Appunti Matematici 18

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

GEOMETRIA ANALITICA DEL PIANO E DELLO SPAZIO (PRIMA PARTE)

numero 18 – giugno 2016



* APPUNTI MATEMATICI 18 – GIUGNO 2016 *

INTRODUZIONE

Questo numero di Appunti matematici ha ad oggetto la geometria analitica del piano e dello spazio. Essa sarà seguita da una seconda parte. La materia è talmente consolidata che non si presta certo a innovazioni. Ho, purtuttavia, deciso di impostare con una certa originalità la materia, sperando di non aver difettato nella chiarezza, assumendomi la responsabilità per ogni manchevolezza. Ho introdotto qualche elmento di novità come in relazione alla distanza di un punto da una retta del piano, o ad una distinta modalità di rappresentazione dei vettori, a partire dalla notazione di Grassmann. L’elaborato si compone di due parti. La prima è dedicata alla geometria cartesiana del piano. La seconda parte è riservata alla geometria dello spazio cartesiano a tre dimensioni.

Patrizio Gravano patrizio.gravano@libero.it

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* APPUNTI MATEMATICI 18 – GIUGNO 2016 *

1. GEOMETRIA CARTESIANA DEL PIANO

1.1

Cenni storici La geometria analitica viene anche detta geometria cartesiana in onore di Cartesio, filosofo, matematico e fisico francese che nel 1637 pubblicò il suo Discorso sul metodo nel quale, nelle parti conclusive, enunciò il cosiddetto “metodo delle coordinate”. Ritratto di Renato Cartesio, iniziatore, con Pierre de Fermat, della geometria analitica

Tra gli iniziatori della geometria analitica vi fu anche il suo contemporaneo, pure lui

matematico ma anche giurista, Pierre de Fermat. Certo a quei tempi il formalismo e le stesse definizioni non sono quelle attuali ma quelle idee sono alla base dell’attuale impostazione metodologica. Basti pensare alla definizione di funzione, che risale al XVIII secolo e ad Eulero in particolare. Senza quelle idee davvero geniali oggi non avremmo la matematica che conosciamo, almeno nelle forme in cui la gestiamo e la applichiamo alla risoluzione dei problemi. Con questa impostazione geometria e algebra si integrano nella risoluzione dei problemi, rendendo agevole l’applicazione di metodi algebrici alla risoluzione di problemi di geometria, piana o solida, e viceversa la definizione goemetrica di questioni algebriche. Quelle di Cartesio sono idee semplici e geniali oltre che ricche di ricadute immediate e concrete. L’idea di base fu quella di associare ad un punto della retta un numero, ad una coppia di numeri reali un punto del piano e ad una terna ordinata di numeri reali un punto dello spazio. Questi punti saranno adeguatamente sviluppati negli sviluppi della trattazione.

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1.2

Retta orientata Ăˆ noto che il concetto di retta del piano è primitivo, non definito a partire da altri concetti matematici. Ăˆ però possibile deifnire il concetto di retta orientata, quale una retta nella quale si sia stabilito di definire come positivo uno dei due possibili versi di percorrenza. Si ammette positivo il verso di percorrenza da sinistra verso destra, o dal basso verso l’alto. Il verso opposto è detto negativo. Tale scelta è meramente convenzionale.

1.3

Segmento orientato Dati due punti distinti A e B di una retta orientata l’insieme dei punti compresi tra A e B e i punti A e B formano un segmento orientato. AB = { {đ??´}⋃{đ??ľ} ⋃(đ??´, đ??ľ)} ove (A,B)= { đ?‘Ľ âˆś đ??´ ≺ đ?‘Ľ ≺ đ??ľ} essendo ≺ il simbolo che definisce la precedenza. (A,B) è anche detto intervallo aperto.

Esso è costituito dagli infiniti punti, denotati genericamente dalla lettera x, che si trovano a destra di A e a sinistra di B contemporaneamente. Poichè il segmento è assunto orientato allora è doveroso scrivere AB ≠BA ed anche AB = - BA

1.4

Misura di un segmento orientato Si può assumere come unitaria la misura di un dato segmento. Essa vale una unità lineare, ad esempio un metro.

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La misura di un segmento orientato indica quante volte quel segmento sta nel segmento unitario. Dato un segmento orientato AB la misura di esso si indica nel modo seguente Ě…Ě…Ě…Ě… = đ??´đ??ľ = r đ??´đ??ľ đ?‘˘

Ho stabilito che sia r > 0 quando alla scrittura AB corrisponde la circostanza empirica che A precede B, ovvero A ≺ B. đ?‘†đ?‘’ A ≺ B allora è possibile avere il segmento orientato BA, opposto di AB, di misura đ??ľđ??´ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ľđ??´= đ?‘˘ = - r

đ?‘„đ?‘˘đ?‘Žđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ đ?‘ đ?‘– scrive AB in senso di segmento orientato si intende che ci si muove da A verso B e che a quel procedere viene associato, ai fini della misura, (convenzionalmente) il verso positivo.

1.5

Ascissa sulla retta orientata Sia data una retta orientata. Sia O un punto di essa. Si consideri un punto A, distinto da O. Si ammetta scelto come positivo il verso di percorrenza da sinistra verso destra. Sia O ≺ A. Si ammetta che il segmento OA sia di lunghezza unitaria. Sia X ogni punto distinto da O e distinto da A tale che O ≺ X. đ?‘‚đ?‘‹ Ciò posto Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‚đ?‘‹ = đ?‘‚đ??´ = r

con r ∈ (0,+∞) đ?‘‹0 Se O ≺ X alllora si ha Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ?‘‚ = đ?‘‚đ??´ = r’

Con r’ ∈ đ?‘… − .

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Risulta immediatamente r = ⎸-r’ ⎸ Infine, risulta đ?‘‹0 Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ?‘‚ = đ?‘‚đ??´ = r’> 0 â&#x;ş X ≺ O

1.6

Sistema di ascisse sulla retta L’insieme infinito dei punti della retta e l’insieme dei numeri reali sono ponibili in corrispondenza biunivoca e continua. Ad ogni punto della retta corrisponde uno ed un solo numero reale e ad ogni numero reale corrisponde uno ed un solo punto della retta. Ăˆ definito correttamente un sistema di ascisse quando data una retta è stato fissato un verso (solitamente quello positivo da destra a sinistra), quando è stato individuato un punto di essa, detto origine, e indicato con la lettera O, cui corrisponde biunivocamente il numero 0, ed essendo stato definito un segmento OA, unitario. Dati due punti H ed K posti alla destra di O si definiscono le ascisse di essi, indicate con đ?‘Ľđ??ť đ?‘’ đ?‘Ľđ??ž , rispettivamente, come le misure dei segmenti orientati OX e OY rispettivamente. Se H ≺ K la misura del segmento orientato HK è data da Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ??ž = đ?‘Ľđ??ž − đ?‘Ľđ??ť Ammettiamo sia il caso H ≺ O ≺ K Ě…Ě…Ě…Ě… + đ?‘‚đ??ž Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… = đ??ťđ?‘‚ In questo caso posso scrivere đ??ťđ??ž Ě…Ě…Ě…Ě… = 0 Vale đ?‘Ľđ??ť + đ??ťđ?‘‚ Da essa si ricava đ?‘Ľđ??ť = − Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ?‘‚ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ?‘‚ è un numero reale positivo e in assoluta coerenza si evidenzia che đ?‘Ľđ??ť < 0. đ?‘‰đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘– osservare che in via generale e solitamente la distanza di due punti sulla retta reale viene definita come segue đ?‘‘(đ??ť, đ??ž) = ⎸ đ?‘Ľđ??ž − đ?‘Ľđ??ť ⎸, dove ⎸. ⎸ definisce il modulo di un numero reale.

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1.7

Rapporto tra due punti Occorre sicuramente partire dal concetto di rapport semplice tra tre punti definite dal formalismo đ??´đ??ś

(ABC) = đ??ľđ??ś I tre punti sono ordinati. Il primo aspetto importante è sicuramente rappresentato dalla determinazione di un punto X per il quale risulti che đ??´đ?‘‹

(ABX) = đ??ľđ?‘‹ = m ≠0. Occorre distinguere i due casi, m > 0 e m < 0. Se si vuole che sia m < 0 è necessario e sufficiente che sia X ∈ (A, B) ovvero X sia interno al segmento orientato AB. Ě…Ě…Ě…Ě… = ⎸m ⎸> 0 In particolare deve risultare đ??´đ?‘‹ Vorrei osservare che il fatto che deve essere X compreso tra A e B è coerente con la teoria dei segmenti orientati, infatti Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ?‘‹ = ⎸m ⎸> 0 ⇔̅̅̅̅̅ đ?‘‹đ??´ = m < 0 đ??´đ?‘‹

Per il caso m positivo la relazione (ABX)= đ??ľđ?‘‹ = m è giustificabile algebricamente anche come m =

đ?‘š 1

đ??´đ?‘‹

= đ??ľđ?‘‹

In buona sostanza basta prendere un segmento orientato di lunghezza m=Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ?‘‹ e quindi Ě…Ě…Ě…Ě… = 1. considerare un segmento đ??ľđ?‘‹ Ho sintetizzato queste brevi considerazioni a partire da una esposizione piana contenuta nel testo di Chisini che contiene due istruttive figure, cui si rimanda, e sviluppa la riflessione anche dal punto di vista analitico considerando la ascissa del punto X come incognita, risultando note le coordinate a e b dei punti A e B. Risulta, in pratica risolvendo rispetto alla x, una semplice equazione che risulta đ?‘Ľâˆ’đ?‘Ž đ?‘Ľâˆ’đ?‘? 1

Per m = 2 si ha x =

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đ?‘Ž+đ?‘? 2

=m⇔x=

đ?‘Žâˆ’đ?‘šđ?‘? 1−đ?‘š

con m ≠1


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Questa ultima formula è di immediata interpretazione come la coordinata del punto medio tra due punti A e B di date coordinate ascisse a e b. L’autore citato introduce una formula che detemina x quando m tende al valore 1, risultando comunque m ≠1. Egli da significato alla scrittura x=

đ?‘Žâˆ’đ?‘? đ?œ€

+ b ottenuta dalla x =

đ?‘Žâˆ’đ?‘šđ?‘? 1−đ?‘š

Vorrei osservare che si puo scrivere

con la sostituzione m = 1 – Îľ. đ?‘Žâˆ’đ?‘? đ?œ€

1

+ b = đ?œ€ (đ?‘Ž − đ?‘?) + đ?‘?.

Ăˆ possibile l’operazione di passaggio al limite. 1

1

Si ha lim+ đ?œ€ (đ?‘Ž − đ?‘?) + đ?‘? = + ∞ ed anche lim− đ?œ€ (đ?‘Ž − đ?‘?) + đ?‘? = - ∞. đ?œ€â†’0

đ?œ€â†’0

Ma in realtĂ questa formalizzazione analitica deve tenere conto che si dovrĂ considerare un solo punto all’infinito. Questo equivale a quanto scrive l’autore ⌋ChisiniâŚŒ, ovvero alla relazione di limite seguente lim

đ?‘Žâˆ’đ?‘šđ?‘?

đ?‘šâ†’1 1−đ?‘š

=∞

Conclude l’autore citato che “dovremo postulare l’esistenza di un punto all’infinito della retta, rappresentato da una ascissa infinita, limite di una ascissa il cui valore assoluto cresce superando ogni nunero M prefissato� grande a piacere.

1.8

Coordinata baricentrica Si parte dalla solita relazione formale đ??´đ?‘‹

(ABX) = đ??ľđ?‘‹ = m ≠0

In questo caso ancora piÚ precisamente si può porre m > 1. A questo esito posso giungere immediatamente con il seguente ragionamento. -7-


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Ě…Ě…Ě…Ě…

Ě…Ě…Ě…Ě…

Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… ma dovendo risultare (ABX) = đ??´đ?‘‹ = m si ha (ABX) = đ??´đ?‘‹ = đ??´đ??ľ +đ??ľđ?‘‹ = đ??´đ??ľ + 1 đ??´đ?‘‹ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ +đ??ľđ?‘‹ Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ľđ?‘‹ đ??ľđ?‘‹ đ??ľđ?‘‹ đ??ľđ?‘‹ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ

> 1 in quanto Ě…Ě…Ě…Ě… > 0 in coerenza con il fatto che A precede B che precede X. đ??ľđ?‘‹ Ma è ben evidente che vi è un ulteriore caso in cui sia m > 0. Esso è quello evidenziato dalla seguente figura

A questo esito si arriva con un poco di laboriositĂ ricordando l’assunto generale dei segmenti orientati per i quali risulta Ě…Ě…Ě…Ě… = Îą ⇔ đ??žđ??ť Ě…Ě…Ě…Ě… = -Îą đ??ťđ??ž Per le condizioni di precedenza imposte risulta anche evidente che risulta đ??´đ?‘‹

đ?‘‹đ??´

(ABX) = đ??ľđ?‘‹ = đ?‘‹đ??ľ =

Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… −đ?‘‹đ??´ đ?‘‹đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

=1−

Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??´ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

< 1. Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??´

Tale relazione è vera in quanto riusulta đ?‘‹đ??ľ > 0 poichè X precede sia A che B. Ě…Ě…Ě…Ě… Il terzo caso ben evidenziato dalla figura sottostante è pure definibile dalla teoria elementare dei segmenti orientati

In questo particolare caso si ha (ABX) =

đ??´đ?‘‹ đ??ľđ?‘‹

(A, B), che

đ??´đ?‘‹

= − đ?‘‹đ??ľ = -

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

Ě…Ě…Ě…Ě… −đ?‘‹đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ

= - (đ?‘‹đ??ľ – 1) = 1 Ě…Ě…Ě…Ě…

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

< 0 in quanto risulta, essendo X ∈

> 1.

La teoria affronta il caso che il punto X coincida con il punto A e piÚ rigorosamente il caso che X tenda ad A, in simboli X → A. La figura sottostante evidenzia i due casi possibili riconducibili al caso X → A.

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Questi due casi sono sintetizzabili dicendo che quando X → A allora m → 0. Desidero trattare ambo i casi partendo dal primo per osservare che da (ABX) = đ??´đ?‘‹

− đ?‘‹đ??ľ = -

Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľâˆ’đ?‘‹đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ

đ??´đ?‘‹ đ??ľđ?‘‹

=

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ . Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

= - (đ?‘‹đ??ľ – 1) = 1 Ě…Ě…Ě…Ě…

Ma a tale relazione è applicabile l’operatore di limite dovendo quindi determinarsi lim 1 −

đ?‘‹â†’đ??´

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‹đ??ľ

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ

đ?‘?−đ?‘Ž

đ?‘?−đ?‘Ž

đ?‘?−đ?‘Ž

đ?‘?−đ?‘Ž

= 1 - Ě…Ě…Ě…Ě… = 1 - đ?‘?−đ?‘Ž −đ?‘Ľ+đ?‘Ž = 1 - − đ?‘? −đ?‘Ľ = 1 − đ?‘? −đ?‘Ľ = 1 − đ?‘? − đ?œ€ −đ?‘Ž Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľâˆ’đ??´đ?‘‹

đ?‘?−đ?‘Ž

Il numero đ?‘? − đ?œ€ −đ?‘Ž per ξ→0+ tende a 1+ . Ma la quantitĂ 1 - 1+ = 0− . Ho introdotto questa relazione prendendomi qualche licenza ma nel significato che 1+ = 1 1

+ đ?‘› quando n → + ∞. Nel secondo caso considerato si ha (ABX) =

đ??´đ?‘‹ đ??ľđ?‘‹

đ?‘‹đ??´

= − đ??ľđ?‘‹ = −

Ě…Ě…Ě…Ě… Ě…Ě…Ě…Ě… −đ??´đ??ľ đ?‘‹đ??ľ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ľđ??ľ

Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ

đ?‘?−đ?‘Ž

= 1 - đ?‘‹đ??ľ = 1 - đ?‘?−đ?‘Ž+đ?œ€ Ě…Ě…Ě…Ě…

Poichè la quantitĂ Îľ è intesa positiva risulta (ABX) = 1 - 1− . lim

đ?‘‹â†’đ??´ ⎸đ?‘‹âŠ°đ??´

(đ??´đ??ľđ?‘‹) =0+

Il simbolo ⊰ denota la precedenza dei punti. A ⊰ B ⇔ đ?‘Ľđ??´ < đ?‘Ľđ??ľ per convenzione Vi sono, come evidente dei casi limite, quali quello per il quale X≥A risultando elementarmente che AX = AA = 0. đ??´đ?‘‹

đ??´đ??´

Per le definizioni date risulta m = đ??ľđ?‘‹ = đ??ľđ??´ = 0 Solitamente il punto all’infinito di una retta viene considerate unico, sia che si tratti di un punto mobile che si muova verso sinistra o verso destra. Si dice che “quando X coincide con B il rapporto

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đ??´đ?‘‹

m = đ??ľđ?‘‹ = ∞ = (ABX) assume il valore infinito.â€? ⌋ChisiniâŚŒ. Ăˆ introdotta quindi una corrispondenza biunivoca e continua nel senso che ad ogni X della retta corrisponde un valore m e viceversa. Detto valore m identifica quindi il punto X e a distinti X corrispondono distinti m. Esso viene detto coordinata baricentrica.

1.9

Coordinate omogenee Di sicuro interesse è il successive step che consente di scrivere đ??´đ?‘‹ đ??ľđ?‘‹

đ?‘Ľ

= đ?‘š = đ?‘Ľ1 2

đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘Ž è di imemdiata interpetazione. đ??źđ?‘™ đ?‘?đ?‘˘đ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ X ha distanze dai punti A e B proporzionali, rispettivamente, ai numeri đ?‘Ľ1 đ?‘’ đ?‘Ľ2 . Ma vige il teorema degli equimultipli di Cantor. đ??´đ?‘‹

Assegnato m esistono infinite coppie di valori đ?‘Ľ1 đ?‘’ đ?‘Ľ2 che verificano la condizione đ??ľđ?‘‹ = đ?‘Ľ

đ?‘š = đ?‘Ľ1 . 2

đ??´đ?‘‹

Ma se è vero che la coppia ordinata (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) veritica la condizione đ??ľđ?‘‹ = đ?‘š allora anche la coppia k(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) verifica le condizioni del problema. La prima parte delle argomentazioni, ovvero che “Assegnato m esistono infinite coppie di đ??´đ?‘‹

đ?‘Ľ

valori đ?‘Ľ1 đ?‘’ đ?‘Ľ2 che verificano la condizione đ??ľđ?‘‹ = đ?‘š = đ?‘Ľ1 .â€? si interpreta nel senso che đ?‘Ľ2 = 2

đ?‘Ľ2 (đ?‘Ľ1 ). I numeri đ?‘Ľ1 đ?‘’ đ?‘Ľ2 sono dette coordinate omogenee, “definite a meno di un fattore di proporzionalitĂ â€? ⌋ChisiniâŚŒ. La funzione essenziale delle coordinate omogenee è qualla di evitare di usare coordinate infinite.

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Infatti dalla relazione

đ??´đ?‘‹ đ??ľđ?‘‹

đ?‘Ľ

= đ?‘š = đ?‘Ľ1 per ogni punto X distinto da B può essere 2

rappresentato dalla coppia đ?‘Ľ2 = 1 e đ?‘Ľ1 = m. Il punto B è espresso dalla coppia đ?‘Ľ2 = 0 e đ?‘Ľ1 = 1

Queste ultime sono dette coordinate cartesiane omogenee del punto all’infinito.

1.10

Il piano euclideo Il piano che si considera è quello ordinario infinito euclideo, di cui non si da una definizione rigorosa, assumendolo come un concetto primitivo ancorchè intuitivo.

1.11

Gli assi cartesiani e la delimitazione del piano Ăˆ dato il piano cartesiano. Sia O un punto di esso. Siano date due rette non parallele per O. Si consideri un punto P ≠đ?‘‚ e si considerino due rette passanti per P tali che ognuno di esse sia parallela ad uno dei due assi non ortogonali. Il punto P è individuato univocamente dalla coppia di numeri reali (x, y). Il punto O, detta origine del sistema di riferimento cartesiano, è convenzionalmente definite (recte: associato alla coppia), dalla coppia ordinata (0, 0). Nel piano Ď€ munito di un sistema di riferimento cartesiano di origine O ≥ (0, 0), sussite una corrispondneza biunivoca tra i punti di esso e le coppie ordinate di numeri reali, nel senso che a un punto corrisponde una sola coppia ordinata e viceversa ad una data coppia ordinata corrisponde uno ed un solo punto. Quando i due assi formano un angolo φ â‰

đ?œ‹ 2

le coordinate di un punto distinto dall’origine

sono definite secondo questo criterio:

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(Sistema cartesiano non ortogonale) Sui due assi si considerano i punti X ed Y corrispondneti ai numeri reali x ed y. Punto e numero possono assumersi come sinonimi‌.

Dal punto x si manda la parallela all’asse delle ascisse. Dal punto y si manda la parallela all’asse delle ordinate. Dette rette si intersecano in un punto P ≠O. Detto punto ha coordinate x ed y, ovvero si ha P ≥ (x, y) A distinte coppie di numeri reali corrispondono distinti punti del piano. Le coppie (x, y) e (x’, y’) sono eguali se e solo se x = x’ e y = y’. ((x,y) = (đ?‘Ľ ′ , đ?‘Ś ′ ) ) ⇔ x =x’ e y = y’. Due coppie ordinate sono diseguali, e si scrive (x,y) ≠(đ?‘Ľ ′ , đ?‘Ś ′ ), se per almeno una delle componenti corrispondenti risulta vera la condizione ≠. Affichè due coppie siano diverse, quindi non siano la medesima coppia, è sufficiente che sia x ≠x’ oppure y ≠y’, oppure risulti contemporaneamente che è x ≠x’ e y ≠y’. Solitamente e ordinariamente gli assi cartesiano sono pure ortogonali, ovvero perpendicolari.

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(Sistema di riferimento cartesiano ortogonale, particolare del primo quadrante)

I due assi assumono denominazioni particolari, ovvero, rispettivamente asse delle ascisse, o delle x, e asse delle ordinate, o asse delle y. I due assi sono monometrici quando la medesima unitĂ di misura è riferita ai due assi. Non necessariamente i due assi sono monometrici. Due assi sono non monometrici quando le unitĂ di misura sui due assi non sono eguali. Quanto detto per le ascisse, vale anche per le ordinate. Come giĂ ricordato, la direzione delle x positive è quella sinistra → destra, mentre per l’asse delle y è basso → alto.

Anche nel caso del sistema cartesiano ortogonale il punto O ha coordinate entrambe nulle, ovvero O ≥ (0, 0) Ogni altro punto P ≠đ?‘‚ è tale che P ≥ (x,y) ≠(0,0) I due elementi della coppia, numeri reali, sono le coordinate cartesiane ortogonali del punto P.

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La prima componente della coppia è detta ascissa, mentre la seconda è detta ordinata. Poichè si tratta di coppie ordinate in generale risulta (x,y) ≠(đ?‘Ś, đ?‘Ľ) Le due rette, dette assi cartesiani, delimitano il piano cartesiano in quattro parti, dette quadranti cartesiani. Essi in senso antiorario sono rispettivamente il I, il II, il III e il IV quadrante. Nel primo quadrante entrambe le coordinate sono positive. Pertanto i punti del primo quadrante cartesiano sono formalmente quelli dell’insieme {(x, y) : x ∈ đ?‘… + , đ?‘Ś ∈ đ?‘… + }

Sono immediatamente definibili gli insiemi che definiscono i punti degli altri quadranti. L’asse delle x, detto anche delle ascisse, viene cosĂŹ formalizzato {(x,0): x ∈ ( - ∞, + ∞) } L’asse delle ordinate è {(0,y): y ∈ (- ∞, + ∞)}

1.12

Distanza tra due punti VĂ definita la distanza tra due punti del piano. Viene solitamente definita la cosiddetta distanza euclidea. Essa è una banale applicazione del teorema di Pitagora. Dato due punti A e B per i quali si ha A ≥ (đ?‘Ľđ??´ , đ?‘Śđ??´ ) e B ≥ (đ?‘Ľđ??ľ , đ?‘Śđ??ľ ) risulta 2

d(A, B) = √(đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ )2 +(đ?‘Śđ??ľ −đ?‘Śđ??´ )2 Vorrei osservare che la distanza d(A,B) è eguale alla lunghezza del segmento AB. Si osservi che se A ≠đ??ľ allora d(A, B)> 0 . Si ammette sia d(A, B) = d(B, A).

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1.13

Punto medio di un segmento Dati due punti A e B del piano cartesiano occorre chiedersi come si determnano le coordinate del punto medio del segmento AB. Esso esiste ed è unico. Dicesi punto medio del segmento AB il punto M, allineato con A e B, ovvero giacente sulla medesima retta (unica) passante per essi quello per il quale d(A,M) = d(M,B) Si ricava immediatamente che đ?‘Ľđ?‘€ =

đ?‘Ľđ??´ +đ?‘Ľđ??ľ 2

đ?‘Śđ?‘€ =

đ?‘Śđ??´ +đ?‘Śđ??ľ 2

In altri termimi le coordinate del punto M medio tra A e B sono la media aritmetica delle coordinate degli estremi A e B. In estrema sintesi possiamo anche ammettere che tra l’ascissa del punto A e quella del punto B risulta đ?‘Ľđ??ľ = đ?‘Ľđ??´ + ⎸ đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ ⎸ Se A ≺ B allora ⎸ đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ ⎸ = đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ Ove fosse B ≺ A alllora sarebbe đ?‘Ľđ??´ = đ?‘Ľđ??ľ + ⎸ đ?‘Ľđ??´ −đ?‘Ľđ??ľ ⎸ si avrebbe ⎸ đ?‘Ľđ??´ −đ?‘Ľđ??ľ ⎸ = đ?‘Ľđ??´ −đ?‘Ľđ??ľ Nel primo caso si ha 1

đ?‘Ľđ?‘€ = đ?‘Ľđ??´ + 2 ⎸ đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ ⎸ 1

đ?‘Ľđ?‘€ = đ?‘Ľđ??´ + 2 ( đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ ) 2đ?‘Ľđ?‘€ = 2đ?‘Ľđ??´ + đ?‘Ľđ??ľ −đ?‘Ľđ??´ - 15 -


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2đ?‘Ľđ?‘€ = đ?‘Ľđ??´ + đ?‘Ľđ??ľ đ?‘Ľđ?‘€ =

đ?‘Ľđ??´ + đ?‘Ľđ??ľ 2

Analogo esito si ha nel secondo caso. Le stesse considerazioni valgono in relazione al punto medio sull’asse delle ordinate. In relazione ad un assegnato sistema di ascisse è anche ragionevole ammettere che l’ascissa di due due punti distinti esprima una posizione rispetto ad un punto O, cui corrisponde il numero 0, e che il punto medio tra essi sia equidistante da essi, a distanza intermedia. Ciò vale anche per le ordinate. Va poi osservato che la retta ortogonale all’asse delle x e passante per il punto medio tra due punti di date ascisse e la retta ortogonale all’asse delle ordinate e passante per il punto medio tra due ordinate assegnate si incontrano in un punto del piano che ha, per come ottenuto, proprio le coordinate medie delle coordinate dei punti estremi.

Credo però utile osservare che a dette conclusioni si arriva piĂš semplicemente e sinteticamente osservando che se sono noti due punti sono note pure le loro ascisse e le loro ordinate. Rispetto quindi alle proiezioni sugli assi è possibile considerare i punti medi sull’asse delle ascisse e sull’asse delle ordinate e mandare da essi le parallele all’atro asse. Dette rette si intersecano in un punto M che è medio tra A e B, ovvero tale che d(A, M) = d(M, B).

1.14

Nozione elementare di funzione matematica Una funzione matematica è una legge di corrispondenza tra insiemi per la quale ad un elemento di un dato insieme corrisponde uno ed uno solo elemento del secondo insieme. Si scrive f : A → B per dire che una funzione f mette in relazione un elemento a ∈ A con un solo elemento b ∈ B. Si scrive che b = f(a).

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Una funzione è definibile anche in termini di coppie ordinate (a, b) nelle quali la prima componente a è un elemento dell’insieme A e la seconda componente, b, è un elemento di B. L’insieme A i cui elementi sono in relazione (o in corrispodenza) con gli elementi di B è detto dominio di definizione della funzione. Esso è anche detto campo di esistenza. L’insieme f(A)⊆ B, i cui elementi sono in relazione con elementi di A, è detto immagine della funzione. Una funzione è correttamente definita quando è assegnato il dominio di definizione della funzione e quanto è stabilita la legge di corrispodenza per la quale dato a ∈ A è possible stabilire b = f(a), con b ∈ B. La legge di corrispodenza è solitamente detta relazione funzionale, risultando intuitivo che il valore di b ∈ B dipende da a ∈ A. PiĂš sopra si aveva avuto modo di scrivere correttamnte che f(A) ⊆ đ??ľ. Il che consente di esplicitare due possibili casi, quello che sia f(A) ⊂ B (inclusione propria, con f(A) sottoinsieme proprio di B) oppure il caso f(A) = B. Questa ipotesi, ovvero f(A) = B, è il caso in cui ad elementi di A corrispondono elementi di B, o meglio non esiste neppure uno elemento di B che non sia f(a), ovvero non esiste neppure un elemento di B che non sia immagine di un elemento di A secondo la regola di associazione definita con rigore dalla f. Una funzione per la quale sia f(A) = B è detta funzione (o applicazione, o mappa) suriettiva, o suriezione. Viene solitamente data una ulteriore definizione, quella di mappa iniettiva per la quale a distinti valori a ∈ A corrispondono distinti valori b ∈ B. In termini di coppie ordinate una iniezione è tale che per due qualunque coppie (a,b) e (Ă , b’) se a ≠đ?‘Žâ€˛ allora b ≠đ?‘?′. Ciò deve essere vero per ogni a ∈ A. Una iniziezione non necessariamente è suriettiva.

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Vanno considerate le funzioni che sono al contempo suriezioni e iniettive, ovvero funzioni per le quali f(A) = B e f(a) ≠f(Ă ) ∀ đ?‘Ž, đ?‘Žâ€˛ : a, Ă âˆˆ dom f con a ≠đ?‘Žâ€˛ Sotto queste condizioni, ovvero se f mette in relazione elementi di A con elementi di B, essendo f una iniezione, è possibile introdurre una funzione, detta inversa di f, indicata con il formalismo đ?‘“ −1 la quale mette in relazione elementi di B con elementi di A. Ăˆ ben evidente, per la definizione di funzione inversa, che se b = đ?‘“(a) allora đ?‘“ −1 (đ?‘?) = đ?‘“ −1 (đ?‘“(đ?‘Ž)) = a. Ogni elemento b di B è in relazione con un solo elemento di A e distinti b sono in corrispondenza con distinti a dell’insieme A. Quando queste condizioni sono verificate (iniettivitĂ e suriettivitĂ ) di dice che i due insiemi, A e B, sono in corrispondenza biunivoca. Ricapitolando ogni funzione suriettiva e iniettiva, detta anche applicazione bigettiva, o biiettiva, ammette la funzione inversa. Ăˆ ammesso il caso particolare di una funzione f : A → A. Essa è detta permutazione di A o anche trasformazione di A. Esiste anche una particolare classe di funzioni dette funzioni composte. Se è data una funzione che relaziona elementi a di A con elementi b di B si scrive f: A → B in termini di coppie (a, b) = (a, f(a)) A questo punto è possibile considerare una g per la quale a elementi di B, ovvero ai valori f(a) corrisponda un c ∈ C. Lo schema è di immediata comprensione đ?‘“

đ?‘”

a → b =f(a) → c = g(f(a)) Gli elementi b =f(a)∈ B costituiscono il dominio di definizione della funzione g(.). Ăˆ possibile il caso particolare f = đ?‘” . Ma in generale đ?‘“ ≠g. Una particolare funzione è detta costante.

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Ăˆ infatti possibile definire una legge di corrispondenza per la quale ad ogni valore di a corrisponda identicamente sempre lo stesso valore di B, sia in definitiva f : A → B ⎸ ∀đ?‘Ž ∈ đ??´ f(a) = đ?‘?0 ⎸ đ?‘?0 ∈ B In termini di coppie ordinate la funzione costante si caratterizza come (a, đ?‘?0 ) ∀ a ∈ dom f.

1.15

La rappresentazione delle funzioni matematiche nel piano cartesiano Le funzioni matematiche possono essere rappresentate nel piano cartesiano ortogonale. Si pone la grandezza variabile indipedente sull’asse delle ascisse e la grandezza funzionalmente dipendente sull’asse delle ordinate, o delle y. La possibilitĂ di una simile rappresentazione discende dalla corrispondena biunivoca tra gl’insieme delle coppie ordinate (x, f(x)) e i punti del piano cartesiano solitamente indicato con la scrittura đ?‘… 2 . Si realizza quella che viene definita rappresentazione analitica di una funzione. Nella geometria analitica vengono rappresentate nel piano cartesiano ortogonale funzioni reali a valori reali, ovvero funzioni il cui dominio di definizione è A ⊆ R per le quali f(A) ⊆ R. Deve darsi ora la definizione di grafico di una funzione. Il grafico Γ(f) di una funzione f è l’insieme di tutte e sole le coppie ordinate (a,b) per le quali b = f(a) quando sia assegnata f(.). In termini formali è possibile scrivere Γ(f)= {(a,b):(a,b)∈ A Ă— đ??ľ ⎸đ??´ ⊆ đ?‘…, đ??ľ ⊆ đ?‘… , đ?‘Ž ∈ đ??´, đ?‘? ∈ đ??ľ âˆś đ?‘? = đ?‘“(đ?‘Ž)}

1.16

Funzione inversa di f Come detto una funzione è definibile in termini di coppie ordinate. Sia data una funzione f e sia (a, b)∈ Γ(f). La funzione inversa di f, ovvero la funzione đ?‘“ − , se esiste è unica. In termini di coppie ordinate la funzione đ?‘“ − ha grafico - 19 -


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Γ(đ?‘“ − ) = {(b, a): b ∈ Im f, a ∈ dom f, Im f = đ??ľ }

1.17

Funzioni eguali Due funzioni f(.) e g(.) sono eguali se

a) hanno lo stesso dominio di definizione; b) f(x) = g(x) ∀ x ∈ dom f, dom g Ad esempio è possibile evidenziare che le funzioni f: ⌋0, 1âŚŒ → B ⊂ R ⎸f(x) = y = ax + b e g : ⌋0, 10âŚŒ → B’ ⊂ R ⎸g(x) = y = ax + b non sono eguali, ovvero non sono la stessa funzione e si scrive f≢g Vorrei osservare che se è data una funzione f di cui è noto il dominio di definizione è sempre possibile considerare una funzione f’ ≢ f avente un dominio non coincidente con il dom f. Si può ammettere che per ogni f se dom f = A ⊆ R allora esiste una funzione f’ di dominio B ⊂ A ⊆ R. In questi casi si dice che si è operata una restrizione. Fosse B = A sarebbe vero che le due funzioni sono eguali, ovvero sono la medesima funzione. Se B ⊂ A sarebbe vero f(x) = f’(x) per ogni x ∈ B, ma sarebbe f’(x) non definita per x ∈ A \ B.

1.18

La funzione lineare Il piĂš semplice caso di funzione matematica è sicuramente rappresentato dalla retta euclidea passate per l’origine degli assi cartesiani. Tale funzione è la rappresentazione analitica della legge della proporzionalitĂ diretta. Essa è ben definita dalla coppia ordinate (x, kx), ove k ∈ R - { 0 } , essendo R l’insieme dei numeri reali. Per x = 0 la coppia (0, 0) è del luogo al variare di k nei reali.

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Porre k ≠0 è necessario perchè altrimenti sarebbero al variare di x del luogo tutti i punti (x, 0). Questo è il caso dell’asse delle ascisse, come luogo dei punti di đ?‘… 2 , aventi ordinate nulla al variare di x in ( −∞, + ∞). Va quindi detto che una funzione lineare è una funzione cosĂŹ formalizzabile f : R → R ⎸ f(x) = kx, k ∈ R - {0} ovvero đ?‘“

x → kx Il grafico è Γ(f)={(x,y):(x,y)∈ R Ă— đ?‘… ⎸đ?‘Ś = đ?‘˜đ?‘Ľ, đ?‘˜ ≠0} In un riferimento cartesiano ortogonale di origine O è possibile disegnare una retta passante per l’origine, ovvero per il punto (0,0). Sia P un punto della retta tale che P ≠đ?‘‚. Siano đ?‘ƒđ?‘Ľ đ?‘’ đ?‘ƒđ?‘Ś le proiezioni ortogonali del punto P sugli assi x ed y. đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ś

Comunque sia preso P sulla retta il rapporto đ?‘‚đ?‘ƒ è una costante e si dimostra che risulta đ?‘Ľ

đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ś đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ľ

= tan �

đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ Îą è l’angolo orientato in senso antiorario di rotazione dell’asse delle x fino a sovrapporsi alla retta di equazione y = đ?‘˜đ?‘Ľ. Ăˆ ben evidente che đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ś đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘Ľ

đ?‘Ś

= tan đ?›ź =đ?‘Ľđ?‘ƒ = đ?‘˜ đ?‘ƒ

L’equazione canonica della retta per l’origine è y – đ?‘˜đ?‘Ľ = 0 Il valore reale k è detto coefficiente angolare della retta, o parametro direttivo. Resta da definire l’asse delle ordinate.

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Esso è il luogo delle coppie (0,y) al variare di y nei reali, ovvero ∀ y ∈ R, ove R è l’insieme dei numeri reali. Nel caso k = 1 si ottiene il caso y = x. In termini di coppie si scrive (x, y=x). In termini geometrici la curva di equazione y = x è la bisettrice del primo e del terzo quadrante e passa per il punto (0,0). Per la funzione lineare si ha dom f = đ?‘… imm f = đ?‘… Studiate le rette passanti per l’origine del Sistema di riferimento cartesiano è ora possibile passare allo studio delle funzioni il cui grafico è una retta non passante per l’origine. Le corrispondenti funzioni sono dette affini.

1.19

La funzione affine

(Rappresentazione nel piano cartesiano di una funzione affine, il cui grafico è una retta non passante per l’origine)

La funzione affine è una funzione del tipo f: R → R ⎸ y = đ?‘šđ?‘Ľ + đ?‘ž Anche in questo caso m viene chiamato coefficiente angolare della retta.

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Il numero reale q viene detto ordinata dell’origine. La ragione di questo termine è semplice. Infatti, ponendo x = 0 si ottiene y = đ?‘ž. Pertanto il punto (0, q)∈ Γ(f). Di fronte alla scrittura y = đ?‘šđ?‘Ľ + đ?‘ž possono farsi due distinti tipi di riflessioni. Ad esempio, si può porre m = đ?‘š0 ovvero si può stabilire che m assuma un particolare valore đ?‘š0 , avendosi y =đ?‘š0 x + đ?‘ž . Al variare di q, ovvero ∀q ∈ R, si hanno tutte e sole le rette affini aventi m = đ?‘š0 . Esse sono rette parallele alla retta y =đ?‘š0 x In generale due rette r ed r’ del piano sono parallele se e solo se đ?‘šđ?‘&#x; = đ?‘šđ?‘&#x;′ ovvero se hanno eguale coefficiente angolare. Pertanto, al variare di q vengono identificate tutte e sole le rette parallele alla retta y = đ?‘š0 x. Le rette y = đ?‘š0 x + q sono tutte parallele. Per contro è possibile fissare q, ovvero porre q = đ?‘ž0 , avendosi l’equazione di un fascio di rette passanti per il punto (0, đ?‘ž0 ). In questo caso si ha y = đ?‘šx + đ?‘ž0 In questo modo detta equazione è intendibile come equazione del fascio per il punto (0, đ?‘ž0 ), salvo il caso m = ∞. Essa rappresenta tutte le rette per quel punto nel caso ⎸m ⎸ < ∞.

1.20

Equazioni parametriche della retta del piano Sia (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 ) un punto della retta r del piano. Le equazioni x = đ?‘Ľ1 + at y = đ?‘Ś1 + bt sono equazioni paramentriche di una retta. - 23 -


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Ogni punto (đ?‘Ľ1 + at đ?‘Ś1 + bt) quando (a, b) ≠(0, 0) è un punto di una retta. Ammettiamo che risulti y = kx ∀ đ?‘Ľ, đ?‘˜ ∈ đ?‘… . Allora è possibile scrivere kx = đ?‘˜đ?‘Ľ1 + bt → b =

đ?‘˜(đ?‘Ľ1 −đ?‘Ľ) đ?‘Ą

ed anche đ?‘Ľ1 − đ?‘Ľ = a Da cui, immediatamente, b = ka Se si impone che la retta passante per (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 ) e di dato coefficiente angolare k = đ?‘˜0 . Si avrebbe in questo caso che la relazione tra a e b è del tipo (a, ka). La questione può però essere vista anche da un altro punto di vista, allora si può considerare una coppia ordinate di numeri reali, ad esempio sia essa (a, b). In questo caso si perviene, data (a, b), alla determinazione del valore del coefficiente đ?‘?

angolare k che risulta essere k = đ?‘Ž. Una considerazione che solitamente viene condotta è l’eliminazione del parametro t dale due equazioni della retta. Si risolvono le due equazioni ammettendo che l’ingognita sia t. Esse vengono quindi eguagliate. Risulta immediatamente (đ?‘Ľ1 −đ?‘Ľ) đ?‘Ž

=

(đ?‘Ś1 −đ?‘Ś) đ?‘?

đ?‘Ś −đ?‘Ś

đ?‘?

→ đ?‘Ľ1 −đ?‘Ľ = đ?‘Ž = đ?‘˜ 1

ove (x, y) è un generico punto della retta.

1.21

Equazione della retta passante per due punti dati Fatto salvo quanto detto nel precedente paragrafo è possibile formulare le considerazioni seguenti. Dato un ulteriore punto della retta (đ?‘Ľ2 , đ?‘Ś2 ) distinto da (x,y) e da (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 ) va imposta la condizione đ?‘Ś2 = đ?‘˜ đ?‘Ľ2 . Ăˆ immediato scrivere la formula nel modo seguente

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đ?‘Ś1 −đ?‘Ś đ?‘Ľ1 −đ?‘Ľ

đ?‘Ś −đ?‘Ś

= đ?‘Ľ1 − đ?‘Ľ2 1

2

đ??ˇđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘Ž formula ben può essere interpretata come la equazione di una retta r del piano passante per i punti (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ś1 ) e (đ?‘Ľ2 , đ?‘Ľ2 ) di cui sono note le coordinate cartesiane rettangolari.

1.22

Casi particolari di equazioni di rette del piano Oltre alle equazioni cartesiane degli assi cartesiani, giĂ esaminate, è bene ricordare due casi particolari. Il primo di essi è il caso x = k ove k è un numero reale. In termini di coppie ordinate per detto caso risulta che sono del luogo i punti (k, y), ove y varia nei reali. In questo caso la rappresentazione del grafico nel piano cartesiano è immediata. Trattasi di un retta ortogonale all’asse delle ascisse e passante per il punto (k, 0) essendo k assegnato. Essa è parallela all’asse delle ordinate e dista ⎸k⎸ da detto asse. Ulteriore particolare caso è dato dall’equazione y = h al variare di h nei reali. Il grafico di essa è dato dal luogo dei punti (x, h) ove h è dato. A distinti valori di h, per esempio h’ e h’’, corrispondono distinte rette. Esse sono parallele. Questa classe individua rette parallele all’asse delle ascisse.

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1.23

Equazione generale della retta Dall’equazione della funzione affine si può pervenire una una equazione detta equazione generale della retta. Infatti, è stato evidenziato ⌋ChisiniâŚŒ che moltiplcando per un coefficiente b ≠0 ambo i membri si ottiene by = bmx + đ?‘?đ?‘ž Se in essa si pone bm = - a e bq = - c si ottiene una scrittura nota come equazione generale della retta, nella forma, quindi ax + by + c = 0 Deve essere (a, b) ≠(0, 0). Dalla relazione ax + by + c = 0 si ottiene by = - ax – c. đ?‘Ž

đ?‘?

Dividendo essa per b ≠0 si ottiene y = - đ?‘? x - đ?‘?. đ?‘Ž

Il numero - đ?‘? è il coefficiente angolare della retta. Detta retta forma con il semiasse positivo delle ascisse, a meno del periodo, un angolo đ?‘Ž

orientato positivo, inteso in senso antiorario, Îą = tan−1(- đ?‘?). đ?‘?

Il numero - đ?‘? è l’ordinata dell’origine.

1.24

Fasci propri e impropri di rette del piano Ăˆ bene precisare alcune questioni che rigardano le rette del piano. In primis, bisogna distinguere tra fascio proprio e fascio improprio di rette del piano. Partiamo dalla definizione di fascio proprio di rette del piano. La geometria sintetica prevede, per postulato, che per un punto P qualunque del piano, passino infinite rette. Poichè nella geoemtria cartesiana ad ogni retta corrisponde, riferito il piano ad un sistema di riferimento, una equazione funzionale.

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Occorre quindi definire dal punto di vista cartesiano il fascio di rette (infinite) che passano per un dato punto. Si da, senza dimostrazione, peraltro ampiamente reperibile ⌋per esempio, in Chisini, pagg. 155, 156âŚŒ

un teorema per il quale “le rette di un fascio si ottengono combinando

linearmente due quasiasi di esseâ€?. In definitiva, devono esistere due scalar reali (Îą, β) ≠(0, 0) per i quali risulta ax + by + c = Îą(đ?‘Ž1 đ?‘Ľ + đ?‘?1 đ?‘Ś + đ?‘?1 ) + β(đ?‘Ž2 đ?‘Ľ + đ?‘Śđ?‘?2 +đ?‘?2 ) Applicando il principio di identitĂ dei polinomi si ha a = Îą(đ?‘Ž1 +đ?‘Ž2 ) b = β(đ?‘?1 +đ?‘?2 ) c = đ?›źđ?‘?1 +đ?›˝đ?‘?2 I parametri Îą e β non possono essere contemporaneamente nulli.

1.25

Coordinate plĂźckeriane Una retta affine interseca, come noto, gli assi nei punti (0, p) e (q, 0). 1

1

Noti i numeri p e q risultano univocamente determinati i punti u = - đ?‘? e v = - đ?‘ž. Detti numeri possono essere assunti come coordinate della retta e sono detti coordinate plǘcheriane. Il metodo di trasformazione delle relazioni che definiscono una retta è costituito dai seguenti step. 1) è data l’equazione della retta in forma ax + by + c = 0 2) si determina p ponendo in 1) il valore y =0 1

đ?‘Ž

3) si determina il valore u = - đ?‘? = đ?‘?

4) si determina il valore q ponendo nella 1) il valore x = 0 1

5) si determina il valore v = - đ?‘ž =

đ?‘? đ?‘?

Dividendo l’equazione 1) per c ≠0.

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Da cui si ottiene l’equazione nella forma ux +vy + 1 = 0

1.26

Intersezione di rette del piano Nel piano euclideo e quindi anche in quello cartesiano due rette possono essere parallele oppure possono intersecarsi in un punto. Da un punto di vista cartesiano due rette sono parallele e distinte r ed r’ quando un dato punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) verifica la condizione, riferita alla prima retta, đ?‘Ś0 = ađ?‘Ľ0 + b, ∀ đ?‘Ľ0 per a e b assegnati allora il punto (đ?‘Ś0 + ⎸đ?‘? − đ?‘? ′ ⎸sin(đ?œƒ), đ?‘Ľ0 ) verifica la condizione đ?‘Ś1 = Ă đ?‘Ľ0 + b’ per fissati (Ă , b’) ≠(0, 0) per b′ ≠b . Nota. Per una migliore comprensione di questo punto si rimanda al paragrafo relativo alla distanza tra punto e retta del piano.

In realtĂ deve risultare a = a’. In effetti due rette parallele non hanno punti in commune quindi se (x, y) verifica le condizioni data da una equazione lineare in x ed y allora (x, y) non verifica le condizioni per la seconda equazione lineare. Ma tale riflessione andrebbe riferita alle infinite coppie di elementi che soddisfano una data equazione. Si considerino le relazioni y = ax + b y = cx + d Da esse si può porre ax + b = cx + d ax – cx = d – b x(a – c ) = đ?‘‘ − đ?‘?

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đ?‘‘−đ?‘?

x = đ?‘Žâˆ’đ?‘? Deve essere evidentemente a ≠đ?‘? .

Per a = c sarebbe immediatamente vero b = đ?‘‘ . Ma tale esito è inaccettabile, stante la imposibilitĂ di dividere per 0. Ma b = đ?‘‘ , đ?‘œđ?‘™đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘’ ad a = c importa che i due luoghi sono il medesimo luogo. Le due rette sono la medesima retta. Questo è un caso particolare di parallelismo.

Aver impostato e risolto il sistema di equazioni evidenzia che esiste (recte: può esistere) un x, dipendente dai parametri a, b, c ,d, risultato essere x = đ?‘‘−đ?‘?

đ?‘‘−đ?‘? đ?‘Žâˆ’đ?‘?

per il quale i due luoghi

đ?‘‘−đ?‘?

si intersecano in un punto ( đ?‘Žâˆ’đ?‘? , f(x = đ?‘Žâˆ’đ?‘? )). La corrispondente ordinata può essere determinata per mera sostituzione in formula in una delle due equazioni assegnate. Le terne (đ?‘Žđ?‘– , đ?‘?đ?‘– , đ?‘?đ?‘– ) individuano tutte le rette del piano. Due rette j e k del piano sono parallele quando |

đ?‘Žđ?‘— đ?‘Žđ?‘˜

đ?‘?đ?‘— |=0 đ?‘?đ?‘˜

Si tratta di una condizione necessaria e sufficiente. đ?‘Žđ?‘— ∀ đ?‘—, đ?‘˜ ∈ đ?œ‹ j // k ⇔ | đ?‘Žđ?‘˜

đ?‘?đ?‘— |=0 đ?‘?đ?‘˜

đ??żđ?‘Ž dimostrazione è semplice ed ampiamente reperibile nella manualistica. đ??ˇđ?‘˘đ?‘’ rette non parallele del piano si intersecano in un punto detto punto di intersezione. đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘œ è unico. Per la determinazione di esso è possibile risolvere il sistema di equazioni applicando la regola di Cramer. Per due rette non parallele j e k del piano Ď€, dette solitamente incidenti, esiste ed è unico, un punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) tale che j ∊ k = {(đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 )∈ Ď€}.

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Le coordinate di detto punto sono rispettivamente đ?‘Ľ0 =

đ?‘Ś0 =

1.27

−đ?‘?đ?‘— đ?‘?đ?‘— | −đ?‘?đ?‘˜ đ?‘?đ?‘˜ đ?‘Žđ?‘— đ?‘?đ?‘— | | đ?‘Žđ?‘˜ đ?‘?đ?‘˜

|

đ?‘Žđ?‘— |−đ?‘? |

đ?‘˜ đ?‘Žđ?‘—

đ?‘Žđ?‘˜

−đ?‘?đ?‘— −đ?‘?đ?‘˜ | đ?‘?đ?‘— | đ?‘?đ?‘˜

Rette ortogonali La nozione di perpendicolaritĂ (o ortogonalitĂ ) è ben nota. Due rette ortogonali hanno coefficienti angolari m ed m’ per i quali risulta mm’ = - 1 Il prodotto dei coefficienti angolari di due rette ortogonali del piano risulta eguale a – 1.

Vi sono molti modi di dimostrare che vale tale relazione. Per uno di essi che ho ricavato rimando al paragrafo relativo alle funzioni trigonometriche.

1.28

Forma segmetaria della retta Già è stata introdotta la nozione di ordinata dell’origine. Se la retta passa per (0, q) ≥ đ?‘„ allora è individuato un segmento orientato di lughezza q, valutata algebricamente, ovvero con il segno. Analoga riflessione può essere fatta in relazione all’asse delle ascisse, ovvero ponendo y = 0 nella equazione della retta. L’intercetta con l’asse delle x viene solitamente indicata con la lettera q. Data l’equazione generale della retta è possibile dividere ambo i membri per – c ≠0 arrivando, dopo pochi passaggi, alla formula segmentaria della retta, ovvero alla relazione đ?‘Ľ đ?‘?

đ?‘Ľ

−đ?‘ž=1

Tra i numeri p, q, ed m esiste una semplice relazione del tipo

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đ?‘ž

m=-đ?‘? come diretta conseguenza della definizione del parametro m. Vorrei però osservare che noti p e q è immediatamente ricavabile m ma non è vero il contrario, come è ovvio.

1.29

Proiezione di un segmento Sia data una retta r del piano Ď€. Essa in generale forma un angolo minimo Îą con il semiasse positivo delle ascisse. Vista in altri termini Îą è l’angolo di cui deve ruotare il semiasse positivo delle ascisse in senso antiorario per sovrapporsi alla retta r. Per un punto A di r si dice proiezione di A il punto đ??ťđ??´ intersezione tra la perpendicolare per A all’asse delle ascisse. Dalla definizione di coseno di un angolo il segmento proiezione del segmento AB risulta misurare Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ cos đ?›ź.

1.30

Il segmento parabolico Una particolare funzione matematica è la seguente y = đ?‘Ľ2. Detta funzione non è iniettiva in quanto esistono infinite coppie di mumeri reali Îą e − đ?›ź per i quali risulta đ?›ź 2 =(−đ?›ź)2 . Quindi non può neppure essere bigettiva e pertanto neppure invertibile. Operando una restrizione del dominio al caso ι≼ 0, ovvero al caso dom f = đ?‘…0+ essa risulta essere iniettiva in quanto per distinti Îą si hanno immediatamente distinti valori della y. Essa è anche bigettiva in quanto Im f = đ?‘…0+ 2

La funzione inversa è g(x) = √đ?‘Ľ. La funzione y = đ?‘Ľ 2 è detta segmento parabolico.

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Analoghe riflessioni possono farsi per le funzioni del tipo y = kđ?‘Ľ 2 al variare di k in R\{0}.

1.31

La funzione di secondo grado Il caso generale del trinomio di II grado nella indeterminata x è y(x) = đ?‘Žđ?‘Ľ 2 + bx + đ?‘? Deve risultare a ≠0 Per b = đ?‘? si ricade in un caso giĂ esaminato. Per b ≠0 đ?‘’ đ?‘? = 0 si ha il caso y(x) = đ?‘Žđ?‘Ľ 2 + bx Ci si ripropone di determinare i valori di per i quali y(x) = 0. Essi sono ricavabili nel modo seguente 0 = đ?‘Ľ(đ?‘Žđ?‘Ľ + đ?‘?) đ?‘?

Ovvero đ?‘Ľ1 = 0 , đ?‘Ľ2 = − đ?‘Ž Il caso piĂš generale è quello nel quale siano a, b c tutti diversi da zero. In questo caso gli zeri della funzione di ottengono utilizzando la formula risolutiva delle equazioni di II grado in x, seguente đ?‘Ľ1,2

−đ?‘? Âą √đ?‘? 2 − 4đ?‘Žđ?‘? = 2đ?‘Ž

đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘Ž è valida qualunque sia la base di numerazione usata. đ??żâ€™equazione di II grado đ?‘Žđ?‘Ľ 2 + bx + đ?‘? = 0 ammette radici reali quando è garantita la condizione di realtĂ del radicale contenuto nella formula risolutiva, ovvero quando đ?‘? 2 − 4đ?‘Žđ?‘? ≼ 0.

1.32

Funzioni polinomiali Le funzioni polinomiali sono la rappresentazione cartesiana degli ordinari polinomi nell’indeterminata x, che assume il ruolo di variabile indipendente.

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Una funzione polinomiale è rappresentabile sinteticamente come segue f(x) = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– đ?‘Ľ đ?‘– (đ?‘Žđ?‘› ≠0) I numeri reali đ?‘Žđ?‘– sono detti coefficienti del polinomio. Il numero intero n è detto grado del polinomio. Se đ?‘Žđ?‘– = 0 per 1 < i ≤ đ?‘› − 1 allora la funzione considerata è detta funzione monomia. Gli x tali che f(x) = 0 sono detti zeri o radici del polinomio. Le funzioni polinomiali hanno dominio coincidente con il continuo reale.

1.33

Funzioni razionali đ??š(đ?‘Ľ)

Una funzione è detta razionale se è del tipo h(x) = đ??ş(đ?‘Ľ) ove F(x) e G(x) sono due funzioni polinomiali. La funzione h(x) è definita per ogni valore della x tale che G(x) ≠0. Condizione necessaria e sufficiente affichè una funzione razionale h(x) abbia dominio di definizione coincidente con R e che risulti G(x) ≠0 ∀đ?‘Ľ ∈ đ?‘…. đ??š(đ?‘Ľ)

Dom h(x) = đ??ş(đ?‘Ľ) = {x : G(x)≠0}

1.34

Rappresentazione nel piano di funzioni pari Dicesi funzione pari una funzione reale di una variabile reale per la quale risulti, al variare di x nel suo dominio di definizione, f(x) = f(-x). Ăˆ ben evidente che se x ∈ dom f allora anche – x ∈ dom f. Per questa ragione il dominio di definizione di una funzione pari è un intorno simmetrico dell’origine. Pertanto se dom f ≠⌋-b, bâŚŒ la funzione f non è pari. Non necessariamente una funzione f ⎸ dom f = ⌋-b, bâŚŒ è pari.

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Vorrei osservare che b solitamente è un numero reale, ma ovviamente tale scrittura può essere intesa in senso ampio fino a considerare domini di definizione coincidenti con il continuo reale. In buona sostanza dom f = ⌋-b, bâŚŒ è una condizione necessaria ma non sufficiente affinchè la funzione f sia pari. Le funzioni pari sono simmetriche rispetto all’asse delle ordinate nel senso che se il punto (x, y(x)) appartiene al luogo allora anche il punto (-x, y(-x)) è del luogo. In particolare risulta y(x) = y(-x). Le funzioni pari non sono invertibili, in quanto non è sono una iniezione. Infatti per esse non è vero che đ?‘Ľ1 ≠đ?‘Ľ2 ⇔ đ?‘“(đ?‘Ľ1 ) ≠đ?‘“(đ?‘Ľ2 ). Basta pore đ?‘Ľ1 = − đ?‘Ľ2 per essere smentiti ! Sono, ad esempio, pari le funzioni del tipo y = ađ?‘Ľ 2đ?‘› al variare di n in â„•. Per a > 0 la funzione ha il grafico nei quadranti I e II del sistema cartesiano ortogonale. Per a < 0 la curva viene disegnata nei quadranti III e IV.

1.35

Rappresentazione nel piano di funzioni dispari Una funzione f(x) è detta dispari se per ogni valore della x del dominio di essa risulta f(x) = - f(-x) ovvero – f(x) = f(-x) In altre parole per le funzioni dispari se (x, y) è un punto del luogo allora sono punti del luogo solo i punti (-x, -y). Le funzioni dispari continue passano per il punto (0,0). Sono dispari le funzioni monomie del tipo kx 2n+1 , ove n e′ un naturale. Ordinariamente possiamo dire che

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f(x) dispari â&#x;š f(0) = 0 f(0) ≠0 â&#x;š f(x) non è dispari ma f(0) = 0 non â&#x;š f(x) è dispari.

1.36

Funzioni monotone Una funzione f è strettamente crescente se f(đ?‘Ľ2 )> f(đ?‘Ľ1 ) per đ?‘Ľ2 > đ?‘Ľ1 . Una f può essere strettamente crescente su un sottoinsieme proprio del dominio di definizione oppure nell’intero dominio di definizione. Una funzione f è non decrescente se f(đ?‘Ľ2 )≼ f(đ?‘Ľ1 ) per đ?‘Ľ2 > đ?‘Ľ1 . Una funzione strettamente crescente nel dominio di definizione è invertibile risultando una iniezione in quanto a distinti x corrispondono distinti f(x) e viceversa ad ogni elemento di Im f corrisponde un solo x e a distinti elementi di Im f corrispondono distinti x. Una funzione f è strettamente decrescente se f(đ?‘Ľ2 )<f(đ?‘Ľ1 ) per đ?‘Ľ2 > đ?‘Ľ1 . Una f può essere strettamente decrescente in un sottoinsieme proprio del dominio di definizione oppure nell’intero dominio di definizione. Una funzione f è non crescente se f(đ?‘Ľ2 )≤ f(đ?‘Ľ1 ) per đ?‘Ľ2 > đ?‘Ľ1 . Una funzione strettamente decrescente nel dominio di definizione è invertibile.

1.37

Rappresentazione delle funzioni f e đ?’‡âˆ’ nel medesimo piano Sia data una funzione f bigettiva. Si consideri la retta di equazione y = đ?‘Ľ. Sia (a, b) ∈ Γ(f). Allora (b, a) ∈ Γ(đ?‘“ − ) Ăˆ immediato convincersi che i punti (a, b) e (b, a) sono simmetrici rispetto al punto đ?‘†(đ?‘Ž,đ?‘?) đ?‘?+đ?‘Ž

=(

2

,

đ?‘?+đ?‘Ž 2

)∈ Γ(y= đ?‘Ľ).

Ciò vale per ogni punto della retta y = đ?‘Ľ In buona sostanza i grafici delle funzioni invertibili, ovvero della funzione f e della sua inversa đ?‘“ −1 , sono simmetrici rispetto alla bisettrice di equazione y = đ?‘Ľ. - 35 -


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Data f invertibile (suriettiva e iniettiva) il grafico della funzione đ?‘“ − è il seguente Γ(đ?‘“ − ) = { (đ?‘?, đ?‘Ž) âˆś (đ?‘Ž, đ?‘?) ∈ đ?›¤(đ?‘“)}

Un tipico esempio di funzione invertibile è offerto dalla funzione lineare f(x) = ax. Se si tiene conto della simmetria introdotta se è data la curva di equazione y = ax mentre la curva corrispondente alla funzione inversa è đ?‘Śđ?‘–đ?‘›đ?‘Ł = Ă x. Ma per essa sono lecite le sostituzioni đ?‘Śđ?‘–đ?‘›đ?‘Ł → x e x → y. Da cui si ha x = Ă đ?‘Śđ?‘–đ?‘›đ?‘Ł da cui Ă y = x ovvero Ă =

� ����

quindi 1

Ă =đ?‘Ž đ?‘Ś

Che l’inversa di una retta sia una retta si giustifica con fatto che se è costante đ?‘Ľ parimenti costante è il rapporto inverso, che definisce le coppie con coordinate invertite. Quindi l’inversa di una funzione lineare è una funzione lineare. Occorre passare al caso della funzione affine. Sia fata la funzione affine seguente y = ax + b Ăˆ necessario verificare che relazione si ha con la sua inversa. La funzione f passa per (0, b), quindi la funzione inversa passa per (b, 0). Si ha pertanto 0 = Ă b + b’ da cui

1 đ?‘Ž

b = −đ?‘?′, ovvero đ?‘?

b’ =− đ?‘Ž. Con una buona dose di ottimismo si può ipotizzare che il grafico di đ?‘“ − sia una retta. Ciò è sensato per la medesima ragione per la quale ciò è vero per il caso della funzione costante. Devo costurire una notazione funzionale che mi consenta, a meno di un paramentro b’, di considerare casi per i quali da g(x) = f(x) + b discende đ?‘”− (đ?‘Ľ) = đ?‘Śđ?‘–đ?‘›đ?‘Ł = đ?‘“ − (x) + b’.

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Ma si è evidenziato che đ?‘?

b’ =− đ?‘Ž. Quindi 1

đ?‘?

đ?‘Śđ?‘–đ?‘›đ?‘Ł = đ?‘“ − (x) + b’ = đ?‘Žx − đ?‘Ž.

Ho deciso per questa forma che forse non è rituale ma l’ho sviluppata con un certo impegno‌ Data una funzione y = ax + b la funzione inversa è 1

đ?‘?

y=đ?‘Ž đ?‘Ľ-đ?‘Ž

1.38

Rappresentazione della proporzionalitĂ inversa La proporzionalitĂ inversa è espresso dalla seguente relazione đ?‘˜

y = đ?‘Ľ ove k è un numero reale diverso da zero. La funzione è definita per ogni x reale ad eccezione di x = 0. Dom f = {đ?‘Ľ âˆś đ?‘Ľ ∈ đ?‘… ∖ {0}} Im f = R Per k fissato la funzione è espressa da due rami di iperbole. Per k > 0 detti rami sono nel primo e nel terzo quadrante cartesiano. Per k < 0 detti rami sono collocati nel secondo e quarto quadrante cartesiano. Essi sono immediatamente rappresentabili nel piano con nozioni elementari.

1.39

Funzioni in forma implicita Una funzione y = f(x)può essere messa in una forma detta implicita, come di fatto si è giĂ detto ⌋ChisiniâŚŒ per la retta quando scritta nell’equazione ax + by + c = 0.

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Riporto testualmente la definizione di funzione implicita (Demodovic, a cura di, Esercizi e problemi di Analisi matematicaâ€?. Essa è la seguente: Una funzione data da una equazione insoluta rispetto alla variabile indipendente si chiama funzione implicitaâ€?. Risultano funzioni implicite scritture del tipo đ?‘Ľ đ?‘› + đ?‘Ś đ?‘› = đ?‘&#x; đ?‘› . Il caso n = 2 descrive un luogo particolarmente noto: la circonferenza di raggio r e di centro in (0, 0). Anche con riguardo ad una situazione “tranquillaâ€? come quella data dalla circonferenza si osserva che per un assegnato x, ovvero per x = đ?‘Ľ0 , esistono due y (i numeri Âąđ?‘Ś0 ) che verificano l’equazione del luogo. Ăˆ possibile, in generale, considerare relazioni del tipo đ?‘Ľ đ?‘› + đ?‘Ś đ?‘› = k, con k numero reale.

1.40

Distanza di un punto da una retta del piano Ăˆ data una retta di equazione y = ax + b ed un punto esterno ad essa. Sia P≥ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) detto punto. Per esso passa una ed una sola retta parallela alla retta data e passante per il punto P esterno ad essa. L’equazione cartesiana di detta retta è la seguente y = ax + b’ Pertanto la distanza tra un punto P ed una retta r è ricondotto alla distanza tra due rette parallele, r ed r’. La distanza anzidetta è la misura del segmento che la retta ortogonale ad esse stacca sulle rette r ed r’. La lunghezza del segmento PH è eguale alla misura del segmento P’H’ che la retta parallela a quella che individua il segmento PH. Il punto H’ è dell’asse delle ordinate. Dall’equazione della retta è immediato ricavare p’. đ?‘Ś

Sia θ l’angolo complementare dell’angolo (Ď€âˆ’đ?›ź) ove Îą = đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘?đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›(đ?‘Ľ ). Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… = h = ⎸p − đ?‘?′ ⎸ sin đ?œƒ Ăˆ immediato constatare che đ?‘ƒâ€™đ??ťâ€™

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In buona sostanza nell’intento di trovare una formula ’’alternativà ’a quella usuale della distanza tra un punto e una retta del piano ho ricondotto la soluzione in termini equivalenti. Infatti è sempre possibile considerare una retta r’, distinta da quella data r, che passi per il punto P e sia parallela ad r. In particolare è possibile definire θ l’angolo che la retta r’ forma con l’asse delle y. Il problema del calcolo di d(P, H) viene ricondotto al calcolo della distanza d(P’, H’) ove il punto P’ e della retta r’ e il punto H’ di cui è nota l’ordinata dell’origine, ricavata direttamente dalla equazione della retta r’. Se si indica con Îą l’angolo tra la retta r e il semiasse positivo delle x allora quando sia Îą >

đ?œ‹ 2

đ?œ‹

risulta essere θ = đ?›ź − 2 . đ?œ‹

Quando Îą < 2 allora risulta valere la relazione θ = đ?›ź. Nel caso sia Îą = 0 (retta parallela all’asse delle ascisse, e quindi di equazione cartesiana y = q) la distanza h tra il punto di coordinate P≥ (đ?‘Ľ, đ?‘Ś) e la retta y = q vale h = ⎸y – đ?‘ž ⎸. đ?œ‹

Nel caso sia Îą = 2 (ovvero nel caso di retta verticiale di equazione x = đ?‘? ) detta distanza vale h = ⎸x – đ?‘? ⎸.

Nei due ultimi casi x ed y sono rispettivamente le coordinate del punto P di cui si chiede di determinare la distanza dalla retta r.

Si osservi che ∠H’ZP’ = θ

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Esso è eguale all’angolo θ intenro al triangolo delimitato dagli assi e dalla retta azzurra in quanto si tratta di angoli corrispondneti delle rette r rd r’ parallele e tagliate dalla trasversale che nel caso in oggetto è l’asse delle ordinate. Quello in figura è il primo dei casi considerati. Ăˆ bene però ricordare che la definizionedi rette paralle del piano non coincide con quella di costanza della distanza tra esse.

1.41

Funzione reciproca Se è data una funzione f(x) è possibile definire la funzione reciproca nel modo seguente 1

g(x) = đ?‘“(đ?‘Ľ) Detta funzione va trattata in generale in relazione al dominio, o campo di esistenza. Deve risultare f(x) ≠0 Risulta dom g = dom f se f(x) ≠0 ∀ x ∈ dom f Risulta invece dom g = dom f − (⋃ đ?‘Ľ ∈ đ?‘‘đ?‘œđ?‘š đ?‘“ ⎸ đ?‘“(đ?‘Ľ) = 0 ) Gli x tali che f(x) = 0 sono detti zeri della funzione.

1.42

Funzioni composte e relative proprietĂ Ăˆ bene considerare le funzioni composte a partire dal formalismo che le caratterizza per poi passare allo studio di due loro proprietĂ , la non commutativitĂ e la associativitĂ . Vorrei partire dal formalismo đ?‘“

đ?‘”

x → f(x)→ g(f(x)) Ăˆ bene partire dalla interpretazione del formalismo introdotto nel modo seguente. Sono date due funzione f e g. Esso ovviamente non si interpreta che ad ogni x di un dato campo, per esempio R, venga assegnato (o fatto corrispondere‌) un f(x) dipedendente da f.

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Esso va inteso in senso leggermene piĂš contorto ma, credo, inequivoco, come ovviamente deve essere. đ?‘“

x → f(x) va inteso correttamente nel senso che si considera un insieme A ⊆ R e quindi si considerano solo gli x : x ∈ A ⊆ R ⎸f(x) ∈ R. L’insieme {x : f(x) ∈ R} è detto dominio di definizione della funzione. đ?‘“

L’insieme {f(x): f(x)∈ R ⎸f(x) â†? x } è detto immagine della funzione f di dominio A. A questo punto si ottiene un insieme di partenza per una successiva applicazione di funzione. đ?‘“

Sia {f(x): f(x)∈ R ⎸f(x) â†? x } = B ⊆ R. A questo punto occorre considerare gli elementi y ∈ B. Ciò posto degli y vanno considerati gli y’ tali che, per una assegnata g, la funzione sia definita. In buona sostanza, deve considerarsi un nuovo insieme B’ ⊆ B tale che risulti B’ = {y ∈ B : g(y) ∈ R }. Che sia B’ = B o che sia B’ ∈ B dipende dalla g che si considera. B’ è il dominio della funzione composta g(f(x). Detta funzione viene rappresentata con il formalismo ben noto f ⃘g Nella composizione delle funzioni diviene essenziale quello che potremmo definire l’ordine di composizione. Può chiarire le idee vorrei ripetere i ragionamenti considerando la scrittura đ?‘”

đ?‘“

x → f(x)→ g(f(x)) �

x → g(x) va inteso correttamente nel senso che si considera un insieme Ă€ ⊆ R e quindi si considerano solo gli x : x ∈ Ă€ ⊆ R ⎸g(x) ∈ R. L’insieme {x : g(x) ∈ R} è detto dominio di definizione della funzione.

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đ?‘”

L’insieme {g(x): g(x)∈ R ⎸g(x) â†? x } è detto immagine della funzione g di dominio Ă€. A questo punto si ottiene un insieme di partenza per una successiva applicazione di funzione. đ?‘”

Sia {g(x): g(x)∈ R ⎸g(x) â†? x } = G ⊆ R. A questo punto occorre considerare gli elementi y ∈ G. Ciò posto degli y vanno considerati gli y’ tali che, per una assegnata f, la funzione sia definita. In buona sostanza, deve considerarsi un nuovo insieme G’ ⊆ G tale che risulti G’ = {y ∈ G : f(y) ∈ R }. Che sia G’ = G o che sia G’ ∈ G dipende dalla f che si considera. G’ è il dominio della funzione composta g(f(x). Detta funzione viene rappresentata con il formalismo ben noto g ⃘f Affinchè sia f ⃘ g = g ⃘ f Occorre che siano, come prima condizione, eguali i domini della Se dom f ⃘g ≠dom g ⃘f si è provata la non commutativitĂ . Si ammetta ora il caso sia dom f ⃘g = dom g ⃘ f Risulta in questo caso che (dom f ⃘g = dom g ⃘f) ⇔ {f(x): g(f(x))∈R} ={g(x): f(g(x))∈R} Nel caso piĂš banale dovrebbe risultare f(x) =g(x) ∀ x come nel caso delle funzioni affini. In questo caso si decadrebbe nel caso ovvio f = g Fuori da questo caso il formalismo sarebbe valido ∀x : x ∈ dom g ∊ đ?‘‘đ?‘œđ?‘š đ?‘“. dom g ≠dom f â&#x;š f ⃘g ≠g ⃘f Ammettiamo sia dom f ⃘g = dom g ⃘f, che ha come presupposto dom g = dom f. Anche in questo caso affinchè vi sia la commutativitĂ deve risultare che f = g

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La commutativitĂ della composizione di due funzioni posutula sia identicamente vero che g(f(x)) = f(g(x) ∀x ammissibile. Ăˆ possibile rappresentare nel piano il dominio delle due funzioni composte che per essere eguali dovrebbero avere equale dominio. Ma pure la loro immagine dovrevve essere la medesima.

Ma dato il comune dominio l’immagine eguale si ha solo quando g = f.

Vale però per la composizione delle funzioni la proprietĂ associativa. Risulta che f ⃘(g ⃘h) =(f ⃘g) ⃘h = f ⃘g ⃘h Vorrei osservare preliminarmente che scrivere (f ⃘g) ⃘h è assolutamente equivalente a scrivere f ⃘g ⃘h in quanto nel primo caso si compongono le funzioni f e g, quindi il risultato della loro composizione, una funzione composta, ovviamente, viene composto con la restante funzione h. Nel secondo caso la composizione, in assenza di parentesi, avviene sequenzialmente. Quindi si può dire che sicuramente (f ⃘g) ⃘h = f ⃘g ⃘h đ?‘“

đ?‘”

â„Ž

f ⃘g ⃘h ⇔ x → f(x) → g(f(x)) → h(g(f(x))) Occorre, ed è sufficiente, quindi considerare il caso

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f ⃘(g ⃘h) â‰&#x;(f ⃘g) ⃘h Vorrei formalizzare i due lati come segue đ?‘“

đ?œ‘=đ?‘” ⃘ℎ

f ⃘(g ⃘h)⇔ f ⃘ đ?œ‘ ⇔ x → f(x) → đ?‘”

φ(f(x))

â„Ž

Ma φ(f(x))= (đ?‘” ⃘ℎ)(đ?‘“(đ?‘Ľ)) → g(f(x)) → h(g(f(x))) Quindi è possibile riunire i risultati avendo che đ?‘“

đ?œ‘=đ?‘” ⃘ℎ

f ⃘(g ⃘h)⇔ f ⃘ đ?œ‘ ⇔ x → f(x) →

φ(f(x))= h(g(f(x)))

avendo supposto ∃! φ : φ = g

⃘h

Ăˆ un poco come fare le operazioni coi reali, quando le parentesi esprimono un ordine di precedenza. Quanto al secondo membro posso fare una riflessione analoga, introducendo una funzione Îź, avendo che đ?œ‡

đ?œ‡=đ?‘“ ⃘đ?‘”

(f ⃘g ) ⃘h ⇔ Îź ⃘ h ⇔ x → Îź(x) ↔

â„Ž

g(f(x))→ h(g(f(x))).

Ăˆ forse opportuno giustificare il passaggio đ?œ‡ =đ?‘“ ⃘ đ?‘”

Ο(x) →

đ?œ‡ =đ?‘“ ⃘ đ?‘”

Ο(x) →

1.43

g(f(x)) come segue đ?‘“

đ?‘”

g(f(x))⇔ x → f(x) → g(f(x))

Segno della funzione Lo studio completo delle funzioni presuppone conoscenze di Analisi, per cui non posso che rimandare ai testi correnti e ai miei Appunti matematici, in particolare i nn. 2, 3 e 4. Ma è senza necessaitĂ di utilizzazione dell’analisi verificare se la funzione si annulla per particolari valori reali del suo dominio di definizione. Ciò si riconduce a risolvere l’equazione f(x) = 0. Non è detto che esistano x per i quali risulta f(x) = 0. Ăˆ il caso della funzione f(x) = đ?‘Ľ 2 + 1. Una funzione f(x) è positiva per gli x ∈ dom f(x)per i quali risulta f(x) > 0. Ăˆ negativa per ogni x tale che f(x) < 0.

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1.44

La circonferenza e il cerchio Quella tra circonferenza e cerchio (o circolo) è una distinzione fondamentale. La circonferenza è il luogo geometrico dei punti del piano equidistanti da un punto fisso, detto centro della circonferenza. Se P è un generico punto, per un dato O, risulta d(O, P)= r, ove il segmento OP è detto raggio di misura r. Il cerchio è il luogo geometrico dei punti del piano la cui distanza da un punto fisso, detto centro del cerchio, è non maggiore di un valore dato. La circonferenza è la frontiera del cerchio. Data una circonferenza di raggio r e di centro O appartengono al cerchio i punti P tali che d(O, P) ≤ đ?‘&#x;. L’equazione cartesiana della circonferenza di centro O, coincidente con l’origine del riferimento cartesiano, risulta essere đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 = đ?‘&#x; 2 La dimostrazione, solitamente mai riportata, è banale e ricondotta al teorema di Pitagora. Se P è un punto del vincolo, ovvero se d(O, P) = r, il punto di coordinate (x, y) ha proiezioni sui due assi eguali alle coppie (x, 0)e (0,y) rispettivamente. Dal che si ottiene, operando sulle distanze, la relazione che definisce la circonferenza. Ove invece si consideri il cerchio allora, immediatamente, vale la relazione đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 ≤ đ?‘&#x; 2 Ăˆ altrettanto immediato costruire l’equazione della circonferenza il cui centro è nel punto C ≥ (Îą, β). Se P è un punto di coordinate (x, y) allora deve essere d(C, P) = r, ponibile per il teorema di Pitagora nella forma (⎸đ?‘Ľ − đ?›ź ⎸)2 + (⎸đ?‘Ś − đ?›˝ ⎸)2 = đ?‘&#x; 2

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Anche in questo caso è infatti possibile considerare le proiezioni dei punti C e P (gli infiniti P che verificano la condizione‌. ) ottenendo la relazione piĂšsopra indicata, come banale applicazione del teorema di Pitagora. E quindi immediatamente la relazione ben nota (đ?‘Ľ − đ?›ź )2 + (đ?‘Ś − đ?›˝)2 = đ?‘&#x; 2 Il corrispondente cerchio ha equazione (đ?‘Ľ − đ?›ź )2 + (đ?‘Ś − đ?›˝)2 ≤ đ?‘&#x; 2 đ??źđ?‘› termini insiemistici il cerchio è in questo caso esprimibile come Ę— = {(đ?‘Ľ, đ?‘Ś): đ?‘‘(đ?‘ƒ, đ??ś) ≤ đ?‘&#x;}

1.45

L’ellisse L’ellisse è il luogo geometrico dei punti del piano tali che la samma delle loro distanze da due punti fissi, detti fuochi dell’ellisse, sia una costante. Essa ha equazione cartesiana đ?‘Ľ2 đ?‘Ž2

đ?‘Ś2

+ đ?‘?2 = 1

a≼ đ?‘? > 0

Essa gode di particolari simmetrie. In particolare i due assi cartesiani sono assi di simemtria, mentre l’origine O del riferimento cartesiano è detta centro di simmetria. Se (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) e un punto del luogo, ovvero se (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 ) soddisfa la condizione allora anche i punti (−đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0), (đ?‘Ľ0 , − đ?‘Ś0), (−đ?‘Ľ0 , −đ?‘Ś0)appartengono all’ellisse. I punti F ed F’ dell’ellisse, detti fuochi, giacciono sull’asse delle ascisse.

1.46

La parabola La parabola ha equazione cartesiana � 2 = 2px con p > 0. Detta curva passa per (0, 0)in quanto 02 = 2p0 → 0 = 0

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đ?‘Ľ2

đ?‘Ś2

+ đ?‘?2 = 1, đ?‘Ž2


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La simmetria della parabola rispetto all’asse delle ascisse è ampiamente giustificata dal fatto che y = Âąâˆš2đ?‘?đ?‘Ľ Per la limitazione su p (ovvero p > 0)deve risultare x ≼ 0. In questo caso dom f = đ?‘… + . In termini di eccentricitĂ la parabola può essere intesa anche come il luogo dei punti del piano tali che la distanza dei punti P di essa da un punto fisso detto fuoco è eguale alla distanza tra i punti P ed una retta r detta direttrice. Poichè il punto O di coordinate (0,0) è del luogo è vero che d(O, F) = d(O, r) Precisamente essa si caratterizza per la relazione đ?‘‘(đ?‘ƒ,đ??š) đ?‘‘(đ?‘ƒ,đ?‘&#x;)

=e=1

Vorrei osservare che al variare di P varia d(P ,F) e pure d(P, r) ma permane costante il rapporto

đ?‘‘(đ?‘ƒ,đ??š) đ?‘‘(đ?‘ƒ,đ?‘&#x;)

.

Non essendo possibile per l’esiguitĂ dello spazio fare la solita ripetizione delle proprietĂ della parabola ho deciso di impostare diversamente il problema ponendolo nei termini della costruzione dell’ellisse a partire da un punto F sull’asse delle ascisse che ne costituisca il fuoco. Le coordinate del fuoco sono (đ?‘Ľđ??š , 0) pertanto la direttrice ha equazione r = - đ?‘Ľđ??š . Essa dista ⎸- đ?‘Ľđ??š ⎸ dall’origine. Ammettendo nota l’equazione della parabola risulta che in corrispondenza del punto F esistono due punti P e P’ apaprtenenti al luogo tali che le ordinate di essi valgono y = Âąâˆš2đ?‘?0 đ?‘Ľđ??š . Ma per i tre punti non allineati passa una ed una sola parabola. Ăˆ infatti ben nota la simmemtria (unica) della parabola rispetto all’asse delle ascisse. Ovvero se (a, b) è un punto della parabola allora (a, -b) è pure del luogo.

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Il problema della parabola è gestibile imponendo note le coordinate del fuoco dal che discende che è nota l’equazione della direttrice determinando per questa via il valore đ?‘?0 che verifica le condizioni del problema. Sia P’ il punto di coordinate (đ?‘Ľđ??š , đ?‘Śđ?‘ƒ ). Esso è per ipotesi un punto della parabola, risultando per esso che la retta passante per P’ ed F è perpendicolare all’asse delle x. Deve risultare d(P’, F)= d(P’, r) Ovvero si ha √2đ?‘?đ?‘Ľđ??š = 2đ?‘Ľđ??š â&#x;š 2đ?‘?đ?‘Ľđ??š = 4(đ?‘Ľđ??š )2 Poichè si è posto đ?‘Ľđ??š ≠0 ottengo, dividendo ambo i membri per 2đ?‘Ľđ??š , la seguente p = 2đ?‘Ľđ??š â&#x;š đ?‘Ľđ??š =

đ?‘? 2

Note le coordinate del fuoco è possibile determinare il parametro p che definisce la parabola di assegnato fuoco.

1.47

L’iperbole L’iperbole è il luogo geometrico dei punti del piano per I quali è costante la differenza delle distanze da due punti fissi, detti fuochi dell’iperbole. Come è ben noto la sua equazione canonica cartesiana è đ?‘Ľ2 đ?‘Ž2

đ?‘Ś2

+ đ?‘?2 = 1

Molrfologicamente, essa si compone di due rami infiniti, simmetrici rispetto agli assi x ed y e rispetto all’origine. La retta che coingiunge i due fuochi è detto asse fociale. Esso è anche detto asse trasverso. Dell’iperbole è particolarmente importante ⌋ChisiniâŚŒ la sua costruzione grafica a partire dalla definizione, ovvero considerate come il luogo ottenuto “raccordando con tratto continuo i punti ottenuti quali intersezioni di coppie di cerchi di centri đ??š1 đ?‘’ đ??š2 ,e di raggi đ?œ†1 đ?‘’ đ?œ†2 alla sola condizione che sia đ?œ†1 − đ?œ†2 = 2a.â€? - 48 -


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đ?‘?

Le rette đ?‘Ś1,2=Âą đ?‘Žx sono gli asintoti dell’iperbole. Per b = a si ha il caso della iperbole equilatera. Le rette di equazione đ?‘Œ1,2 = Âą

đ?‘Ž2 đ?‘?

sono dette direttrici della iperbole.

đ?‘‘(đ?‘ƒ,đ??š)

Si dimostra che đ?‘‘(đ?‘Œ,đ?‘ƒ) > 1. Detto rapporto è detto eccentricitĂ .

1.48

Equazione generale delle coniche Pur non essendo questa la sede per una disamina generale sulle coniche, va preciato che le equazioni dalla parabola, della circonferenza e dell’ellisse sono casi particolari di una equazionedi seocndo grado, nelle indeterminate x ed y, del tipo seguente a� 2 + bxy + c� 2 +dx +ey + f = 0

1.49

Equazione polare delle coniche Le coniche hanno una equazione in forma polare che assume la seguente sembianza đ?‘’đ?‘‘

r = 1+đ?‘’đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ— r e la distanza tra un punto del luogo e un fuoco, e è la misura della eccentricitĂ , d è la distanza tra il fuoco e la direttrice. Ăˆ giĂ stato ricordato che per e = 1 si ha una parabola, per e > 1 đ?‘ đ?‘– â„Žđ?‘Ž una iperbole, mentre per e < 1 si ha il caso dell’ellisse. In coordinate polari possono essere utilizzate anche le due seguenti formule r = e(d -rcosĎ‘) e questa ultima, vera per l’ellisse r=

đ?‘Ž (1−đ?‘’ 2 ) 1−đ?‘’đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?œ—

essendo a la misura dell’asse maggiore dell’ellisse.

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1.50

Funzioni contenenti radicali Le funzioni contenenti radicali non presentano particolari complessitĂ salvo il caso delle funzioni del tipo y = 2đ?‘›âˆšđ?‘“(đ?‘Ľ). Esse possono essere intese come funzioni composte secondo lo schema seguente đ?‘“

đ?‘”

x → f(x) → 2đ?‘›âˆšđ?‘“(đ?‘Ľ) Deve essere garantita la condizione di realtĂ del radicale pertanto deve risultare f(x) ≼ 0 đ?‘‘đ?‘Ž intendersi nel senso che dom g(f(x)) = {x ⎸f(x) ≼ 0 } . Vorrei osservare che non necessariamente dom f = A ⊆ đ?‘… + . Ove non fosse in questi termini allora si deve considerare il piĂš ampio B ⊂ A tale che B ⊆ đ?‘…+. Per le funzioni y =

2đ?‘›+1

√đ?‘“(đ?‘Ľ) non si pongono particolari restrizioni se non quelle legate

alla natura particolare della f(x) che si considera.

1.51

La funzione logaritmo La funzione logaritmo è una funzione per la quale ad un valore reale strettamente positivo viene fatto corrispondere un valore detto logaritmo di esso, secondo una una data base. Nei termini piĂš elementari quindi è una legge di corrispondenza per la quale ad un x > 0 corrisponde il numero log đ?‘&#x; đ?‘Ľ, ove r è la base dei logaritmi usati. Ăˆ ben noto che ogni r ∈đ?‘… + è suscettibile di potere costituire la base dei logaritmi. In pratica si utilizzano due numeri che definiscono i logaritmi rispettivamente in base 10 e i logaritmi in base e. Il numero e è ben noto per essere un numero irrazionale e noto limite fondamentale. Nel campo reale è definito il logaritmo di un nuemero positivo, quindi la scrittura log đ?‘&#x; đ?‘Ľ ha significato solo per x > 0. Si ha f: (0, +∞) → ( - ∞ , +∞). L’asse delle y è un asintoto verticale di y quando x → 0. ln(0) non è definito.

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Lo studio di essa è immediato. Tale funzione è nonotona e illimitata (sia inferiormente che superiormente). Essa è continua.

1.52

La funzione esponenziale La funzione esponenziale viene solitamente indicata come y = đ?‘’ đ?‘Ľ = exp(x) Come è noto la funzione ln(x) con x > 0 è una iniezione, quindi ammette una funzione inversa detta funzione esponenziale. Essa è f: (- ∞, + ∞) → đ?‘… + . Tale funzione è iniettiva monotona strettamente. La inietività è immediata. Infatti da y = đ?‘’ đ?‘Ľ1 e da y = đ?‘’ đ?‘Ľ2 si ha che đ?‘’ đ?‘Ľ1 = đ?‘’ đ?‘Ľ2 se e solo se đ?‘Ľ1 = đ?‘Ľ2 . Quindi in generale per đ?‘Ľ1 ≠đ?‘Ľ2 si ha đ?‘’ đ?‘Ľ1 ≠đ?‘’ đ?‘Ľ2 . Indi è dimostrata la monotonia. PoichĂŠ e > 1 allora essa è crescente.

1.53

Crescita e decrescita esponenziale Ăˆ opportuno iniziare dalla legge di decadimento esponenziale Bisogna dare conto di una legge fisica particolarmente importante studiabile dal punto vi vista matematico. In genere essa è studiata nel dominio del tempo, quindi in luogo della variabile x si pone la t (come variabile indipendente). La legge è la seguente y(t) = kđ?‘’ đ?œŽđ?‘Ą . k e Ďƒ sono due costanti fisiche. Ăˆ bene ricordare che k = y(0). Essa esprime la condizione iniziale, come si vedrĂ ampiamente studiando nel futuro il problema di Cauchy. Sostanzialmente K è il valore che la grandezza Y assume al tempo t = 0, all’ â€?inizio dei tempiâ€?. Il valore đ?‘’ đ?œŽđ?‘Ą è un numero puro indi Ďƒ è dimensionalmente una frequenza, misurata in đ?‘ đ?‘’đ?‘? −1.

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Vorrei introdurre in queste note anche il caso della legge di crescita esponenziale con massimo. Essa viene solitamente studiata nel dominio del tempo, ovvero si pone x = t. Essa è del tipo đ?‘Ą

y = đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ( 1 - đ?‘’ − đ?œ? ) đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ è il valore massimo tendenziale che la variabile y può assumere nel tempo. đ?‘‡đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘ đ?‘– di un asintoto orizzontale in quanto đ?‘Œđ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ = lim đ?‘Ś(đ?‘Ą) đ?‘Ąâ†’→+∞

La grandezza Ď„ è una costante, solitamente sperimentale. Essa viene chiamata costante di tempo ed è dimensionata ⌋đ?‘‡ −1 âŚŒ. Si tratta di una curva monotona strettamente crescente il cui dominio è ⌋0, +∞) . Essa è limitata e l’immagine di essa è l’insieme ⌋0, đ?‘‰đ?‘šđ?‘Žđ?‘Ľ ). Queste osservazioni sono ben note in elettrotecnica in relazione alla fase di carica del condensatore. Vorrei osservare che in generale questa funzione di crescita esponenziale crescente limitata superiormente ben può essere utilizzata per modelli svariati. Ho infatti pensato di applicarla al modello del learning by doing, nel quale la produttivitĂ cresce nel dominio del tempo per assestarsi ad un valore massio, non essendo iptizzabili in economia crescite di produttivitĂ nel dominio del tempo illimitate.

1.54

Funzioni iperboliche Per ora bastano tre definizioni. sinh(x) = cosh(x) =

đ?‘’ đ?‘Ľ −đ?‘’ −đ?‘Ľ 2 đ?‘’ đ?‘Ľ +đ?‘’ −đ?‘Ľ 2

tangh(x) = sinh(x)/cosh(x) 1

E forse utile ricordare che đ?‘’ −đ?‘Ľ = (đ?‘’)đ?‘Ľ > 0.

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Ăˆ poi immediato definire le funzioni csch(x), sech(x) e cotgh(x), unitamente alle funzioni inverse. Vorrei fare qualche osservazione sulla funzione cosh(x) =

đ?‘’ đ?‘Ľ +đ?‘’ −đ?‘Ľ 2

.

Il dominio di definizione di essa èl’insieme R dei numeri reali. Risulta che cosh(-x) =

đ?‘’ −đ?‘Ľ +đ?‘’ −(−đ?‘Ľ) 2

=

đ?‘’ −đ?‘Ľ +đ?‘’ đ?‘Ľ 2

=

đ?‘’ đ?‘Ľ +đ?‘’ −đ?‘Ľ 2

= cosh(x).

Pertanto detta funzione è pari, ovvero è simmetrica rispetto all’asse delle ordinate. La curva passa per il punto (0,1). Infatti, per x = 0, risulta cosh(0) =

đ?‘’ 0 +đ?‘’ −0 2

=

1+1 2

= 1.

Nello studio delle coniche si è datoconto del perchè detta funzione viene chiamata coseno iperbolico. Viene poi definita una funzione detta seno iperbolico. Essa viene definite come segue sinh(x) =

đ?‘’ đ?‘Ľ −đ?‘’ −đ?‘Ľ 2

Risulta evidente che la funzione è definite per ogni x, quindi il dom sinh(x)= R, insieme dei numeri reali. Risulta sinh(0) =

đ?‘’ 0 −đ?‘’ 0 2

0

= 2 = 0.

Pertanto la curva passa per (0, 0). Detta funzione è dispari, risultando immediato dimostrare che sinh(x) = -sinh(-x).

1.55

Funzioni goniometriche Le funzioni goniometriche possono essere definite a partire dalla circonferenza goniometrica.

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Ăˆ infatti data una circonferenza di centro O e di raggio unitario, ovvero una curva di equazione đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 = 1 Essa è anche detta circonferenza unitaria. La figura ben evidenzia le linee trigonometriche dell’angolo đ?›ź. Deve ricordarsi che sin(đ?›ź)

tan(Îą) = cos(đ?›ź) ed anche che ⌋sin(đ?›ź)âŚŒ2 +⌋cos(đ?›ź)âŚŒ2 = 1 ricavabile immediatamente come applicazione del teorema di Pitagora. Vorrei osservare che l’angolo Îą è l’angolo di rotazione antioraria del semiasse positive delle x fino a sovrapporsi alla semiretta OP. Risultano poi definite le funzioni cotangente, secante e cosecante nel modo seguente 1

cotgn(ι) = tang(�) =

cos(�) sin(�)

1

sec(ι) = cos(�) 1

cosec(ι) = sin(�) Si avrà modo di evidenziare che dette funzioni sono periodiche e quindi non invertibili. Esse diverranno invertibili operando particolari restrizioni del loro dominio di definizione.

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Vi sono evidenti proprietĂ delle funzioni goniometriche che possono essere desunte osservando la circonferenza goniometirca e con elementi osservaizoni geometriche. In particolare risulta sin(x +2Ď€) = sin(x) cos(x +2Ď€) = cos(x) sin(x +Ď€) = - sin(x) cos(x +Ď€) = - con(x) đ?œ‹

sin(x + 2 ) = cos(x) đ?œ‹

cos(x + 2 ) = - sin(x) sin(-x) = sin(đ?‘Ľ) cos(-x) = cos(đ?‘Ľ) Le funzioni goniometriche non sono lineari ed in particolare sin(Îą+β) ≠sin(Îą)+ sin(β). Risulta, con considerazioni elementari, che sin(Îą ¹β) = sin(Îą)cos(β)Âą cos(Îą)sin(β) cos(ι¹β) = cos(Îą)cos(β)∓ sin(Îą)sin(β) Per una elencazione completa delle formule trigonometriche si rimanda ad un qualunque testo di trigoometria. Vanno però fatte ulteriori considerazioni sulle funzioni goniometriche e in particolare sulla funzione seno, il cui grafico è solitamente detto sinusoide. Risulta ⎸sin(x)⎸ ≤ 1, đ?‘?đ?‘œđ?‘šđ?‘’ del resto per la funzione cosinusoide, ovvero il grafico della funzione coseno, per il quale risulta ⎸cos(x)⎸ ≤ 1. Ho utilizzato le proprietĂ delle funzioni trigonometriche per dimostrare che il prodotto dei coefficienti angolari di due rette perpendicolari vale – 1. Infatti se la retta r’, secondo le usuali convenzioni, forma una angolo x con il semiasse positivo delle ascisse, allora la retta r’’ perpendicolare ad essa forma con detto asse un đ?œ‹

angolo (x + 2 )rad.

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Sono immediati i seguenti passaggi comprovanti. đ?œ‹ 2 đ?œ‹ cos(đ?‘Ľ + ) 2

sin(đ?‘Ľ + )

cos(đ?‘Ľ)

1

= −sin(đ?‘Ľ) = - cotg(x) = − đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘”(đ?‘Ľ) 1

Ma m = tang(x) e m’ = − đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘”(đ?‘Ľ) da cui immediatamente, semplificando in croce, risulta mm’ = - 1 c.v.d..

1.56

Intersezione di curve del piano Se sono date due funzioni reali di una variabile reale, solitamente la x, ci si chiede, in generale, se esistano particolari valori della x per i quali sia f(x) = g(x). Algebricamente si tratta di determinare se esiste uno o piĂš valori particolari della x del dominio di definizione delle funzioni per le quali sia đ?‘“(đ?‘Ľ0 ) = đ?‘”(đ?‘Ľđ?‘œ ). f(x)= g(x) è identicamente vera quando essa è vera per ogni valore della x, quando dom f = dom g. Si voglia ad esempio verificare per quale (x, y) le curve f(x) = mx + b e đ?‘Ľ 2 + đ?‘Ś 2 = đ?‘&#x; 2 Poichè il punto (x, y) deve soddisfare entrambe le equazioni è possibile scrivere l’equazione della circonferenza nel modo seguente đ?‘Ľ 2 + (đ?‘šđ?‘Ľ + đ?‘?)2 = đ?‘&#x; 2 â&#x;š đ?‘Ľ 2 + (đ?‘šđ?‘Ľ)2 + 2đ?‘šđ?‘Ľđ?‘? + đ?‘? 2 = đ?‘&#x; 2 â&#x;šđ?‘Ľ 2 (1 + đ?‘š2 ) + 2mbx + đ?‘? 2 - đ?‘&#x; 2 = 0. A questo punto si tratta di risolvere una equazione di II grado, risultando le soluzioni đ?‘Ľ1,2 =

−2đ?‘šđ?‘? Âą √(2đ?‘šđ?‘?)2 − 4(1 + đ?‘š2 )(đ?‘? 2 −đ?‘&#x; 2 ) 2(1 + đ?‘š2 )

La ricerca di soluzioni reali impone la condizione di realtĂ del radicale ovvero deve essere (2đ?‘šđ?‘?)2 − 4(1 + đ?‘š2 )(đ?‘? 2 −đ?‘&#x; 2 ) ≼ 0 â&#x;š (đ?‘šđ?‘?)2 ≼ (1 + đ?‘š2 )(đ?‘? 2 −đ?‘&#x; 2 ). Questa ultima relazione è sempre vera. Il problema ammette soluzione per b = r, risultando, in questo caso che đ?‘Ľ1,2 =

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−2đ?‘šđ?‘? Âą √(2đ?‘šđ?‘?)2 2(1 + đ?‘š2 )


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đ?‘ƒđ?‘–đ?‘˘â€™ sbrigativamente si può dire che una retta y = mx interseca sempre una circonferenza in due punti diametrali per quanto attiene alla funzione affine y = ax + b esiste un criterio banale per stabilire se essa interseca una circonferenza per O di dato raggio. đ?‘†đ?‘’ (Îą, 0) e (0, β) sono le intercette della retta con gli assi e risulta vera almeno una delle condizioni Îą ≤ đ?‘&#x; oppure β ≤ đ?‘&#x;. đ?‘€đ?‘Ž ciò non esaurisce la trattazione in quanto va studiata la condizione di tangenza tra retta e circonferenza. đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘Ž è data dalla condizione −2đ?‘šđ?‘?

đ?‘šđ?‘?

đ?‘Ľ1,2 = 2(1+đ?‘š2 ) = − (1+đ?‘š2 ) đ?‘šđ?‘?

đ?‘šđ?‘?

đ??źđ?‘™ punto ( − (1+đ?‘š2 ), f(− (1+đ?‘š2 ))) è il punto di tangenza, commune alla retta e alla circonferenza. đ??ˇđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘œ m il parametro – b individua una seconda retta tangente alla data circonferenza e il đ?‘šđ?‘?

đ?‘šđ?‘?

punto di tangenza risulta ((1+đ?‘š2 ), đ?‘“2 ((1+đ?‘š2 ))). đ?‘‚đ?‘”đ?‘›đ?‘– retta di equazione đ?‘“đ?‘› =ax + đ?œ? con τ≤ ⎸đ?‘? ⎸interseca la circonferenza.

1.57

Funzioni periodiche Sia data una funzione f(x). Sia ℤ l’insieme dei numeri interi relativi. Se ∃ T tale che f(x) = f(x+kT) ∀ k ∈ ℤ allora la funzione f(x) è detta periodica di periodo T. Ad esempio, le funzioni sin(x) e cos(x) sono periodiche di periodo minimo T = 2Ď€.

1.58

Traslazione degli assi cartesiani In particolari casi è necessario avvalersi di un cambiamento delle coordinate, ovvero dover considerare un distinto Sistema di assi cartesiani, avente origine Ă’ distinta da O.

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Ăˆ quindi necessario determinare le coordinate di un medesimo punto P, riferite a due distinti sistemi di riferimento. Il caso piĂš elementare è quello della traslazione, ovvero il considerare assi cartesiani paralleli, rispettivamente all’asse delle x edelle y di origine O. Sia Ă’ l’origine del riferimentro traslato e siano e e b le coordinate di detto punto riferite all’origine O. Sia P un punto distinto da O e da Ă’ e siano x ed y le sue coordinate rispetto al sistema di origine O. Occorre stabilire le coordinate x’ ed y’ riferite all’origine Ă’ e al corrispondente riferimento ortogonale. La soluzione, immediatamente ottenibile anche graficamente è la seguente x’ = x – đ?‘Ž y’ = y – b Queste formule sono trattabili a gestire il problema inverso, ovvero note le coordinate rispetto al sistema di origine Ă’ consenton di definire le coordinate del punto P rispetto al sistema di origine O.

1.59

Rotazione degli assi cartesiani Ăˆ possibile considerare il caso della rotazione, ovvero considerare due distinti sistemi di riferimento cartesiano aventi medesima origine e aventi gli assi x’ ed y’ ruotati di un angolo antiorario θ. Con considerazioni elementari si dimostra che x’ = xcosθ + ysinθ y’ = -xsinθ + ycosθ Esse, trattate algebricamente, risolvono anche il problema inverso.

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1.60

Traslorotazione Il caso della traslorotazione può ⌋ChisiniâŚŒ può essere agevolmente trattato considerando che una traslorotazione può bene essere Intesa come una traslazione e una successiva rotazione dei nuovi assi di un angolo θ. Basta osservare che θ è anche l’angolo che la nuova direzione degli assi di origine Ă’ (trasloruotati) forma con in semiasse positivo delle x. Da ciò è immediato ottenere le formule di trasformazione delle traslorotazioni come segue x = x’cosθ - y’sinθ + a y = x’sinθ + y’cosθ + b

1.61

Funzioni contenenti valori assoluti Dato un numero reale r si dice valore assoluto di esso il numero ⎸r ⎸coincidente con r se r ≼ 0 e eguale a – đ?‘&#x; đ?‘ đ?‘’ r < 0 . In sintesi ⎸r ⎸= sup (r , − đ?‘&#x;). Ăˆ possibile introdurre la funzione matematica valore assoluto nei termini che seguono. đ?‘“

f: R → R ⎸ x → ⎸x ⎸ Si tratta della funzione matematica che fa corrispondere ad un valore x, tale che x ∈ (−∞, +∞) , il modulo di esso. PiĂš ampiamente è possibile introdurre una funzione composta contenente valore assoluto, facilmente intendibile come un esempio di funzione composta. Tale situazione è formalizzabile come segue đ?‘“

đ?‘”

x → f(x) → ⎸f(x)⎸

Ad esempio, data f(x) = sin(x) si ottiene g(f(x)) = ⎸sin(x)⎸.

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1.62

Il piano complesso Da un punto O del piano si consideri una semiretta di origine O ed un punto Ă’ su di essa. Il segmento orientato OĂ’ è detto raggio. Si consideri un punto A distinto da O e quindi un raggio vettore OA. Sia đ?œŒ la misura del segmento OA, mentre đ?œƒ , angolo antiorario di rotazione della semiretta per sovrapporsi alla semiretta per i punti O e A è detto anomalia, o anche angolo polare ⌋ChisiniâŚŒ. Sono di fondamentale importanza le relazioni che intercorrono tra le coordinate cartesiane rettagolari e quelle polari. Esse consentono di ricavare le coordinate polari quando sono note quelle cartesiane rettangolari e viceversa di ottenere queste quando sono note le coordinate polari. Le formule di trasformazione sono evidenti quando si ammetta che l’origine del sistema cartesiano rettangolare e il punto O, detto polo, coincidano. Risultano coindidenti il semiasse positive delle x e l’asse polare OĂ’. Sovvengono le definizioni di seno e coseno di un angolo, avendosi x = Ď cos đ?œƒ y = Ď sin đ?œƒ Applicando il teorema di Pitagora si ha đ?œŒ2 = đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 ovvero Ď = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 đ?‘Ś

đ?‘Ś

Poichè tan đ?œƒ = đ?‘Ľ si ottiene θ = arctan(đ?‘Ľ ) In questo caso deve essere x ≠0.

1.63

Vettori nel piano reale Sia dato un segmento orientato AB. Ad esso sono equipollenti tutti e soli i segmenti orientati aventi eguale misura algebrica e giacenti su rette parallele o sulla medesima retta.

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Nella definizione di segmento orientato è implicita una direzione, definita dalla retta r cui i punti A e B, estremi del segmento orientato, apartengono. La scrittura HK, ove H e K sono punti di una data retta r, se intesa correttamente nel senso di un segmento orientato, esprime una condizione di precedenza, che non coincide con una condizione di punto iniziale e di punto finale, rispettivamente per i punti H e K. La nozione di precedenza è inequivoca quando è riferita a coppie di punti distinti collocate sulla medesima retta. Inequivoca è pure nel caso di punti giaventi su rette parallele in quanto dette rette possono, con un movimento rigido di pura traslazione, essere sovrapposte e la relazione di precedenza risultare conservata e ben visibile‌.. Siano k coppie di punti appartenenti ad una data retta o a rette ad essa parallele. Sia dato il segmento orientato đ??ťđ?‘– đ??žđ?‘– . Per i ≤ đ?‘— è definito un insieme di j segmenti orientati. Se risulta Ě…Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ?‘– đ??žđ?‘– = k detti segmenti orientati sono detti equipollenti. Sia dato l’insieme i cui elementi sono tutti i possibili segmenti orientati del piano. Ăˆ possibile raggruppare detti segmenti orientati in partizioni tali che ogni sottoinsieme di detto insieme contenga segmenti orientati equipollenti. Ognuno di detti sottoinsiemi contiene segmenti orientati equipollenti, ovvero aventi medesima misura algebrica e medesima direzione. Ognuno di detti segmenti orientati è definibile come rappresentante della classe di equivalenza. Detto rappresentante è detto vettore. La relazione di equipollenza tra segmenti orientati è una relazione di equivalenza, nel senso che ogni segmento orientato può essere considerato equipollente a se stesso, che se Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??śđ??ˇ allora si ammette sia Ě…Ě…Ě…Ě… đ??śđ??ˇ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ . Da ultimo da Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??śđ??ˇ e da Ě…Ě…Ě…Ě… đ??śđ??ˇ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??¸đ??š risulta essere Ě…Ě…Ě…Ě… đ??´đ??ľ = Ě…Ě…Ě…Ě… đ??¸đ??š . Questa ultima proprietà è detta proprietĂ transitiva dell’equipollenza tra segmenti orientati.

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Il concetto astratto cui si giunge è, come ben si è compreso, il vettore inteso come elemento rappresentativo della classe dei segmenti equivalenti. Due distinte classi di equivalenza, sottoinsiemi sicuramente disgiunti, hanno rappresentanti distinti, rispetto ai quali si introduce il concetto di diversitĂ e non relazioni del tipo > đ?‘œ <. Dato un riferimento cartesiano ortogonale si considerino due punti A e B sulll’asse delle Ě…Ě…Ě…Ě…. x e delle y rispettivamente, tali che Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‚đ??´ = đ?‘‚đ??ľ I due segmenti hanno eguale misura, ma le direzioni non sono le medesime, in quanto i due assi non sono paralleli. Possono essere definiti i vettori (O, A) e (O, B) rispetto ai quali è ben noto il formalismo (O, A) = → e (O, B) = →. đ?‘–

đ?‘—

I due vettori considerati sono detti versori ortonormali. Dato un punto P ≠O con le convenzioni formulate è possibile scrivere che (O, P)= → = đ?‘‚đ?‘ƒ

x( →) + y(→) �

đ?‘—

dove (x, y) sono le coordinate del punto P. Si ammette sia (O , O)= → �

I vettori x( →) + y(→) sono elementi di un insieme detto spazio dei vettori �02 . �

đ?‘—

Gli insiemi � 2 e �02 sono tali che a ogni coppia (x, y) corrisponde un solo elemento di �02 e viceversa secondo la corrispondenza (x( →) + y(→)) ↔ (x, y) �

đ?‘—

Una trattazione piĂš sofisticata ma comunque di semplice comprensione è contenuta in Marosia. I due insiemi sono isomorfi. Il vettore (O,P) è rappresentativo di tutti i segmenti orientate (H, K), al variare di H e di K in đ?‘… 2 , quando H e K giacciono sulla retta per O e P o su una retta parallela ad essa, con la condizione sia Ě…Ě…Ě…Ě… đ?‘‚đ?‘ƒ ≥ Ě…Ě…Ě…Ě… đ??ťđ??ž .

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Detto vettore (O,P)è rappresentabile anche come (x, y) ove x ed y sono le coordiante del punto P. In generale un vettore (H, K) è rappresentabile come (đ?‘Ľđ??ž −đ?‘Ľđ??ť , đ?‘Śđ??ž −đ?‘Śđ??ť ) Ma (đ?‘Ľđ??ž −đ?‘Ľđ??ť , đ?‘Śđ??ž −đ?‘Śđ??ť )non è ricondicibile ad un unico vettore ma alle infinite coppie di đ?‘Ś −đ?‘Ś

Ě…Ě…Ě…Ě… è costante e pure costante è đ??ž đ??ť punti H e K per i quali è đ??ťđ??ž đ?‘Ľ −đ?‘Ľ đ??ž

đ??ť

Si introduce una ulteriore modalitĂ rappresentativa dei vettori. Un vettore, infatti, ben può essere rappesentato da una coppia di numeri reali, il primo dei quali esprime la lunghezza in senso algebrico del segmento orientato e il secondo esprime la direzione, misurata dal coefficiente angolare della retta. Per i punti P’ ed O ovvero per il vettore (P, O) e per i vettori (H,K) ad esso equipollenti se Ě…Ě…Ě…Ě…Ě… = - đ?‘‚đ?‘ƒ Ě…Ě…Ě…Ě… . il punto P’ e simmetrico di P rispetto a O allora risulta đ?‘ƒâ€˛đ?‘‚ Detti vettori hanno la medesima direzione. Essa è data dalla retta. Se (O, P) è definito dalla coppia (d, m) allora il vettore (P’, O) è definito dalla coppia (- d, m). Questo ragionamento è generale in quanto ogni P ha un simmetrico P’ rispetto ad O. Nel caso di vettori del tipo (O ,P) quando P è un punto dell’asse delle ordinate allora la rappresentazione è del tipo (đ?‘Śđ?‘ƒ ,+∞) mentre diviene (-đ?‘Śđ?‘ƒ ,−∞) per i punti P′. La scrittura (7, 1) denota un vettore di modulo 7 e giacente sulla retta bisettrice dei quadranti I e III (in quanto il coefficiente angolare di detta retta vale 1) mentre la scrittura (- 7, 1) denota un vettore di modulo 7 giacente sulla medesima retta ma di verso opposto rispetto al precedente vettore, come ben rappresenta il segno meno che precede il modulo del vettore considerate. I due vettori esaminati sono opposti. Dette scritture peraltro non sono univoche in quanto, ad esempio, (7, 1) indica anche i vettori di ognuna delle infinite rette parallele alla y = x, aventi modulo 7. Per il caso (P, O) risulta evidente che il segmento orientato (O, P) ha lunghezza algebrica negative, opposta alla misura del segmento (O, P). In termini operative la scrittura (O, P) = (Ď , m) con đ?œŒ < 0 indica che il punto P precede 0. - 63 -


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In generale la scrittura (H, K) = (Ď , m) con đ?œŒ < 0 indica che il punto K precede H sulla retta di paramentro direttivo m. Questo è vero per đ?‘… 2 . Andrebbe verificato se riflessioni analoghe sono imbastibili per đ?‘… đ?‘› quando n > 2. In prima ipotesi l’argomentazione sembra ragionevole in quanto in uno spazio ad n dimensioni al punto O ≥ (0,0, ‌0) sono sempre associabili due punti P e P’ aventi le coordinate opposte. Ad esempio in đ?‘… 4 al punto đ?‘‚4 ≥ (0, 0, 0, 0) sono associabili due punti P ≥ (a, b, c, d) e P’≥ (− đ?‘Ž, −đ?‘?, −đ?‘?, −đ?‘‘). Detti punti sono simmetrici rispetto al punto đ?‘‚4 ∈ đ?‘… 4 . Ritornando al piano cartesiano le argomentazioni formulate riportano alla retta reale argomentazioni dello spazio in due dimensioni. Se alla scrittura (O, P) si da il significato di segmento odientato nel senso della precedenza di O rispetto a P allora la scrittura (P, O) potrebbe benissimo essere intesa come precedenza di P rispetto ad O ottenuta da una rotazione, ad esempio antioraria, del segmento orientato (O, P) di đ?œ‹ đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘‘đ?‘–đ?‘Žđ?‘›đ?‘Ąđ?‘–. Anche per i vettori del piano cartesiano esiste una rappresentazione abbastanza semplice, come da figura.

Quanto detto nella prima parte del paragrafo è ben sintetizzato in questa figura. I vettori di modulo unitario i e j costituiscono una base detta ortonormale. Una base perchè ogni altro vettore del piano è esprimibile come una somma algebrica di essi, secondo due scalari a e b, al variare di a e di b.

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v = ai + bđ??Ł Per (a, b) = (0, 0) si ha il vettore nullo 0. La dizione “base ortonormaleâ€? si giustifica con il fatto che detti vettori sono perpendicolari, giacciono su rette perpendicolari. Ăˆ ben evidente che se si considerano assi per O non ortogonali è possibile avere due versori che costituiscono una distinta base, in questo caso non ortonormale. PiĂš ampiamente si potrebbe considerare un punto Ă’ distinto da O, e due distinti assi per esso‌ Dato un punto O e una base di vettori, solitamente quella ortonormale possiamo dire che le operazioni vettoriali sono ben note. Un vettore può essere rappresentato dale coordinate del punto P. Per esempio, secondo questa notazione, il vettore (1,3) è un vettore → per il quale risulta đ?‘‚đ?‘ƒ

đ?‘Ľđ?‘ƒ = 1 e đ?‘Śđ?‘ƒ = 3. Con questa notazione molto semplice la somma e la differenza di vettori sono semplici. Ad esempio se đ?’—đ?&#x;? = (a, b) e đ?’—đ?&#x;? = (đ?‘Žâ€˛ , đ?‘? ′ ) allora risulta đ?’—đ?&#x;? Âą đ?’—đ?&#x;? = (a ¹à , bÂą đ?‘?′) Ăˆ possibile estendere la somma e la differenza tra vettori ad un numero arbitrario di vettori. Esiste anche la possibilitĂ di moltiplicare un vettore per uno scalare reale, ad esempio dato đ?’—đ?’Š , considerare la scrittura kđ?’—đ?’Š = k(đ?‘Žđ?‘– , đ?‘?đ?‘– ) = (kđ?‘Žđ?‘– , đ?‘˜đ?‘?đ?‘– ) ∀ k ∈ R. Si tratta di un vettore, nel senso che il prodotto di un vettore per uno scalare è sempre un vettore, avente la medesima direzione del vettore đ?’—đ?’Š . Quanto al verso occorre distinguere il caso k > 0 in relazione al quale vi è concordanza di versi dal caso k < 0 in relazione al quale i versi dei due vettori sono discordi. Il caso particolare k = - 1 indica una rotazione di Ď€ radianti di un vettore v di đ?‘˝đ?&#x;?đ?‘ś . PiĂš oltre saranno considerate altre operazioni sui vettori, quali il prodotto scalare e il prodotto vettoriale. Per i concetti di prodotto scalare edi prodotto vettoriale si rimanda allo studio dei vettori dello spazio đ?‘˝đ?&#x;‘đ?‘ś .

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1.64

ProprietĂ elementari dei vettori Sull’insieme i cui elementi sono i vettori, sia a due componenti, quindi elementi di đ?‘˝đ?&#x;?đ?‘ś , che siano essi elementi di đ?‘˝đ?&#x;‘đ?‘ś , ovvero vettori a tre componenti, sono definite alcune operazioni. Al momento vanno considerate la somma vettoriale e il prodotto di un vettore per uno scalare, a livello elementare reale. Dati due vettori u e v viene definita la somma vettoriale che gode della proprietĂ commutativa e di quella associativa, come segue u+v=v+v (u + v) + z = u + (v + z) ∀ z ∈ đ?‘˝đ?’?đ?‘ś (n indica la dimensione dello spazio vettoriale e coincide con il numero delle componenti del vettore). Sono ovviamente sommabili vettori aventi eguale numero di componenti. Viene poi definita la moltiplicazione di un vettore per uno scalare. Essa è una operazione interna in quanto il risultato di essa è un vettore. ∀ Îť ∈ R , ∀ v ∈ đ?‘˝đ?’?đ?‘ś → Îťv ∈ đ?‘˝đ?’?đ?‘ś (Il simbolo → deve intendersi come ottengo). Per Îť= −1 si ottiene il vettore opposto di v indicato come −v. Vale la proprietĂ distributiva, risultando ∀(a, b) ⎸a ∈ R, b ∈ R che si ha (a+b)v = av + bv Vige anche la proprietĂ di linearitĂ additiva, nel senso che a(v + đ?’–) = av + bu Esiste ovviamente la possibilitĂ di dividere un vettore per uno scalare. Essa è assimilabile alla moltiplicazione per l’inverso nel senso che dividere un vettore per 1

uno scalare Îť ≠0 equivale a moltiplicarlo per lo scalare đ?œ†. La sottrazione di due vettori viene intesa come operazione inversa della somma.

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Risulta che u – v = u +(-u) Ăˆ stato ricordato ⌋Benvenuti, MaschioâŚŒ che “le operazioni di addizione e di moltiplicazione per un numero assegnano all’insieme dei vettori la struttura di spazio lineare rispetto al corpo dei numeri realiâ€?. Vorrei ricordare che queste considerazioni non esauriscono il concetto di spazio vettoriale, dovendosi rimandare per la completezza ad uno degli ultimi paragrafi dell’elaborato. Va poi osservato che l’operazione di moltiplicazione di un numero per un vettore viene intesa, come si vedrĂ , in senso piĂš ampio, risultando possibile, ad esempio, moltiplicare un vettore per un numero immaginario, o per un nuemero complesso. Quando non si vogliono porre vincoli circa la natura dei numeri in luogo di R o di C si utilizza la lettera K che indica un insieme numerico qualunque ancorchè dotato di particolari proprietĂ . K è solitamente detto campo.

Con le precedenti definizioni risula particolarmente semplice effettuare la somma vettoriale e la moltiplicazione per uno scalare. Un esempio per elementi di đ?‘˝đ?&#x;?đ?‘ś , estensibile al caso n qualunque, evidenzia come procedere v â&#x;ˇ (a,b) v’ â&#x;ˇ (Ă ,b’) v Âą đ?’—′ â&#x;ˇ (Ă Âąđ?‘Žâ€˛ , đ?‘? Âą đ?‘?′) Îťv â&#x;ˇ (Îťa, Îťb)

1.65

Applicazioni del piano in sè Sia dato un punto X del piano rappresentato nella forma di un vettore colonna a due componenti. đ?‘Ľ X=(đ?‘Ś) - 67 -


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Sia data una matrice di ordine 2 del tipo đ?‘Ž đ?‘?

A=(

đ?‘? ) đ?‘‘

L’applicazione A manda il punto X nel punto X’ come segue đ?‘Ž đ?‘?

X’ = AX = (

1.66

đ?‘Žđ?‘Ľ + đ?‘?đ?‘Ś đ?‘? đ?‘Ľ )(đ?‘Ś)= ( ) đ?‘?đ?‘Ľ + đ?‘‘đ?‘Ś đ?‘‘

Digressione non convenzionale sui vettori della retta Ancorchè irritualmente, poichè sulla retta reale, detta anche continuo reale, si ragiona sempre in termini di scalari, ovvero di numeri reali, vorrei introdurre i vettori di essa, ipotesi non peregrina perchè un vettore giace su una retta, che ne definisce la direzione. Sia data la retta orientata r. Siano dati su di essa i punti (numeri, che è la stessa cosa‌.)0 detto origine e a destra il numero 1. Il vettore (0, 1) = i ha modulo 1. Ma ogni vettore (Îą, 1+Îą) ∀ Îą ∈ R è unitario (quindi un versore) ed è equipollente al vettore (0, 1). Il caso piĂš generale di equipollenza per detti vettori è costituito da tutti e soli i vettori del tipo (Îť, Îť+đ?œ?) âˆ€Îť quando è fissato Ď„. I vettori della retta r sono tutti linearmente dipendenti. Se essi sono k, è possibile trovare k scalari, Îą, β, Îł, ‌.. ,Ξ non tutti nulli, per i quali risulti ∑đ?‘˜đ?‘–=1 â„Žđ?‘– đ?’Š = 0. Ciò è sicuramente vero se đ?‘˜đ?‘– = 0 identicamente. Se si considerano k-1 scalari tali che la somma di essi sia nulla, ovvero sia ∑đ?‘˜âˆ’1 đ?‘–=1 â„Žđ?‘– = 0, allora pure deve risultare â„Žđ?‘˜ = 0. Ma di questi k-1 scalari k-1-j conducono a vettori non nulli. In generale se si considerano k vettori e si ammette b di essi siano nulli si avranno k-b vettori non nulli, di essi k-b-Ď„ sono dotati di uno scalare positivo e i rimanenti sono muniti di uno scalare negativo, dovendo risultare ∑đ?‘˜âˆ’đ?‘?−đ?œ? â„Žđ?‘– = - ∑đ?‘˜đ?‘–=đ?‘˜âˆ’đ?‘?−đ?œ?+1 â„Žđ?‘– đ?‘–=1

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Vorrei considerare un caso banale di tre vettori per i quali risulti ai +bđ??˘ + cđ??˘ = đ?&#x;Ž â&#x;š(a + b + c)i = 0 â&#x;š a + b + c = 0 â&#x;š c = − (đ?‘Ž + đ?‘?) Ma in termini di equipollenza esistono infinite coppie (đ?‘Žđ?‘– , đ?‘Žđ?‘— )ordinate tali che đ?‘Žđ?‘– −đ?‘Žđ?‘— = a, essendo đ?‘Žđ?‘— = đ?‘Žđ?‘— (đ?‘Žđ?‘– , a).

1.67

Lo spazio vettoriale đ?‘šđ?&#x;? Si rimanda a quando sarĂ detto in relationne allo spazio vettoriale nelle tre dimensioni. Gli elementi dello spazio vettoriale nel piano sono i vettori aventi due componenti. Un vettore del piano può essere rappresentato algebricamente dalla coppia ordianata (a, b) risultando v â&#x;ˇ (a, b)

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2. GEOMETRIA ANALITICA DELLO SPAZIO CARTESIANO 2.1

Lo spazio euclideo Anche il concetto di spazio euclideo viene assunto come primitivo e intuitivo. In esso valgono i postulati della geometria razionale cartesiana.

2.2

La terna destrorsa

(Esempi di terne destrorse)

Analogamente a quanto avviene per il piano anche i punti dello spazio possono essere messi in relazione con numeri reali. In particolare un punto dello spazio è ponibile in corrispondenza con una terna ordinate di numeri reali. Dato un piano è possibile considerare due assi ortogonali di esso. Dalla intersezione di detti assi è possibile condurre una retta ortogonale a detti assi. Essa è ortogonale al piano che contiene i due assi ortogonali. Il punto intersezione delle tre rette può essere considerato come l’origine di un sistema di riferimento cartesiano ortogonale con assi a due a due ortogonali. Al punto O, commune ai tre assi, corrisponde la terna ordinate (0, 0, 0) detta origine del sistema cartesiano destrorso. I tre assi formano un sistema detto trirettangolo. I punti dello spazio possono ⦋Chisini⦌ possono essere posti in corrispondenza con terne riferite ad un sistema obliquo, realizzando per questa via un sistema di coordinate oblique.

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Si assume di avere considerato tre assi cartesiani a due a due ortogonali.

2.3

Corrispondenza biunivoca tra punti dello spazio e terne ordinate di numeri reali Esiste una corrispondenza biunivoca tra i punti dello spazio e le terne ordinate di numeri reali. Ad un punto P corrisponde una ed una sola terna di numeri reali (a, b, c) e viceversa. Ăˆ noto ⌋ChisiniâŚŒ che “I tre numeri x, y e z misurano, anche in segno, i segmenti OX, OY, OZ. (‌.) possimo dire che che le coordinate di un punto P sono date dai segmenti che i piani condotti per P, parallelemente ai piani coordinate, staccano sugli assi, oppure anche che esse sono date dale distanze di P dai piani coordinati.â€?

2.4

I piani xy, xz, e yz Il riferimento cartesiano considerato è delimitato da tre piani particolari, a due a due ortogonali. PiĂš che riferirmi alla divisione dello spazio in ottanti, pure importante, ho centrato l’attenzione sui piani che dal nome delle coordinate cartesiane vengono chiamati piano xy, piano xz e piano yz. Il piano xy, o piano đ?œ‹ đ?‘Ľđ?‘Ś , è il piano, luogo dei punti z =0. Il piano xz, o piano đ?œ‹đ?‘Ľđ?‘§ è il piano, lugo dei punti y = 0. Il piano yz, o piano đ?œ‹đ?‘Śđ?‘§ è il piano, luogo dei punti per il quale risulta x = 0. Mi è risultato particolarmente utile definire dato un punto P =(x, y, z) in termini di proiezioni nei detti piani. Le tre proiezioni sono elementarmente formalizzabili come segue đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘Ś = (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, 0) đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘§ = (đ?‘Ľ, 0, đ?‘Ś) đ?‘ƒđ?‘Śđ?‘§ = (0, đ?‘Ś, đ?‘§) Risulta ovviamente - 71 -


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(đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘Ś = (đ?‘Ľ, đ?‘Ś, 0) , đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘§ = (đ?‘Ľ, 0, đ?‘Ś), đ?‘ƒđ?‘Śđ?‘§ = (0, đ?‘Ś, đ?‘§) ) ⇔ P =(x,y,z)

2.5

La retta nello spazio Il caso piĂš elementare di retta dello spazio è quello della retta passante per l’origine del sistema di riferimento cartesiano ortogonale. Due punti distinti dello spazio, P ed S, giacciono su una retta dello spazio euclideo se i punti đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘Ś = (đ?‘Ľđ?‘ƒ , đ?‘Śđ?‘ƒ , 0) e đ?‘†đ?‘Ľđ?‘Ś = (đ?‘Ľđ?‘ , đ?‘Śđ?‘ , 0) sono punti di una retta del piano xy đ?‘ƒđ?‘Ľđ?‘§ = (đ?‘Ľđ?‘ƒ , 0, đ?‘§đ?‘ƒ ) e đ?‘†đ?‘Ľđ?‘Ś = (đ?‘Ľđ?‘ƒ , 0, đ?‘§đ?‘ ) sono punti di una retta del piano xz đ?‘ƒđ?‘Śđ?‘§ = (0, đ?‘Śđ?‘ƒ , đ?‘§đ?‘ƒ ) e đ?‘†đ?‘Ľđ?‘Ś = (0, đ?‘Śđ?‘ , đ?‘§đ?‘ ) sono punti di una retta del piano yz contemporaneamente. Per la definizione dei cosiddetti coseni direttori rimando agli sviluppi del prodotto scalare.

2.6

I vettori nello spazio euclideo I vettori dello spazio sono gli elementi di un insieme detto đ?‘‰03 i cui elementi sono rappresentabili come terne ordinate di numeri reali (a, b, c) rappresentabili anche come v = ai + bj + ck Il modulo del vettore v si ottiene come semplice applicazione del teorema di Pitagora nello spazio, ovvero risulta ⎸v ⎸=√đ?‘Ž2 +đ?‘? 2 +đ?‘? 2 L’elemento neutro della somma vettoriale in đ?‘‰03 è il vettore đ?‘ś3 = (0, 0, 0). A questo punto vorrei riportare quanto scrissi in un mio precedente elaborato ⌋Appunti matematici n. 4, aprile 2015âŚŒ. “Gli sviluppi della fisica classica richiedono una breve formalizzazione delle proprietĂ dei vettori. Viene definito un insieme i cui elementi si dicono vettori. Ogni vettore di detto elemento è l’elemento rappresentativo della classe dei segmenti orientati, tutti equipollenti. Due segmenti orientati sono equipollenti quando hanno la stessa direzione,

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lo stesso verso e lo stesso modulo (o distanza tra gli estremi). Due vettori sono distinti se appartengono a distinte classi di equivalenza. In pratica due vettori sono distinti quando differiscono per almeno una delle tre condizioni che definiscono l’equipollenza tra segmenti orientati, ovvero se essi hanno differente verso e/o differente direzione e/o differente lunghezza (o distanza tra gli estremi). Due vettori sono eguali se e solo se sono lo stesso vettore. Vengono definite particolari proprietà algebriche dei vettori, dovendo introdursi due particolari operazioni sui vettori, la somma vettoriale + e il prodotto di un vettore per uno scalare reale. Le proprietà sono A+B=B+A

commutativitĂ della somma

A + (B + C) = (A + B) + C

associativitĂ della somma

m(nA) = (mn)A = n(mA)

associativitĂ della moltiplicazione

(m+n) A = mA + nB

leggi di distibutivitĂ

m(A + B) = mA + mB GiĂ da come sono introdotte le proprietĂ si dovrebbe comprendere che la somma di vettori è un vettore, quindi un elemento dell’insieme dato, cosĂŹ come la moltiplicazione di un vettore per uno scalare. Solitamente i numeri m ed n sono reali, ma potrebbe capitare di trovare m ed n come quantitĂ complesse, del tipo a+ib, essendo a e b due numeri reali. 1. Definizione di versore Assegnato un vettore A il vettore đ?’–đ?‘¨ = A/│A│ è detto vettore unitario (versore). Per esso si ha │u│= 1. I vettori đ?’–đ?‘¨ e A hanno la stessa direzione e lo stesso verso.

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2. La base ortonormale i, j, k I versori i, j, e k sono tre versori, quindi vettori di modulo unitario, aventi la direzione dei tre assi coordinati, x, y, e z. Sono detti anche vettori unitari rettangolari.

3. Le componenti di un vettore Ăˆ utile ricordare che un vettore di đ?‘… 3 può essere inteso come la somma vettoriale di tre vettori aventi le direzioni dei vettori costitutivi della base ortonormale i, j, k. Pertanto un generico vettore di tale spazio è del tipo V = đ?‘Ľ0 đ?’Š + đ?‘Ś0 đ?’‹ + đ?‘§0 đ?’Œ . Questo modo di intendere definisce, come detto precedentemente, il raggio vettore o vettore posizione.â€?

2.7

Dipendendenza e indipendenza lineari di vettori Fatte salve ulteriori piĂš ampie considerazioni vorrei per il momento limitarmi a osservazioni empiriche relative a R, a đ?‘… 2 e a đ?‘… 3 . Se si considera la retta reali i vettori di essa sono necessariamente linearmente dipendenti. Tutti i vettori giacciono sulla retta. Esiste la retta e solo essa e i vettori (tutti) sono vettori giacenti su di essa. Nel piano due vettori qualunque possono essere giacenti sulla stessa retta, oppure possono avere direzioni diverse e qunidi non giacciono sulla medesima retta. Due vettori distinti del piano si dicono linearmente dipendenti se giacciono sulla medesima retta oppure se guacciono su rette parallele. In definitiva due vettori sono linearmente dipendenti se hanno la medesima direzione. La pregressa notazione per i vettori a due componenti formalizza la dipedenza lineare se esistono due scalari (Îą , β) ≠(0, 0) per i quali sia

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Îąv + βu = 0 dovendo quindi risultare Îą(a, b) +β(Ă , b’) = (0,0) dovendo, quindi, mettere a sistema, avendo Îąa +βà = 0 â&#x;š Îąa =- βà â&#x;š Îąb =-βb’

Îąb +βb’ = 0 Deve risultare

đ?‘Ž đ?‘? = đ?‘Žâ€˛ đ?‘?′ PiĂš in generale per i vettori đ?’—đ?’Š â&#x;ˇ (xi , yi ) la dipendenza lineare si ha se đ?‘Śđ?‘– đ?‘Ľđ?‘–

= cost.

Questo modo di procedere presume sia nota la origine del sistema di riferimento cartesiano e la base, o meglio una possibile base, solitamente quella canonica. I vettori considerati sono quelli della retta r. Ma certamente assegnata una retta r esiste un fascio (improprio) di rette parallele ad essa, una per ogni h ∈(-∞ , + ∞). Ritornando al formalismo dei punti A e B sulla retta r di coordinate (a, b) e (Ă , b’) rispettivamente, sono definibili, al variare di h nel continuo reale, i punti (a, b+h) e (Ă , b’+h). Se detti punti Ă€ e B’ tali che Ă€ = (a, b+h) e B’ = (Ă , b’+h) allora intesi in senso di vettori essi non sono linearmente dipendenti se considerati in una combinazione lineare coi vettori (a,b) e (Ă , b’). Il vettore libero →

đ??´â€˛đ??ľâ€˛

èlinearmente dipendente coi vettori (a,b) e (Ă , b’).

Detto vettore risulta tale che è vero →

đ??´â€˛đ??ľâ€˛

= (Ă -a, b’+h−đ?‘? − â„Ž) = ( Ă -a, b’−đ?‘?).

Per h assegnato c’è anche una evidente invarianza per le traslazioni. Infatti ∀ đ?œ? ∈ đ?‘… − {0} il vettore libero ottenuto da a → a + Ď„ e da à →à + Ď„ è ponibile in combinazione lineare con (a,b) e (Ă , b’). - 75 -


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I vettori considerati sono linearmente dipendenti. I vettori (À- O) e (B’ - O) posti in combinazione lineare coi vettori (a,b) e (à , b’) risultano linarmente indipendenti.

Due vettori del piano sono linearmente indipedenti se non giacciono sulla medesima retta o su rette parallele, ovvero, quindi, se non hanno la medesima direzione. Riflessioni analoghe possono essere fatte per i vettori dello spazio. Questi concetti possono essere generalizzati. Infatti è possibile “definire il concetto di dipendenza lineare di vettori. Assegnati k vettori dello spazio vettoriale V è possibile considerare k parametri reali, al limite tutti distinti, đ?‘Žđ?‘– , ottenendo il vettore v = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . Tale vettore esiste giacchè sono coordinabili nella forma che lo definisce le proprietĂ di chiusura della somma vettoriale e del prodotto di un vettore per uno scalare. Ma spesso il problema è un altro, ovvero se gli assegnati vettori sono tali che

đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? +

đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ = 0 (eguali quindi al vettore nullo). L’eguaglianza diventa banale quando tutti gli đ?‘Žđ?‘– = 0 (per l’annullamento del prodotto). In questo caso i vettori considerati si dicono linearmente indipendenti. Quando gli scalari đ?‘Žđ?‘– non sono tutti nulli e risulta đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ = 0 allora detti vettori sono linearmente dipendenti.â€? ⌋Gravano, Appunti matematici, n. 4âŚŒ.

2.8

Prodotto scalare di vettori Siano dati due vettori dello spazio. Essi sono rappresentabili come terne di numeri reali. (a, b, c) e (Ă , b’, c’). Questo modo di scrivere è interpretabile anche come rappresentativo delle coordinate dei punti P e P’ dello spazio đ?‘… 3 . Viene definita una prima operazione tra vettori detta prodotto scalare standard.

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* APPUNTI MATEMATICI 18 – GIUGNO 2016 *

Il risultato di detta operazione è uno scalare, ovvero un numero reale. Si ammette sia stata introdotta una base ortonormale di vettori dello spazio, ovvero esista una terna di versori i, j, k a due a due ortogonali. Ad esempio il vettore (a, b, c) è rappresentabile come v = ai + bj +ck mentre il diverso vettore indicato sarĂ scrivibile come v’ = Ă i + b’j +c’k Il prodotto scalare di due vettori è ottenibile nel modo seguente v v’ = aĂ + bb’ + cc’ Esso vale sicuramente 0 quando almeno uno dei vettori e zero. Ma esso vale 0 anche quando i due vettori sono perpendicolari. Al riguardo sovviene la formula del prodotto scalare per la quale

v v’ =⎸v⎸⎸v’⎸đ?‘?đ?‘œđ?‘ θ

đ?œ‹

Se v ⊼ đ?’—′ risulta cos( 2 ) = 0 quindi vđ?’—′ = 0. Il prodotto scalare gode di tre importanti proprietĂ ovvero quella commutativa, per la quale v v’ = v’v quella distributiva rispetto alla somma vettoriale (u + v)w = uw +vw, vera per ogni w conformabile, ovvero avente eguale numero di componenti dei vettori dati, e di linearitĂ . Questa ultima si formalizza come segue (av)(bđ??Ž ) = ab(vu) Può risultare utile una ulteriore proprietĂ del prodotto scalare. Risulta infatti che đ?’— ∗ đ?’— = (a, b, c)(a, b, c) = đ?‘Ž2 +đ?‘? 2 +đ?‘? 2 = âˆŁ đ?‘Ł âˆŁ2 - 77 -


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e, quindi, √đ?’— ∗ đ?’— = âˆŁvâˆŁ

2.9

Coseni direttori

Ho molto apprezzato in questa occasione di rivisitazione posticcia della materia le molte schede relative ai coseni direttori della retta ⌋ChisiniâŚŒ, ma ho, comunque, preferito introdurre i coseni direttori in termini di formule del prodotto scalare di vettori, in termini evidnetemente simili a quanto è giĂ stato fatto ⌋Focardi, Massa, UguzzoniâŚŒ. La figura disegnata evidenzia di quali angoli si tratta. Le due formule del prodotto scalare consentono di definire il coseno dei tre angoli, e, per questa via anche gli archi. Vorrei partire dall’angolo Îł. Risulta che (x,y,z)(0,0,z) = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (z)cosÎł â&#x;š 0 + 0 + đ?‘§ 2 = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (z)cosÎł â&#x;š z = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 cosÎł â&#x;š cosÎł =

đ?‘§ √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

da cui Îł = arctan (

đ?‘§ √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

).

Vorrei ora considerare l’arco Ď in relazione al quale risulta (x,y,z)(x,y,0) = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 cosβ da cui si ha đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 cosβ â&#x;š cosβ =

đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 √đ?‘Ľ2 +đ?‘Ś

= 2

√đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 +đ?‘§ 2

.

Questo ultimo passaggio deriva dal fatto che đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 = (√đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 )(√đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 )

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Vanno però determinati gli ulteriori due coseni direttori della retta che risultano ricavabili facendo ulteriori due prodotti scalari, avendo, per il primo Risulta che (x,y,z)(x,0,z) = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (z)cosβ â&#x;š 0 + 0 + đ?‘Ľ 2 = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (x)cosβ â&#x;š x = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 cosβ â&#x;š cosβ =

đ?‘Ľ √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 +đ?‘§ 2

da cui β = arctan (

đ?‘Ľ √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

).

Il terzo coseno direttore si ottiene dal terzo prodotto scalare ovvero da (x,y,z)(0,y,0) = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (z)cosÎą â&#x;š đ?‘Ś 2 = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 (y)cosÎą â&#x;š y = √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2 cosÎą â&#x;š cosÎą =

đ?‘Ś √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 +đ?‘§ 2

da cui Îą = arctan (

đ?‘Ś √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 +đ?‘§ 2

).

I tre coseni possono essere quadrati avendosi quindi (đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ź)2 +(đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›˝)2 + (đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?›ž)2 = ( 1 đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

đ?‘Ś √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś2 +đ?‘§ 2

)2 + (

đ?‘Ľ √đ?‘Ľ 2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

)2 + (

đ?‘§ √đ?‘Ľ2 +đ?‘Ś 2 +đ?‘§ 2

)2 =

(đ?‘Ľ 2 ) ∗ (đ?‘Ś 2 ) ∗ (đ?‘§)2 ) = 1.

Questa è una relazione fondamentale ben nota.

Tutte le rette parallele alla retta data hanno eguali coseni direttori. Nel corso del paragrafo ho definito pure un ulteriore angolo, detto β, che misura l’ampiezza dell’angolo che la retta forma con la direzione della retta proiezione di essa sul piano xy. Detto angolo β

misura l’ampiezza dell’angolo formato dalla retta data con ogni retta del

piano xy passante per 0. Ogni retta parallela alla data ha medesimo β. Per certi aspetti un problema dello spazio è ricondotto ad un problema del piano. Infatti se è vero che una retta dello spazio può essere intesa come una funzione f: đ?‘… 2 → R la proiezione della retta, nel caso piĂš generale, che è una retta, è una funzione g: đ?‘… 2 → R âˆŁ g = dom f = đ?‘… 2. Ăˆ possibile considerare il piano definito dall’asse delle z e dalla retta di funzione g, che nel piano xy è pure intendibile come una funzione y = φ(x).

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đ?‘”

Tramite g si ha la corripondenza (x, y) → g(x,y)

Da ciò è ben evidente che se i punti (x, y) e (x’, y’) non sono di una retta ovvero se risulta đ?‘Ś đ?‘Ľ

�′

≠đ?‘Ľâ€˛ allora non esiste alcuna coppia z ≠z’ ∈ R tale che (x,y,z) e (x’, y’, z’) sono punti di

una retta dello spazio. Non è detto che se i punti (x, y) ≥ (x, y, 0) e (x’, y’) ≥ (x’, y’, 0) sono punti di una retta del piano allora, per due fissati z e z’ distinti tra loro, i punti (x, y, z) e (x’, y’, z’) siano punti di una retta dello spazio. Devo però riferirmi alla funzione y = φ(x) osservando che alla coppia (0,0) viene associato il punto 0 sulla retta data, ma mi è parso naturale porre la seguente legge di corrispondenza (x, y) → x ∀x I punti (x, y, z) e (x’, y’, z’) sono punti di una retta dello spazio se i punti (x, y) e (x’, y’) sono đ?‘§

punti della retta del piano e risulta đ?‘Ľ =

�′

�

�′

= đ?‘˜1 oppure đ?‘Ś = đ?‘Śâ€˛ = đ?‘˜2 in quanto è ammissibile la đ?‘Ľâ€˛

ulteriore legge di corrispondenza (x, y) → y ∀y. Riflessioni simmetriche possono farsi per i piani xz e yz. Nel primo caso la retta è interpretabile formalmente come una funzione Îł: (x,z) → y= y(x,z). Nel secondo caso, ovvero con riferimento al piano yz, ovvero considerando le variabili indipendenti y e z la retta è definibile in termini funzionali come Ď : (y,z) → x = y(y,z).

2.10

Vettori ortogonali del piano Assegnato un vettore del piano per esempio v ↔ (a, b) c’è da chiedersi come sono definiti i vettori del piano ortogonali a v. Due vettori ortogonali sono indicati dal formalismo v ⊼ v’. Affinchè i due vettori siano perpendicolari è necessario e sufficiente che sia vv’ = 0. Sia v’ = (x, y) e sia, ovviamente incognito.

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Affinchè sia v ⊼ v’

deve risultare ax + by = 0

Si ha che ax + by = 0 â&#x;š ax = - by Può risultare utile ricordare che i vettori in argomento devono avere le direzioni di due rette ortogonali per le quali, come è noto, risulta che i prodotti dei rispettivi coefficienti angolari vale -1. Deve risultare đ?‘?đ?‘Ś đ?‘Žđ?‘Ľ

= -1

da cui si ricava đ?‘? đ?‘Ž

=−

đ?‘Ľ đ?‘Ś

=

−đ?‘Ľ đ?‘Ś

đ?‘Ľ

= −đ?‘Ś

Ne consegue che dato il vettore (a,b) sono ortogonali ad esso i vettori (a, −đ?‘?) e (−đ?‘Ž, đ?‘?) ma anche i vettori φ(a, −đ?‘?) e φ(−đ?‘Ž, đ?‘?) per ogni φ ∈ R.

La retta in rosso indica la direzione dei vettori perpendicolari al vettore (a,b). Ogni vettore avente la direzione definite della retta considerata, e disegnata in rosso, è soluzione del problema.

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2.11

Non univocitĂ della operazione inversa del prodotto scalare Ăˆ stato fatto notare ⌋Focardi, Mazza, UguzzoniâŚŒ che “l’operazione inversa del prodotto scalare non da un risultato univoco‌â€?. In sintesi se si ammette noto un vettore v e se si ammette noto lo scalare k allora v∗x = k non è in generale verificata per un unico valore vettoriale incognito x. Il testo citato contiene una istruttiva figura (2.19, di pag. 47), cui si rimanda. Alla non unicitĂ della soluzione si perviene anche con il calcolo del valore assoluto, avendosi (a, b, c)(x, y, z) = k ⇒ ax + by + cz = k ⇒ ax + by + cz – k = 0, ove i numeri a, b, c, e k devono intendersi noti. Poichè vi sono tre incognite è possibile assegnare a due di esse due valori arbitrari, per esempio đ?‘Ľ0 đ?‘’ đ?‘Ś0 e risolvere rispetto alla unica incognita rimasta, che, nel caso di specie, è z.

2.12

Prodotto vettoriale Esiste una seconda operazione di moltiplicazione tra vettori che genera un vettore. Trattasi del prodotto vettoriale di due vettori. Si consideri un piano su cui giacciono i due vettori. Il vettore C = A X B è un vettore ortogonale ai vettori dati e quindi anche al piano su cui giacciono i dati vettori. Tale vettore ha modulo │C│ = │A││B││sinφ│ ove 0 ≤ φ ≤ Ď€. Quanto alla direzione essa è quella della retta ortogonale al piano definito dai due vettori. Resta da definire il verso del vettore C tra i due possibili. Il verso è quello che consente di definire i tre vettori come una terna destrorsa. Si ha che C = (│A││B││sinφ│) u.

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Il prodotto vettoriale è nullo quando i vettori A e B sono entrambi nulli, quando sono lo stesso vettore ovvero A = B, oppure quando sono linearmente dipendenti, ovvero nel caso di due vettori quando esiste un scalare non nullo Ď„ per il quale A = Ď„B. Per la limitazione fatta │sinφ│ = sinφ. In fisica è di particolare utilitĂ il determinante di Laplace

đ?’Š đ?‘Žđ?‘– đ?‘?đ?‘–

đ?’‹ đ?‘Žđ?‘— đ?‘?đ?‘—

đ?’Œ đ?‘Žđ?‘˜ = A X B đ?‘?đ?‘˜

Per ora è bene ricordare la non commutativitĂ del prodotto vettoriale. Vorrei ricordare ⌋Benvenuti, MaschioâŚŒ che il prodotto vettoriale è una grandezza vettoriale di dimensioni ⌋đ??ż2 âŚŒ, ricordando però che “anche il prodotto vettoriale(‌.)può essere effettuato tra grandezze vettoriali eterogenee e si comporta, dal punto di vista dimensionale, come un prodotto tra grandezze scalariâ€?. Il prodotto vettoriale gode delle propietĂ distribuitiva rispetto alla somma vettoriale e di linearitĂ ma non gode della proprietĂ commutativa. Vale anzi, per esso, la proprietĂ anticommutativa per la quale u Ă— đ?’— = −đ?’— Ă— đ?’–

Nota. Esistono equazioni con incognita vettoriale, sia per il prodotto scalare che per il prodotto vettoriale ⌋Benvenuti, MaschioâŚŒ. In esse l’incognita è un vettore.

2.13

Divisione vettoriale Alcuni autori ⌋Focardi, Mazza, UguzzoniâŚŒ nel trattare l’alegebra vettoriale introducono una ulteriore operazione detta divisione vettoriale. Siano assegnati due vettori non nulli ed ortogonali, detti w e v. Si chiede di determinare il vettore x (incognito) per il quale risulti - 83 -


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xĂ—đ?’˜=đ?’— I vettori x e w devono essere complanari. Il vettore v deve essere per la definizione di prodotto vettoriale ortogonale al piano dei detti vettori. In particolare se ci si riferisce alla base ortonormale canonica (i, j, k) la scrittura x Ă— đ?’˜ = đ?œ‹

đ?’— ≥ âˆŁxâˆŁâˆŁwâˆŁsin(2 )đ?’Œ giustifica una condizione per la quale gli elementi del prodotto vettoriale đ?œ‹

sono perpendicolari, avendosi sin( 2 ) = 1. In questo caso particolare risulta âˆŁxâˆŁâˆŁwâˆŁđ?’Œ = âˆŁvâˆŁk In questo caso particolare poichè si tratta di vettori linearmente dipendenti risulta âˆŁđ?’—âˆŁ

âˆŁxâˆŁâˆŁwâˆŁđ?’Œ = âˆŁvâˆŁk ⇒ âˆŁxâˆŁâˆŁwâˆŁ = âˆŁvâˆŁ â&#x;š âˆŁxâˆŁ = âˆŁđ?’˜âˆŁ Ma, fuori da queste ipotesi particolari, vettori x e w non sono perpendicolari. La trattazione complete è rinvenibile nel testo degli autori citati.

2.14

Vettori applicati I vettori possono essere considerati, oltre che come vettori liberi, anche come vettori applicati, specie in fisica quando si parla di grandezza vettoriale applicata. Il passaggio dal vettore libero al vettore applicato è evidente se si considera che dato un vettore e quindi date infinite coppie di punti (đ??ťđ?‘– , đ??žđ?‘– ) che esprimono lo stesso vettore, e rispetto ai quali ognuno di essi, può essere il rappresentante, se ne considera uno avente prima componente đ??ťđ?‘›0 . Per ciò stesso di avere assunto dato detto punto allora risulta determinato il punto đ??žđ?‘›0 . Il vettore →

đ??ťđ?‘›0 đ??žđ?‘›

0

è un vettore applicato in đ??ťđ?‘›0 .

Un vettore applicato in un punto đ??ťđ?‘›0 può essere rappresentato anche dalla coppia ( đ??ťđ?‘›0 , v).

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2.15

Scomposizione di un vettore v secondo direzioni assegnate Operativamente un vettore v può essere scomposto secondo assegnate direzioni. Se si considera l’insieme dei vettori a due componenti dato un vettore v esso è scomponibile secondo due direzioni distinte assegnate. La scompsizione non è unica nel senso che per un dato vettore esistono infinite coppie di direzioni distinte per le quali è possibile condurre la scomposizione di detto vettore dato v. Se detto vettore è elemento dell’insieme dei vettori a tre componenti esistono infinite terne distinte di direzioni che risolvono il problema. Queste osservazioni vanno coordinate con quanto detto in relazione alla non unicità della base dei vettori che consente di definire unovocamente un vettore di un dato spazio. Per certi aspetti sembra più ragionevole considerare, data la dimensione, un punto e tre direzioni distinte, con una corrispondente n-pla di direzioni distinte. Esse sono due se si opera nel piano. A questo punto diviene “immediato” ammettere che ogni vettore è esprimibile in unico modo come una combinazione lineare di vettori unitari (versori) aventi le direzioni delle rette che si intersecano in O. Queste considerazioni giustificano ammpiamente i nessi tra scomposizione di un vettore e base. Distinte basi rappresentano differentemente il medesimo vettore. È ben evidente che si pone la questione dei passaggi di base, ovvero della questione della rappresentazione del medesimo ente, riferito a distinte basi. Esistono in generale infinite coppie di rette incidenti che esprimono le direzioni rispetto alle quali il vettore assegnato può essere decomposto.

2.16

Equazione della retta Con metodi vettoriali è possibile definire l’equazione della retta nello spazio.

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Una retta dello spazio può essere definita a partire da un punto dello spazio đ?‘ƒ0 ≥ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 )e da una direzione. La direzione è data da un vettore v = (a, b, c) nel senso che al variare di v sono definibili tutte le direzioni delle rette passanti per il punto assegnato đ?‘ƒ0 ≥ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0). Alla coppia (đ?‘ƒ0 , v) corrisponde una ed una sola retta, e viceversa ad una retta assegnata corrisponde una ed una sola retta dello spazio. Sia đ??Ťđ?&#x;Ž = (đ?‘ƒ0 - 0)= (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ). Dal punto di vista vettoriale il problema consiste nel trovare i punti P = (x, y, z) per i quali vale la relazione vettoriale đ??Ťđ?&#x;Ž + a = r ove risulta đ??š = tđ??Ż e r = (P-0). Si osservi che il vettore đ??š = tđ??Ż è linearmente dipendente con il vettore v. L’equazione vettoriale della retta assume la forma r = đ??Ťđ?&#x;Ž + đ??­đ??Ż Per t ∈−∞, +∞) si ottengono tutti i punti della retta come segue (x, y, z) = ( đ?‘Ľ0 +đ?‘Ąđ?‘Ž, đ?‘Ś0 + đ?‘Ąđ?‘?, đ?‘§0 + đ?‘Ąđ?‘?) Ciò consente di definire le cosiddette equazioni paramentriche della retta delo spazio, come segue x = đ?‘Ľ0 + đ?‘Ąđ?‘Ž y = đ?‘Ś0 + đ?‘Ąđ?‘? z = đ?‘§0 + đ?‘Ąđ?‘? I numeri reali a, b, c sono detti coefficienti direttori della retta. Il paramentro t ben può essere utilizzato alla stregua di una incognita avendosi che đ?‘Ľ − đ?‘Ľ0 đ?‘Ś − đ?‘Ś0 đ?‘§ − đ?‘§0 = = đ?‘Ž đ?‘? đ?‘? Questa forma è detta equazioni simmetriche della retta. Sono rilevanti le intersezioni della retta con i piani xy, yz e xz.

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Dette intersezioni si ottengono immediatamente dale equazioni parametriche ponnedo ad esempio z = 0 ove si vogliano trovare le intersezioni con il piano xy, o meglio le coordinate del punto di intersezione. Risulta in particolare z = đ?‘§0 + đ?‘Ąđ?‘? â&#x;š 0 = đ?‘§0 + đ?‘Ąđ?‘? ⇒ - đ?‘§0 = -tc ⇒ tc =- đ?‘§0 â&#x;š t = −

đ?‘§0 đ?‘?

Il valore di t trovato può essere sostituito nelle due altre equazioni paramentriche per ottenere le coordinate del punto del piano xy intersezione della retta con il piano dato. Dette coordinate sono date dai valori x ed y per i quali risulta x = đ?‘Ľ0 + (−

�0

y = đ?‘Ś0 + (−

�0

đ?‘?

đ?‘?

)đ?‘Ž )đ?‘?

Il punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 )non è un punto del piano xy. Due rette distinte dello spazio sono parallele se assegnato un vettore v = (a, b, c) risulta đ?‘Ľ − đ?‘Ľ0 đ?‘Ś − đ?‘Ś0 đ?‘§ − đ?‘§0 = = đ?‘Ž đ?‘? đ?‘? e đ?‘Ľâ€˛ − đ?‘Ľâ€˛0 đ?‘Śâ€˛ − đ?‘Śâ€˛0 đ?‘§â€˛ − đ?‘§â€˛0 = = đ?‘Ž đ?‘? đ?‘? ove gli apici contraddistinguono punti della retta r’ suppsta parallela alla retta r. Dividendo le due equazioni membro a membro si ottiene la condizione di parallelismo tra due rette đ?‘Ľ − đ?‘Ľ0 đ?‘Ś − đ?‘Ś0 đ?‘§ − đ?‘§0 = = đ?‘Ľâ€˛ − đ?‘Ľâ€˛0 đ?‘Śâ€˛ − đ?‘Śâ€˛0 đ?‘§â€˛ − đ?‘§â€˛0

Va poi studiata la condizione di ortogonalità tra rette dello spazio. Due rette dello spazio sono ortogonali, o, come solitamente si dice, perpendicolari, se esistono due vettori v e v’ tra loro ortogonali, ovvero per i quali sia v*v’ = 0

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aventi direzioni parallele alle date rette.

2.17

Equazione del piano Siano dati due punti đ?‘ƒ0 ≥ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) e P ≥ (x,y,z). Siano dati i vettori r = (P-O) e đ?’“đ?&#x;Ž = (đ?‘ƒ0 -O). Ăˆ immediatamente definibile un vettore r - đ?’“đ?&#x;Ž Si ha r - đ?’“đ?&#x;Ž = (x - đ?‘Ľ0 , y - đ?‘Ś0 z - đ?‘§0 ). Ăˆ quindi possibile considerare un vettore n normale al vettore r - đ?’“đ?&#x;Ž . Per la nota proprietĂ del prodotto vettoriale risulta che il prodotto dei vettori considerati è lo zero scalare, ovvero risulta n*(r - đ?’“đ?&#x;Ž ) = (a,b,c)(x - đ?‘Ľ0 , y - đ?‘Ś0 z - đ?‘§0 )= a(x - đ?‘Ľ0 ) + đ?‘?( y đ?‘Ś0 ) +c(z - đ?‘§0 )= 0. In buona sostanza si è ottenuta l’equazione scalare del piano quando è noto un punto đ?‘ƒ0 ≥ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) e un vettore normale. I P che soddisfano l’equazione sono solo e tutti i punti del piano passante per đ?‘ƒ0 ≥ (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) quando è asegnato un vettore normale n. Vorrei partire da quanto leggo in un testo di Analisi 2 da me consultato ⌋StewartâŚŒ ovvero che “un piano nello spazio è determinato da un punto đ?‘ƒ0 (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) appartenente al piano e da un vettore n ortogonale al pianoâ€?. Credo che la situazione sia spiegabile nei termini che seguono. Se è dato un piano e si considera un punto di esso allora per detto punto passa una ed una sola retta normale al piano. Detta retta interseca il piano nel punto đ?‘ƒ0 . Ogni retta del fascio di rette passanti per detto punto punto è perpendicolare alla retta normale al piano passante per đ?‘ƒ0 . Anche nell’approccio proposto dall’autore citato risulta evidente che n*(r - đ?’“đ?&#x;Ž ) = 0 ⇔ n*(r - đ?’“đ?&#x;Ž )= n* (-1)(r - đ?’“đ?&#x;Ž ) = n*( đ?’“đ?&#x;Ž -r). Me ne sono sincerato operativamente.

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Infatti, moltiplicando per (-1) ambo i membri dell’equazione scalare del piano la sostanza delle cose non cambia, potendo tale situazione essere interpretata come aver scambiato il punto noto con quello non noto. Può essere esemplificante considerare un piano parallelo al piano xy, ovvero il piano z =k. In questo caso il vettore n è un vettore avente direzione coincidente con l’asse delle z. Un punto P=(x,y,z) appartiene al piano se sostituendo nella equazione del piano le coordinate di esso risulta ottenersi la identitĂ 0 = 0. Solitalente l’equazione del piano si pone in una forma semplificata ovvero come ax + by + cz + d = 0 ottenuta per semplificazione algebrica dall’equazione scalare, risultando d =-(ađ?‘Ľ0 + bđ?‘Ś0 + đ?‘?đ?‘§0 ) Questa si interpreta tenendo conto che a, b, c e d sono noti. Pertanto date le coordinate di un punto è possibile stabilire se esso è un punto del piano, o meno. Se con la sostituzione effettuata se risulta 0 = 0 allora il punto dato appartiene al luogo, altrimento detto punto non è un punto del piano dato. Ma il piano dello spazio può essere interpretato come una funzione matematica che associa ad una coppia (x, y) del piano uno ed un solo z, quindi una f: đ?‘… 2 → đ?‘…. đ?‘Ž

đ?‘?

đ?‘‘

Ăˆ ben evidente che dom f(x, y)= đ?‘… 2 pertanto risulta z = − đ?‘? đ?‘Ľ − đ?‘? đ?‘Ś − đ?‘? ottenuta da ax + by + cz + d = 0, risolta rispetto alla incognita z. I piani paralleli al piano dato, ovvero il fascio di piani paralleli è esprimibile come đ?‘Ž

đ?‘?

đ?‘§đ?‘– = − đ?‘? đ?‘Ľ − đ?‘? đ?‘Ś −

đ?‘‘đ?‘– đ?‘?

ove đ?‘‘đ?‘– =-(ađ?‘Ľ0 + bđ?‘Ś0 + đ?‘?đ?‘§0,đ?‘– ) Insomma, se un punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) appartiene al piano di equazione z= f(x,y) allora il punto (đ?‘Ľ0 , đ?‘Ś0 , đ?‘§0 ) appartiene al piano parallelo al variare di z ∈(-∞, +∞) − {đ?‘§0 }. Risulta in particolare che Δd =-cΔz - 89 -


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Due piani sono paralleli se hanno vettori normali linearmente dipendenti, ovvero del tipo n = kn’. Dalla formula del prodotto scalare di vettori è possibile ricavare la condizione di incidenza tra piani. Se i vettori normali di essi sono n ed n’è possibile usare la formula del prodotto vettoriale avendosi che n*n’= âˆŁnâˆŁâˆŁnâ€™âˆŁcosĎ‘ che consente di ricavare l’ampiezza dell’angolo diedro considerato. L’intersezione di due piani non paralleli è una retta dello spazio. Dato il piano ax + by + cz + d = 0 e il piano di equazione Ă x + b’y + c’z + d’ = 0 essi non sono paralleli quando (a,b,c)≠(ka, kb, kc) ∀k ∈ R. Ăˆ quindi necessario determinare l’equazione della retta dello spazio intersezione di detti piani.

2.18

“Scherzoâ€? matematico In riferimento all’equazione del piano in forma vettoriale, ovvero alla relazione n*(r - đ?’“đ?&#x;Ž ) = (a,b,c)(x - đ?‘Ľ0 , y - đ?‘Ś0 z - đ?‘§0 )= a(x - đ?‘Ľ0 ) + đ?‘?( y - đ?‘Ś0 ) +c(z - đ?‘§0 )= 0 va osservato che il vettore r non èunico in quanto un piano è costituito da infiniti punti, quindi al variare di r, esistono infiniti vettori (r - đ?’“đ?&#x;Ž ) ortogonali al vettore n. Ciò premesso, va evidenziato che al variare di r esistono infiniti vettori che verificano la condizione di appartenenza. Se a è uno di essi anche i vettori ka verificano le condizioni del problema. Ma detti vettori non esauriscono tutti i vettori che verificano le condizioni del problema. Ogni vettore di origine đ?‘ƒ0 verifica le condizioni del problema. Non esiste un formalismo che definisce un fascio di vettori, ovvero tutti i vetotri applicati ad un dato punto di un assegnato piano. La moltiplicazione di un vettore dato per uno scalare reale definisce vettori che hanno tutti la medesima direzione del vettore dato, variando il senso di esso quando k ∈ đ?‘… − .

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Detta operazione è quindi inidonea a descrivere la rotazione di un vettore dato di un angolo assegnato. Moltiplicare un vettore dato per lo scalare (-1) può essere inteso come ruotare di Ď€ rad un vettore dato. Ho individuato un riferimento cartesiano ponendo sull’asse delle ascisse i valori angolari di rotazione di un vettore dato e sull’asse delle ordinate un valore scalare ponibile in relazione con la rotazione rispetto all’asse delle x di assegnata ampiezza.

Ho instaurato una relazione lineare tra il valore di rotazione e il corrispondente coefficiente Îł(φ) ∈ ⌋-1 , 1âŚŒ ottenendo il grafico seguente.

2

Nel primo tratto, ovvero per 0 ≤ đ?œ‘ ≤ đ?œ‹, risulta Îł(φ) = − đ?œ‹ φ +1 2

Per il secondo tratto Ď€ ≤ đ?œ‘ ≤ 2đ?œ‹ si ha un segmento di retta di equazione Îł(φ) = đ?œ‹ φ +k, con k < 0 facilmente determinabile. Le rotazioni sono considerate antiorarie. Poichè la moltiplicazione di un vettore per uno scalare non è utilizzabile per descrivere le rotazioni ho deciso di introdurre un distinto formalismo che definisca la rotazione di un vettore di un angolo assegnato. Ciò però non consente neppure di introdurre un formalismo del tipo ⌋γ(φ)âŚŒv per definire un vettore ruotato di un dato angolo. - 91 -


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Ciò perchè esistono due valori angolari φ e φ+đ?œŒ(đ?œ‘) per i quali risulta Îł(φ) = Îł(φ+đ?œŒ(đ?œ‘)). đ?œŒ(đ?œ‘) non può essere costante. đ?œ‹

đ?œ‹

Per esempio per Îł(φ)= 0 risulta φ = 2 e đ?œŒ ( 2 ) = Ď€ Ăˆ possibile graficare đ?œŒ(đ?œ‘) e Îł(φ)

Ma per queste riflessioni potrebbe essere utilizzata la funzione coseno. Infatti, detta funzione si presta a istituire una corrsispondenza biunivoca tra un vettore ruotato di un dato angolo ≤ đ?œ‹ e una grandezza, identificata nella proiezione di detto vettore, a meno della periodicitĂ della funzione coseno, che, come è noto, vale 2Ď€. Posto che il vettore dato sia unitario allora la rotazione antioraria è definita dal coseno dell’angolo antiorario di rotazione. Gli angoli antiorari đ?œ— e 2Ď€ – Ď‘ definiscono la medesima proiezione del dato vettore. Il vettore vcos(Ď‘) è la proiezione del vettore v ruotato di un angolo Ď‘. Detto vettore ruotato in senso antiorario ben si può formalizzare come đ?’—đ??‘ . Risulta đ?’—đ??‘ ∗ đ?’? = 0 Se si volesse formalizzare il fascio di vettori di un piano definito da un punto P di assegnate coordinate e da n allora si potrebbe dire che esso è rappresentabile come kđ?’—đ??‘ con k ≠0.

2.19

Relazione di equipollenza tra vettori Già si è detto quando due vettori sono eguali o, che è la medesima cosa, quando essi sono equipollenti.

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Voglio qui osservare che la relazione di equipollenza tra vattori è una relazione di equivalenza, nel senso che essa gode delle tre proprietĂ riflessiva, simmetrica e transitiva, come sotto esplicitate v=v (ogni vettore è considerato eguale a se stesso) v = v’ ⇔ v’ = v (dati due vettori se il primo è eguale al secondo è anche vero che il secondo è uguale al primo) (v = v’ , v’ = v’’) â&#x;š v = v’’ (due vettori eguali ad un terzo sono eguali tra di loro) Questa ultima proprietĂ non esprime ovviamente una coimplicazione nel senso che può esistere un vettore k eguale ad un vettore v ma non eguale al vettore v’ per ogni coppia di vettori v e v’ di un dato insieme di vettori che, come vedremo, verrĂ definito come una particolare struttura algebrica, detta spazio vettoriale.

2.20

Lo spazio vettoriale đ?‘šđ?&#x;‘ Ho ricordato ⌋Appunti matematici, n. 4âŚŒ che “Lo spazio đ??ž đ?‘› è uno spazio vettoriale se sono verificate le seguenti condizioni: 1) chiusura della somma vettoriale e della moltiplicazione di un qualunque vettore per uno scalare; 2) il vettore (0, 0, ‌., 0) costituito da una sequenza di n zeri è elemento di đ??ž đ?‘› . Esso è l’elemento neutro per l’addizione; 3) dato il vettore v = (đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ‌ ‌ . đ?‘Łđ?‘– , ‌ . . , đ?‘Łđ?‘› ) esiste (ed è unico) il vettore – v = -(đ?‘Ł1 , đ?‘Ł2 ‌ ‌ . đ?‘Łđ?‘– , ‌ . . , đ?‘Łđ?‘› ) = ( - đ?‘Ł1 , − đ?‘Ł2 , ‌ ‌ . , − đ?‘Łđ?‘– , ‌ ‌ . , − đ?‘Łđ?‘› ); 4) esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione (unico). Per K = R esso è il numero reale + 1. Si ammette che (đ??ž đ?‘› , +) sia un gruppo abeliano.

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Le proprietĂ formali sono quindi immediatamente definibili (vedasi la parte che riguarda la struttura di gruppo commutativo)⌋essa è contenuta nel numero 4 di Appunti matematici citato, n.d.a.âŚŒ Per le applicazioni pratiche elementari si ammette sia K = R, ovvero si definisce la struttura (đ?‘… đ?‘› , +). Per quanto riguarda l’azione del campo R su V, ovvero le proprietĂ moltiplicative (prodotto di un vettore per un scalare) è immediato stendere al caso di đ?‘… đ?‘› quando giĂ detto per đ?‘… 3 .â€? Vorrei poi ricordare che “Bisogna partire dalla definizione appena data di combinazione lineare di vettori. Essa è nella forma đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . Si dice che i vettori đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ ., đ?’—đ?’Š ,. ‌., đ?’—đ?’Œ formano un sistema span se ogni vettore v ∈ V è del tipo v = đ?‘Ž1 đ?’—đ?&#x;? + đ?‘Ž2 đ?’—đ?&#x;? + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘– đ?’—đ?’Š + ‌‌ + đ?‘Žđ?‘˜ đ?’—đ?’Œ . L’insieme di vettori ( đ?’—đ?&#x;? , đ?’—đ?&#x;? , ‌ ., đ?’—đ?’Š ,. ‌., đ?’—đ?’Œ ) costituisce una base se sono verificate due condizioni: a) i vettori che lo costituiscono sono linearmente indipendenti e b) se sono uno span. L’esempio piĂš tipico di base canonica in đ?‘… 3 è la nota base ortonormale dei versori i, j, k.â€? ⌋Patrizio Gravano, Appunti matematici, 4âŚŒ.

2.21

Prodotto scalare nelle tre dimensioni e condizione di ortogonalità tra vettori Mi è sorto il problema della ortogonalità tra vettori a tre componenti. Siano (a,b,c) e (x, y, z) i vettori. Si ammetta che le proiezioni di essi sui piani xy, xz, e yz siano ortogonali. Dette proiezioni sono rispettivamente (a,b,0), (x,y,0) (a,0,c), (x,0,z) (0,b,c), (0,y,z) Poichè si ammette per ipotesi che le proiezioni dei vettori sui piani considerati siano ortogonali deve essere simultaneamente che (a,b,0)(x,y,0)= ax + by = 0 (a,0,c)(x,0,z)= ax + cz = 0

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(0,b,c)(0,y,z)= by + cz = 0 Sommando membro a membro si ottiene 2ax + 2by+ 2cz = 0 ⟹ 2(ax + by+ cz)= 0 ⟹ ax + by+ cz = 0 Questa ultima trovata altro non è che la condizione di ortognalità dei vettori. Pertanto, se due vettori sono tali che le loro proiezioni sui piani xy, yz e xz sono ortogonali allora detti vettori sono tra loro perpendicolari. Con ciò peraltro non si è dimostrato il contrario, ovvero che vettori ortogonali hanno le proiezioni su detti assi ortogonali. Se si considerano vettori del tipo (0, b,c) e (0, y, z) si cade nel piano. In particolare si considerano, in questo caso vettori del piano yx. Mi hanno incuriosito casi del tipo (0, b, c) e (x, y, z). In questo caso sarebbe (0, b, c)(x, y, z) = 0x + by + cz. La corrispondente condizione di ortogonalità sarebbe quindi by + cz = 0 Ma essa è epressione della ortogonalità delle proiezioni dei vettori dati nel piano yz. La riflessione analoga è ammissibile per i vettori del tipo (a, 0, c) e (a, b, 0). È poi evidente che se si considerano vettori del tipo (0, 0, c) la condizione di ortogonalità imporrebbe (0, 0, c)(x, y, z) = 0x + 0y + cz = 0. La condizione cz = 0 al variare di c, quando c ≠ 0 è verificata solo per z = 0, quindi il vettore (x,y,z) deve risultare del tipo (x, y,0). Questo è per certi aspetti evidente in quanto ogni vettore del piano xy è ortogonale a un vettore avente la direzione dell’asse delle z. Mi sono poi posto un altro ordine di questione, ovvero quale implicazione avrebbe la ortogonalità delle proiezioni di un vettore su un dato piano, per esempio nel piano xy, in relazione alla condizione tra vettori.

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Ho imposto le due condizioni, ovvero ortogonalità tra le proiezioni nel piano xy e la ortogonalità dei vettori, che sono elementi costitutivi della ipotesi di un ipotetico teorema. La prima condizione di ortogonalità, riferita alle proiezioni viene formalizzata come ax + by = 0 mentre la seconda, ortogonalità dei vettori, viene formalizzata come segue ax + by + cz = 0 Da essa si ha ax + by + cz = 0 ⇒ (ax + by) + cz = 0 ⟹ 0 + cz = 0. In buona sostanza dall’ipotesi della ortogonalità delle proiezioni rispetto ad un piano e della ortogonalità imposta dei vettori definisce la condizione per la quale essa sia vera. È necessario e sufficiente, sotto le condizioni poste che sia cz = 0. Detta condizione è vera quando c = 0, quando z = 0 e quando sia c che z sono eguali a 0. Il terzo caso è evidente in quanto dice che due vettori ortogonali del piano sono ortogonali, una evidente ovvietà! Due vettori dello spazio aventi proiezioni rispetto ad un piano ortogonali sono ortogonali se sono del tipo (a,b,c) e (x,y,0) quando è vera la condizione ax + by = 0. Simmetricamente è vera anche quando sono del tipo (a,b,0) e (x,y,z) ∀z. In ogni caso non si può pervenire ad una condizione necessaria e sufficiente perchè è immediato comprendere che assegnato un vettore, da intendersi, quindi, noto si può introdurre la condizione di ortogonalità, non escludibile a priori, avendo che (a,b,c) (x,y,z) = 0. È poi possibile fare un esempio numerico ad esempio ponendo (a,b,c) ≡ (2, 4, 11). Il vettore (x,y,z) deve intendersi come una incognita, ovvero come un vettore incognito. Il problema pratico diviene (2, 4, 11)(x, y, z) = 0

(ex condizione di ortogonalità)

Sviluppando i calcoli si ha 2x +4y +11z = 0 Il caso più ampio è quello per il quale 2x +4y ≠ 0. In questo caso deve, evidentemente, essere z = z(x, y).

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6

Se, ad esempio, si pone x = y = 1 si ha 2*1 +4*1 +11z = 0 â&#x;š 11z =−6 ⇒ đ?‘§ = − 11

2.22

Le funzioni scalari nello spazio Noi consideriamo lo spazio a tre dimensioni. In generale vengono definite funzioni đ?‘… đ?‘› â&#x;ś R come segue. Una funzione di đ?‘… đ?‘› â&#x;ś R è una legge di corrispondenza che associa ad una n-pla di numeri reali (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ) uno e un solo y = y((đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘– ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ). Non è necessariamente vero il contrario. Gli đ?‘Ľđ?‘– e y sono quantitĂ reali. Considerando lo spazio a tre dimensioni si considerano funzioni di đ?‘… 2 â&#x;ś R col significato seguente. Una funzione di đ?‘… 2 â&#x;ś R è una legge di corrispondenza che associa ad una coppia di numeri reali (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ) uno e un solo y = y(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 ). Non è necessariamente vero il contrario. Gli đ?‘Ľđ?‘– e y sono quantitĂ reali. Vorrei adeguarmi alla prassi piĂš operativa per la quale si considerano le variabili colle stesse lettere degli assi, avendosi quindi z = f(x, y). Alla coppia (x, y) è associato univocamente un valore z, secondo la f. Vorrei esplicitare il “Non è necessariamente vero il contrarioâ€? del paragrafo precedente. Ăˆ ben evidente che è possibile associare ad ogni (x , y) uno ed un solo comune valore z = đ?‘§0 . Il luogo ottenuto è un piano di đ?‘… 3 parallelo al piano xy. Al solito le variabili x e y sono dette indipendenti, mentre z è detta variabile dipendente.

2.23

Le funzioni vettoriali nello spazio In questo paragrafo sintetizzo in via formale quanto applicato ripetutamente nel passato in relazione a particolari problemi cinematici, diretti e inversi.

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Va data la definizione formale di funzione vettoriale di đ?‘… 3 . Si ammette riferito lo spazio ad una terna destrorsa di assi coordinate ortogonali, come si fa ordinariamente. Si considerano tre funzioni scalari, nella stessa variabile indipedente, ad esempio t. La legge di associazione è del tipo (đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ą), đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ą), đ?‘“đ?‘§ (đ?‘Ą) ) â&#x;ˇ đ?’—đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ą),đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ą),đ?‘“đ?‘§ (đ?‘Ą) (t). Si ammette che le tre funzioni scalari, dette componenti cartesiane, abbiamo il medesimo dominio ⌋Benvenuti, MaschioâŚŒ. Nei problemi cinematici la variabile t è il tempo. Nota la base ortonormale e noto 0 è possibile introdurre la cosiddetta espressione cartesiana, come segue v(t) = đ?‘“đ?‘Ľ (đ?‘Ą)đ?’Š + đ?‘“đ?‘Ś (đ?‘Ą)đ?’‹ + đ?‘“đ?‘§ (đ?‘Ą)đ?’Œ I versori i,j, k costituiscono una base dello spazio vettoriale nel senso che ogni vettore è esprimibile in unico modo come combinazione lineare di essi.

2.24

Rette sghembe dello spazio Nello spazio le condizioni reciproche tra rette sono ampliate rispetto al piano nel senso che oltre al caso di rette parallele e di rette incidenti vi è anche il caso delle rette sghembe. Due rette dello spazio sono parallele quando hanno la direzione del medesimo vettore v assegnato. Si consideri un piano parallelo al piano xy, ovvero il luogo dei punti (x, y, đ?‘§0 ) sia data una retta di detto piano e sia p il vettore che definisce la direzione di essa. Sia r della retta. Si consideri una retta r’ che interseca detto piano Ď€ in un punto di esso. Si ammetta che le due rette non abbiano punti in comune, ovvero sia r ∊ r’= ∅, allora le due rette sono sghembe. Sia s il vettore che definisce la direzione della retta r’. Ammettiamo sia r’ ⊼ Ď€ .

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In questo caso sarebbe sp = 0. Ma ciò non implica che le due rette sono incidenti. Anche il caso sp = k ≠0 non conduce necessariamente al caso di rette incidenti dello spazio e quindi alla complanaritĂ di esse.

Sarebbe sghemba ogni altra retta passante per P ma non ortogonale al piano e non giacente nel piano dato. In blu ho disegnato una retta del piano perpendicolare ad r ed anche a r’, in quanto essa è perpendicolare al piano dato. Con riferimento al dato piano esiste una retta di esso (ed una sola), detta r’’ parallela ad r, passante per P avente la medesima direzione del vettore di r.

2.25

Isomorfismo tra đ?‘˝đ?’? đ?’† đ?‘šđ?’? L’essenza dell’isomorfismo risiede nella corrispondenza biunivoca tra spazi vettoriali. Essa fu desunta immediatamente sia per il piano reale e i vettori a due componenti che per lo spazio reale e i vettori a tre componenenti. Se si ragiona a n dimensioni va considerato lo spazio đ?‘… đ?‘› e ricordato che fissata una origine O ogni punto di esso è definito da una n-pla di numeri reali.

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Ăˆ vero anche il contrario. Si ammette sia đ?‘… đ?‘› uno spazio vettoriale su R. Va però considerato il corpo K che si ammette sia R. Si considera quindi un insieme đ?‘‰0đ?‘› i cui elementi sono detti vettori. Viene per essi definita una prima operazione, detta somma vettoriale, ed incicata ordinariamente con il simbolo +, per la quale ad una coppia di elementi di esso, corrisponde univocamente uno ed uno solo elemento di đ?‘‰0đ?‘› . Essa viene solitamente formalizzata con il concetto di prodotto cartesiano avendosi đ?‘‰0đ?‘› Ă— đ?‘‰0đ?‘› → đ?‘‰0đ?‘› : (u, v ) → u + v Questo formalismo è rassicurante, nel senso che esso ha un significato preciso. Esso ci dice che prendendo due vettori qualunque di un dato spazio (quindi pero ogni coppia non ordinate di elementi di un dato spazio) è possibile sommare tra di loro i due vettori, ottenendo, quale risultato dell’operazione di somma, un vettore, quindi un elemento dello spazio di cui sono elementi i due vettori. Esiste anche una formalizzazione per il prodotto di un vettore per uno scalare k, solitamente, ma non necessariamente, reale. Essa è la seguente đ??ž Ă— đ?‘‰0đ?‘› → đ?‘‰0đ?‘› : (k, u) → ku Si ammette sia ku = uk Formalmente si potrebbe dire anche đ?‘‰0đ?‘› Ă— đ??ž → đ?‘‰0đ?‘› : (u, k) → ku L’insieme K coincide con R oppure con C, ovvero con l’insieme dei numeri reali, oppure con l’insieme dei numeri complessi. Questa ultima operazione può essere vista dal punto di vista dell’insieme K per ricordare che ku ∉ K. Ăˆ bene chiarire, come fanno autori avveduti ⌋Focardi, Mazza, UguzzoniâŚŒ, che “non è đ?’‚

definito il rapporto tra due vettori đ?’ƒ ma solo quello fra i loro moduli‌â€?.

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Questo, detto altrimenti, equivale a dire che dalla relazione v =ku non conduce a dare đ?’—

fondatezza ad una scrittura del tipo đ?’– = k. Queste due operazioni, somma vettoriale e moltiplicazione di un vettore per uno scalare, ammettono un elemento neutro. Per la somma vettoriale detto elemento neutro è il vettore đ?&#x;Žđ?‘› . Esso, ovviamente, non coincide con lo 0 ∈ K, solitamente con lo 0 reale, oppure con lo zero complesso, ovvero con la coppia (0,0)= đ?‘‚đ??ś . Il vettore đ?&#x;Žđ?‘› è formalizzabile con una sequenza di n zeri del tipo đ?&#x;Žđ?‘› ↔ (0,0,0,‌.,0). Per la moltiplicazione di un vettore per uno scalare reale l’elemento neutro rispetto a detta operazione è lo scalare 1. Infatti, si può dire che (u, 1) → 1u = u. Gli elementi neutri esistono e sono unici. In termini geometrici la somma vettoriale è data dalla regola del parallelogramma di Newton, giĂ contenuta nel suo Principia e ben evidenziabile graficamente come segue

Nell’algebra vettoriale, quindi in riferimento agli spazi vettoriali, vale la fondamentale proptietĂ di semplificazione per la quale x+z=y+zâ&#x;š x=y Le proprietĂ assiomatiche degli spazi vettoriali sono ben note ed esistono molte trattazioni semplici ⌋StokaâŚŒ e la medesima cosa può dirsi per il concetto di applicazione lineare e in particolare di quelle tra esse che costituiscono un isomorfismo. Sia K un corpo commutative, generalmente risulta K = đ?‘…. Siano dati due spazi vettoriali A e B. - 101 -


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Si consideri una applicazione f che faccia corrispondere ad un elemento v del primo uno ed un solo elemento f(v) del secondo. Una applicazione f cosĂŹ definita per la quale risulti 1) f(v + u) = f(v) + f(u) comunque si prendano due elementi qualunque di A 2) f(kv) = kf(v) comunque sia preso v ∈ A e k ∈ K. Gli omeomorfismi assumono nomi particolari. Se la funzione f è una biiezione si ha un isomorfismo. Lo spazio dei vettori ad n dimensioni e lo spazio đ?‘… đ?‘› sono isomorfi. Una spiegazione semplice è contenuta in Maroscia, relativamente al caso n = 2. Essa è generalizzabile al caso n intero qualunque. Vorrei solo osservare che la dimostrazione che una applicazione φ che associa ad un elemento dello spazio vettoriale di n dimensioni un punto dello spazio ad n dimensioni ha come precondizione che sia stabilita una origine e una base.

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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Giuseppe ANICHINI, Giovanni CONTI, Analisi matematica 1, Pearson, 2008

Pietro BENVENUTI, Giovanni MASCHIO, Appunti delle lezioni di meccanica razionale, Edizioni Kappa, 2002

Oscar CHISINI, Lezioni di geometria analitica e proiettiva, Zanichelli, 1963

S. FOCARDI, I. MASSA, A. UGUZZONI, Fisica generale. Meccanica, II edizione, Casa Editrice Ambrosiana,2003

Paolo MAROSCIA, Introduzione alla geometria e all’algebra lineare, Zanichelli, 2000

James STEWARD, Calcolo, Funzioni di più variabili, Apogeo, 2003.

Marius STOKA, Corso di geometria per le facoltà di Ingegneria, II edizione, CEDAM, 1995

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PROPRIETÀ LETTERARIA

Questo breve saggio non ha finalità commerciali o lucrative. Ne èautorizzata la divulgazione, anche totale, a condizione che essa non abbia finalità commerciali o lucrative purchè essa avvenga con la citazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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