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Tecnologia Valerio Maria Urru

ABBIAMO SCOPERTO CHE C’È VITA DOPO LA VITA.

Grazie al tuo lascito testamentario a Fondazione Umberto Veronesi, la ricerca oncologica potrà andare avanti e migliorare la vita delle generazioni future.

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Una famiglia italiana su quattro ha un cane, una su cinque un gatto: numeri in crescita durante la pandemia, con animali anche presi in adozione e “utilizzati” come sostituti di affetti mancanti. Perché non sempre è stato “vero amore”

IL PET? UNO DI FAMIGLIA. E LA VITA SI ARRICCHISCE DI SODDISFAZIONI

di Giovanna Vecchiotti

Sono oltre 12 milioni, per la precisione 12,2 milioni, le famiglie italiane che ospitano in casa animali domestici; un incremento di circa un milione soltanto nell’ultimo anno, quando il Covid-19 ha determinato un profondo cambiamento nei nostri stili di vita. Da recenti ricerche risulta che i pet nel nostro Paese sono oltre 62 milioni - in media un animale per ogni abitante - e, di questi, 16 milioni sono cani e gatti, seguiti dai pesci (29,9 milioni) e dagli uccelli (12,9 milioni), ma non mancano conigli e tartarughe. E il dato più significativo è che a cercare la compagnia di un animale domestico sono state in prevalenza famiglie senza bambini, persone spesso con ridotti rapporti sociali, resi ancora più limitati dall’emergenza sanitaria. Ecco, quindi, che l’animale domestico, al tempo della pandemia, si è trasformato in antidoto alla solitudine, in surrogato agli abbracci mancanti, in aiuto per alleviare lo stress quotidiano e combattere l’ansia. Benefici a cui in tanti, purtroppo, hanno rinunciato nel momento in cui, allentate le misure restrittive, si sono sbarazzati del pet accolto in casa non tanto per amore quanto per convenienza. Senza comprendere che un animale domestico è un “amico per la vita”, che ti arricchisce dentro. E, cosa rara, non chiede niente in cambio.

UN AMICO A QUATTRO ZAMPE PER RICOMINCIARE A SORRIDERE

di Linda Russo

Nel 2009, nelle sale cinematografiche italiane vennero proiettate due storie che affascinarono il pubblico. Entrambe trattavano vicende realmente accadute e, in entrambi i casi, il protagonista era un cane. Il primo, Marley, un labrador color miele che sconvolge la vita di un’allegra famigliola del sud della Florida. Il secondo, Hachiko, un Akita Inu che ogni giorno attende il padrone alla fermata del treno. Due storie diverse che, però, riescono a rendere con facilità l’indissolubile rapporto che si crea tra un animale da compagnia e l’essere umano che se ne prende cura. Un amore che non interessa solo i cani, ma anche i gatti. Per capire la profondità di questa relazione, i benefici che ne derivano e gli effetti anche terapeutici che si possono trarre, abbiamo intervistato la dottoressa Marta Borgi, ricercatrice presso il Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Dottoressa Borgi, secondo quanto dichiarato da ENPA (Ente Nazio-

Nel 1964, venne coniato il termine “Pet Therapy” per descrivere l’uso di animali da compagnia nella cura di malattie psichiatriche. Ma la relazione con i nostri animali porta benefici anche nella vita quotidiana. Ne parliamo con la ricercatrice Marta Borgi

nale per la Protezione degli Animali), durante il lockdown molti italiani hanno adottato un animale da compagnia. Quale potrebbe essere la motivazione che ha spinto sempre più famiglie in questa direzione?

Quando prendiamo un cane o un gatto, lo consideriamo a tutti gli effetti parte della famiglia: instauriamo con esso un vero e proprio rapporto sociale che racchiude un’importante funzione di conforto, di amicizia e di supporto. Tre aspetti che in un momento come il lockdown, in cui molti hanno sperimentato situazioni di solitudine, hanno fatto la differenza. Gli animali da compagnia fungono da partner sociale: con loro condividiamo tanti momenti della quotidianità. In più, a differenza di quanto avviene con amici o parenti, il nostro animale è sempre disponibile e, come viene spesso fatto notare, non è mai giudicante nei nostri confronti.

Secondo lei, quindi, ci sono più i benefici o più rischi per un senior che decide di adottare un cane o un gatto?

Sappiamo bene che, purtroppo, nella fase di vita che interessa la terza e la quarta età può capitare che i senior si trovino a vivere situazioni di solitudine e di ritiro sociale. Per questo, come dicevo, adottare un animale può portare dei benefici. In particolare, un cane potrebbe essere la soluzione ideale perché richiede una piccola attività fisica, che è quella della passeggiata, e inoltre funge da “rompighiaccio”. Quando si esce, infatti, è consuetudine che i padroni parlino tra loro. Considerando che essere attivi e con-

tinuare ad avere contatti sociali sono attività fondamentali per un sano invecchiamento, avere un cane può fare la differenza. È necessario, però, che avvenga un giusto “match”. Un cane iperattivo potrebbe essere difficile da gestire per una persona che, ad esempio, ha difficoltà nel camminare o nel mantenere l’equilibrio. Non trascuriamo, poi, i benefici per l’animale. Prima di adottare, infatti, una famiglia dovrebbe valutare le esigenze di un cane o un gatto impegnandosi a rispettarle tutte. Anche perché la relazione non funziona se l’animale è frustrato.

Gli animali sono spesso utilizzati per gli IAA (Interventi Assistiti con gli Animali). In Italia ci sono progetti di questo tipo?

In Italia, lo possiamo dire orgogliosamente, abbiamo delle linee guida riconosciute dal Ministero della Salute con cui si tutelano sia la persona coinvolta in questi interventi che gli animali. Ad esempio, possono essere utilizzati solo animali domestici perché hanno vissuto un processo evolutivo tale da permettere loro maggiore confidenza nei nostri confronti, svolgendo così alcuni percorsi educativi con più facilità. Inoltre, queste linee guida hanno permesso la formazione di tantissimi operatori specializzati che sono in grado di riproporre adeguatamente Interventi Assistiti con gli Animali, monitorandone i risultati.

Rispetto a vent’anni fa, c’è stato un inequivocabile cambiamento nel trattamento riservato agli animali da compagnia. Secondo lei, cosa ci ha spinto a riconsiderare i comportamenti nei loro confronti?

Personalmente credo che ci siano due piani su cui analizzare questo cambiamento: quello individuale e quello sociale. Come esperienza individuale, indubbiamente vivere a stretto contatto con gli animali domestici ci ha permesso di capire meglio le loro emozioni e di comprendere i loro comportamenti, sviluppando sentimenti di empatia e di rispetto. A livello sociale, invece, c’è molta più attenzione a una serie di diritti che tendono al rispetto dell’altro e coinvolgono anche il mondo animale. Il movimento animalista in questo è stato molto importante.

I NUMERI DI UN GRANDE AMORE

di Dario De Felicis

Nelle abitazioni di un italiano su quattro c’è posto per un animale domestico. Pesci, uccelli e tartarughe: ma i preferiti restano cani e gatti

«Ogni sguardo alla vita di un animale stimola la nostra stessa vita, la rende migliore e più ricca in ogni modo possibile». Nelle parole del naturalista scozzese John Muir c’è tutto il significato dell’amore che si può provare per un animale domestico. Un sentimento che 1 italiano su 4 conosce molto bene. Secondo il Rapporto Italia 2021 dell’Eurispes, infatti, il 40,2% della popolazione nazionale vive con animali in casa e, tra tutti, il cane è il compagno domestico più diffuso (nel 43,6% dei casi). Richiestissimo tra gli animali da compagnia anche il gatto (35,1%). Percentuali più contenute si notano per gli altri animali, come per le tartarughe (4,2%), uccelli (4,1%), pesci (3,5%), conigli (2,3%) e criceti (1,7%). C’è spazio anche per le specie esotiche (1,5%), i cavalli (1,2%) e, infine, i rettili (0,8%). Curiosità “di genere”: gli uomini preferiscono possedere un cane, mentre più spesso le donne scelgono la compagnia di un gatto. La fotografia del Rapporto Eurispes mostra anche una differenza sostanziale sulla distribuzione di animali domestici lungo tutto lo Stivale. Il primato di chi ha il maggior numero di animali in famiglia spetta alle regioni del Nord-Ovest (47%), seguite da quelle delle Isole (44,2%), del Nord-Est (39,2%), del Centro (37,3%) e del Sud (33,6%). Ma da dove vengono i nostri piccoli amici? Il 20,7% lo ha ricevuto in dono, il 19,3% lo ha preso in un canile o in un gattile, il 17,1% lo ha raccolto dalla strada, il 13% lo ha acquistato in un allevamento, mentre il 12,3% lo ha comprato in un negozio di animali. L’11,4%, invece, lo ha acquistato da privati, il 5,7% ha tenuto il cucciolo di un animale che già possedeva e solo una piccola percentuale, lo 0,5%, ha utilizzato internet per acquistare il proprio animale domestico. Aumenta anche la spesa pro-animale sostenuta dalle famiglie: il 63,4% di queste spende da 31 a 100 euro al mese. Tra i costi per l’alimentazione e la cura, troviamo anche la sterilizzazione, approvata dal 53,7%, degli italiani. Percentuali e numeri a parte, spicca un dato particolarmente interessante: gli italiani sono estremamente attenti a garantire la miglior qualità di vita possibile ai propri amici animali. Di conseguenza, si tende a bandire la sperimentazione e la vivisezione, lo sfruttamento (l’allevamento intensivo, la produzione di pellicce) e la caccia.

C’ERAVAMO TANTO AMATI. L’EFFETTO PANDEMIA SULLE ADOZIONI DI ANIMALI DOMESTICI

L’allarme Enpa: a fine lockdown, nel nostro Paese, in aumento il numero di cani e gatti abbandonati

di Anna Costalunga

Animali domestici: all’inizio della pandemia li abbiamo coccolati e vezzeggiati. Sono stati la nostra ancora nel confinamento più duro, quando la passeggiata giornaliera era l’unico momento di svago concesso all’aria aperta. Un aiuto prezioso anche per gli anziani, come conferma uno studio condotto in Florida su un campione di over 60 proprietari di cani, per i quali l’uscita con l’amico “peloso” durante il lockdown è stata di fatto il miglior antidoto alla solitudine imposta. Nei primi mesi dello scorso anno, in tutto il mondo sono aumentate a dismisura le richieste di adozioni di cani e gatti, possibilmente cuccioli. Il 73% degli spagnoli intervistati dalla Fondazione Affinity ha dichiarato che la compagnia di un animale domestico li ha aiutati ad affrontare meglio il confinamento e il distanziamento sociale, tanto che il 36% di coloro che non ne avevano mai posseduto uno aveva preso in considerazione l’adozione. Egual fenomeno si è registrato in diversi Paesi, tra cui l’Italia, dove il boom di adozioni per cani e gatti nel 2020 ha stupito le stesse associazioni di volontariato. L’ong animalista Enpa ha trovato casa a 8.100 cani e 9.500 gatti, più del 15% rispetto al 2019; percentuali che hanno raggiunto il 20% e il 40% in alcune città, come Treviso e Perugia. Un trend positivo che ha interessato anche molte zone del Sud («Un piccolo miracolo del Covid», lo aveva definito la presidente nazionale Enpa, Carla Rocchi).

LA FINE DI UN IDILLIO?

Le cose sono cambiate con l’allentamento delle restrizioni e il parziale ritorno alla normalità. Nel Regno Unito, dove all’inizio della pandemia l’aumento di vendite di animali aveva raddoppiato il prezzo dei cuccioli, il numero di cani lasciati nei rifugi è aumentato vertiginosamente. Situazione analoga negli Stati Uniti e in Francia, dove tra il 1 maggio e il 23 luglio scorsi sono stati raccolti 11.335 animali abbandonati, oltre il 7% in più rispetto allo stesso periodo nel 2019. In Spagna le cose non sono andate meglio, tanto che la Procura ha deciso di indagare sulle facili adozioni del marzo 2020. L’effetto post-lockdown si è fatto sentire anche in Italia. Giorgio Riva, presidente Enpa Monza e Brianza, denuncia che le richieste di cessione del proprio animale sono aumentate del 30% rispetto al 2019, con picchi di un caso al giorno nel mese di agosto. A questo fenomeno, in parte causato dalla morte o dal ricovero dei proprietari, non sono tuttavia estranee una certa superficialità e leggerezza, che richiamano ad adozioni più consapevoli. Il 24% dei cani ceduti a giugno, infatti, erano arrivati in famiglia da un anno o meno, ossia in piena crisi pandemica. Il cucciolo da portare a spasso, che riempiva le giornate e divertiva i bambini chiusi in casa, è infatti cresciuto, richiedendo un impegno maggiore, soprattutto dopo che il ritorno alle attività in presenza ha richiesto una diversa gestione dei tempi e degli spazi. E il periodo di persistenti difficoltà economiche certo non ha aiutato.

UOMO E CANE, UN BINOMIO INSCINDIBILE ANCHE NELLE DIFFICOLTÀ

Eppure uno studio sulla relazione tra uomo e cane durante il primo lockdown in Italia conferma che nelle dif-

ficoltà il cane resta il miglior amico dell’uomo. E viceversa. Il lavoro, basato sulla teoria dello scambio sociale, dimostra l’esistenza di una “connessione bidirezionale” tra il benessere umano e quello canino. Il cane, infatti, ha bisogno di una figura di riferimento per superare situazioni complesse e stressanti - come il cambio di abitudini durante il lockdown - e nello stesso tempo soffre per l’angoscia del padrone. Dal canto suo l’uomo - attraverso un processo di osmosi emotiva - trae benessere dalla presenza dell’animale domestico e dalle aree affettive che contraddistinguono il rapporto con quest’ultimo. Un feeling che è stato di sollievo per entrambi nel periodo di confinamento.

SENIOR E 4 ZAMPE: UN LEGAME SENZA FINE

“Dopo di me”, il progetto di ASTA che garantisce una seconda vita agli anziani e ai loro animali

Molti anziani si privano del benessere offerto dalla compagnia di un cane (o di un gatto) perché turbati al pensiero del “cosa accadrà” in caso della loro dipartita. Non è un’ipotesi peregrina. Secondo un sondaggio Enpa pubblicato la scorsa estate, tra le cause principali delle cessioni, figurano il ricovero dei proprietari anziani (53%), la morte di questi ultimi e nessun parente disposto a prendersi cura dell’animale (62%). La legge italiana, infatti, considera l’animale domestico una res, ereditabile come un qualunque bene di proprietà. Se l’erede non può - o non vuole - prendersene cura, l’unica alternativa resta l’adozione, con tempi e modi incerti. Per questo ASTA, Associazione Salute e Tutela degli Animali, nel 2019 ha lanciato “Dopo di me”, un progetto che si occupa di aiutare gli anziani e i loro animali. Come spiega la presidente, Susanna Celsi: «La gestione e la sistemazione del nostro amico dopo di noi rappresenta un grosso deterrente nella decisione di avvalersi della sua compagnia». Da qui, l’idea di aiutare gli over 65, sostenendoli quando non potranno più occuparsi del loro compagno, grazie all’assistenza domiciliare veterinaria e ad una rete di famiglie pronte ad accoglierlo con affetto. L’iniziativa ha un duplice scopo: aiutare gli animali rimasti soli a trovare una nuova casa e attivare una rete di volontari anziani disposti a prendersene cura, sostenuti, in caso di bisogno, nelle spese sanitarie. Per garantire ciò, spiega il veterinario Maurizio Albano, coordinatore del progetto, gli over possono redigere - senza alcun costo - la documentazione necessaria per designare l’Associazione legittimo erede del loro pet. In caso della scomparsa del padrone, all’animale sarà garantita una sistemazione attenta in una struttura ad hoc o, se possibile, nell’abitazione di un “nonno” affidatario che se ne occupi in pre-adozione. Nel contempo, ASTA si attiverà per trovare quanto prima una famiglia adottiva, impegnandosi ad offrire assistenza veterinaria gratuita, se l’adottante è un over 65 con un Isee sotto i 15mila euro. Il progetto è attivo in tutta Italia e garantisce un accordo notarile. info: asta@associazioneasta.com - Tel. 3346551646

PET FOOD E PET CARE: I COSTI DEGLI ANIMALI DA COMPAGNIA

di Viviana Rubini

Gli italiani ne ospitano circa 60 milioni: componenti fondamentali delle famiglie, meritano il massimo delle cure e attenzioni. Ma comportano anche delle spese

Non solo cani e gatti, ma anche tartarughe, conigli, pesci e uccelli sono considerati i “migliori amici” dell’uomo e sono moltissime le famiglie italiane che se ne prendono cura all’interno delle proprie abitazioni. Secondo l’ONF, Osservatorio Nazionale Federconsumatori, mantenere un cane nel primo anno di vita costa dai 1.707,70 ai 2.497,50 euro annui. Negli anni successivi la spesa diminuisce per un cane di taglia piccola e aumenta a 2.232,20 euro per quelli di taglia medio/grande. Per quanto riguarda il mantenimento di un gatto, i costi annui ammontano a 1.178,50 euro per il primo anno di vita e a 892,00 euro per i successivi. Si riduce notevolmente la spesa per un piccolo coniglio, arrivando a 226,25 euro per il primo anno e 125 euro per quelli seguenti. Nel nostro Paese continua ad espandersi il business del “pet food”, soprattutto attraverso l’e-commerce. Secondo il report annuale Assalco - Zoomark, il mercato dei prodotti per l’alimentazione degli animali domestici ha sviluppato un giro d’affari di oltre 2,4 miliardi di euro all’anno, con un incremento del fatturato dell’8% a giugno 2021. Nell’anno dell’emergenza sanitaria la relazione con gli animali da compagnia ha acquisito maggior valore. Gli animali danno tanto ai loro detentori che, a loro volta, sono particolarmente attenti alla loro alimentazione, igiene e salute. È cambiato il modo di considerare l’animale domestico rispetto a qualche decennio fa; oggi siamo sempre più sensibili alle necessità dei nostri “amici” e li riconosciamo parte integrante della famiglia. L’alimentazione di qualità di gatti e cani continua a essere la componente più rilevante del mercato italiano del “pet food”. L’aumento della popolazione degli animali e il maggior tempo trascorso insieme durante la pandemia hanno sostenuto la crescita dei prodotti per l’igiene, dei giochi e degli accessori; tappetini assorbenti igienici, salviette, shampoo, spazzole, deodoranti in crescita del 7,1%, i giochi, con un incremento del 14,6%. I proprietari spendono sempre di più per assicurarsi che i loro animali domestici siano ben curati e in buona salute, dalle cure dentali alla chemioterapia, arrivando in molti casi a dotarli degli ultimi gadget in commercio. Di recente stanno aumentando le collaborazioni con brand del lusso e dello streetwear, all’insegna della funzionalità ma anche dello stile per la creazione di molteplici accessori, sia per gli animali che per i proprietari. Collari e guinzagli in pelle, pettorine e felpe, piumini e impermeabili fluorescenti, borse griffate per il trasporto, accessori per la sicurezza durante il viaggio in auto o bici. Perfetti per chi ama viziare il proprio fedele compagno e metterlo al centro dell’attenzione, ripagandolo di tutto l’affetto ricevuto.

Dall’inizio della pandemia le adozioni di cani e gatti sono aumentate del 20%, e non è un caso, poiché per la maggior parte delle persone e delle famiglie, l’ultimo anno e mezzo è stato caratterizzato da una rarefazione delle relazioni sociali, con pochi spostamenti legati soprattutto al lavoro e alla salute, più che alle occasioni di svago. Per combattere la solitudine, l’isolamento e la mancanza di attività prima quotidiane, molti hanno scelto di condividere la propria casa con un nuovo amico a quattro zampe. A fare il punto sui dati delle adozioni degli animali da compagnia è l’Enpa, Ente Nazionale Protezione Animali, che quest’anno festeggia i 150 anni della sua fondazione, e che nel corso del 2020 ha certificato complessivamente 31.685 adozioni di animali da affezione, prevalentemente cani e gatti ma non solo, che salgono a 75.084, se si considerano anche quelli che non sono stati presi in carico dall’associazione ma che hanno seguito percorsi differenti. In particolare, i gatti che hanno trovato una famiglia sono stati 11.815, dei quali 9.666 provenienti da rifugi, colonie e oasi Enpa; i cani, invece, sono stati 17.815, dei quali 8.824 provenienti da rifugi. Alcune città, da Nord a Sud, hanno manifestato una sensibilità particolare: a Monza, il rifugio Enpa è stato letteralmente svuotato già nel 2019, e l’andamento positivo delle adozioni si è confermato nel corso di tutto il 2020, dato che la quasi totalità dei cani è stata collocata e, su 400 nuovi ingressi nello scorso anno, sono rimasti nelle gabbie solo una quindicina di esemplari, tanto che quest’anno il canile ha cominciato a farne arrivare di nuovi anche da altre zone d’Italia, in particolare dal Sud, dove ancora oggi il fenomeno del randagismo è più presente. Una pratica, questa, già adottata in altri Paesi Ue, come Germania e Belgio.

NON TI LASCIO, TI PORTO IN VACANZA CON ME

L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di città pet-friendly, in cui sono presenti servizi dedicati, hotel e case vacanza dove gli animali domestici sono i benvenuti di Ilaria Romano

A Treviso sono stati adottati 100 cani dei 147 presenti nel rifugio cittadino, e pure Perugia si è dimostrata un’altra realtà “pet friendly”, con 70 gatti e 96 cani adottati nel 2020, compresi alcuni esemplari con disabilità o già adulti e anziani. San Severo, in provincia di Foggia, ha raggiunto le 161 adozioni (dati 2020) contro le 106 del 2019. Proprio nel Mezzogiorno la crescita delle famiglie che hanno scelto un animale domestico è stata doppia rispetto alla media nazionale, con un aumento del 40%. «Questo forse è il piccolo miracolo di questa pandemia - ha commentato Carla Rocchi, presidentessa nazionale Enpa -, un miracolo che ha visto protagonisti gli animali presenti nelle nostre case, che con il loro affetto e amore incondizionato ci hanno aiutato in questo momento difficile». In ambito europeo l’Italia detiene il primato per il numero più elevato di città amiche degli animali, e lo con-

ferma anche una ricerca svolta da Airbnb, il portale online che mette in contatto chi cerca un alloggio o una camera per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare, generalmente privati: dall’inizio di gennaio 2021 ad oggi, rispetto allo stesso periodo del 2020, sono cresciute le disponibilità di camere e case vacanza in cui gli amici a quattro zampe sono i benvenuti. Un dato rilevante che fa bene anche al turismo di prossimità, oltre che incoraggiare le adozioni, certi di potersi godere la compagnia del proprio pet anche in viaggio. A fronte di una voglia crescente di condividere la vita con i nostri migliori amici, bisogna però ricordare che nel corso del 2020 ci sono state anche numerose cessioni di animali, sempre per cause legate alla pandemia, come problemi economici, malattia e purtroppo il decesso di alcuni proprietari, quando i parenti e gli amici hanno deciso di non farsi carico del loro cane o gatto. Anche in casi difficili però non è mancata la solidarietà: attraverso il programma Enpa “Rete solidale”, dando seguito alle richieste d’aiuto, è stato possibile raccogliere e donare alle famiglie oltre 200mila euro di cibo, 100mila euro per le spese veterinarie e 200mila euro per i medicinali. Leidaa, la Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente, ha invece attivato una campagna di adozione specifica, dedicata agli animali domestici rimasti soli a causa del Covid. Il Rotaract Club, nel distretto Abruzzo, Marche, Toscana e Umbria, ha avviato la campagna di sensibilizzazione anti-abbandono “Mi fido”, che ha lo scopo di informare sulle adozioni e raccogliere fondi per aiutare gli animali in difficoltà, in convenzione con altri enti e associazioni. Anche il Ministero della Salute ha promosso un progetto dedicato agli animali da affezione, volto a incentivare le adozioni nei canili e gattili e contrastare l’abbandono. L’iniziativa si chiama “Code di casa” (www.codedicasa.it) ed è realizzata in collaborazione con la Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani, oltre che con la Lav, Lega Anti Vivisezione, l’Enpa e la Lega Nazionale per la Difesa del Cane. Per incoraggiare le adozioni, molti rifugi hanno intrapreso una collaborazione con la Fondazione Capellino, ente che utilizza i profitti generati dalle vendite dell’azienda pet food Almo Nature, e che con il progetto europeo “Companion Animal for Life” aiuta l’inserimento del cane o del gatto nella nuova famiglia, con un supporto alla spesa alimentare per il primo mese. A livello europeo, l’associazione animalista inglese Dogs Trust ha dichiarato di aver ricevuto, in soli tre mesi, oltre 1.800 richieste di presa in carico di cuccioli da parte di acquirenti pentiti che volevano darli in adozione. In Francia, la Société Protectrice des Animaux ha deciso di introdurre un questionario per i potenziali adottanti, oltre a chiedere loro validi attestati di residenza e un contributo in denaro per l’identificazione, le vaccinazioni e la sterilizzazione dell’animale.

ANIMALI IN CITTÀ, I DATI LEGAMBIENTE

Secondo l’ultimo Report di Legambiente, Animali in città, uscito nell’aprile scorso (dati aggiornati al 2020), il rapporto fra popolazione e presenza di un cane in casa è di 1 ogni 5,2 cittadini. Guardando ai dati regionali, il rapporto diminuisce in Umbria, dove è presente un cane ogni 2,2 persone, e in Sardegna, dove è presente un cane ogni 3. In Puglia c’è un cane in famiglia ogni 7,7 persone, e in Calabria uno ogni 11,4. Per quanto riguarda i gatti, la media nazionale è di uno ogni 100 persone, con numeri ben al di sotto della media in Val d’Aosta che conta un gatto ogni 44,3 cittadini, e nella Provincia autonoma di Bolzano, con un gatto ogni 40,3 residenti. Per monitorare la popolazione animale presente nelle città italiane, Legambiente fa riferimento all’Anagrafe degli animali d’affezione, gestita a livello regionale tramite i servizi veterinari delle Aziende sanitarie, e solo in Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia gestita invece dalle Amministrazioni comunali. Purtroppo, denuncia l’associazione, la separazione territoriale delle banche dati continua a essere uno svantaggio, insieme all’assenza di un’anagrafe obbligatoria anche per gatti e altri animali da compagnia, oltre ai cani, cosa che non permette una stima accurata della popolazione felina presente nelle famiglie. La spesa per la gestione degli animali in città ammonta invece a circa 228 milioni e 682mila euro nel 2020. La cifra è pari a 2,7 volte la somma impegnata per tutti i 24 Parchi nazionali italiani o a 62 volte quella per tutte le 27 Aree marine protette e, secondo Legambiente, appare complessivamente spropositata rispetto alla qualità dei servizi offerti in termini di benessere animale.

QUEI MISTERIOSI FASTIDI AI NERVI

I ricercatori hanno sviluppato un complesso nutritivo unico

Sono numerosi gli italiani che accusano fastidi alla schiena o che provano una sensazione di bruciore, formicolio o di intorpidimento, soprattutto a piedi e gambe. Altri riportano sensazioni simili a dolori muscolari senza aver praticato attività fisica. Spesso questi misteriosi fastidi si manifestano perché ai nervi non vengono forniti nutrienti a sufficienza. Gli scienziati sono riusciti a combinare in una compressa speciale un complesso di 15 micronutrienti essenziali per nervi sani (Mavosten, in farmacia).

Lo strato protettivo dei nervi è decisivo

Il sistema nervoso dell’uomo è un articolato tessuto di miliardi di neuroni, il cui compito principale è la trasmissione di stimoli e segnali. A tale scopo, riveste un ruolo importante lo strato protettivo ricco di grassi che circonda le fibre nervose (guaina mielinica). Infatti, solo con una guaina mielinica intatta la fibra nervosa è protetta e può trasmettere cor rettamente stimoli e segnali. Mavosten contiene la colina, che contribuisce al normale metabolismo dei lipidi: ciò è importante per il mantenimento delle funzioni della guaina mielinica.

15 micronutrienti speciali

Ma non è tutto: questo avanzato complesso nutritivo di Mavosten contiene, oltre la colina, anche l’acido alfa-lipoico e molti altri micronutrienti importanti per i nervi sani. Ad esempio, la tiamina e la riboflavina contribuiscono al normale funzionamento del sistema nervoso. Inoltre, Mavosten contiene anche il calcio che contribuisce alla normale neurotrasmissione. In aggiunta, la vitamina E contribuisce alla protezione delle cellule dallo stress ossidativo. Tutti questi micronutrienti sono stati calibrati specificatamente l’uno con l’altro all’interno di Mavosten.

Il nostro consiglio: prendete una compressa di Mavosten al giorno, con micronutrienti speciali per supportare nervi sani.

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Integratore alimentare. Gli integratori non vanno intesi come sostituti di una dieta equilibrata e variata e di uno stile di vita sano.

Questo olio di cannabis è in voga

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Concorso 50&Più

Prosa, Poesia, Pittura, Fotografia: un premio alla creatività

Se ripensiamo ai periodi trascorsi in lockdown, non possiamo che ricordare tutto ciò che abbiamo fatto per riempire le giornate. Abbiamo imparato a cucinare, a suonare, a cantare, qualcuno si è dilettato nella pittura, altri nella scrittura. Siamo stati certamente creativi. Una qualità, quella della creatività, che 50&Più mette al centro del Concorso Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia che, quest’anno - dopo l’evento virtuale del 2020 -, ha dato nuovamente l’opportunità agli over 50 appassionati delle arti di incontrarsi e tornare a comunicare attraverso il proprio estro. In questa edizione, le opere hanno raccontato molte sfaccettature dell’esperienza dell’isolamento, ma soprattutto del desiderio di ricominciare e della speranza nel futuro. Temi che ritroviamo anche nelle venti opere vincitrici della Farfalla d’Oro (cinque per ogni sezione), che i lettori possono votare decretando le supervincitrici. Esprimere la propria preferenza è semplicissimo: una volta visionate le venti opere, basterà compilare la scheda di votazione di pagina 77 (un solo voto per ciascuna disciplina) e inviarla all’indirizzo indicato, oppure votare online collegandosi al sito www. spazio50.org/concorso50epiu.

Scopri le opere premiate con la Farfalla d’Oro - cinque per ogni Sezione - durante la XXXIX edizione del Concorso. E, ora, vota le tue preferite

di Stefano Leoni

La guerra e i miei occhi di bambina

di Maria GOGATO

Ex commerciante ora in pensione, madre di tre figli e nonna di otto nipoti, scrive per diletto poesie da sempre. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Alba (Cn).

Ho conosciuto la guerra a cinque anni. Quei miei occhi azzurri, che tutti si fermavano a guardare, hanno osservato avvenimenti più grandi della piccola consapevolezza del mondo che potessi avere. Da un momento all’altro ho iniziato a percepire attorno a me frenesia, tristezza, e tanta paura. Me ne sono accorta quando ho notato che la mamma aveva perso il suo sorriso e papà era sempre molto teso, allarmato, come su un costante chi va là. Soprattutto, la trattoria gestita dai miei genitori a Marola, la città in cui sono cresciuta in provincia di Vicenza, improvvisamente si era popolata di uomini grandi in divisa che parlavano talvolta una lingua che non conoscevo e talvolta, invece, solo con accenti diversi da quello che avevo sempre sentito. Non lo sapevo ancora, ma da quel momento, casa mia si sarebbe riempita di soldati. Mangiavano, si ubriacavano, urlavano. Mi sembravano dei matti. Ho iniziato ad avere paura di loro quando una sera ero nel mio letto al piano di sopra e dei rumori forti mi hanno svegliata. Con la lentezza dettata dalla paura ma con una irrefrenabile curiosità della mia età di bambina, mi sono affacciata dalla porta della mia camera che dava su un pianerottolo da cui scendevano le scale per andare alla trattoria. Vedo un soldato in cima alle scale e uno al fondo. Vedo i loro volti tesi, gli occhi sbarrati, le braccia allungate e le pistole puntate l’uno contro l’altro. Ricordo quel momento come bloccato, sospeso nel tempo; all’improvviso, sento delle braccia che mi tirano a sé. Mia nonna Pina mi prende e trascina via e mi nasconde sotto il letto insieme a lei mentre mi dice: «Vieni qui piccina mia, diciamo due preghiere per questi cretini che non sanno nemmeno cosa fanno!». La guerra ha iniziato a svelarsi nel mio piccolo mondo sotto altre forme, suoni e avvenimenti a me ancora sconosciuti. Un giorno a scuola ci hanno insegnato che al suono di una sirena, che mi faceva rabbrividire, avremmo dovuto correre insieme alle suore lungo la strada di campagna e nasconderci sotto le siepi perché non ci vedessero gli aerei. La prima volta che la sirena ha suonato mentre correvo via ho subito alzato gli occhi al cielo e ho visto un aereo fare come delle evoluzioni tra le nuvole. L’aereo stava precipitando e ho visto il pilota buttarsi giù con il suo paracadute. Subito dietro di noi sento arrivare voci dei contadini dai campi: «Andiamo ad ammazzarlo! Correte!». Giorni dopo ho saputo che quell’uomo era stato fatto prigioniero dai soldati: ho pensato fosse stata una fortuna per quel poveretto ma anche per la mia famiglia. Il suo aereo era caduto a 100 metri da casa mia, in un prato. Il ricordo di quella carcassa di metallo mi ha seguita per diverse notti, rimanendo indelebile nella mia mente. Nei mesi successivi ho visto di nuovo cadere la morte dal cielo: i piloti di Pippo, aereo che controllava la città, avevano avuto un incidente schiantandosi contro una riva. Il giorno dopo ho fatto visita al cimitero insieme ad altri bambini per vedere le loro salme. Solo la testa usciva dal lenzuolo, non ho visto che i loro capelli scuri. Poco dopo, è passato un carro agricolo per portarli via e noi siamo corsi dietro. Correvamo, non sapevamo nemmeno perché: non pensavamo al dolore, alle loro madri o alle loro mogli che piangevano. Non ci accorgevamo del dolore, eravamo solo bambini che corrono dietro un carro. I bombardamenti iniziavano via via a essere sempre più frequenti. Quando erano vicini, la mamma ci prendeva e ci portava in cortile e ci faceva accucciare dentro un grande albero per evitare che le schegge ci colpissero, o peggio, che la casa ci crollasse sopra la testa. Mi dava un senso di protezione stare tutti lì stretti, ad aspettare. Amarillo, il mio fratellino, stava tra me e mia mamma e gli parlavamo per cercare di coprire con le nostre voci

il rumore dei colpi, sperando di tranquillizzarlo. A casa nostra veniva spesso un sergente tedesco, con grossi baffi sotto il naso. Era simpatico e parlava con un accento che ci faceva molto ridere. La sera spesso giocavamo tutti insieme a tombola: lui diceva i numeri in tedesco, io in italiano, e la serata trascorreva in allegria. Mia zia Emma lo chiamava “Mostaciti”, per via dei suoi baffi. Eravamo affezionati a lui, soprattutto la zia. Quando lui è dovuto partire per il fronte è venuto a salutarci. Chissà a cosa stava pensando in quel momento. Eppure, lui sorrideva come sempre. Mia zia, al momento dei saluti, gli ha dato una medaglietta della Madonna di Monte Berico di Vicenza. Lui l’ha ringraziata ed è partito. Ricordo la sua figura che si incammina lungo la strada, c’era solo lui, con la sua divisa, il cappello in mano, e chissà quante preoccupazioni sulle spalle. Ma a quello non ho pensato. Ero sempre una bambina. Dopo qualche mese, una notte in cui eravamo già tutti a letto, sentiamo qualcuno urlare giù dalla finestra: «Emmi, Emmi! La tua medaglietta mi ha salvato!». La zia Emma si affaccia dalla finestra e vede Mostaciti. Ci ha raccontato che aveva attraversato il Po sopra un asse di legno e aveva seriamente temuto per la sua vita stringendo al suo petto la sua medaglietta. Avevo imparato a conoscere i soldati tedeschi andando a scuola, anche se raramente potevamo andarci. Ricordo che c’era un accampamento delle SS accanto alla mia scuola e nell’intervallo in cortile ci sporgevamo oltre le siepi per vederli. A volte loro ci sporgevano della cioccolata, che divoravamo in un secondo dopo averla divisa tra noi. Oltre a loro, però, per la città giravano sempre di nascosto altri soldati che a volte conoscevo per nome e che si facevano chiamare Partigiani. Dicevano che i tedeschi erano cattivi e un giorno dissero a mia mamma che avrebbero teso loro un agguato nella notte. Mia mamma subito li mise in guardia, tra lo sgomento e l’incredulità: «Ma siete matti? Non sentite cosa fanno i tedeschi in Piemonte?». Io non sapevo cosa facessero i tedeschi in Piemonte. I tedeschi che ho conosciuto in Veneto mi davano la cioccolata nell’intervallo e a noi bastava così poco per essere felici e per far tacere il gorgoglio dello stomaco affamato. I bambini non giudicano, osservano, e traggono conseguenze da quello che vedono. Ma giudicare è un atteggiamento da adulti. Ed io non sapevo cosa pensare dell’affermazione della mia mamma e non ho saputo dosare le sue parole e attribuire loro un senso. Quella notte ho teso l’orecchio per sentire se dalle strade arrivassero rumori: volevo stare in piedi tutta la notte per scoprire cosa sarebbe successo ma mi sono addormentata e il giorno dopo ho scoperto che, alla fine, non era successo nulla. Sono cresciuta negli anni convivendo con la guerra, come una parte ormai normale della mia vita. La quotidianità si era adeguata a quel nuovo senso del tempo, che ticchettava a suon di bombe, sirene, marce di soldati, bicchieri alzati e risate troppo esagerate in trattoria, colpi di fucile, colpi di pistola, corse nei campi. Un giorno ho visto i soldati tedeschi in marcia, tutti uniti, con i fucili abbassati. L’ho capito dopo che si stavano ritirando. Nella nostra trattoria però i soldati non se ne erano mai andati: cambiavano accento, cambiavano divisa, ma c’erano sempre. Ora parlavano un’altra lingua, l’inglese, e si atteggiavano come gloriosi liberatori. Un soldato inglese o americano, non lo saprò mai, a cavallo quando ha visto mio fratello

Amarillo di soli 5 anni che lo guardava dal basso l’ha preso in braccio per metterlo sul cavallo. Amarillo ha iniziato a piangere dicendo che il cavallo gli pungeva la schiena e voleva scendere. Attraverso questo gesto e questo pianto ho conosciuto i soldati che venivano dal mare. Ma alla fine, anche i soldati inglesi e americani se ne sono andati. La guerra era finita. Si sentiva nell’aria, nei suoni, nei profumi, nei sorrisi, nelle lacrime, negli occhi profondi di chiunque si incontrasse per strada. Eravamo bambini, ma quella fine l’abbiamo percepita in ogni aspetto, l’abbiamo capita in tutta la sua potenza inattesa. Il brivido del cambiamento, la vertigine dello slancio verso un futuro senza la paura e la disperazione erano radicati in tutti gli sguardi. Le prospettive si stagliavano verso un orizzonte di speranza, di una vita nuova che dimostra di essere capace di rinnovarsi, sempre. La guerra era finita. E in me non rimanevano che i ricordi. Alcuni li ho rimossi, alcuni sono sfumati nel tempo della memoria, strumento meraviglioso ma, si sa, estremamente fallace. Il momento che mi sembra di rivivere però sempre, che mi ha accompagnato nei sogni agitati delle notti di adolescente e di adulta, risale a un’immagine chiara, nitida nella mia mente, tangibile in tutte le sfere sensoriali. È inverno, il camino di casa mia è acceso. Io sono lì davanti che mi scaldo e a un certo punto sento arrivare un rumore che si fa sempre più intenso, un boato che rimbomba nella canna fumaria del camino e che arriva verso di me. Sento il rumore degli aerei come se volassero sopra la mia testa. Sento il fragore farsi sempre più forte, come se mi avesse raggiunta dentro casa, come se fosse dentro le pareti, dentro i mobili, dentro la mia testa. Lo sento dentro di me e mi spaventa. Ma io rimango immobile in quella calma apparente del salotto e attendo. Guardo il fuoco scoppiettare e non sento il suo rumore flebile e armonioso. Pochi minuti, non riesco nemmeno a contarli, e tutto passa. E sento solo più un calmo crepitare delle fiamme che ardono il legno come in una danza. Improvvisamente, la quiete.

Della libertà e dell’amore

di Maria Pia CORTELLESSA

Mi aggiro per la casa in cerca degli occhiali. Non è certo la prima volta che li perdo e non sarà l’ultima. Ma ormai non me ne faccio più un problema: prima o poi spunteranno fuori, da qualche angolo nascosto, dove mai avrei pensato di riporli. E poi, con tutti quei pacchi sigillati e impilati gli uni sugli altri, alcuni ancora aperti, oggetti di varia natura sparsi per le varie stanze in attesa di definire la loro collocazione nella scatola giusta, non si può certo pretendere di trovare un affarino così piccolo. Il trasloco in una nuova casa, fonte di stress “seconda solo ad una grave perdita o alla fine di un rapporto” come ho letto da qualche parte, è quasi in dirittura d’arrivo e segnerà l’inizio della mia nuova vita. L’esperienza mi ha insegnato che, in ogni situazione anche la più negativa, c’è sempre un risvolto positivo: ad esempio, se non avessi avuto quel marito che ho sopportato per tanti anni fino poi ad esplodere e lasciarlo andare, certamente non sarei diventata quella che sono, la donna capace di prendere iniziative, gestire la vita sua e degli altri, in grado alla fine di liberarsi da ogni oppressione o legame soffocante. Probabilmente, con un marito “normale” sarei stata una donna banale, tutta casa famiglia lavoro, come tante

Docente di lingua inglese nelle scuole superiori di Foggia e Rimini, dopo il pensionamento ha frequentato il corso di Accompagnatore Turistico e superato l’esame di Guida Turistica, svolgendo tale lavoro prevalentemente in Romagna. Al Concorso 50&Più, nel 2019, ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la Prosa. Vive a Foggia. mie conoscenze. Le mie potenzialità si sarebbero dissolte in una vita opaca e senza slanci. Una noia mortale! Invece no, io non mi sono mai annoiata. La mia curiosità innata mi ha sempre spinta a guardarmi intorno, a cogliere le occasioni anche le più strane, per vivere la vita che voglio. Il suono del cellulare, l’arrivo di un messaggio, mi distoglie per un attimo dai miei pensieri. Il mio ultimo corteggiatore mi manda il buongiorno. Leggendo le poche righe non posso fare a meno di pensare che il giovane cerca solo un diversivo, sì deve essere così. Alla sua età una storia con una donna matura può essere l’oggetto di conversazioni piccanti con gli amici. Mostrare le foto dell’ultima conquista, immaginare i dettagli del primo incontro a letto… chissà quante risate e sberleffi! Stupido ragazzo, non ha capito proprio niente di me, lo farò illudere e poi lo manderò a quel paese. Mi sento libera. Della mia vita faccio quel che mi pare. I pensieri che mi ronzano nella testa mi riportano spesso ad una sola e giusta considerazione: la libertà non ha prezzo! Anche se la mia non è proprio una libertà totale, nel senso vero della parola. Non potrei, per esempio, sparire dalla vita di tutti senza provocare danni e senza sentire sensi di colpa grandi come macigni. Ma ciò di cui amo godere è la libertà nelle piccole cose di tutti i giorni: uscire frettolosamente dal bagno per rispondere al telefono con gli slip ancora abbassati, mangiare quando e come voglio io, uscire a far due passi negli orari più impensati. Ora, dico a me stessa, potrei fare tutto ciò con un compagno in casa? Quanto meno la decenza mi vieterebbe di vagabondare per casa mezza nuda, o se decidessi all’improvviso di uscire di casa dovrei dare giustificazioni. Sul terrazzino di casa, fumando distrattamente una sigaretta, osservo i fiorellini della pianta grassa che iniziano timidamente a spuntare. Alcuni, i più arditi, già aperti e pronti a cogliere il calore del tiepido sole; altri più timidi, ancora in boccio, quasi consapevoli di essere troppo tempestivi, timorosi delle gelate che forse li potrebbero stroncare. Ma sento che ce la faranno, così come ce la farò io a superare questo periodo tremendo della mia vita. Cosa mi dà tanta energia e speranza? La forza, che è dentro di me, ormai non la cerco più altrove come un tempo. Conto solo nell’aiuto di Dio, quello sì, quel Dio che nonostante tutto continuo a pregare e Lui a proteggermi. In passato, mi sono sempre appoggiata a qualcuno, che fosse un amore, un’amica, un familiare, non importava. Credevo di non farcela da sola, e nella mia disistima pensavo di aver bisogno di una persona forte, che prendesse decisioni al posto mio, e invece con il tempo ho scoperto che quella persona forte sono io stessa! Di nuovo il suono del cellulare, questa volta è una telefonata della mia amica Viktoria, russa di nascita e di temperamento. Muore dalla voglia di rivedermi e trascorrere con me un po’ di giorni. Cerco di prendere tempo, il casino che regna a casa per via del trasloco mi fa pensare ad una presenza inopportuna, ma alla fine cedo. Viktoria mi è stata molto vicina nel periodo buio della separazione dal mio compagno, mi ha aiutata a non crollare di fronte alle problematiche che essa ha comportato, le devo molto. Le dico che l’aspetto con piacere, anche se dovrà adattarsi. «È ancora presto per tornare, perché non ci fermiamo a prendere qualcosa al bar?». Viktoria non è stanca, non lo è mai. È da prima mattina che la scarrozzo in giro per le strade tortuose del “mio” Gargano, una sosta sul lungomare non mi sembra una cattiva idea. Mi guardo in giro, il Bar Centrale, che ora ha cambiato nome come molti degli esercizi turistico-alberghie-

ri della zona, mi sembra l’ideale con il suo terrazzino che dà direttamente sulla spiaggia. Ci sediamo a un tavolino vista mare. La calda giornata dovrebbe suggerire una fresca bevanda dissetante: Viktoria opta per un bel bicchiere di prosecco, io mi fiondo su un gelato, cioccolato e limone, i miei soliti gusti imbarazzanti. Iniziamo a fare programmi per il giorno successivo: dopo il tour della costa garganica e dei più suggestivi paesini dell’interno che l’hanno affascinata nei giorni precedenti, lei vorrebbe visitare Castel del Monte ed io sono d’accordo, non l’ho mai visto, una vera vergogna per una pugliese doc. Dal tavolo disposto al nostro fianco, alla distanza dovuta dalle restrizioni del Covid 19, una voce pacata si introduce nel nostro discorrere. Appartiene ad un signore elegante ed attempato, che si insinua nella nostra conversazione con tanta naturalezza e tranquillità da spingermi ad osservarlo con attenzione. Ha un viso scavato da rughe profonde, occhi cerulei intensi ed attenti, lo sguardo serio e quasi triste. Mi sento subito attratta, tanto che dopo un po’ sposto la mia sedia in modo da averlo di fronte e riuscire a parlargli meglio. Ci consiglia di andare a Ruvo di Puglia che, dice, è un delizioso paesino tutto da scoprire, in particolare vale la pena visitare il museo nazionale, famoso per la sua collezione di vasi antichi. Prendiamo a conversare: di Ruvo, della Puglia e soprattutto del nostro Gargano del quale siamo entrambi innamorati. Scopro di avere tante affinità con questo raffinato signore con lo stile da “lord”. La sua carriera si era svolta principalmente nella biblioteca di Vico del Gargano, dove era stato direttore per trent’anni organizzandola in modo eccelso e anticipando i tempi: sua l’idea del bibliobus, una sorta di biblioteca ambulante che si spostava giornalmente da un paesino all’altro del Gargano per permettere ai turisti di leggere, ma che attirava soprattutto i più piccoli. Quante volte ci ero stata con i miei bambini durante le lunghe vacanze estive, nella vana speranza di far nascere in loro il gusto della lettu-

ra! Di buon mattino salivamo la stradina che conduceva al parco giochi, il piccolo autobus era lì ad aspettarci. Sceglievamo i nostri libri, avventura e azione per i miei figli, storie d’amore a lieto fine per me, all’epoca perdutamente romantica. Il tempo vola, gli argomenti che ci accomunano sono tanti. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono già le venti, è tempo di rientrare in città, ma lo farò di malavoglia, vorrei continuare a chiacchierare con questo signore all’infinito. Comunque, siamo d’accordo nel risentirci la settimana successiva quando tornerò sul Gargano per trascorrervi un’intera settimana di vacanza già programmata. Nello stringerci la mano per salutarci, lui mi guarda dritto negli occhi con un mezzo sorriso e mi fa: «Lei conosce il Gargano meglio di me, non riesco a trovare un qualcosa di cui lei già non sappia». «E per forza - gli dico -, sono sessant’anni che bazzico da queste parti!». E poi, vedendo il suo sguardo perplesso, aggiungo: «Lo sa quanti anni ho? Sessantasei, e vengo qui da quando ero bambina!». Lo sguardo da perplesso si fa sbalordito. «Viktoria, solo dieci anni, avesse solo dieci anni di meno e sarebbe l’uomo ideale per me!».

«Ma che importa l’età? È un tipo molto interessante e sai cosa ti potrebbe offrire…». La sua mentalità le fa prevedere cene a base di pesce e champagne in lussuosi ristoranti, viaggi esotici e regali costosi.

La faccio parlare, ci sono abituata alle sue fantasticherie, ma non è quello che mi interessa.

Non posso vederlo ma sento il suo sguardo e quello dei suoi amici del bar posato su di noi mentre ci incamminiamo verso l’auto parcheggiata poco distante.

La vita può cambiare all’improvviso senza che noi lo vogliamo o ce l’aspettiamo, qualcosa dentro di me mi dice che questo incontro casuale porterà nuovo scompiglio nella mia esistenza. «Via dalla cucina! Lontano da me e dai fornelli!». Sono intenta a pasticciare nella casa del mio gentiluomo che, ho scoperto abbastanza in fretta, è un po’ “selvatico”. Lo chiamo infatti “Il Primitivo del Gargano”. Amante della natura e dell’archeologia, si aggira per i boschi come fossero il suo habitat naturale, ma vicino ai fornelli e per tutte le cose di casa è un vero disastro. Lo adoro, adoro i suoi difetti come i suoi pregi. Quando siamo insieme la parola silenzio non esiste, c’è sempre un argomento di cui parlare, considerazioni da fare, problematiche da sviscerare. E tante tantissime risate. Difficilmente mi annoio, il ché vuol dire tanto vista la mia natura inquieta. Mi divido equamente tra la mia nuova casa in città e la sua sul Gargano, cercando di tenere in salvo la “mia libertà”.

Rosso, giallo, arancio e… azzurro

di Evelina MAYER

Stiamo passeggiando, mano nella mano, come sempre. Una fila lunghissima di piccoli negozi in una stretta viuzza davanti e dietro a noi. Il sole filtra a malapena, anche perché dei teli di un colore indefinito, scoloriti come sono dal sole e dalla pioggia, sono stesi in alto da un lato all’altro. Guardando in su, si notano ammassi di fili elettrici fissati alla meno peggio sui muri o a dei pali, altri a penzoloni e da qui partono in una nera ragnatela caotica ad alimentare una miriade di lampade sparse ovunque a illuminare strada e negozi. Non possiamo non chiederci che ne è stato delle norme di sicurezza, ma qui proprio non esistono. Più che negozi, sono stanzette strapiene di mercanzia fino al soffitto, tutto intorno pile di roba fin fuori del-

Nonna attiva di 5 nipoti maschi. Ama viaggiare, dipingere e fotografare. Partecipa al Concorso 50&Più da 10 anni; nel 2010 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Pittura; nel 2018 la Farfalla d’Oro per la Fotografia e, nel 2011 e 2014, la Menzione Speciale della Giuria per la Prosa. Vive a Selvazzano (Pd). la porta; di lato, senza intervallo, la merce di un’altra bottega e così via. I bottegai sono all’ingresso, pronti a mostrare i loro prodotti e cercano di attirare l’attenzione dei passanti, specialmente se sono turisti, come nel nostro caso. Noi passando lentamente, sorridiamo loro facendo no con la testa ai più insistenti. Borse, ciabatte, sciarpe in seta, o quasi, stoffe, spezie coloratissime, si susseguono ininterrotte. Scattiamo molte foto; quelle ceste piene di frutta e di spezie sono veramente irresistibili. Come lo è per me il negozietto di piccoli gioielli d’argento. Non posso non fermarmi: ammiro le cose esposte, poi entro e come sempre, chiedo di comperare “perle”; non sono perle ma palline d’argento dalle forme più strane, lavorate spesso in modo originale. Nei nostri viaggi esotici non manco mai di fare questo genere di acquisti, come anche pietre dure, magari di poco valore ma a mio avviso, interessanti. Una volta a casa, quando mi viene l’ispirazione, tiro fuori il tutto e creo collane e bracciali molto originali. Le mie amiche dicono che sono belli e mi invitano a venderli, ma per il momento sono come mie creature, difficile staccarsi, forse un giorno… quando saranno troppe, chissà… Proseguiamo il nostro giro: ecco ora siamo davanti a un… difficile chiamarlo negozio; un antro polveroso pieno di carabattole e ferri vecchi. Paolo si ferma di botto, sorride e gli occhi luccicano, entra senza esitazione: questa è la sua passione, cercare robe vecchie, di qualsiasi tipo, coltelli, serrature, chiavi, oggetti strani. È come un bambino in un negozio di giocattoli: ora è il suo turno! Dopo le inevitabili trattative, anche questo fa parte del reciproco divertimento, usciamo soddisfatti, convinti di aver fatto veramente un affare. Anche il rigattiere sorride soddisfatto… troppo, mi sa che l’affare l’ha fatto cer-

tamente lui, ma che importa, così siamo tutti contenti. Proseguiamo. Intorno a noi un andirivieni di gente dai lunghi vestiti colorati, donne che portano fagotti in testa, altre vestite di nero e il capo coperto, uomini con denti anneriti che sorridono un po’ sdentati, la barba lunga, altri, più o meno giovani ma con bellissimi occhi neri, il portamento fiero ma tutti sono sorridenti; mi sento leggera, tranquilla, stringo con affetto la mano di Paolo. Lui si gira, mi guarda e i suoi occhi mi accarezzano, mi dicono: ti amo, sorrido e mormoro: anch’io. Ci capiamo da sempre. Improvvisamente una folata di vento freddo alza la polvere e tutto intorno è indistinto, non vedo più nulla; chiudo gli occhi stordita… un senso di vuoto mi assale, allungo la mano che prima stringeva la sua… vuoto assoluto… Paolo? Non c’è nessuno accanto a me. Perché? Dove sono? Non lo so. Non capisco. Ho un momento di stordimento. Cerco di concentrarmi: sì certo sono in viaggio, uno dei tanti; appena posso ne approfitto, lascio figli e nipoti e me ne vado. Sola. Purtroppo Lui, il mio Paolo, da molti anni non c’è più; nonostante tutto ho continuato ad andare in giro per il mondo, sicuramente insieme era tutto più bello; ora vado con amici, non è la stessa cosa ma... Mi guardo intorno cercando di capire: sono sola, non c’è nessuno con me!… Forse il resto della compagnia non si è accorto che mi sono attardata a guardare una bancarella e hanno proseguito lasciandomi lì… frugo nella borsa, non porto mai lo zainetto sulle spalle per sicurezza. Continuo a frugare mentre l’ansia mi prende, continuo frenetica a cercare, ma non riesco a trovare né il portafoglio con tutti i miei soldi, né il passaporto. Ora l’ansia si tramuta in panico! Neanche il cellulare trovo! Come faccio? Chi chiamo? La guida? Gli amici? Ma come?… Calma, cerchiamo di capire dove sono. Forse sono dentro al Suk di Istanbul, può essere… dal brusio incessante, gli odori di spezie, incenso, e altri che non conosco, l’andirivieni incessante di gente vestita con tante fogge, pochi all’europea; le donne con lunghi abiti colorati, il capo coperto, qualcuna con il burka. Il viavai è incessante. Cerco di fermare qualcuno e chiedere… Nessuno mi risponde, sembrano non capire la mia lingua. Provo con quel poco di inglese che so… poi provo con il francese… Mi guardano come fossi un animale strano, qualcuno sorride, altri mi scrutano seri, poco benevoli, le donne poi mi evitano proprio. Mi sento sempre più agitata… cosa ci faccio qui? Sola poi! Senza soldi né passaporto!… Ora sono certa di non essere al Suk di Istanbul, ci sono stata molte volte, un po’ lo conosco e qui non mi sono mai persa, inoltre c’è sempre qualcuno che parla italiano e normalmente sono molto gentili con i turisti… Allora dove??? Di certo un Suk; forse ci sono! Il Suk di Aleppo! uno dei più pittoreschi che io abbia visto, sorgeva entro la cittadella medievale fortificata, affascinante! …Ma come può essere? Non l’hanno distrutto? Bombardato?… Sto impazzendo?… Mi guardo intorno sempre più agitata, non è da me. Cerco di calmarmi ma non ci riesco. La folla multicolore mi sta intorno. Ora noto che quasi tutti hanno il viso parzialmente coperto, non si capisce più la loro espressione, mi sembrano minacciosi, non capisco… mi sento pressata in mezzo alla moltitudine, ma nello stesso tempo isolata da tutti. L’odore di sudore di tanta gente mi disturba, mi prende alla gola che sento secchissima, mi sembra di soffocare; ora il brusio si è trasformato in frastuono… sempre più forte… quasi non respiro più... Il frastuono si fa più nitido e si trasforma nel trillo della sveglia del mio telefonino. Ansante, sudata e ancora spaventata, cerco di svegliarmi e aprire gli occhi. Allungo automaticamente un braccio, cerco a tentoni il telefonino, dov’è il pulsante per spegnere? Mi siedo sul let-

to, accendo la luce… certo, sono nella mia camera, nel mio letto, a casa mia. Ancora affannata, cerco di respirare normalmente… mi calmo. Meno male, era un sogno! Anzi un incubo; Paolo però lo sento ancora vicino a me, rivedo i suoi occhi… mi sembra ancora di sentire la sua mano nella mia, chiudo gli occhi per cercare di non allontanare il ricordo, ma questa è solo nostalgia, penso tristemente. Analizzo la situazione, il sogno me lo ricordo bene: certo che trovarsi all’estero, da soli, senza passaporto, senza soldi, senza cellulare è sicuramente un incubo. È nella mia natura cercare di capire il perché di questo sogno, che poi, realizzo solo ora, non è la prima volta: la terza, più o meno simile. Perché? Nel passato non mi era mai successo. Accendo la radio: stanno parlando della pandemia, del Coronavirus, di quanto tempo dovremo ancora stare chiusi in casa, di tutte le limitazioni di cui non si vede ancora la luce. Ecco cos’è! Mi sento prigioniera in casa mia. Non posso uscire quando voglio, oltretutto, appartenendo alla categoria dei, diciamo, non più giovanissimi, secondo le normative, non dovrei muovermi di casa proprio per nulla! Io che ero abituata ad andare in palestra, a giocare a tennis, a carte, di recente mi sono iscritta anche a un corso di tiro con l’arco e naturalmente, mi sono anche comperata un bellissimo arco. Tutti i pomeriggi andavo ad accompagnare i miei 5 nipoti nei luoghi dove praticavano i vari sport. Improvvisamente mi ritrovo segregata in casa, da sola, con il divieto assoluto di svolgere le attività alle quali ero abituata. Certo, nei primi tempi ho passato il tempo pulendo la casa da cima a fondo, lavato tende, tappeti, lampadari, piastrelle, pavimenti… e poi? Sono passata al giardino, mai stato così in ordine. Non un filo d’erba fuori posto! Il vivaista della mia zona mi ha recapitato a casa una serie di piantine fiorite che avevo ordinato, sistemato anche quelle; giardino da esposizione! Ok e poi? Per mia fortuna ho l’hobby della pittura, bene, ho fatto ben 3 quadri! Il telefono lavora molto, tra messaggini e chiamate con le varie amiche, il tempo passa e arriva sera abbastanza velocemente, ma stringi, stringi, si ha poco da essere ragionevoli e ligi alle normative imposte: la libertà manca. Apri la televisione e tutti i canali ti informano di quanti sono i nuovi contagiati, quanti in terapia intensiva, quanti morti. È tutto molto triste; non puoi fare a meno di piangere per tutte quelle persone così colpite, per i loro famigliari, per i sanitari così provati; senza contare che in qualsiasi momento può capitare a uno di noi. Fuori è tutto bloccato, dalla scuola a tutto il commercio e non si sa quando ne usciremo. Delle vacanze, non se ne parla proprio, tutti i viaggi sono annullati almeno fino a settembre. Ora vado al mio cavalletto e cerco un’ispirazione per un nuovo quadro, questo mi rilassa sempre. Cerco una nuova tela che non ho, i negozi sono chiusi e allora? Passo in rivista le mie opere: ce ne sono alcune di qualche anno fa che non mi piacciono più. Perfetto, ho già trovato un soggetto che mi attira e un vecchio dipinto da eliminare: una bella mano di bianco, anzi no, è meglio di un azzurro chiaro, e per qualche giorno ancora sarò impegnata. In effetti gli ultimi quadri mi stanno riuscendo piuttosto bene, o per lo meno, mi soddisfano, cosa che non mi succede sempre. Bene, mi sta tornando un po’ di buonumore: sono certa che alla fine di questa mia nuova opera ci saranno buone novità: la pandemia starà terminando, potremo uscire di nuovo, incontrare gli amici, partecipare tutti insieme a qualche pranzo o cena, fare delle gite al mare, in montagna, programmare senza problemi un nuovo viaggio. Certo sarà così e questo periodo sarà solo un brutto ricordo che ci avrà insegnato quanto è bello stare insieme, volersi bene, andare tutti d’accordo e soprattutto muoversi in piena libertà. Ho appena riletto queste pagine che ho scritto esattamente un anno fa: la situazione non è cambiata molto. Non l’avrei mai creduto, ma siamo ancora qui a combattere il Coronavirus. Il paese si è colorato di rosso, giallo, arancio e poi ancora rosso… Guardo il mio cavalletto, il mio tavolo da lavoro con tutti i tubetti di colore: giallo rosso arancio… un quadro nello stile di Rothko. Ma ora abbiamo un’altra speranza: in fondo al tunnel si intravede dell’azzurro: stanno arrivando i vaccini. Per equilibrare i rossi abbiamo un altro colore da aggiungere: l’azzurro. Un quadro alla Mondrian quindi. Ma qui non basta un tocco, qualche quadratino azzurro, dobbiamo far sparire del tutto i rossi i gialli gli arancio, quindi… arriva Klein: tutto azzurro intenso! Sorrido: i vaccini sono di tanti tipi, quindi… il mio quadro sarà di tante tonalità di blu: indaco, ceruleo, cobalto, di Prussia, oltremare. Mi piacciono gli azzurri! Sono certa: questa è proprio la volta buona, riusciremo a sconfiggere definitivamente questo maledetto virus! Evviva il blu, evviva i vaccini.

Concorso 50&Più

Il pianoforte delle stelle

di Luciana SALVUCCI

A Miriam

Appena arrivati ad ArtiStrada, alla vista della lunga fila prevedo una noia prolungata, ma di una pizza non si può fare a meno, per questo decidiamo di metterci pazientemente in coda, in attesa del nostro turno. Lo stare in piedi lungo la balaustra, come in esposizione, con giovani festosi seduti sulle panche davanti a tavole imbandite e boccali di birra, mi imbarazza; Elio si sente a suo agio. Ci raggiunge un gruppo di amici. La fila sembra interminabile ma, come ogni anno, l’attesa è occasione di socializzazione. Incontro compagni di scuola elementare, frequentata a Colmurano nel vecchio monastero di Monte Loreto. Costruito fra il secolo XIV e il successivo, prima è condotto dai conventuali, poi, dal 1790, dal terzo ordine regolare. In seguito il monastero, detto di San Francesco, viene ceduto a privati. Le mura cariche di storia e i mitici boschi vicini, che di frequente andavamo a esplorare, hanno scortato la nostra infanzia. Incontro amici di gioventù di altri paesi. Incontro colleghe invecchiate; studenti cresciuti, divenuti adulti, alcuni innamorati e felici, altri malinconici e seriosi. Mi vengono incontro per salutarmi, ma non sempre riesco a celare l’imbarazzo nel dover ammettere di non ricordare il loro nome. Dal tempo trascorso dagli anni del liceo sono cambiati. Non sempre è facile ritrovare negli affascinanti giovani dai gesti disinvolti, nelle ragazze truccate e procaci, che sono davanti a me, l’adolescente intimidito durante l’interrogazione, o la ragazza ancora assonnata, silenziosa, con il viso pallido della prima ora di lezione. Ci annunciano che il nostro turno è arrivato. «Così presto?». Mi rammarico per il tempo troppo breve concesso alla parola e ai ricordi, e saluto l’ultimo incontrato. Mi chiedono cosa ordinare. A differenza degli amici, non ho dubbi. «Una pizza bianca. Pizzagra! Come sempre, come tutti gli anni!». L’impasto pizza è fatto dalle sapienti mani di Norina, che canticchia seguendo l’armonia di ArtiStrada. Lei stende pizze tonde e sottili, poi condite con origano, feta greca, olive nere e pachino. Appena la portano al nostro tavolo, soffice e calda, non posso fare a meno di sorridere. Il profumo solleva un coro magico di mani, bocche, giocolieri, saltimbanchi, musiche e danze. Per me Pizzagra è la pizza dell’arte, dell’amore, delle emozioni felici. Mangiarla sotto la luna d’argento che mi abbraccia come una grande madre, mentre gli innamorati si baciano, le canzoni di ArtiStrada raccontano storie, danzatori, cantastorie e funamboli colorano il mio paese incantato; ogni volta è una gioia grande. La strada è una porta aperta al bello, alla meraviglia, allo stupore inatteso. Il sapore di Pizzagra esprime la nostra voglia di sorprendere e di sorprenderci, di conservare e realizzare un sogno di libertà, che possa elevare il senso della vita. Al tavolo assegnato ci sono artisti, più o meno giovani; a turno narrano le loro imprese, a tratti volano leggeri con la fantasia. Le loro voci argentine si armonizzano con la musica. Anche

Laureata in Pedagogia, ha insegnato nei licei, è stata dirigente scolastica e docente a contratto presso l’Università di Macerata. Ha scritto diversi testi di saggistica, poesia e teatro e molti sono stati pubblicati su riviste, antologie e cataloghi. Ha partecipato a Concorsi letterari nazionali e internazionali ottenendo lusinghieri riconoscimenti. Al Concorso 50&Più partecipa per la seconda volta; nel 2020 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Fotografia. Vive a Macerata.

i loro occhi sorridono sotto le ciglia. Oh sì! È bello perché tutti ascoltano le loro piccole o grandi risa e condividono commozioni parallele. L’arte è un modo di fare cultura, di concepire il mondo e l’amore. Nutre l’anima, genera contatti positivi, dà emozioni di luce, produce una sorta di affettuosa complicità tra una forma e una voce incontaminate e la reale quotidianità. Supera le barriere dei diversi mondi, geografici, espressivi e sociali e mira a una simbiosi culturale universale. Fa vivere in uno stato di grazia. Ride anche la luna di luglio dietro il trapezio degli acrobati sospesi a mezz’aria mentre percorrono il vuoto, quando Miriam si avvicina. Così splendente da oscurare il tripudio delle danzatrici! Nel piazzale la insegue il farisaico miracolo della luce del mangiafuoco, che si estende con le braccia distese a ringraziare il cielo immenso. La poesia lungo le vie di ArtiStrada è un dono immateriale in versi di vissuti e memorie; è conoscenza di se stessi, degli altri e del mondo; è amalgama di attività artistica e sentimenti, emozioni, stati d’animo, condivisi o condivisibili. Una buona poesia, nello spirito degli organizzatori, può rappresentare il recupero di forme creative e libere di espressione lirica, accoglienza e relazioni amicali gratuite, non sempre presenti nell’odierna società del profitto. È bella Miriam, timida e colorata, col vestito della festa e i petali della poesia tra le labbra. Arrossisce agli sguardi mentre recita i versi e intona il sorriso alla melodia della brezza. È grata ai presenti per l’omaggio alla sua attività artistica. Guarda con gli occhi azzurri spalancati il cielo estasiato che s’inarca fecondo sulla notte magica di ArtiStrada. Con le braccia lungo i fianchi, resta ad ammirare. Lo sguardo dritto all’amore. Non ha paura del dolore lei. Stringe forte tra le mani la rosa scarlatta della poesia. I petali volano oltre le vette, dov’è la speranza di libertà. All’improvviso! La rosa di Miriam oltrepassa le nuvole, sboccia nel cielo infinito. Luccica! La sua poesia dentro la mente, dentro la vita, nel cuore della terra, nell’anima del cielo. Sboccia ovunque la rosa scarlatta della libertà. Miriam suona il pianoforte delle stelle, declama i suoi versi alla luna. Nella notte stellata di ArtiStrada applaudono alla rosa sbocciata. Gli applausi si sciolgono in musica. Gli innamorati assiepati sono ammaliati dalla melodia. I bambini ascoltano incantati: i loro occhi sbattono di gioia. Tra i fuochi d’artificio il sorriso lucente di Miriam! Coi capelli biondi accarezzati dal vento e i petali della poesia tra le labbra, lei danza tra le braccia del cavaliere azzurro. Incanta tutti con la sua bellezza!

Occhi

di Gabriele VALENTE

Indossava con dignitosa noncuranza una tuta grigiastra un po’ sdrucita che aveva perduto da tempo il ricordo del suo colore originario: nero. Se ne stava lì silenziosa come è dato in tempi di Covid a fare la fila davanti al supermercato. La osservai interessato: scuri capelli scomposti ed altrettanto scuri occhi che vagavano persi intorno all’orizzonte desolato della via deserta in attesa del suo turno. Li osservai curioso quegli occhi. Mi è sempre piaciuto fin da quando ero bambino guardare la gente in faccia e in quelle espressioni cercare di leggere nel più intimo del loro essere: felici, tristi, innamorati… quanti profili ho ricamato nella mia mente compilando una specie di lista di un’umanità fantastica! Ho continuato a portare avanti nel mio immaginario quel compito di psicologo improvvisato e silenzioso fino ad oggi: giovani dai sorrisi radiosi, anziani intristiti dagli anni, bambini innocenti e

È nato a Milano e vive a Roma. Medico-specialista neurologo, ricercatore presso il Policlinico Umberto I e docente presso l’Università La Sapienza attualmente in pensione. Oltre ad essere autore di numerose pubblicazioni scientifiche, ha scritto alcuni articoli di carattere divulgativo per la terza pagina de La Nazione e Il Resto del Carlino. Ha redatto, in collaborazione con il giornalista G.M. Pace, i testi per la trasmissione Rai La fabbrica del pensiero, andata in onda su Rai 2 nel 1988 e divenuta oggetto del libro dal titolo omonimo edito da Eri nel 1990. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta.

sorridenti, donne e uomini soli o amati, gratificati da piccole o grandi conquiste o privati invece di presenze e di speranze il che ha tolto loro il senso della vita. Non so perché lo faccio, ma è più forte di me: non resisto e questo compito che il destino mi ha per chissà quale motivo imposto lo vivo con piacere e gratificazione perché in questo modo ho la presunzione di poter entrare negli animi di tanta umanità. Forse lo faccio per cercare la mia di essenza che in età ormai avanzata non sono ancora riuscito a trovare. Fatto sta che in questi giorni a portare avanti il mio assurdo compito nella clausura che ci è impietosamente imposta c’è tra tanti un problema: la mascherina. Restano soltanto gli occhi a fare da specchio alla curiosità che mi induce a penetrare nell’animo di sconosciuti esseri umani per immaginarne schegge di vita. Copre impietosa la mascherina il loro volto che a me piace tanto sondare. E dagli occhi di questi sconosciuti privati delle loro espressioni, dei loro sorrisi, delle loro rughe celate dietro le mascherine, cerco anche in questi tristi giorni di distacco sociale forzato di leggere sentimenti ed emozioni per interpretare il loro modo di essere mentre faccio anch’io la fila davanti al supermercato. È l’unica occasione di socializzare idealmente con estranei e per me va bene così. Gli occhi di quella ragazza mi apparvero criptici a prima vista e capire il senso di quello che potevano esprimere non era facile. Avrà avuto venti, venticinque anni, il suo corpo come sempre succede per le ragazze era attraente, flessuoso e certamente era stato oggetto delle attenzioni di più di un ragazzo. Mentre la osservavo discretamente cercando di tracciarne presuntuosamente il profilo psicologico notai le sottili caviglie che si mostravano timide tra le scarpe da ginnastica e l’orlo consunto della tuta ingrigita e facevano, pallide, bella mostra di sé. Caviglie lunghe e sottili come quelle dei caprioli, delle gazzelle o delle antilopi africane, caviglie fatte per correre, flettendosi agili per fuggire… già fuggire da che cosa? Non certo dal virus che ci attanaglia, quello non serve, forse fuggire da un destino che poteva non essere dei migliori o forse fuggire da se stessa… chi lo sa! Soddisfatto della mia analisi nonostante l’impedimento della mascherina che la ragazza indossava, quando arrivò il mio turno per entrare nel supermercato mi diressi verso la porta scorrevole e quella ragazza non la vidi più e mai più l’avrei rivista. Era scomparsa ai miei occhi e mi dispiacque. Ma io avevo ancora una volta inventato un’esistenza pur dietro la discrezione imposta dalla mascherina che cela mondi, vite, desideri. Cela solitudini imperscrutabili, cela dolori e piaceri, cela sentimenti che neanche io, tanto attento ed interessato agli esseri umani, so fino in fondo interpretare. Continuo a fare la fila fuori dai supermercati come mi è imposto e mentre me ne sto lì apparentemente attonito davanti a decine e decine di volti nascosti dietro alle mascherine so bene che al di là di ciascuno di quei volti c’è una vita e allora anche in questa situazione così triste io sono contento e continuo imperterrito a studiare occhi che fanno capolino sopra quelle mascherine. Sono l’unico, credo, che durante le lunghe attese davanti al supermercato non si annoia mai anzi si bea nel cercare un rapporto virtuale con sconosciuti violandone con discrezione l’intimità.

Sfogo palindromo Acqua sui fondali

di Simonetta CALIGARA di Francesca D’ERRICO

Non fidarti di me, non fidarti più I miei occhi sono un mare sabbioso Quanti giuramenti arenati come barchette di carta Promesse da poetucola Rime servite con grazia esagerata Ho giocato con le parole, inventato storie Piccole emozioni ingigantite La troppa fantasia le ha tacitate Alle mie labbra non dare più credito Quante verità perdute, quanti silenzi Allento il mio pugno serrato Una carezza è qui pronta nella mia mano rugosa Offerta di pace, pagina bianca da riscrivere Tambureggia il cuore e arrossisco Sincera è la voce del mio corpo Abbasso le palpebre, copro le mie pupille Ora hanno il colore indeciso d’un placido stagno I miei occhi luccicano come antichi specchi argentei Fidati di me. Dammi ancora fiducia. Se solo tu danzassi tra i baci delle onde, rivedresti l’eterna collina della luna e il mite prato che adagio sposa l’ombra steccata del passato. Se solo tu cercassi il suono degli abbracci, in quella luce tanto attesa, schiuderesti, tra i contorni delle stelle, il cantico dell’aria e le carezze dipinte dall’acqua dei fondali.

Ha iniziato a scrivere poesie sin dall’infanzia ma, presa dall’inesorabile scorrere del quotidiano, ha accantonato per diversi anni questa passione. Da circa sei anni ha ripreso in mano la penna dedicandosi principalmente alla poesia in lingua milanese, ma non disdegna la poesia in italiano, lingua così ricca di vocaboli. Ha pubblicato in proprio alcuni suoi lavori che ama condividere con gli amici dell’Atelié di poetica gestito da Paola Cavanna a Milano. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Settimo Milanese (Mi). Nata a Capua, vive a Caserta. Già docente di filosofia e storia, si dedica da molti anni alla scrittura e alla poesia. Ha pubblicato raccolte di poesia e partecipa a concorsi e premi letterari nazionali e internazionali. Partecipa al Concorso 50&Più da alcuni anni; nel 2017 e nel 2020 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la Poesia.

Le sue mani Nascere all’epoca del Coronavirus

di Gemma FERRO

Forti e delicate insieme Dolci nelle carezze Un po’ ruvide per la lisciva delle rigovernature Attive sempre Vedevo scivolare affascinata il ferro da stiro luccicante sulle camicie di mio padre Come per incanto i miei abitini sembravano acquistare leggerezza alata e i miei cappellini prendevano forma da un’inamidatura sapiente Forti nell’usare il battipanni sui materassi Delicate nel farle scorrere a spianare una minima piega sul copriletto di brillanté Pazienti nel trapuntare la tela del ricamo Solerti nel risistemare le cocche del fiocco annodato sui capelli o davanti il grembiule di scuola Ferme e impietose nelle medicazioni per rimediare alle frequenti sbucciature di bimba piuttosto vivace incurante delle preghiere e dell’eco degli strilli che si propagavano per tutto il vicinato Dure nella punizione Decise nel rassettare con rapidi gesti gli abiti con la spazzola Piccole e belle con quei rivoli azzurri che le percorrevano Le unghie corte e pulite Mani che non hanno potuto invecchiare Le Sue mani Quelle di mia madre. Nella deserta strada, affacciato dal mio balcone, scorgo un cane scodinzolante, felice col suo padrone. Il quale esce spesso con lui, e volentieri, a godersi l’aria pulita ed i cieli tersi come da decenni non li vedevi. E sì, perché qualche beneficio questo virus l’ha pur portato. Ci si accorge di quanto sia importante il nostro tempo. Di come ci arde dentro il sentimento. Il volontariato è ora dedizione. Il patriottismo ci colora le guance di emozione. L’appartenenza ci consola. Ed il balcone diventa un palco, dove cantare uniti con sentimento una canzone, ascoltare insieme ai vicini l’inno nazionale, applaudire per un grazie collettivo gli eroi del sociale. E mentre mio nipote viene al mondo, io prego per lui e per chi gli sta intorno. Che il Signore lo protegga, che abbia sempre con sé la buona stella, ora più che mai. Perché questo virus non l’abbia vinta e la vita torni a sorriderci come prima.

È nata a Torino e vive a Pietra Ligure (Sv). Da sempre appassionata di poesia, ha partecipato a diversi concorsi ricevendo premi e riconoscimenti. Partecipa al Concorso 50&Più per la terza volta. di Marco LENCI

Manager presso una multinazionale tedesca, si diletta da anni a scrivere poesie «che colgono - dice - l’attimo fuggente di una visione o di un’emozione che mi balzi alla vista cogliendo i miei pensieri». Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Milano.

Il bosco

di Luigina MARAN Ho camminato, come sempre, a piedi nudi sul muschio profumato, una brezza leggera mi accarezzava il viso, lo sguardo verso il cielo.

Abeti altissimi che sussurrano piano, il volo impaurito di un crociere. Finalmente mi sento a casa mia appartengo a questo bosco.

Qui trovo il senso dei giorni andati, e la speranza per i giorni futuri. È qui, mi aspetta, anno dopo anno, immutabile, eppure così diverso ogni volta.

Chiudo gli occhi, i capelli scompigliati dal vento. Respiro forte il suo profumo, a riempire l’anima del senso della vita.

Contitolare di un’azienda artigiana, costituita 40 anni fa, volontaria della Croce Rossa, si occupa anche di un’associazione di genitori di scuole cattoliche. Oltre a scrivere le piace anche dipingere, fotografare e viaggiare. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Cittadella (Pd).

Concorso 50&Più

Vortice Covid

di Carmine RAIOLA

Commerciante, ora in pensione, si è appassionato alla pittura quando aveva 40 anni. «Da quando ho scoperto questa passione - dice - e chiuso l’attività, mi sento libero di esprimere la mia creatività e guardare il mondo attraverso i colori a olio». Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Torre del Greco (Na).

Il silenzio del mondo

di Giuliana CAPOCCHIA

Ha frequentato l’Istituto d’Arte di Perugia e, nel 2006, si è diplomata maestra d’arte. Ha partecipato a varie esposizioni, mostre personali e collettive riscuotendo lusinghieri riconoscimenti. Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. Vive a Corciano (Pg).

Tra il profumo dei fiori

di Marco LENCI

Manager presso una multinazionale tedesca, si diletta da anni a scrivere poesie “che colgono”, dice, “l’attimo fuggente di una visione o di un’emozione che mi balzi alla vista cogliendo i miei pensieri”. Partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Vive a Milano.

Castelluccio di Norcia e la sua fioritura

di Marcella SABBA

Dopo 40 anni di attività, ora che è in pensione può dare spazio a ciò che la appassiona da sempre: la pittura. Autodidatta, ha partecipato a corsi di disegno, pittura, ceramica e arte nella fotografia presso l’Università libera della sua città. Al Concorso 50&Più partecipa per la prima volta. Vive a Bastia Umbra (Pg).

Campo di grano

di Claudia Alessandra TENANI

Vive e opera a Milano. La passione per l’arte le è stata trasmessa dai genitori, che le hanno insegnato a osservare le cose, gli animali, le persone e la natura, e a visitare musei e gallerie. Dal 2005 frequenta l’école d’art Martenot di Milano e, dal 2008, corsi di incisione del gruppo Cesare Frigerio di Corsico. Dal 2006 partecipa a molte esposizioni, anche di pregio, in modo amatoriale. Al Concorso 50&Più nel 2014 ha vinto la Farfalla d’Oro per la Fotografia e nel 2019 la Libellula d’Oro; nel 2018 e 2019 la Menzione Speciale della Giuria per la Pittura.

Le mani che sanno

di Armando FESTINI Sezione Fotografia

Fotografo per hobby, partecipa al Concorso 50&Più per la dodicesima volta; ha ricevuto cinque Menzioni speciali della giuria per la fotografia. Vive a Monticello Conte Otto (Vi).

Il contatto negato

di Annalisa Gatti

Insegnante in pensione con l’hobby della fotografia. Partecipa al Concorso 50&Più per la quarta volta; nel 2018 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la Fotografia e nel 2019 per la Poesia. Vive a Lucca.

Il volto del coronavirus

di Giulio Rocco CASTELLO

Docente in pensione, amante dello sport, del ballo e dell’arte, in particolare della poesia. Partecipa al Concorso da diversi anni, nel 2009 e nel 2014 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la Poesia; nel 2016 ha vinto la Farfalla d’Oro, nel 2017 la Superfarfalla e nel 2018 e 2019 la Segnalazione della Giuria sempre per la Poesia. In questa edizione partecipa per la prima volta con un’opera di fotografia. Vive a Salerno.

Frutta in vendita al mercato di Nishiki nel centro di Kyoto

di Lucia Stefania D’EGIDIO

Schizzi di nuvole sul Tevere

di Salvatore SCARPINO

È nato a Catanzaro, dove vive. Appassionato da sempre di fotografia, partecipa al Concorso 50&Più per la seconda volta. Pensionata a cui piace viaggiare e fotografare tutto quello che la colpisce. Partecipa al Concorso 50&Più da qualche anno; nel 2016 ha ricevuto la Menzione Speciale della Giuria per la Fotografia. Vive a Campodipietra (Cb).

SCHEDA DI VOTAZIONE PER IL CONCORSO PROSA, POESIA, PITTURA, FOTOGRAFIA

È questo il momento più atteso dai finalisti: superare la selezione. I cinque candidati al premio finale per le sezioni Prosa, Poesia, Pittura e Fotografia, attendono ora il giudizio inappellabile dei lettori. Come ogni anno, con la scheda di votazione qui proposta, sarà scelto il vincitore per ogni disciplina. Dunque, votate secondo le vostre preferenze: quella crocetta che traccerete sul quadratino posto a lato di ogni nome, sarà decisiva.

Da ritagliare e inviare in originale a 50&Più - Via del Melangolo 26 - 00186 Roma entro il 30/04/2022 (eventuali schede fotocopiate/scansionate saranno ritenute nulle). La votazione può essere effettuata anche online, all’indirizzo www.spazio50.org

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PROSA

La guerra e i miei occhi di bambina - Maria GOGATO

Della Libertà e dell’Amore Maria Pia CORTELLESSA

Rosso, giallo, arancio

e… azzurro - Evelina MAYER

Il pianoforte delle stelle

Luciana SALVUCCI

Occhi

Gabriele VALENTE

POESIA

Sfogo palindromo

Simonetta CALIGARA

Acqua sui fondali

Francesca D’ERRICO

Le sue mani

Gemma FERRO

Nascere all’epoca del

Coronavirus - Marco LENCI

Il bosco

Luigina MARAN

PITTURA FOTOGRAFIA

Vortice Covid

Carmine RAIOLA

Le mani che sanno…

Armando FESTINI

Il silenzio del mondo Giuliana CAPOCCHIA

Tra il profumo dei fiori

Marco LENCI

Castelluccio di Norcia e la sua

fioritura - Marcella SABBA

Campo di grano

Claudia Alessandra TENANI

Il contatto negato

Annalisa GATTI

Il volto del coronavirus Giulio Rocco CASTELLO

Schizzi di nuvole sul Tevere

Salvatore SCARPINO

Frutti in vendita al mercato di Nishiki nel centro di Kyoto

Lucia Stefania D’EGIDIO

Libellula d’Oro per la Prosa: Rosa CONTE, di Lucca, con l’opera Il cuore in mano. Libellula d’Oro per la Poesia: Bianca Maria RORATO, di Salgareda (Tv), con l’opera Nelle piccole stazioni albergano i sogni. Libellula d’Oro per la Pittura: Antonietta PILLA, di Treviso, con l’opera Sponda sul fiume Sile. Libellula d’Oro per la Fotografia: Cesarina RIGO, di Monticello Conte Otto (Vi), con l’opera Giocando alla pesca.

MENZIONI SPECIALI

PROSA: Franca FIORDALICE, Anna PELLIZZARO, Gemma FERRO, Marinella BONGIOLATTI, Giuseppina GATTI, Giuseppe GESANO, Caterina LORENZETTI, Giuliano MARROCCO, Stefano PENDOLA, Massimo ZUBBOLI. POESIA: Maria Luisa ANDRIGHETTO, Gabriella BATIGNANI, Patrizio BELEGGIA, Isabella CUNSOLO, Luigi DAVOLI, Gianfranco EPIFANI, Anna Lisa GRITTI, Giuseppe ORLANDI, Ideale PIANTONI, Antonino TROVATO. PITTURA: Franca AMBROSI, Maria Teresa FIORATO, Angela GRECO, Mauro OTTAVIANI, Arnaldo PAUSELLI, Santuccia PETRETTI, Deniz TUNCER. FOTOGRAFIA: Marina CAPOVILLA, Luigi DAVOLI, Roberta MARCONI, Antonietta PIANA, Rossana PIANIGIANI.

SEGNALAZIONI Prosa: Ilde ROSATI, Tiziana MICHELINI. Poesia: Giovanni Mario MELOSU, Luciano ZONI. Pittura: Maria BUSATO. Fotografia: Giuseppina RIGHETTI.

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