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Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.univadis.it Numero verde 800 23 99 89
Estate 2014
In questo numero TUMORI E TERAPIE DI SUPPORTO
IL PUNTO SU...
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Estate 2014 Registrazione del Tribunale di Roma in corso Direzione scientifica: Fausto Roila Enzo Ballatori Gruppo editoriale: Claudia Caserta Sonia Fatigoni Guglielmo Fumi Azienda Ospedaliera di Terni Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma Luglio 2014 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00
Sarcomi dei tessuti molli: terapia di supporto e gestione delle complicanze Michela Libertini, Luigi Saita, Paolo G. Casali
GESTIONE EVENTI AVVERSI
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Il trattamento farmacologico della fatigue da cancro Fausto Roila, Sonia Fatigoni, Guglielmo Fumi Tossicità dei nuovi farmaci nei tumori gastroenterici: aflibercept, regorafenib e abraxane Damiano Parriani, Guglielmo Fumi
I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell‘Editore o della MSD Italia S.r.l. Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice.
A maggio si è tenuto il 1° Congresso Nazionale del NICSO; i contenuti scientifici verranno discussi nel prossimo numero di CASCO.
In copertina: Romare Bearden (1911-1988), Constellation of the archer, 1972.
La sessualità nel paziente neoplastico Elisa Minenza
CASI CLINICI
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Trattamenti della fatigue... e dintorni Enzo Ballatori, Fausto Roila
STATISTICA PER CONCETTI
27 29
Disegni fattoriali Enzo Ballatori Scale di misura e test statistici Enzo Ballatori
Tumori e terapie di supporto
Sarcomi dei tessuti molli: terapia di supporto e gestione delle complicanze Michela Libertini1 1. SSD Oncologia Medica Luigi Saita2 dei Tumori Mesenchimali Paolo G. Casali1 dell'Adulto Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano 2. SC Cure Palliative, Terapia del dolore e Riabilitazione Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, Milano
RIASSUNTO I sarcomi dei tessuti molli sono neoplasie rare, ma non rarissime, caratterizzate da una storia naturale che mostra alcuni aspetti peculiari, anche rispetto ai più comuni tumori epiteliali. In particolare, è tipica dei sarcomi la metastatizzazione polmonare “isolata”, in una proporzione importante di casi, così che, ad esempio, l’insufficienza respiratoria può essere il sintomo dominante dal punto di vista palliativistico nella fase preterminale, pur con una sostanziale conservazione del performance status, in asssenza di cachessia. Questo rende cruciale l’integrazione delle terapie palliative con la terapia antiblastica, la quale tende a prolungarsi forse più che in moltre altre neoplasie avanzate. Questa integrazione è peraltro molto importante anche nella fase locale di malattia, quando i sintomi da compressione possono richiedere un energico trattamento palliativistico, nell’attesa che le terapie oncologiche esercitino la loro azione. In questo senso, vi sono presentazioni cliniche molto caratteristiche, come le masse a carico degli arti, o le grosse masse addominali essenzialmente compressive (e a volte con una storia naturale prolungata pur in fase avanzata). Altre volte, in fase avanzata, le grosse masse degli arti, aperte all’esterno, richiedono un’attenzione palliativistica particolare. Non mancano le conseguenze delle demolizioni chirurgiche come la sindrome da arto fantasma. Infine, si aggiungono, come nel resto dell’oncologia medica, le complicanze proprie dei farmaci a bersaglio molecolare, la cui tossicità tende ad essere assai più farmaco-specifica e meno “monotona” rispetto ai farmaci citotossici. Parole chiave. Sarcomi dei tessuti molli, tumori rari, terapia di supporto, dolore, integrazione.
SUMMARY
Soft Tissue Sarcoma: supportive care and management of complications Soft tissue sarcomas are infrequent, but not unusual, neoplasms, characterized by a peculiar natural history, and are different from most common epithelial tumors. Typically sarcoma metastasis is in the lungs, usually as “isolated metastasis”, so that patients with sarcoma often have respiratory failure as 4
CASCO — Estate 2014
symptom of advanced disease, despite preserving quite a good performance status and without neoplastic cachexia. Therefore this is an important topic relating to the supportive care for patients with this kind of tumor. The relationship between palliative care and antiblastic treatment seems to be extremely important, because in the treatment of soft tissue sarcoma chemotherapy is frequently performed for longer than for other types of tumors. The interaction between supportive care and antiblastic treatment is important also in a neoadjuvant setting, with a localized disease. In this setting when patients present with pain, thrombosis, and voluminous masses, a palliativistic approach could be necessary while active treatments are working. In the locally advanced/metastatic setting, supportive care is necessary for the management of voluminous masses and the risk of their bleeding or ulcerations. Another important aspect of the integration between supportive care and active therapy is the “phantom-limb syndrome” in patients after amputation surgery. Finally we could add to this also all the side effects related to new molecular agents, with a drug-specific toxicity. Key words. Soft tissue sarcoma, rare cancer, supportive care, interaction
I sarcomi dei tessuti molli sono neoplasie rare, con una incidenza di circa 4-5/100.000 nuovi casi l’anno1. La classificazione dei sarcomi dei tessuti molli2 comprende alcune decine di istologie. Le sedi di insorgenza più frequenti sono rappresentate dagli arti (>50%), dal tronco superficiale (10%), dai parenchimi di tutti gli organi (15%), dal retroperitoneo (15%), dalla testa-collo (5%)3. Sono quindi un gruppo altamente eterogeneo di neoplasie, sia per istologia che per sede anatomica di origine. Il trattamento della malattia localizzata è rappresentato dalla chirurgia, che a tutt’oggi costituisce quindi la principale modalità terapeutica. La radioterapia può ridurre il rischio di recidiva locale di malattia in diverse presentazioni (essenzialmente, quelle ad alto grado di malignità). Il ruolo della chemioterapia nella fase adiuvante rimane ancora controverso, anche se vi è una tendenza a proporre ai pazienti un trattamento adiuvante quando il rischio sia particolarmente elevato, per le evidenze, sia pure non conclusive, di una qualche efficacia nella riduzione del rischio stesso e/o in una dilazione della possibile recidiva a distanza4. Il trattamento medico è invece centrale nella malattia localmente avanzata e metastatica. I farmaci cardine nella chemioterapia dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto sono le antracicline e l’Ifosfamide5. Esistono, inoltre, evidenze di peculiari sensibilità da parte di alcune istologie verso altri far-
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maci. Questa tendenza ad utilizzare farmaci distinti per istotipi diversi, all’interno di una famiglia così eterogenea di neoplasie, rientra nell’approccio cosiddetto “histology-driven” al trattamento medico dei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto. Inoltre, alcuni farmaci a bersaglio molecolare si sono rivelati attivi e un anti-tirosinochinasico con importante attività antiangiogenica come pazopanib6 è stato recentemente approvato nell’ulteriore linea terapeutica in fase avanzata. Altri farmaci a bersaglio molecolare si sono rivelati attivi, fra cui in particolare imatinib nel dermatofibrosarcoma (che pure è nella maggior parte dei casi una neoplasia “chirurgica”). È ragionevole ipotizzare che lo sviluppo di farmaci a bersaglio molecolare nei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto sarà a maggior ragione differenziato per istologia. I sarcomi dei tessuti molli dell’adulto hanno probabilità di guarigione superiori al 50%. I pazienti che guariscono possono presentare sequele da trattamenti, come tipicamente quelle anatomo-funzionali che derivano da interventi chirurgici demolitivi degli arti. Inoltre, le masse voluminose possono determinare compressioni significative, ad esempio su formazioni nervose e vascolari, tali da richiedere una idonea terapia del dolore, nell’attesa che le terapie citoriduttive ne ottengano un’iniziale regressione in fase localizzata o nell’ambito della terapia di supporto del paziente con malattia avanzata. In questo senso, le terapie palliative hanno un ruolo importante anche nella fase locale di malattia, in presenza di prognosi ancora compatibili con probabilità di guarigione. I pazienti che non guariscono vanno incontro ad una storia naturale abbastanza peculiare. La sua principale caratteristica è la metastatizzazione elettiva primariamente polmonare. I polmoni sono una sorta di “primo filtro” sistemico, tale per cui in circa la metà dei casi di metastatizzazione vi sono lesioni “isolate” a livello polmonare, cioè in assenza di lesioni secondarie in altri organi. Questo è il fondamento dell’uso della chirurgia delle metastasi polmonari, che trova infatti nei sarcomi un ambito elettivo di applicazione, con frazioni di casi, sia pure limitate, suscettibili di guarire anche in fase metastatica con il trattamento chirurgico. Quest’ultimo si arricchisce peraltro di tecnologie meno invasive, che possono essere impiegate in diversi casi, tanto più quando l’intento è essenzialmente palliativo. È vero infatti che la chirurgia delle metastasi polmonari può risultare eradicante in una proporzione di casi, soprattutto quelli con poche lesioni e lungo intervallo libero, ma essa può anche ottenere un controllo di malattia per qualche tempo in un’ulteriore frazione di casi. In diversi pazienti, la metastatizzazione resta isolata a livello polmonare, o almeno dominante, anche quando la malattia progredisce in fase avanzata, anche fino alla pre-terminale. Questo significa che l’insufficienza respiratoria è allora il problema clinico fondamentale, in assenza di problematiche derivanti dal coinvolgimento di altre sedi anatomiche. Inoltre, vi è abbastanza tipicamente l’assenza di una vera e propria “cachessia” neoplastica, al contrario di quanto avviene in molte neoplasie epiteliali in fase avanzata. Questo significa che il paziente presenta un quadro palliativistico dominato dall’insufficienza respiratoria, con condizioni generali mantenute. Ne derivano ovvie difficoltà terapeutiche, oltre che psicologiche.
In generale, la frequente preservazione di un buon performance status lungo la storia naturale di malattia, anche avanzata, fa sì che i pazienti con sarcomi dei tessuti molli ricevano, rispetto al paziente oncologico tipico, un numero maggiore di trattamenti oncologici specifici, in particolare più linee di terapia medica, ma anche più chirurgie per recidive locoregionali e/o metastasi. Questo rende fondamentale l’integrazione fra terapie palliative e trattamenti oncologici specifici, dalle fasi iniziali alle fasi molto avanzate di malattia, con ampie sovrapposizioni, senza esclusivismi. Effetto massa e sintomi da compressione Come già accennato, i sarcomi dei tessuti molli si presentano spesso come masse voluminose occupanti la regione anatomica di origine, causando allora significativi sintomi da compressione. In particolare, le masse ad origine dagli arti possono determinare edema declive omolaterale dell’arto, con rischio di trombosi venosa profonda. Nei sarcomi del retroperitoneo, la compressione degli organi addominali può determinare una sintomatologia molto importante. In particolare, la compressione della vena cava inferiore può essere causa di edemi a carico della parte inferiore del corpo, versamento ascitico, epatomegalia, varici degli arti inferiori e disfunzione renale. La compressione è cronica nei casi in cui la chirurgia non possa ottenere un impatto significativo. Pertanto, l’utilizzo di diuretici e di bendaggi di contenimento può essere utile al contenimento della sintomatologia. Altra presentazione non infrequente dei sarcomi retroperitoneali è l’occlusione intestinale, completa o, più spesso, parziale (subocclusione), i cui sintomi sono quelli tipici, cioè dolore addominale, vomito, chiusura dell’alvo, distensione addominale dovuta all’accumulo di liquidi ed aria. In questi casi, se l’opzione chirurgica non è indicata, si deve ricorrere alla terapia medica conservativa dell’occlusione intestinale neoplastica. In questo senso, è vero che le masse retroperitoneali da sarcoma possono essere tecnicamente resecabili in una proporzione significativa di casi, e dunque la chirurgia iterativa costituisce un’opportunità. È anche vero che gli interventi di “debulking” parziale hanno un significato limitato e possono anche essere gravati da complicanze importanti. La terapia medica dei liposarcomi dedifferenziati, l’istotipo dominante nei sarcomi retroperitoneali con predominante e cronica evolutività addominale, trova attualmente un numero limitato di farmaci disponibili, pur in presenza di bersagli molecolari per i quali vi sono farmaci in sviluppo e indubbie opportunità per la ricerca clinica. Trombosi venosa profonda Non esistono dati univoci in letteratura riguardanti l’aumentato rischio di sviluppare trombosi venose profonde nei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto. In generale, i sarcomi di origine vascolare7 si presentano solitamente con trombosi nel vaso di origine, per alterazione dell’endotelio vascolare, crescita endovascolare tumorale, aumentata produzione di agenti pro coagulanti, e la presentazione di alcuni sarcomi con masse voluminose (ad esempio nel retroperitoneo, come già ricordato) è causa di fenomeni di compressione vascoCASCO — Estate 2014
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lare che aumentano il rischio di tromboembolismo. Pertanto, pur in assenza di dati conclusivi, si deve certamente considerare in diversi casi l’opportunità di un trattamento profilattico con eparina a basso peso molecolare o warfarinoidi8. Emorragia e anemizzazione La presentazione più tipica dei sarcomi dei tessuti molli è rappresentata dalle masse, spesso voluminose, non di rado soggette a sanguinamenti spontanei o iatrogeni. Tali emorragie possono divenire talvolta importanti e richiedere approcci chirurgici, o comunque possono costituire focolai di sanguinamento cronico, soprattutto in sedi critiche a livello addominale, toracico, encefalico o del tronco superficiale. I sanguinamenti possono essere anche intralesionali. In particolare, masse voluminose, o in rapida progressione spontanea o anche perché in risposta ai trattamenti medici o radianti, possono presentare dei sanguinamenti interni alla massa, con anemizzazione da sequestro di emoglobina. L’aumento dimensionale della massa può comportare, oltre alle conseguenze locali in termini di dolore e impotenza funzionale, anche risentimento sistemico. In presenza di anemizzazione cronica asintomatica, il supporto emotrasfusionale può essere utile nella gestione dei sintomi, al fine di permettere una chirurgia in elezione, eventualmente al dispiegarsi del massimo della risposta tumorale alla terapia medica e/o radiante, con limitazione delle sequele anatomo-funzionali della stessa chirurgia. Dolore Il dolore è un sintomo frequente nei pazienti con neoplasia solida, presentandosi nel 90% di essi durante le varie fasi della malattia. Questo vale anche nei sarcomi dei tessuti molli dell’adulto, la cui storia naturale comprende la crescita di masse voluminose a livello del tumore primitivo e la possibile metastatizzazione scheletrica. Il dolore oncologico cronico è un sintomo complesso, che può essere esacerbato da vari fattori e che condiziona pesantemente la qualità della vita. In uno studio su 81 pazienti con sarcoma localmente avanzato o metastatico dei tessuti molli, il 50% dei pazienti aveva dolore alla prima linea di chemioterapia e la proporzione saliva all’82% per i pazienti alla seconda linea di chemioterapia10. Nei sarcomi, le sindromi algiche più frequenti sono le seguenti. 1. La sindrome algica da interessamento diretto del tumore è dovuta a lesioni di strutture somatiche e/o viscerali, quali lesioni neoplastiche ossee e delle articolazioni, lesioni neoplastiche viscerali e lesioni neoplastiche dei tessuti molli. 2. La sindrome algica da interessamento diretto del tumore è dovuta a lesioni dei tessuti nervosi, che possono comportare radicolopatie e sindrome della cauda da lesione neoplastica vertebrale, lesioni del plesso lombosacrale e lesioni del plesso brachiale. 3. Le sindromi algiche correlate alle terapie comprendono le sindromi dolorose post-attiniche, le sindromi dolorose post-chemioterapiche e le sindromi dolorose post-chirurgiche9. 6
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Le linee guida della Organizzazione Mondiale della Sanità per il dolore da cancro, con la scala analgesica a tre gradini, restano l’approccio migliore per un adeguato controllo farmacologico del dolore da sarcoma, così come le raccomandazioni basate sulla evidenza scientifica della Associazione Europea di Cure Palliative (EAPC) sull’uso degli analgesici oppioidi nel trattamento del dolore da cancro11. Nei pazienti con sarcoma sono frequenti due delle condizioni di più difficile controllo del dolore: il dolore neuropatico e il “breakthrough pain”, soprattutto nel sottotipo incidente12. In queste forme, oltre agli oppioidi, è indicato l’uso di farmaci adiuvanti, come gli anticonvulsivanti (gabapentin, pregabalin) e i FANS (ibuprofene). Arto fantasma doloroso Oggi le amputazioni sono rare nei sarcomi degli arti, a seguito di un’evoluzione della chirurgia dei sarcomi degli arti che ha seguito una evoluzione culturale più generale della chriurgia oncologica in senso conservativo. Anche la disponibilità di trattamenti medici e radianti pre-operatori, inclusa la chemio-radioterapia concomitante, ha contribuito a limitare notevolmente la proporzione di pazienti con sarcomi degli arti trattati con interventi demolitivi nel corso della storia clinica di malattia. Tuttavia, resta una frazione di casi nei quali l’amputazione si rende inevitabile, o come unica condizione di potenziale eradicazione o come intervento di necessità, talvolta pur in presenza di una metastatizzazione anche cospicua ma in mancanza di ogni possibile alternativa compatibile con la sopravvivenza o con una ragionevole qualità di vita. Una forma particolare di dolore, nei pazienti con sarcoma trattati con amputazione, è l’arto fantasma doloroso. Questa forma di dolore è complessa e riconosce nella sua patofisiologia due meccanismi: 1) un meccanismo a carico del sistema nervoso centrale, che implica modificazioni neuroplastiche nel corno dorsale e nei neuroni della corteccia somato-sensoriale; 2) un meccanismo di disregolazione del sistema simpatico, che stimola e mantiene il dolore fantasma. Può insorgere precocemente e cronicizzare nel tempo, incidendo negativamente sulla qualità della vita nel 65-80% dei pazienti amputati. Una recente revisione sistematica della letteratura, sul trattamento farmacologico dell’arto fantasnma doloroso cronico raccomanda con un elevato livello di evidenza l’uso del Gabapentin e della morfina per via orale13. Sono ancora scarsi i dati della letteratura sul pregabalin, anche se è frequentemente usato in clinica. Dispnea terminale I pazienti con sarcoma in fase terminale possono andare incontro a dispnea per metastatizzazione polmonare massiva, versamento pleurico, coinvolgimento della parete toracica, coinvolgimento diaframmatico. La toracentesi e il drenaggio pleurico possono affrontare la dispnea da versamento pleurico, ma naturalmente la durata dell’effetto è limitata. Per la dispnea terminale irreversibile, il trattamento è ovviamente farmacologico. I farmaci più utilizzati sono gli steroidi, i broncodilatatori, i sedativi non oppioidi e la morfina. Quando il quadro
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evolve negativamente verso le cure di fine vita, un importante intervento per il controllo della dispnea agonica è la sedazione palliativa29. I farmaci più utilizzati sono: oppioidi, se coesiste dolore, midazolam, aloperidolo e cloropromazina14. Ulcere neoplastiche ed infezioni Le masse o le placche neoplastiche, sia primitive che secondarie, possono ulcerarsi e provocare notevole disagio, anche alla vita di relazione. La sofferenza legata alle masse ulcerate è sia fisica che psicologica. Odore intenso, dolore, emorragie, secrezioni abbondanti e infezioni si associano spesso alle piaghe neoplastiche15. I trattamenti sintomatici sono: 1) la chirurgia, quando possibile; 2) la radioterapia, ad effetto prevalentemente emostatico; 3) le medicazioni emostatiche con garze; 4) il metronodazolo o altro antibiotico sia a livello topico che sistemico; 5) analgesici, in caso di dolore. Le lesioni ulcerate degli arti, le neoplasie vegetanti della testa e collo, le neoplasie coinvolgenti il tratto gastroenterico, le neoplasie comprimenti o infiltranti le vie urinarie (eventualmente in presenza di stent) rappresentano, inoltre, potenziali focolai settici. La terapia antibiotica “empirica” potrà essere adattata in questi casi alla flora probabilisticamente più a rischio di essere causa o concausa di infezioni. Tossicità neurologica L’utilizzo dell’ifosfamide, alchilante analogo della ciclofosfamide che trova nei sarcomi una delle sue indicazioni più tipiche, è in alcuni casi associato all’insorgenza di encefalopatia iatrogena. I sintomi correlati sono spesso aspecifici e blandi, ma a volte sono più importanti, comprendendo sonnolenza, visione offuscata, disartria, afasia, allucinazioni, agitazione, fino, rarissimamente, alle crisi epilettiche e al coma. Le cause legate all’encefalopatia non sono completamente chiare, potendo essere correlate con la presenza in circolo della cloroacetaldeide, metabolita neurotossico con elevata lipofilia e capacità di superare la barriera emato-encefalica. Alcuni studi hanno cercato di individuare fattori di rischio legati alla possibile insorgenza di encefalopatia. Tra questi, oltre alla giovane età, vi sono la dose di ifosfamide, l’ipoalbuminemia16 e l’ipercreatininemia. L’utilizzo del blu di metilene17 o della tiamina18 è utile nel ridurre i sintomi e anche nel prevenirne l’insorgenza nel paziente che ad esempio ne abbia già sofferto o sia ritenuto a rischio.• Bibliografia 1. ESMO/European Sarcoma Network Working Group. Soft tissue and visceral sarcomas: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol 2012; 23 (Suppl 7): vii 92-9. doi:10.1093/annonc/mds253.
2. Saanna GA, Bovée J, Hornick J, Lazar A (eds). WHO Classification of Tumours of Soft Tissue and Bone. An ESUN Book, 2013. 3. Benjamin RS. NCCN Clinical Practice Guidelines in Oncology (NCCN Guidelines®) Soft Tissue Sarcoma. 2014. 4. Frustaci S, Gherlinzoni F, De Paoli A, et al. Adjuvant chemotherapy for adult soft tissue sarcomas of the extremities and girdles: results of the Italian randomized cooperative trial. J Clin Oncol 2001; 19: 1238-47. Available at: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11230464. (Accessed March 25, 2014). 5. Patel SR, Vadhan-Raj S, Burgess MA, et al. Results of two consecutive trials of dose-intensive chemotherapy with doxorubicin and ifosfamide in patients with sarcomas. Am J Clin Oncol 1998; 21: 317-21. Available at: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9626808. (Accessed April 7, 2014). 6. Van der Graaf WT a, Blay J-Y, Chawla SP, et al. Pazopanib for metastatic soft-tissue sarcoma (PALETTE): a randomised, doubleblind, placebo-controlled phase 3 trial. Lancet 2012; 379: 1879-86. 7. Yamamoto K, Nozue T, Tsuchida M, et al. Pulmonary embolism caused by intimal sarcoma of the pulmonary artery. Intern Med 2012; 51: 3031-4. Available at: www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23124145. (Accessed April 6, 2014). 8. Mandalà M, Falanga A, Roila F. Management of venous thromboembolism (VTE) in cancer patients: ESMO Clinical Practice Guidelines. Ann Oncol 2011; 22 (Suppl 6): vi 85-92. 9. Caraceni A, Portenoy RK, Force T. An international survey of cancer pain characteristics and syndromes 1999; 82: 263-74. 10. Gough NJ, Smith C, Ross JR, Riley J, Judson I. Symptom burden, survival and palliative care in advanced soft tissue sarcoma. Sarcoma 2011; 325189. doi:10.1155/2011/325189. 11. Caraceni A, Hanks G, Kaasa S, et al. Use of opioid analgesics in the treatment of cancer pain: evidence-based recommendations from the EAPC. Lancet Oncol 2012; 13: e58-68. 12. Mercadante S. Managing difficult pain conditions in the cancer patient. Curr Pain Headache Rep 2014; 18: 395. 13. McCormick Z, Chang-Chien G, Marshall B, Huang M, Harden RN. Phantom limb pain: a systematic neuroanatomical-based review of pharmacologic treatment. Pain Med 2014; 15: 292-305. 14. Caraceni A, Zecca E, Martini C, et al. Palliative sedation at the end of life at a tertiary cancer center. Support Care Cancer 2012; 20: 1299-307. 15. Skin problems in palliative care: nursing aspects - Oxford Medicine. Available at: http://oxfordmedicine.com/view/10.1093/ med/9780198570295.001.0001/med-9780198570295-chapter100702. (Accessed April 22, 2014). 16. David KA, Picus J. Evaluating risk factors for the development of ifosfamide encephalopathy. Am J Clin Oncol 2005; 28: 277-280. 17. Park IS, Lee HJ, Lee YS, Hwang JS, Lee MS. Ifosfamide-induced encephalopathy with or without using methylene blue. Int J Gynecol Cancer 2005; 15: 807-10. 18. Hamadani M, Awan F. Role of thiamine in managing ifosfamideinduced encephalopathy. J Oncol Pharm Pract 2006; 12: 237-9.
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Gestione eventi avversi
Il trattamento farmacologico della fatigue da cancro
Fausto Roila Sonia Fatigoni Guglielmo Fumi Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
RIASSUNTO La fatigue-cancro correlata è uno dei sintomi più frequenti e stressanti del paziente neoplastico. Alla diagnosi la fatigue è riferita fino dal 40% dei pazienti, l‘80-90% la presenta durante la terapia antitumorale e il 20-50% dopo la fine delle terapie. Differentemente dalle terapie complementari (agopuntura e yoga), comportamentali (esercizio fisico) e psicologiche, le terapie farmacologiche sono state valutate solo in pochi studi clinici randomizzati controllati. Purtroppo gli psicostimolanti (metilfenidato, dexanfetamina, modafenil), gli antidepressivi (paroxetina), gli inibitori dell‘acetilcolinesterasi (donepezil), la carnitina e il coenzima Q10 hanno dato risultati sostanzialmente negativi con qualche eccezione del metilfenidato e del modafenib in pazienti con fatigue severa. Invece gli steroidi (desametasone 4 mg 2 volte die) nei pazienti terminali hanno dimostrato di essere significativamente più efficaci del placebo. Parole chiave. Fatigue cancro-correlata, metilfenidato, desametasone.
SUMMARY
The pharmachological treatment of cancer-related fatigue Cancer-related fatigue is one of the most frequent and distressing symptom of the neoplastic patients. Until 40% of patients referred fatigue at diagnosis, 80-90% during cancer therapies and 20-50% after the end of cancer therapies. Differently from complementary (agopuncture and yoga), behavioral (physical exercise) and psychological therapies, pharmacological therapies have been evaluated in few randomized clinical trials. Unfortunately, psychostimulants (methylphenidate, dexanphetamine, modafinil), antidepressants (paroxetine), acetilcholinesterase inhibitors (donepezil), l-carnitine and coenzyme Q10 have reported negative results (except in some subgroup of patients with severe fatigue receiving methylphenidate and modafinil). On the contrary, corticosteroids (dexamethasone 4 mg twice day) demonstrated superior efficacy to the placebo in terminal cancer patients. Key words. Cancer-related fatigue, methylphenidate, dexamethasone. 8
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La fatigue nei pazienti neoplastici è definita dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN) come una sensazione soggettiva, stressante, persistente di stanchezza o spossatezza correlata al cancro o al suo trattamento, che non è proporzionale alla attività eseguita e che interferisce con le usuali attività. La caratteristica della fatigue da cancro è che spesso non è alleviata dal sonno o dal riposo. Tra i vari sintomi riferiti dal paziente neoplastico la fatigue è quello ritenuto più fastidioso avendo un impatto fortemente negativo sulla sua qualità di vita. Le cause della fatigue da cancro sono numerose e sono riportate nella tabella I1. Può insorgere prima, durante e anche dopo molto tempo dal completamento del trattamento antitumorale; fino al 40% dei pazienti presenta fatigue alla diagnosi e sostanzialmente tutti i pazienti neoplastici provano tale sensazione nel corso della terapia antitumorale (80% e 90% dei pazienti trattati, rispettivamente, con chemioterapia e radioterapia). La frequenza del sintomo è elevata anche dopo la fine delle terapie (dal 20% al 50% circa). Tutti i pazienti neoplastici dovrebbero essere screenati per la fatigue al momento della prima visita con l‘oncologo e, successivamente, rivalutati durante e dopo la fine delle teraTabella I. Cause della fatigue cancro-correlata.
Correlate al cancro e sue complicazioni Anemia, turbe elettrolitiche, disidratazione, anoressia/cachessia, insufficienza epatica, renale e cardiaca, ipossia, insufficienza corticosurrenalica, febbre, deficit neurologici. Sintomi fisici del cancro e del trattamento Dolore, dispnea, difficoltà a deglutire, perdita di appetito. Comorbilità Ipotiroidismo, diabete mellito, scompenso cardiaco, malattie cardiovascolari, infezioni, broncopneumopatia cronica ostruttiva. Sintomi psicologici/comportamentali Ansietà, depressione, insonnia, diminuita attività fisica. Fattori iatrogeni Chemioterapia, radioterapia, terapie a bersaglio molecolare, ormonoterapia, immunoterapia, chirurgia. Effetti collaterali di altri farmaci Oppioidi, farmaci psichiatrici, antistaminici, beta-bloccanti, corticosteroidi.
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pie antitumorali. I pazienti in tale occasione dovrebbero essere informati circa l‘importanza del sintomo fatigue. Se il paziente lamenta fatigue, questa dovrebbe essere quantificata con uno degli strumenti validati disponibili e tutte le potenziali cause riportate nella tabella I identificate, rimosse se possibile, o trattate adeguatamente per ridurne l‘impatto sulla fatigue del paziente. In questo articolo si tratterà solo del trattamento farmacologico della fatigue da cancro, la fatigue che persiste nonostante la terapia delle cause identificate. Purtroppo solo pochi studi sono stati eseguiti rispetto ai trattamenti non farmacologici. Si rimanda a successivi articoli per la descrizione di questi ultimi (terapie complementari come agopuntura, yoga, ginseng, terapie comportamentali come l‘esercizio fisico o terapie psicologiche). Psicostimolanti Il metilfenidato e il dexmetilfenidato appartengono a questa classe di farmaci; hanno una struttura e un meccanismo d‘azione simili alle anfetamine. Questi farmaci agiscono aumentando i livelli di dopamina nel cervello. Dopo che alcuni piccoli studi non comparativi avevano suggerito che il metilfenidato potesse migliorare la fatigue correlata al cancro sono stati eseguiti alcuni studi controllati. Uno studio ha valutato il ruolo del metilfenidato dopo il termine della chemioterapia in 152 pazienti affette prevalentemente da carcinoma della mammella e dell‘ovaio2. Il metilfenidato era iniziato a dosi di 5 mg due volte al giorno ed aumentato fino alla dose massima di 50 mg die in un periodo di osservazione di 8 settimane. Lo strumento di valutazione utilizzato era il Functional Assessment of Cancer Therapy-Fatigue (FACT-F). Dopo 8 settimane vi era una differenza significativa di 3,7 punti a favore del metilfenidato, differenza statisticamente ed anche clinicamente significativa. Un secondo studio ha valutato l‘impatto sulla fatigue di 107 pazienti con malattia avanzata non più riceventi trattamenti antitumorali3. I pazienti affetti da qualsiasi neoplasia erano eleggibili con un punteggio > 4 in una scala VAS dove 0 corrispondeva a nessuna fatigue e 10 al massimo della fatigue immaginabile. Il metilfenidato era utilizzato a dosi di 5 mg/die al bisogno, aumentato fino a massimo 20 mg die durante una settimana di valutazione. In ambedue i gruppi di pazienti vi era una riduzione del punteggio della fatigue, misurata dal FACT-F compresa tra 7 e 9 punti (riduzione statisticamente significativa). Purtroppo non si evidenziavano differenze significative tra i due gruppi al giorno 8 (endpoint primario). Un terzo studio ha valutato 50 pazienti con neoplasie metastatiche diverse non più sottoposti a trattamenti antitumorali che presentavano una fatigue > 4 con la scala VAS4. Lo studio valutava la dexanfetamina 10 mg da aumentare fino 20 mg versus il placebo per 8 giorni. Solo 39/50 pazienti arruolati erano valutabili; non vi erano differenze significative tra il punteggio basale e quello al giorno 8 tra i due trattamenti né tra loro usando il questionario Brief Fatigue Inventory. Il quarto studio ha valutato 52 pazienti sottoposti a radioterapia encefalica per neoplasia primitiva o metastatica5.
Il metilfenidato rispetto al placebo era somministrato come profilassi. Non vi era un livello minimo di fatigue per essere eleggibili allo studio. Il farmaco era usato a dosi di 5 mg 2 volte die da aumentare fino a 15 mg due volte die nelle 8 settimane di valutazione. L‘obiettivo dello studio era ridurre la fatigue durante e dopo la radioterapia. All‘8a settimana la fatigue valutata con il FACT-F non era significativamente differente tra i due trattamenti. Infine il quinto studio ha valutato il ruolo del metilfenidato rispetto al placebo in 57 donne sottoposte a chemioterapia adiuvante6. Non vi era un livello basale di fatigue per essere arruolate nello studio. Il metilfenidato era usato a dosi di 5 mg due volte die da aumentare a massimo 10 mg due volte die se inefficace. La valutazione a 12 settimane con il FACT-F non evidenziava differenze significative rispetto al basale né tra i due trattamenti. In conclusione, di 5 studi, 4 erano negativi e almeno 3 non avevano arruolato il numero dei pazienti previsti dal calcolo del campione. Una metanalisi di 5 di questi studi randomizzati, doppio cieco, placebo controllati, è stata pubblicata nel 2011; la metanalisi includeva tutti gli studi pubblicati fino a ottobre 20097. In 426 pazienti arruolati nei 5 studi vi era una preliminare evidenza di riduzione della fatigue correlata al cancro (-0,28 era la differenza media standardizzata tra il placebo e gli psicostimolanti, e tale differenza era statisticamente significativa). Va tenuto presente che c‘era una eterogeneità (tipo di pazienti, tipo di neoplasia, stadio della malattia, ecc.) significativa tra questi studi che rende ancora più problematica l‘interpretazione dei risultati. Infine non vi erano differenze in termini di tossicità. Pertanto considerando che il metilfenidato ha un rapido inizio d‘azione (24-48 ore dopo l‘inizio del trattamento) e che, in caso di non rapida risposta, si può interrompere il trattamento, un tentativo terapeutico può essere giustificato. Ovviamente la metanalisi concludeva che sono necessari più studi con un numero più elevato di pazienti per definire il ruolo del metilfenidato nel trattamento della fatigue cancro-correlata. Il primo di questi studi, uno studio doppio cieco, ha valutato il metilfenidato a lunga durata d‘azione (54 mg die) versus il placebo per 4 settimane8. Il Brief Inventory Fatigue era lo strumento primariamente utilizzato per valutare l‘efficacia. Purtroppo questo studio, eseguito in 148 pazienti, ha dato risultati negativi sia perché la fatigue non era migliorata dal metilfenidato, sia perché non migliorava la qualità di vita dei pazienti. L‘analisi per sottogruppi evidenziava però che i pazienti con fatigue più severa e malattia più avanzata presentavano un significativo miglioramento della fatigue con metilfenidato. D‘altro canto il farmaco aumentava i livelli di nervosismo e la perdita di appetito rispetto al placebo. Un altro studio doppio cieco placebo-controllato ha valutato il metilfenidato alla dose di 5 mg due volte die, titolato ogni 3 giorni in rapporto alla tossicità e all‘efficacia, per 14 giorni in 30 pazienti ricoverati all‘hospice9. La Piper Fatigue Scale era usata come strumento di valutazione primario. La intensità di fatigue basale era simile tra i due trattamenti. Il metilfenidato riduceva significativamente la fatigue del CASCO — Estate 2014
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50% rispetto al basale ed era superiore al placebo. Il placebo non modificava la fatigue. L‘efficacia del metilfenidato era dose-dipendente. Infine uno studio recentemente pubblicato ha valutato in 141 pazienti con fatigue score ≥ 4 della Edmonton Symptom Assessment Scale (ESAS) l‘efficacia del metilfenidato (5 mg ogni 2 ore al bisogno fino a 20 mg/die) rispetto al placebo per due settimane10. Questo studio ha anche valutato l‘effetto combinato del metilfenidato più intervento telefonico di un infermiere. Di fatto si formarono 4 gruppi di pazienti: metilfenidato più intervento telefonico, placebo + intervento telefonico, metilfenidato + gruppo di controllo dell‘intervento telefonico e placebo + gruppo di controllo dell‘intervento telefonico. I pazienti randomizzati a ricevere l‘intervento telefonico erano contattati da un infermiere esperto in cure palliative per un totale di 4-6 volte durante il periodo di studio. L‘intervento telefonico era standardizzato per assicurare la consistenza nel contenuto e nella durata. I soggetti che facevano da controllo dell‘intervento telefonico ricevevano una telefonata 4-6 volte ma non da un infermiere. In tutti i 4 bracci di trattamento la fatigue migliorava nei 14 giorni di valutazione. Lo score mediano era migliorato, rispettivamente, di 4,5, 8,0, 7,0, e 5,0 punti. Ma purtroppo la fatigue, misurata con la scala della fatigue del FACT, non era significativamente migliorata con il metilfenidato rispetto al placebo (5,5 versus 6,0) e neanche con l‘intervento telefonico rispetto al controllo (6,0 versus 5,5). L‘intervento telefonico valutato con la scala ESAS migliorava la fatigue, la nausea, la depressione, l‘ansietà, la sonnolenza, il sonno e la sensazione di benessere mentre nel gruppo di controllo migliorava solo la fatigue, la depressione e la dispnea. Gli effetti collaterali erano simili tra metilfenidato e placebo. Uno degli elementi critici di questo studio è che i soggetti assumevano metilfenidato al bisogno e nonostante potessero assumere fino a 20 mg die (4 compresse die) il numero di compresse prese dai pazienti nei 14 giorni di valutazione è stato di 18, una dose decisamente bassa, che potrebbe spiegare la mancata efficacia del metilfenidato. Per un approfondimento di questo lavoro si rimanda alla rubrica “casi clinici” di questo numero. In conclusione, nonostante ben 8 studi controllati, non vi è ancora la certezza dell‘efficacia del metilfenidato; anzi i dati disponibili complessivamente evidenziano risultati negativi. Rimane da verificare in uno studio doppio cieco, prospettico, placebo-controllato l‘impatto del metilfenidato sulla fatigue più severa o in pazienti con malattia avanzata. Sulla base di preliminari evidenze di attività in studi di fase II di un altro psicostimolante, il modafinil, approvato per il trattamento della narcolessia, è stato pubblicato uno studio in 631 pazienti sottoposti a chemioterapia con fatigue di punteggio almeno 1 in una scala a 10 punti11. Il modafinil era somministrato a dosi di 200 mg os die. Il trattamento iniziava al giorno 5 del 2° ciclo di chemioterapia e terminava al giorno 7 del 4° ciclo. Anche in questo caso lo studio era negativo. L‘analisi per sottogruppi evidenziava però che il modafinil era superiore al placebo nei pazienti con fatigue severa ma l‘effetto era piccolo (-1,31 versus -0,87). Non vi era efficacia del modafinil nei confronti della depressione. 10
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Antidepressivi Uno studio ha testato se un inibitore selettivo della ricaptazione della serotinina, la paroxetina, fosse efficace nel controllo della fatigue modulando la serotonina cerebrale12. È uno studio doppio cieco controllato in 549 pazienti sottoposti a chemioterapia che presentavano fatigue al 2° ciclo di chemioterapia, che ha confrontato la paroxetina 20 mg die os con il placebo per 8 settimane. Non vi erano differenze rispetto al placebo. Dopo 8 settimane si notava invece una differenza nel livello medio di depressione a favore della paroxetina. In un altro studio in 94 pazienti con cancro della mammella sottoposte a chemioterapia le pazienti sono state randomizzate a ricevere paroxetina 20 mg die o placebo. Mentre la paroxetina migliorava la depressione non vi era riduzione della fatigue. Complessivamente i due studi controllati finora pubblicati non hanno evidenziato l‘efficacia degli antidepressivi. Inibitori dell’acetilcolinesterasi Il donepezil è un inibitore dell‘acetilcolinesterasi utilizzato per il morbo di Alzheimer. Alcuni studi pilota avevano suggerito una potenziale efficacia del farmaco sulla fatigue grazie alla sua attività colinergica. Il donepezil è stato poi valutato in uno studio doppio cieco placebo-controllato in pazienti con carcinoma avanzato con fatigue score ≥ 4 in una scala da 0 a 10 punti14. Il donepezil era somministrato alla dose di 5 mg die per 7 giorni. La fatigue era valutata con il modulo della fatigue del FACT e con l‘ESAS. In 103 pazienti non vi erano differenze significative tra il donepezil ed il placebo nel controllo della fatigue e nell‘incidenza di eventi avversi. Corticosteroidi Sono frequentemente raccomandati per la fatigue cancro-correlata nella fase terminale dei pazienti neoplastici, ma la raccomandazione è basata su esperienza personale e sui risultati di alcuni studi che non avevano come endpoint la fatigue ma in cui l‘uso dei corticosteroidi migliorava la qualità di vita dei pazienti. Nel 2013 è stato pubblicato il primo e finora unico studio doppio cieco, placebo-controllato, che ha valutato il ruolo del desametasone nel trattamento della fatigue cancro-correlata nei pazienti terminali15. I pazienti dovevano avere un punteggio ≥ 4 di una scala da 0 a 10 della fatigue e di ≥ 3 sintomi correlati alla fatigue nelle 24 ore precedenti misurati con ESAS (dolore, nausea, perdita di appetito, depressione, ansia o disturbi del sonno). Il desametasone era utilizzato a dosi di 4 mg due volte die per 14 giorni. L‘endpoint primario erano i cambiamenti della fatigue misurati con il modulo della fatigue del questionario FACT. Sono entrati nello studio 84 pazienti. Fatigue moderata-severa era presente in condizioni basali nel 93,5% dei pazienti trattati con desametasone e nel 97% di quelli trattati con placebo. Il miglioramento medio della fatigue al 15° giorno era significativamente superiore con il desametasone che con il placebo (9,0 versus 3,1, rispettivamente). Anche il punteggio medio del distress fisico dell‘ESAS (ma non quello psicologico
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o globale) era migliorato significativamente con il desametasone. Gli eventi avversi non erano significativamente differenti fra i due trattamenti. Quindi questo è il primo studio che dimostra l‘efficacia degli steroidi nel controllo della fatigue nei pazienti in fase terminale. Carnitina La carnitina è un supplemento utile per il trattamento della fatigue nella cultura popolare. Il razionale biologico è rappresentato dal metabolismo energetico. Gli acidi grassi con la più lunga catena sono i più efficienti substrati. Questi, a differenza di quelli a catena corta o media non possono penetrare nei mitocondri senza un substrato: la carnitina. In sua assenza, non entrando gli acidi grassi a lunga catena nei mitocondri, la produzione di energia è compromessa. Sia gli adulti che i bambini con malattie croniche sono predisposti ad un deficit di carnitina come risultato di una ridotta introduzione, di un‘aumentata utilizzazione o di un‘aumentata eliminazione. Un‘analisi post hoc, in uno studio controllato doppio cieco versus placebo eseguito in malati terminali con fatigue e deficit di carnitina, ha mostrato che 1 grammo due volte die di L-carnitina migliorava i sintomi di fatigue. Su questa base è stato eseguito uno studio prospettico doppio cieco, placebo-controllato di fase III della carnitina somministrata a dosi di 2 grammi die per 4 settimane in 376 pazienti con cancro avanzato con fatigue di cui l‘85% era sottoposto a radioterapia o chemioterapia16. L‘endpoint primario era il cambiamento nella fatigue media giornaliera dalle condizioni basali a 4 settimane dopo valutato con il BFI. La L-carnitina aumentava significativamente i livelli plasmatici. La fatigue migliorava in tutti i due gruppi di pazienti rispetto al basale senza differenze fra L-carnitina e placebo così come non differente era l‘impatto sugli endpoint secondari (depressione, dolore). Anche nei pazienti che presentavano un deficit basale di carnitina (33% dei pazienti arruolati), la L-carnitina non determinava un miglioramento della fatigue da cancro. Coenzima Q10 È una sostanza antiossidante con proprietà simili a quelle delle vitamine utilizzata come supplemento per creare energia per la crescita ed il mantenimento cellulare. Finora non vi erano studi controllati con tale sostanza per il trattamento della fatigue da cancro. Recentemente è stato pubblicato il primo studio doppio cieco controllato in donne con cancro della mammella sottoposte a chemioterapia adiuvante17. Il coenzima Q10 veniva utilizzato a dosi di 100 mg tre volte die in associazione a vitamina E 100 mg ogni dose di coenzima Q10. IL trattamento veniva continuato per 24 settimane. I livelli basali di fatigue erano simili tra i due trattamenti compresi i livelli plasmatici di coenzima Q10. A 24 settimane di distanza dall‘inizio della terapia non vi erano differenze nella fatigue da cancro fra i due trattamenti (punteggi medi del Profile of Mood States-fatigue questionnaire 7,08 versus 8,24). Anche il punteggio medio del modulo della fatigue del FACT era simile (37,6 versus 37,6). Pertanto il coenzima Q10 non migliora la fatigue cancro-correlata rispetto al placebo.
Conclusioni Quasi tutti i farmaci studiati (unica eccezione il desametasone nei pazienti in fase terminale) per il trattamento della fatigue cancro-correlata hanno dimostrato di essere inefficaci. È estremamente necessario iniziare a comprendere quali siano realmente i mediatori del sintomo fatigue per poter intervenire in maniera mirata. Purtroppo non vi è ancora un consenso internazionale su come definire la fatigue correlata al cancro e negli studi vengono spesso arruolati pazienti con caratteristiche completamente differenti (pazienti sottoposti a radioterapia o a chemioterapia o a terapie combinate oppure con fatigue da cancro dopo la sospensione delle terapie specifiche o nei pazienti in fase terminale). Ovviamente non è detto che i mediatori della fatigue correlata al cancro siano gli stessi in tutte le popolazioni di pazienti sopra riportate. Anzi, è possibile l‘opposto e cioè che ci siano meccanismi fisiopatologici diversi per i differenti tipi di fatigue che possano richiedere trattamenti diversi. Nel prossimo futuro una maggiore precisione nella selezione dei pazienti studiati potrebbe favorire una migliore interpretazione dei risultati ottenuti negli studi. Un altro elemento da considerare è che negli studi andrebbe chiaramente definito un livello soglia di fatigue sopra il quale (esempio un punteggio ≥ 4 in una scala da 0 a 10) si richiede un trattamento e sotto il quale si può tranquillamente controllare il paziente nel tempo. Ciò favorirebbe l‘arruolamento di una popolazione più selezionata di pazienti negli studi clinici ed anche questo migliorerebbe l‘interpretazione dei risultati. Un aspetto fondamentale nello studio della fatigue cancro-correlata è che non si può valutare l‘efficacia di un farmaco senza studi rigidamente doppio cieco. Esiste, infatti, un effetto placebo importante nel controllo di questo sintomo come evidenziato dai numerosi studi che dimostrano un netto miglioramento della fatigue dalle condizioni basali alla rivalutazione dopo alcune settimane ma nessuna differenza tra il trattamento attivo ed il placebo. Infine tutti questi accorgimenti potrebbero rendere possibile iniziare a testare la combinazione di terapie farmacologiche con terapie non farmacologiche nel controllo della fatigue cancro-correlata. •
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Gestione eventi avversi
Tossicità dei nuovi farmaci nei tumori gastroenterici: aflibercept, regorafenib e abraxane
Damiano Parriani, Guglielmo Fumi Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
RIASSUNTO Recentemente due nuovi farmaci sono stati approvati per il trattamento dei pazienti affetti da carcinoma del colonretto ed uno nel pancreas. Si tratta dell‘aflibercept (VEGFtrap), indicato in combinazione con chemioterapia a base di irinotecan/5-fluorouracile/acido folinico (FOLFIRI) nei pazienti adulti con carcinoma colorettale metastatico (mCRC) resistenti o in progressione dopo un regime contenente oxaliplatino, il regorafenib (inibitore multi-chinasico dei recettori tirosin-chinasici), indicato per il trattamento dei pazienti affetti da mCRC precedentemente trattati (fluoropirimidine, una terapia anti-VEGF ed una terapia anti-EGFR) oppure non candidabili al trattamento con altre terapie disponibili e infine l‘abraxane (nab-paclitaxel), autorizzato in associazione con gemcitabina per il trattamento di prima linea dei pazienti affetti da carcinoma pancreatico metastatico. La scopo di questo articolo è quello di descrivere i più importanti effetti collaterali di questi nuovi farmaci e le principali raccomandazioni per la loro gestione nella pratica clinica. Parole chiave. Tumore del colon-retto metastatico, tumore del pancreas metastatico, aflibercept, regorafenib, abraxane, tossicità.
SUMMARY
Toxicity of new drugs in gastrointestinal cancer: aflibercept, regorefenib and abraxane Recent studies in Gastrointestinal cancer have led to the approval of 3 new drugs: aflibercept (VEGF-trap), indicated in metastatic colorectal cancer (mCRC) patients previously treated with an oxaliplatin-containing regimen, in combination with the FOLFIRI; regorafenib (inhibitor of multiple protein kinases) authorised for the treatment of patients with mCRC who have no other therapeutic options and abraxane (nab-paclitaxel) plus gemcitabine authorised in the European Union for the treatment of patients with advanced pancreatic cancer. The aim of this article is to review the most relevant toxicities associated with these drugs and their management. Key words. Metastatic colorectal cancer, metastatic pancreatic cancer, aflibercept, regorafenib, abraxane, toxicity.
Introduzione Nei paesi occidentali, il colon-retto rappresenta, dopo il polmone, la sede del maggior numero di nuovi casi di cancro per anno in entrambi i sessi. Negli USA si sono riscontrati 142.820 nuovi casi nel 2013 e sono la seconda causa di morte con circa 50.830 decessi sempre nello stesso anno1,2; circa il 70% si è verificato nel retto-sigma e il 95% è costituito da adenocarcinomi. L‘incidenza comincia ad aumentare all‘età di 40 anni e raggiunge il picco all‘età di 60-75 anni1,2. Negli USA annualmente circa 46.420 nuovi casi di carcinoma del pancreas vengono diagnosticati con una mortalità di poco inferiore al numero delle diagnosi. Il carcinoma pancreatico è la quarta causa di morte per cancro negli Stati Uniti senza particolari differenze tra il sesso maschile o femminile. A livello mondiale il cancro del pancreas è l‘ottava causa di morte nel sesso maschile (138.100 decessi per anno) e la nona nel sesso femminile (127.900 per anno), l‘85% dei casi trattasi di adenocarcinomi originati dall‘epitelio dei dotti pancreatici3. Nei paesi occidentali, nonostante la progressiva riduzione della mortalità che si è ottenuta negli ultimi anni grazie alla diagnosi precoce e all‘introduzione di nuove terapie, relativamente ai vari stadi della malattia, rimane alto l‘impegno nel migliorare ulteriormente la sopravvivenza dei pazienti con tumori gastroenterici. Con questo obiettivo, recentemente tre nuovi farmaci hanno ricevuto l‘indicazione in Europa per il trattamento dei carcinomi gastrointestinali avanzati: aflibercept, regorafenib, abraxane. Ruolo della famiglia VEGF nel tumore del colon-retto Il fattore di crescita endoteliale vascolare A (VEGF-A) e il fattore di crescita placentare (PlGF) appartengono alla famiglia VEGF dei fattori angiogenici che possono agire come potenti fattori mitogeni, chemiotattici e di permeabilità vascolare per le cellule endoteliali. Il VEGF agisce attraverso due recettori, VEGFR-1 e VEGFR-2, presenti sulla superficie delle cellule endoteliali. PlGF si lega solo a VEGFR-1, che è anche presente sulla superficie dei leucociti4. L‘attivazione eccessiva di questi recettori da parte di VEGF-A può determinare una neovascolarizzazione patologica ed un‘eccessiva permeabilità vascolare. PlGF può agire in sinergia con VEGF-A in questi processi ed è noto che promuova anche l‘infiltrazione leucocitaria e l‘infiammazione vascolare. Aflibercept è una proteina di fusione ricombinante formata da porzioni dei domini extracellulari dei recettori umani CASCO — Estate 2014
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1 e 2 per il VEGF fuse con la porzione Fc all‘IgG1 umana5. Viene prodotto, mediante tecnologia del DNA ricombinante, in cellule ovariche di criceto cinese (CHO) K1 ed agisce come falso recettore solubile che lega VEGF-A e PlGF con un‘affinità superiore a quella dei loro recettori naturali e può quindi inibire il legame e l‘attivazione di questi recettori analoghi del VEGF.
Impiego clinico dell’aflibercept Aflibercept è indicato in combinazione con chemioterapia a base di irinotecan/5-fluorouracile/acido folinico (FOLFIRI) nei pazienti adulti con mCRC resistente o in progressione dopo un regime contenente oxaliplatino6. La registrazione del farmaco nel tumore del colon-retto è avvenuta sulla base dei risultati dello studio VELOUR, fase III randomizzato in doppio cieco multicentrico internazionale, che ha confrontato gli effetti di FOLFIRI in combinazione con aflibercept o placebo nel trattamento dei pazienti affetti da mCRC. Lo studio ha randomizzato 1.226 pazienti che erano stati precedentemente sottoposti ad un regime terapeutico a base di oxaliplatino. Lo studio VELOUR ha documentato, con l‘aggiunta di aflibercept a FOLFIRI in pazienti precedentemente sottoposti a un regime terapeutico a base di oxaliplatino, un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza mediana (13,50 vs 12,06 mesi), della sopravvivenza libera da progressione di malattia (6,90 mesi vs 4,67 mesi), e della percentuale di risposte obiettive (19,8% vs 11,1%)7. Tossicità da aflibercept Dall‘analisi dei dati raccolti nello studio registrativo VELOUR, nei pazienti trattati con aflibercept/folfiri si è osservato un incremento del rischio di ipertensione di grado 3-4 (19,1% vs 1,5%; il 2,3% dei pazienti ha interrotto il trattamento per questa ragione)7. L‘ipertensione pre-esistente deve quindi essere adeguatamente controllata prima di iniziare il trattamento con aflibercept e durante tutto il corso del trattamento stesso. I pazienti con insufficienza cardiaca congestizia di classe NYHA III o IV non devono essere trattati con aflibercept. È stato inoltre riferito un rischio aumentato di emorragia (37,8% vs 19%), tra cui eventi emorragici gravi (2,9 vs 1,7%) e talvolta fatali in pazienti trattati. Sono stati documentati casi di perforazione gastrointestinale, di cui alcuni eventi fatali (0,8 vs 0,3% nei tre studi clinici di fase III con controllo placebo in popolazioni affette da cancro del colon-retto, pancreas e polmone). Nei pazienti trattati con aflibercept/folfiri si è osservata una elevata frequenza di trombocitopenia, così come è stato osservato rispetto al placebo un numero maggiore di eventi tromboembolici arteriosi (2,3 vs 1,7%) e venosi (9,3 vs 7,3%); tra gli eventi arteriosi si sono riscontrati accidenti cerebrovascolari, l‘infarto miocardico, l‘embolia arteriosa e la coliteischemica; tra gli eventi venosi si sono riscontrati trombosi venosa profonda ed embolia polmonare (raramente fatale). Nei pazienti trattati con aflibercept sono stati osservati proteinuria grave (7,9 vs 1,2 con placebo), sindrome nefro14
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sica (0,5%) e microangiopatia trombotica (MAT). La proteinuria deve essere monitorata per accertare un eventuale sviluppo o peggioramento, e la somministrazione di aflibercept deve essere sospesa in caso di proteinuria nelle 24 ore ≥ 2 grammi, così come deve essere interrotta nei pazienti che sviluppano sindrome nefrosica o MAT. Nei pazienti trattati con aflibercept/folfiri è stata osservata una maggiore incidenza di neutropenia febbrile rispetto al braccio di controllo (4,3% vs 1,7%). Nei pazienti trattati con aflibercept/folfiri è stata osservata anche una maggiore incidenza di diarrea grave (19,3 vs 7,8%). Nello studio registrativo nei pazienti con mCRC, sono state riferite reazioni di ipersensibilità severe nei pazienti trattati con aflibercept/folfiri. Poiché il trattamento con aflibercept è potenzialmente associato ad un‘alterazione del processo di guarigione delle ferite, il farmaco deve essere sospeso per almeno 4 settimane prima di un intervento di chirurgia elettiva. Per gli interventi minori come il posizionamento di un accesso venoso centrale, le biopsie, le estrazioni dentali, la somministrazione di aflibercept può essere iniziata/ripresa quando la ferita chirurgica è completamente guarita. Nello studio registrativo non è stata riferita una sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (SEPR), differentemente da altri studi con aflibercept in monoterapia e in combinazione con altre chemioterapie. La sindrome da encefalopatia posteriore reversibile può presentarsi con stato mentale alterato, convulsioni, nausea, vomito, cefalea o disturbi della vista; la diagnosi (di SEPR) è confermata tramite risonanza magnetica encefalica8. Ruolo degli inibitori dei recettori tirosin chinasici nel tumore del colon-retto Regorafenib è un agente di disattivazione tumorale per uso orale che blocca efficacemente diverse protein-chinasi, comprese le chinasi coinvolte nell‘angiogenesi tumorale (VEGFR1, -2, -3, TIE2), nell‘oncogenesi (KIT, RET, RAF-1, BRAF, BRAFV600E) e nel microambiente tumorale (PDGFR,FGFR)9. Negli studi preclinici, regorafenib ha dimostrato una potente attività antineoplastica, mediata dai suoi effetti sia antiangiogenici che antiproliferativi, nei confronti di un ampio spettro di modelli tumorali sia in vitro che in vivo, compresi quelli del colon-retto10. I principali metaboliti umani (M-2 ed M-5) presentano un‘efficacia paragonabile a regorafenib in modelli sia in vitro che in vivo.
Impiego clinico del regorafenib L‘efficacia e la sicurezza clinica di regorafenib sono state analizzate in uno studio di fase III internazionale, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo (CORRECT) in pazienti affetti da carcinoma metastatico del colon-retto progredito dopo il fallimento delle terapie standard11. Complessivamente, 760 pazienti sono stati randomizzati 2:1 a ricevere 160 mg di regorafenib (4 compresse da 40 mg) da assumersi una volta al giorno per via orale (N=505) in ag-
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giunta alla migliore terapia di supporto (Best Supportive Care, BSC), oppure un placebo (N=255) in aggiunta alla BSC per 3 settimane seguite da 1 settimana senza terapia. La dose giornaliera media di regorafenib è stata di 147 mg. I pazienti hanno proseguito la terapia fino alla progressione della malattia o alla comparsa di tossicità inaccettabile. Un‘analisi preliminare pre-pianificata di efficacia è stata condotta dopo che sono stati registrati 432 decessi. Lo studio è proseguito in aperto dopo che nell‘analisi preliminare sulla OS è stato superato il limite di efficacia pre-specificato. La maggior parte dei pazienti (52%) aveva ricevuto in precedenza un massimo di 3 linee di trattamento per la patologia metastatica, comprendenti chemioterapia a base di fluoropirimidine, una terapia anti-VEGF e, nei pazienti senza mutazione del gene KRAS, una terapia anti-EGFR. L‘aggiunta di regorafenib alla BSC ha prolungato la sopravvivenza in misura statisticamente significativa (anche se clinicamente poco rilevante) in confronto al placebo più BSC (6,4 vs 5,0 mesi). La PFS è stata significativamente maggiore nei pazienti trattati con regorafenib più BSC, (HR: 0,494). La percentuale di risposta (risposta completa o risposta parziale) è stata rispettivamente dell‘1% e 0,4% per i pazienti trattati con regorafenib e placebo. La percentuale di controllo della malattia (risposta completa o risposta parziale o malattia stabile) è stata significativamente maggiore nei pazienti trattati con regorafenib (41,0% vs 14,9%)11.
Tossicità da regorafenib Regorafenib è eliminato principalmente per via epatica. L‘uso di regorafenib non è raccomandato nei pazienti con grave compromissione epatica (Child-Pugh C), in quanto non studiato in questa popolazione; l‘esposizione potrebbe essere aumentata in questi pazienti. Nei pazienti trattati sono state frequentemente osservate alterazioni degli indici di funzionalità epatica (alanina-aminotransferasi [ALT], aspartato-aminotransferasi [AST] e bilirubina: 9% vs 2%). In una piccola percentuale di pazienti sono state osservate alterazioni gravi e compromissione epatica con manifestazioni cliniche, inclusi casi con esito fatale (0,3%). È raccomandato quindi uno stretto monitoraggio generale dei pazienti con lieve o moderata compromissione epatica. Viene consigliato di effettuare le analisi di funzionalità epatica (ALT, AST e bilirubina) prima d‘iniziare il trattamento e quindi almeno ogni due settimane nei primi 2 mesi di trattamento. In seguito, il monitoraggio deve proseguire con cadenza almeno mensile e in base alle esigenze cliniche. Nei pazienti con sindrome di Gilbert può manifestarsi una lieve iperbilirubinemia indiretta. Per i pazienti che presentano un peggioramento degli indici di funzionalità epatica considerato correlato al trattamento con regorafenib (cioè senza altra causa evidente, come colestasi postepatica o progressione della malattia), devono essere seguite le indicazioni sulle modifiche di dose e sul monitoraggio riportate nella scheda tecnica. Regorafenib è stato associato a un aumento dell‘incidenza di eventi emorragici, alcuni dei quali hanno avuto esito fatale. L‘emocromo e i parametri di coagulazione devono essere monitorati nei pazienti con condizioni predi-
sponenti alle emorragie e nei pazienti trattati congiuntamente con anticoagulanti (ad es. warfarin) o con altri medicinali che aumentano il rischio emorragico. In caso di emorragie gravi che richiedono un intervento medico urgente dev‘essere presa in considerazione l‘interruzione definitiva del trattamento. Regorafenib è stato associato a un aumento dell‘incidenza di ischemia e infarto del miocardio. I pazienti con angina instabile o angina di nuova insorgenza (entro 3 mesi dall‘inizio della terapia), infarto miocardico recente (entro 6 mesi) e quelli con scompenso cardiaco di grado 2 o superiore secondo la classificazione della NYHA sono stati esclusi dagli studi clinici. I pazienti con anamnesi di cardiopatia ischemica devono essere monitorati in relazione ai segni e ai sintomi clinici d‘ischemia miocardica. In associazione al trattamento con regorafenib sono stati riportati casi di Sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (SEPR). I segni e sintomi di SEPR comprendono convulsioni, cefalea, alterazioni dello stato mentale, disturbi visivi o cecità corticale, con o senza ipertensione associata. La diagnosi di SEPR richiede la conferma tramite acquisizione di immagini cerebrali. Nei pazienti che sviluppano SEPR si consigliano l‘interruzione del trattamento, il controllo dell‘ipertensione ed un trattamento di supporto per gli altri sintomi. Nei pazienti trattati con regorafenib sono state osservate perforazioni e fistole gastrointestinali. Nei pazienti che sviluppano perforazione o fistola gastrointestinale è raccomandata l‘interruzione del trattamento. Regorafenib è stato associato a un aumento dell‘incidenza di ipertensione arteriosa (28% vs 15%). La pressione arteriosa dev‘essere controllata prima di iniziare il trattamento, monitorandola e trattando l‘ipertensione in accordo con la normale pratica clinica. In caso di ipertensione grave o persistente, nonostante un adeguato trattamento medico, viene suggerita una interruzione temporanea e/o la riduzione di dose a discrezione del medico. In caso di crisi ipertensiva, il trattamento dev‘essere interrotto. Poiché i medicinali con proprietà antiangiogeniche possono sopprimere od interferire con la cicatrizzazione delle ferite, per precauzione viene raccomandata l‘interruzione temporanea del trattamento nei pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia maggiore. La decisione di riprendere la terapia con regorafenib dopo un intervento di chirurgia maggiore deve basarsi sul riscontro clinico di un‘adeguata cicatrizzazione della ferita. La reazione cutanea mano-piede o Sindrome da Eritrodisestesia Palmo-Plantare (EPP) e l‘eruzione cutanea rappresentano le reazioni avverse dermatologiche osservate più frequentemente con regorafenib (47% vs 8%). Le misure preventive per l‘EPP comprendono il controllo delle callosità e l‘uso di calzature imbottite e guanti per evitare una pressione eccessiva a livello palmare e plantare. La gestione dell‘EPP può comprendere l‘utilizzo di creme cheratolitiche (ad es. creme a base di urea, acido salicilico od alfa-idrossiacido applicate in piccola quantità solo sulle aree affette) e creme idratanti (da applicarsi liberamente) per il sollievo CASCO — Estate 2014
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della sintomatologia. Devono essere prese in considerazione la riduzione della dose e/o l‘interruzione temporanea del trattamento oppure l‘interruzione definitiva del trattamento con regorafenib nei casi gravi o persistenti. Tra le alterazioni delle analisi biochimiche e metaboliche di laboratorio riscontrate regorafenib è stato associato ad un aumento dell‘incidenza di anomalie elettrolitiche (comprendenti ipofosfatemia, ipocalcemia, iponatriemia ed ipopotassiemia) e di anomalie metaboliche (comprendenti aumenti dell‘ormone stimolante la tiroide, della lipasi e dell‘amilasi)11. Tali anomalie sono generalmente di entità da lieve a moderata, non associate a manifestazioni cliniche e non richiedono abitualmente interruzioni o riduzioni della dose. Durante il trattamento con regorafenib viene raccomandato il monitoraggio dei parametri biochimici e metabolici e, se necessario, un‘adeguata terapia sostitutiva conforme alla comune pratica clinica. Una riduzione della dose o l‘interruzione temporanea o definitiva del trattamento devono essere prese in considerazione in caso di anomalie significative persistenti o ricorrenti.
Impiego clinico dell’abraxane Abraxane in associazione con gemcitabina è indicato per il trattamento di prima linea di pazienti adulti con adenocarcinoma metastatico del pancreas in considerazione dell‘incremento della efficacia dimostrata rispetto alla sola gemcitabina12,13. Abraxane contiene, come principio attivo, il paclitaxel legato all‘albumina, una proteina umana, sotto forma di nanoparticelle. Il paclitaxel, come gli altri taxani agisce arrestando la divisione delle cellule tumorali. L‘albumina è la componente del farmaco che aiuta paclitaxel a dissolversi nel sangue e ad attraversare le pareti dei vasi sanguigni per arrivare al tumore. Alcuni effetti indesiderati sono molto meno frequenti con abraxane. È stato condotto uno studio multicentrico, internazionale, randomizzato, in aperto, in 861 pazienti per confrontare abraxane/gemcitabina con gemcitabina in monoterapia come trattamento di prima linea nei pazienti con adenocarcinoma metastatico del pancreas14. Abraxane è stato somministrato ai pazienti (N = 431) come infusione endovenosa nell‘arco di 30-40 minuti, ad una dose di 125 mg/m2, seguito da gemcitabina come infusione endovenosa nell‘arco di 30-40 minuti, ad una dose di 1000 mg/m2, somministrate i giorni 1, 8 e 15 di ciascun ciclo di 28 giorni. Nel braccio di trattamento di confronto, gemcitabina in monoterapia è stata somministrata ai pazienti (N = 430) secondo la dose e il regime raccomandati. Il trattamento è stato somministrato fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità inaccettabile. I pazienti con rischio cardiovascolare elevato, anamnesi positiva per arteriopatia periferica e/o patologie del tessuto connettivo e/o malattia polmonare interstiziale sono stati esclusi dallo studio. I pazienti sono stati sottoposti a trattamento per una durata mediana di 3,9 mesi nel braccio abraxane/gemcitabina e di 2,8 mesi nel braccio gemcitabina. Vi è stato un miglioramento statisticamente significativo dell‘OS per i pazienti trattati con abraxane/gemcitabina 16
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rispetto a gemcitabina da sola (8,5 vs 6,7 mesi), unitamente ad un aumento di 1,8 mesi della PFS mediana14.
Tossicità di abraxane Le reazioni avverse sono state valutate nei 421 pazienti trattati con abraxane in associazione con gemcitabina e nei 402 pazienti trattati con gemcitabina in monoterapia, sottoposti a trattamento sistemico di prima linea per adenocarcinoma metastatico del pancreas nello studio succitato. Le morti per tossicità entro 30 giorni dall‘ultima dose del farmaco in studio sono state segnalate nel 4% dei pazienti nei due bracci. Tra le reazioni avverse, molto comuni sono state: neutropenia, insonnia, depressione, neuropatia periferica, dispnea, epistassi, nausea, vomito, diarrea, alopecia, rash cutaneo, mialgie ed astenia. Nei pazienti trattati con abraxane/gemcitabina si è riscontrato il 38% di neutropenia di grado 3-4 contro il 27% con gemcitabina da sola. Per i pazienti trattati con abraxane in associazione con gemcitabina, il tempo mediano alla prima comparsa di neuropatia periferica di grado 3 è stato di 140 giorni. Il tempo mediano al miglioramento (dal grado 3-4) di almeno 1 grado è stato di 21 giorni, e il tempo mediano al miglioramento della neuropatia periferica da grado 3 a grado 0 o 1 è stato di 29 giorni. Dei pazienti che hanno interrotto il trattamento a causa della neuropatia periferica, il 44% (31/70 pazienti) è stato in grado di riprendere abraxane a una dose ridotta. Nessuno dei pazienti trattati con l‘associazione ha avuto neuropatia periferica di grado 4. La sepsi è stata osservata con un‘incidenza del 5% nei pazienti con o senza neutropenia, trattati con abraxane in associazione con gemcitabina. Le complicanze dovute al preesistente tumore del pancreas, in particolare ostruzione biliare o presenza di stent biliare, sono state identificate come importanti fattori coinvolti. La polmonite iatrogena è stata osservata con un‘incidenza del 4% con l‘uso di abraxane in associazione con gemcitabina. Dei 17 casi di polmonite segnalati, 2 hanno avuto esito fatale. Esperienza post commercializzazione Durante il monitoraggio post commercializzazione di abraxane sono stati riportati casi di paralisi dei nervi cranici, paresi delle corde vocali, e – raramente – di gravi reazioni da ipersensibilità. Durante il trattamento, vi sono state rare segnalazioni di riduzione dell‘acuità visiva dovuta a edema maculare cistoide. Alla diagnosi di edema maculare cistoide il trattamento con abraxane deve essere sospeso. Nell‘ambito del monitoraggio continuo di abraxane, sono stati riportati casi di eritrodisestesia palmo plantare in pazienti precedentemente trattati con capecitabina. Dato che tali eventi sono stati riportati volontariamente nel corso della pratica clinica,non è possibile eseguire una valutazione accurata della frequenza e non è stata quindi accertata una correlazione causale con l‘uso del medicinale. •
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Il punto su...
La sessualità nel paziente neoplastico
Elisa Minenza Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
Riassunto La sessualità è un importante aspetto della qualità di vita ma nel paziente oncologico spesso assume un ruolo marginale rispetto alla diagnosi o al trattamento della neoplasia. Dal 40 al 100% dei pazienti affetti da neoplasia soffre di disfunzioni sessuali che includono aspetti psicologici, socioculturali e biologici. I trattamenti (chirurgia, chemioterapia, terapia biologica, ormonoterapia e radioterapia) possono indurre disfunzioni della sessualità. Ad oggi non esiste un gold standard per la valutazione dei problemi della sfera sessuale anche se vengono utilizzati vari modelli di screening per la diagnosi e il trattamento. La terapia dovrebbe prevedere un’èquipe multidisciplinare che consideri attentamente sia i rimedi non farmacologici che farmacologici. Nell’uomo, per il trattamento dei disturbi dell‘erezione vengono utilizzati gli inibitori della 5-fosfodiesterasi. Non esistono rimedi farmacologici di documentata efficacia per il calo della libido. Più controverso è il trattamento delle disfunzioni sessuali femminili. Parole chiave. Sessualità e neoplasia, fattori socioculturali e biologici, diagnosi e trattamento.
Summary
Sexuality in cancer patient Sexuality is an important aspect of quality of life in cancer patients but often it plays a marginal role with respect to the diagnosis or treatment of cancer. From 40 to 100% of cancer patients suffer from sexual dysfunction that include psychological, socio-cultural and biological aspects. The treatments (surgery, chemotherapy, target therapies, hormone therapy and radiotherapy ) may induce dysfunction of sexuality. To date there is no gold standard for assessment of the problems of sexuality although several screening models are used for the diagnosis and treatment. Therapy should include a multidisciplinary team that carefully considers both non-pharmacological and pharmacological remedies. In males, inhibitors of 5-phosphodiesterase are used for the treatment of erectil disfunction. About decreased libido, there are no documented efficacy of pharmacological remedies. 18
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More controversial is the treatment of female sexual dysfunction. Key words. Sexuality and cancer, social, cultural and biological factors, diagnosis and treatment.
Introduzione La sessualità è un aspetto importante e complesso del comportamento che riguarda sia gli atti finalizzati alla riproduzione e alla ricerca del piacere, sia gli aspetti sociali che si sono evoluti durante la crescita dei generi maschile e femminile in base alle loro caratteristiche. La definizione di sessualità è quindi piuttosto complessa e riguarda la biologia, la psicologia e la cultura di un individuo. Tra il 9 e il 43% della popolazione adulta soffre di disfunzioni della sessualità1: il calo del desiderio sembra essere il disturbo più comune, seguito dalla bassa soglia eccitativa e dalla difficoltà di ottenere l‘orgasmo. Un problema sessuale viene considerato una disfunzione sessuale, secondo l’American Psychiatric Association (APA) se si ripresenta e persiste nel tempo causando notevole disagio personale e difficoltà interpersonali2. L‘APA ha definito cinque categorie: disturbo da desiderio sessuale ipoattivo (HSDD), disordine di eccitazione sessuale nella donna (FSAD), disordine dell‘orgasmo nella donna, dispareunia e vaginismo. I dati pubblicati sulla tematica sono esigui e spesso riguardano valutazioni retrospettive, mancano studi prospettici. La sessualità è un importante aspetto della qualità della vita3 che le terapie di supporto hanno l‘obiettivo di migliorare, ma nel paziente neoplastico spesso assume un ruolo marginale rispetto al controllo dei sintomi o ai trattamenti da intraprendere per riuscire a cronicizzare più a lungo possibile la malattia. Il rischio di disfunzioni sessuali inoltre assume un‘importanza sempre crescente tra i giovani pazienti che sopravvivono ad una diagnosi di cancro4,5. Si stima che dal 40 al 100% dei pazienti affetti da neoplasia soffra di disfunzioni sessuali; se poi consideriamo che negli USA sono circa 12 milioni i pazienti che sopravvivono ad una diagnosi di cancro va considerato l‘impatto a lungo termine che i trattamenti per la patologia oncologica inducono sulla qualità di vita degli stessi pazienti. I problemi sessuali legati al cancro includono alcuni importanti aspetti: psicologici, socio-culturali e biologici. Fattori psicologici e socio-culturali Di fronte ad una diagnosi di cancro tutti i sentimenti dell‘individuo affetto ruotano intorno alla volontà di voler so-
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pravvivere e di iniziare un trattamento specifico, mentre gli effetti collaterali a breve e lungo termine appaiono di secondaria importanza. Sentimenti di depressione, ansia, alterazione dell‘umore sono stati psicologici comuni che spesso si tramutano in una mancanza di desiderio sessuale e nella diminuzione del piacere sessuale stesso6. Il paziente che viene sottoposto ad un trattamento subisce inoltre una modificazione dell‘immagine corporea a causa degli effetti collaterali dei trattamenti intrapresi o conseguentemente alla stessa diagnosi come la fatigue, la tensione della muscolatura pelvica, le vampate di calore che si riflettono nell‘approccio interpersonale creando turbamenti nel rapporto di coppia: dalla vergogna al disagio, dalla paura di trasmissibilità del tumore con l‘atto sessuale, alla paura di iniziare nuove relazioni o di essere respinti. La letteratura inerente l‘impatto di una diagnosi di cancro sulla intimità fisica ed emotiva è alquanto limitata e vi è difficoltà da parte degli operatori sanitari nel valutare la sessualità per una serie di motivazioni: a. considerare questo aspetto della qualità di vita di minore importanza rispetto alla malattia stessa7; b. mancanza di informazioni appropriate in letteratura dal punto di vista linguistico e culturale8; c. ritenere secondario tale aspetto probabilmente per limitazioni culturali9; d. scarsa richiesta di approfondimenti su tale tematica da parte dei pazienti (per difficoltà ad affrontare con il medico e con il partner la propria identità sessuale, orientamento sessuale, atteggiamenti e pratiche sessuali). Fattori biologici In alcuni pazienti già prima della diagnosi di cancro si può assistere ad una perdita di valore sessuale determinata dalla presenza di comorbilità (patologie croniche come diabete e vasculopatie) o dall‘assunzione di alcuni farmaci (ad esempio gli antidepressivi, i beta-bloccanti o gli oppiacei) che può poi essere accentuata da trattamenti specifici a cui i pazienti vengono sottoposti: chirurgia, chemioterapia e terapia biologica, ormonoterapia e radioterapia.
Chirurgia Alcuni fattori possono contribuire alle modificazioni della sessualità dopo un intervento chirurgico: l‘età, la funzione sessuale e vescicale prima dell‘intervento chirurgico, la sede e le dimensioni del tessuto tumorale. L‘associazione tra il tipo di intervento chirurgico, l‘immagine corporea e la funzionalità sessuale ha fornito risultati inconsistenti10 perché i trattamenti multimodali (ad esempio chemioterapia, radioterapia e ormonoterapia nel trattamento del carcinoma mammario) inficiano i risultati. I principali interventi chirurgici che comportano alterazioni della sessualità sono quelli effettuati per il trattamento del carcinoma della mammella, del colon, della prostata e dei tumori pelvici in generale. Le disfunzioni sessuali a cui vanno più frequentemente incontro giovani donne sottoposte a chirurgia per carcinoma mammario sono: perdita del desiderio sessuale, disturbi
dell‘eccitazione sessuale, vaginismo e dispareunia11,12. Per quanto riguarda il tipo di intervento chirurgico, nonostante i risultati siano controversi, l‘immagine corporea risulta migliore nelle donne sottoposte a chirurgia conservativa rispetto alla mastectomia10, anche se appare cruciale il ruolo attivo della paziente nella scelta della chirurgia piuttosto che il risultato della chirurgia stessa13. Le pazienti sottoposte a chirurgia di ricostruzione per carcinoma della mammella riferiscono sovente di non essere state adeguatamente informate sulla perdita del capezzolo e l‘alterata sensibilità del tessuto4 ma le più recenti tecniche di chirurgia oncoplastica consentono migliori risultati estetici complessivi. Alcuni studiosi sottolineano un rapporto di inversa proporzionalità tra la ripresa dell‘attività sessuale e l‘intervallo dalla chirurgia14. Le donne che sopravvivono ai carcinomi della mammella o della sfera genitale al di sopra dei 65 anni sono molto più propense a interrompere definitivamente l‘attività sessuale rispetto a donne più giovani15. La chirurgia pelvica per il carcinoma del colon-retto può portare a complicanze che inducono disfunzioni sessuali e vescicali come ad esempio un danneggiamento dei nervi con conseguente disfunzione eiaculatoria negli uomini, mentre nelle donne si assiste più frequentemente a dispareunia, diminuzione della libido e difficoltà a raggiungere l‘orgasmo16. Gli interventi di cistectomia per neoplasia vescicale comportano alti tassi di disfunzione erettile nell‘uomo e disturbi sessuali nelle donne17. La chirurgia della prostata comporta generalmente alterazioni dei nervi erigendi con alterazioni di flusso sanguigno al pene e con alterazioni cicatriziali che si possono formare nel tempo con conseguenti disturbi dell‘erezione, eiaculazione e raggiungimento dell‘orgasmo. Nonostante le tecniche chirurgiche per gli interventi di prostatectomia radicale siano sempre più incentrati alla riduzione della morbilità, la maggior parte degli uomini non riesce a recuperare la funzionalità preoperatoria. Tra i disturbi più frequenti ci sono la disfunzione erettile (20-60% dei casi), il cui recupero generalmente avviene dopo un anno dall‘intervento di prostatectomia radicale, la perdita di lunghezza del pene, la perdita del desiderio e la maggiore difficoltà nel raggiungere l‘orgasmo18. Gli uomini al di sotto dei 50 anni hanno una ripresa della funzione sessuale doppia rispetto a quelli di età superiore a 70 anni.
Chemioterapia e farmaci biologici Le alterazioni della sessualità dovute alla chemioterapia possono essere temporanee o permanenti e dipendono dalla classe di farmaci somministrati, dalla dose totale erogata, dallo schema di somministrazione, dalla durata del trattamento, dall‘impiego sinergico di più farmaci chemioterapici o di farmaci che possono modularne l‘azione19. La chemioterapia può causare frequentemente disfunzione erettile, dispareunia e infertilità; l‘infertilità post chemioterapia è più comune con l‘impiego di agenti alchilanti, antimetaboliti, alcaloidi della vinca, regimi dose-dense20. CASCO — Estate 2014
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La transitoria o permanente insufficienza ovarica con conseguente menopausa iatrogena può comportare inoltre sintomi vasomotori, disturbi del sonno, secchezza o atrofia vaginale. La chemioterapia induce anche alterazioni transitorie come l‘alopecia, le alterazioni ungueali o aumento di peso che possono ripercuotersi sull‘immagine, la femminilità e di conseguenza la sessualità21. Alcuni inibitori di tirosin chinasi come ad esempio il lapatinib o l‘erlotinib possono causare astenia, diarrea, rash eritematoso al volto e al tronco anche di grado severo alterando l‘immagine corporea con conseguente isolamento sociale e diminuzione del desiderio sessuale22. In pazienti trattati con crizotinib per adenocarcinoma del polmone e traslocazione di EML4-ALK sono stati riscontrati durante la terapia bassi livelli di testosterone che invece tendevano rapidamente ad aumentare quando il trattamento veniva sospeso; non è ad oggi ben chiaro il meccanismo che comporta l‘ipogonadismo indotto da crizotinib23,24. Fino all‘80% delle donne che vengono sottoposte a chemioterapia per carcinoma della mammella va incontro a uno stato di malessere intenso e disabilitante che può durare anni dopo la diagnosi25. I farmaci psicotropi che vengono impiegati in questi casi possono causare effetti collaterali che si ripercuotono sulla sessualità a causa della loro interferenza con neurotrasmettitori che agiscono sulla modulazione centrale della risposta sessuale: essi inibiscono la dopamina o la noradrenalina, che sono coinvolte nella fase di eccitazione26 e possono inoltre aumentare i livelli di prolattina, inducendo soppressione gonadica. Anche farmaci anti-serotononergici o anti-dopaminergici utilizzati ad esempio nel trattamento della nausea e del vomito possono evocare conseguenze simili a quelle dei farmaci antidepressivi, ansiolitici o beta-bloccanti che possono avere un impatto negativo sulla sessualità27.
Ormonoterapia Le terapie ormonali con anti-estrogeni, con inibitori dell‘aromatasi o con analoghi LH-RH hanno effetti simili sulla funzionalità sessuale, inducendo di frequente secchezza vaginale con conseguente dispareunia (quasi sempre reversibili al termine del trattamento), vampate di calore, incremento ponderale, cambiamenti di umore e diminuzione del desiderio sessuale. Alcune terapie ormonali possono causare un aumento del livello circolante di estrogeni e testosterone, due ormoni steroidei molto importanti nel funzionamento sessuale. Il tamoxifene ad esempio con il suo effetto estrogenico-simile a livello dell‘epitelio vaginale può causare leucorrea e prevenire la secchezza vulvo-vaginale23-28. La mancanza di estrogeni invece è associata ad una diminuzione della libido e della responsività sessuale, può causare atrofia vulvo-vaginale con conseguente dispareunia. Nei pazienti affetti da carcinoma prostatico, la terapia di deprivazione androgenica può avere significativi effetti sulla funzionalità sessuale che vanno dalla completa perdita della libido e disfunzione erettile ad effetti collaterali come vampate 20
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di calore, astenia, ginecomastia, alterazioni del tono dell‘umore che possono alterare l‘immagine di sè, la percezione della propria identità e la perdita della mascolinità23-28.
Radioterapia Pazienti donne che vengono sottoposte a radioterapia a livello pelvico possono presentare significative disfunzioni sessuali: fibrosi vaginale, stenosi e perdita di lubrificazione. Nell‘uomo, la radioterapia per il carcinoma della prostata, sia la radioterapia a fasci esterni che la brachiterapia, può portare a disfunzione erettile (circa il 30% dei pazienti), soprattutto la prima o se le due tecniche vengono impiegate in combinazione29. Le erezioni sono generalmente meno efficienti e peggiorano in 1 o 2 anni in modo graduale a causa di lesioni nervose o vascolari che comportano minore afflusso di sangue al pene e riduzione dei livelli di testosterone. Negli uomini che riescono ad avere l‘erezione spesso si ha un‘eiaculazione secca. Nell‘immediato post radioterapia inoltre è frequente il dolore durante l‘eiaculazione per irritazione dell‘uretra. I disturbi più frequenti indotti dalla radioterapia insorgono più frequentemente tra 6 mesi ed 1 anno dopo l‘irradiazione. Valutazione delle alterazioni della sessualità nel paziente oncologico I pochi dati in letteratura degli ultimi anni dimostrano che i pazienti hanno un crescente bisogno di comunicazione e volontà di superare i loro problemi inerenti la sessualità. Per la prima volta nel 2003 in Australia sono state stilate delle linee guida per aumentare l‘informazione e cercare rimedi per le disfunzioni sessuali nei pazienti neoplastici. La valutazione diagnostica dei pazienti si effettua conducendo un‘approfondita anamnesi comprensiva di storia sessuale congiuntamente ad un attento esame pelvico (che possa identificare ad esempio comorbilità o effetti loco-regionali). Attualmente non esiste un gold standard per la valutazione dei problemi della sfera sessuale nei pazienti oncologici4. Esistono vari modelli di screening sessuale utilizzati per la diagnosi e il trattamento dei problemi sessuali: PLISSIT, acronimo di P (permission) LI (limited information) SS (specific suggestion) IT (intensive therapy), si basa su quattro livelli affinchè il clinico comprenda e ponga rimedio alle disfunzioni sessuali dei pazienti. ALARM, acronimo inglese di Activity, Libido, Arousal, Resolution e Medical Hystory, è in grado di rilevare i problemi inerenti la funzionalità sessuale del paziente neoplastico in base anche alla malattia e al trattamento. Il BETTER (B = bringing up the topic, come introdurre la tematica; E = explanation, spiegazione; T = telling, analisi delle risorse; T = timing, momento opportuno; E = education, educare i pazienti agli effetti della terapia sulla sessualità; R = regustrazione), invece, è l‘unico modello che è stato redatto per favorire e sviluppare la comunicazione sulla sessualità tra i pazienti e l‘équipe. Oltre a questi modelli vengono utilizzati svariati strumenti
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per valutare la qualità della sessualità dei pazienti, come per esempio alcuni indici quali l‘Indice di Funzione Sessuale Femminile (FSFI), l‘Indice Internazionale di Funzione Erettile (IIEF), ecc. La valutazione dei disturbi della sessualità e quindi il trattamento dovrebbero considerare un‘équipe multidisciplinare che comprende l‘oncologo, l‘infermiere, lo psicologo, lo psichiatra, il sessuologo, il fisioterapista pelvico. In primis il trattamento dovrebbe rimuovere le condizioni o comorbilità all‘origine del problema (ad esempio cambiando un antidepressivo con un altro con migliore profilo di tollerabilità). Il coinvolgimento del partner è risultato essere uno dei migliori rimedi non farmacologici e programmi di terapia sessuale possono produrre risultati positivi. Per i pazienti giovani può essere d‘aiuto il sostegno della comunità, ritiri e programmi sociali. Rimedi farmacologici Nel sesso maschile per i problemi di erezione vengono utilizzati gli inibitori della fosfodiesterasi 5 (5-PDE) (ad esempio il sildenafil, il tadalafil o il verdanafil) che rappresentano il principale approccio farmacologico30. Vi è una relazione lineare tra la dose somministrata e l‘efficacia, ad esempio per il sildenafil la percentuale di successo passa dal 60% con la dose più bassa somministrata di 25 mg rispetto all‘80% con la dose di 100 mg. Gli effetti collaterali più frequenti dopo la somministrazione degli inibitori della 5-PDE sono: mal di testa in circa il 10% dei soggetti, flushing nel 7%, in circa il 3-4% dei soggetti invece possono presentarsi: dispepsia, congestione nasale, infezione delle vie urinarie, alterazioni del visus, diarrea, ecc. Non c‘è indicazione alla somministrazione degli inibitori della 5-PDE in maniera preventiva; i dati pubblicati presentano alcuni limiti: le popolazioni in studio sono poco numerose, si confrontano con il placebo, elevati tassi di drop out e durate relativamente brevi. Nell‘unico studio di confronto tra la somministrazione di verdanafil al bisogno rispetto a quella preventiva non si sono documentate differenze di efficacia tra le due modalità31. In un recente studio randomizzato il tadalafil rispetto al placebo non ha documentato alcun miglioramento della funzione e della soddisfazione sessuale in 242 pazienti trattati con radioterapia per neoplasia prostatica32. Anche la somministrazione di sildenafil 50 mg in modalità preventiva rispetto al placebo è stata valutata in uno studio randomizzato di 295 pazienti sottoposti a trattamento radioterapico per neoplasia prostatica; nei 142 pazienti che hanno rispettato la formulazione dei questionari per il calcolo dell‘Index of Erectil Function non sono emerse differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quello che riguarda la disfunzione erettile33. Alternative agli inibitori della 5-PDE per i problemi di disfunzione erettile sono rappresentate da terapie vasodilatatrici intracavernose o intrauretrali con farmaci vasoattivi o alprostadil (prostaglandina E1). Tecniche interventistiche come ad esempio l‘utilizzo di presidi fisici come il vacuum device o chirurgiche (ad es. protesi peniene) sono non comuni e non de-
siderate dai pazienti; meno dell‘1% degli uomini infatti in una recente analisi su larga scala del SEER (Surveillance, Epidemiology and End Results Dati) hanno chiesto una chirurgia implantare e questo è principalmente dovuto alla natura invasiva della procedura e ai rischi chirurgici34. Per quanto riguarda invece la mancanza di libido, non ci sono ad oggi terapie farmacologiche di documentata efficacia. Per quanto riguarda il trattamento farmacologico delle disfunzioni della sessualità femminile, questo è ancor più controverso (tabella I). Gli inibitori della 5-fosfodiesterasi non si sono dimostrati efficaci e i trattamenti ormonali sistemici come estrogeni o testosterone sono risultati problematici per quello che concerne la loro sicurezza35. Nell‘unico studio randomizzato pubblicato36 non sono emerse importanti differenze circa l‘utilizzo di testosterone verso placebo per il trattamento delle disfunzioni sessuali femminili. Sono state inoltre prese in considerazione misure non farmacologiche per pazienti sopravvissute con disfunzioni sessuali. Le strategie più utilizzate sono rimedi per mantenere l‘umidità vaginale, la necessità di una trazione meccanica dei tessuti (dilatatori vaginali, controllo della muscolatura del pavimento pelvico) e un aumento del flusso di sangue vaginale per prevenire l‘atrofia (self-touch, uso di vibratori). Ci sono quindi pochi interventi evidence-based per il trattamento delle disfunzioni sessuali dopo una diagnosi di tumore. Due pubblicazioni tra le più recenti in letteratura sottolineano che illustrare un singolo cambiamento di condotta (ad esempio l‘uso di dilatatori vaginali) è insufficiente per tramutarsi in un cambiamento di comportamento, mentre appare fondamentale l‘esperienza dei superstiti e la motivazione dei pazienti37. In un lavoro che analizza gli interventi per disfunzioni sessuali dopo la diagnosi di carcinoma della mammella emerge che, nonostante la diffusa variabilità dei metodi, gli interventi più efficaci sono quelli psico-educativi che coinvolgono i pazienti e i loro partner e includono elementi di terapia o consulenza sessuale. Un importante limite, oggi, della letteratura in merito a tale argomento è la mancanza di dati di controllo, ovvero l‘incidenza di disfunzioni sessuali nel gruppo i controllo prima di una diagnosi o dei trattamenti per carcinoma38. • Bibliografia 1. Pitts MK, Ferris JA, Smith AM, et al. Prevalence and correlates of three types of pelvic pain in a nationally representative sample of Australian women. Med J Aust 2008; 189: 138-43. 2. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition - Text Revision (DSM-IV-TR). Washington, DC: American Psychiatric Association editions, 2000. 3. Lamieux L, Kaiser S, Pereira J, et al. Sexuality in palliative care: patient perspectives. Palliat Med 2004; 18: 630-37; 4. Bober SL, Varela VS. Sexuality in adult cancer survivors: challenges and intervention. J Clin Oncol 2012; 30: 3712-9. 5. Kedde H, van de Wiel HB, Weijmar Schultz WC, et al. Sexual dysfunction in young women with breast cancer. Support Care Cancer 2013; 21: 271-80. CASCO — Estate 2014
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Tabella I. Trattamenti farmacologici per il trattamento delle disfunzioni sessuali femminili dopo la diagnosi di carcinoma della mammella39.
Agente
Disfunzioni sessuali
Testato in pazienti affetti da neoplasia /Livello di evidenza
Estrogeni (estradiolo transdermico o a livello vaginale)
Atrofia e secchezza vulvo-vaginale, dispareunia
Sì / Ia
Testosterone (creme topiche; transdermico)
Scarso desiderio sessuale
Sì / Ib
Tibolone
Desiderio sessuale ed eccitazione
Sì / IIb
DHEA (crema intravaginale)
Atrofia vulvo-vaginale; desiderio sessuale ed eccitazione
Sì / Non noto
Flibanserina
Basso desiderio sessuale
No / Non noto
(PDE-5) Inibitori (ad es. sildenafil)
Eccitazione genitale
No / IIb
Bremelanotide
Eccitazione
No / Ib
Fentolamina
Lubrificazione vulvo-vaginale
No / Non noto
Prostaglandine
Eccitazione
IIb
Bupropione
Riduzione disfunzioni sessuali
No / Non noto
L-arginina
Sintomi vasomotori, desiderio sessuale
Sì / IIb
Ormonali
Non ormonali
6. Hordern A, Street A. Issues of intimacy and sexuality in the face of cancer. Cancer Nurs 2007; 30: E11-E18. 7. Burbie GE, Polinsky ML. Intimacy and sexuality after cancer treatment. Restoring a sense of wholness. J Psychosoc Oncol 1992; 10: 19-33. 8. Brotto LA, Yule M, Breckon E. Psychological interventions for the sexual sequelae of cancer: a review of the literature. J Cancer Surviv 2010; 4: 346-60. 9. Hordern A. Intimacy and sexuality for the woman with breast cancer. Cancer Nurs 2000; 23: 230-6. 10. Lam WW, Li WW, Bonanno GA, et al. Trajectories of body image and sexuality during the first year following diagnosis of breast cancer and their relationship to 6 years psychosocial outcomes. Breast Cancer Res Treat 2012; 131: 957-67. 11. Fooladi E, Davis SR. An update on the pharmacological management of female sexual dysfunction. Expert Opin Pharmacother 2012; 13: 2131-42. 12. Speer JJ, Hillenberg B, Sugrue DP, et al. Study of sexual functioning determinants in breast cancer survivors. Breast J 2005; 11: 440-7. 13. Ganz PA. Sexual functioning after breast cancer: a conceptual framework for future studies. Ann Oncol 1997; 8: 105-7. 14. Cardoso F, Loibl S, Pagani O, et al. The European Society of Breast Cancer Specialists recommendations for the management of young women with breast cancer. Eur J Cancer 2012; 48: 335577. 15. Likes WM, Stegbauer C, Tillmanns T, et al. Correlates of sexual function following vulvar excision. Gynecol Oncol 2007; 105: 600-3. 16. American Cancer Society: Cancer Facts & Figures 2009. Atlanta, GA: American Cancer Society, 2009. 17. Hart S, Skinner EC, Meyerowitz BE, et al. Quality of life after radical cystectomy for bladder cancer in patients with an ileal conduit, cutaneous or urethral kock pouch. J Urol 1999; 162: 7781. 22
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18. Potosky AL, Davis WW, Hoffman RM, et al. Five-year outcomes after prostatectomy or radiothepy for prostate cancer: The prostate cancer outcomes study. J Natl Cancer Inst 2004; 96: 1358-67. 19. Azim HA Jr, Peccatori FA, de Azambuja E, et al. Motherhood after breast cancer: searching for la dolce vita. Expert Rev Anticancer Ther 2011; 11: 287-98. 20. Rodriguez-Wallberg KA, Oktay K. Options on fertility preservation in female cancer patients. Cancer Treat Rev 2012; 38: 354-61. 21. Schover LR. Premature ovarian failure and its consequences: vasomotor symptoms, sexuality, and fertility. J Clin Oncol 2008; 26: 753-8. 22. Krebs LU. Sexual health during cancer treatment. Adv Exp Med Biol 2012; 732: 61-76. 23. Ramalingam SS, Shaw AT. Hypogonadism related to crizotinib therapy: implications for patient care. Cancer 2012; 118: E1-2. 24. Weickhardt AJ, Doebele RC, Purcell WT, et al. Symptomatic reduction in free testosterone levels secondary to crizotinib use in male cancer patients. Cancer 2013; 119: 2383-90. 25. Dizon DS. Quality of life after breast cancer: survivorship and sexuality. Breast J 2009; 15: 500-4. 26. Fooladi E, Davis SR. An update on the pharmacological management of female sexual dysfunction. Expert Opin Pharmacother 2012; 13: 2131-42. 27. Rees PM, Fowler CJ, Maas CP. Sexual function in men and women with neurological disorders. Lancet 2007; 369: 512-25. 28. Krebs LU. Sexual health during cancer treatment. Adv Exp Med Biol 2012; 732: 61-76. 29. Sanda MG, Dunn RL, Michalski J, et al. Quality of life and satisfaction with outcome among prostate-cancer survivors. N Engl J Med 2008; 358: 1250-61. 30. Linet OI, Neff LL. Intracavernous prostaglandin E1 in erectile dysfunction. Clin Investig 1994; 72: 139-49.
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a double-blind, cross-over, placebo-controlled study. BJOG 2000; 108: 623-8. 36. Barton DL, Wender DB, Sloan JA, et al. Randomized controlled trial to evaluate transdermal testosterone in female cancer survivors with decreased libido: North Central Cancer Treatment Group protocol N02C3. J Natl Cancer Inst 2007; 99: 672-9. 37. Sanda MG, Dunn RL, Michalski J, et al. Quality of life and satisfaction with outcome among prostate-cancer survivors. N Engl J Med 2008; 358: 1250-61. 38. Brotto LA, Yule M, Breckon E. Psychological interventions for the sexual sequelae of cancer: A review of the literature. J Cancer Surviv 2010; 4: 346-60. 39. Taylor S, Harley C, Ziegler L, et al. Interventions for sexual problems following treatment for breast cancer: a systematic review. Breast Cancer Res Treat 2011; 130: 711-24. 40. Pinto AC. Sexuality and breast cancer: prime time for young patients. J Thorac Dis 2013; 5: S81-S86.
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Casi clinici
Trattamenti della fatigue... e dintorni
Enzo Ballatori Statistico medico, Spinetoli
Fausto Roila SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
Riassunto Sono stati discussi aspetti positivi e negativi del lavoro sintetizzato nella scheda, sottolineando i problemi che discendono dalla scelta degli strumenti statistici con cui sono stati elaborati i dati. Parole chiave. Fatigue, esperimenti pienamente fattoriali, doppio cieco, scale di misurazione, qualità della vita.
Summary
Treatment of fatigue and other symptoms Positive and negative aspects of the study summarized in the “scheda” were discussed, highlightening the problems arising from the choice of the statistical tools used to analyze the results. Key words. Fatigue, fully factorial experiments, double-blind, measurement scales, quality of life.
Luci abbaglianti ed ombre scure, oltre a diverse tonalità di grigi, sono presenti nel lavoro sintetizzato nella scheda. Cominciamo dal titolo in cui sembra sminuita l’importanza del lavoro parlando di “studio di fase II”, quando a. si tratta di uno studio randomizzato controllato con placebo, b. la risposta valutata è in termini di efficacia e non di attività. Anzitutto nel testo non sono state precisate due cose fondamentali per valutare la qualità del lavoro: la consecutività del reclutamento dei pazienti nello studio e l’adozione di tecniche di cecità. Il problema è sapere se tali precisazioni mancano perché non sono state adottate o per trascuratezza nella stesura dell’articolo. Il secondo caso sarebbe poco grave, mentre il primo aprirebbe la strada a forti dubbi sulla validità dei risultati. Com’è noto, infatti, la mancanza della consecutività di arruolamento dei pazienti nello studio impedisce di considerare i gruppi sperimentali come campioni casuali, rendendo più deboli le conclusioni raggiunte con i test statistici. La mancata adozione di tecniche di cecità, invece, renderebbe inattendibili i risultati perché, in caso di valutazioni psicometriche, la conoscenza del trattamento cui si è sottoposti può influire pesantemente sulla risposta. Riteniamo che, almeno per l’adozione di tecniche di cecità, lo studio sia stato eseguito 24
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in doppio-cieco perché ci sembra altrimenti inverosimile un confronto con placebo. Comunque, in assenza di conoscenze certe, non resta che sospendere il giudizio, tacitamente rimproverando i tre referee del JCO, di norma assai meticolosi, che non hanno richiesto così importanti precisazioni. Sebbene non sia stato esplicitamente scritto nel lavoro, gli autori hanno adottato un disegno fattoriale completo, assai raro in medicina. Infatti, dopo aver individuato i due fattori sperimentali, quello farmacologico (metilfenidato, MP, vs placebo, PL) e l’intervento psicologico (telefonata terapeutica, TT, vs telefonata di controllo, TC), i pazienti sono stati randomizzati ai 4 trattamenti definiti dalle combinazioni dei livelli dei due fattori sperimentali considerati. La caratteristica fondamentale di un disegno fattoriale completo è che, oltre agli effetti principali dei fattori considerati, è possibile anche valutare le interazioni, cioè, nel nostro caso se l’effetto farmacologico del metilfenidato sia potenziato o meno dalla telefonata terapeutica (v. in questo numero Statistica per concetti 1). La scelta di un disegno fattoriale completo può essere considerata una luce abbagliante del lavoro, ma su di essa si addensano ombre scure. Ci si sarà chiesto perché tale disegno sia così poco frequente in medicina, malgrado possa fornire conoscenze di notevole importanza per la pratica clinica. La principale ragione è che l’adozione del disegno fattoriale completo comporta una grande dimensione dello studio, spesso incompatibile con i mezzi disponibili. Questa osservazione introduce a quello che sembra il più importante limite dello studio in oggetto: la scarsa numerosità campionaria (al riguardo si osservi che la potenza dello studio non è stata precisata: nell’articolo si parla di “potenza adeguata”, che ci siamo permessi di virgolettare anche nella scheda). Della questione si fanno carico (ma solo in parte) gli autori nella discussione: “There is the possibility that the study was underpowered for the reported outcomes because of lower than planned accrual (190 patients instead of the planned 215)”. Ma non è certo questo il problema, bensì il fatto che 215 pazienti sarebbero stati comunque pochi per un disegno fattoriale completo. Forse questa è la ragione per cui hanno definito come endpoint primario il solo effetto farmacologico del metilfenidato. Però, se l’interazione non avesse avuto interesse, gli autori avrebbero potuto adottare un disegno a 3 bracci (anziché a 4): controllo (TC + PL), MP, TT. In tal modo si sarebbero ottenute informazioni sull’efficacia del metilfenidato e della telefonata terapeutica confrontando entrambi i trattamenti con quello di controllo, basando però le conclusioni su dimensioni ben più ampie di pazienti.
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SCHEDA
Bruera E, Yennurajalingam S, Palmer JL, et al. Methylphenidate and/or a nursing telephone intervention for fatigue in patients with advanced cancer: a randomized, placebo-controlled, Phase II Trial. J Clin Oncol 2013; 31: 2421-7. Pazienti con tumore metastatico, con uno score della fatigue ≥ 4 sulla Edmonton Symptom Assessment Scale (ESAS, una scala da 0 a 10) ed uno score normale (≥ 24 su 30) del Mini-Mental State Examination furono arruolati da unità di cure palliative e tra pazienti seguiti da cliniche oncologiche del Texas. Furono considerati due fattori sperimentali, ciascuno con due modalità: − metilfenidato (methylphenidate, MP, capsule di 5 mg per os ogni due ore, fino a un massimo di 20 mg/die per 14 giorni) o placebo (PL), − una telefonata terapeutica (TT) eseguita in forma standardizzata – cioè seguendo un temario – da un infermiere specializzato (da 4 a 6 volte nei 14 giorni di durata dello studio), TT (Telefonata Terapeutica), o una telefonata libera eseguita da un soggetto che non era un infermiere (sempre da 4 a 6 volte nei 14 giorni), TC (Telefonata di Controllo). I pazienti furono dunque randomizzati a ricevere uno dei 4 trattamenti: a. MP + TT b. MP + TC c. PL + TT d. PL + TC Al giorno 1 (basale), al giorno 8 e al giorno 15, i pazienti compilarono i seguenti questionari: − FACIT-F (Functional Assessment of Chronic-Illness and Therapy,
composto da 27 domande sulla qualità di vita, articolate in 4 domini (fisico, sociale, emozionale e funzionale) + il modulo specifico per la fatigue (13 domande); − ESAS (Edmonton Symptom Assessment Scale, una scala da 0 a 10), che valuta 9 sintomi comunemente manifestati da pazienti con tumore in fase metastatica; − HADS (Hospital Anxiety and Depression Scale, 14 item) per la valutazione di ansia e depressione; − PSQI (Pittsburg Sleep Quality Index) che valuta i disordini del sonno. Endpoint primario: determinare se il miglioramento della fatigue, valutata con il FACIT-F, dal basale al 15° giorno, fosse superiore nei pazienti che ricevevano il metilfenidato rispetto a quelli trattati con placebo. Poiché i dati non erano distribuiti normalmente, i confronti tra i 4 gruppi, valutando in ciascuno la differenza tra il basale e il giorno 15 (e tra il basale e il giorno 8), furono eseguiti comparando le mediane con il test di Wilcoxon per campioni indipendenti. Come endpoint secondari furono confrontate le differenze mediane nelle sottoscale del FACIT-F usando il test di Kruskall-Wallis. Inoltre, in ciascun braccio, fu analizzato l’andamento nel tempo (al giorno 8 e al giorno 15) di ciascuno dei parametri considerati rispetto al basale (giorno 1). Il test di Wilcoxon per dati appaiati fu usato per analizzare il miglioramento in HADS tra il giorno 1 e il giorno 15 separatamente nei pazienti trattati con MP e con PL. Un campione di 212 pazienti avrebbe assicurato un’“adeguata
potenza” per scoprire una differenza di almeno il 33% tra MP e PL nella valutazione della fatigue al giorno 15 rispetto al basale (endpoint primario). Risultati. Dei 190 pazienti arruolati, 141 furono randomizzati ai 4 gruppi: 37 nel gruppo a), 31 in b), 38 in c) e 35 in d). Risultarono così valutabili 68 pazienti trattati con MP e 73 con PL; 75 nel gruppo TT e 66 in TC. Nessuna differenza significativa fu riscontrata al basale tra i 4 gruppi. La mediana della fatigue, valutata sia con il FACIT-F che con l’ESAS, diminuì al 15° giorno rispetto al basale in tutti e 4 i gruppi, ma il miglioramento avvenne quasi del tutto entro l’8° giorno. Considerando insieme TT e TC, la diminuzione riscontrata nel gruppo MP non risultò significativamente diversa da quella osservata nel gruppo PL, così come, mettendo insieme MP e PL, non risultarono significativamente diverse le differenze tra TT e TC. Infine, il test di Kruskall-Wallis, per i 4 gruppi non risultò significativo. Invece, la sintomatologia apprezzata con ESAS si rivelò mutare favorevolmente, in modo significativo, tra il basale e il giorno 8 e tra il basale e il giorno 15, per quasi tutti i sintomi (ad eccezione del dolore) e per la sensazione di benessere nei pazienti che ricevettero l’intervento telefonico (TT), ma fatigue, depressione e dispnea migliorarono significativamente anche nel corrispondente gruppo di controllo (TC). Anche HADS e PSQI non mostrarono differenze significative tra il gruppo MP e il gruppo PL, così come non risultarono significativamente sbilanciati gli eventi avversi di grado ≥ 3. •
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| Casi clinici | Trattamenti della fatigue... e dintorni
Negli anni ’80 del secolo scorso, un importante statistico medico americano rivalutò i lavori pubblicati tra il 1960 e il 1979 sulle quattro più importanti riviste di medicina in relazione alla potenza degli studi pubblicati e trovò che gli studi negativi in circa i 2/3 dei casi non avevano una potenza sufficiente per evidenziare l’efficacia del nuovo trattamento. Concluse che in quel ventennio la medicina aveva perso molti farmaci potenzialmente utili. Non vorremmo che questa sia la ragione della negatività dei risultati ottenuti per il metilfenidato. Un altro elemento negativo dello studio è che oltre ¼ dei pazienti arruolati non sono stati valutati (49/190). Quando la percentuale dei pazienti non valutati è alta, c’è sempre da temere la presenza di una distorsione da selezione (ad esempio, che siano stati valutati i pazienti in mediamente migliori condizioni e, pertanto a questi, e non a tutti i pazienti, siano riferibili i risultati dello studio). Inoltre, nessun cenno è stato fatto in relazione al criterio di valutazione considerato (se per intenzione a trattare, per protocol, per efficacia clinica). Interessante è invece l’osservazione che i dati ottenuti con scale psicometriche, come quelle adottate nel lavoro, non possono essere ritenuti provenienti da variabili distribuite normalmente (cioè secondo la curva di Gauss). Questa considerazione, se da un lato ha indotto gli autori a condurre tutta l’analisi dei risultati con test non parametrici, dall’altro ha spinto noi ad approfondire l’argomento sulla scelta del test statistico da usare in relazione al tipo di dati e, quindi, alle scale di misura con cui sono stati ottenuti (v. in questo numero Statistica per concetti 2), rinviando l’argomento dei test non parametrici al prossimo numero di CASCO per motivi di spazio. Ma, come al solito in questo lavoro, le luci sono presto oscurate da ombre. Nella scelta dei test non parametrici come strumento di analisi dei risultati vi sono almeno due osservazioni da fare. La prima è che sono stati eseguiti parecchi test statistici, senza che gli autori si siano preoccupati di apportare alcuna correzione ai livelli di significatività, ma esponendo il problema solo in sede di discussione, quando trattano dei limiti del lavoro: “Additional limitations include the fact that there was no statistical control for multiple comparisons, so some significant findings might be a result of type 1 error”. Per loro fortuna i risultati relativi alla fatigue sono tutti negativi, per cui, su di loro, la correzione del livello di significatività non avrebbe prodotto alcun effetto. A nostro avviso, in sede di discussione, la dichiarazione dei limiti (e spesso non tutti) di uno studio clinico, se da un lato attesta l’onestà intellettuale degli autori, dall’altro non minimizza affatto i difetti dello studio che continuano a permanere nonostante essi siano stati dichiarati. In alcuni
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CASCO — Estate 2014
casi, sarebbe vantaggioso leggere all’inizio l’elenco dei difetti per non perder tempo a proseguire nella lettura. La seconda osservazione concerne il fatto che i dati ottenuti con un disegno fattoriale completo vanno analizzati con modelli lineari e, non potendolo fare (come in questo caso), occorre ricorrere a modelli lineari generalizzati (Generalized Linear Models, GLM) con cui è possibile trattare anche dati ordinali. Infatti, usando altri strumenti statistici (come i test non parametrici), si va inevitabilmente incontro alla correzione di Bonferroni (v. Statistica per concetti, CASCO, vol.1, n. 2, 2011: 24-25), per cui, tenendone conto, diventa assai difficile trovare differenze significative. L’uso di un test parametrico dovrebbe essere pertanto limitato ad ottenere la risposta al quesito principale dello studio, o poco più. Il lavoro è senz’altro stimolante per via delle luci che presenta, ma come valutare i risultati ottenuti? Per i numerosi difetti e punti non precisati, complessivamente, riteniamo che i risultati sull’inefficacia del metilfenidato non siano conclusivi, anche perché il periodo di osservazione (due settimane) potrebbe essere troppo breve per individuare un effetto non rapido (e nemmeno eclatante, dato che non sono state trovate differenze significative). Molti pazienti hanno avuto un miglioramento della fatigue indipendentemente dal trattamento, che però hanno comunque ricevuto, anche se si trattava di un placebo. Quindi, sulla base dei risultati negativi dello studio, non possiamo giungere alla conclusione (come del resto non fanno gli autori) che non occorra trattare il paziente, ma, al contrario, che sia necessaria ancora molta ricerca per giungere ad un soddisfacente controllo della fatigue. Infine, per quanto concerne la telefonata terapeutica, si osservi che il suo effetto è stato confrontato con quello di una telefonata non terapeutica (di controllo), per cui tutti i pazienti hanno comunque ricevuto dalle 4 alle 6 telefonate nel periodo di trattamento. Forse lo strumento psicologico, in questa sede, non si è dimostrato di grande valore, ma, nella nostra esperienza, la telefonata in sé può rappresentare un prezioso strumento per rassicurare il paziente, per farlo sentire seguito dalla struttura che lo ha in cura. Il contatto continuativo della struttura con il paziente riteniamo sia comunque importante non solo per alleviare una sintomatologia, come la fatigue, ma anche, in altri campi, per ottenere risultati in termini di miglioramento del decorso della malattia (quanto meno migliorando la compliance del paziente alla terapia), che si tradurrebbe anche in risparmi sulla spesa sanitaria (ad es., evitando successivi ricoveri). In tutti i campi della medicina, l’effetto dell’intensificazione del management del paziente, ottenuta anche aumentando i contatti tra struttura e paziente, andrebbe indagato mediante studi di outcome research. •
Statistica per concetti
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Disegni fattoriali
telefonata terapeutica al paziente (TT) ovvero la telefonata di controllo (non terapeutica, TC).
Riassunto Il disegno fattoriale completo consente di valutare, oltre gli effetti principali dei fattori, anche le loro interazioni. Mediante la visualizzazione di dati relativi a situazioni diverse, si sono mostrate le informazioni che possono essere tratte da un esperimento condotto con tale disegno, nel caso di due fattori, ciascuno con due livelli. Parole chiave. Esperimenti pienamente fattoriali, effetti principali, interazioni, modelli lineari.
Summary
Factorial designs Full factorial design allow us to assess the main effects of the factors, as well as their interactions. Displaying data obtained in different situations, information that can be obtained from a fully crossed 2 x 2 factorial experiment was shown. Key words. Fully factorial experiments, main effects, interactions, linear models.
C’è una branca della statistica che si occupa di pianificare gli esperimenti in modo tale da acquisire dai loro risultati le conoscenze desiderate. Anche se non è esplicitamente scritto nel lavoro riassunto nella scheda, gli autori hanno adottato un disegno dello studio noto come “disegno fattoriale completo”, purtroppo assai poco utilizzato in medicina, mentre è assai diffuso in altre discipline, come le scienze agrarie. La presente nota vuole introdurre alla comprensione delle informazioni che possono essere ottenute dagli esperimenti eseguiti con tale disegno.
clinici è l’efficacia del metilfenidato (fattore sperimentale con due livelli, A1 = somministrazione del farmaco attivo, A0 = placebo).
Si chiama “Fattore sperimentale”, A, quello sui cui effetti si vuole sperimentare. Il fattore sperimentale è articolato in due o più livelli, detti “trattamenti”; nel caso più semplice si tratta di due livelli: somministrazione o meno della terapia considerata (quindi due trattamenti: A0 e A1).
La “risposta” è ciò che si osserva sul paziente al termine dello studio. La risposta dipende dal fattore sperimentale, ma anche da fattori subsperimentali (in medicina meglio noti come fattori prognostici o predittivi) e dal soggetto (fattore accidentale o caso). Lo scopo del disegno dello studio è rendere nulli o almeno trascurabili gli effetti dei fattori subsperimentali, così che la variabilità delle risposte possa essere imputata solo alla diversa efficacia dei trattamenti e al caso. Il risultato del test statistico consentirà di decidere se i due trattamenti sono diversamente efficaci, ovvero se non ci sono evidenze per tale conclusione (v. Statistica per concetti, CASCO 5 e 6). Naturalmente, vi possono essere più fattori sperimentali. Per semplicità ne consideriamo solo un secondo, B, anch’esso con due livelli, B0 e B1.
Ad esempio, endpoint primario dello studio discusso nella rubrica Casi
Nell’articolo considerato, il secondo fattore sperimentale è la
I trattamenti sono allora 4, ottenuti come combinazioni tra i livelli dei due fattori. In generale, il numero dei trattamenti è pari al prodotto del numero dei livelli dei fattori sperimentali considerati. Ad esempio se i fattori sperimentali fossero 3, il primo con due livelli, il secondo ed il terzo con tre (ad es., due dosaggi diversi e l’assenza del farmaco), i trattamenti sarebbero 18 (2 x 3 x 3). Il numero dei trattamenti cresce esponenzialmente con il numero dei fattori ed è questa la ragione per cui abitualmente si considerano pochi fattori sperimentali. Proseguendo l’esempio, lo schema dei trattamenti potrebbe essere visualizzato con la seguente tabella, dove le 4 caselle nel corpo della tabella rappresentano i trattamenti: PL+TC, PL+TT, MP+TC, MP+TT A/B B0 (TC) A0 (PL) A1 (MP)
B1 (TT)
Questo è un disegno fattoriale completo dove “completo” è riferito al fatto che si sperimenta su tutti i trattamenti. Consideriamo ora una risposta quantitativa, sintetizzata dalla media, da inserire nelle 4 caselle corrispondenti ai trattamenti e ragioniamo sui numeri in alcuni dei casi che possono presentarsi. Se i risultati fossero A/B A0 A1
B0 10 9
B1 21 19
si potrebbe osservare un importante effetto del fattore sperimentale B, in quanto confrontando i dati tra B0 e CASCO — Estate 2014
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| Statistica per concetti | Disegni fattoriali
B1 si vede subito quanto crescono (raddoppiano!) le medie; per rendere ancora più evidente l’effetto di B, possiamo anche sommare per i due livelli di A (19 vs 40), o farne una media. Invece, l’effetto del fattore A è trascurabile: basta confrontare A0 con A1 sia nella colonna B0 che in B1. Naturalmente, nei casi concreti, sarà il test statistico a stabilire se le differenze osservate sono trascurabili o, invece, significative. Analogamente, se i dati fossero A/B A0 A1
B0 10 19
B1 11 23
sarebbe evidente un forte effetto di A (si confrontino le medie tra A0 e A1, sia in B0 che in B1) ed un trascurabile effetto di B. Consideriamo ora il caso (a) A/B A0 A1
B0 10 30
B1 20 48
A e B hanno entrambi un forte effetto sulla risposta. Ma cos’è che differenzia tale caso dal seguente (b)? A/B A0 A1
B0 10 30
B1 20 85
È evidente che nella casella (A1, B1) vi è una media assai più alta di quella presente nelle altre 3 caselle. Ciò vuol dire che la presenza congiunta dei trattamenti ne potenzia il loro effetto, cioè che l’effetto di A1 (o di B1) in presenza di B1 (o di A1) è molto più marcato. Questo effetto si chiama interazione (positiva). Si dice correntemente che il caso (a) è caratterizzato dall’additività degli effetti (cioè, gli effetti dei due trattamenti semplicemente si sommano), mentre in b) non solo gli effetti principali sono marcati, ma vi è anche un’importante interazione positiva. 28
CASCO — Estate 2014
Ovviamente, l’interazione potrebbe anche essere negativa, se la presenza congiunta di A1 e B1, anziché innalzare la media nella casella (A1, B1), la deprimesse: A/B A0 A1
B0 10 30
B1 20 34
In genere dati di questo tipo si analizzano mediante modelli di analisi della varianza, dove vengono valutati gli effetti principali dei fattori A e B (singolarmente considerati) nonché la loro interazione (positiva o negativa). In pratica si eseguono tre test per valutare la significatività dell’effetto di A, dell’effetto di B e dell’interazione (sarà il segno della stima dei parametri ad indicare se l’interazione è positiva o negativa). Quindi, con il disegno fattoriale completo, l’informazione aggiuntiva che si ottiene rispetto all’effetto dei due fattori separatamente considerati riguarda l’interazione, cioè se la presenza di un trattamento potenzia (o deprime) l’efficacia dell’altro. Quanto esposto per il caso di due fattori ciascuno con due livelli è suscettibile di diverse generalizzazioni. a. Un numero di livelli per fattore maggiore di 2. Ad esempio, se il fattore B avesse, anziché due, tre livelli (ad es., B0 = assenza di B, B1 = dose bassa di B, B2 = dose alta di B), la tabella sopra esposta avrebbe 3 righe e 2 colonne per un totale di 6 caselle interne (trattamenti). In tal caso, l’effetto di B sarebbe investigato con due contrasti (o confronti) linearmente indipendenti (ad es., B1 – B0 e B2 – B0). L’effetto di A sarebbe noto con un solo contrasto (A2 – A1). Per l’interazione occorrerebbe eseguire due contrasti. Il numero dei contrasti linearmente indipendenti da eseguire è sempre pari al numero dei trattamenti – 1; nel nostro caso 6 – 1 = 5. b. Un numero di fattori sperimentali maggiore di due. La logica di quanto esposto non cambierebbe, ma se il numero dei fattori fosse elevato lo studio diventerebbe impraticabile per l’eccessiva dimensione richiesta. Quindi, volendo adottare un disegno
fattoriale completo, occorre essere assai parsimoniosi con il numero dei fattori sperimentali da considerare. In altre parole, poiché il guadagno in informazione che si ottiene con un disegno fattoriale completo riguarda l’interazione, i fattori sperimentali vanno scelti tra quelli che sono sospettati di interagire tra loro e che la loro interazione sia di grande interesse per acquisire nuove rilevanti conoscenze. Ad esempio, se nello studio presentato in scheda l’interazione tra metilfenidato e telefonata terapeutica non fosse stata ritenuta rilevante, si sarebbe potuto adottare un disegno randomizzato a tre bracci (anziché a quattro): uno di controllo (TC + PL), uno di intervento telefonico (TT) e uno di intervento farmacologico (MP). Invece, la scelta degli autori è stata quella di verificare se la telefonata aggiungesse qualcosa o meno all’effetto del farmaco in termini di efficacia. c. Una risposta di diversa natura. Nell’esempio, nelle caselle del corpo della tabella sono stati considerati valori medi di variabili continue calcolate su campioni provenienti da 4 popolazioni distribuite normalmente e con la stessa varianza. Per tali ragioni si è parlato di analisi della varianza come strumento di analisi di dati ottenuti con un disegno fattoriale completo. Se, invece, la risposta fosse stata una variabile binaria, o un conteggio, o un punteggio di scale psicometriche, si sarebbero dovuti usare modelli lineari generalizzati (Generalized Linear Models, GLM), tecnicamente assai sofisticati, ma che seguono una logica identica a quella degli esempi che abbiamo mostrato. Ad esempio, se la risposta fosse stata binaria, si sarebbe potuto usare il modello logistico multifattoriale per ottenere risposte sulla significatività degli effetti principali e dell’interazione. In conclusione, il disegno fattoriale completo consente di ottenere rilevanti informazioni aggiuntive rispetto a quelle ottenute con altri disegni, ma ad un costo assai elevato in termini di dimensione dello studio. Enzo Ballatori
Statistica per concetti
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Scale di misura e test statistici
Riassunto La scelta del test statistico è discussa in relazione alla scala di misurazione (scale nominali, scale ordinali, scale di rapporti) con cui sono stati ottenuti i dati. Parole chiave. Test parametrici, scala di Likert, mediana, scale nominali, scale ordinali, scale di rapporti.
Summary
Measurement scales and the choice of the statistical test The choice of the statistical test is discussed in relationship with the type of measurement scale that generated the data (nominal scales, ordinal scales, ratio scales). Key words. Parametric tests, Likert’s scale, median, nominal scales, ordinal scales, ratio scales.
Molteplici sono i tipi di dati che si raccolgono nel corso di studi clinici. Ci sono dati quantitativi e dati qualitativi; tra i primi ci sono misure, ma anche conteggi, tra i secondi dati non ordinabili e dati ordinabili. Se è vero che talvolta non c’è un solo strumento statistico per analizzare i dati di un certo tipo, è altrettanto vero che taluni strumenti, utili per l’analisi di un certo tipo di dati, sono inappropriati per dati di altro tipo. Cogliendo l’occasione fornita dal lavoro discusso nella rubrica “Casi clinici”, in cui correttamente si osserva che dati ottenuti con l’impiego di scale psicometriche non possono essere considerati come provenienti da variabili normalmente distribuite, nella presente nota, si amplia il discorso alla scelta del test statistico in relazione alla natura dei dati. In tal modo si introduce l’argomento dei test non parametrici (che verranno trattati nel prossimo numero di CASCO), così importanti nell’analisi dei dati relativi agli studi clinici nel campo delle terapie di supporto. Il test t di Student per il confronto tra due medie nel caso di campioni indipendenti – assai usato nella ricerca
medica – poggia su due assunzioni: a. nelle popolazioni target (cui vanno riferiti i risultati di uno studio condotto su campioni), il carattere oggetto di studio si distribuisca normalmente (cioè secondo la curva di Gauss); b. la variabilità (misurata dalla varianza) delle due popolazioni sia la stessa. La piena validità di tale test si raggiunge quando entrambi questi assunti sono rispettati. Tuttavia, si è dimostrato che anche moderate (ma non forti) violazioni di tali assunzioni non inficiano molto il risultato ottenuto, perché il test t di Student appartiene alla famiglia delle cosiddette statistiche “robuste”. Esempi. Dovendo confrontare i valori medi di una caratteristica antropometrica (ad es., la statura) o ematobiochimica (ad es., la glicemia) in soggetti normali, si può ammettere che le due assunzioni siano rispettate o al più moderatamente violate perché ciò è già noto da studi di biometria. Ma dovendo confrontare i redditi medi di due gruppi si può essere altrettanto certi che la violazione almeno del primo assunto sia forte perché il reddito si distribuisce in modo esponenziale
(sono molti i soggetti poveri e pochi quelli ricchi). Esistono test statistici volti a verificare se tali assunzioni siano rispettate o meno, ma, inspiegabilmente, sono raramente usati. Un test che richieda una o più assunzioni sulla popolazione prende il nome di test parametrico. Ad esempio, sono parametrici il test t di Student nelle sue varie applicazioni (test sul valore di una media; per il confronto tra due medie, nel caso di campioni indipendenti e nel caso di dati appaiati), il test F di FisherSnedecor per l’analisi della varianza, con tutti i test per il confronto tra gruppi che ne conseguono. I dati oltre che quantitativi, possono essere anche qualitativi, sconnessi o ordinabili. Tutti i caratteri qualitativi si manifestano nei singoli soggetti mediante un attributo (o aggettivo). Un carattere sconnesso ha modalità1 non ordinabili. Il sesso (modalità: M e F) e il tipo di neoplasia sono esempi di caratteri sconnessi. Nella ricerca psicometrica (e in quella sociale), i caratteri sconnessi prendono il nome di scale nominali, dove “scala” esprime il desiderio di misurazione e “nominale” indica che si tratta di una scala che in realtà lo è solo di nome. Ovviamente, nel caso di un carattere sconnesso non è possibile calcolare alcuna media (tranne la moda2): l’analisi dei dati, dunque, è incentrata sulle frequenze. I caratteri qualitativi ordinabili sono caratterizzati dall’avere modalità ordinabili, nel senso che date due modalità diverse, si può sempre individuare quella che viene prima e quella che viene dopo (cioè la maggiore e la minore). Come per i caratteri sconnessi, quelli ordinabili si manifestano nelle unità della 1. Si chiamano modalità i modi diversi di presentarsi del carattere nelle unità della popolazione. 2. Come nel linguaggio comune, la moda è la modalità che presenta la massima frequenza. CASCO — Estate 2014
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| Statistica per concetti | Scale di misura e test statistici
popolazione per mezzo di attributi che però, a differenza dei primi, sono ordinabili. Nella ricerca psicometrica i caratteri ordinabili prendono il nome di “scale ordinali”. Oltre la moda (come nelle scale nominali), nelle scale ordinali è possibile calcolare anche la mediana3. Ovviamente non può essere calcolata la media aritmetica perché non possono essere sommati attributi. Lo stadio della neoplasia, il performance status e tutte le risposte valutate su una scala di Likert4 sono esempi di scale ordinali. Le scale di Likert, assai usate per rilevare le risposte ai singoli item in un questionario sulla qualità di vita, apparentemente sono quantitative perché la scelta, ad es., è limitata a 9 punti (da 1 a 9), ma in realtà tali numeri sono modalità qualitative ordinabili, ma non modalità quantitative, perché la distanza tra due punti consecutivi non può mai essere considerata la stessa. Ad es., in una scala a 5 punti (1 = malissimo, 2 = male, 3 = discretamente, 4 = bene, 5 = benissimo), la distanza che c’è tra 1 e 2 non è la stessa che c’è tra 4 e 5. Quindi, volendo sintetizzare le informazioni ottenute con una scala di Likert, sarebbe opportuno usare la mediana e non la media (come giustamente precisano gli autori del lavoro discusso in “Casi clinici”). Inoltre, una scala di Likert va, ad es., da 1 a 9 e ciò mal si concilia con l’assunzione di normalità, perché la variabile normale varia con continuità (cioè può assumere valori intermedi tra 1 e 2, tra 2 e 3, tra 3 e 4, e così 3. Si definisce mediana quel termine che divide la graduatoria (cioè la distribuzione ordinata) in due parti ugualmente numerose. 4. Le scale di Likert consentono di esprimere una misura di accordo con una certa proposizione contrassegnando il valore che maggiormente riflette la condizione o l’atteggiamento del rispondente. Ad esempio, volendo valutare l’impatto dell’emesi sulla qualità di vita, si può chiedere al paziente se l’emesi ha consentito lo svolgimento di tutte le attività quotidiane. Il rispondente sceglierà il punto che maggiormente rappresenta la sua condizione (1 = le ha consentite completamente, 2 = le ha ostacolate pochissimo, ..., 9 = le ha impedite del tutto). Di norma vengono fissati 5 o 7 o, al massimo, 9 modalità che vanno da “per nulla” a “moltissimo”. Se sia preferibile un numero di punti pari o dispari è ancora oggetto di discussione.
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CASCO — Estate 2014
via), ed è inoltre illimitata a sinistra e a destra (mentre la scala di Likert assume solo valori interi compresi tra 1 e 9). L’ampia diffusione delle scale ordinali in Medicina è dovuta al fatto che in molti casi la variabile da misurare è quantitativa, ma non si riesce ad ottenere per essa misure precise. Allora ci si contenta di dividere il suo dominio in classi (poche) in base a cui è semplice classificare i pazienti. Esempi. 1. Lo stadio di una neoplasia: è possibile pensare ad un continuum di valori di progressione della malattia (dalla mutazione di alcune cellule, nemmeno avvertita dal paziente, alla morte per progressione) che però non sono direttamente osservabili con precisione; allora l’intero intervallo viene diviso in alcuni sottointervalli in cui è semplice classificare il paziente in relazione alle sue condizioni cliniche osservabili direttamente o mediante analisi strumentali. 2. Volendo misurare la severità della nausea in un paziente, la variabile sottostante può immaginarsi continua (cioè che possa variare con continuità da “nessuna nausea” alla “massima nausea immaginabile”). A meno di non ricorrere ad analoghi visivi (non sempre consigliati per via dei problemi di riproducibilità da cui sono affetti), non c’è possibilità di misurare il livello esatto della nausea. Allora, l’intero intervallo in cui è definita la variabile continua “nausea”, viene suddiviso in un certo numero di sotto-intervalli disgiunti in cui il paziente possa facilmente classificare se stesso. Nella pratica, si adotta una scala di Likert a 4 punti, ancorandola a precise condizioni abbastanza ben oggettivabili: 1 = no nausea, 2 = nausea lieve (compatibile con le attività quotidiane), 3 = nausea moderata (interferisce con le attività quotidiane), 4 = nausea grave
(il paziente è costretto a letto per la nausea). In uno studio randomizzato di fase 3 sull’efficacia differenziale di due trattamenti antiemetici, il confronto tra i due bracci dell’intensità della nausea (misurata con la scala appena descritta) non può avvenire mediante un test t di Student perché non ha senso calcolare la severità media in quanto le distanze tra due modalità consecutive non sono note (ad esempio tra 1 e 2 c’è una distanza – cioè una differenza di condizioni – diversa da quella che c’è tra 3 e 4). Schematizzazione operativa 1. Caratteri quantitativi Come sopra esposto, l’uso dei test parametrici è consentito solo quando il carattere sia quantitativo continuo (cioè una misura) e siano rispettate le assunzioni (sulla popolazione) che sono alla base di tali test. Ad esempio, se il carattere quantitativo è discreto (cioè non varia con continuità, come ad esempio un conteggio, dove la minima distanza tra due diverse modalità è 1), il test parametrico può essere usato, ma non sui dati originali, bensì su loro trasformazioni il cui risultato soddisfi, invece, le assunzioni del test parametrico. Esempio. Siano 4; 9; 22; 36; 50 cinque conteggi (dati osservati). Si può procedere ad una loro trasformazione che consenta di considerare tali osservazioni come provenienti da una variabile che, invece, soddisfi l’assunzione di normalità per la successiva applicazione del test t di Student sul valore di una media (come, ad es., potrebbe accadere in uno studio di fase II). Nel caso di un conteggio, la trasformazione raccomandata è la radice quadrata dei valori osservati. Quindi, per applicare il test t si considerano i valori 2; 3; 4,7; 6; 7,1 che sono i dati trasformati, cioè quelli originali su cui si è eseguita l’operazione di radice quadrata. Malgrado tale risultato sia supportato da teoremi matematici, una volta
| Statistica per concetti | Scale di misura e test statistici
eseguita la trasformazione va comunque verificato, con test ad hoc, che le assunzioni alla base del test t siano rispettate.
mai in mente di usare il t-test per provare l’efficacia differenziale di due trattamenti. Le uniche analisi possibili sono quelle incentrate sulle frequenze.
In alternativa alle trasformazioni dei dati (che furono particolarmente sviluppate nel periodo 1945-65), oggi si preferisce ricorrere a più sofisticate analisi statistiche (modelli lineari generalizzati).
3. Caratteri ordinabili (scale ordinali) Sebbene in qualche lavoro alcuni autori tentino la strada dei test parametrici, questi sono, in linea di massima, da evitare non solo perché il loro campo di esistenza è finito (in una scala di Likert a 9 punti la variabile assume i soli valori interi da 1 a 9, senza variare con continuità), ma soprattutto perché le reali distanze tra due attributi consecutivi sono diverse nei vari settori della scala (il che rende la somma – e quindi la media – priva di significato).
2. Caratteri sconnessi (scale nominali) In tal caso, i test parametrici non possono essere usati. Ad es., se la risposta è in termini di successo/insuccesso terapeutico (carattere dicotomico) a nessuno verrà
Quando i test parametrici non possono essere usati – o ne fosse sconsigliato l’uso – non resta che ricorrere a test non parametrici che non hanno bisogno di alcuna assunzione sulla popolazione target. Per motivi di spazio, li esamineremo nel prossimo numero della rubrica, sottolineandone gli aspetti concettuali e trascurando completamente le formule, per la cui comprensione sarebbero necessarie conoscenze di calcolo combinatorio, formule d’altronde non essenziali per un primo approccio all’argomento in quanto oggi i test non parametrici sono calcolati da qualunque software statistico. Enzo Ballatori
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ÂŽ
La prevenzione * della CINV inizia con la triplice terapia**
Prima della prescrizione, consultare il riassunto delle caratteristiche del prodotto accluso. *CINV=Nausea e vomito indotti dalla chemioterapia **Triplice Terapia=EMEND, a 5-HT3 antagonista, e un corticosteroide.
www.msd-italia.it www.contattamsd.it info@contattamsd.it www.univadis.it Materiale depositato presso l’AIFA il 23.07.2014 ONCO-1125700-0000-EMD-PU-07/2016