scrittura – a, quando a è elemento di N, non ha significato. Ho deciso di poggiare sul simmetrico la nozione di elemento di Z, ove Z è l’insieme degli interi relativi. Dato un intero a, elemento di N, esiste ed è unico, il numero a’ tale che a + a’ = 0, dovendo essere a = - a’ ovvero a’ = - a, indi a’ è un numero convenzionale cui corrisponde un punto che dista da 0 quanto a. Formalmente sarebbe a = │a│ = │a’│. Pertanto dato l’insieme N esiste un insieme Z tale che al numero a di N può darsi corrispondere un numero detto - a tale che a + (-a) = 0. Ăˆ immediato osservare che con questo modo di procedere in realtĂ viene definito un insieme piĂš ampio l’insieme degli interi Ί i cui elementi sono N e Z. I = N âˆŞ Z âˆŞ âŚƒ0⌄. Tale insieme ammette l’elemento simmetrico additivo. Deve intendersi che 0 è simmetrico di se stesso. NĂŠ l’insieme Z nĂŠ l’insieme I ammettono il simmetrico moltiplicativo.

3. I razionali relativi Allo stesso modo è possibile dato un razionale Îą definire il razionale – Îą tale che se Îą ∈ Q allora - Îąâˆˆ đ?‘„ − , essendo đ?‘„ − l’insieme dei razionali negativi, ottenuti dalla imposizione dell’esistenza di un ι’ tale che Îą + ι’ = 0 dovendo quindi essere Îą = - ι’ ovvero ι’ = - Îą, âˆ€Îą ∈ Q. La simmetrizzazione porta direttamente alla definizione di un insieme numerico piĂš ampio quello dei razionali đ?‘„ Âą = Q âˆŞ đ?‘„ − .

4. Lo stato della retta reale Con la costruzione numerica progressiva si è giunti a comprendere che un punto della retta reale può corrispondere al numero zero, a un numero naturale, ad un numero razionale, oppure se ci si trova alla sinistra dello zero (per convenzione) ad un numero intero relativo oppure ad un razionale relativo. Questo è quanto si sapeva anche in antichitĂ classica. Ma giĂ ai tempi della Scuola pitagorica si comprese che le cose non stavano esattamente in questi termini, dovendo ammettersi che esistevano numeri non riconducibili a queste tipologie. La scoperta dei numeri irrazionali pose grossi problemi esistenziali specie ai pitagorici. In ogni caso i greci si limitavano a ragionare su numeri positivi e l’introduzione dello zero fu una conquista araba. Impressionante è comunque poter leggere che giĂ gli


Assiri possedevano metodi che consentivano di risolvere quelle che nel nostro linguaggio matematico sono le equazioni di II grado. Già si è compreso che la associazione di un elemento degli insiemi fino a questo momento considerati ad un punto di una linea retta non esaurisce tutti i punti (infiniti) di essa.

5. Biiezione (corrispondenza biunivoca e continua) La definizione di corrispondenza biunivoca e continua è di fondamentale importanza nella matematica e nel caso di specie propedeutica alla successiva definizione di isomorfismo. La locuzione “corrispondenza biunivoca e continuaâ€? è sinonimo di biiezione o di mappa bigettiva. Se sono assegnati due elementi A e B non vuoti tali che esista una legge che fa corrispondere ad ogni elemento x ∈ A uno ed uno solo elemento y ∈ B e viceversa sia possibile far corrispondere ad un elemento y di B uno ed un solo x ∈ A. Vorrei utilizzare lo stesso schema logico utilizzato per le funzioni composte. đ?‘“

đ?‘“−1

x → y(x) →

x

Esso deve essere inteso che comunque si consideri x ∈ X questo viene associato ad un y ∈ đ?‘Œ mediante una legge di corrispondenza f. A questo punto si ammette la esistenza di una legge di composizione đ?‘“ −1 tale che a y corrisponde uno ed uno solo x ∈ X.

6. Isomorfismo Mutuo la definizione di isomorfismo da un testo francese (Damin, MathĂŠmatiqes, Ellipses). Viene ricordato l’etimo. Isomorfo deriva da “stessa morfologiaâ€?. La nozione riveste utilitĂ in quanto “permette per identificazione di determinare le proprietĂ di un insieme a partire da un altro piĂš conosciutoâ€?. Si considerano assegnati due insiemi strutturati (K, +, *) e (K’, +’, *’). Ogni corrispondenza biunivoca φ di K su K’ tale che φ(x+y) = φ(x) +’ φ(y) e φ(x*y) = φ(x)*’φ(y) per tutte le coppie (x, y) di đ??ž 2 .

7. Una struttura algebrica particolare: il campo abeliano Sia dato un insieme K non vuoto (K ≠∅). Siano date due leggi di composizione interna + e *. La struttura algebrica (K, +, *) è detta campo commutativo (o abeliano, in onore di Niels Abel) se per ogni x, y, z elementi di K sono sempre verificate le proprietĂ seguenti. (x+y) + z = x + (y + z) = x + y + z (x*y)*z = x*(y*z) Queste due relazioni esprimono la proprietĂ associativa dell’operazione + e *, rispettivamente. Valgono anche le due seguenti relazioni che definiscono la commutativitĂ delle due operazioni.


x+y=y+x x*y = y*x Relativamente alle due operazioni sono poi definiti gli elementi neutri, quello additivo, ovvero il numero 0, e il neutro moltiplicativo, ovvero l’unità , 1. x+0=0+x=x x*1 = 1*x = x Per le due operazioni esistono gli elementi simmetrici. Essi sono rispettivamente – x e 1/x avendosi rispettivamente: x + (- x) = 0 x*(1/x) = 1 quando x ≠0. Affinche si abbia un campo abeliano deve poi valere la proprietà distributiva per la quale deve essere: x*(y+z) = x*y + x*z

8. La scoperta dei numeri irrazionali Si è soliti attribuire al matematico greco Ippaso di Metaponto la “scopertaâ€? dei numeri irrazionali, con ogni probabilitĂ quando Egli, con argomentazioni geometriche, tentava di rappresentare la misura della diagonale di un quadrato mediante una frazione. Non mancavano anche convinzioni filosofiche nella scuola pitagorica che osteggiarono questa scoperta, ovvero l’impossibilitĂ di rappresentare detto segmento con una frazione numerica. Poi l’oblio. BisognerĂ attendere Cataldi per definire il concetto di frazione continua. Si tratta di una relazione del tipo 1

x=1+đ?‘Ľ = 1+

1 1+

1 đ?‘Ľ

=1+

1 1+

1 1+1/đ?‘Ľ

= ‌‌..

Questo “processoâ€? praticamente è indefinito e genera un numero non esprimibile come rapporto di interi primi tra loro. Si dimostra che x =

9. L’irrazionalitĂ di √đ?&#x;? L’irrazionalitĂ della misura della diagonale del quadrato di lato unitario si dimostra immediatamente per assurdo. Si ammette che esistano due interi assoluti primi tra loro per i quali sia m/n = √2. Si elevi al quadrato

1+ √5 2

.


avendosi

đ?‘š2 đ?‘›2

= 2 â&#x;ž đ?‘š2 = 2đ?‘›2 . Ma ciò contraddice l’ipotesi che m ed n siano primi tra loro.

La assurdità è evincibile dal fatto che si genera una sequenza infinita di đ?‘šđ?‘– dovendo per contro essere detta sequenza finita, per avere un numero razionale.

10. L’insieme dei numeri reali L’insieme dei numeri reali è costituito dai numeri interi relativi, dai numeri razionali e dai numeri irrazionali. Dal punto di vista formale la struttura (R, + *) è un campo commutativo. Nel prossimo numero partirò definizione di numero reale utilizzando il concetto di partizione di Dedeking per ricordare tulle le proprietĂ dei numeri reali, considerando, infine, i numeri complessi per le parti non ancora esaminate (potenze e radici).

ProprietĂ letteraria e intellettuale Nell’elaborare il presente documento ho inevitabilmente attinto a fonti. Esse sono indicate nel testo, di volta in volta. Per quanto attiene alle “figureâ€? – utilissimo supporto – queste sono state estratte da Internet nella presunzione che quanti le hanno collocate ne avessero titolo. In questo caso non mi è stato possibile citare la fonte. Preciso che questo elaborato non ha fini di lucro.


pubblicazione a cura di Pascal McLee

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