Appunti Matematici 21

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Patrizio Gravano

APPUNTI MATEMATICI

PRIMI APPUNTI SULLA MECCANICA QUANTISTICA numero 21 - settembre 2016



INTRODUZIONE Quando, nel gennaio del 2015, decisi di avviare i miei APPUNTI MATEMATICI,

non

pensavo

che

avrei

avuto

la

tenacia

di

proseguire a lungo nella loro elaborazione, peraltro postulata idealmente come una elaborazione poliennale. Nonostante qualche traversia e qualche impegno addizionale, e non

previsto,

ho

continuato

nella

loro

elaborazione,

impegnativa nonostante ampie parti di essi fossero, per me’, una sorta di ripasso di diverse materie. Non e’ certo il caso di questo elaborato ! Anche nei casi precedenti, come in relazione agli elaborati “economici” ho cercato, seppure nei limiti di materie assai consolidate, qualche ipotesi e qualche riflessione di natura personale, anche perche’ non correvo rischi di valutazione da parte di terzi. Quando poi ho dedicato il mio tempo (una parte modesta di esso in verita’, proprio per effetto e conseguenza di vari impegni non solo personali….) alla topologia mi sono reso conto che avrei dovuto limitarmi ai tratti basici della disciplina, quelli piu’ elementari.


Chiuso

il

contributo

macroeconomico,

oggetto

del

numero

estivo, ho cominciato a pensare all’impostazione del numero di settembre dedicato alla meccanica quantistica. L’oggetto del numero che ho avviato e’ impegnativo, gravoso anche se limitato alle parti essenziali, e il contributo va inteso come una sistemazione di appunti presi man mano che viene portata avanti la lettura di alcuni testi, tutti di alto spessore. Nell’elaborare la sintesi ho ripensato anche ad alcuni autori citati, quali Paul Dirac e Max Born, che conoscevo per quelle argomentazioni periodo

divulgative

scolastico

e

anche

grazie

a

ricordo qualche,

di

un

pure

diradato

stimolante,

lettura. Mai avrei pensato, specie ricordando il periodo giovanile, di poter

scrivere

in

prima

persona

su

un

oggetto

che

ha

i

contenuti attuali grazie all’ingegno teorico di gradi fisici quali sono sicuramente stati i due citati (Born e Dirac), che, unitamente a molti altri, hanno contribuito agli sviluppi clamorosi della fisica a partire dai primi del Novecento dello scorso secolo.


Ovviamente questo non e’ un testo istituzionale bensi’ una mera sintesi,

peraltro

rielaborata,

di

appunti

relativi

a

mie

letture.

Ho

pero’

deciso,

specie

in

relazione

all’incredibilmente

interessante testo di Susskind e Friedman, ma non solo, approfondire

e

sistemare

meglio

la

materia

con

di una

pubblicazione ulteriore entro la prossima estate.

Patrizio Gravano patrizio.gravano@libero.it


PRIMI APPUNTI SULLA MECCANICA QUANTISTICA

1. Nota introduttiva Gli sviluppi della fisica a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento

del

secolo

l’inadeguatezza

scorso

della

dimostrarono

fisica

da

newtoniana

subito e

dell’elettromagnetismo classico a spiegare i nuovi fenomeni fisici che, sulla base delle nuove ardite sperimentazioni, richiedevano le dovute spiegazioni, non praticabili con gli strumenti concettuali fino ad allora a disposizione. Ecco perche’ si parlera’ di fisica moderna, comprendendo in essa quella atomica e quella nucleare che per la comprensione dell’infinitamente

piccolo

richiederanno

nuovi

strumenti

concettuali. Parallelamente alla nuova meccanica, detta quantistica, si affermeranno le teorie di Einstein, comunemente note come relativita’, ristretta e generale. La visione avanzata della realta’ richiede la contemporanea conoscenza

dei

due

approcci,

nonostante

Einstein

critico dei fondamenti della meccanica quantistica.

fosse


2. Il formalismo matematico della meccanica quantistica: bra e ket Esistono

modalita’

diverse

per

introdurre

la

meccanica

quantistica. Il citato libro di Max Born ricorda i diversi approcci seguiti, a partire da quello di Werner Heisemberg, detto meccanica delle matrici. In questa elaborazione ho inteso riferirmi, e limitarmi, al formalismo elaborato da Paul Dirac.

Al

riguardo

e’

bene

partire

dalla

nozione

di

spazio

vettoriale

e

introdurre lo spazio vettoriale i cui elementi sono i bra e i ket. La nozione di spazio vettoriale e’ quella nota dalla geometria. Un insieme V non vuoto costituisce uno spazio vettoriale se comunque si considerino due distinti elementi di essi sono definite le operazioni di somma e di moltiplicazione come segue Ad ogni coppia di elementi di V, siano essi v e v’, viene associato un elemento v + v’ elemento di V, e ad ogni elemento di V, sia ad esempio esso v, corrisponde, al variare di đ?œ†, un elemento Îťv pure appartenente a V. Si ammette che per Îť = 0 si ottenga 0đ?‘‰ .


Il valore Ν e’ ogni elementi di K, ove K e’ un insieme numerico i cui elementi hanno le proprieta’ dei campi. Negli sviluppi avanzati K coincide con l’insieme C dei numeri complessi. Le due operazioni hanno due elementi neutri che sono unici e risultano 0� e Ν = 1. L’unita’ di K in senso ampio si intende Ν = 1 +i0 ≥ (1 ,0), ove i e’ l’operatore di rotazione antioraria di

đ?œ‹ 2

rad.

La legge che associa alla coppia (v, v’) l’elemento v + v’ e’ commutativa e in generale la somma vettoriale e’ associativa. 0�

Per ogni elemento v esiste un elemento v’’ tale che v + v’’ =

⇔ v =

- v’’. L’operazione di moltiplicazione per uno scalare e’ lineare rispetto alla somma vettoriale e alla somma scalare. Le proprieta’ sono formalizzate su ogni testo di geometria ⌋v. Stoka, Corso di geometriaâŚŒ.

Nella

meccanica

quantistica

si

utilizza

lo

strumento

matematico degli spazi di Hilbert. Ma

sicuramente

deterministico

e’

bene

ovvero

partire

dal

concetto

caratterizzato

dal

di

sistema potersi

caratterizzare per un numero discreto di stati, come, ad esempio avviene, con gli esiti del lancio della moneta. I due stati corrispondenti sarebbero testa T o croce C.


Come

ampiamente

ricordato

⌋Susskind,

FriedmanâŚŒ

viene

introdotto un grado di liberta’ che puo’ assumere i valori ¹ 1.

L’insieme { - 1, 1} e’ comunemente chiamato spazio degli stati. Questo sistema e’ detto qubit. Opera nella meccanica un principio di conservazione per il quale lo stato si conserva nel dominio del tempo, ovvero Ďƒ(n+1) = Ďƒ(n). La complicazione sorge dalla circostanza che l’apparato che misura

lo

stato

del

sistema

interagisce

con

il

sistema

medesimo. Piu’ misure nel tempo dovrebbero rispettare la relazione Ďƒ(n+1) = Ďƒ(n). Una rotazione di đ?œ‹ radianti del dispositivo di misura equivale alla transizioni del sistema 1 → - 1 -1 →

1

Quando si considerano rotazioni di angoli particolari le cose si complicano.


La “regolaâ€? e’ semplice. Sono ammessi solo i valori Âą1. Il valore medio, generalizzazione del concetto di media, risulta zero, ovvero su un grande numero di prove la frequenza degli esiti 1 e degli esiti -1 si equivalgono. Se si considera un angolo đ?›ź qualunque, ferma restando la condizione che gli esiti possibili siano solo i due valori Âą1. Il valore atteso quantistico ha un proprio formalismo e si scrive â&#x;¨Ďƒâ&#x;Š = cosÎą Queste

osservazioni

dovute

a

Dirac

evidenziano

uno

scostamento dalla predizione classica. Il tratto essenziale della meccanica quantistica e’ che gli esperimenti sono invasivi, nel senso che ogni esperimento influenza il sistema modificando qualche sua proprieta’.

Nella meccanica quantistica si utilizza un particolare spazio vettoriale detto di Hilbert i cui elementi sono detti ket. Ogni ket e’ indicato con il seguente formalismo ⎚đ??´â&#x;Š


Mediante essi e’ possibile definire lo spazio degli stati di un sistema. Risultano valide le seguenti proprieta’ ⎚đ??´â&#x;Š

+⎚đ??ľâ&#x;Š = ⎚đ??śâ&#x;Š

⎚đ??´â&#x;Š

+⎚đ??ľâ&#x;Š = ⎚đ??ľâ&#x;Š

(⎚đ??´â&#x;Š

(chiusura) +⎚đ??´â&#x;Š

+⎚đ??ľâ&#x;Š) +⎚đ??śâ&#x;Š = ⎚đ??´â&#x;Š

⎚đ??´â&#x;Š

+ 0 = ⎚đ??´â&#x;Š

⎚đ??´â&#x;Š

+ (-⎚đ??´â&#x;Š

(commutativita’) +⎚đ??ľâ&#x;Š +⎚đ??śâ&#x;Š (associativita’) (esistenza dell’elemento neutro)

= 0

(esistenza del simmetrico)

Sia z un numero complesso. Sono vere le seguenti proprieta’ đ?‘§âŽšđ??´â&#x;Š

= ⎚đ?‘§đ??´â&#x;Š

quindi ⎚đ?‘§đ??´â&#x;Š

đ?‘§(⎚đ??´â&#x;Š +⎚đ??ľâ&#x;Š)= đ?‘§âŽšđ??´â&#x;Š

e’ un ket.

+đ?‘§âŽšđ??ľâ&#x;Š

(z + w) ⎚đ??´â&#x;Š = z⎚đ??´â&#x;Š + w⎚đ??´â&#x;Š I

ket

sono

muniti

della

struttura

di

spazio

vettoriale

lineare. Se si considerano i numeri complessi e’ noto che ad ogni z corrisponde un z’ detto complesso coniugato.


Per

definizione

due

numeri

complessi

z

e

z’

si

dicono

coniugati se sono del tipo (a, b) e (a, -b). Dato

lo

spazio

vettoriale

i

cui

elementi

sono

i

ket

(sostanzialmente vettori complessi) e’ definito un ulteriore spazio vettoriale i cui elementi sono chiamati bra. I bra sono elementi di uno spazio vettoriale detto coniugato, costituito da numeri complessi coniugati (tecnicamente i coniugati dei numeri complessi che sono elementi del ket). Per i bra valgono le stesse regole formali che definiscono lo spazio vettoriale i cui elementi sono i ket. Dato un ket, sia esso ⎚đ??´â&#x;Š, ad esso corrisponde uno ed un solo bra. Esso si indica formalmente come â&#x;¨đ??´âŽš Vale la seguente corrispondenza ket bra ⎚đ??´â&#x;Š +⎚đ??ľâ&#x;Š ↔ â&#x;¨đ??´âŽš + â&#x;¨đ??ľâŽš Una

complicazione

formale

si

ha

quando

sia

necessario

assegnato un ket premoltiplicato per uno scalare complesso si debba considerare il corrispondente bra. La regola formale e’ la seguente đ?‘§âŽšđ??´â&#x;Š

↔ â&#x;¨đ??´âŽšz’


đ??śđ?‘œđ?‘šđ?‘’ gia’ detto i ket e i bra sono assimilabili a dei vettori aventi numeri complessi quali elementi. đ??źđ?‘› realta’ i numeri complessi sono un ampiamento dei numeri reali essendo z = a +ib e decadono ad essi quando b = 0. đ??śđ?‘œđ?‘› riferimento ai due spazi vettoriali viene definita una operazione di prodotto interno, che viene, di fatto, gestita come un normale prodotto scalare, ovvero come sommatoria di prodotti di componenti omogenee. Per esempio il prodotto tra un bra e un ket viene cosi’ formalizzato â&#x;¨đ?‘‹âŽš Yâ&#x;Š = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘§đ?‘–′ đ?‘§đ?‘– đ??źđ?‘™ risultato di detta operazione e’ solitamente un numero complesso. đ?‘†đ?‘Łđ?‘–luppando i calcoli si evidenzia facilmente che ′ â&#x;¨đ?‘‹âŽš Yâ&#x;Š = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘§đ?‘–,đ?‘‹, đ?‘§đ?‘–,đ?‘Œ = m + in ⇔ â&#x;¨ đ?‘ŒâŽš đ?‘‹â&#x;Šâ€˛ = m -in

Vorrei osservare che nello sviluppo del prodotto interno ′ entrano i numeri ��,�, il cui indice i e’ quello di sommatoria

ed X si riferisce al fatto che si tratta dei coniugati del ket⎚ Xâ&#x;Š.


′ Vorrei poi osservare che in generale i numeri đ?‘§đ?‘–,đ?‘‹, e đ?‘§đ?‘–,đ?‘Œ sono

a due a due complessi e coniugati a parita’ di indice. Questa

condizione

si

realizza

immediatamente

ed

esclusivamente, per ogni valore di i (inteso come indice, ovviamente‌), quando si consideri la scrittura â&#x;¨đ?‘‹âŽš Xâ&#x;Š Cio’ e’ vero per la definizione di ket e di bra e per come viene realizzato il prodotto interno. In generale quindi

â&#x;¨đ?‘‹âŽš Xâ&#x;Š = r ∈ â„?.

Vi e’ un caso particolare quello per il quale risulti â&#x;¨đ?‘‹âŽš Xâ&#x;Š = 1 đ??źđ?‘› questo caso il vettore X e’ detto normalizzato. đ?‘ƒđ?‘’đ?‘&#x; il prodotto interno vale la regola di linearita’ â&#x;¨C⎚ (⎚đ??´â&#x;Š +⎚đ??ľâ&#x;Š ) = â&#x;¨đ??śâŽš Aâ&#x;Š + â&#x;¨đ??śâŽš Aâ&#x;Š E’ elementare evidenziare che â&#x;¨đ?‘‹âŽš Xâ&#x;Š = m ∈ â„?. Anche

nel

formalismo

del

bra

e

dei

ket

viene

definita

l’ortogonalita’ come segue â&#x;¨đ?‘‹âŽš Yâ&#x;Š = 0 ⇔

â&#x;¨đ?‘ŒâŽš Xâ&#x;Š = 0

L’ortogonalita’ tra vettori e’ utile perche’ “la dimensione di uno spazio puo’ essere definita come il numero massimo dei


vettori mutuamente ortogonali in quello spazio.â€? ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ. Sia n il numero delle dimensioni dello spazio di riferimento. Ogni ket puo’ essere rappresentato formalmente come la somma vettoriale di vettori lungo le n dimensioni, condensando tutto nel seguente formalismo ⎚đ??´â&#x;Š = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– ⎚đ?‘–â&#x;Š đ?‘œđ?‘Łđ?‘’ ⎚đ?‘–â&#x;Š indica il versore lungo la i-esima direzione. đ?‘Žđ?‘– indica la componente del vettore in riferimento alla iesima direzione. đ?‘ƒđ?‘’đ?‘&#x; la determinazione di essi da ⎚đ??´â&#x;Š = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– ⎚đ?‘–â&#x;Š si considera il bra â&#x;¨đ?‘—⎚ e quindi si considera â&#x;¨đ?‘—⎚đ??´â&#x;Š = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘Žđ?‘– â&#x;¨đ?‘—⎚đ?‘–â&#x;Š. Ma, â&#x;¨đ?‘—⎚ đ?‘–â&#x;Š vale 1 quando i ≠j e 0 quando i = j. Quindi, immediatamente, si ricava â&#x;¨đ?‘—⎚đ??´â&#x;Š = đ?‘Žđ?‘— .

3. L’oscillatore armonico Esso

e’

schematizzabile

come

all’estremita’ di una molla di ovvero elastica.

una

particella

lunghezza

đ?‘™0

collocata

estensibile,


La posizione dell’estremo della molla, quindi della massa m, e’ data dal vettore variabile nel tempo OP(x)= x(t)i. x(t) indica la coordinata del punto materiale m ed anche la lunghezza della molla all’istante t. Il peso e’ bilanciato dalla reazione R e il moto viene descritto in una sola dimensione, quella orizzontale. La tensione T della molla e’ data dalla legge di Hooke. Essa risulta T = - k (x(t) - đ?‘™0 ). Dimensionalmente si evidenzia che la costante k, che dipende dal tipo di molla che si usa, viene, nel S.I., misurata in đ?‘ đ?‘š

.

E’ immediato passare alla formulazione della seconda legge della dinamica, che, in relazione a questo caso, si scrive nella forma mx’’(t)= - k (x(t) - �0 ). All’equilibrio deve risultare mx’’(t)= 0 ovvero x’’(t)= 0. Risultando k =0 la condizione di equilibrio si ha per - �0 = 0 ovvero per x(t) = �0 .

x(t)


E’

possibile

⌋Fredon,

Callea,

MagloireâŚŒ

semplificare

l’equazione del movimento ponendo x(t) - �0 = X(t). Cio’ fatto si ha mx’’(t)= -k X(t). Ma, usando il calcolo, si evidenzia che X’’(x) = x’’(t) quindi la sostituzione e’ legittima perche’ la derivata di una funzione e di quella che differisce da essa di una costante sono eguali. Si ha pertanto che mX’’(t)= -k X(t) da cui mX’’(t)+ k X(t)= 0 da cui X’’(t)+

đ?‘˜ đ?‘š

X(t)= 0

La grandezza

đ?‘˜ đ?‘š

si indica con la lettera ω2 pertanto si scrive

đ?‘˜

ω = √đ?‘š La soluzione generale dell’equazione differenziale e’ X(t) = Acos(ωt) +Bsin(ωt) A e B sono le costanti di integrazione. Esse sono determinate a partire dalle condizioni iniziali. Rilevante

e’

la

determinazione

(problema di Cauchy).

delle

condizioni

inziali


Basta calcolare X(0) e X’(0). La quantita’ ω e’ detta pulsazione propria e da essa si ricavano immediatamente la frequenza e il periodo propri. Esiste anche una equazione generale del moto oscillatorio. Essa e’ la seguente g’’ + ag = f con a > 0. Le ultime considerazioni riguardano l’energia cinetica e potenziale dell’oscillatore la cui somma si mantiene costante nel tempo, essendo il sistema conservativo. Energia cinetica ed energia potenziale variano continuamente nel tempo ma la loro somma e’ una costante. Per entrambe, poi, viene definito il relativo valore medio.

4. Misure di stati di spin. Il concetto di stato quantico La non totale precicibilita’ di uno stato quantito e’ intesa nel

senso

che

⦋Susskind,

Friedman⦌

“conoscere

uno

stato

quantico significa conoscere cio’ che e’ possibile sapare del modo in cui il sistema e’ stato preparato.” con la conseguenza


che la mecccanica quantistica e’ “completa nel senso in cui lo puo’ essere un tipo di calcolo probabilisticoâ€?. Gli stati quantici vengono rappresentati mediante i vettori di stato. Gli assi ortogonali sono tre. Sono dati due possibili orientamenti per ogni asse. La conseguenza e’ immediata in quanto ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ “tutti i possibili stati di spin possono essere rappresentati in uno spazio vettoriale bidimensionaleâ€?. Uno stato quantico qualunque e’ definito da un vettore ket ⎚ Aâ&#x;Š e risulta scritto come segue ⎚ Aâ&#x;Š = đ?›źđ?‘˘ ⎚ uâ&#x;Š +đ?›źđ?‘‘ ⎚ dâ&#x;Š ovvero e’ definito come una combinazione lineare dei vettori ⎚ uâ&#x;Š e ⎚ dâ&#x;Š che definiscono i possibili stati rispetto ad un dato asse. Rispetto ad un dato asse sono possibili due stati, definiti dai vettori ket ⎚ uâ&#x;Š

e ⎚ dâ&#x;Š, corrispondenti ai possibili valori

ammessi che sono ¹ 1. Analoga riflessione puo’ essere fatta in riferimento agli altri due assi‌..


Risulta che le componenti, che sono numeri complessi, sono dati dalle seguenti espressioni đ?›źđ?‘˘ = â&#x;¨đ?‘˘âŽš đ??´â&#x;Š e đ?›źđ?‘‘ = â&#x;¨đ?‘‘⎚ đ??´â&#x;Š đ?‘€đ?‘Ž ora entra in campo il probabilismo quantistico. đ??ź đ?‘›đ?‘˘meri

��

= â&#x;¨đ?‘˘âŽš đ??´â&#x;Š

e

��

= â&#x;¨đ?‘‘⎚ đ??´â&#x;Š

sono

detti

ampiezze

di

probabilita’. Ho introdotto una semplificazione grafica utile a compendere la situazione, riferita all’asse delle z, introducendo una rappresentazione

visiva

che

va

intesa

un

poco

come

si

rappresentano gli spin degli elettroni quando si considera la struttura atomica‌‌


I numeri �′� �� e �′� �� indicano le probabilita’ che la misura condotta porti ai risultati 1 e -1 rispettivamente. I

numeri

complessi

con

l’apice

‘

indicano

i

complessi

coniugati e quindi definiscono numeri reali. Infatti presi due numeri complessi qualunque, ovvero a+ib e a-ib risulta che (a+ib)(a-ib) = đ?‘Ž2 -aib +iba - (−1)2 đ?‘? 2

= đ?‘Ž2 -

đ?‘?2 Le probabilita’ di misurare i due stati sono le seguenti, ove P al solito indica la probabilita’. đ?‘ƒđ?‘˘ = â&#x;¨đ??´âŽš đ?‘˘â&#x;Šâ&#x;¨đ?‘˘âŽš đ??´â&#x;Š đ?‘’ đ?‘ƒđ?‘‘ = â&#x;¨đ??´âŽš đ?‘‘â&#x;Šâ&#x;¨đ?‘‘⎚ đ??´â&#x;Š Il

sistema

fisico

puo’

avere

due

stati

possibili

detti

ortogonali mutuamente esclusivi nel senso che se il sistema si trova in uno stato non puo’ trovarsi nell’altro. Tale situazione viene formalizzata matematicamente come â&#x;¨đ?‘˘âŽš đ?‘‘â&#x;Š = 0 â&#x;¨đ?‘‘⎚ đ?‘˘â&#x;Š = 0 A questo punto sovvengono considerazioni abbastanza elementari nel senso che il sistema o si trova in uno stato o nell’altro,


e quindi la somma delle rispettive probabilita’ vale 1 (evento certo). Ecco la ragione per la quale đ?›źâ€˛đ?‘˘ đ?›źđ?‘˘ + đ?›źâ€˛đ?‘‘ đ?›źđ?‘‘ = 1 Sia definito lo stato ⎚ râ&#x;Š lungo l’asse delle x allora si ammette che una rotazione di medesima probabilita’, ovvero

đ?œ‹

conduca a ⎚ uâ&#x;Š o ⎚ dâ&#x;Š

2

con la

1

.

2

Tale situazione si verifica quando ⎚ râ&#x;Š =

1 √2

⎚ uâ&#x;Š +

1 √2

⎚ dâ&#x;Š

Anche con riferimento all’asse x gli stati possibili⎚ râ&#x;Š e ⎚ l â&#x;Š sono mutuamente esclusivi anche a partire dalla condizione iniziale. Sono quindi stati ortogonali, mutuamente esclusivi. Per

⎚ l â&#x;Š risulta essere ⎚ l â&#x;Š =

1 √2

⎚ uâ&#x;Š -

1 √2

⎚ dâ&#x;Š

Resta un solo asse ovvero y in relazione al quale sono possibili due soli stati di spin, ovvero gli stati mutuamente esclusivi

⎚ iâ&#x;Š e ⎚ oâ&#x;Š

La logica e’ sostanzialmente

sempre la stessa, ovvero se lo

spin e’ orientato lungo un asse gli stati di spin, dopo una


rotazione di

đ?œ‹ 2

, devono ammettersi equiprobabili gli stati

corrispondenti lungo la data direzione (asse). Risulta quindi che ⎚ iâ&#x;Š = ⎚oâ&#x;Š=

1 √2

1 √2

⎚ uâ&#x;Š +

⎚ uâ&#x;Š -

đ?‘– √2

đ?‘– √2

⎚ dâ&#x;Š

⎚ dâ&#x;Š

Per gli stati di spin esiste una rappresentazione matriciale, peraltro non univoca. Ortogonalita’ e’ sinonimo, in questo caso, di esclusivita’. La formalizzazione e’ la seguente 1 ⎚ u â&#x;Š = ( ) 0 0 ⎚ d â&#x;Š = ( ) 1 Detti vettori hanno modulo 1 e risulta che il loro prodotto scalare vale 0. 1 0 ( ) ( ) =1*0+0*1=0 0 1

Quando si considerano prodotti scalari, e quindi anche con riferimento ai vettori di stato di spin, la condizione di ortogonalita’

tra

vettori

non

e’

influenzata

dalla


moltiplicazione di essi per uno scalare, reale o complesso, ovvero in generale risulta che ab = 0

⇔

kab = 0

comunque valga k.

Questo vale anche in relazione al formalismo dei bra e dei ket ed in generale si potrebbe avere l’ortogonalita’ anche per k⎚ l â&#x;Š = k(

1 √2

⎚ uâ&#x;Š -

1 √2

⎚ dâ&#x;Š ) rispetto al vettore ⎚ l â&#x;Š.

Cosi’ facendo salta pero’ la parte di ragionamento sulla probabilita’ totale che deve essere 1 in quanto uno degli eventi deve verificarsi. Vi e’ pero’ un caso particolare in cui i conti tornano, ovvero se si pone k = đ?‘’ đ?‘–đ?œ‘

essendo φ un numero reale qualunque.

Detto numero e’ detto fattore di fase.

5. Funzioni di Lagrange e di Hamilton Ove si consideri un punto materiale di massa m e si consideri la traiettoria di esso ovvero x = x(t) e’ noto che l’energia cinetica vale T =

1 2

m(�′)2 , ove x’ e’ la velocita’ scalare

istantanea, ovvero la derivata prima della x = x(t).


Si ammette poi che l’energia potenziale V sia dipendente dalla x = x(t), ovvero sia V = V(x). La funzione L(x, x’) = T – V =

1 2

m(�′)2 – V(x) e’ detta funzione

lagrangiana. Si definisce azione A il seguente integrale đ?‘Ą

A = âˆŤđ?‘Ą 1 đ??ż(đ?‘Ľ, đ?‘Ľ ′ )dt đ?‘œ

Per una piccola variazione della x risulta

đ?œ•đ??´ đ?œ•đ?‘Ľđ?‘–

= 0 ⇔ đ?œ•đ??´ = 0.

⌋Susskind, Hrabovsky, Interlude 3, Lecture 6âŚŒ. Se

si

considera

un

solo

grado

di

liberta’,

quindi

una

particella che si muove su una curva assegnata, ovvero su un vincolo, risulta đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

đ?œ•đ??ż

(đ?œ•đ?‘Ľâ€˛) -

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

=0

Questa e’ detta equazione di Eulero-Lagrange. In pratica sono definite n equazioni di Eulero-Lagrange una per ogni dimensione. In estrema sintesi si puo’ affermare che il movimento in n dimensioni puo’ essere visto come la risultante del movimento lungo n direzioni.


Se si ragiona in una dimensione e comunque si considera il moto su una curva e quindi con un unico grado di liberta’ e’ sufficiente considerare la relazione piu’ sopra indicata. Mi pare istruttivo osservare che il testo citato, peraltro in inglese, ricorda come nella sostanza la citata equazione sia un modo alternativo di introdurre la equazione della dinamica che collega la forza alla accelerazione, tramite la costante di proporzionalita’ della massa inerziale, costante per ogni corpo. La legge della dinamica viene scritta nella forma F = m x’’, ove x’’ e un modo particolare per indicare l’accelerazione, che come noto e’ la derivata seconda della funzione di posizione x = x(t). Nel

formalismo

della

equazione

quantita’, o meglio la funzione il

rapporto

tra

una

energia,

di

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

Eulero

e

Lagrange

la

definisce dimensionalmente

misurata

in

jaule,

e

una

posizione, misurata in metri. Quindi viene definita una forza, misurata nel S.I. in newton. Per addivenire ad una giustificazione dell’equivalenza tra le forme citate ho considerato il caso particolare che sia V(x)


identicamente nulla, al variare di x, considerata nel dominio del tempo. Cio’ posto risulta immediatamente che 1

L = đ?œ•đ??ż

=

đ?œ•đ?‘Ľ

m (� ′ )2

2 đ?œ•

1

( m (đ?‘Ľ ′ )2 ) â&#x;š đ?œ•đ?‘Ľ 2

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

=

1

đ?œ•

1

m (đ?‘Ľ ′ )2 = 2m0 = 0 2 đ?œ•đ?‘Ľ

Giova ricordare che x’ deve intendersi propriamente come una funzione ovvero risulta che x’ = x’(t). Ma essendo essa la derivata prima della funzione x = x(t)e’ possibile dire che x’(t) = g(x(t)). Questo consente la gestione di đ?œ•

(� ′ = �(�(�) )2

đ?œ•đ?‘Ľ

Risultando quindi che đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

(đ?‘”(đ?‘Ľ(đ?‘Ą) )2 = 2

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

(� ′ ) = 0

Vorrei osservare che dimensionalmente, con riferimento alle unita’ di misura del S.I., risulta ⌋

đ?œ•

đ?‘š

1

đ?‘š

(đ?‘”(đ?‘Ľ(đ?‘Ą) )2 = đ?‘Ľâ€˛ âŚŒ = ( đ?‘ đ?‘’đ?‘?)2 đ?‘š = đ?‘ đ?‘’đ?‘? 2 đ?œ•đ?‘Ľ


Si tratta delle dimensioni fisiche di una accelerazione nel sistema internazionale di misure. Riunendo i risultati trovati si ha đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

=

đ??ťđ?‘œ

1

m

đ?œ•

2 đ?œ•đ?‘Ľ

(� ′ )2 =

dovuto

1

m2h(x) = m h(x) = x’’(t)= 0

2

imporre

che

h(x)

accelerazione in quanto sarebbe

abbia đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

le

dimensioni

di

una

(� ′ )2 = 2 h(x(t)) e il valore

2 e’ un numero adimensionato, ovvero privo di dimensioni fisiche. đ??żđ?‘’ dimensioni della funzione si conservano. đ?‘†đ?‘’

si

ragionasse

diversamente

non

sarebbe

garantita

la

coerenza dimensionale tra i due membri. In questo caso particolare ho imposto V(x) identicamente nullo. A questo caso e’ ovviamente equiparato il caso sia V(x) = cost. ≠0. In quanto, in questo caso, risulta đ?œ•đ?‘‰ đ?œ•đ?‘Ľ

=0


Nel caso risulti

đ?œ•đ?‘‰ đ?œ•đ?‘Ľ

≠0 allora il secondo principio della

dinamica va inteso in senso lineare, ovvero che la forza F đ?œ•đ??ż

= đ?œ•đ?‘Ľ risulti tale che đ?œ•đ??ž

F = đ?œ•đ?‘Ľ -

đ?œ•đ?‘‰ đ?œ•đ?‘Ľ

= m(đ?‘Ž1 − đ?‘Ž2 ) = 0 - mđ?‘Ž2

Tali riflessioni sono estensibili al caso di piu’ dimensioni introducendo

quindi

dei

pedici

per

le

x,

ovvero

usando

scritture del tipo đ?‘Ľđ?‘– = đ?‘Ľđ?‘– (t).

Applicando la regola di von Leibnitz risulta đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘Ą đ?œ•đ?‘Ľ

=

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą đ?œ•đ?‘Ą đ?œ•đ?‘Ľ

deve intendersi nota in quanto essendo nota x = x(t) risulta nota, o

meglio determinabile,

đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ą

ovvero

đ?œ•đ?‘Ą đ?œ•đ?‘Ľ

=

1 đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ą

Lavorando sul primo membro dell’equazione risulta 1

đ?œ•đ??ż

�′′

đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

⌋( )(

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

(

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

(

đ?œ•đ??ż đ?‘Ľâ€˛â€˛đ?œ•đ?‘Ą

) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

)âŚŒ

Dal punto di vista dimensionale la grandezza fisica corrispondente a 1

đ?œ•đ??ż

�′′

đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

⌋( )(

)âŚŒ risulta, nel S.I., espressa come

đ?‘—đ?‘Žđ?‘˘đ?‘™đ?‘’ đ?‘ đ?‘’đ?‘? 2 đ?‘ đ?‘’đ?‘?

đ?‘š

=

đ?‘—đ?‘Žđ?‘˘đ?‘™đ?‘’ đ?‘ đ?‘’đ?‘? đ?‘š

.

Derivando la grandezza corrispondente viene divisa per sec quindi il primo membro risulta avere le dimensioni fisiche di una forza. Infatti una grandezza misurata in tra una energia e una velocita’.

đ?‘—đ?‘Žđ?‘˘đ?‘™đ?‘’ đ?‘ đ?‘’đ?‘? đ?‘š

e’ un impulso in quanto rapporto


Ma derivando rispetto al tempo, si ottiene, c.v.d., che al primo membro si ha una forza.

Ma

la

descrizione

del

moto

di

un

oggetto

puntiforme

(detto

comunemente punto materiale, o particella) puo’ essere intesa secondo n distinte direzioni mutuamente ortogonali. In questo senso e’ come se lo stesso oggetto si muovesse lungo dette direzioni, o come se n oggetti puntiformi si muovessero secondo dette direzioni‌.. L e’ una energia, quindi una grandezza scalare. Pertanto e’ immediato scrivere che đ???đ?‘ł đ???đ?‘ż

=

∑đ?‘›đ?‘–=1

đ???đ?‘ł đ???đ?’™đ?’Š

Fatta questa introduzione di carattere generale e’ bene introdurre i sistemi olonomi, per giungere agli sviluppi e alle specificazioni di quanto introdotto. Non

mancano

sistemazioni

formali

e

rigorose

della

teoria

⌋Benvenuti, Maschio, Cap. 8âŚŒ.

Ho

preferito

considerare

un

caso

particolare,

sicuramente

didattico, limitandomi al caso di un sistema costituito da N = 3 punti materiali.


E’ sempre riferito lo spazio ad un sistema ortogonale cartesiano Oxyz, di data origine O ≥ (0,0,0). I corpi materiali puntiformi 1, 2 e 3 sono associati alle loro coordinate spaziali che devono essere intese come funzioni scalari di una variabile reale nel dominio del tempo, come segue. �1 (�) , �1 (t), �1 (t) per il corpo 1 �2 (�) , �2 (t), �2 (t) per il corpo 2 �3 (�) , �3 (t), �3 (t) per il corpo 3 Esistono quindi 3N ovvero nove funzioni del tempo e k vincoli di posizione. Viene, quindi, definita una proprieta’ del sistema detta gradi di liberta’. Il numero dei gradi di liberta’ n risulta essere n = 3N – k. Conoscendo n incognite si descrive lo stato cimematico del sistema. Se si fissa k si considerano i k corpi allora le coordinate dei corpi da k+1 a N sono ponibili in funzione delle prime k coordinate. E’ sostanzialmente quello che si dice nella meccanica classica.

Per descrivere il moto di un punto nello spazio sono necessarie tre coordinate, quindi tre gradi di liberta’, ma se il movimento avviene su un piano il numero di essi

risultera’ essere due e


infine se il moto avviene lungo una curva, o, al limite, su una retta, il numero dei gradi di liberta’ si ridurra’ ad uno solamente. Solitamente nel moto dei corpi operano i cosiddetti vincoli di posizione. In generale, “per un sistema, si dice “vincoloâ€? ogni configurazione che limita la liberta’ di movimento dei punti del sistema e che analiticamente e’ rappresentabile mediante una equazione o una inequazione, finita, o differenziale, nelle coordinate dei punti del sistema.â€? ⌋ZeuliâŚŒ. Ogni vincolo di posizione e’ caratterizzato da una equazione del tipo đ?œ‘đ?‘– ( đ?‘Ľ1 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś1 (t),đ?‘§1 (t) đ?‘Ľ2 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś2 (t), đ?‘§2 (t), đ?‘Ľ3 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś3 (t), đ?‘§3 (t)) = 0

Ogni vincolo come quello introdotto e’ detto vincolo di posizione bilaterale. Ove, per contro, fossero stati introdotti vincoli per i quali risulti đ?œ‘đ?‘– ( đ?‘Ľ1 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś1 (t),đ?‘§1 (t) đ?‘Ľ2 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś2 (t), đ?‘§2 (t), đ?‘Ľ3 (đ?‘Ą) , đ?‘Ś3 (t), đ?‘§3 (t)) ≼ 0 si

dovrebbe

unilateriale.

propriamente

parlare

di

vincoli

di

posizione


Nella tassonomia dei vincoli poi si distingue tra vincoli fissi, detti sclerodromi, che non dipendono dal tempo e vincoli che dipendono dal tempo, sono quindi variabili nel tempo e detti reonomi.

Comunque, in generale poiche’ deve essere

n = 3N – k > 0 si ha

ovviamente che k < 3đ?‘ Si ammette che le funzioni đ?œ‘đ?‘–

siano continue unitamente alle

funzioni derivata prima e seconda parziale di esse. Sono moti ammissibili solo quelli che prevedono contemporaneamente sia đ?œ‘đ?‘– = 0, ∀ i ≤ đ?‘˜. Per esempio, se si considera k = 2 il sistema e’ descritto dalla seguente matrice di Jacobi đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘Ľ (đ?œ•đ?œ‘ 1 2 đ?œ•đ?‘Ľ1

đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘Ś1 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?‘Ś1

đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘§1 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?‘§1

đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘Ľ2 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?‘Ľ2

đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘Ś2 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?‘Ś2

đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?œ‘1 đ?œ•đ?‘§2 đ?œ•đ?‘Ľ3 đ?œ•đ?‘Ś3 đ?œ•đ?‘§3 ) đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?œ‘2 đ?œ•đ?‘§2 đ?œ•đ?‘Ľ3 đ?œ•đ?‘Ś3 đ?œ•đ?‘§3

Se n e’ il numero dei gradi di liberta’ e’ allora possibile per ogni punto i introdurre i parametri (�1 , �2 ‌ ‌ �� ) e i punti →

đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘–

sono

definiti nel termine seguente ∀ i ≤ N →

đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘–

= → (đ?‘ž1 , đ?‘ž2 ‌ ‌ đ?‘žđ?‘› ) đ?‘‚đ?‘ƒđ?‘–

Equivalentemente le equazioni scalari, che nel caso dell’esempio erano nove, risultano ponibili come segue


�� = �� (�1 , �2 ‌ ‌ �� ) �� = �� (�1 , �2 ‌ ‌ �� ) �� = �� (�1 , �2 ‌ ‌ �� )

Tanto premesso, viene introdotta una ulteriore matrice jacobiana avente n righe, eguale al numero dei gradi liberta’, e 3N colonne che ho sintetizzato con il seguente formalismo quando n = 2.

đ?œ•đ?‘Ľ1 đ?œ•đ?‘Ś1 đ?œ•đ?‘§1 đ?œ•đ?‘ž đ?œ•đ?‘ž đ?œ•đ?‘ž (đ?œ•đ?‘Ľ 1 đ?œ•đ?‘Ś1 đ?œ•đ?‘§1 1 1 1 đ?œ•đ?‘ž2 đ?œ•đ?‘ž2 đ?œ•đ?‘ž2

đ?œ•đ?‘Ľ2 đ?œ•đ?‘ž1 đ?œ•đ?‘Ľ2 đ?œ•đ?‘ž2

đ?œ•đ?‘Ś2 đ?œ•đ?‘ž1 đ?œ•đ?‘Ś2 đ?œ•đ?‘ž2

đ?œ•đ?‘§2 đ?œ•đ?‘Ľ3 đ?œ•đ?‘Ś3 đ?œ•đ?‘§3 đ?œ•đ?‘ž1 đ?œ•đ?‘ž1 đ?œ•đ?‘ž1 đ?œ•đ?‘ž1 ) đ?œ•đ?‘§2 đ?œ•đ?‘Ľ3 đ?œ•đ?‘Ś3 đ?œ•đ?‘§3 đ?œ•đ?‘ž2 đ?œ•đ?‘ž2 đ?œ•đ?‘ž2 đ?œ•đ?‘ž2

In effetti, l’equazione di Lagrange Eulero e’ esprimibile anche in termini di variabili generalizzate, potendo quindi scrivere � ��

đ?œ•đ??ż

(đ?œ•đ?‘žâ€˛ ) đ?‘–

đ??żđ?‘Ž quantita’

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘žđ?‘–

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘žâ€˛đ?‘–

= 0

e’ chiamata momento coniugato generalizzato di �� .

Per ognuno degli N punti materiali viene definita la velocita’ vettoriale đ?‘Łâƒ—đ?‘– = ∑đ?‘›â„Ž=1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗đ?‘– đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘žâ„Ž

�′ℎ


đ?‘ƒđ?‘’r ognuno degli i ≤ N corpi puntiforimi la velocita’ vettoriale risulta la risultante vettoriale delle velocita’ lungo n direzioni. E’ bene ricordare che da đ?‘Łâƒ—đ?‘– = ∑đ?‘›â„Ž=1 đ?œ• đ?‘ž đ?œ•đ?‘Ą â„Ž

ovvero risulta ∑đ?‘›â„Ž=1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗đ?‘– đ?œ• đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?‘ž đ?œ•đ?‘žâ„Ž đ?œ•đ?‘Ą â„Ž

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗đ?‘– đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘žâ„Ž

= ∑đ?‘›â„Ž=1

đ?‘žâ€˛â„Ž si puo’ notare che đ?‘žâ€˛â„Ž = ⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗đ?‘– đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘Ą

Si consideri il caso dello spazio a tre dimensioni, ovvero sia N = 3. Se e’ assegnato un vincolo i corpi sono vincolati a muoversi, ad esempio, su un piano. In termini di coordinate generalizzate per i punti 1, 2 e 3 risulta che đ?‘Łâƒ—1 (đ?‘Ą) = ∑2â„Ž=1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗ đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ 1 đ?œ•đ?‘žâ„Ž

đ?‘Łâƒ—2 (đ?‘Ą) = ∑2â„Ž=1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗ đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ 2 đ?œ•đ?‘žâ„Ž

đ?‘Łâƒ—3 (t) = ∑2â„Ž=1 đ?‘Łâƒ—đ?‘– ≤3 (t)

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗1 ( đ?‘žâ€˛1 + đ?‘žâ€˛â„Ž = đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘ž 1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗2 ( đ?‘žâ€˛1 + đ?‘žâ€˛â„Ž = đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘ž

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗ đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ 3 đ?‘žâ€˛â„Ž đ?œ•đ?‘žâ„Ž

1

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗3 ( đ?‘žâ€˛1 + = đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘ž

= 0 quando

1

đ?‘žâ€˛đ?‘– đ?œ•đ?‘žđ?‘–

đ?‘žâ€˛2 đ?œ•đ?‘ž2

đ?‘žâ€˛2 đ?œ•đ?‘ž2

)

đ?‘žâ€˛2 đ?œ•đ?‘ž2

)

)

= 0 (assenza di moto)

′

�′ 2

đ?œ•đ?‘ž1

đ?œ•đ?‘ž2

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗2 = ( đ?‘ž 1 + đ?‘Łâƒ—2 (đ?‘Ą) = đ?‘Łâƒ—3 (t) â&#x;š đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗3 ( đ?‘žâ€˛1 + ) = đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ đ?œ•đ?‘ž1

đ?‘žâ€˛2 đ?œ•đ?‘ž2

⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗2 (đ?‘Ą) = đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ ⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗⃗3 (t) )â&#x;š đ?œ•đ?‘‚đ?‘ƒ


Questa argomentazione e’ vera sicuramente quando đ?‘ƒ(đ?‘Ą)2 = đ?‘ƒ(đ?‘Ą)3 ∀ t ≼ 0, in questo caso i due punti sono identicamente, nel dominio del tempo, il medesimo punto.

E’

pero’

intravedibile

una

soluzione

ulteriore

del

problema

coerente con la teoria vettoriale per la quale due vettori possono essere intesi eguali quando hanno il medesimo modulo, la medesima direzione e il medesimo verso.

Nei due casi i vettori sono eguali, ovvero paralleli, aventi lo stesso modulo e medesimo verso. Un vettore puo’ sempre essere inteso come la differenza di due vettori.

E’ possibile introdurre una formulazione generalizzata detta equazione simbolica della dinamica per la quale a partire


dalla relazione ∂W = ∑đ?‘ đ?‘– =1 đ??šđ?‘– đ?œ•đ?‘ƒđ?‘– ove le grandezze vanno intese in senso vettoriale e il prodotto entro sommatoria quale un prodotto scalare. Applicando la teoria di D’Alembert essa viene scritta come ∂W = ∑đ?‘ đ?‘– =1(đ??šđ?‘– − đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– )đ?œ•đ?‘ƒđ?‘– = 0 Tale formulazione e’ nota come equazione simbolica della dinamica o equazione simbolica del moto. Per

i

sistemi

che

solitamente

si

considerano,

detti

conservativi, si ammette la conservazione dell’energia. Per essi risulta d(V+K) = 0 ove V e K sono, rispettivamente, l’energia potenziale e quella cinetica.

Ho rinvenuto in un pregevole volume ⌋ZeuliâŚŒ il ragionamento che sta alla base del principio di D’Alembert. Esso

e’

espressione

di

un

“metodo

generale

per

i

problemi

dinamici�. L’applicazione

di

detto

principio

presuppone

note

le

đ??šđ?‘–

che

garantiscono la staticita’, ovvero l’equilibrio del sistema. Note le đ??šđ?‘– la presenza di “limitazioni qualitativeâ€? al moto induce delle reazioni, dette vincolari, aventi le dimensioni fisiche di una forza, indicate come đ?œ‘đ?‘– .


Esse, ovviamente si intendono in senso vettoriale.

L’applicazione del secondo principio della dinamica porta a scrivere đ??šđ?‘– + đ?œ‘1 = đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– ⇔ (đ??šđ?‘– − đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– ) + đ?œ‘đ?‘– = 0. Anche

l’accelerazione

đ?‘Žđ?‘–

deve

intendersi

quale

grandezza

vettoriale. Scrive

l’autore

citato

⌋ZeuliâŚŒ

che

“ammettiamo

che

le

condizioni che limitano le đ?œ‘đ?‘– nel caso dell’equilibrio siano le stesse che nel caso del motoâ€?. Sovviene, credo di poter dire, un esempio elementare. Intendo, ad esempio, riferirmi al moto di un corpo nel campo di gravita’. Nel caso di assenza di vincoli la condizione di equilibrio e’ immediata.


Se

si

introduce

un

vincolo

alla

caduta

accelerata

la

situazione diviene

La quantita’ đ??šđ?‘– − đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– assume la denominazione di forze perdute. Con un artificio matematico assolutamente legittimo si scrive đ??šđ?‘– = đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– – (đ??šđ?‘– − đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– ) đ??šđ?‘– e’ detta forza attiva. đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘Ž e’ costituita da due componenti vettoriali la prima delle quali e’ đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– . đ??¸đ?‘ đ?‘ đ?‘Ž e’ interpretabile come quella forza che viene esercitata effettivamente sul corpo per effetto della contemporanea presenza, e, quindi, dei conseguenti effetti delle varie forze e dei vincoli introdotti. đ??żđ?‘Ž seconda componente (đ??šđ?‘– − đ?‘šđ?‘– đ?‘Žđ?‘– ) denota la parte delle forze che “va perduta per effetto dei vincoliâ€? ⌋ZeuliâŚŒ.

E’ bene introdurre la funzione di Hamilton, detta anche hamiltoniana.


Come detto, la funzione lagrangiana dipende sostanzialmente da tre variabili, dalla coordinata q, dalla sua derivata temporale, q’, e dal tempo t. Si ha L = L( q, q’, t) Se ci si riferisce a n gradi di liberta’, risulta đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

đ?œ•đ??ż

đ?œ•đ??ż

= ( ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ•đ?‘ž đ?‘žâ€˛đ?‘– +đ?œ•đ?‘žâ€˛ đ?‘žâ€˛â€˛đ?‘– ) + đ?‘–

đ?‘–

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

La forma entro parentesi tonde e’ interpretabile come il teorema di von Leibnitz della derivata del prodotto di due funzioni (in effetti anche derivata prima e seconda sono sempre funzioni‌..). Ponendo

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘žđ?‘–

= đ?‘?′đ?‘–

Risulta evidentemente che đ?œ•đ??ż

đ?œ•đ??ż

( ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ•đ?‘ž đ?‘žâ€˛đ?‘– +đ?œ•đ?‘žâ€˛ đ?‘žâ€˛â€˛đ?‘– )= đ?‘–

đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

=

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–

đ?‘–

+

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

Integrando indefinitamente, a meno di una costante risulta, L =

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– + φ â&#x;š L - ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–

=φ


La quantita’ - φ e’ detta funzione di Hamilton e la si indica con la lettera H avendosi quindi H = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– – L

Sulla base della impostazione utilizzata ⌋Susskind, HrabovskyâŚŒ e’ stato agevole trovare “a very simple formâ€?‌.. Infatti

da

H = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– – L, applicando

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

, ad essa, tenendo

conto pure della proprieta’ di linearita’, risulta � ��

H =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– -

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

L

�� gia’ si era trovato che

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

L =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–

+

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

.

Pertanto, sostituendo in formula, si ottiene đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

-

H =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– – (

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

Ovvero, c.v.d. đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

H = -

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–

+

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘– –

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ą

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘?đ?‘– đ?‘žâ€˛đ?‘–


Uno

strumento

ulteriore

utile

alla

meccanica

quantistica

e’

l’operatore ∇ utile alla definizione della nozione di divergenza. Per definizione risulta ∇ �

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

+

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ś

+

đ?œ• đ?œ•đ?‘§

Sia quindi assegnato un vettore dello spazio đ?‘‰đ?‘œ3 Sia esso v = â&#x;¨đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ â&#x;Š La divergenza, che e’ una grandezza scalare, e’ il prodotto scalare seguente đ?œ•

∇v

đ?œ•

đ?œ•

= (đ?œ•đ?‘Ľ + đ?œ•đ?‘Ś + đ?œ•đ?‘§ ) (đ?‘Łđ?‘Ľ , đ?‘Łđ?‘Ś , đ?‘Łđ?‘§ ) =

đ?œ•đ?‘Łđ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľ

+

đ?œ•đ?‘Łđ?‘Ś đ?œ•đ?‘Ś

+

đ?œ•đ?‘Łđ?‘§ đ?œ•đ?‘§

L’uso della divergenza e’ particolarmente utile per lo studio dello spazio delle fasi.

Vorrei

condurre

una

riflessione

ulteriore

sulla

derivata

della

lagrangiana rispetto al tempo. đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

=

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

x’ +

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

Ho considerato il caso di un solo grado di liberta’, ma la sostanza delle cose non muta se si munisce la x di un indice i, ovvero considerando i vari đ?‘Ľđ?‘– . Una prima manipolazione, peraltro gia’ utilizzata, ammette che đ?œ•đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ą

= x’ ⇔đ?œ•đ?‘Ľ = x’ ∂t .

Da essa si ricava immediatamente che


∂t =

đ?œ•đ?‘Ľ đ?‘Ľâ€˛

Ma ho poi potuto constatare che si puo’ ammettere sia dt ≥ ∂t . A questo punto, cio’ premesso, risulta essere đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

=

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

x’ +

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

�′

1

1

1

1

đ?œ•đ?‘Ą

đ?œ•đ?‘Ą

đ?œ•đ?‘Ą

đ?œ•đ?‘Ą

đ?œ•đ?‘Ą

= ∂L ( + ) = ∂L ( + ) = 2∂L ( )

Risultando quindi

đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

đ?œ•đ??ż

= 2( ) đ?œ•đ?‘Ą

Nel caso di n gradi di liberta’ la relazione assume la sembianza seguente đ?‘‘đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą

=(n+1)

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ą

Da essa posso scrivere che dL =(n+1)∂L Ho quindi formalizzato una conclusione provvisoria del tipo

Se e’ nota

đ???đ?‘ł đ???đ?’•

allora e’ ricavabile

đ?’…đ?‘ł đ?’…đ?’•

, secondo la relazione seguente che contiene gli n

gradi n di liberta’. Si ha �� ��

đ???đ?‘ł

=(n+1) đ???đ?’•

Questo risultato puo’ essere coordinato ottenendo che dL dt

= -(n+1)

dH dt

Tale relazione e’ ponibile nella forma d dt

L = -(n+1)

d dt

H


Integrando indefinitamente, a meno di una costante additiva, si ha L = -(n+1)H Ma questo e’ un caso estremamente particolare, che ho dovuto usare mio malgrado per impratichirmi delle quesitoni, e va quindi generalizzato quando le varie ∂L non possono (non potendo, per conseguenza, raccogliere ∂L a fattore comune), come solitamente e’, considerarsi eguali. In questo caso risulta legittimo scrivere đ?‘‘đ??ż 1 = ∑ đ?œ•đ??ż đ?‘‘đ?‘Ą đ?œ•đ?‘Ą Ovvero dL = ∑ đ?œ•đ??ż.

Occorre ora considerare lo spazio delle fasi, prevedendo di poter descrivere il moto con 2n parametri, ovvero le n coordinate lagrangiane đ?‘žđ?‘– e i momenti associati, ovvero i momenti đ?‘?đ?‘– . Per definizione risulta đ?‘?đ?‘– â‰?

đ?œ•đ??ż(đ?‘ž,đ?‘ž ′ ,đ?‘Ą) đ?œ•đ?‘žâ€˛đ?‘–

đ??ˇđ?‘Ž detta definizione di ottiene ⌋ZeuliâŚŒ la forma detta delle equazioni di Lagrange ovvero đ?‘‘đ?‘?đ?‘– đ?‘‘đ?‘Ą

=

đ?œ•đ??ż(đ?‘ž,đ?‘ž ′ ,đ?‘Ą) đ?œ•đ?‘žđ?‘–


Se si ragiona su un solo grado di liberta’, ma la sostanza delle cose non muta per n gradi di liberta’ se si utilizza un indice i che varia da 1 a n. si ha, a partire dall’equazione di Lagrange, che đ?‘‘đ?‘? đ?‘‘đ?‘Ą

=

Per

đ?œ•đ??ż(đ?‘ž,đ?‘ž ′ ,đ?‘Ą) đ?œ•đ?‘ž

una

â&#x;š

p’ =

đ?œ•đ??ż 1 đ?œ•đ?‘Ą đ?‘žâ€˛

relazione

in quanto

đ?œ•đ?‘ž đ?œ•đ?‘Ą

precedentemente

= q’ â&#x;š ∂q =∂t q’ introdotta

possiamo

scrivere p’ =

đ?œ•đ??ż 1 đ?œ•đ?‘Ą đ?‘žâ€˛

đ?œ•đ??ť 1

â&#x;š p’ = − đ?œ•đ?‘Ą đ?‘žâ€˛ = −

đ?œ•đ??ť đ?œ•đ?‘ž

Quella indicata e’ la seconda equazione canonica del moto di Hamilton.

La prima equazione canonica non mi e’ risultata immediatamente ricavabile algebricamente da essa. Infatti, ho potuto notare che da

đ?œ•đ??ť 1

p’ = − đ?œ•đ?‘Ą đ?‘žâ€˛ si ricava

đ?œ•đ?‘? đ?œ•đ?‘Ą

=

đ?œ•đ??ť 1

− đ?œ•đ?‘Ą đ?‘žâ€˛.

L’oscillatore armonico e’ considerato ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ un formalismo utile a “comprendere un gran numero di fenomeni.â€? I sistemi fisici riconducibili al caso dell’oscillatore armonico sono tutti caratterizzati da una funzione dell’energia potenziale del tipo


V(x) =

đ?‘˜ 2

đ?‘Ľ2

in quanto “quasi tutte le funzioni regolari si comportano come una parabola nei pressi di un punto di minimoâ€?. Alla lagrangiana del modello introdotto da Bohr ho preferito quella di Susskind e Friedman (ma in altra parte ho indicato i passaggi che le rendono equivalenti‌.) Si ha L = La

1 2

�′2 -

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2

giustificazione

delle

formule

che

si

evidenziano

e’

abbastanza

evidente. đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

=

đ?œ•

(

1

đ?œ•đ?‘Ľâ€˛ 2

�′2 ) -

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

(

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2 ) =

1 2

2 (x’) - 0 = x’

đ??ˇđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘Ž quantita’ come e’ noto e’ detta momento coniugato a x. đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

= x’ e’ derivabile rispetto al tempo.

đ?‘…đ?‘–đ?‘ đ?‘˘đ?‘™đ?‘Ąđ?‘Ž che

đ?‘‘

(

đ?œ•đ??ż

đ?‘‘đ?‘Ľ đ?œ•đ?‘Ľâ€˛

= x’) = x’’

Questo risultato e’ evidente in quanto la derivata prima di una derivata prima e’ una derivata seconda, rispetto al tempo‌. Diventa poi evidente il calcolo di

đ?œ•đ??ż đ?œ•đ?‘Ľ

=

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ľ

1

đ?œ•

2

đ?œ•đ?‘Ľ

( �′2 ) -

(

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2 ) = 0 -

1 2

đ?œ”2 2đ?‘Ľ =

−đ?œ”2 đ?‘Ľ Dall’equazione di Lagrange Eulero si ha quindi che x’’ = −đ?œ”2 đ?‘Ľ Lo step successivo e’ costituito dalla definizione della funzione di Hamilton, gia’ nota che nella forma del Susskind e’


H =

1 2

�′2 +

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2

⇔ H =

1 2

đ?‘?2 +

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2

, p = x’.

Il passaggio e’ giustificato per la questione sollevata da Born in relazione alla osservabilita’ delle grandezze, in quanto la velocita’ non e’ una variabile osservabile.

Nel mondo della fisica classica una delle componenti della funzione di Lagrange e di Hamilton e’ costituita dalla energia potenziale del sistema, denotata solitamente con la scrittura V(x) che nel caso dell’oscillatore armonico risulta essere V(x) =

1 2

đ?œ”2 đ?‘Ľ 2

ove x(t) = đ?‘Ľ 2 indica la legge oraria del moto, ovvero la posizione ai vari istanti t di tempo come dal grafico seguente

Al tempo t = 0 si ha x(0) = 0 e piu’ in generale vale la seguente tabella

t

x(t)

0

0

1

1

2

4

3

9


etc. Nella

parte

relativa

alla

funzione

di

Lagrange

si

era

evidenziato che đ?œ•đ??ž

F = đ?œ•đ?‘Ľ

đ?œ•đ?‘‰

-

đ?œ•đ?‘Ľ

= m(đ?‘Ž1 − đ?‘Ž2 ) = 0 - mđ?‘Ž2

Vi e’ una forma concisa della meccanica newtoniana ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ che sintetizza cio’ ovvero F(x) = -

đ?œ•đ?‘‰ đ?œ•đ?‘Ľ

=m

đ?‘‘2 đ?‘‘đ?‘Ą 2

x(t)=

đ?‘‘đ?‘? đ?‘‘đ?‘Ą

6. Quanti d’azione Quando, agli inizi del Novecento del secolo scorso, i fisici, ormai convinti, anche per effetto dell’impulso interpretativo di John Dalton, grande chimico inglese, dell’esistenza degli atomi e delle molecole, fecero le loro prime esperienze con l’idrogeno

compresero

che

gli

strumenti

teorici

in

loro

possesso non erano adeguati a comprendere la realta’ atomica. La stessa stabilita’ degli atomi non si giustificava con le leggi della fisica classica.


L’emissione e l’assorbimento di energia da parte degli atomi secondo

il

modo

di

intendere

l’evidenza

sperimentale

si

l’assorbimento

e

accordava con una ipotesi rivoluzionaria. Si

doveva

l’emissione

in

definitiva di

energia

ammettere non

che

potessero

avvenire

con

continuita’, ma in modo discreto, sotto forma di quanti di energia, di valore hν, ove h e’ il valore di una costante, detta di Planck, e ν e’ il valore della frequenza della radiazione. Si noti che la frequenza e’ una grandezza fisica (inverso di un periodo, e quindi misurata in đ?‘ đ?‘’đ?‘? −1 ovvero in hertz) tipica dei fenomeni ondulatori. Albert

Einstein

generalizzo’

questo

modo

di

intendere

l’energia, o meglio la radiazione, postulando che la luce, e piu’ in generale, ogni radiazione elettromagnetica, fosse costituita da particelle elementari dette quanti di luce o fotoni. Egli assunse l’ipotesi della costanza della velocita’ della luce nel vuoto per ogni osservatore che dovesse compiere una misurazione, a prescindere dalle distinte condizioni di moto relativo.


La natura corpuscolare della luce e’ ben evidenziata in relazione all’effetto fotoelettrico, la cui spiegazione valse ad Albert Einstein il Premio Nobel per la fisica nel 1905, unitamente ad altri suoi contributi alla fisica teorica. In ogni caso fin dagli esordi la nuova fisica evidenziava come per la luce la natura ondulatoria e quella corpuscolare (o particellare) coesistessero, o come fu detto da Bohr essi venivano considerati come aspetti “complementari”. In ogni caso una formula molto utile che collega le grandezze rilevanti e’ sicuramente data da c = λν, ove

c

e’

la

velocita’

della

luce,

e

λ e

ν

indicano,

rispettivamente, la lunghezza d’onda e la frequenza della radiazione elettromagnetica. ⦋vedi, Born, Cap. 4, par. 24⦌

7. L’effetto fotoelettrico Nei

termini

piu’

ampi

l’effetto

fotoelettrico,

o

fotoelettronico, consiste nella presenza di una corrente elettrica

dovuta

ad

una

radiazione

elettromagnetica

che


incide sulla superficie di un catodo metallico di un circuito elettrico. Esistono

diverse

modalita’

generatrici

dell’effetto

fotoelettrico la cui spiegazione teorica valse ad Albert Einstein il Premio Nobel per la fisica. Il circuito piu’ semplice e’ dovuto a Lenard ⦋ Born ⦌ anche se esistono

ciuruiti

piu’

sofisticati

⦋Fredon,

Callea,

Magloire⦌. La scoperta sperimentale di esso risale al 1887 ed e’ dovuta al fisico tedesco Hertz. Il circuito di Lenard e’ sostanzialmente il seguente ⦋Born⦌.


Il

verso

convenzionale

della

corrente

e’

dall’anodo

al

catodo. Il verso reale delle cariche negative e’ opposto. Il meccanismo e’ il seguente. La radiazione elettromagnetica incide il catodo K. Il

catodo

metallico

emette

elettroni,

ovvero

particelle

cariche convenzionalmente negativamente. Tra anodo A e catodo K la presenza di una pila genera un campo elettrico

E

per

cui

oltre

l’anodo

si

ha

un

flusso

di

elettroni, quindi una corrente elettrica. Tra catodo e anodo si ammette vi sia il vuoto, situazione equiparabile ad un corto circuito ideale. Il meccanismo qualitativo di spiegazione del fenomeno e’ il seguente. La luce, e piu’ in generale la radiazione elettromagnetica e’ costituita da granuli di energia, detti fotoni o quanti d’azione. Quando uno di essi incide un elettrone di un atomo metallico del catodo K lo stacca dall’atomo e esso si sposta nella direzione dal catodo all’anodo con una condizione di moto data dalla presenza del campo E.


Esiste

una

relazione

energetica

semplice

che

quantitativamente definisce il fenomeno. L’energia E degli elettroni e’ data dalla seguente relazione. E = hν – A Anche questa relazione e’ espressione della conservazione dell’energia in quanto l’energia dell’elettrone e’ data dalla differenza tra l’energia del quanto d’azione hν e il lavoro che

e’

stato

necessario

per

espellere

l’elettrone

piu’

esterno. Questa formula fa comprendere che il fenomeno e’ influenzato, ovvero

dipende

essenzialmente

dalla

frequenza

ν

della

radiazione elettromagnetica incidente, in quanto A e’ una costante sperimentale che dipende dal tipo di metallo. Se hν < A il fenomeno non si verifica. Gli elettroni espulsi sono detti fotoelettroni. Quindi per un dato metallo, cui corrisponde un determinato lavoro di estrazione A, si ha una frequenza minima detta frequenza di soglia, al disotto della quale il fenomeno non si verifica.

8. Il modello atomico di Bohr


Nel 1913 Niels Bohr elaboro’ la sua teoria atomica della materia

per

radiazione

la

da

quale

parte

l’emissione

degli

atomi

o

non

l’assorbimento puo’

avvenire

di quel

quantita’ qualunque ma per quantita’ discrete corrispondenti alla differenza tra livelli energetici detti anche stati stazionari discreti. Questo modo di ragionare giustifica le righe di emissione e di assorbimento. Si

consideri,

ad

esempio,

il

caso

dell’emissione

di

radiazione. Un atomo viene irraggiato da una radiazione hν e un elettrone di esso dotato di una data energia assorbe una quantita’ di energia hν. A questo punto la situazione si complica concettualmente perche’ si potrebbe pensare che un elettrone inciso dalla radiazione sic et simpliciter si collochi su un livello energetico superiore di energia đ??¸2 = đ??¸1 + hν. Questa argomentazione non e’ vera in generale. Essa e’ vera se e solo se In

questa

đ??¸2 e’ un valore ammesso.

argomentazione

sta

lo

scostamento

dalle

argomentazioni classiche. Infatti, si ricorda ⌋ Born âŚŒ che Bohr ammise che “l’atomo non si comporta come un sistema della meccanica classica che puo’


assorbire

⌋e

quindi

anche

emettereâŚŒ

energia

in

quantita’

aribitrariamente piccole�. Le formule possono essere spiegate semplicemente, se ci si riferisce alle righe di emissione, dicendo che l’emissione si realizza

quando

un

fotone

ha

una

energia

eguale

alla

differenza tra due livelli energetici ammessi per un dato atomo. La dinamica degli eventi e’ la seguente. Sono definiti i livelli di energia possibili per un atomo. Essi sono đ??¸1 ‌ . đ??¸đ?‘˜ ‌ ‌ đ??¸đ?‘› đ??¸1 e’ detto stato fondamentale. Le frequenze đ?œˆđ?‘–,đ?‘— per le quali risulta hđ?œˆđ?‘–,đ?‘— = đ??¸đ?‘– − đ??¸đ?‘— con i > đ?‘— determinano che l’elettrone si colloca su un livello piu’ esterno per poi decadere nel livello energetico originale đ??¸đ?‘— . Se la radiazione incidente ha una frequenza di oscillazione ν tale che hν ≠đ??¸đ?‘– − đ??¸đ?‘— con i > đ?‘— allora il fenomeno di assorbimento energetico e di successiva emissione non ha luogo.

Alla

stessa

logica

sono

assimilate

le

collisioni

tra

elettroni e atomi ⌋ Born âŚŒ.

Il tutto e’ spiegato sulla base di un principio detto di combinazione di Ritz.


Una banale rappresentazione grafica ne evidenzia il senso. Detto principio venne ricavato sperimentalmente prima della modellistica di Niles Bohr.

Ho

usato

1

per

il

livello

fondamentale

e

non

0

come

nell’istruttivo testo di Max Born per coordinarmi meglio con le formule che contengono n relativamente alle osservabili quantizzate.

Si noti che la differenza tra due livelli energetici contigui non e’ costante. La rappresentazione evidenzia tutte le modalita’ equivalenti di ricaduta dell'atomo nello stato fondamentale. I diversi colori usati evidenziano meglio dette alternative.


Gia’ si e’ detto ⌋BornâŚŒ che “le leggi del moto classiche cessano di avere valore all’interno dell’atomoâ€?. Il modello che solitamente si utilizza e’ quello dell’atomo di idrogeno con nucleo centrale, costituito da un protone e da un elettrone orbitante, ammettendo che la sua orbita sia circolare. La

forza

centrifuga

tra

le

particelle

cariche

e’

controbilanciata

dall’attrazione coulombiana, avedosi immediatamente che

đ?‘&#x; 2 đ?œ”3 =

đ?‘?đ?‘’ 2 đ?‘š

Vale il principio di conservazione dell’energia avendosi che e’ costante la somma dell’energia cinetica e di quella potenziale, ovvero đ?‘š 2 2 đ?‘&#x; đ?œ” 2

−

đ?‘?đ?‘’ 2 đ?‘&#x;

=

E

đ?‘ƒđ?‘’đ?‘&#x; il caso dell’idrogeno risulta Z = 1. E indica il lavoro che e’ necessario compiere contro le forze del campo per portare l’elettrone orbitante ad una distanza infinita dal nucleo in condizioni di quiete.

3 đ?‘šđ?‘? 2 đ?‘’ 4 đ?œ”2

In questo caso risulta che detto lavoro vale E = - √

8

Per gli atomi idrogenoidi sono ⌋ vedi BornâŚŒ stati ricavati i valori dei raggi delle orbite e delle velocita’ angolari dei livelli energetici ricavati sperimentalmente. Risulta đ?‘&#x;đ?‘› = đ?‘&#x;1

đ?‘›2 đ?‘?

đ?œ”đ?‘› = đ?œ”1

đ?‘?2 đ?‘›3


đ??żđ?‘Ž grandezza đ?‘&#x;1 e’ detta raggio di Bohr. đ??´đ?‘›đ?‘?â„Žđ?‘’

il

momento

della

quantita’

di

moto

p

e’

quantizzato,

e

tale

quantizzaizone e’ immediatamente ricavabile dalla definizione, avendosi che đ?‘?đ?‘› = mvđ?‘&#x;đ?‘› = mđ?‘&#x;1 2 đ?œ”1 đ?‘› =

â„Ž 2đ?œ‹

n

Max Born ha ricordato come Heisemberg critico’ la formalizzazione di Bohr in

quanto

“Se

si

vuole

costruire

una

meccanica

atomica

logicamente

coerente non si devono introdurre nella teoria se non quelle entita’ che sono fisicamente osservabili (‌.) le frequenze e le intensita’ della luce emessa dall’atomo essendo queste osservabili�. Heisemberg, Born e Jordan elaborarono la meccanica delle matrici. Assegnati i livelli m ed n la frequenza relativa alla transizione di stato 1

risulta essere đ?œˆđ?‘›đ?‘š = (đ??¸đ?‘› − đ??¸đ?‘š ) â„Ž

Detto frequenze sono rappresentabili in una matrice quadrata nm ovvero avendosi [đ?œˆđ?‘›đ?‘š ] đ??źđ?‘› essa e’ đ?œˆđ?‘›đ?‘š = 0 quando n = m. Lo sviluppo del calcolo matriciale prevede l’introduzione di altre matrici riferite ad altre grandezze fisiche. La moltiplicazione delle matrici di Heisemberg obbedisce alla regola del prodotto delle matrici come noto dall’algebra lineare.


Ma vi e’ una relazione di fondamentale importanza quando si considerano le coordinate q e i momenti cinetici p risultando la non commutativita’ e valendo quindi pq – qp

â„Ž

=

2đ?œ‹đ?‘–

In una trattazione relativa all’oscillatore armonico secondo la meccanica quantistica ⌋ BornâŚŒ E =

1 đ?‘?2 2 đ?‘š

+

1 2

viene utilizzata la seguente espressione dell’energia

fđ?‘ž 2

e vengono definite le equazioni del moto. Questo

e’

un

altro

modo

di

esprimere

l’energia

cinetica

e

quella

potenziale rispetto ad altre formulazioni ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ.

In particolare

1 đ?‘?2 2 đ?‘š

e’ un modo alternativo di indicare l’energia cinetica

come i passaggi seguenti evidenziano

1 đ?‘?2 2 đ?‘š

=

1 (đ?‘šđ?‘Ł)2 2

đ?‘š

=

1 2

mđ?‘Ł 2

Born ha introdotto nel suo “Fisica atomica� una appendice matematica, la numero

15,

contenente

la

formalizzazione

matematica

dell’oscillatore

armonico secondo la meccanica quantistica. Viene dato conto delle equazioni del moto. Vorrei precisarle con le osservazioni seguenti. La seconda di esse e’ in effetti sviluppabile come segue. q’ =

đ?‘? đ?‘š

=

đ?‘šđ?‘Ł đ?‘š

= v =

đ?‘‘đ?‘ž đ?‘‘đ?‘Ą

Vale la conservazione dell’energia, quindi đ?‘‘đ??¸ đ?‘‘đ?‘Ą

= 0


9. Il campo vettoriale Il

concetto

di

campo

ha

una

connotazione

essenzialmente

matematica. Dato đ?‘… đ?‘› se e’ dato un X ⊆ đ?‘… đ?‘› il campo vettoriale F e‘ definito dalla funzione F che associa ad ogni punto di X uno ed uno solo elemento di un insieme di vettori. In

altre

parole

∀

(�1 , �2 , ‌ ‌ . , �� )

∊ X ∃! F : (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ) ⇆

F(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ ‌ . , đ?‘Ľđ?‘› ). đ??š

(�1 , �2 , ‌ ‌ . , �� ) → F(�1 , �2 , ‌ ‌ . , �� ). Solitamente si scrive F: X → �0� . Vi sono due esempi canonici di campo, quello gravitazionale e quello elettrico. Il primo campo che solitamente si incontra e’ quello gravitazionale definito dalla seguente relazione vettoriale F(x) = -

đ?‘šđ?‘€đ??ş |đ?‘Ľ|3

x

La grandezza -

đ?‘Ľ |đ?‘Ľ|

e’ un vettore unitario, ovvero un versore.

Per ottenere la formula contenente il quadrato della distanza si puo’ procedere come segue -

đ?‘Ľ |đ?‘Ľ|3

= -

1 |đ?‘Ľ|2

|

đ?‘Ľ

|đ?‘Ľ|

| =−

1 |đ?‘Ľ|2


Ma |�|2 = � 2 Quindi si ottiene la relazione forse piu’ nota F(x) = -

đ?‘šđ?‘€đ??ş đ?‘Ľ2

đ?‘ĽĚ‚

Il segno meno indica il carattere attrattivo della gravitazione. Il secondo esempio elementare di campo e’ certamente quello elettrico. Date due cariche q e Q tra esse si esercita una ben nota forza, attrattiva o repulsiva, a seconda del segno convenzionale di esse, d definita dalla seguente relazione vettoriale F(x) = ¹ ξ

đ?‘žđ?‘„ đ?‘Ľ2

đ?‘ĽĚ‚

Va osservato che Îľ e’ una grandezza, costante di proporzionalita’, il cui valore varia a seconda del “mezzoâ€? nel quale si trovano le cariche, vuoto, aria, etc.. In realta’ da questa legge (detta di Coulomb) si ottiene una formulazione che presuppone di definire il campo elettrico in relazione ad una carica di prova q. Si ha E(x)=

đ??š(đ?‘Ľ) đ?‘ž

= Âą Îľ

đ?‘„ đ?‘Ľ2

đ?‘ĽĚ‚

Ho considerato le cariche in modulo. Il vettore E(x) e’ detto vettore campo elettrico. Ho deciso di dare una semplice rappresentazione grafica, sia nel caso gravitazionale, sempre attrattivo, che di quello elettrico.


Nel caso elettrico attrattivo le due cariche devono avere segno convenzionale opposto.


Questo

in

generale.

Quando

poi

si

tratta

di

definire

operativamente si ammette che la carica di prova q sia positiva. Quindi si pone q = đ?‘ž + , si considera convenzionalmente positiva la carica di prova, mentre si ammette che Q sia la carica generatrice del campo elettrico. Per queste convenzioni la riflessione espressa dai diagrammi evidenziati diviene sostanzialmente la seguente, ove sono possibili due soli casi, ovvero che Q sia una carica positiva (e concorde, quindi, con q), oppure una carica negativa.


Se e’ data ed assegnata la carica generatrice del campo elettrico, e, in ultima analisi, se e’ dato quindi E, allora e’ possibile determinare direzione, intensita’ e verso per una qualunque distribuzione di cariche, che in questo caso, per mera semplicita’ ho supposto complanari.

Il vettore campo elettrico in caso di presenza di due cariche oltre quella data, considerata generatrice del campo, e’ la risultante vettoriale dei vettori E risultanti dalla presenza delle singole cariche. � + puo’ intendersi come la carica di prova. Ma a questo punto la stessa configurazione delle tre cariche definisce in modo univoco direzione, verso e intensita’ del vettore campo elettrico, indicato in figura come ��


Il principio e’ noto in fisica come sovrapposizione degli effetti.

Mutuando

da

un

testo

istituzionale

di

fisica

⦋Halliday,

Resnick, Walker⦌ vorrei ricordare (peraltro semplificando una pregevole figura in esso contenuto) che il campo elettrico e’ rappresentato nel modo seguente.

Vi e’ un che di convenzionale nel considerare il verso di E dalla carica di prova alla carica assegnata, in questo caso negativa. I capp. 21 e 22 del testo citato definiscono bene i concetti basici

del

campo

elettrostatico

definizione

delle

linee

di

ed

campo

in e

particolare

della

la

particolare

condizione di tangenza che le lega al vettore E.

Nel caso di carica positiva la situazione corrispondente e’ la seguente.


Per semplicita’, rispetto al testo citato, ho considerato puntiformi le due cariche. Nella configurazione con due cariche e carica di prova la carica di prova đ?‘ž+ e’ sottoposta ad una forza F = đ?‘ž+ E. Essa ha direzione e verso coincidenti con E. Giova osservare che E deve considerarsi dato (per la presenza delle cariche đ?‘„1+ đ?‘’ đ?‘„2− ). Ma la relazione puo’, almeno astrattamente, essere letta in molti modi anche per ricavare il vettore campo elettrico. Possono essere usate in astratto distinte cariche di prova avendo distinte F, essendo costante E. Nella definizione del campo elettrico si pone đ?‘ž + → 0. Occorre ora introdurre i campi di gradiente. I campi vettoriali possono, come e’ noto, essere definiti mediante il gradiente, che e’ una grandezza vettoriale. In đ?‘… 3

il vettore gradiente di una funzione f(x, y, z) e’

correttamente definito dalla seguente relazione


∇ f(x, y, z) = đ?‘“đ?‘Ľ (x,y, z)i + đ?‘“đ?‘Ś (x,y,z)j + ove

�� (x, y, z)k

�� , �� e �� sono le derivate parziali di f(x,y, z).

Se si hanno n variabili il vettore gradiente e’ definito dalla seguente ∇ f(đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ) = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘“đ?‘Ľđ?‘– (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› )đ?‘ŁĚ‚ đ?‘Ľđ?‘– đ?‘“đ?‘Ľđ?‘– indica la derivata parziale prima rispetto alla variabile indipendente đ?‘Ľđ?‘– . đ?‘ŁĚ‚ đ?‘Ľđ?‘– e’ il versore della direzione i-esima. Viene quindi associato ad un punto di đ?‘… đ?‘› denotato dalla n-pla (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› ) un vettore ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘“đ?‘Ľđ?‘– (đ?‘Ľ1 , đ?‘Ľ2 , ‌ . . , đ?‘Ľđ?‘› )đ?‘ŁĚ‚ đ?‘Ľđ?‘– quando e’ definito il gradiente e quando e’ data la f.

E’ opportuno ritornare sul concetto di campo elettrico riferendosi alla carica di prova positiva. Si realizza una immediata condizione di equilibrio elettrostatico quando e’

data

una

distribuzione

simmetrica

di

cariche

elettriche

che

per

semplicita’ ho supposto puntiformi. Date due cariche, supposto il tutto visto nel piano, di segno opposto e in modulo di cariche non eguali e’ sempre possibile considerare un riferimento cartesiano e ammettere che risulti đ?‘ž+ ≥ (0, 0) e đ?‘„2− ≥ (-Îą , 0) e che la particella carica positivamente sia đ?‘„1+ ≥ (x, y) per semplicita’ nel I quadrante cartesiano.


Graficando e’ immediato dimostrare che una distribuzione simmetrica di đ?‘„2− ≥ (Îą , 0)

cariche per le quali siano introdotte due cariche tali che e

�1+ ≥ (x, -y) e’ tale che la particella di prova �+ ≥ (0, 0) non e’

sottoposta a forze nette e in particolare risulta E(0,0) = → 0

Tale osservazione e’ vera ∀đ?‘ž+ ≥ (0, 0). Deve, per contro, ritenersi che ponendo đ?‘ž+ ≥ (x, y)≠(0,0) sia in generale E(0,0) ≠→ . 0

Cio’ dovrebbe risultare vero ∀đ?‘ž+ .

Ho pensato di introdurre un ulteriore caso, credo abbastanza “didattico�.

Il vettore campo elettrico risultante e’ la differenza vettoriale tra i vettori dovuti alla presenza delle due particelle denotati con đ?‘Źđ?&#x;? e con đ?‘Źđ?&#x;? . E’ immediata la dipendenza da x. Risulta quindi che E(x) =

đ?‘Źđ?&#x;? (x) - đ?‘Źđ?&#x;? (x)

E’ possibile ricercare un x = đ?‘Ľđ?‘œ per il quale sia E(đ?‘Ľ0 ) = 0đ?‘‰02


Ricercare un punto nel quale sia nullo il campo elettrico equivale a ricercare un punto nel quale sia nullo il modulo del vettore che lo definisce. In ultima analisi deve risultare đ??š1 đ?‘ž + = đ??š2 đ?‘ž + â&#x;š |đ??š1 | = |đ??š2 | A questo punto il problema diviene puramente algebrico e nei passaggi algebrici successivi non diviene rilevante il valore della carica di prova, come deve ovviamente essere. I successivi passaggi chiariscono la situazione.

Poiche’ negli sviluppi si era giunti ad una relazione di eguaglianza tra modulo di forze allora negli sviluppi algebrici successivi le cariche elettriche

che

nell’esercizio

erano

supposte

positive

si

intendono,

ovviamente, in modulo, cosa abbastanza lapalissiana‌.. Sono immediati i seguenti passaggi đ?œ€đ?‘„1 đ?‘ž + đ?‘Ľ2

=

đ?œ€đ?‘„2 đ?‘ž + (đ?‘‘−đ?‘Ľ)2

â&#x;š

đ?‘„1 đ?‘Ľ2

=

đ?‘„2 (đ?‘‘−đ?‘Ľ)2

⇔ đ?‘„1 (đ?‘‘ − đ?‘Ľ)2 = đ?‘„2 (đ?‘Ľ)2 ⇔ đ?‘„2 (đ?‘Ľ)2 = đ?‘„1 (đ?‘‘)2 - 2 đ?‘„1 dx +

đ?‘„1 (đ?‘Ľ)2 ⇔ đ?‘Ľ 2 (đ?‘„2 − đ?‘„1 )+ 2dđ?‘„1 x - đ?‘„1 đ?‘‘ 2 = 0. Questa ultima relazione e’ una equazione di secondo grado, risolubile con la solita formula

x =

−đ?‘?Âąâˆšđ?‘? 2 −4đ?‘Žđ?‘? 2đ?‘Ž

ponendo

đ?‘„2 − đ?‘„1 = đ?‘Ž, b = 2dđ?‘„1 e c = - đ?‘„1 đ?‘‘ 2 .

La relazione đ?‘Ľ 2 (đ?‘„2 − đ?‘„1 )+ 2dđ?‘„1 x - đ?‘„1 đ?‘‘ 2 = 0 ha una immediata riformulazione nel caso particolare đ?‘„2 = đ?‘„1 . đ?‘„2 =đ?‘„1

đ?‘Ľ 2 (đ?‘„2 − đ?‘„1 )+ 2dđ?‘„1 x - đ?‘„1 đ?‘‘ 2 = 0 ⇔

2d�1 x - �1 � 2 = 0 ⇔ 2x = d


đ?‘‘

Quindi 2x = d ovvero x =

2

In buona sostanza si ricava un dato evidente. Infatti, se le cariche sono eguali allora collocando nel punto x =

đ?‘‘

una

2

carica di prova su di essa non si avra’ un effetto netto di forza e in particolare in detto punto il vettore campo elettrico sara’ nullo. Se le due cariche sono entrambe negative la sostanza delle cose non cambia, ma si dovrebbe avere l’accortezza di disegnare correttamente le componenti đ?‘Źđ?&#x;? đ?‘’ đ?‘Ź2 del campo dovuto alle due cariche‌‌

Prima

di

introdurre

ulteriori

sviluppi

sara’

utile

dare

significato al formalismo ∇f in forma vettoriale, formalismo comunemente detto gradiente. Trattasi di un vettore ottenuto con le logiche tipiche di un prodotto interno.. Nel dare un senso al fomalismo standard me ne sono capacitato considerando ∇f(x,y,z) come segue. đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

đ?œ•

∇f(x,y,z)= ⌋(i +j +k) *(đ?œ•đ?‘Ľ + đ?œ•đ?‘Ś + đ?œ•đ?‘§)âŚŒ f(x, y , z)= ⌋(iđ?œ•đ?‘Ľ + đ?‘— đ?œ•đ?‘Ś + đ?‘˜ đ?œ•đ?‘§)âŚŒf(x, y , z) Da

intendersi,

quindi

come

un

prodotto

interno

non

sviluppabile e da un successivo moltiplicare per una funzione alla stregua del prodotto di un vettore per uno scalare‌..


Quando sono date due funzione F e f per le quali risulta F = ∇f

allora

il

campo

definito

dalla

F

e’

detto

campo

conservativo e la funzione f e’ detta potenziale del campo conservativo. Nella fisica sono essenziali i campi conservativi, ove si conservano l’energia e la quantita’ di moto. Occorre

ora

introdurre

la

funzione

lapaciana

detta

comunemente laplaciano. Data la funzione f nello spazio ordinario a tre dimensioni e’ formalmente definibile il gradiente di essa, ovvero ∇f che, come detto piu’ sopra e’ una grandezza vettoriale. E’ stato dato

un

significato

alla

scrittura

∇(∇f) ≥

� 2 � che viene

comunemente chiamata operatore di Laplace o laplaciano. Esso

e’

un

operatore

lineare

ed

e’

sostanzialmente

una

divergenza.

In realta’ c’e’ una certa ambivalenza nel senso che si attribuisce pure significato ad un formalismo quale il seguente ∇(∇Α) ≥

�2 A

ove A e’ un assegnato vettore dello spazio, solitamente a tre dimensioni. In questo caso viene definito il laplaciano vettoriale.


In definitiva si tratta di ottenere un vettore le cui componenti sono le derivate parziali seconde del vettore dato.

Esiste evidentemente anche un problema inverso. Quindi dato ∇f (in forma vettoriale) e’ necessario ottenere f, ovvero il potenziale del campo. Se si opera con riferimento ad una variabile reale ovvero per F: R → R e’ sicuramente possibile affermare che ∇f(x) ≥

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

f(x)

Ho definito come đ?›ť − come l’operatore che riproduce la funzione f(x) ovvero nel senso che đ?‘‘

(đ?›ť − (∇)) f(x) ≥ ((đ?›ť − )(đ?‘‘đ?‘Ľ)) f(x) (đ?›ť − )≥ âˆŤ(. )d(.) đ?‘‘

đ?‘‘

Ma ((đ?›ť − )(đ?‘‘đ?‘Ľ)) f(x) ≥ (đ?›ť − )(đ?‘‘đ?‘Ľ f(x)) = (đ?›ť − )f’(x)=

âˆŤ đ?‘“′(đ?‘Ľ)d(x)

Se si ragiona in una logica di consistenza dimensionale il dx e’ necessario e non e’ certo un motivo di appesantimento. Con riferimento ad una funzione reale di una variabile reale si puo’ schematizzare come segue, vista ad esempio, come in cinematica, nel dominio del tempo � ��

f(t) →

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

âˆŤ đ?‘“(.)đ?‘‘(.)

f(t) = f’(t) →

âˆŤ đ?‘“′(đ?‘Ą)đ?‘‘(đ?‘Ą) = f(t) + cost.


Possono essere fatte ulteriori osservazioni che mi pare abbiano un significato solo formale. (đ?›ť − )≥ âˆŤ(. )d(.) puo’ essere inteso (?) come âˆŤ(. ) =

(đ?›ťâˆ’ ) đ?‘‘(.)

đ?‘€đ?‘Ž, se cio’ fosse corretto si dovrebbe dare un senso alla scrittura âˆŤ(. ) =

1 đ?‘‘

đ??śon uno sviluppo come quello seguente si realizza una equivalenza formale. âˆŤ đ?‘“′(đ?‘Ľ)d(x) =

f(x) =

1 đ?‘‘ f(x) đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

dx = f(x)

Equivalentemente questi passaggi equivalgono a considerare il caso f(x) =

1 đ?‘‘

d(f(x) =

đ?‘‘ đ?‘‘

f(x) = f(x)

Essa e’ suscettibile di interpretazione come segue. Alla funzione f e’ applicato l’operatore d e al risultato dell’operazione

l’operatore

inverso

che

riproduce

la

funzione.

10.

La natura ondulatoria dell’elettrone. Il principio di

De Broglie


L’intuizione

di

De

Broglie

che

ad

una

particella

fosse

associabile un’onda cosi’ come ad un’onda fosse associabile una particella e’ alla base della meccanica ondulatoria. La formula che collega le grandezze fisiche rilevanti e’ la seguente ℎ

Îť=đ?‘? immaginando “l’atomo come un moto ondoso attorno ad un dato punto, il nucleo.â€? ⌋ Born âŚŒ Si opera nell’approssimazione dell’onda piana e si ammette la condizione di quantizzazione del momento angolare dovuta a Bohr, avendosi p =

â„Ž đ?œ†

â„Ž

da cui n2đ?œ‹ =

â„Ž đ?œ†

ovvero nÎť = 2Ď€r

Nella teoria viene introdotta una equazione differenziale detta equazione d’onda intesa come legge del moto. Ad un’onda e’ associata una funzione d’onda. φ = đ?‘’ 2Ď€i(Ď„x−vt) = đ?‘’ (2Ď€i/ h)(px−Et) , ove ν e’ la frequenza e Ď„ il numero di onde. In particolare, oltre alla relazione di Planck E = hν, occorre ricordare che Ď„ =

1 Îť


11. Gia’

Gli operatori della meccanica quantistica si

e’

detto

della

rappresentazione

degli

stati

quantistici mediante i vettori ket che costituiscono uno spazio vettoriale. Essi ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ vengono tenuti nettamente distinti dalle “osservabili fisicheâ€? ovvero dalle grandezze fisiche osservabili quali la quantita’ di moto o il momento angolare. Le grandezze fisiche sono descritte da operatori lineari hermitiani. Occorre quindi dire quando un operatore e’ lineare e quando esso e’ pure hermitiano. Gia’ il termine operatore evoca qualcosa che agisce – che opera, appunto – su una grandezza per fare in modo che se ne ottenga, un’altra, secondo un criterio di univocita’. Essi possono essere indicati da lettere maiuscole quali la M grassetta, avendosi, ad esempio quando si considerano vettori ket formalismi del genere M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ Bâ&#x;Š

đ?‘€

≥ ⎚ Aâ&#x;Š →⎚ Bâ&#x;Š

Gli operatori della meccanica quantistica sono lineari. Un operatore e’ detto lineare quando gode di determinate proprieta’.


La

prima

di

esse

e’

rappresentata

dalla

unicita’

del

risultato. Detta proprieta’ se riferita ai ket si esprime nel modo seguente. Dato un operatore M

e un qualunque ⎚ Aâ&#x;Š allora non e’

garantita la sola esistenza di un

⎚ Bâ&#x;Š : ⎚ Bâ&#x;Š = M ⎚ Aâ&#x;Š ma ⎚ Bâ&#x;Š e’

unico. Formalmente ∀ ⎚ Aâ&#x;Š ∃! ⎚ Bâ&#x;Š = M ⎚ Aâ&#x;Š La formalizzazione M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ Bâ&#x;Š

đ?‘€

≥ ⎚ Aâ&#x;Š →⎚ Bâ&#x;Š e’ sempre vera

nel senso che comunque si prenda ⎚ Aâ&#x;Š ovvero ∀ ⎚ Aâ&#x;Š esiste sempre un ⎚ Bâ&#x;Š , risultato dell’operazione quando e’ assegnato M. Vale anche la seguente proprieta’. ⎚ Bâ&#x;Š = M ⎚ Aâ&#x;Š

â&#x;š M z⎚ Aâ&#x;Š = z⎚ Bâ&#x;Š ∀ z ∈ â„‚.

Essa puo’ essere intesa in termini di predicibilita’ di un risultato nel senso che se e’ noto che ⎚ Bâ&#x;Š e’ il risultato dell’operazione condotta su ⎚ Aâ&#x;Š

allora dato z⎚ Aâ&#x;Š mediante

l’operatore M si ottiene il vettore ket z⎚ Bâ&#x;Š. Al solito, il numero z deve intendersi complesso. Dalla lettura di un ottimo testo introduttivo ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ non traspare che gli operatori matematici della


meccanica quantistica debbano, in generale, essere tali che sia verificata la condizione M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ Bâ&#x;Š

â&#x;š

M ⎚ A’â&#x;Š = ⎚ B’â&#x;Š : ⎚ Bâ&#x;Š ≠⎚ B’â&#x;Š

∀ coppia di ket ⎚ Aâ&#x;Š ≠⎚ A’â&#x;Š Restando nel dominio dell’analisi matematica tale situazione si verifica per il caso dell’operatore di derivata

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

quando,

ad esempio, si consideri una funzione f: R → R. Infatti, data una funzione derivabile f(.) allora risulta per ogni costante reale k che � ��

f(x) =

đ?‘‘ đ?‘‘đ?‘Ľ

⌋f(x)+ kâŚŒ ∀k : k ∈ R.

Vale anche una proprieta’ piu’ familiare, ovvero che M (⎚ Aâ&#x;Š + ⎚ Bâ&#x;Š ) =

M ⎚ Aâ&#x;Š + M⎚ Bâ&#x;Š )

Il testo citato ⌋Susskind, FriedmanâŚŒ non la indica espressamente ma deve ritenersi valga anche la seguente proprieta’ M (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š ) =

M z⎚ Aâ&#x;Š

+ M w⎚ Bâ&#x;Š )

ove z e w sono due numeri complessi qualunque. Posto M z⎚ Aâ&#x;Š = z⎚ A’â&#x;Š

quando M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ A’â&#x;Š

Ed e’ anche M w⎚ Bâ&#x;Š = w⎚ B’â&#x;Š

quando M ⎚ Bâ&#x;Š = ⎚ B’â&#x;Š

Il secondo membro e’ riscrivibile come M z⎚ Aâ&#x;Š

+ M w⎚ Bâ&#x;Š = z⎚ A’â&#x;Š

+ w⎚ B’â&#x;Š.


Mi sorge, quindi, una questione che riguarda il primo membro. La linearita’ viene assunta come un dato ? Se si non vi e’ nulla da dimostrare. Se si ammette per ipotesi che l’operatore M sia lineare allora si ammette vero che M (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š ) =

M z⎚ Aâ&#x;Š

+ M w⎚ Bâ&#x;Š )

ove z e w sono due numeri complessi qualunque. Ma il primo membro della relazione deve essere visto anche da un altro punto di vista. Infatti, la scrittura M (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š ) evoca l’idea che sia definita la somma di vettori ket, e non puo’ che essere altrimenti‌‌ Gli step logici sono quindi i seguenti ⎚ Aâ&#x;Š , ⎚ Bâ&#x;Š

�,�

→

+

đ?‘€

z⎚ Aâ&#x;Š, w⎚ Bâ&#x;Š → (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š ) → M (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š )

La somma (z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š ) e’ una operazione interna quindi deve esistere un ket tale che sia y⎚ Câ&#x;Š =

z⎚ Aâ&#x;Š + w⎚ Bâ&#x;Š, ove y e’ un complesso.

Deve quindi determinarsi

y⎚ Câ&#x;Š.

Cosi’

giungere

operando

si

deve

al

medesimo

eguaglianza con il secondo membro. Questo sviluppo dovra’ essere rivisto.

Gli sviluppi sono abbastanza tranquilli.

risultato,

quindi

alla


Ogni vettore ket puo’ essere definito in modo univoco quando sia assegnata una base di vettori normalizzati (l’equivalente dei

vettori

i,

j,

k,

unitari,

detti

anche

versori

ortonormali). Per semplicita’ e familiarita’ con lo spazio tridimensionale e con i vettori a tre componenti e’ possibile considerare i vettori ket le cui componenti ortonormali sono rappresentate dal ket generico ⎚ jâ&#x;Š ove j assume i valori 1, 2, 3. Se un vettore v puo’ essere inteso come combinazione lineare reale dei vettori della base normale (i, j, k) ovvero se sono assegnati tre scalari, non contemporaneamente nulli, (a, b, c) per i quali sia v = ai + bj + ck

allo stesso modo un

vettore ket puo’ essere inteso come la somma (quindi, come una combinazione lineare) di ket normalizzati. Un ket qualunque ⎚ Aâ&#x;Š puo’ essere scritto come segue ⎚ Aâ&#x;Š = ∑đ?‘— đ?‘Žđ?‘— ⎚ jâ&#x;Š Se si ragiona nello spazio tridimensionale detto vettore ket e’ sviluppabile come segue ⎚ Aâ&#x;Š = ∑đ?‘— đ?‘Žđ?‘— ⎚ jâ&#x;Š = đ?‘Ž1 ⎚ 1â&#x;Š +đ?‘Ž2 ⎚ 2â&#x;Š + đ?‘Ž3 ⎚ 3â&#x;Š


⎚ j =1, 2, della

3â&#x;Š

e’ un formalismo che indica il numero d’ordine

dimensione,

insomma

il

numero

d’ordine

degli

assi

cartesiani, ovvero delle tre direzioni ortogonali. Cio’ posto risulta sviluppabile la relazione M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ Bâ&#x;Š come segue ∑đ?‘— đ?‘€đ?‘Žđ?‘— ⎚ jâ&#x;Š =∑đ?‘— đ?›˝đ?‘— ⎚ jâ&#x;Š. In generale si esegue in prodotto interno utilizzando un vettore bra â&#x;¨đ?‘˜âƒ’ e si ha che ∑đ?‘—â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘€|đ?‘—â&#x;Š đ?‘Žđ?‘— = ∑đ?‘—â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘—â&#x;Š đ?›˝đ?‘— La sommatoria ∑đ?‘—â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘—â&#x;Š đ?›˝đ?‘—

si sbroglia facilmente ed e’ uno

scalare đ?›˝đ?‘˜ . La gestione del primo membro diviene piu’ complessa in quanto ∑đ?‘—â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘€|đ?‘—â&#x;Š đ?‘Žđ?‘— presuppone considerare gli elementi â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘€|đ?‘—â&#x;Š ovvero riferirsi

alla

particolare

interpretazione

di

detto

formalismo. đ??ˇđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘œ

formalismo si interpreta come segue. E’ assegnato un

ket ⃒đ?‘—â&#x;Š

quindi l’operatore M agisce su di esso e si ottiene

un ket M⃒ đ?‘—â&#x;Š quindi si ha il prodotto interno il cui risultato non e’ un vettore bensi’ un numero complesso. đ??źđ?‘› đ?‘?đ?‘˘đ?‘œđ?‘›đ?‘Ž sostanza posso scrivere đ?‘€

â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘€|đ?‘—â&#x;Š ≥ ⃒ đ?‘—â&#x;Š →

M

đ?‘?.đ?‘–.

⎸đ?‘—â&#x;Š → â&#x;¨đ?‘˜|đ?‘€|đ?‘—â&#x;Š = đ?‘šđ?‘˜đ?‘—


đ??ˇđ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘–

elementi definiscono al variare dei due indici una

matrice quadrata di đ?‘ 2 elementi, ove N e’ la base dello spazio fisico che si considera, solitamente tridimensionale. đ?‘†đ?‘– ha quindi la seguente rappresentazione matriciale đ?‘š11 (đ?‘š21 đ?‘š31 I

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

due

đ?‘š13 đ?‘Ž1 đ?›˝1 đ?‘š23 ) (đ?‘Ž2 ) =(đ?›˝2 ) đ?‘š33 đ?‘Ž3 đ?›˝3

autori

⌋Susskind,

FriedmanâŚŒ affermano

�11 scrivere l’equazione simbolica M = (�21 �31

che

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

“possiamo

�13 �23 )� e poi �33

scrivono ulteriormente che “Questa equazione contiene un lieve abuso di notazione che farebbe venire il mal di pancia ad un puristaâ€? . Ma francamente questa “equazione simbolicaâ€? ha un che di superfluo. Valgono le regole standard della moltiplicazione tra matrici risultando, al variare di j ≤ đ?‘ che e’ đ?›˝đ?‘— = đ?‘šđ?‘—1 đ?‘Ž1 +

đ?‘šđ?‘—2 đ?‘Ž2 + ‌‌ + đ?‘šđ?‘—đ?‘ đ?‘Žđ?‘

Vengono definiti gli autovettori. Esistono particolari operatori lineari per i quali risulta M|Îťâ&#x;Š =Îť |Îťâ&#x;Š


I vettori |Îťâ&#x;Š e Îť |Îťâ&#x;Š hanno la medesima direzione. Al dunque si tratta di risolvere dei sistemini‌.. đ?‘Ž1 Solitamente e’ assegnato il ket |Îťâ&#x;Š = (đ?‘Ž2 ) ed e’ assegnata la đ?‘Ž3 đ?‘š11 matrice (đ?‘š21 đ?‘š31

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

đ?‘š13 đ?‘š23 ) . đ?‘š33

Se esiste uno scalare reale o un complesso k per il quale risulta

đ?‘š11 (đ?‘š21 đ?‘š31

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

đ?‘š13 đ?‘š23 ) đ?‘š33

autovalore, mentre il ket

đ?‘Ž1 (đ?‘Ž 2 ) đ?‘Ž3

đ?‘Ž1 =đ?‘˜ (đ?‘Ž2 ) đ?‘Ž3

allora

k

e’

detto

�1 (�2 ) e’ detto autovettore. �3

đ?‘Ž1 Dato un ket (đ?‘Ž2 ) viene definito un corrispondente bra secondo đ?‘Ž3 la seguente relazione đ?‘Ž1 |Aâ&#x;Š = (đ?‘Ž2 ) ↔ â&#x;¨đ??´| = (đ?‘Žâ€˛1 , đ?‘Žâ€˛2 , đ?‘Žâ€˛3 ) đ?‘Ž3 đ?‘Ž1 Ovvero â&#x;¨đ??´| Aâ&#x;Š = (đ?‘Žâ€˛1 , đ?‘Žâ€˛2 , đ?‘Žâ€˛3 ) (đ?‘Ž2 ) e’ un numero reale. đ?‘Ž3 Un operatore M e’ applicabile anche ad un bra â&#x;¨đ??´| e si scrive â&#x;¨đ??´|đ?‘€ risultando che đ?‘š11 đ?‘š â&#x;¨đ??´|đ?‘€ = (đ?‘Žâ€˛1 , đ?‘Žâ€˛2 , đ?‘Žâ€˛3 ) ( 21 đ?‘š31

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

đ?‘š13 đ?‘š23 ) đ?‘š33


Data

la

matrice

đ?‘š11 (đ?‘š21 đ?‘š31

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

đ?‘š13 đ?‘š23 ) đ?‘š33

e’

possibile

definire

la

matrice trasposta di essa, ottenuta scambiando ordinatamente le righe con le colonne. đ?‘š11 đ?‘š ( 21 đ?‘š31

đ?‘š12 đ?‘š22 đ?‘š32

�13 �11 � �23 ) → �12 �33 �13

đ?‘š21 đ?‘š22 đ?‘š23

đ?‘š31 đ?‘š32 đ?‘š33

đ??źđ?‘› buona sostanza nella trasposizione di matrici, ovvero nella definizione della trasposta di una matrice data risulta che (đ?‘šđ?‘–đ?‘— ) → (đ?‘šđ?‘—đ?‘– ) Nella

trasposizione

di

matrici

quadrate

si

conserva

la

diagonale principale. Si e’ detto che dato un ket si ottiene un bra secondo la relazione seguente đ?‘Ž1 đ?‘Ž |Aâ&#x;Š = ( 2 ) ↔ â&#x;¨đ??´| = (đ?‘Žâ€˛1 , đ?‘Žâ€˛2 , đ?‘Žâ€˛3 ) đ?‘Ž3 đ?‘š11 Data la matrice trasposta đ?‘š12 đ?‘š13 quella

i

cui

elementi

siano

đ?‘š21 đ?‘š22 đ?‘š23 i

�31 �32 e’ possibile ottenere �33 complessi

componenti di essa, ovvero la matrice

�′11 �′12 �′13

coniugati

�′21 �′22 �′23

�′31 �′32 �′33

dei


Questa ultima matrice e’ detta coniugata hermitiana. Essa viene indicata come đ?‘€ †In definitiva risulta che M ⎚ Aâ&#x;Š = ⎚ Bâ&#x;Š ⇔ â&#x;¨đ??´|đ?‘€â€ =â&#x;¨đ??ľ| Le grandezze fisiche osservabili della meccanica quantistica sono rappresentate da operatori per i quali risulta M = đ?‘€â€ Gli operatori hermitiani si indicano con la lettera L. Risulta per definizione che L = đ??żâ€ In essi il valore k o a volte indicato con la lettera greca lambda, Îť, ovvero l’autovalore e’ un numero reale.

12.

I postulati della meccanica quantistica

Lo stato di un sistema quantistico e’ definito da un elemento dello spazio vettoriale i cui elementi sono bra o ket. Grandezza fisica osservabile e’ sinonimo di misurabile. Dette

quantita’

hermitiani.

sono

rappresentate

da

operatori

lineari


Gli

autovalori

individuano

i

possibili

valori

delle

misurazioni. Si puo’ distinguere in modo non ambiguo uno stato quantistico da un altro solo che si considerino vettori ortogonali nel senso che se i vettori sono ortogonali allora essi definiscono stati non ambigui, ovvero distinguibili. La meccanica quantistica e’ probabilistica nel senso che viene definita la probabilita’ che una grandezza osservabile abbia misura Îť. P(Îť) = â&#x;¨đ??´|đ?œ†â&#x;Šâ&#x;¨đ?œ†|đ??´â&#x;Š 0 <

P(Îť)< 1

Poiche

vi

sono

diverse

possibilita’

di

misura

(sono

ammissibili valori diversi) si mette un opportuno indice e, almeno astrattamente, deve risultare ∑ đ?‘ƒ(đ?œ†đ?‘– ) = 1 Occorre ricordare che quando si ottengono i vari autovalori ovvero i valori numerici per i quali i vettori dati (bra o ket) e quelli ottenuti mediante L hanno la medesima direzione, indicano l’insieme delle possibili misure per la grandezza definita dal corrispondente vettore bra o ket.


13.

Le matrici di Pauli

Vanno ora introdotti gli operatori di spin. Pauli formalizzo’ la vicenda che si descrive usando le cosiddette matrici di Pauli. Il termine spin deriva dall’inglese to spin, che significa rotazione attorno ad un asse. Gli operatori di spin non sono bra o ket, quindi non rientrano nei cosiddetti vettori di stato a componenti complesse. Gli operatori di spin sono assimilabili a vettori dello spazio tridimensionale (detti anche trivettori). Ho focalizzato l’attenzione su questi passaggi ⦋Susskind, Friedman⦌ ovvero sulla circostanza che “un operatore di spin puo’ solo fornire informazioni sulla componente di spin lungo una direzione specifica” , risultando, come conseguenza che “per misurare lo spin lungo una direzione differente e’ necessario ruotare l’apparato.” E pertanto, in pratica, “c’e’ un operatore di spin per ogni direzione lungo la quale e’ possibile orientare l’apparato sperimentale”. Per detti operatori e’ data una forma matriciale, di matrici quadrate del secondo ordine, dette matrici di Pauli che definiscono le componenti dello spin lungo le tre dimensioni


spaziali, ovvero i tre distinti operatori di spin, uno per ogni direzione spaziale. Ognuno di questi operatori e’ lineare. Si definisce una direzione, quindi gli autovettori che sono due vettori ket ortogonali e i due corrispondenti autovalori che sono convenzionalmente Âą1 . Pauli introdusse un formalismo che ho sintetizzato come đ?œŽ11 (đ?œŽ

đ?œŽ12 1 1 đ?œŽ22 ) (0) = (0)

đ?œŽ11 (đ?œŽ

đ?œŽ12 0 0 đ?œŽ22 ) (1) = - (1)

21

21

Questa e’ la rappresentazione dello spin con riferimento ad una direzione. Il

testo

di

riferimento

⌋Susskind,

FriedmanâŚŒ

parte

dalla

quota, ovvero da z. Ecco

quindi

la

possibilita’

e

l’opportuno indice avendo quindi đ?œŽđ?‘§ 11 (đ?œŽ

đ?œŽđ?‘§12 1 1 đ?œŽđ?‘§22 ) (0) = (0)

đ?œŽđ?‘§11 (đ?œŽ

đ?œŽđ?‘§12 0 0 đ?œŽđ?‘§22 ) (1) = - (1)

� 21

�21

l’opportunita’

di

mettere


Una

sola

matrice

soddisfa

queste

relazioni

contemporaneamente. Essa e’ đ?œŽđ?‘§ 11 (đ?œŽ đ?‘§ 21

đ?œŽđ?‘§12 1 đ?œŽđ?‘§22 ) = (0

0) −1

Occorre evidenziare i passaggi che giustificano questa asserzione. Cominciamo da đ?œŽđ?‘§ 11 (đ?œŽ đ?‘§ 21

đ?œŽđ?‘§12 1 1 đ?œŽđ?‘§22 ) (0) = (0)

Si procede come per le matrici a coefficienti reali, molriplicando la prima riga per la colonna a secondo membro per ottenere il valore degli elementi della prima riga incognita. 1 Risulta (đ?œŽđ?‘§ 12 + đ?œŽđ?‘§ 21 ) ( ) = 1 0 ed anche

1 (đ?œŽđ?‘§ 21 + đ?œŽđ?‘§ 22 ) ( ) = 0 0

Deve essere Ed anche

1 đ?œŽđ?‘§ 12 + 0đ?œŽđ?‘§ 21 = 1 1đ?œŽđ?‘§ 21 + 0đ?œŽđ?‘§ 22

= 0

La soluzione e’ quindi scrivibile nella forma

[

1 ��������� ] 0 ���������

(tenendo conto della legge di annullamento del prodotto). Passiamo alla seconda equazione matriciale


đ?œŽđ?‘§11 (đ?œŽ đ?‘§21

đ?œŽđ?‘§12 0 0 đ?œŽđ?‘§22 ) (1) = - (1)

0 0 Occorre ricordare che - ( ) = ( ) 1 −1 Deve essere

0 đ?œŽđ?‘§ 12 + 1đ?œŽđ?‘§ 21 = 0

Ed anche

0đ?œŽđ?‘§ 21 + 1đ?œŽđ?‘§ 22

= - 1

La soluzione e’ ponibile nella forma

[

��������� ���������

0 ] −1

La soluzione generale e’ ponibile nella forma Per avere la soluzione, ovvero la matrice che verifica entrambe le condizioni, basta considerare la prima matrice e osservare che la seconda colonna puo’ contenere valori qualunque, quindi anche i valori della seconda colonna della seconda matrice. Cio’ considerato si pone come soluzione la seguente (

1 0 ) 0 −1

Analogamente si ragiona per le altre due matrici di Pauli.

Cio’ posto e’ bene considerare una seconda direzione. Poiche’ i vettori normali che definiscono lo stato sono una sovrapposizione

lineare

dei

ket

del

precedente

stato

si


ricava immediatamente che i due vettori di stato sono definiti come segue 1 √2 Âą1 ( √2 ) Ovvero đ?œŽđ?‘Ľ 11 (đ?œŽ đ?‘Ľ 21

1

1

√2

√2

đ?œŽđ?‘Ľ12 √2 √2 đ?œŽđ?‘Ľ22 ) ( 1 ) = ( 1 )

ed anche đ?œŽđ?‘Ľ11 (đ?œŽ đ?‘Ľ21

1

1

√2

√2

đ?œŽđ?‘Ľ12 √2 √2 đ?œŽđ?‘Ľ22 ) (−1) = - (−1)

đ?‘…đ?‘–slvendo si ottiene una unica soluzione đ?œŽđ?‘Ľ11 (đ?œŽ đ?‘Ľ21

đ?œŽđ?‘Ľ12 0 1 đ?œŽđ?‘Ľ22 ) = (1 0)

Ripetendo il ragionamento con riferimento all’asse y, ovvero alla terza dimensione spaziale si ottiene la rappresentazione matriciale del terzo operatore. Detta matrice risulta đ?œŽđ?‘Ś11 (đ?œŽ đ?‘Ś21

đ?œŽđ?‘Ś12 0 −đ?‘– ) đ?œŽđ?‘Ś22 ) = ( đ?‘– 0


Ma vi sono altre due direzioni, rispetto alle quali vanno fatte

ulteriori

riflessioni…..

che

attendono

alla

sovrapposizione. E’ comunque evidente che si puo’ partire da una direzione per poi procedere in riferimento alle altre matrici.

14.

La funzione d’onda

De Broglie, come e’ noto, pose la questione di una generale dualita’ tra onde e particelle, nel senso che un’onda, quale quella

elettromagnetica,

poteva

essere

intesa

in

senso

corpuscolare (come i fotoni di Einstein) e una particella poteva, per contro, essere intesa come un’onda, come capita con la diffrazione degli elettroni. Il fisico austriaco Erwin Schrȫdinger ha proposto l’introduzione di un campo scalare a valori complessi detto funzione d’onda. Essa viene scritta come Ψ = Ψ (M, t) . Non si tratta di una vera e propria grandezza fisica ma dello strumento matematico formale a partire dal quale e’ possibile determinare

la

probabilita’

che

particella,

di

massa

infinitesimale

di

un

m

si

trovi

in

raggio

dr

centrato

oggetto, un nel

ovvero

intorno punto

M,

una

sferico le

cui

coordinate sono riferite ad un sistema di riferimento assegnato.


Detta probabilita’ dP vale dP(M, t) = ⎸đ?›š (đ?‘€, đ?‘Ą)⎸2dr Detta probabilita’ e’ detta di presenza, o anche densita’ di probabilita’. La funzione d’onda Ψ (M, t) e’ detta ampiezza di probabilita’. Ma e’ ben evidente che la particella si trova comunque in un volume V, quindi la probabilita’ che essa si trovi in V deve valere 1, ovvero deve risultare âˆŤđ?‘‰ ⎸đ?›š (đ?‘€, đ?‘Ą)⎸2 đ?‘‘đ?‘&#x; = 1 Essa esprime l’evento certo. In effetti, gia’ nel 1924 il fisico francese di origini italiane L. De Broglie

introdusse,

sotto

forma

di

postulato,

l’ipotesi

che

ad

una

particella di massa m in moto con velocita’ scalare v potesse essere associata un’onda la cui lunghezza d’onda valesse Ν=

â„Ž đ?‘šđ?‘Ł

Tale ipotesi fu confermata sperimentalmente nel 1927 da Davisson e Germer che

riuscirono

ad

evidenziare

la

natura

ondulatoria

dell’elettrone

difratto da un cristallo. L’interpretazione probabilistica della funzione d’onda e’ dovuta a Max Born.


Va osservato che la particella e’ dotata di una energia potenziale V(M, t). Ho considerato questi aspetti della meccanica quantistica solo nel caso piu’ semplice (si fa per dire !) del moto in una sola dimensione. Ulteriormente si pone che V non sia dipendente dal tempo. In altri termini risulta L’equazione

di

đ?œ• đ?œ•đ?‘Ą

V = 0.

SchrČŤdinger

semplificata

ha

la

seguente

sembianza iâ„?

đ?œ•

đ?›š(đ?‘Ľ, đ?‘Ą) = đ?œ•đ?‘Ą

In essa â„? = Se

�1 � � 2

â„?2

đ?œ•2

2đ?‘š đ?œ•đ?‘Ľ 2

�(�, �) +V(x) �(�, �)

â„Ž 2đ?œ‹

sono

due

soluzioni

dell’equazione

combinazione complessa di esse lo e’ pure. In alcuni casi particolari risulta đ?›š(đ?‘Ľ, đ?‘Ą) = φ(x)f(t) da cui ⎸đ?›š(đ?‘Ľ, đ?‘Ą) ⎸2 = ⎸ đ?œ‘(đ?‘Ľ)đ?‘“(đ?‘Ą) ⎸2 I due termini sono integrabili e si ha âˆŤđ?‘‰ ⎸đ?›š (đ?‘€, đ?‘Ą)⎸2 đ?‘‘đ?‘Ľ = âˆŤđ?‘‰ ⎸đ?œ‘(đ?‘Ľ)đ?‘“(đ?‘Ą) ⎸2 đ?‘‘đ?‘Ľ = 1

allora

ogni


o anche ⎸f(t)⎸2 âˆŤđ?‘‰ ⎸đ?›š (đ?‘€, đ?‘Ą)⎸2 đ?‘‘đ?‘Ľ = 1 potendo porre

⎸f(t)⎸= 1.

La funzione d’onda viene quindi scritta in questa forma Ψ(x,t) = φ(x) exp(iÎą(t)). Gli

sviluppi

matematici

portanto

ad

una

equazione

indipendente dal tempo ⌋vedi ad esempio, AA.VV. citati in bibliografiaâŚŒ.

15. Il

Indeterminazione. Il principio di Heisemberg principio

di

indeterminazione

di

Heisemberg

viene

solitamente scritto nella forma Δx Δp ≼

â„Ž 4đ?œ‹

In detta relazione h e’ la costante di Planck, mentre Δx indica l’incertezza nella posizione della particella e Δp indica l’incertezza sulla quantita’ di moto e, in ultima analisi, sulla velocita’ in quanto si ammette che sia m costante. La teoria postula che maggiore e’ la precisione sulla misura di

x,

ovvero

tanto

l’incertezza su Δp.

minore

e’

Δx

tanto

piu’

elevata

e’


16. Entanglement Si puo’ intendere detto termine inglese quale sinonimo di “stati quantistici correlatiâ€?. Tale concetto e’ dovuto al genio di Einstein. Esso presuppone una pluralita’ di sistemi. Ci si riferisce solitamente al caso piu’ semplice di due soli sistemi A e B. A due sistemi distinti corrispondono due distinti spazi degli stati, indicati formalmente come đ?‘†đ??´ đ?‘’ đ?‘†đ??ľ . I

due sistemi possono costituire un sistema composto.

Si ammetta che il sistema A si caratterizzi per due stati distinguibili H e K. E’ ammissibile ogni altro stato che sia una sovrapposizione di stati H e K e detti stati ulteriori, non basici, viene formalizzata come segue Îąđ??ť ⎚ đ??ťâ&#x;Š + đ?›źđ??ž ⎚ đ??žâ&#x;Š Formalmente posso scrivere che đ?‘†đ??´ = {Îąđ??ť ⎚ đ??ťâ&#x;Š + đ?›źđ??ž ⎚ đ??žâ&#x;Š }


Se si considera un secondo sistema B, distinto da A, e si considerano i vettori ket di base, per esempio in numero di sei, e definiti da corrispondenti vettori ket come segue ⎚ 1â&#x;Š, ⎚ 2â&#x;Š, ⎚ 3â&#x;Š, ⎚ 4â&#x;Š, ⎚ 5â&#x;Š, ⎚ 6â&#x;Š. đ?‘…đ?‘–sulta pertanto đ?‘†đ??ľ = {∑đ?‘— ≤6 đ?›źđ?‘— ⎚ đ?‘—â&#x;Š} đ??śđ?‘–đ?‘œâ€˛ premesso si puo’ ottenere il sistema combinato. đ??ˇđ?‘Žđ?‘– sistemi A e B occorre considerare il sistema AB, come un unico sistema detto anche sistema composto. Cio’ equivale a considerare lo spazio degli stati del sistema composto indicato con il formalismo đ?‘†đ??´đ??ľ . Detto spazio degli stati e’ detto prodotto tensoriale e si ha la seguente formalizzazione đ?‘†đ??´đ??ľ = đ?‘†đ??´ ⊗ đ?‘†đ??ľ đ??ˇđ?‘’đ?‘™đ?‘™đ?‘Ž situazione e delle combinazioni di stati si puo’ dare una rappresentazione grafica utilizzando una tabella a doppia entrata introducendo nel senso della riga gli stati di B e nel senso della colonna gli stati di A.


1

2

3

4

H

5

6

H4

K

Il

senso

della

costruzione

degli

stati

composti

e’

ben

evidente ovvero all’intersezione riga colonna corrisponde lo stato

composto

corrispondente,

come

nel

caso

di

quello

indicato H4. Il corrispondente vettore di stato, e’ il ket⎚ đ??ť4â&#x;Š. Ognuno di detti vettori ket, quali ⎚ đ??ť4â&#x;Š, base dello spazio tensoriale

e’ detto vettore di

đ?‘†đ??´đ??ľ = đ?‘†đ??´ ⊗ đ?‘†đ??ľ .

Si evidenzia immediatamente che il numero dei vettori di base di uno spazio tensoriale e’ il prodotto del numero delle dimensioni degli spazi di partenza, riferiti a sistemi distinti.

Se si ha a disposizione uno spazio tensoriale riconducibile ad una matrice di n righe e k colonne posso scrivere che đ?‘†đ??´đ??ľ = {∑đ?‘— ≤đ?‘˜ đ?›ź1đ?‘— ⎚ 1đ?‘—â&#x;Š + đ?‘Žđ?‘›đ?‘?â„Žđ?‘’ se

nel

∑đ?‘— ≤đ?‘˜ đ?›ź2đ?‘— ⎚ 2đ?‘—â&#x;Š +‌.. +

proseguo

della

lettura

∑đ?‘— ≤đ?‘˜ đ?›źđ?‘›đ?‘— ⎚ đ?‘›đ?‘—â&#x;Š} del

testo

constatato che esiste una regola piu’ semplice.

piu’

volte

citato

ho


E’ possibile passare agli spin con riferimento a sistemi costituiti da due sistemi indipendenti A e B. Si usano le lettere u e d per denotare le due condizioni opposte e si puo’ realizzare la seguente matrice (meglio, tabella a doppia entrata). u

d

u

uu

ud

d

du

dd

situazione cui corrispondono i ket del sistema complesso che vengono rappresentati come segue ⎚ đ?‘˘đ?‘˘â&#x;Š , ⎚ đ?‘˘đ?‘‘â&#x;Š, ⎚ đ?‘‘đ?‘˘â&#x;Š, ⎚ đ?‘‘đ?‘‘â&#x;Š. I vettori dei due spazi non sono sommabili. A volte per essi si usa un distinto formalismo. Credo che questa distinzione di rappresentazione formale sia particolarmente utile quando si considera lo spazio prodotto che definisce lo stato prodotto, che viene inteso come un ket. Se si hanno due spazi e i ket di base allora anche le corrispondenti sovrapposizioni sono stati accettabili. Risulta che sono dati i ket seguenti


Îąđ?‘˘ ⎚ đ?‘˘} + đ?›źđ?‘‘ ⎚ đ?‘‘} e đ?›˝đ?‘˘ ⎚ đ?‘˘â&#x;Š + đ?›˝đ?‘‘ ⎚ đ?‘‘â&#x;Š Lo stato prodotto viene cosi’ sintetizzato ⎚ đ?‘ đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘Ąđ?‘œ đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘œđ?‘‘đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘œâ&#x;Š = {Îąđ?‘˘ ⎚ đ?‘˘} + đ?›źđ?‘‘ ⎚ đ?‘‘}}⊗{đ?›˝đ?‘˘ ⎚ đ?‘˘â&#x;Š + đ?›˝đ?‘‘ ⎚ đ?‘‘â&#x;Š} A questo punto bisogna considerare le regole del prodotto che sono

abbastanza

facili

da

ricordare,

molto

simili

alla

moltiplicazione ordinaria dell’algebra. Va ricordata la regola per la quale

⎚ đ?‘˘}⎚ đ?‘˘â&#x;Š = ⎚ đ?‘˘đ?‘˘â&#x;Š.

Fatta questa precisazione risulta che {Îąđ?‘˘ ⎚ đ?‘˘} + đ?›źđ?‘‘ ⎚ đ?‘‘}}⊗{đ?›˝đ?‘˘ ⎚ đ?‘˘â&#x;Š + đ?›˝đ?‘‘ ⎚ đ?‘‘â&#x;Š} ⇔ Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘˘ ⎚ đ?‘˘} ⎸ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘‘ ⎚ đ?‘˘} ⎸ đ?‘‘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘˘ ⎚ đ?‘‘} ⎸ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘‘ ⎚ đ?‘‘} ⎸ đ?‘‘â&#x;Š ⇔ Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘˘ ⎸đ?‘˘ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘‘ ⎸đ?‘˘ đ?‘‘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘˘ ⎸đ?‘‘ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘‘ ⎸đ?‘‘ đ?‘‘â&#x;Š Gli stati ⎸đ?‘˘ đ?‘‘â&#x;Š

e ⎸đ?‘‘ đ?‘˘â&#x;Š sono distinti.

Per gli stati valgono le condizioni di normalizzazione. Ad esempio per il primo dei due stati considerati deve risultare đ?›źâ€˛đ?‘˘ đ?›źđ?‘˘ + đ?›źâ€˛đ?‘‘ đ?›źđ?‘‘ = 1. Lo stato composto come definito viene riscritto in forma simbolica come segue Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘˘ ⎸đ?‘˘ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘˘ đ?›˝đ?‘‘ ⎸đ?‘˘ đ?‘‘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘˘ ⎸đ?‘‘ đ?‘˘â&#x;Š + Îąđ?‘‘ đ?›˝đ?‘‘ ⎸đ?‘‘ đ?‘‘â&#x;Š ⇔ đ?›šđ?‘˘đ?‘˘ ⎸đ?‘˘ đ?‘˘â&#x;Š + đ?›šđ?‘˘đ?‘‘ ⎸đ?‘˘ đ?‘‘â&#x;Š + đ?›šđ?‘‘đ?‘˘ ⎸đ?‘‘ đ?‘˘â&#x;Š + đ?›šđ?‘‘đ?‘‘ ⎸đ?‘‘ đ?‘‘â&#x;Š


Anche in questo caso si deve ammettere la condizione di normalizzaizone. Vi sono stati che non possono essere espressi da un prodotto tensoriale, come nel caso del singoletto definito come ⎸đ?‘ đ?‘–đ?‘›đ?‘”đ?‘œđ?‘™đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘œâ&#x;Š =

1 √2

(⎸đ?‘˘ đ?‘‘â&#x;Š - ⎸đ?‘‘ đ?‘˘â&#x;Š)

Dati due sistemi distinti e due distinti apparati sperimentali e’ possibile avere distinte componenti di spin. Quando si ragiona sugli stati composti (prodotto tensore) le componenti di spin agiscono sulla parte di ket corrispondente allo stato del sistema riferito al sistema su cui opera l’operatore di spin.


APPENDICE Osservazioni elementari sui segnali Gradino unitario La formalizzazione del gradino unitario e’ immediata. Il grafico e’ il seguente

La funzione gradino unitario U(x) e’ U(x) = 1 per x ≼ 0 e U(x) = 0 per x < 0. La funzione gradino unitario puo’ assumere anche la forma U(x¹ν) che

ha

due

seguenti, con ν ∊ đ?‘… + .

distinte

rappresentazioni

che

sono

le


Nel secondo caso si ha

Hanno senso scritture del tipo k(U(x) che hanno una immediata rappresentazione, come per k > 0.


Onda quadra Essa e’ studiata nel dominio del tempo

La descrizione matematica di essa e la seguente (U(x) – U(x -ι)) +

(U(x-2ι) – U(x -3ι))+ ‌‌‌‌

Usando il formalismo delle serie si ottiene ∑+∞ đ?‘˜=1(đ?‘ˆ(đ?‘Ľ − đ?‘˜đ?›ź) – đ?‘ˆ(đ?‘Ľ − (đ?‘˜ + 1)đ?›ź))


ove k e’ un intero e 2ι = T.

FUNZIONE DELTA DI DIRAC La funzione δ di Dirac e’ detta anche funzione impulso, o impulsiva. Essa viene definita a partire da f(x)=

1 đ?œ€

2

quando ⎚ x⎚ ≤ đ?œ€ con Îľ ∈ â„?+ đ?œ€

đ?œ€

f(x)= 0 ∀ x ∈ (−∞, −2 ) ⋃ ( 2 , +∞) δ(x)= lim đ?‘“(đ?‘Ľ) đ?œ€â†’0

La funzione e’ normalizzata in quanto risulta đ?œ€

+∞

− −đ?œŽ

âˆŤâˆ’âˆž đ?›ż(đ?‘Ľ)dx =âˆŤâˆ’âˆž2

đ?œ€

+∞

đ?‘“(đ?‘Ľ)dx + âˆŤ2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx+ âˆŤâˆ’đ?œ€+đ?œŽ đ?‘“(đ?‘Ľ)dx −

2

2

đ?œŽ đ?‘’′ una quantita’ infinitesima. Per quanto ipotizzato si puo’ scrivere đ?œ€

− −đ?œŽ

âˆŤâˆ’âˆž2

đ?œ€

đ?œ€

+∞

− −đ?œŽ

0dx + âˆŤ2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx+ âˆŤâˆ’đ?œ€+đ?œŽ 0dx â&#x;š 0âˆŤâˆ’âˆž2 − 2

2

đ?œ€

đ?œ€

â&#x;š 0 + âˆŤ2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx + 0 = âˆŤ2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx − − 2

Pertanto

+∞ âˆŤâˆ’âˆž đ?›ż(đ?‘Ľ)dx

2

đ?œ€ 2 đ?œ€ − 2

=âˆŤ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx

đ?œ€

+∞

đ?‘‘đ?‘Ľ + âˆŤ2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx+ 0âˆŤâˆ’đ?œ€+đ?œŽ đ?‘‘đ?‘Ľ −

2

2


Tutto

sommato

questo

integrale

puo’

essere

calcolato

elementarmente con la considerazione che al variare di Îľ gli estremi

inferiore

e

superiore

di

integrazione

devono

considerarsi determinati. Ma assegnato ξ e’ definito pure il valore della funzione che risulta �(x) =

1 đ?œ€

Essa e’ interpretabile come una costante e quindi e’ possibile scrivere đ?œ€

đ?œ€

âˆŤâˆ’2đ?œ€ đ?›ż(đ?‘Ľ)dx = δ(x) âˆŤâˆ’2đ?œ€ đ?‘‘đ?‘Ľ = 2

2

1 đ?œ€

đ?œ€

( − (− 2))=

đ?œ€ 2

1 đ?œ€

đ?œ€

đ?œ€ =đ?œ€ = 1

+∞

đ?‘„đ?‘˘đ?‘–đ?‘›đ?‘‘đ?‘– âˆŤâˆ’âˆž đ?›ż(đ?‘Ľ)dx = 1 Per chiarire la questione elementarmente si puo’ utilizzare il grafico sottostante


La curva δ=δ(ε) e’ un ramo di iperbole equilatera e questo coerentemente con il fatto che per ε→0+ la funzione impulso delta di Dirac tende a +∞. Vanno

ora

considerate

anche

le

altre

proprieta’

della

funzione δ di Dirac. Occorre, in particolare, ricordare che la funzione di Dirac e’ una funzione pari. Risulta pertanto che δ(x) = δ(-x) La rappresentazione della funzione e’ immediata e i grafici sottostanti ricomprendono tutti i casi possibili.


LA FUNZIONE SCALINO UNITARIO Viene studiata nel dominio del tempo ed e’ immediata y = u(t −đ?‘Ą0 )=

1 quando t > t 0 0 altrimenti

Per đ?‘Ą0 = 0 si ha y = u(t −đ?‘Ą0 )= u(t) = 1 ∀t ≼ 0. Essa ha una rappresentazione grafica molto semplice. Nel primo caso si ha

Nel caso piu’ particolare risulta


LA FUNZIONE RAMPA UNITARIA Data la funzione scalino unitario e’ possibile calcolare l’integrale improprio seguente. �

r(Ď„) = âˆŤâˆ’âˆž đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ L’indice muto di tempo Ď„ si rende necessario per evitare confusione. Va osservato che e’ dato un t particolare detto đ?‘Ą0 per il quale risulta đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 ) = 1 per ogni Ď„ ≼ đ?‘Ą0 . Ho quindi ritenuto di applicare la proprieta’ di linearita’ dell’integrale avendo đ?‘Ą

đ?‘Ą −đ?œŽ

đ?‘Ą

0 âˆŤâˆ’âˆž đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ = âˆŤâˆ’âˆž đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ + âˆŤđ?‘Ą đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ 0

đ?‘€đ?‘Ž per la limitazione fatta sugli estremi di integrazione la funzione integranda in esso contenuto e’ identicamente eguale a zero, quindi il primo integrale vale zero. đ?‘ƒđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ, si puo’ scrivere đ?‘Ą

đ?‘Ą

âˆŤâˆ’âˆž đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ = âˆŤđ?‘Ą đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 )dĎ„ 0

Ma, nell’intervallo ⌋đ?‘Ą0 , +∞) la funzione đ?‘˘(đ?œ? − đ?‘Ą0 ) e’ costante ed identicamente eguale a 1 quindi e’ possibile scrivere t

t

t

0

0

âˆŤâˆ’âˆž u(Ď„ − t 0 )dĎ„ = âˆŤt u(Ď„ − t 0 )dĎ„ = u(Ď„ − t 0 ) âˆŤt dĎ„ =1(t −t 0 ) = t −t 0


La solita rappresentazione grafica

si giustifica ampiamente dal fatto che si puo’ ammettere che t

r(τ)= ∫t u(τ − t 0 )dτ sotto la condizione u(τ − t 0 ) = 1 per τ ≥ t 0 . 0

Per τ < t 0 risulta ovviamente r(τ)= 0.


INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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PROPRIETA’ LETTERARIA

Questo breve saggio non ha finalita’ commerciali o lucrative. Ne e’ autorizzata la divulgazione, anche totale, a condizione che essa non abbia finalita’ commerciali o lucrative purche’ essa avvenga con la citazione dell’autore e del soggetto diffusore dell’opera.


pubblicazione a cura di Pascal McLee

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