Appunti Matematici 15

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

MICROECONOMIA CONSUMATORE, PRODUTTORE ED EQUILIBRIO I FONDAMENTI numero 15 – marzo 2016



* APPUNTI MATEMATICI 15 – MARZO 2016 *

INTRODUZIONE

Ho deciso di elaborare una sintesi della teoria microeconomica. Essa è ovviamente limitata ai fondamenti della materia, evitando di entrare nel merito di ulteriori e peraltro doverosi approfondimenti. Nella bibliografia essenziale ho comunque indicato due testi recentemente acquistati a Nizza, durante un mio breve soggiorno, oltre ad un testo americano, acquistato in Washington D.C. presso la Banca mondiale, ormai nel settembre 2014. Il testo elaborato presuppone alcuni semplici concetti matematici che per mera comodità ho introdotto in una apposita sezione introduttiva. Alcune di queste nozioni sono ben note. Ho poi deciso di inserire in esse anche il metodo dei moltiplicatori di Lagrange, che non aveva trovato spazio nei miei precedenti Appunti matematici. Praticamente, il testo contiene una parte dedicata alla teoria elementare del consumatore, una seconda parte riservata alla teoria della produzione, dal punto di vista dei costi, una terza dedicata alla condizione di equilibrio. Nei prossimi mesi predisporrò un secondo modulo relativo ad altri argomenti microeconomici elementari, quali le forme di mercato, le esternalità, i beni pubblici, etc. Sono grato a chi volesse segnalarmi tutte le possibili manchevolezze.

Patrizio Gravano (patrizio.gravano@libero.it)

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0.

NOZIONI PRELIMINARI DI MATEMATICA

Poiché nella microeconomia si usano sovente i grafici è bene ricordare il concetto di sistema di riferimento cartesiano. Solitamente si considerano due assi perpendicolari che si incontrano in un punto detto origine, indicato con la lettera O. La peculiarità dei grafici utilizzati in economia, tanto in micro che in macro, è che sui due assi vengono rappresentate grandezze diverse, con, ovviamente, unità di misura diverse. Le successive considerazioni chiariranno, con esemplificazioni, ulteriormente questo punto di vista. È ben noto che in matematica la rappresentazione di relazioni funzionali tra grandezze avviene ammettendo che la grandezza collocata sull’asse delle x (detto anche delle ascisse) sia una grandezza (solitamente variabile) indipendente, mentre la grandezza (pure essa solitamente variabile) posta sull’asse delle y (detto anche asse delle ordinate) risulta funzionalmente dipendente dalla grandezza X. Ciò di esprime dicendo che y è funzione di x secondo una legge f di corrispondenza, e si scrive y = f(x). Quando si avrà modo di considerare la legge della domanda si vedrà come le cose siano un poco più complesse nel senso che se è sicuramente vero che si può scrivere che la quantità domandata dipende (funzionalmente) dal prezzo va però osservato che la effettiva posizione della curva nel grafico e la sua forma dipendono da altri fattori, quali i prezzi degli altri beni, i gusti soggettivi etc. Questo si esprime ricordando che per detta scheda (o curva) si conduce una analisi parziale, che tiene conto della costanza di altre grandezze oggettivamente correlate alle variabili p e q, ovvero al prezzo e alla quantità del bene in esame. Su questi aspetti si ritornerà opportunamente. Stabilita una relazione funzionale tra grandezze, una indipendente e l’altra dipendente da essa esistono, ovviamente, diverse e distinte modalità.

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Nel caso considerato della relazione tra quantità domandata e prezzo di un bene per semplicità , come si avrà modo di vedere, si ammette che la relazione sia lineare e inversa, ovvero rappresentata da una retta discendente (funzione affine decrescente). Solitamente le curve economiche sono tutte giacenti nel primo quadrante cartesiano. In esso le grandezze assumono valori non negativi (se si considerano pure i semiassi). Un ben noto caso di grandezze legate da una relazione inversa è sicuramente costituita dalla legge della proporzionalità inversa, rappresentata da un ramo di iperbole equilatera, ovvero da una funzione del tipo f(x)x = cost con x > 0, y > 0. Questa limitazione è necessaria trattandosi di grandezze economiche. Va poi ricordato il caso della proporzionalità diretta che ricomprende due casi. Il primo di essi è quello per il quale y = ax, ove a è una costante di proporzionalità . Esiste poi un caso piÚ generale, ovvero quello per il quale y = ax + b (funzione affine). Anche per le grandezze economiche si fa uso dei concetti statistici, quali quello di media. Per gli sviluppi sarà necessario ricordare i concetti di derivata e di integrale. Partiamo dalla derivata di una funzione. Si tratta di una funzione. Data una funzione f(x) essa viene definita come lim

ℎ→0

đ?‘“(đ?‘Ľ+â„Ž )−đ?‘“(đ?‘Ľ) â„Ž

= f´(x). đ?‘‘đ?‘Ś

Un formalismo, dovuto a Liebnitz, per le derivate è f´(x) =đ?‘‘đ?‘Ľ . Un’ulteriore modalitĂ rappresentativa è dovuta a Cauchy ed è la seguente f´(x) = đ??ˇđ?‘Ľ f(x). Come si vedrĂ con lo strumento della derivata si potranno trattare matematicamente concetti quali l’utilitĂ marginale o i costi e i ricavi marginali e, piĂš in generale, le grandezze marginali. Il secondo concetto analitico utile per l’economia è quello di integrale (primitiva) di una funzione reale.

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Il concetto di integrale (indefinito) ben si comprende se inteso come antiderivazione. Si è detto che la derivata di una funzione, quando esiste, è una funzione. Data una funzione f(x) la funzione P(x) è detta una primitiva di f(x) se

đ?‘‘ đ?‘ƒ(đ?‘Ľ) đ?‘‘đ?‘Ľ

= f(x).

Formalmente si scrive P(x) = âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ľ)dx + costante. Nel contesto delle riflessioni economiche risultano ampiamente utilizzate le funzioni scalari di piĂš variabili indipendenti. La loro formalizzazione è ben nota. In questo caso si ha un numero discreto di variabili indipendenti, siano esse k, e la legge di corrispondenza è del tipo (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ‌ . đ?‘Ľđ?‘˜ ) → y. PiĂš semplicemente si considera il caso sia k = 2. Formalmente si ha y = f(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) ovvero f : đ?‘… 2 → R. Di interesse economico sono sicuramente le funzioni differenziabili. Risulta sovente utile calcolare le derivate parziali prime e seconde di funzioni di due variabili reali ad un valore reale. Ăˆ ben noto elementarmente che quando si differenzia lo si fa rispetto ad una variabile indipendente mantenendo costanti le altre variabili indipendenti (trattandole quindi come vere e proprie costanti). Occorre ricordare il formalismo delle derivate parziali, a partire da quelle prime. Esse sono le seguenti đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ľ1

= lim

đ?‘Ś(đ?‘Ľ1 +đ?‘‘đ?‘Ľ1 ,đ?‘Ľ2 )−đ?‘Ś(đ?‘Ľ1 ,đ?‘Ľ2 ) đ?‘‘đ?‘Ľ1

��1 →0

e đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ľ2

= lim

đ?‘Ś(đ?‘Ľ1 ,đ?‘Ľ2 +đ?‘‘đ?‘Ľ2 )−đ?‘Ś(đ?‘Ľ1 ,đ?‘Ľ2 )

��2 →0

đ?‘‘đ?‘Ľ2

rispettivamente.

Queste si riveleranno particolarmente utili nello studio delle funzioni di utilitĂ del consumatore, ma non solo.

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Si avrĂ modo di considerare anche le derivate parziali del secondo ordine. PoichĂŠ in economia risulta spesso necessario massimizzare una funzione sotto un assegnato vincolo viene spesso utilizzato il metodo del moltiplicatore di Lagrange. Sia F(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) una funzione da massimizzare. Sia g(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) il vincolo assegnato. Viene definita una nuova funzione, detta Lagrangiana L = F(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) -Îťg(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) ove đ?œ† è un parametro scalare detto moltiplicatore di Lagrange. Vedremo che il primo step consiste nell’eguagliare a zero le tre derivate parziali rispetto alle variabili indipendenti e rispetto al moltiplicatore. đ?‘‚đ?‘?đ?‘?đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘&#x;đ?‘’, đ?‘‘đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ž đ?‘™â€™đ?‘˘đ?‘Ąđ?‘–đ?‘™đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Žâ€™ đ?‘Žđ?‘›đ?‘?â„Žđ?‘’ đ?‘–đ?‘› đ?‘šđ?‘–đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘œđ?‘’đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘œđ?‘šđ?‘–đ?‘Ž, đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘Ž đ?‘‘đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘Łđ?‘Žđ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’ đ?‘–đ?‘šđ?‘?đ?‘™đ?‘–đ?‘?đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Ž đ?‘‘đ?‘’đ?‘™đ?‘™đ?‘’ đ?‘“đ?‘˘đ?‘›đ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘–. Data una equazione del tipo F(x, y) = 0 tale che esista una f tale che y = f(x) verificata per ogni x del dominio di f. Si ammetta che F sia differenziabile avendosi đ?œ•đ??š đ?‘‘đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ

+

đ?œ•đ??š đ?‘‘đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ đ?‘‘đ?‘Ľ

=0 đ?œ•đ??š

Essendo đ?‘‘đ?‘Ľ = 1 per đ?œ•đ?‘Ś ≠0 si ottiene immediatamente una forma molto utile ovvero đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘đ?‘Ľ

= −

đ?œ•đ??š đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

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LA MICROECONOMIA: ASSIOMI E ATTORI

(RAZIONALI?)

“Economics is the study of scarcity”. Questa è una autorevole e ampiamente condivisa affermazione. Scarsità di risorse naturali e di fattori produttivi, scarsità di beni economici e scarsità (nel senso di limitatezza) di risorse finanziarie (monetarie in particolare), per le finalità del consumo privato e pubblico e dell’investimento produttivo, sono un elemento incontrovertibile. Un punto di partenza per molte riflessioni è considerare il concetto di costo opportunità (opportunity cost) definito come la quantità di altri beni che possono essere sacrificati per avere a disposizione una quantità addizionale di un determinato bene. Detto concetto è immediatamente legato alla scarsità (limitatezza) delle risorse destinabili al consumo finale dei beni. Nel dominio dell’economia operano, in primissima approssimazione, due attori privati, ovvero il consumatore e il produttore, generatori di una domanda e di una offerta per un determinato bene. Essi interagiscono nell’impersonalità del mercato, luogo fisico o astratto, ma sempre formale e obiettivo, nel quale avvengono gli scambi. Una economia astrattamente libera definita da scelte individuali non contestualizzate non esiste. Accanto ai soggetti privati operano altri soggetti, quali lo Stato e le sue istituzioni con evidenti funzioni di regolazione e regolamentazione, costitutive della cosiddetta economia normativa. Le attività private sono comunque regolate dalla normativa, molto spesso orientata a garantire le condizioni di concorrenza, astrattamente definibile come la condizione di mercato per la quale si produce la massima quantità possibile al costo più contenuto. C’è in questo contesto di regolazione pubblica dell’economia sempre un movente basato su giudizi di valore di tipo dottrinario, quali quelli, opportuni, legati alla redistribuzione della ricchezza e alla elevazione degli standard minimi di vita.

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Un quadro normativo certo e chiaro, elemento ampiamente condiviso, giova alle attività economiche, unitamente a un sistema giudiziario adeguato ed efficace. Gli operatori economici sono particolarmente turbati dall’incertezza. Oggi si parla più propriamente di economia mista. La microeconomia, oggetto di questa scheda, studia le decisioni individuali, i moventi delle scelte e le reazioni dei soggetti coinvolti alle politiche economiche e alle decisioni rilevanti, sia pubbliche che private, ai fini del consumo e della produzione. Non va poi sottaciuta la crescente importanza del settore estero, stante il quadro di sempre maggiore globalizzazione economica, con le conseguenti evidenti implicazioni in termini di interazioni e di interdipendenze. Decisioni ampiamente esogene non sono prive di conseguenze in relazione alle scelte individuali, in termini di miglioramento o di peggioramento delle percezioni per il periodo futuro (fiducia), con gli evidenti riflessi sulle decisioni di consumo e di investimento. Ricapitolando i soggetti dell’economia sono: i consumatori che, dotati di un dato reddito Y, lo distribuiscono tra acquisti di beni e servizi, lo risparmiano e in parte lo impiegano pagando le imposte; i produttori, remunerati dal profitto, che producono beni e servizi, favorendo l’accumulazione del capitale, materiale e immateriale, condicio essenziale della crescita economica; lo Stato (più propriamente il settore pubblico) che percepisce le imposte, garantisce i servizi pubblici, esercita una funzione normativa e regolativa, ampiamente influenzata dalle varie lobby economiche, ma che pure interviene nell’economia attraverso la spesa pubblica e la politica di bilancio, gestendo il disavanzo corrente e lo stock di dedito pubblico, in un contesto non più nazionale ma vincolato ad accordi o comunque a intese sovranazionali. Ulteriori attori, come detto, sono la banca centrale (e il settore finanziario) e il cosiddetto “resto del mondo”, il settore estero di cui si è già parlato. Questi sono sostanzialmente gli attori delle interazioni economiche. È dovuta all’economista Nassau W. Senior la enunciazione di quattro fondamentali assiomi che stanno alla base delle decisioni dei soggetti della microeconomia.

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Questi principi più propriamente sono il frutto delle riflessioni di diversi pensatori, a partire dai fisiocrati. In ogni caso Egli li ha condensati in quattro punti particolari. Il primo di essi definisce il concetto di edonismo, per il quale ogni attore economico privato agisce per interesse, cercando con le proprie azioni (e con le proprie omissioni), di aumentare il proprio livello di soddisfazione, minimizzando le pene e i disagi. Quindi alla base di ogni azione umana vi è sostanzialmente l’interesse personale, un tornaconto ritenuto moralmente accettabile. Il secondo postulato costituisce la smentita delle tesi di Malthius della crescita in progressione geometrica della popolazione a fronte di una crescita solo in progressione aritmetica dei beni di consumo. Oltre ai meccanismi di autoregolazione demografica, anche indotti dai fenomeni migratori, per Senior diviene rilevante l’aumento della produzione dovuto alla crescita demografica, sicuramente esistente nelle economie avanzate, meno in quelle rurali e svantaggiate, ma anche la produzione cosiddetta di sostituzione. Sembrano comunque aggiustamenti farraginosi e tendenziali, dovessi fare una critica, dai quali non è assente una componente antropologica e psicologica. Vi è un terzo postulato. Esso afferisce alla crescita ottenibile mediante l’investimento, ovvero l’allocazione di risorse, materiali e non, destinate alla produzione futura. I meccanismi della crescita sono solo astrattamente semplici e lineari. Un primo punto è costituito da un incremento dello stock di capitale fisico (beni strumentali) e umano (skills e abilità rilevanti, implementabili nel tempo, come nel caso del learning by doing). Il capitale è ampiamente monetarizzato, nel senso che la sua quantificazione avviene in termini di controvalore monetario. Questi concetti saranno riconsiderati e approfonditi. Vi è un quarto importante postulato che peraltro è precedente a Senior. Mi riferisco alla legge dei rendimenti decrescenti che domina ampi settori dell’economia.

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Questa è espressione di un principio piĂš ampio quello della decrescenza del tasso di crescita della funzione obiettivo degli attori privati della microeconomia. Come vedremo per il consumatore la funzione obiettivo sarĂ costituita dalla utilitĂ , espressa in termini di funzione matematica, legata alle quantitĂ consumate (o meglio consumabili stante il vincolo di reddito disponibile). Senior mutua da Turgot l’esempio del terreno agricolo (di dimensioni date e costanti) sul quale è applicato un numero variabile di lavoratori. Esiste un numero determinato di lavoratori che massimizza la produzione agricola. Essa cresce progressivamente al crescere della forza lavoro ma a tassi di crescita decrescenti, fino a raggiungere l’ottimo produttivo. Quindi una ulteriore applicazione di lavoratori genera intralci e impicci che si ripercuotono sulla produzione scostandola dall’ottimo produttivo. Quando il prezzo di vendita del bene agricolo e la remunerazione del fattore lavoro sono esogeni (non determinabili dal singolo imprenditore agricolo) l’imprenditore đ?‘„

đ?‘„

đ?‘„

massimizza la propria funzione obiettivo per đ??ż tale che sia đ??ż = max( đ??ż ). Detto rapporto definisce la quantitĂ prodotta per ogni unitĂ di lavoro impiegata (produttivitĂ in senso fisico). In senso marginale quando đ?‘„

đ?‘„

đ?‘‘đ?‘„

L < L : đ??ż < max( đ??ż ) si ha đ?‘‘đ??ż → đ?‘‚+ per L → đ??żđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą đ?‘„

đ?‘„

ove đ??żđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą definisce la quantitĂ di lavoro per la quale risulta đ??ż = max( đ??ż ). đ?‘‘đ?‘„

Per L ≼ đ??żđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą allora đ?‘‘đ??ż < 0. Questa è evidentemente una semplificazione, ove pure si ammette che il salario non dipenda da L, sia una costante e sia esogeno, ovvero non determinato dai singoli attori. Peraltro esso difetta della tripartizione classica dei fattori della produzione in terra (o risorse naturali), capitale e lavoro. Bisognerebbe pensare di migliorarlo, anche rimuovendo l’ipotesi di soggetti take prices, come dicono gli economisti.

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Comunque nelle forme concorrenziali i soggetti singolarmente considerati non sono in grado di influire sui prezzi dei beni dei fattori produttivi e dei beni intermedi e finali. Vi è poi in questo modellino qualcosa di contingente. Basta usare una nuova semente, espressione agraria del progresso tecnico, per far variare il rapporto ottimo. Questo modello per certi aspetti esula, o meglio prescinde, dal concetto di rendita differenziale ricardiana, legata alla diversa fertilitĂ dei terreni, e, quindi, alla diversa produttivitĂ in senso fisico, ammettendo che tutti gli operai siano egualmente bravi nel compiere il loro lavoro. Ăˆ però evidente che esiste un limite inferiore che consente al singolo imprenditore agricolo di rimanere produttivo sul mercato. Se vengono impiegate L ore di lavoro con remunerazione ω allora se p è il prezzo del đ??ż

bene prodotto deve risultare p ≼ ωđ?‘„ . Questa relazione va ben precisata. La remunerazione può essere intesa come rapporto tra unitĂ monetarie e numero di ore ovvero đ?œ” può essere espresso in

đ?‘˘đ?‘›đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Žâ€˛ đ?‘šđ?‘œđ?‘›đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘’ đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘‘đ?‘– đ?‘™đ?‘Žđ?‘Łđ?‘œđ?‘&#x;đ?‘œ

.

CosĂŹ facendo L deve essere misurato in numero di ore di lavoro. Q viene ad essere definito come una quantitĂ fisica (numero di pezzi, quantitĂ in Kg, etc.). CosĂŹ facendo si ha la consistenza dimensionale delle grandezze coinvolte. La grandezza đ?œ” può essere interpretata come la remunerazione assegnata ad una unitĂ di lavoro intesa in senso fisico. Ăˆ ovvio che moltiplicando detta grandezza per il numero fisico delle unitĂ lavoranti, in termini di ore lavoro, L, si ottiene il monte salari. Dividendo per la quantitĂ fisica Q si ottiene il costo per unitĂ di prodotto. In buona sostanza l’imprenditore agricolo resta sul mercato quando il prezzo p del prodotto è non minore del costo per unitĂ di prodotto.

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Credo di non ricordare male che Ricardo evidenziasse che in queste condizioni altri imprenditori decidano di entrare nel mercato, producendo quantitĂ addizionali di detto bene agricolo. Vengono messi a coltura anche terreni meno fertili, con il risultato che aumenta la quantitĂ offerta e il prezzo diminuisce. đ??ż

In nostro imprenditore agricolo resta sul mercato finchĂŠ p ≼ ωđ?‘„. đ??ż

Quando invece p < ωđ?‘„ l’imprenditore esce dal mercato. L’equilibrio del mercato concorrenziale dovrĂ essere considerato dopo la disamina della teoria del produttore. Giova ricordare che in concorrenza perfetta i singoli attori singolarmente non incidono sul prezzo. In dette condizioni la relazione di equilibrio pQ = ωL può essere interpretata come eguaglianza tra ricavi e costo di produzione.

In realtĂ le cose sono piĂš complesse in quanto il fattore lavoro non è l’unico costo. đ??ż

Nell’ipotesi p > ωđ?‘„ l’imprenditore agricolo si appropria di un extraprofitto Ď€ = pQ – ωL > 0. Nella logica concorrenziale nel dominio del tempo t si ha che Ď€(t) → 0. Per la definizione rigorosa di extraprofitto ci si può riferire a quanto indicato piĂš oltre. Un modello piĂš sofisticato potrebbe essere del tipo đ??ż

�

p ≼ ω� + r � ove T indica il fattore terra e r la relativa remunerazione. In astratto si potrebbe pensare di introdurre un ulteriore fattore addizionale di costi gestionali, quando si ammetta che r sia la remunerazione netta del fattore terra.

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Allora si avrebbe đ??ż

�

p ≼ ω� + r � +

đ?‘?(đ?‘‡) đ?‘„

c(T) esprime il fatto che i costi di gestione sono funzione di T, nel caso di specie detti costi sono funzione delle dimensioni del terreno agricolo e del mix ottimo di gestione (acquisto di sementi, beni intermedi per la lavorazione, strumenti per gli operai, etc.). Tornerò sui costi e in particolare sulla funzione di Cobb e Douglass nell’ambito della teoria del produttore. Ăˆ bene partire da una osservazione di ampia portata, ovvero dal ruolo della concorrenza, giĂ cara ai fisiocrati francesi del XVIII secolo. Condizioni di essa sono rappresentate dalla libertĂ di comprare e di vendere (e simmetricamente di non comprare e di non vendere), dalla condizione di eguaglianza tra compratore e venditore (non esistendo, in astratto, un soggetto forte e uno debole nel rapporto interattivo di scambio), l’atomicitĂ , ovvero la presenza di un numero astrattamente grande di soggetti, incapaci di definire con la loro scelta individuale, il prezzo di mercato di un bene, la fluiditĂ , ovvero la sostanziale istantaneitĂ per i soggetti di entrare e uscire dal mercato. Non ho introdotto l’omogeneitĂ perchĂŠ ho ritenuto di introdurre nel testo alcune osservazioni sui gusti.

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LA TEORIA ELEMENTARE DEL CONSUMATORE

Il primo soggetto privato che si studia in microeconomia è il consumatore. Esso viene descritto, al pari del produttore, dalla teoria economica come un attore razionale. Ci riferiamo all’homo economicus che massimizza la sua utilità. Il consumatore compie costantemente delle scelte tra differenti alternative. Le alternative sono essenziali. Il suo scegliere, tra diverse ipotesi, è comunque vincolato dalla sua disponibilità monetaria. Egli sotto un vincolo di bilancio (costituito dalle risorse monetarie disponibili) assegnato cerca di massimizzare la propria utilità. Egli sa tutto ciò che rileva per decidere bene. Questa è sicuramente un’ipotesi vera solo in prima approssimazione. Bisogna quindi rifarsi ad un modello approssimante la realtà di un soggetto che non possiede mai tutte le informazioni utili a prendere la decisione migliore. Quindi i consumatori sono solo tendenzialmente attori razionali. Ma appunto, quale sarebbe la decisione migliore? Si è soliti dire che il consumatore nel prendere le proprie decisioni di consumo, ovvero nell’acquistare i beni e i servizi che gli interessano, massimizza la propria utilità. La nozione di utilità è stata introdotta in economia dalla dottrina britannica, a partire da Jeremy Bentham e quindi da John Stuart Mill. Il loro paradigma, ben evidente anche in Senior, è che gli individui agiscono per rendere massimo il loro benessere. Essi fanno ciò sulla base dei loro bisogni, dei loro gusti, sulla base della modalità soggettivamente variabile di soddisfare un definito bisogno, ma nel quadro delle informazioni (molto spesso delle non conoscenze...) che possiedono.

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Si parla propriamente di edonismo economico del consumatore nella misura in cui la scelta, tra opzioni differenti, massimizzi il piacere, sicuramente razionale, nel senso che, per ogni consumatore, esiste una gradazione ordinale delle preferenze che conducono alla scelta razionale. L’intento del consumatore è sicuramente orientato alla massimizzazione della sua utilità, prevedendosi l’ipotesi di corrispondenti modifiche decisionali. Diviene quindi cruciale definire correttamente il concetto di utilità economica del consumatore. In termini formali e neoclassici l’utilità esprime una misura soggettiva, non riferita né rapportabile a confronti interpersonali, ovvero a paragoni tra differenti consumatori, del livello di soddisfazione che il consumatore acquisisce, nella sua sfera fisica e psichica, dal consumo di un paniere di beni. Non sono ammissibili confronti interpersonali di utilità. Ciò è ben evidente ove si consideri che i bisogni degli individui, attori di consumo, si differenziano da soggetto a soggetto (ad esempio, il bisogno dell’uno può non essere il bisogno di un altro soggetto), ma rispetto ad uno stesso bisogno le risposte individuali possono (e solitamente sono) essere diverse. A fronte del bisogno del bere due soggetti possono gratificarsi con dosi diverse di una medesima bevanda, ma anche con bevande diverse, che magari hanno prezzi diversi…. Non esiste una unità di misura oggettiva della utilità e questo spiega perché non esiste una funzione di utilità aggregata, ovvero riferita al complesso dei consumatori. Il consumatore si soddisfa acquisendo oggetti fisici o res immateriali. Un bene economico è un oggetto fisico prodotto in quantità limitata utile a soddisfare un bisogno fisico o morale di un soggetto fisico, il consumatore. Il concetto di limitatezza conduce a quello di rivalità, nel senso che uno stesso bene diviene contendibile tra più soggetti rivali. Il concetto di servizio economico attiene a beni economici prodotti in quantità limitate ma immateriali (per esempio biglietto del cinema, etc.). Anche per essi si può parlare di contendibilità (o rivalità). Tale caratteristica non è presente nei cosiddetti beni pubblici. - 14 -


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Il concetto economico di utilità è legato al concetto di soddisfacimento di bisogni e, con riferimento ad un dato soggetto, ad un particolare consumatore, esso è formalizzato da una funzione detta funzione di utilità totale. La ratio che sta dietro a questa curva è semplice. Un soggetto ha un bisogno e lo soddisfa gradualmente consumando dosi addizionali di un determinato bene (o servizio immateriale). Man mano che il soggetto consuma dosi di bene il suo grado di soddisfacimento cresce a ritmi sempre più lenti. Ad un certo punto dosi addizionali di bene non sono più necessarie e la soddisfazione complessiva non aumenta (ipotesi di sazietà). Questo ragionamento presuppone un potere di acquisto, in termini di risorse monetarie, adeguato alla acquisizione delle varie dosi di bene ritenute necessarie al soddisfacimento dei bisogni. Questo ragionamento peraltro è molto parziale perché presuppone la acquisizione di un solo bene. Vedremo più oltre che per definire correttamente la situazione sarà necessario riferirsi al caso di utilità marginali ponderate eguali, rispetto ai prezzi, quando si considera l’ipotesi di un consumatore che scelga due beni per massimizzare la propria utilità. Comunque le riflessioni più sopra fatte ben giustificano il fatto che vengano esaminate funzioni elementari di utilità crescenti a tasso di crescita decrescente, quindi limitate superiormente. È bene procedere per gradi e partire dalla curva di utilità avente una sola variabile indipendente, costituita dalla quantità di un dato bene. È una modalità complessa per definire il grado di soddisfazione che procura ad un individuo il consumo di un certo numero di dosi di un bene. La funzione di utilità è la relazione funzionale che collega la quantità di bene consumato (variabile indipendente) con la corrispondente utilità (variabile dipendente). Il primo tipo di funzione di utilità che si considera è quella ad una sola variabile.

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Non ogni curva è idonea a rappresentare una funzione di utilitĂ . Le curve di utilitĂ ammesse sono solo quelle crescenti ma a tasso di crescita decrescente che conducono ad un valore che asintoticamente conduce alla condizione di sazietĂ o comunque sia dotata di un massimo oltre il quale il consumatore non prova piĂš piacere dal consumo di quantitĂ di bene. Per certi aspetti oltre certe dosi il bene può divenire un male economico. Le curve di utilitĂ ammesse passano per l’origine del sistema di assi ortogonali, sul cui asse delle ascisse sono collocate le quantitĂ Q del bene e sull’asse delle ordinate le corrispondenti utilitĂ U(Q) associate al consumo. U(Q) definisce l’utilitĂ totale o cumulata per effetto del consumo di un certo numero di dosi di bene. L’utilitĂ totale è pertanto definita come l’utilitĂ tratta dal consumatore per effetto del consumo di un certo numero di dosi. Esiste quindi un Q = đ?‘„đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą per il quale risulta sia U(đ?‘„đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą ) = đ?‘ˆđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ . Per Q > đ?‘„đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą si ha che U(Q) < đ?‘ˆđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ . Oltre al concetto di utilitĂ totale, appena delineato, deve introdursi l’importante concetto di utilitĂ marginale, che, nel caso della teoria economica standard, è decrescente. Questa asserzione è largamente condivisibile. Argomentando con strumenti analitici si dovrebbe osservare che se la utilitĂ marginale non fosse decrescente si avrebbe a che fare con curve di utilitĂ totale per le quali l’utilitĂ totale sarebbe illimitatamente crescente al crescere di Q, negandosi, per questa via, ogni ipotesi di sazietĂ del consumatore. 1

Una tipica funzione di utilitĂ accettabile è, ad esempio, del tipo U(Q) = kđ?‘„ 2 con k > 0. Per essa si ammette che U(Q) vari infinitesimamente per variazioni infinitesime di Q da Q a Q + dQ. Ma la quantitĂ potrebbe utilmente essere costituita da pezzi interi (panini, etc.). Allora si avrebbe la necessitĂ di usare la funzione parte intera di Q avendosi che

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U(Q) = k([đ?‘„])2 Per ogni funzione di utilitĂ U(0) = 0 Va esaminata la utilitĂ marginale, sia in termini di variazioni discrete delle quantitĂ che in termini di variazioni infinitesime. Il concetto di utilitĂ marginale (decrescente) attiene alla variazione della utilitĂ totale al crescere delle quantitĂ acquistate. L’utilitĂ marginale in termini di variazioni discrete delle quantitĂ consumate è đ?›Ľđ?‘ˆ

đ?‘ˆđ?‘š = đ?›Ľđ?‘„

Quanto invece si considerano variazioni infinitesimali della quantitĂ consumata la formula definitoria della utilitĂ marginale diviene đ?›żđ?‘ˆ

đ?‘ˆđ?‘š = đ?›żđ?‘„

L’utilitĂ marginale è una funzione della quantitĂ consumata. Se si ragiona in termini di quantitĂ infinitesimali essa risulta essere una curva continua monotona decrescente in astratto intersecante l’asse delle ascisse, ove sono poste le quantitĂ Q, in un punto che corrisponde alla condizione di sazietĂ . Quella tra sazietĂ e valore della funzione di utilitĂ marginale è una correlazione ben spiegabile anche nel caso di una funzione di utilitĂ riferita ad un solo bene. Tale situazione è ben descritta in Asano (op. citata). Io la vorrei formalizzare nel modo seguente. La quantitĂ di bene che corrisponde alla condizione di sazietĂ , đ?‘žđ?‘ đ?‘Žđ?‘§ è quella per la quale đ?‘‘đ?‘ˆ đ?‘‘đ?‘ž

= 0.

Per certi aspetti quello della derivata prima potrebbe avere il significato di un test per verificare se una U è annoverabile nella classe delle funzioni di utilità proprie della teoria microeconomica. Infatti se

đ?‘‘đ?‘ˆ đ?‘‘đ?‘ž

≠0 đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘œđ?‘”đ?‘›đ?‘– đ?‘ž tale che q ∈ dom U allora U non è una funzione di utilitĂ

nel senso classico in quanto per essa non esiste una condizione di sazietĂ corrispondente. - 17 -


* APPUNTI MATEMATICI 15 – MARZO 2016 *

In effetti non mancano beni la cui acquisizione non attutisce il bisogno, non essendo quindi rappresentabile in termini di utilitĂ marginale decrescente. Questo è vero per il caso di beni rifugio che però hanno una funzione di conservazione di potere di acquisto per decisioni future, come il caso dei metalli preziosi. Per i beni di lusso, pellicce, etc., la legge di utilitĂ decrescente sembra non stringente. Coordinando esisti giĂ visti è possibile affermare che di norma il consumo di un bene economico dipende direttamente dal reddito e inversamente dal prezzo secondo la đ?‘…

relazione đ?‘„đ?‘‘ âˆ? đ?‘?. đ?‘…

In economia la quantitĂ đ?‘? definisce il potere di acquisto in relazione ad un dato bene. In realtĂ il potere di acquisto che solitamente si considera in economia è la ratio tra il reddito R e il livello generale dei prezzi, per la cui definizione si rimanda a qualunque testo di macroeconomia o di statistica economica. đ?‘…

đ?‘…

Dalla relazione đ?‘„đ?‘‘ âˆ? đ?‘? đ?‘ đ?‘– ottiene la seguente đ?‘„đ?‘‘ = kđ?‘? . Il prezzo è dato in unitĂ di conto diviso unitĂ fisiche di bene. La costante k è priva di dimensioni. Usando il linguaggio dell’economia possiamo dire che detta costante è unit free. La costante k deve ritenersi costante quando restano costanti i gusti e i prezzi degli altri beni correlati. In particolare se tutti i prezzi dei beni correlati restano costanti allora una variazione di k, che ben possiamo intendere alla stregua di un parametro, definisce una variazione dei gusti. Per certi aspetti una variazione dei prezzi dei beni correlati induce una variazione dei gusti. Ma vorrei rimarcare un altro punto che mi sta a cuore. Una variazione dei gusti del consumatore può anche avvenire a bocce ferme, ovvero quando tutte le variabili rilevanti (prezzo del bene, prezzi dei beni correlati, reddito disponibile) rimangono costanti.

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Nessuno può impedire anche al più razionale degli attori di passare dal consumo della Coca Cola a quello della Pepsi (o viceversa) ad nutum, senza che siano intervenute variazioni rilevanti di natura oggettiva. Ma in astratto si può dire di più. Il consumatore potrebbe apprendere della esistenza di un nuovo prodotto e, valutatolo, optare per esso. In effetti il panorama economico è sempre stato caratterizzato dall’affermarsi di nuovi prodotti e nell’introdurre il concetto di gusto affiora il germe della concorrenza imperfetta negli schemi della indifferenziazione dei prodotti, tipica della logica della concorrenza perfetta. Non è il caso di dilungarsi ulteriormente, ma possiamo anche dire che esiste un effetto di snobbismo, per il quale l’utilità di un bene dipende dall’invidia che il consumo provoca negli altri consumatori. Solitamente le funzioni di utilità sono descritte da una utilità dipendente dal consumo di due beni. Ciò ben ricomprende il caso di due beni complementari, ritenuti da quel particolare consumatore idonei a soddisfare il medesimo bisogno. Per essi il soddisfacimento del bisogno si realizza con il consumo di entrambi i beni, secondo proporzioni definite in modo oggettivo a legate a valutazioni oggettive. Primo esempio l’acquisto di una scarpa destra è contestuale all’acquisto di una sinistra. La complementarietà ha anche una valenza soggettiva. Un piatto di pasta al pesto presuppone pasta e pesto, ma in proporzioni variabili da soggetto a soggetto. In modo ampio e generalizzato si preferisce introdurre il concetto di paniere di beni, rispetto al quale la soddisfazione (utilità totale) resta costante al variare delle quantità consumate anche in senso di non conservazione della simmetria (il consumo di panini e una lattina di Coca Cola non produce la stessa situazione di soddisfazione del consumo di una panino e di tre lattine di bevanda, ovviamente...). Difficilmente il consumo di un panino e tre lattine non dà la stessa soddisfazione (in astratto non appaga lo stesso bisogno) del consumo di tre panini e una lattina di Coca cola. Una importante classe di funzioni di utilità con due beni x ed y è costituita dalle funzioni del tipo di Cobb-Douglas

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U(x,y) =đ?‘Ľ đ?‘Ž đ?‘Ś đ?‘? con a ∈ (0 , 1) e b ∈(0 , 1)

In economia quando si considera un modello di utilitĂ che coinvolge due beni X ed Y in quantitĂ x ed y si ha che l’utilità è definita a partire dalla funzione di utilitĂ U(.). Dati due panieri (x, y) e (x’ , y’) è possibile che un consumatore (non essendo ammissibili confronti interpersonali) dica che i due panieri gli sono indifferenti, oppure che egli preferisce uno all’altro.

Tertium non datur. Due panieri indifferenti comportano per il consumatore la medesima utilitĂ . Due panieri non indifferenti sono associati a distinti valori di utilitĂ . Se x = x’ affinchĂŠ i panieri siano indifferenti è necessario che sia y = y’. I due panieri, in questo caso, devono essere lo stesso paniere. Ăˆ ben evidente che in situazioni reali un consumatore non si limita al consumo di due soli beni, ma, in generale, consuma n beni distinti. Essi costituiscono un paniere di beni. Al vettore paniere dei beni, indicato con Q = (đ?‘ž1 , đ?‘ž2 , đ?‘ž3 , ‌ . . , đ?‘žđ?‘– , ‌ . đ?‘žđ?‘› ) corrisponde il vettore dei prezzi, avendo ogni bene un dato prezzo, non influenzabile dai comportamenti del singolo consumatore. Detto vettore dei prezzi è P = (đ?‘?1 , đ?‘?2 , đ?‘?3 , ‌ . . , đ?‘?đ?‘– , ‌ . đ?‘?đ?‘› ) Il reddito R destinato al consumo viene variamente ripartito tra i vari beni e vale la relazione R = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žđ?‘– Ăˆ ovviamente possibile che esista un qualche i per il quale đ?‘žđ?‘– = 0. In questo caso si tratta di beni che non interessano il dato consumatore. Ăˆ poi pure evidente che è possibile considerare il vettore i cui componenti sono, al variare di i, le varie đ?‘?đ?‘– đ?‘žđ?‘– .

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La ratio

đ?‘?đ?‘– đ?‘ž đ?‘– đ?‘…

misura in termini relativi quanta parte del reddito destinato al consumo

viene impiegata per l’acquisto di un dato bene, il bene i. Mi sono deciso di quantificare la variazione dei gusti, rispetto ad un dato bene, a reddito costante, in termini semplici come đ?‘?đ?‘– đ?‘…

���

Mi sono convinto che si possano variare i gusti a reddito costante e con il prezzo del bene pure costante. Al di lĂ di ipotesi teoriche è sicuramente ammissibile che un soggetto decida di modificare i propri comportamenti variando l’acquisto di quantitĂ di un dato bene. L’ipotesi standard è data dal saggio marginale di sostituzione. In queste ipotesi non standard si ammettono comportamenti magari meno razionali ma comunque reali e ammissibili. Tale grandezza è unit-free. In caso di variazione del reddito essa dovrebbe risultare đ?‘?đ?‘–

��� ��

Elaborai ipotesi non soddisfacenti e fermo restando il caso della prima delle relazioni trovate che presuppone una variazione dei gusti che determina una variazione della quantitĂ domandata a prezzo costante ho deciso di definire la quantificazione dei gusti del consumatore nei modi seguenti: a)

1) variazione del prezzo del bene con conseguente variazione della quantitĂ domandata, ovvero đ?‘ž2 = đ?‘ž2 (đ?‘?2 ) per cui si ha

b)

đ?‘…

−

đ?‘?1 đ?‘ž1 đ?‘…

=

đ?›Ľđ?‘&#x; đ?‘…

2) variazione del reddito R per cui varia anche la quantitĂ domandata per cui la variazione dei gusti vale

c)

đ?‘?2 đ?‘ž2

đ?‘?1 đ?‘ž2 đ?‘…2

−

đ?‘?1 đ?‘ž1 đ?‘…1

essendo costante il prezzo del bene.

3) variazione del reddito con contestuale variazione della quantitĂ domandata ovvero

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d)

đ?‘ž2 =đ?‘ž2 (đ?‘?, đ?‘…) definibile come q = đ?‘˜1 pđ?‘˜2 R = k p R đ?‘˘đ?‘›đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Žâ€˛ đ?‘‘đ?‘– đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘’

k è espressa in (đ?‘˘đ?‘›đ?‘–đ?‘Ąđ?‘Žâ€˛ đ?‘‘đ?‘– đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ)2

Solitamente vengono introdotte, per ragioni didattiche, le curve di indifferenza. Si ammetta che un consumatore consumi solo due beni, x ed y, in quantitĂ variabili definite come đ?‘žđ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘žđ?‘Ś . La curva di indifferenza definisce tutte le possibili combinazioni di quantitĂ dei due beni per le quali risulta costante l’utilitĂ . Ove si ragioni in đ?‘… 3 la curva di indifferenza è costituita dalla superficie U = U(đ?‘žđ?‘Ľ , đ?‘žđ?‘Ś ). PiĂš comunemente le curve di indifferenza vengono rappresentate nell’ordinario piano cartesiano, collocando sui due assi le quantitĂ del bene x e del bene y rispettivamente. Una curva del genere nel piano cartesiano definisce, come detto, i punti del piano che hanno costante (e si ammette sia data o assegnata) l’utilitĂ totale. Ăˆ di immediata evenienza economica che dette curve siano decrescenti ovvero sia đ?‘‘ đ?‘žđ?‘Ś đ?‘‘ đ?‘žđ?‘Ľ

< 0.

Ăˆ evidente che con riferimento a due beni esiste non una ma una intera famiglia di curve di utilitĂ di indifferenza. Ne esiste una per ogni livello di utilitĂ . Due curve di indifferenza definite rispetto a distinti livelli di soddisfazione non si possono intersecare per la semplice ragione che uno stesso paniere, quello del punto di intersezione di detti luoghi, corrisponderebbe ad almeno due distinti livelli di soddisfazione per il medesimo soggetto. Una assurditĂ palese. Vorrei introdurre qualche motivo di critica al modello delle curve di indifferenza non intersecantesi e convesse, specie quando ci si riferisce alla condizione di equilibrio. In questo modello la soddisfazione può essere puramente teorica.

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Se considero la migliore scelta individuale quella data dalla condizione di tangenza tra una curva di indifferenza ed una retta di bilancio, vincolo stringente per il consumatore, quella scelta è la migliore possibile compatibilmente con un assegnato budget, o vincolo di bilancio. Forse sarebbe piĂš giusto definire un livello di utilitĂ massimo oltre il quale per un dato consumatore non sono economicamente accettabili curve di indifferenza piĂš esterne. Esse definirebbero condizioni di panieri che superano la condizione di sazietĂ , che prima o poi si realizza. Data questa curva di indifferenza cui corrisponde una utilitĂ totale ottimale, dati i prezzi dei beni è definito un reddito di benessere che consente di massimizzare l’utilitĂ definendo un paniere ottimale, ricavato, al solito, dalla condizione di tangenza tra la curva di indifferenza ottima e il vincolo di bilancio. Per redditi inferiori a quello di benessere si hanno soluzioni ottime compatibili con reddito minore, e quindi inferiori alla sazietĂ . Il reddito di benessere è concetto riferito all’individuo, anche se in astratto si può pensare ad un consumatore standard e quindi quantificare detto reddito in via interindividuale. Tornando alla teoria standard possiamo dire che la quantificazione della condizione di indifferenza, riferita a panieri indifferenti, indi giacenti sulla medesima curva di isoutilitĂ , è data dal saggio marginale di sostituzione. Il tasso marginale di sostituzione in termini matematici è una quantitĂ positiva e risulta essere pari all’opposto della derivata prima della funzione di utilitĂ totale. Si ha che Δđ?‘Ś

TMS = - Δđ?‘Ľ = - (đ?‘ˆđ?‘˜ )’ > 0. L’apice denota la derivata prima. Ovviamente a consumatori differenti possono corrispondere differenti curve di utilitĂ , espressione della varietĂ dei gusti. Le decisioni di consumo sono ovviamente condizionate dal reddito per il consumo, frazione del reddito complessivo.

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Al riguardo si parla di un vero e proprio vincolo di bilancio. Si denotino semplicemente con X e con Y le quantitĂ dei due beni che il consumatore desidera possedere. Siano đ?‘?đ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘?đ?‘Ś i prezzi dei due beni. Sia R il reddito per il consumo di essi. La formalizzazione del vincolo di bilancio è immediata e del tipo affine quale R = Xđ?‘?đ?‘Ľ + Yđ?‘?đ?‘Ś Ăˆ immediato esplicitare la quantitĂ domandata del bene Y in funzione delle altre grandezze coinvolte avendo immediatamente che đ?‘?

đ?‘…

Y = - đ?‘?đ?‘Ľ X + đ?‘? đ?‘Ś

đ?‘Ś

Di detta retta interessa ovviamente solo il segmento di essa che passa per il primo quadrante cartesiano, avendosi a che vare con X e Y positivi. Le intersezioni con i due assi si ricavano ordinariamente ponendo X = 0 e Y = 0, rispettivamente. La retta di bilancio assume diverse posizioni e si parla di variazioni del vincolo di bilancio quando varia una grandezza che la definisce. Ove vari il reddito destinato al consumo e ogni altro parametro resti costante detta retta trasla parallelamente a se stessa, verso l’origine o verso l’esterno a seconda che il reddito cresca o diminuisca. Una banale conoscenza di geometria analitica consente di comprendere che quando đ?‘?

varia il prezzo relativo, ovvero la quantitĂ đ?‘?đ?‘Ľ , varia l’inclinazione della retta, essendo la đ?‘Ś

đ?‘?

quantitĂ - đ?‘?đ?‘Ľ il coefficiente angolare della retta di bilancio. đ?‘Ś

Il caso piĂš delicato è quello che si abbia una variazione del reddito e dei prezzi. In questi casi la cosa piĂš immediata è passare da đ?‘?′

�′

Y’ = - đ?‘?′đ?‘Ľ X’ + đ?‘?′ đ?‘Ś

đ?‘Ś

a

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* APPUNTI MATEMATICI 15 – MARZO 2016 * đ?‘?′′

�′′

Y’’ = - đ?‘?′′đ?‘Ľ X’’ + đ?‘?′′ đ?‘Ś

đ?‘Ś

ove gli apici si riferiscono a un prima e un dopo, quindi a periodi di tempo successivi tra di loro. Nel caso piĂš generale dette variazioni conducono a distinte rette di bilancio, differentemente inclinate. Esiste sicuramente un caso in cui la variazione dei parametri mantiene costante la retta di bilancio. In altri termini può variare il reddito (per esempio crescere) e possono variare i prezzi (per esempio, crescere). Ma a quali condizioni la retta di bilancio resta costante. Una prima condizione è che sia costante il prezzo relativo dei due beni ovvero sia đ?‘?đ?‘Ľ đ?‘?đ?‘Ś

costante.

Deve poi essere che per X’ = X’’ = 0 sia pure ΔY = 0. �′

�′′

Detta condizione equivale a đ?‘?′ = đ?‘?′′ đ?‘Ś

đ?‘Ś

Fuori da questa digressione occorre ora concentrarci sulla condizione di ottimo. Data una famiglia di funzioni di utilitĂ per il consumatore e dato un vincolo di bilancio la condizione di ottimo per il consumatore è definita dalla condizione di tangenza tra la curva di indifferenza đ?‘ˆđ?‘˜ e la retta di bilancio, r. PiĂš propriamente esiste un k per il quale đ?‘ˆđ?‘˜ â‹‚ r = (đ?‘Ľđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą , đ?‘Śđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ą ). k designa un livello di utilitĂ per il consumatore. Solitamente maggiore è il reddito maggiore è k. Ci si riferisce sempre ad un dato consumatore, non essendo ammissibili confronti interpersonali di utilitĂ . A ragione un autore tra quelli che ho citato nelle indicazioni bibliografiche dice quando si studia la microeconomia una delle prime formule davvero importanti è la seguente đ?‘?đ?‘Ľ đ?‘?đ?‘Ś

đ?‘ˆâ€˛

= đ?‘ˆâ€˛đ?‘Ľ

đ?‘Ś

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ove numeratore e denominatore del secondo membro definiscono rispettivamente le utilitĂ marginali parziali per variazione di quantitĂ dei beni x ed y. Si tratta di spiegarla, ed anche in questo caso la situazione è abbastanza semplice. Ci si basa sul fatto che nella sostituzione tra beni ci si muove sulla stessa curva, quindi si ammette che sia U = costante e piĂš propriamente dU = 0. In questa argomentazione si sottende che sia dU = dđ?‘ˆđ?‘Ľ + dđ?‘ˆđ?‘Ś = 0 ovvero dU = 0 â&#x;ş dđ?‘ˆđ?‘Ľ = - dđ?‘ˆđ?‘Ś â&#x;ş đ?‘ˆ ′ đ?‘Ľ đ?›Ľđ?‘‹ = - đ?‘ˆâ€˛đ?‘Ś ΔY da cui đ?‘ˆâ€˛đ?‘Ľ đ?‘ˆâ€˛đ?‘Ś

=−

đ?›Ľđ?‘Œ đ?›Ľđ?‘‹

đ?‘ƒ

= đ?‘ƒđ?‘Ľ

đ?‘Ś

Detta eguaglianza rapporta il tasso marginale di sostituzione al prezzo relativo. Vengono considerati solitamente due distinti effetti. Il primo è detto effetto di sostituzione. In questo caso si passa da un paniere ad un altro per effetto di una modificazione del prezzo relativo, rimanendo comunque sulla medesima curva di indifferenza. L’effetto reddito invece si ha quando resta costante il prezzo relativo e varia il reddito. Solitamente di considera una approssimazione lineare della domanda di un consumatore La quantitĂ domandata di un bene è funzione del prezzo del bene. Questa asserzione va ovviamente precisata. In effetti la quantitĂ domandata di un bene, indicata con đ?‘„đ?‘‘ , dipende sicuramente dal prezzo p del bene domandato, ma anche dai prezzi dei beni succidanei e dai prezzi dei beni complementari, e pure dal reddito disponibile. Nella letteratura economica, poi, viene indicata una dipendenza dai cosiddetti gusti del consumatore. Nelle trattazioni elementari standard non si fa un riferimento diretto alle funzioni di utilitĂ individuali.

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Ma certo la domanda individuale è correlata alla funzione di utilitĂ del singolo consumatore, non potrebbe essere altrimenti. La formalizzazione matematica della funzione di utilità è la seguente đ?‘„đ?‘‘ = đ?‘„đ?‘‘ (p, đ?‘?đ?‘– , R, gusti) p denota il prezzo del bene esaminato, đ?‘?đ?‘– indica il prezzo dell’iesimo bene ponibile in relazione con la quantitĂ domandata del bene esaminato, R denota il reddito disponibile per il consumo. Si osservi anche la dipendenza dai gusti, che variano da consumatore a consumatore. Quindi, inter alia, quando si disegna una curva di domanda si tiene conto, per cosĂŹ dire, della costanza dei gusti (tastes or preferences). I gusti sono almeno parzialmente legati a ragioni di convenienza e opportunitĂ oltre che a abitudini sociali (social attitudes), come ricordano Begg, Fischer e Dornbusch in Foundations of Economics. I gusti individuali (e collettivi) sono poi mutevoli nel tempo e influenzano le decisioni dei singoli. Certamente i gusti sono anche influenzati dalle variazioni del reddito disponibile per il consumo. Nel caso di beni normali, per esempio, un aumento del reddito determina una traslazione verso destra della curva di domanda. Ma si deve ipotizzare che in senso piĂš ampio una variazione del reddito induca una corrispondente variazione dei gusti. I gusti non variano nel tempo solo per l’effetto delle mode ma anche per ragioni oggettive. Per certi aspetti sono oggettivati dal vincolo del reddito, sono i gusti compatibili con il reddito. Nella particolare posizione della curva di domanda, oltre al prezzo del bene e al reddito si tiene conto dei gusti e dei relateed goods, distinti poi nelle due tipologie dei beni complementari e dei beni alternativi, o succidanei. Se deve essere mossa una critica a Marshall forse essa deve essere del tipo di aver considerato quale variabile indipendente pure i gusti.

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Per certi aspetti forse si poteva vedere nella categoria dei gusti, variabile condizionata più che variabile indipendente, l’esito delle scelte non libere del consumatore ma vincolate al prezzo del bene, al prezzo dei beni correlati e al vincolo di bilancio. I gusti ideali sono aggiustati e sostituiti da gusti compatibili coi vincoli e mutevoli oltre che in ragioni di variazioni di mode e di costumi, ma anche per effetto di variazioni delle variabili indipendenti. Comunque, anche per Fisher, Begg e Dornbusch i gusti ‘‘describe the utility a consumer

gets from the goods consumed’’, risultando detta utilità come ‘‘happiness or satisfaction’’, dovendosene rimarcare la loro dipendenza anche da condizioni familiari, dalla storia, dalle relazioni sociali, etc. Per i beni normali una crescita del reddito disponibile porta con sé ad una traslazione parallela della retta di bilancio. Questa traslazione sottende che i gusti restino costanti, nel senso di una identica attitudine al consumo, che varia in termini quantitativi per i beni normali in proporzione alla variazione del reddito. Questa asserzione va intesa nel senso che permane una preferenza per certi beni ma le mutate esigenze di bilancio inducono ad acquisti di essi in quantità differenti. Nel vigore di una data curva di domanda individuale e in costanza di reddito un individuo potrebbe mutare i propri gusti. Per esso sarà data una nuova curva di domanda. Essa, a parità di ogni altra condizione, deve avere una diversa inclinazione. Questa sembra essere una ipotesi ragionevole. Nel ragionamento marshalliano è infatti sotteso che due rette di domanda riferite a due soggetti diversi che siano price takers e che abbiano lo stesso reddito abbiano inclinazioni diverse, giustificate se e solo se si ammettono gusti diversi per i due distinti consumatori. Se i due consumatori fossero eguali in tutto allora avrebbero la medesima scheda individuale di domanda. Il caso dello shift, ovvero della traslazione parallela non è compatibile con quanto appena scritto, in quanto si ammette la conservazione dell’inclinazione, come da rette parallele.

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La teoria microeconomica standard rappresenta le variazioni dei gusti con traslazioni (shifting) delle rette individuali di domanda. Andrebbe forse pensato di introdurre una piĂš diretta relazione con la funzione di utilitĂ , pure variabile da consumatore a consumatore. I gusti per certi aspetti ne costituiscono una parte, quella piĂš legata a riflessioni contingenti. I gusti cambiano nel tempo..., magari con l’offerta di nuovi prodotti. Anche questa variabilitĂ non dovrebbe essere trascurata. L’analisi marshallliana è sempre di equilibrio parziale. Quando si studia la curva đ?‘„đ?‘‘ = đ?‘„đ?‘‘ (p, đ?‘?đ?‘– , R, gusti) đ?‘„đ?‘‘ = đ?‘„đ?‘‘ (p) si ammette che le altre grandezze rilevanti, piĂš sopra evidenziate, restino costanti. Giova osservare la rilevanza di una distinzione tra le variabili indipendenti. I prezzi sono non dipendenti dalla volontĂ del singolo, mentre R, ovvero il reddito, e i gusti sono legate al caso del singolo, che ha un certo reddito per il consumo e dati gusti. Analisi di equilibrio parziale è sinonimo di ceteris paribus (a paritĂ di ogni altra condizione). La grandezza prezzo, p, è la variabile indipendente, mentre la quantitĂ domandata, đ?‘„đ?‘‘ , è la grandezza dipendente. Si potrebbe dire che la quantitĂ domandata è funzione (ovvero dipende, a paritĂ di ogni altra condizione) dal prezzo del bene. Nella manualistica economica, per tradizione, il prezzo viene collocato sull’asse delle ordinate, mentre le quantitĂ sono collocate sull’asse delle ascisse. La modalitĂ matematicamente piĂš corretta è comunque ammessa, ponendo il prezzo (variabile indipendente) sull’asse delle ascisse e la quantitĂ domandata (variabile dipendente) sull’asse delle ordinate. Ogni individuo è un unicum, quanto a preferenze.

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Per ogni individuo, a paritĂ di ogni altra condizione, è data una particolare curva (o scheda) di domanda. Date le schede di domanda individuali è possibile definire la domanda dell’individuo medio immediatamente costruibile dalle schede individuali considerando per ogni p ammesso la quantitĂ media đ?‘žđ?‘šđ?‘’đ?‘‘ (p). Sia n il numero dei consumatori. In genere n è un intero abbastanza grande. Siano dati due prezzi đ?‘?1 đ?‘’ đ?‘?2. Le quantitĂ medie domandate dal mercato relativamente a detti prezzi sono rispettivamente ∑đ?‘› đ?‘–=1 đ?‘žđ?‘– (đ?‘?1 ) đ?‘› ∑đ?‘› đ?‘–=1 đ?‘žđ?‘– (đ?‘?2 ) đ?‘›

Quando si studia la relazione tra prezzo di un bene e quantità domandata di si possono utilizzare alternativamente i piani (p, q) o (q , p). In senso tecnico la relazione q =q(p) è detta funzione di domanda. Non infrequentemente viene definita la funzione inversa di domanda. Essa è del tipo p=p(q). Si tenga conto che tali osservazioni sono definibili, mutatis mutandis, anche in relazione alla funzione di offerta del produttore, avendosi quindi una funzione di offerta ed una funzione inversa di offerta.

Quando per un dato individuo si afferma che è nota la funzione đ?‘„đ?‘‘ = đ?‘„đ?‘‘ (p) si intende che per detto consumatore sono noti i gusti e la sua funzione di utilitĂ , è noto il reddito destinato al consumo, e che egli modula le proprie decisioni noti i prezzi dei beni complementari e dei beni succidanei. A questo punto necessita dare due definizioni. Occorre dire cosa si intende con la locuzione beni succidanei.

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Due beni sono succidanei quando sono sostituibili nel consumo individuale, solitamente come risposta a variazioni dei loro prezzi relativi. đ?‘?

Dati due beni A e B il rapporto đ?‘?đ??´ definisce il prezzo relativo del bene A in relazione al đ??ľ

bene B. Il concetto di succidaneità è solo parzialmente oggettivo. Sono celeberrime le riflessioni sulle variazioni della quantità domandata di Coca Cola per effetto di un aumento del prezzo della Pepsi. Ma è ben evidente che non tutti reagiscono allo stesso modo allo stesso stimolo. Relativamente piÚ oggettivo sembra essere il concetto di beni complementari. Due o piÚ beni economici sono complementari quando concorrono a soddisfare il medesimo bisogno economico. Per certi panieri di beni la complementarietà è un dato abbastanza oggettivo, ma ciò non è vero in generale, come detto piÚ sopra. PiÚ beni possono essere usati contemporaneamente a costituire un bene, costituito appunto da beni complementari. Nel produrre un piatto, utile al soddisfacimento alimentare, si usano, come già detto, ingredienti (beni complementari) in quantità standard. Ma sono ammesse varianti individuali. Si è detto che le curve di domanda sono differenti da individuo a individuo. Esiste comunque una regola comune a tutti i consumatori, almeno in relazione ad una ampia categoria di beni economici, ovvero che la quantità domandata decresce al crescere del prezzo. La ragione è evidente. Al crescere del prezzo, i consumatori, con scelte individuali non riconducibili ad una scelta comune e univoca quanto a variazioni della domanda, si orientano verso altri beni, quelli considerati, per scelta individuale, succidanei. Abbiamo detto che la curva di domanda individuale dipende pure dal reddito disponibile per il consumo di beni e servizi.

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Ciò vuol dire, che a paritĂ di ogni altra condizione, un aumento del reddito determina una traslazione della curva di domanda che può essere del tipo (p, q) → ( p, q + đ?›Ľ đ?‘ž) Per ogni livello di prezzo di mercato il consumatore decide di consumare una quantitĂ addizionale di bene. Anche questa asserzione non è vera in generale. Può capitare che un aumento del reddito disponibile per il consumo sia schematizzato come (p, q) → ( p, q - đ?›Ľ đ?‘ž) Ovvero una variazione del reddito del consumatore in termini positivi, ridefinisce le scelte individuali riducendo la quantitĂ domandata. I beni che verificano questa particolare condizione sono detti beni inferiori. I beni che verificano la precedente condizione sono detti normali. In questo particolare contesto potrebbe essere definita una particolare categoria di beni il cui consumo individuale si avvia per valori del reddito destinato al consumo R > đ?‘…0 . Neanche la piĂš pacifica delle argomentazioni, quella della relazione inversa tra prezzo e quantitĂ domandata è vera in generale. Esistono beni per i quali l’effetto di ostentazione è fondamentale, essenziale direi‌. Si tratta dei beni di lusso, beni per i quali il consumo, evidentemente, si avvia per R > đ?‘…0 ma per i quali l’aumento del prezzo determina, per un effetto di ostentazione, un aumento della quantitĂ domandata, non il contrario. Per gli stessi beni normali, poi, un aumento del reddito non determina un aumento indefinito della quantitĂ domandata. Esiste una quantitĂ domandata massima ceteris paribus, al variare positivo del reddito disponibile per il consumo. Queste argomentazioni devono poi essere quantificate caso per caso con riferimento al generale concetto di elasticitĂ della domanda rispetto al reddito.

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In generale una variazione del reddito determina una ridefinizione del paniere ottimale di beni, quello che in generale massimizza l’utilitĂ , misura individuale del benessere. Vorrei chiudere questa parte ricordando che soggetti con differenti funzioni di utilitĂ sono definiti da distinte schede di domanda. Vorrei anche enfatizzare quanto traspare da queste riflessioni, ovvero che deve ritenersi che i gusti varino con il reddito, e non siano equiparabile ad una costante, se non in prima approssimazione. Quando si parla di reddito in relazione alle decisioni individuali di consumo ci si riferisce al reddito, o meglio, alla frazione di reddito disponibile che l’attore decide di destinare al consumo di beni e servizi. Formalmente si ha che il reddito disponibile, inteso come risorsa, è suscettibile di differenti impieghi, consumo e risparmio, ovvero

đ?‘…đ?‘‘ = đ?‘…đ?‘? +đ?‘…đ?‘

ove la lettera S sta per Save, che in inglese significa risparmio.

Occorre ora prendere in esame il concetto di domanda di mercato per un dato bene. Sia dato un mercato costituito da un numero arbitrario di consumatori, ciascuno dei quali dotato di una propria scheda individuale di domanda. Da esse è definibile rigorosamente la curva di domanda di mercato. La domanda di mercato di un bene è la somma delle quantitĂ domandate di quel bene per ogni livello di prezzo del bene dato. Formalmente la curva di domanda di mercato è il luogo dei punti (p, ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘„đ?‘‘,đ?‘– (p) ), ove n è il numero, in genere arbitrariamente grande, dei consumatori del dato bene. A questa argomentazione non può corrispondere la istituzione di una funzione di utilitĂ riferita al complesso dei consumatori. In buona sostanza la somma delle funzioni di utilitĂ individuali non assurge al rango di funzione di utilitĂ complessiva o sociale.

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Per ragioni grafiche e operative si ammette che la curva di domanda individuale e di mercato siano rette affini decrescenti. Questa è evidentemente una semplificazione. Va ora esaminato un particolare concetto elaborato dalla teoria economica, quello di elasticitĂ . Per introdurla nelle linee piĂš astratte occorre partire dal concetto di variazione proporzionale di una grandezza, in questo caso economica. Data una grandezza G la variazione proporzionale di essa è data dal rapporto đ?›Ľđ?‘” đ?‘”0

=

đ?‘”− đ?‘”0 đ?‘”đ?‘œ

Detta ratio è adimensionata (unit free). L’elasticitĂ misura la variazione proporzionale di una grandezza economica per effetto della variazione proporzionale di una altra grandezza economica, che, appunto, costituisce la causa. In genere l’elasticitĂ viene considerata in valore assoluto. Ad esempio viene formalizzata la elasticitĂ della quantitĂ domandata rispetto alla variazione del prezzo nel modo seguente e(q, p) = ⎸

đ?›Ľđ?‘ž đ?‘ž đ?›Ľđ?‘? đ?‘?

⎸

Ovviamente anche l’elasticità è una grandezza unit free. La maggior parte degli autori considerano l’elasticitĂ in segno, non considerandola in valore assoluto. Tale modo di procedere rende la trattazione piĂš comprensibile e non va quindi sottaciuta, anzi‌. L’elasticitĂ può essere misurata sia in relazione alle variazioni di prezzo e di quantitĂ riferite ad un determinato bene, oppure considerando la cross price elasticity of demand, ovvero considerando gli effetti di una variazione del prezzo di un bene x sulla quantitĂ domandata di un altro bene, ad esempio y.

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Tra i casi particolari di analisi della elasticitĂ vi è il caso che ci si riferisca a beni complementari o a beni succidanei. Per due beni complementari l’elasticitĂ incrociata è data da un numero negativo. Nel caso di beni succidanei l’aumento del prezzo di un bene determina un aumento della quantitĂ domandata dell’altro bene. In questo caso, rapporto di due grandezze positive, è positiva. La ragione economica di questo stato di cose è immediatamente comprensibile. Ăˆ, credo, ragionevole ritenere che nel modello delle curve di indifferenza decrescenti a due beni detti beni debbano essere considerati alla stregua di beni complementari. In questo caso particolare la complementarietĂ andrebbe intesa latu sensu, ovvero come compartecipazione dei beni acquistati al soddisfacimento del bisogno di soddisfarsi. Se ci applica il modello delle curve di indifferenza in un paniere a due beni, allora la funzione di utilitĂ per detti beni complementari ha una forma particolare ad L, ben nota. Se (x,y) è il paniere che attiene a beni complementari X ed Y allora ogni altro paniere del tipo (x , y +k) e ogni altro paniere del tipo (x +h , y) sono isotutili per ∀ (h, k) coppia di numeri reali positivi.

GiĂ si è ricordato che esiste una ulteriore distinzione tra beni economici, quella che distingue tra beni normali e beni inferiori. Viene al riguardo definito una ulteriore grandezza, detta elasticitĂ della domanda rispetto al reddito. Formalmente essa è cosĂŹ esprimibile e(q, Y) = ⎸

đ?›Ľđ?‘ž đ?‘ž đ?›Ľđ?‘Œ đ?‘Œ

⎸

In questo caso la variazione del reddito Y induce una corrispondente variazione della quantità domandata. Questo tipo di elasticità è un indicatore della sensibilità della domanda di un bene alle variazioni del reddito disponibile per il consumo.

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Vi è una regola di carattere generale ma non assoluta, rappresentata dal principio che, a paritĂ di ogni altra condizione, un aumento del reddito disponibile per il consumo determina un aumento della quantitĂ domandata. Questo principio va però precisato. Infatti, per i beni superiori, un aumento del reddito determina un aumento della quantitĂ domandata tale che e (q, Y) > 1 , mentre per i beni normali si evidenzia che 0 < đ?‘’(đ?‘ž, đ?‘Œ) < 1 e, infine, per i beni inferiori si ha e(q, Y) < 0. Ăˆ dovuta all’economista tedesco Engel una legge per la quale la quota di reddito destinato al consumo decresce in percentuale quando il reddito aumenta. I beni di prima necessitĂ (cereali, pane, etc.) sono comunemente detti beni di Giffen. Un aumento del prezzo dei beni di prima necessitĂ comporta anche un aumento moderato delle quantitĂ domandate a detrimento delle quantitĂ domandate di beni piĂš pregiati. Le formule della elasticitĂ sono date, non solo in forma di variazioni discrete delle grandezze, ma anche in forma di variazioni infinitesimali di esse e risultano rispettivamente essere e(q, p) = ⎸

đ?‘‘đ?‘ž đ?‘ž đ?‘‘đ?‘? đ?‘?

e(q, Y) = ⎸

đ?‘‘đ?‘ž đ?‘ž đ?‘‘đ?‘? đ?‘?

⎸

⎸

Riferito alla curva di domanda individuale, e quindi avuto riguardo al concetto di elasticità della domanda rispetto alla variazione del prezzo di esso non ha molto senso parlare di comportamento elastico o anelastico. In effetti, il comportamento varia a seconda di quale punto si consideri sulla curva di domanda individuale. Bisogna partire dalla circostanza che la curva di domanda ha andamento del tipo p(q) = a - ⎸m ⎸q (retta affine decrescente). - 36 -


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Nei diagrammi solitamente si pone il prezzo sull’asse delle ordinate e la quantitĂ su quello delle ascisse. La derivata prima di detta funzione, nella notazione di Leibnitz, è p’(q) = 0 - ⎸m ⎸â&#x;š ⎸p’(q) ⎸= ⎸m ⎸ e(q, p) = ⎸

đ?‘‘đ?‘ž đ?‘ž đ?‘‘đ?‘? đ?‘?

⎸si ricava immediatamente che

đ?‘‘đ?‘ž đ?‘?

đ?‘?

e(q, p) = ⎸đ?‘‘đ?‘? đ?‘ž0 ⎸= ⎸m⎸⎸đ?‘ž0 ⎸ 0

0

ove il secondo fattore, che non è costante, attiene ad un punto sulla retta di domanda individuale. Il valore e(q, p) non è quindi costante ma dipende oltre che dal coefficiente angolare della retta di domanda anche dal punto della curva medesima. Se per un (đ?‘ž0 , đ?‘?0 ) ∈ p(q) si ha che e(q, p) = 1 si dice che si è in presenza di una elasticitĂ unitaria, se risulta che e(q, p) < 1 si ammette che si è in presenza di una risposta anelastica, mentre nel caso sia e(q, p) > 1 si ha una risposta elastica. Nei casi considerati si parla rispettivamente di risposta proporzionale, meno che proporzionale e piĂš che proporzionale. Ăˆ ben evidente che l’andamento dell’elasticità è legato al tipo di curva di domanda. Esiste anche un caso astratto di elasticitĂ costantemente eguale a zero per il caso di una curva q(p) = costante ∀ p. In questo caso particolare si parla di domanda assolutamente anelastica. All’estremo opposto vi è il caso della curva di domanda di mercato infinitamente elastica. In questo caso detto di domanda totalmente elastica un piccolo aumento del prezzo conduce ad un annullamento della domanda mentre una piccola diminuzione del prezzo rende infinita la domanda. Questo caso può essere interpretato come quello della costanza del prezzo al variare della domanda individuale. Si avrebbe che p = p(q) = costante ∀ q. - 37 -


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Il caso della domanda anelastica è solitamente riferito a condizioni di breve periodo nel quale la quantitĂ domandata è sostanzialmente costante, come, per esempio, nel caso del petrolio. La logica di lungo periodo è invece piĂš compatibile con la condizione di domanda elastica, ivi compreso il caso della condizione di domanda infinitamente (o totalmente) elastica. Questa differenza ha un ovvio motivo legato alle decisioni che vengono via via prese dagli operatori economici via via che il prezzo di un bene varia. Si dimostra (vedi Asano, opera indicata in bibliografia, anche in relazione alla dimostrazione formale) che esiste una articolare funzione di domanda avente elasticitĂ costante non nulla. Essa è la seguente q(p) = Ađ?‘? đ?œ† per la quale risulta essere e(q, p) = ⎸Ν⎸ L’elasticitĂ della domanda va ulteriormente distinta riferendo i casi del breve periodo e del lungo periodo giacchĂŠ è largamente condiviso che “consumers prefer changing their

consumption patterns graduallyâ€?. Si parla al riguardo di una seconda legge della domanda che postula movimenti lungo la curva di lungo periodo. Solitamente la curva di domanda di lungo periodo è meno inclinata della curva di domanda di breve periodo. Vorrei ricordare ancora una volta che la curva di domanda individuale va intesa in senso sincronico nel senso che esprime le varie combinazioni di quantitĂ domandate riferite a distinti prezzi in un dato istante. Analoga considerazione vale per la domanda di mercato di un dato bene economico. Prima di passare al produttore è bene aprire un ponte verso la dimensione aggregata, ovvero verso la macroeconomia. Forse questa parte, che inserisco in caratteri piĂš piccoli, andrebbe considerata dopo che è stato definito l’equilibrio. Comunque credo sia comprensibile anche a questo punto.

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Lord Keynes ha introdotto la funzione aggregata di consumo, come funzione monotona strettamente crescente rispetto al reddito. Per un aggregato definito, un collettivo, una data popolazione, essa mette in relazione il consumo (controvalore monetario delle transazioni delle famiglie in termini di acquisto di beni e servizi) e reddito complessivo dell’aggregato. In termini formali essa è scritta come C = f(Y) Derivandola rispetto al reddito si ottiene una grandezza detta propensione marginale del consumo c per la quale 0 < đ?‘? < 1. Pertanto è legittimo scrivere C = cY essendo c la costante sopra definita. Solitamente si ammette c = 0,8. Questo è un dato storicamente contingente e non vero in assoluto. Vorrei rimarcare le differenze con altri concetti introdotti. Queste grandezze non sono riferite al mercato di un dato bene, ma al complesso dei beni e dei servizi acquistati da una collettivitĂ , essendo Y il reddito complessivo della popolazione statistica considerata. Y è un aggregato che va inteso come la somma di C e di S, questo ultimo essendo il risparmio dell’aggregato. Immediatamente si ha Y = C + S. Queste costituiscono le argomentazioni di base della macroeconomia.

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3.

ELEMENTI DI TEORIA ELEMENTARE DEL

PRODUTTORE

Il produttore è il secondo soggetto economico (privato) preso in considerazione dalla microeconomia. Egli utilizza i cosiddetti fattori della produzione, primi fra tutti capitale K e lavoro L, e la sua funzione obiettivo è costituita dalla massimizzazione del profitto. Relativamente alla teoria del produttore si distingue solitamente tra breve e lungo periodo. Per breve periodo si intende il tempo entro il quale il produttore produce beni o servizi utilizzando quantità date (costanti) di fattori della produzione, detti anche inputs. La funzione attiva e organizzativa del produttore avviene data una determinata tecnologia. Per lungo periodo si intende il periodo di tempo per il quale il produttore può variare la propria capacità produttiva a tecnologia costante. Infine, per lunghissimo periodo si intende quello nel quale non solo varia la capacità produttiva, ovvero varia la quantità di lavoro e di capitale impiegate, ma varia anche la tecnologia utilizzata (nuove tecniche produttive, nuovi macchinari, etc.). L’economia si sviluppa anche ed essenzialmente per effetto delle innovazioni tecnologiche e per la fabbricazione di nuovi prodotti, consumer oriented. Nel short run l’imprenditore data una tecnologia organizza i fattori della produzione cercando di minimizzare i costi di produzione, sub specie di remunerazione dei fattori della produzione e di acquisto di beni e di servizi intermedi. Per tutte queste ragioni solitamente si distingue una analisi di corto periodo da una di lungo. Nel breve periodo, in particolare, si distingue tra costi fissi e costi variabili. I costi sono solitamente una funzione della quantità prodotta. Solo i costi variabili dipendono dalla quantità prodotta. Formalmente si ha

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c = C(q) = CF + CV(q) La funzione C(q) è detta funzione di costo. Essa è anche detta funzione di costo totale. Anche per i costi esiste una corrispondente grandezza marginale detta costo marginale. Il costo marginale, in termini di variazioni discrete e di variazioni infinitesime, è definito come segue đ??śđ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘” =

đ?›Ľđ??ś(đ?‘ž) đ?›Ľđ?‘ž

đ?‘’ đ?‘?đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘” =

đ?‘‘ đ??ś(đ?‘ž) đ?‘‘đ?‘ž

Il costo marginale esprime quindi la variazione del costo totale per effetto, rispettivamente, della variazione di una quantitĂ di prodotto (caso discreto) o di una quantitĂ infinitesima di prodotto. Non è infrequente il caso del costo medio, banalmente eguale al rapporto tra i costi totali e la quantitĂ prodotta. đ?‘?đ?‘šđ?‘’đ?‘‘ =

đ??ś(đ?‘ž) đ?‘ž

=

La quantitĂ

đ??śđ??š đ?‘ž

đ??śđ??š đ?‘ž

+

đ??śđ?‘‰(đ?‘ž) đ?‘ž

decresce al crescere di q.

I costi medi sono, come piÚ sopra indicato, quindi immediatamente scorporabili in costi medi fissi e costi medi variabili. CosÏ facendodo risulta evidente che il primo termine del secondo membro decresce al crescere della quantità prodotta, tendendo a zero al crescere di q, mentre per il secondo membro saranno necessarie considerazioni piÚ sofisticate. Un caso interessante è sicuramente quello per il quale il costo medio decresce al crescere di q, il che avviene sicuramente quando oltre al costo medio fisso scende anche quello variabile, ovvero il costo medio variabile resta costante al crescere di q, ovvero, infine, quando il costo medio variabile cresce meno della diminuzione del costo fisso presa in modulo.

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Si ammette solitamente nell’ipotesi neoclassica che le funzioni di costo siano tutte monotone strettamente dotate di un minimo, quando studiate in un piano sul quale è posta la quantitĂ sull’asse delle x e il costo sull’asse delle ordinate. Esse passano per l’origine del sistema di riferimento cartesiano considerato. Ciò premesso, viene definita la funzione di produzione. Essa mette in relazione la quantitĂ di fattore produttivo impiegato con la quantitĂ prodotta, collocata nell’asse delle ordinate. Essa è tipicamente q = f(F), ove F designa il fattore produttivo impiegato. Essa è una curva monotona strettamente crescente convesso concava per effetto dei rendimenti non costanti delle successive dosi di fattore impiegato. Nelle righe seguenti vedremo meglio che la variazione della produzione si giustifica con rendimenti crescenti e da un certo punto con rendimenti decrescenti. Va introdotta una prima considerazione sulle funzioni elementari di produzione nella forma delle funzioni a due fattori di produzione, K ed L, ovvero capitale e lavoro. Una importante classe di funzione di produzione è costituita dalla funzione di produzione di Cobb e Douglas. Essa è ben nota, e mette in relazione la quantitĂ prodotta con lo stock di capitale e di lavoro impiegati. La variabile dipendente (quantitĂ prodotta Q) è correlata, mediante una costante di coordinamento, c, con le due grandezze, capitale K e lavoro L, da intendersi come “dosiâ€? dei dati fattori. Q = cđ??ž Îą đ??żđ?›˝ I due esponenti sono detti, rispettivamente, coefficienti di elasticitĂ del capitale e del lavoro e, ovviamente, sono adimensionati. Nel modello piĂš elementare risulta đ?›ź + đ?›˝ = 1 vero in concorrenza perfetta con rendimenti costanti di scala.

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La base matematica della funzione citata è stata utilizzata da Robert Solow per dare conto della teoria della crescita evidenziando come essa scaturisca non solo e non tanto da un incremento fisico delle dosi ma particolarmente dal progresso tecnico, quindi dal fatto che nuove tecnologie possano, ad esempio, permettere di produrre una data quantitĂ costante di bene con dosi inferiori di fattori. In questo caso sarebbe, nel dominio del tempo, c(t) strettamente crescente. Dalla funzione di Cobb e Douglas discende un caso particolare detta CES per la quale il coefficiente di elasticitĂ di sostituzione di un fattore rispetto all’altro è costante e vale 1 in valore assoluto. Per la sua importanza vanno fatti cenni particolari alla curva del costo marginale che praticamente si identifica nel suo tratto ascendente con la curva di offerta dell’impresa. La curva del costo marginale è ottenuta da quella del costo totale, risultando đ?‘?đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘” =

đ?‘‘đ??ś(đ?‘ž) đ?‘‘đ?‘ž

Essa ha un tipico andamento ad U, esistendo un q* per il quale essa è ha un minimo assoluto. Per valori di q ≼ đ?‘ž ∗ essa sostanzialmente si identifica con la curva di offerta dell’impresa. La curva di offerta dell’impresa indica per un dato prezzo di mercato la quantitĂ offerta. In regime di libera concorrenza il produttore singolo non è in grado di influenzare con le proprie decisioni il prezzo che è dato. Essi sono price takers. Solo per intenti di semplificazione si ammette che la curva di offerta sia rettilinea e, ovviamente, crescente. Le quantitĂ si pongono sull’asse delle ascisse, mentre i prezzi sono collocati sull’asse delle ordinate. Essa definisce per la data impresa la quantitĂ prodotta per ogni valore di prezzo, con una relazione del tipo diretto. Bisogna quindi considerare le grandezze che entrano in gioco nella curva di offerta dell’impresa e considerare quindi la curva di offerta di mercato.

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Abbastanza unanimemente gli economisti (anche Begg, Fisher e Dornbusch, op. indicata in bibliografia) ammettono che “behid the supply curveâ€? vi sono tre variabili indipendenti, ovvero “technologyâ€?, “input pricesâ€? e “Goverment regulationâ€?. Tecnologia, prezzi dei fattori, e regolamentazione governativa sono le variabili indipendenti che influiscono sulla curva di offerta dell’impresa, agendo, secondo proporzioni differenti, sui costi. La curva di offerta viene solitamente indicata con la lettera S, iniziale di Supply che in inglese significa offerta. La curva di offerta viene solitamente rappresentata in un piano cartesiano sul cui asse delle ascisse sono collocate le quantitĂ e sull’asse delle ordinate sono collocati i prezzi. Data una curva S in detto piano essa definisce la relazione tra quantitĂ offerta e prezzo quando siano date la tecnologia, i prezzi degli input e la regolamentazione governativa. Nelle attuali economie questa variabile assume un significato sempre piĂš ampio e pregnante e costituisce un box entro il quale entrano le decisioni politiche piĂš svariate in termini di politiche pubbliche, per esempio ambientali, la tassazione, etc. La tecnologia è costante nel breve e nel lungo periodo, come giĂ detto. I prezzi dei fattori sono al di lĂ del punto di vista formale neoclassico frutto di decisioni di contrattazione collettiva, generalmente vischiosi, e comunque non manipolabili dalla decisione del singolo. Ciò vale in particolare per la remunerazione del fattore lavoro, il salario. In modo canonico possiamo sicuramente scrivere S = S(đ?‘?đ??ż , đ?‘?đ?‘˜ , T, R) Ove le prime due v. ii. definiscono la remunerazione del fattore lavoro e del fattore capitale, indicati anche come ω e r, rispettivamente, mentre T ed R sono la variabile tecnologica e la regolamentazione. Viste nel tempo, quindi diacronicamente, queste due variabili hanno effetti differenti.

Ceteris paribus la tecnologia influisce positivamente nel senso che il corrispondente ΔT riduce i costi, anche al netto di un ipotetico incremento dei salari e del rendimento del capitale. Anche il ruolo di R diventa sempre piÚ importante.

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Oggi lo Stato interviene attivamente, troppo e a sproposito nelle decisioni economiche, attuando politiche di regolamentazione sempre più aggressive, avendo superato gli schemi angusti dello Stato minimo, erogatore di pochi servizi pubblici. Non si può, per realismo, ritenere che R decresca nel tempo, ma certo tale stato di fatto comporta seri problemi. Questo è vero sicuramente nella dimensione interna dell’economia, ove la regolamentazione lievita i prezzi, e riduce le quantità di equilibrio dei beni, c.p. E questo è vero anche nella dimensione delle relazioni economiche internazionali ove le politiche di certi paesi, privi di regolazione, favoriscono pericolose forme di dumping sociale che hanno effetti sugli standard di vita dei paesi deregolamentati ma anche effetti di spiazzamento delle produzioni interne di paesi più regolamentati. Anche in questo caso in medio stat virtus e si dovrebbe pensare ad una regolamentazione ordinata, non ipertrofica e non troppo mutevole nel tempo, omogenea, per quanto possibile, nella dimensione internazionale. Queste sono dichiarazioni di principio abbastanza condivise e condivisibili nelle linee essenziali, anche se in astratto le problematiche della delocalizzazione delle produzioni forse andrebbero approfondite dovendo potersi comparare lo scenario con le delocalizzazioni e lo scenario, simulabile, che vede l’assenza dei processi di tale natura. La delocalizzazione solitamente interessa produzioni a basso livello tecnologico cui si accompagnano anche remunerazioni del fattore lavoro relativamente basse e non infrequentemente, proprio perché legata a un fattore lavoro debole quanto a capacità, determina problematiche di natura qualitativa, legata alla qualità dei manufatti. I prezzi della remunerazione dei fattori si possono considerare costanti nel breve periodo, unitamente a T e a R. Ciò che appare davvero cruciale è l’innovazione tecnologica che importa produrre di più con le stesse dosi di beni intermedi e di fattori della produzione, magari con remunerazioni per essi costanti nel dominio del tempo. Questo è uno scenario abbastanza idilliaco e ho deciso di approfondire la questione sotto il profilo di una variazione tecnologica che implica aumento della quantità prodotta. Bisogna verificare che conseguenze porta l’introduzione di una nuova tecnologia.

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Essa potrebbe accompagnarsi con minori esborsi per beni intermedi (produco di piÚ facendo rendere meglio le materie prime) ma magari devo remunerare meglio il capitale e il fattore lavoro, dotato di maggiori skills. Bisogna, credo sia ovvio, ragionare in termini di effetto netto. Ho deciso di porre φ=

đ??śđ?‘‡(đ?‘‡2 ) đ?‘„(đ?‘‡2 )

-

đ??śđ?‘‡(đ?‘‡1 ) đ?‘„(đ?‘‡1 )

Ammetto, come solitamente avviene, che la tecnologia del tempo 2 sia tale che la quantitĂ prodotta nel tempo 2 sia maggiore di quella prodotta al tempo 1. Risulta essere quindi đ?‘„(đ?‘‡2 ) = Îąđ?‘„(đ?‘‡1 ) con ι≍ 1. Ăˆ ovvio che i costi totali riferiti ai due periodi in generale non sono eguali. In generale sarebbe đ??śđ?‘‡(đ?‘‡2 ) = β đ??śđ?‘‡(đ?‘‡1 ) essendo β≠1 con đ?›˝ > 0. Data la precedente relazione posso fare le sostituzioni in formula avendo φ=

đ?›˝đ??śđ?‘‡(đ?‘‡1 ) đ?›źđ?‘„(đ?‘‡1 )

-

đ??śđ?‘‡(đ?‘‡1 ) đ?‘„(đ?‘‡1 )

đ?›˝

= (� – 1)

đ??śđ?‘‡(đ?‘‡1 ) đ?‘„(đ?‘‡1 )

Essa è una misura della variazione del costo medio. đ?›˝

đ?›˝

Deve essere φ < 0 đ?‘œđ?‘Łđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘œ (đ?›ź – 1) < 0 â&#x;ş đ?›ź < 1 Per il caso Îą = 1 (che implica produrre sempre la stessa quantitĂ con minori risorse) φ> 0 si ha per β < 1. Nella microeconomia del produttore si parte dallo studio delle funzioni di produzione ad una sola variabile, oppure, piĂš realisticamente a piĂš variabili, solitamente due, il capitale K e i l lavoro L. La funzione di produzione ad una sola variabile ha un significato solitamente didattico. Essa, comunque, può venire intesa come la curva che sottende quantitĂ costanti degli altri fattori della produzione. Quando per esempio si tratta questo caso ci si riferisce alla variabile indipendente collocata sull’asse delle ordinate e alla corrispondente quantitĂ prodotta (funzione della quantitĂ di input impiegato).

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Trattasi di una curva monotona strettamente crescente che assume un valore massimo in corrispondenza di un preciso valore di fattore impiegato. La particolare forma della curva di produzione è legata alla legge dei rendimenti decrescenti. Pertanto quando aumenta la quantitĂ di fattore impiegato la crescita della quantitĂ prodotta avviene con ritmi via via minori, fino a che essa raggiunge un massimo oltre il quale l’applicazione di ulteriori dosi di fattore non determina corrispondenti aumenti addizionali della quantitĂ prodotta. Per dare conto di questa situazione si utilizza il concetto di produttivitĂ marginale decrescente di un fattore produttivo. La produttivitĂ marginale di un fattore è la quantitĂ addizionale di prodotto che si ottiene per effetto della applicazione di una dose addizionale di fattore. Essa viene definita sia in termini di variazioni discrete sia in termini di variazioni infinitesimali, ovvero avendosi che đ?›żđ??š

đ?‘ƒđ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘” = đ?›żđ?‘“đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ą, đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ F è la funzione di produzione. Ăˆ anche definita la produttivitĂ media di un fattore definita semplicemente come đ?‘ƒđ?‘šđ?‘’đ?‘‘ =

đ??š(đ?‘“đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ą) đ?‘“đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ą

đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ il denominatore definisce la quantitĂ di fattore impiegato. Questa è una rappresentazione troppo semplicistica. In realtĂ si considera il caso che siano impiegati due fattori, lavoro L e capitale K. Viene innanzitutto definito il concetto di isocosto, intendendo con esso il luogo dei punti del piano (L, K) che definiscono combinazioni di fattori che per l’impresa hanno il medesimo costo di acquisizione. L’equazione generale dell’isocosto è del tipo đ??śđ?›ź = đ?‘?đ??ż L +đ?‘?đ?‘˜ K đ?›ź definisce il costo in unitĂ monetarie, ad esempio in euro.

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đ?‘†đ?‘– đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘Ž đ?‘‘đ?‘– đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ž retta decrescente di cui si considera la sola parte del primo quadrante. đ?‘ đ?‘’đ?‘™ đ?‘?đ?‘–đ?‘Žđ?‘›đ?‘œ (L, K) i punti per i quali la quantitĂ prodotta è costante costituisce un luogo detto isoquanto. Esso è il luogo dei punti per i quali viene, con differenti quantitĂ di fattori, prodotta la medesima quantitĂ . Esistono infinite combinazioni di fattori che consentono di produrre una data quantitĂ . Ragioni logiche di immediata comprensione consentono di ammettere che in efficienza per produrre la medesima quantitĂ di un prodotto aumentando la quantitĂ di un input deve potersi diminuire quella dell’altro (e viceversa). Tale riflessione qualitativa è quantificabile nei termini seguenti đ?‘‘đ??ž

đ?‘‡đ?‘€đ?‘† = - đ?‘‘đ??ż

La condizione di ottimo per il produttore è immediata. Essa è data dalla condizione di tangenza tra la retta di isocosto e la curva di isoquanto.

Mutatis mutandis per le curve di isoquanto si possono fare riflessioni analoghe a quelle per le curve di indifferenza del consumatore. Formalmente la condizione di ottimo si ha per đ?‘‘đ??ž đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘˜

đ?‘?

đ?‘‘đ?‘˜

đ?‘?

= đ?‘?đ?‘˜ â&#x;š(đ?‘‘đ??ż ) 2 = đ?‘?đ??ž đ??ż

đ??ż

Nel breve periodo la condizione di ottimo per il produttore è quella che consente di minimizzare il costo medio di produzione. Si tenga conto che nel breve periodo i costi sono considerati costanti. Per quanto riguarda il lungo periodo la condizione di ottimo si realizza con strumenti raffinati, costruendo una curva di costo medio di lungo periodo, costituita dall’inviluppo delle curve di costo medio di breve periodo. In questo caso, questo risultando specie vero nel lunghissimo periodo, la tecnologia consente di ridurre i costi.

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In ogni caso anche la curva di costo medio di lungo periodo ha un andamento ad U molto allungato, espressione del fatto che in un primo tempo il costo medio è decrescente al crescere di Q, quindi comincia a risalire. Dalla curva di offerta individuale si arriva alla curva di offerta di mercato intesa come luogo (p , ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘žđ?‘ ,đ?‘– ). Essa è quindi costruita per somma orizzontale, a partire dalle curve individuali di offerta. Vanno quindi considerati i casi delle economie e delle diseconomie di scala. Solitamente si ammette che data una combinazione di fattori per i quali sia ottenuta una data produzione sia vero che (K, L) → Q â&#x;š (nK, nL) → nQ Al riguardo si parla di rendimenti costanti di scala. (K , L) → Q â&#x;š (nL , nL ) →kQ con k > đ?‘› definisce il caso di economie di scala. In questi esempi il simbolo di implicazione è usato impropriamente, ma comunque dĂ l’idea di quanto si vuol dire. In realtĂ il concetto di economia di scala è ancora piĂš complesso e ben può aversi il caso, come nel learning by doing, per il quale per un (K, L) costante si ha che la quantitĂ prodotta cresce nel dominio del tempo secondo una certa legge, per esempio di tipo esponenziale. Gli operai applicati ad una macchina diventano via via piĂš bravi ma ciò ha un limite superiore. Il caso opposto alle economie di scala è costituito dalle diseconomie di scale. In questo caso sarebbe (K , L) → Q â&#x;š (nL , nL ) →kQ con k < đ?‘›. L’essenza del lungo periodo sta proprio nel definire la produzione al livello nel quale sono presenti le economie di scala e non ancora presenti le inevitabili diseconomie, che prima o poi faranno inevitabilmente la loro comparsa. Ăˆ ben evidente il nesso con i rendimenti dapprima crescenti e poi decrescenti. Il punto di ottimo è quello che minimizza il costo medio di lungo periodo. Ăˆ ben noto che la funzione obiettivo del produttore è la massimizzazione del profitto.

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Va definito primariamente il concetto di profitto. Viene definito profitto, indicato con la lettera Ď€, la quantità π(Q) = Rt(Q) – Ct(Q), ove Rt(Q) e Ct(Q) definiscono i ricavi totali e i costi totali dell’impresa. Il ricavo totale è immediatamente definibile come il prodotto della quantitĂ prodotta e il prezzo di mercato. Rt(Q) = pQ. I costi totali sono stati ampiamente considerati. In condizioni libero concorrenziali si ammette sia Ď€(Q) = Rt(Q) – Ct(Q) = 0. Questo esito cosĂŹ sbalorditivo non deve sorprendere in quanto nei costi viene ricompreso anche ciò che afferisce alla remunerazione del lavoro, o attivitĂ , dell’imprenditore. Questo non deve sorprendere in quanto tra i costi sono ricomprese le remunerazioni dei fattori della produzione, oltre all’acquisto dei beni e dei servizi intermedi. In condizioni particolari può capitare che sia Ď€(Q) = Rt(Q) – Ct(Q) > 0. In questo caso si parla di extraprofitto. Quando Ď€(Q) = Rt(Q) – Ct(Q) < 0 l’imprenditore esce dal mercato o se continua opera in perdita. Dalla relazione Ď€(Q) = Rt(Q) – Ct(Q) = 0 con un semplice passaggio è possibile avere una ben nota relazione di equilibrio massimizzante, vera nel breve periodo, quella detta di eguaglianza tra il costo e il ricavo marginale. đ?‘‘

đ?‘‘

Infatti, applicando l’operatore derivata a detta equazione si ottiene �� π(Q) = �� Rt(Q) � �� �

đ?‘‘

Ct(Q) = đ?‘‘đ?‘„ 0 da cui discende immediatamente che đ?‘‘

Rt(Q) = đ?‘‘đ?‘„ Ct(Q). đ?‘‘đ?‘„ Ma queste non sono altro che le definizioni di ricavo marginale e di costo marginale. La situazione di massimo profitto libero concorrenziale è data dalla eguaglianza tra ricavo e costi marginali. Per il lungo e lunghissimo periodo andrebbero fatte riflessioni piĂš articolate, comunque la sostanza delle cose non cambia.

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Quando si esce dagli schemi della concorrenza perfetta e quindi quando, ad esempio, uno o piĂš soggetti, con le loro decisioni, risultano essere price makers, allora saranno necessarie considerazioni dissimili che saranno oggetto di un secondo lavoro dedicato, tra l’altro, alle forme di mercato. In relazione al concetto di profitto occorre ricordare che l’approccio matematico corrente è formalizzato in termini di problema di massimizzazione. Questo modo di intendere va ben circoscritto in quanto si potrebbe equivocare in relazione al concetto di extraprofitto. Asano (op. citata) il firm’s profit maximisation problem lo formalizza come max đ?œ‹(đ?‘ž) đ?‘ž

Questa funzione obiettivo va interpretata come ricerca della quantità q che massimizza il profitto. Il profitto è la remunerazione del fattore imprenditoriale e quindi la problematica è del tipo trovare la quantità q che mi consenta, ceteris paribus, di ottenere una remunerazione ritenuta accettabile per il lavoro di coordinamento dei fattori produttivi, in primis capitale e lavoro. La grandezza q è detta variabile di controllo. Quando la remunerazione è maggiore di quella ritenuta equa il meccanismo di mercato regola la situazione rimuovendo la condizione di extraprofitto, per esempio per effetto di avvento di nuovi produttori che producono maggiori quantità di beni, realizzando le condizioni per un aggiustamento per una condizione di nuovo equilibrio per il dato mercato. I problemi elementari di massimizzazione di una funzione, e quindi anche del profitto in funzione della quantità secondo il formalismo di Asano (op. citata) sono di immediata risoluzione, limitandosi al primo ordine (derivata prima). Si deriva la funzione rispetto alla variabile di controllo, si pone detta derivata pari a zero, quindi si esplicita rispetto alla variabile di controllo. Ulteriori considerazioni sono ben sviluppate in Asano cui si rimanda (pagg. 112 e segg.).

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4.

NOZIONE DI EQUILIBRIO DI MERCATO

Nel piano (Q, P) è data la curva di domanda di mercato che esprime le quantitĂ che la globalitĂ dei consumatori presenti su un determinato mercato domanda per i vari livelli di prezzo. Essa è solitamente decrescente. Essa è solitamente approssimata da una curva affine. Si ammette che per il singolo il prezzo sia dato e nessuno individualmente è in grado di influenzarlo. Il prezzo di mercato è quindi rappresentato con una retta parallela all’asse delle ascisse. Nel modello classico tutte le quantitĂ vengono vendute al medesimo prezzo. Da questa situazione nasce il concetto di surplus del consumatore. Esso scaturisce dal fatto che vi sarebbero consumatori tanto desiderosi di avere dosi di dato bene anche ad un prezzo maggiore di quello che devono sopportare. L’area compresa tra la retta del prezzo di mercato e la parte sovrastante della curva di domanda di mercato definisce il surplus del consumatore. In termini matematici il surplus è definito dal seguente integrale definito đ?‘?đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ

âˆŤđ?‘?

đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘?

đ?‘„đ?‘‘ (p) dp

ove l′ estremo inferiore di integrazione denota il prezzo di mercato concorrenziale. Il concetto di surplus del consumatore può essere riferito al caso del singolo, quindi in relazione ad una data curva di domanda individuale che in relazione alla complessitĂ dei soggetti che definiscono il mercato dal lato della domanda. La relazione tra i due concetti sembra essere immediata nel senso che il surplus riferito al lato della domanda per un mercato è la somma dei surplus dei singoli, ovvero è S = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘ đ?‘– Va ricordato che pure dalla curva di offerta di mercato viene definito un concetto simile, definibile come surplus del produttore.

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Esso è immediatamente definito dal seguente integrale definito di immediata interpretazione economica. đ?‘?đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘?

âˆŤ0

đ?‘†(đ?‘?)đ?‘‘đ?‘?

Riferendosi al mercato, quindi alle curve di domanda e di offerta del mercato è legittimo sommare il surplus del produttore e quello del consumatore a definire il beneficio psicologico di mercato concorrenziale, che si annullerebbe se i produttori potessero vendere le dosi al prezzo che i consumatori sarebbero disposti ad acquistare, realizzando condizioni di assoluta discriminazione dei prezzi. Un punto essenziale è stabilire come si arriva a đ?‘?đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘? . Dire che esso è dato non significa dire che esso è dato arbitrariamente. Si parte dal concetto astratto, ma possibile, come in certi mercati agricoli, di concorrenza perfetta. AffinchĂŠ si abbia un mercato perfettamente concorrenziale devono verificarsi particolari condizioni, quali la presenza di un numero arbitrariamente grande di consumatori e produttori (atomicitĂ ), le cui scelte individuali non influiscono sul prezzo di mercato dei un bene, la presenza di beni omogenei (non si distingue tra una saponetta ed un’altra), la possibilitĂ per gli operatori economici di entrare e di uscire dal mercato liberamente senza che la loro decisione influisca sul prezzo di equilibrio, risultando ciò vero pure per i fattori della produzione, capitale e lavoro. Tutte queste sono condizioni ideali e astratte difficilmente verificabili. Molti mercati agricoli sono ritenuti libero concorrenziali. Viene definito un concetto fondamentale, quello di equilibrio di mercato. Da un punto di vista formale e matematico la condizione di equilibrio di mercato è quella per la quale la quantitĂ domandata risulta essere esattamente eguale alla quantitĂ offerta. Si tratta di risolvere un semplice sistema di primo grado in due incognite. Dette incognite sono il prezzo e la quantitĂ di equilibrio (đ?‘?đ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘? , đ?‘žđ?‘?đ?‘œđ?‘›đ?‘? ). A tale condizione di equilibrio si perviene partendo da una coppia (p , q) di non equilibrio per successi aggiustamenti secondo il principio del tâtonnement reiterato che per successi aggiustamenti porta automaticamente, senza interventi esogeni, alla condizione di equilibrio che realizza ottimo individuale e ottimo di mercato.

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Quando tutti i mercati sono in equilibrio si parla di equilibrio generale, ovvero di una condizione di ottimo nel senso di Pareto. In condizioni di non equilibrio vi è un gap tra la quantità domandata e la quantità offerta. È interessante notare che la condizione di equilibrio, a partire da una condizione di squilibrio, è raggiungibile solo per effetto della non vischiosità del prezzo. Rappresentando le curve di domanda e di offerta nel piano (q, p) risulta evidente che quando il prezzo risultasse maggiore di quello di equilibrio si avrebbe una condizione di eccesso di offerta per il bene considerato. Nel caso opposto, ovvero quando il prezzo è inferiore a quello di equilibrio si ha un eccesso di domanda che viene annullato da un aumento del prezzo fino al raggiungimento della condizione di equilibrio. In termini squisitamente matematici date le curve di domanda e di offerta, supposte, come avviene solitamente, lineari la condizione di equilibrio si ottiene risolvendo il sistema di due equazioni in due incognite, ottenendo un prezzo e una quantità dette di equilibrio del bene. Solitamente hanno significato economico solo funzioni che conducono ad unicità della coppia di valori di prezzo e quantità per i quali si raggiunge l’equilibrio. Giova poi ricordare che in caso di sistemi non lineari hanno significato economico le intersezioni del primo quadrante cartesiano, ove prezzi e quantità hanno valore positivo. In questi casi si parla di analisi statica che può essere anche comparata, ovvero riferiti a tempi diversi, variando almeno una delle funzioni considerate. Va però ribadito, a scanso di essere pedanti, che in concorrenza perfetta i produttori e i consumatori non sono in grado di influenzare il prezzo. Nel mondo reale esiste anche la tassazione che incide con il gettito a ridurre il surplus del consumatore e del produttore. Il ruolo della tassazione, e sui suoi effetti perniciosi, andrebbe studiato con un elaborato ad hoc.

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5.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Questa breve elaborazione non ha le pretese di essere un vero e proprio libro di testo di microeconomia.

Al riguardo ricordo che esistono molti testi, almeno due dei quali molto utili. Mi riferisco alla edizione aggiornata del testo di Samuelson e Nordhauss oltre al Varian, specificatamente dedicato alla microeconomia. Per l’economia internazionale è ben utile il testo di D. Salvatore.

Desidero comunque riportare in questa sede introduttiva una bibliografia essenziale, alla quale ampiamente si rimanda, consultata in sede di elaborazione.

Asano, An introduction to Mathematics for Economics, Cambridge University Press, 2013.

Begg, Fischer, Dornbusch, Foundations of Economics, II edition, McGraw Hill, 2003.

Bernard, Chartoire, Leblanc, Microéconomie e macroéconomie, Nathan, 2014, Paris

Jean Marc Daniel, Manuel d’économie, Ellipses, 2014, Paris

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PROPRIETÀ LETTERARIA

Questo elaborato non ha finalità commerciali o lucrative. Ne è autorizzata la divulgazione, anche totale, a condizione che essa non abbia finalità commerciali o lucrative purché essa avvenga con la citazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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