La profilazione genetica dei tumori

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e Terapie TargeT in OncOlOgia

La profilazione genetica dei tumori

Finalità, aspetti tecnologici e organizzativi

A cura di Nicola Normanno e Carmine Pinto

Prima edizione ottobre 2019

© 2019 Il Pensiero Scientifico Editore

Il Pensiero Scientifico Editore

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Impaginazione e copertina Doppiosegno S.n.c. Immagine in copertina © iStock by Getty Images

Coordinamento editoriale Alessio Malta

ISBN 978-88-490-0665-0

Il progetto è stato realizzato con il contributo incondizionato di

Autori

CURATORI

Nicola Normanno

SC Biologia Cellulare e Bioterapie

Istituto Nazionale Tumori

IRCCS Fondazione G. Pascale

Napoli

Carmine Pinto

UO di Oncologia Medica

Clinical Cancer Centre

AUSL-IRCCS di Reggio Emilia

AUTORI

Mattia Barbareschi

UOM Anatomia ed Istologia

Patologica

Ospedale S. Chiara

Trento

Alessia Di Lorito

Centro di Diagnostica Molecolare

Avanzata e Terapie Innovative

Università di Chieti-Pescara

Claudio Doglioni

Università Vita-Salute San Raffaele

UO Anatomia Patologica

IRCCS Ospedale San Raffaele

Milano

Antonio Marchetti

Centro di Diagnostica Molecolare

Avanzata e Terapie Innovative

Università di Chieti-Pescara

Nicola Normanno

SC Biologia Cellulare e Bioterapie

Istituto Nazionale Tumori

IRCCS Fondazione G. Pascale

Napoli

Carmine Pinto

UO di Oncologia Medica

Clinical Cancer Centre

AUSL-IRCCS di Reggio Emilia

Giancarlo Pruneri

Università degli studi di Milano

Fondazione IRCCS

Istituto Nazionale Tumori

Milano

Introduzione IX

Nicola Normanno, Carmine Pinto

1. La fase pre-analitica 1

Claudio Doglioni, Mattia Barbareschi

Introduzione 1

Condizioni preanalitiche di prelievo, manipolazione, fissazione e trasporto per i campioni 3

Prelievo di campioni chirurgici: ischemia calda e fredda 5

Trasporto dei campioni chirurgici 6

Fissazione dei campioni tissutali: tipi di fissativi, rapporto volumetrico fissativo/campione 7 Temperatura di fissazione 8

Congelamento e criopreservazione dei campioni: è necessario? 8

Processazione: tipologia dei reattivi di disidratazione e condizioni di infiltrazione in paraffina 8 Allestimento delle sezioni istologiche 9

2. Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 13 Antonio Marchetti, Alessia Di Lorito

3. Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 27

Applicazioni cliniche dell’analisi del cfDNA con tecniche di NGS 31

Conclusioni e prospettive future 38

4. L’interpretazione dei dati e la refertazione 41

Giancarlo Pruneri

Identificazione del paziente e del campione analizzato 42

Descrizione del test utilizzato 43

Risultati del test 44

5. L’importanza dell’approccio multidisciplinare: il Molecular Tumor Board 49

Carmine Pinto

Tecnologie, acquisizioni e nuovi modelli nella profilazione molecolare dei tumori 49

Finalità e indicazioni del Molecular Tumor Board 50

Strutturazione e figure professionali coinvolte nel Molecular Tumor Board 52

Aspetti organizzativi e normativi 53

Appendice. Decreto n. 67 dell’8 luglio 2019 “Istituzione del gruppo di lavoro interdisciplinare Molecular Tumor Board (MTB)” 57

Introduzione

La profilazione genica, una delle più importanti innovazioni nelle conoscenze e nella terapia dei tumori, sta vivendo oggi una terza fase che presenta tematiche ancora aperte sia di ordine clinico che di ordine tecnologico e organizzativo. Un’evoluzione che si traduce in un progresso nelle conoscenze e nei test biomolecolari, come nello sviluppo della ricerca traslazionale e clinica. È pertanto indispensabile una continua informazione e condivisione tra tutti i professionisti coinvolti, che rappresenta l’obiettivo di questo primo volume “La profilazione genetica dei tumori. Finalità, aspetti tecnologici e organizzativi”, della collana Test e terapie target in Oncologia

La prima fase dell’era della profilazione genica era limitata all’individuazione di una singola alterazione molecolare rilevabile con un test, che si trasferiva poi in un’informazione in merito alla sensibilità/resistenza ad un singolo farmaco e per una specifica sede tumorale. In una seconda fase, si è passati alla determinazione di più alterazioni molecolari studiate insieme per una singola patologia neoplastica, spesso con tecniche differenti. Questo approccio ha permesso la stratificazione dei pazienti per l’impiego di combinazioni attive a più livelli di farmaci a bersaglio molecolare. Abbiamo ora raggiunto una terza fase, caratterizzata da importanti innovazioni tecnologiche ed in particolare dall’introduzione della Next-Generation Sequencing (NGS) e della Liquid Biopsy. Queste tecnologie permettono di ottenere un profilo genetico-molecolare complessivo della neoplasia nonché di monitorare la sua evoluzione nel tempo. Impiegando queste nuove tecniche, è possibile allo stesso tempo selezionare e targettizzare sempre più precisamente pazienti sensibili ad una terapia mirata e valutarne l’evoluzione con l’individuazione (su tessuto e/o sangue) di cloni/subcloni tumorali resistenti e potenzialmente suscettibili di ulteriori terapie target.

Si tratta di un nuovo approccio nella cura dei tumori, ma questi nuovi orizzonti aprono anche rilevanti problematiche, a co-

minciare dalla gestione dei campioni di tessuto e di sangue. Questi campioni rappresentano un patrimonio di informazioni ed è quindi indispensabile una standardizzazione di tutti i percorsi e le attività, dalla raccolta dei materiali biologici alla loro processazione, fino all’estrazione e conservazione dei campioni di tessuto, sangue o DNA, procedure tutte che possono sensibilmente condizionare i risultati dei successivi test.

L’evoluzione delle tecnologie ci mette a disposizione differenti metodiche e test, sempre più sensibili, ma come sceglierli e interpretarne i risultati? E quali tecnologie e piattaforme abbiamo a disposizione per l’analisi delle biopsie liquide? Da qui deriva la necessità di costruire e condividere validazione e verifica dei test NGS, e insieme di sviluppare una strategia di controlli di qualità dei laboratori, al fine di permettere da una parte la corretta interprtazione e refertazione dei risultati, dall’altra l’accesso per tutti i pazienti ai più appropriati e validati test.

Abbiamo oggi a disposizione la possibilità di una profilazione molecolare estesa dei tumori, con metodiche validate e sensibili, e quest’ampia disponibilità di dati richiede da una parte l’interpretazione e la refertazione dei risultati e dall’altra l’applicabilità nella pratica clinica e la conseguente scelta della migliore terapia per ogni singolo paziente. L’analisi dei risultati e le indicazioni che ne possono scaturire necessitano di un’esperienza specifica. I referti devono contenere tutte le informazioni utili che ne favoriscono l‘interpretazione, dalle caratteristiche quali/quantitative del materiale esaminato, alla metodica (con indicazione della sensibilità) utilizzata, fino alle precise alterazioni molecolari rilevate e correlabili con un utilizzo clinico.

In quest’ambito un ruolo rilevante avrà sempre di più la strutturazione istituzionale in un ambito multidisciplinare del Molecular Tumor Board (MTB), che dovrà comprendere oncologi, patologi, biologi molecolari, farmacologi, farmacisti, epidemiologi clinici, bioinformatici, bioeticisti e rappresentanti dei pazienti. Un MTB che avrà la finalità di definire i criteri di selezione dei pazienti e la scelta dei test per specifiche patologie neoplastiche, la valutazione del significato di mutazioni nell’individuazione di un trattamento, la valutazione della disponibilità e potenzialità di terapie target anche off-label. Tutti questi argomenti e criticità vengono sviluppati nel primo volume di questa nuova collana che, nella nostra intenzione, potrà contribuire ad implementare una cultura e un percorso comune nella terza fase che oggi stiamo affrontando dell’oncologia di precisione.

1. La fase preanalitica

Introduzione

Con il termine “fase preanalitica” in anatomia patologica ci si riferisce alla complessa serie di eventi – che iniziano con la rimozione di un campione biologico da un paziente (tessuti, liquidi biologici, sangue) e proseguono con la manipolazione e conservazione del campione e la sua processazione in laboratorio – finalizzati a ottenere un prodotto finale che permetta un’analisi morfologica e una valutazione molecolare ottimale del campione. Storicamente la fase preanalitica non è stata oggetto di particolare attenzione nel corso dello sviluppo della disciplina di anatomia patologica, e solo negli ultimi anni si è assistito a un crescente interesse sull’argomento.1-4 Tale interesse, documentato da un crescente, se pur limitato, numero di studi scientifici, è nato dal fatto che i campioni biologici, oltre al dato morfologico, permettono di acquisire conoscenze dettagliate dei meccanismi biomolecolari di significato patogenetico delle malattie, e di quelle oncologiche in primo luogo, con la conseguente possibilità di agire con terapie mirate su “bersagli” molecolari specifici. Oltre agli studi scientifici sulla fase preanalitica, sono stati definiti anche degli elementi normativi volti a standardizzare tale fase, che in Italia fanno riferimento alle linee-guida del Ministero della Salute per la “Tracciabilità, raccolta, trasporto, conservazione e archiviazione di cellule e tessuti per indagini diagnostiche di anatomia patologica” del 2015.5 Tuttavia la standardizzazione dei processi preanalitici in anatomia patologica è ancora un obiettivo non completamente raggiunto, e molto resta da fare in tale ambito, sia in relazione a contesti organizzativi locali, sia in merito alla limitata o assente conoscenza scientifica di come alcune variabili della fase preanalitica possono influenzare i risultati finali.

Le condizioni ottimali dell’intera fase preanalitica devono esser tali da permettere l’effettuazione di una serie di indagini differenti nelle migliori condizioni possibili. Le tipologie di indagine che possono essere effettuate sui campioni

afferenti all’Anatomia Patologica sono molteplici e in continuo aumento grazie all’evoluzione tecnologica: nella presente analisi tuttavia ci riferiremo quasi esclusivamente alle tipologie di indagine utilizzate in ambito clinico, cioè la valutazione morfologica microscopica (e ricordiamo a tal proposito come la conta delle mitosi, parametro storico di ancora grande impatto clinico, possa essere influenzata da condizioni preanalitiche), le indagini di immunoistochimica, le indagini FISH, le indagini mutazionali su DNA e su RNA. Ci limiteremo inoltre alle indagini effettuate su materiale fissato, non trattando quindi le indagini che possono essere effettuate su campioni “a fresco”, cioè esaminati immediatamente dopo la rimozione senza che abbiano subito processi di fissazione, o criopreservati immediatamente dopo la rimozione. È importante considerare che le condizioni preanalitiche possono influire in modo molto differente sull’integrità delle varie componenti molecolari dei campioni: a parità di condizioni preanalitiche, diversi possono essere gli effetti sull’integrità del DNA, dell’RNA o di diversi epitopi molecolari, specialmente se si utilizzano anticorpi per immunoistochimica che sono diretti verso forme fosforilate delle proteine.6

Schematicamente la fase preanalitica può essere suddivisa in tre grandi ambiti:

1. attività che si svolgono prima dell’arrivo dei campioni nei laboratori di anatomia patologica (prelievo, manipolazione e trasporto);

2. attività che si svolgono nei laboratori di anatomia patologica (manipolazione dei campioni, processazione con disidratazione e infiltrazione in paraffina, allestimento dei preparati istologici);

3. attività connesse all’archiviazione e conservazione a lungo termine dei campioni.

Le condizioni preanalitiche possono essere inoltre diverse a seconda della tipologia di biomateriali che si considerano, e cioè campioni citologici, bioptici o campioni chirurgici (figura 1.1).

Le condizioni preanalitiche non devono essere considerate disgiuntamente dalle condizioni organizzative in grado di garantire sicurezza e tracciabilità completa dei percorsi. Le varie attività che compongono la fase preanalitica nel suo complesso devono infatti essere tali da assicurare la sicurezza degli operatori (esposizione a rischi di tipo biologico e chimico) e dei pazienti (corretta identificazione dei campioni) e la possibilità di registrare ogni fase del processo in modo da garantire la tracciabilità e rintracciabilità (tracking and tracing) dei campioni. Per la corretta gestione delle varie fasi preanalitiche è infatti indispensabile che venga registrata una serie di dati di tipo sia temporale sia ambientale, che consentano a posteriori di ricostruire in modo puntuale la “storia” di ogni singolo campione.

Campioni istologici

Ischemia calda

Ischemia fredda

Tempi

Temperatura

Variabili preanalitiche

Campioni istologici

Trasporto

Tempi

Temperatura

Campioni istologici

Fissazione Processazione

Tempi

Temperatura

Sezioni in bianco

Tempo di conservazione

Modalità di conservazione

Temperatura

Tempi

Reagenti

Inclusioni di paraffina

Tempo di conservazione: per fini documentali

Tempo di conservazione: per analisi biomolecolari

Modalità di conservazione

Raccomandazioni in linee-guida Indicazioni in letteratura Possibile ruolo, ma indicazioni assenti o limitate

Figura 1.1

Variabili preanalitiche: i momenti salienti e lo stato delle conoscenze.

Condizioni preanalitiche di prelievo, manipolazione, fissazione e trasporto per i campioni

I parametri di maggiore rilievo da monitorare e registrare per avere un quadro preciso delle condizioni preanalitiche di prelievo, manipolazione e trasporto dei campioni sono le tempistiche di prelievo e consegna in laboratorio, le temperature di conservazione dei campioni prima dell’arrivo in laboratorio e il tempo di inizio della fissazione e della processazione.

In generale le condizioni preanalitiche di prelievo, manipolazione e trasporto per i campioni citologici, sia su striscio convenzionale che in fase liquida, e per i campioni bioptici di piccole dimensioni (endoscopici o di piccola chirurgia, quali le biopsie cutanee) sono facilmente standardizzabili. Si tratta infatti di campioni in cui l’immediata fissazione è un’operazione piuttosto semplice, eseguibile in condizioni di sicurezza per l’operatore. Chiaramente la tipologia di fissativo utilizzato è un elemento importante da tener presente. I campioni citologici strisciati possono essere fissati mediante immersione in alcool, utilizzando appositi prodotti spray, oppure possono essere lasciati asciugare all’aria per la colorazione MGG. I campioni citologici in fase liquida subiscono una fissazione alcoolica, generalmente a base di metanolo e altri reagenti. Anche se la fissazio-

ne su base alcoolica è ritenuta ottimale per analisi di acidi nucleici, non vi sono studi approfonditi in letteratura relativamente ai tempi e alla temperatura di fissazione per campioni citologici. Proprio in relazione alla tipologia di fissazione su base alcoolica dei preparati citologici è opportuno ricordare che la massima parte delle condizioni analitiche per immunoistochimica è stata sviluppata, sia nell’interno dei singoli laboratori che a livello industriale, per biomateriali fissati in formalina, e quindi non è scontato che i protocolli sviluppati per formalina abbiano la stessa efficacia e affidabilità sui campioni fissati in alcol (specialmente per preparati di tipo “cell-block”). È quindi necessario che le metodiche di immunoistochimica vengano adeguatamente validate prima di poterle traslare sul materiale citologico.

Le biopsie endoscopiche e i piccoli campioni chirurgici sono generalmente fissati in formalina neutra tamponata, che è il mezzo di conservazione e trasporto raccomandato sia dalla letteratura scientifica che dalle linee-guida ministeriali. Il periodo di fissazione deve essere registrato e monitorato, e non deve essere maggiore di 72 ore, con un valore ottimale di 24 ore.7 Occorre notare che tempi di fissazione inferiori alle sei ore possono avere un effetto importante su alcune procedure analitiche: ad esempio una fissazione troppo breve può comportare una bassa attività di denaturazione da parte della formalina su alcune componenti proteiche, e una conseguente azione coagulativa degli alcoli utilizzati nella fase di processazione dei campioni, che può alterare l’immunoreattività di alcune molecole. Una tale evenienza è possibile per le biopsie mammarie, ove una fissazione troppo breve potrebbe comportare una modificazione nella reattività dei biomarcatori e in modo particolare di Her2/neu: in una recente linea-guida sulla gestione delle biopsie mammarie Ellis et al. affermano che “idealmente una biopsia mammaria dovrebbe essere fissata almeno sei ore, anche se con un trattamento con microonde il processo potrebbe essere accelerato”.8 Vi sono comunque recenti dati che suggeriscono che una fissazione anche molto breve (nell’ordine di 60-90 minuti) possa essere efficace e mantenere inalterati i biomarcatori mammari di uso clinico e permettere così un’organizzazione dell’attività diagnostica con lo schema della “same-day clinic”, ossia della possibilità di chiudere tutto il percorso diagnostico in un giorno solo.9-13

Più complesso è il processo di prelievo, manipolazione e trasporto dei campioni chirurgici, ove un importante fattore organizzativo che influisce molto sulle caratteristiche dei processi è la modalità con cui i campioni giungono nei laboratori, cioè se arrivano già immersi in liquido fissativo oppure se giungono “a fresco”, e in tal caso se giungono immediatamente dopo il prelievo oppure se arrivano dopo un periodo di conservazione temporanea con procedure di conservazione sottovuoto o in atmosfera controllata. Anche le attività che si svolgono nei laboratori di anatomia patologica sono ovviamente più complesse per i campioni chirurgici rispetto ai piccoli campioni bioptici e citologici, in quanto mentre questi ultimi vengono immediatamente avviati ai processi

di disidratazione e inclusione, i campioni chirurgici necessitano di complesse manipolazioni di analisi morfologica macroscopica, sezionamento, campionamento e fissazione.

Prelievo di campioni chirurgici: ischemia calda e fredda

L’exeresi chirurgica di un campione comporta la sua esposizione a situazioni di ischemia, che vengono definite ischemia calda e fredda.

L’ischemia calda è definita come l’intervallo di tempo in cui un campione rimane a temperatura corporea/ambiente dopo il clampaggio dei vasi sanguigni, durante l’intervento operatorio, prima della rimozione finale del campione stesso. I dati di letteratura, per quanto scarsi, suggeriscono che l’ischemia calda abbia una scarsa influenza sull’integrità del DNA e sull’efficacia della sua successiva amplificazione; tuttavia può influire sulla preservazione dell’integrità di altre molecole14 15 e sul profilo metabolico16 attraverso processi di acidosi e di degradazione enzimatica. Si tratta evidentemente di un intervallo di tempo non suscettibile di modificazioni a seguito di azioni organizzative, in quanto dipendente unicamente dalla tipologia di intervento chirurgico; è tuttavia opportuno poterne conoscere la durata per meglio interpretare i risultati di successive indagini. Tale conoscenza può essere acquisita inserendo nella richiesta di esame istologico l’orario di somministrazione dell’anestesia, di legatura dei vasi maggiori e di rimozione del pezzo chirurgico dal paziente.

L’ischemia fredda è definita come l’intervallo di tempo tra l’asportazione di un campione e l’immersione in un liquido fissativo; si può estendere il concetto di ischemia fredda anche all’intervallo che intercorre tra l’exeresi e il momento in cui il campione viene posto sottovuoto o in atmosfera controllata e refrigerato a 4 °C. L’ischemia fredda può avere effetti deleteri sulla preservazione della morfologia, dei vari epitopi antigenici e degli acidi nucleici: ad esempio viene ritenuta esser un fattore molto importante per l’affidabilità delle analisi immunocitochimiche a scopo predittivo nel carcinoma della mammella17 e in generale per le indagini molecolari su tessuti.18 L’ischemia fredda è un intervallo di tempo che è chiaramente funzione dei percorsi organizzativi ed è uno dei più importanti parametri di cui tenere traccia, come indicato dalle linee-guida del College of American Pathologists (CAP) e della National Society for Histotechnology (NSH)19 e dalle citate linee-guida del Ministero della Salute.5 Le linee-guida per la valutazione dei recettori estro-progestinici in ambito di patologia mammaria indicano che il tempo di ischemia fredda per i campioni di tessuto mammario debba essere il minore possibile, e comunque inferiore a 1 ora; tali linee-guida indicano inoltre la possibilità di uno stoccaggio refrigerato (a +4 gradi) dei campioni immersi in fissativo.17

L’effetto della durata dell’ischemia fredda sull’integrità delle varie componenti molecolari è comunque ancora oggetto di indagine: infatti diversi appaiono

essere i risultati a seconda delle metodiche utilizzate per valutarne l’effetto e a seconda della tipologia e della dimensione del campione in esame.1

Trasporto dei campioni chirurgici

A seconda delle situazioni organizzative delle varie strutture i campioni possono essere inviati dalle sale operatorie ai reparti con quattro modalità:

• a fresco;

• a fresco sottovuoto a temperatura controllata;

• a fresco in atmosfera e temperatura controllate;

• in liquido fissativo (usualmente formalina neutra tamponata, come discusso più oltre).

Se i campioni vengono inviati a fresco, è indispensabile che giungano in laboratorio immediatamente dopo l’exeresi, come avviene per i campioni inviati per esame estemporaneo al congelatore, e comunque entro venti minuti circa dall’exeresi, possibilmente provvedendo a refrigerare il campione soprattutto nei periodi estivi ed eventualmente proteggendo il campione dall’evaporazione con garze bagnate di soluzione fisiologica. Si tratta infatti di una fase di ischemia fredda particolarmente delicata, ove una durata eccessiva e una temperatura elevata possono avere effetti devastanti sia sulla morfologia che sulla caratteristiche biomolecolari dei tessuti. Tale soluzione è ottimale laddove il laboratorio di anatomia si trovi in prossimità delle sale operatorie, in quanto consente al patologo di visionare il campione chirurgico prima che venga modificato dai processi di fissazione e di operare le opportune manovre per ottenere la migliore fissazione del campione, ad esempio sezionando il campione per permettere una migliore penetrazione del fissativo. Tale modalità consente inoltre di raccogliere con facilità aliquote tissutali per biobancaggio. Ovviamente il campione deve esser manipolato nel rispetto delle norme di protezione da rischio biologico.

Le modalità di invio “a fresco sottovuoto a temperatura controllata” o “a fresco in atmosfera e temperatura controllata” sono sostanzialmente due modalità di invio che permettono di confezionare i campioni chirurgici nelle sale operatorie tramite degli strumenti che garantiscono la conservazione ottimale dei campioni per un lungo periodo, senza l’utilizzo di fissativi. Il loro uso si sta diffondendo in quanto da un lato permette di eliminare l’impiego di formalina nelle sale operatorie, rispondendo così a un’esigenza di sicurezza ambientale, e dall’altro consente di ottimizzare il processo di invio nei laboratori con una modalità tracciabile e standardizzata.20 La procedura, in entrambi i casi, prevede che i campioni siano conservati e trasportati a temperatura controllata a 4 °C: tale elemento è fondamentale per l’ottimale conservazione dei campioni. I dati di letteratura indicano che con tali procedure è possibile conservare i campioni per un periodo

di 24-48 ore, senza apprezzabili alterazioni morfologiche e molecolari.21 22 È tuttavia da segnalare che alcune tipologie di campioni, quali gli organi cavi, soprattutto se a contenuto settico, quali il colon, non si conservano in modo ottimale. La conservazione e il trasporto in formalina neutra tamponata comporta l’uso di appropriate modalità organizzative che consentano la manipolazione dei contenitori di formalina in sala operatoria garantendo la sicurezza ambientale (generalmente è sufficiente utilizzare contenitori pre-riempiti e disporre di una cappa chimica). Dopo l’immersione dei campioni in formalina il processo di fissazione procede con una modalità legata alla velocità di penetrazione della formalina nei tessuti (di circa 1 mm all’ora) e alle interazioni della formalina con il tessuto stesso, come discusso più oltre. È quindi un processo che dura nel tempo e la fissazione delle porzioni centrali di un campione può avvenire con molto ritardo rispetto alle sue porzioni periferiche: per tale motivo è necessario che tali campioni chirurgici, soprattutto se di voluminose dimensioni, vengano comunque consegnati/recapitati tempestivamente nei laboratori di anatomia patologica, ove verranno sezionati in modo opportuno per consentire alla formalina di interagire rapidamente anche con le loro porzioni profonde dei campioni. In genere è necessario che i campioni posti in formalina siano trasportati ai laboratori di anatomia entro 12-24 ore. Per migliorare la standardizzazione del periodo di conservazione alcuni autori consigliano la conservazione dei contenitori con campioni a temperatura controllata a 4 °C fino al momento della loro manipolazione in anatomia patologica.

Fissazione dei campioni tissutali: tipi di fissativi, rapporto volumetrico fissativo/campione

La fissazione è il processo con cui vengono bloccati i fenomeni di degradazione delle componenti tissutali conseguenti all’ischemia. Esistono vari liquidi fissativi che possono svolgere tale azione, fra i quali i più utilizzati sono quelli a base di formaldeide o aldeide formica e a base alcoolica. La formaldeide, commercializzata normalmente sotto forma di soluzione acquosa, con il nome di formalina, è il fissativo sulla base del quale si sono sviluppate la massima parte delle conoscenze e tecnologie in uso in anatomia patologica. Pur essendo stata dichiarata sostanza cancerogena (categoria 1B) è ritenuta essere il fissativo standard sia da linee-guida nazionali e internazionali17 23 che dalle citate linee-guida del Ministero della Salute. In particolare tali linee-guida raccomandano l’utilizzo di formalina neutra tamponata, che risulta idonea a mantenere la morfologia e a permettere di effettuare la maggior parte degli esami immunoistochimici e molecolari. La formaldeide, come detto sopra, ha una penetrazione nei tessuti di circa 1 mm/ora e produce una lenta fissazione (dovuta a un legame covalente dei gruppi carbossilici della formalina con proteine, glicoproteine, acidi nucleici e altre molecole). In generale i risultati

sono migliori per formalina neutra tamponata e si indica che la fissazione debba essere inferiore alle 72 ore con valori ottimali di 24 ore. È da notare tuttavia che le indagini su proteine (con metodiche di immunoistochimica) e DNA sono generalmente fattibili su campioni fissati anche più a lungo, mentre le indagini su RNA richiedono generalmente tempistiche più brevi. L’utilizzo di strumenti a microonde è in grado di accelerare i processi di fissazione, riducendo i tempi di fissazione senza conseguenze negative per le componenti molecolari.

Temperatura di fissazione

La temperatura di fissazione dei campioni chirurgici è un altro elemento di variabilità molto importante: temperature elevate (>37 °C) appaiono essere detrimentali. Ancora limitati sono i dati di letteratura sugli effetti della fissazione a temperatura a 4 °C; la fissazione a 4 °C pare preservare siti fosforilati e la qualità dell’RNA.

Congelamento e criopreservazione dei campioni: è necessario?

Da anni la comunità scientifica si è impegnata in un’importante attività di criopreservazione dei campioni tissutali, generalmente nota come attività di biobancaggio. Tale attività è stata necessaria a lungo in quanto una serie di attività analitiche biomolecolari erano (e in parte sono ancora) possibili solo disponendo di materiale criopreservato. Tuttavia lo sviluppo delle nuove tecnologie analitiche ha determinato la riduzione della necessità di disporre di tale tipologia di materiale per fini diagnostici, essendosi aperte nuove possibilità tecnologiche fino a poco tempo fa impensabili. Le indagini di diagnostica molecolare di uso corrente per l’attività di indicazione terapeutica per le terapie a bersaglio molecolare non necessitano di materiale criopreservato. Altre attività quali quelle legate a particolari studi di proteomica, a culture in vitro, xenotrapianti, organoidi ecc. necessitano ancora di tali campioni e pertanto la loro raccolta mantiene uno specifico ambito di interesse.

Processazione: tipologia dei reattivi di disidratazione e condizioni di infiltrazione in paraffina

Sostanzialmente pochissimo è noto sulla possibile influenza dei diversi reattivi utilizzabili durante la processazione dei campioni. Sicuramente la temperatura dei processi di disidratazione e infiltrazione in paraffina può giocare un

ruolo importante nella migliore conservazione delle componenti molecolari dei campioni, ma anche a tal riguardo i dati di letteratura sono molto scarsi. Un atteggiamento prudenziale è quello di raggiungere le temperature meno elevate possibili, utilizzando paraffine con punto di fusione basso.

Allestimento delle sezioni istologiche

Due elementi che possono essere considerati importanti nella fase preanalitica, soprattutto delle indagini immunoistochimiche, ma anche di quelle molecolari basate sull’utilizzo di sezioni tissutali raccolte su vetrino, sono la temperatura dell’acqua dei bagni termostatati su cui vengono stese le sezioni e la temperatura a cui vengono essiccate le sezioni dopo essere state raccolte sul vetrino e la durata di tale ultimo processo. Anche di questi parametri pochissimo è noto in letteratura, ma sicuramente anche in questo caso è opportuno raggiungere le temperature meno elevate possibili.24

Decalcificazione e depigmentazione della melanina

Alcuni campioni tissutali contengono materiale osseo o calcifico che richiede un processo di decalcificazione. Generalmente i sistemi con decalcificanti acidi hanno un effetto molto deleterio sulle componenti proteiche e sugli acidi nucleici, tali da impedire quasi totalmente l’effettuazione di indagini immunoistochimiche o molecolari. Migliori risultati si ottengono con decalcificanti a base di chelanti il calcio, quali l’EDTA, ma richiedono tempi più lunghi di lavorazione e non sono utilizzabili per alcune tipologie di campioni. Analoga situazione si verifica quando vi è la necessità di eliminare la melanina dalle sezioni per consentire sia un’analisi morfologica che un’analisi immunoistochimica o molecolare.

Automazione

Molte delle fasi descritte più sopra sono procedure che si svolgono nell’interno del laboratorio di anatomia patologica e sono considerate preanalitiche, in quanto propedeutiche all’effettuazione delle analisi vere e proprie, quali le indagini immunoistochimiche, FISH, ecc. Queste fasi sono nella massima parte dei casi effettuate manualmente da personale tecnico dedicato che certamente lavora con accuratezza e precisione. L’automazione di alcuni di questi processi permette un ulteriore passo nello standardizzare il flusso di lavoro, sia per quanto riguarda i tempi che le temperature. A tale scopo la moderna industria biomedica sta progettando e fornendo strumenti sempre più accurati e funzionali.

Stoccaggio dei vetrini e blocchetti

Spesso dai blocchetti in paraffina dei campioni tissutali vengono allestite numerose sezioni istologiche che non sono immediatamente utilizzate; si tratta di sezioni che vengono raccolte sui vetrini, essicate e poi archiviate senza ulteriori processazioni. Sono le cosiddette “sezioni in bianco”, generalmente allestite per possibili indagini immunoistochimiche. È tuttavia noto come l’immunoreattività di numerosi marcatori tenda a diminuire con il tempo di conservazione. Non vi sono dati stringenti che stabiliscano termini di conservazione: in genere è tuttavia prudente non superare le due settimane, e comunque verificare attentamente che i controlli interni siano effettivamente ben rappresentati. La conservazione a riparo della luce, a temperature di 4 °C o inferiori, in ambiente privo di umidità potrebbe garantire più a lungo la preservazione dell’antigenicità e della qualità degli acidi nucleici delle sezioni “in bianco”, ma non vi sono al riguardo studi sistematici.

Più articolato e complesso è il problema dello stoccaggio dei blocchetti in paraffina, la cui durata è stabilita da indicazioni delle citate linee-guida ministeriali e dalle normative regionali (i cosiddetti “massimari di scarto”) che possono allungare i tempi di conservazione fino a 50 anni, come avviene ad esempio in Lombardia e in Trentino. Pur essendovi dati che indicano la possibilità di effettuare indagini immunoistochimiche e di estrarre DNA anche utilizzando blocchetti molto vecchi, è anche vero che alcune immunoreattività tendono a decadere e la lunghezza dei frammenti di DNA amplificabili tende a ridursi nel tempo, soprattutto se le modalità di conservazione non sono ottimali. Pertanto i blocchetti devono essere archiviati in condizioni di sicurezza e a temperatura e umidità controllate, con un evidente problema di tipo anche gestionale per archivi che necessariamente sono di grandi proporzioni e con costi crescenti nel tempo. Anche in questo ambito le soluzioni tecnologiche di automazione stanno rivoluzionando la modalità classica di archivio, garantendo la tracciabilità sia dell’allocazione che delle procedure di recupero e ri-archiviazione dei blocchetti, quest’ultimo elemento di rilevanza sia clinica che di responsabilità gestionale.

Conclusioni

La fase prenalitica, in tutte le sue attività e componenti, rappresenta un elemento fondamentale nell’accuratezza e qualità dei risultati delle varie indagini morfologiche, immunofenotipiche e molecolari sui campioni biologici. È assolutamente indispensabile che tale fase sia oggetto di grande attenzione sia per quanto attiene alle indagini scientifiche volte ad analizzare gli effetti delle numerose variabili sui risultati analitici, sia per quanto attiene alla corretta valutazione e annotazione delle stesse nella pratica clinica quotidiana. I processi organizzati-

vi dei singoli laboratori devono quindi consentire di ottenere la migliore qualità preanalitica dei nostri campioni e mantenere una traccia costante delle stesse variabili, per permettere una corretta interpretazione dei risultati ed eventualmente essere in grado di attuare le opportune misure correttive.

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2. Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale

Introduzione

Nel corso degli ultimi anni la terapia a bersaglio molecolare ha assunto un ruolo sempre più rilevante in ambito oncologico. Parallelamente alla scoperta di alterazioni molecolari alla base dei processi neoplastici, sono state sviluppate numerose metodiche per la caratterizzazione molecolare dei tumori in funzione di trattamenti specifici.

La “rivoluzione molecolare” ha introdotto nella pratica clinica anatomopatologica la necessità di corredare i referti morfologici con l’assetto immunofenotipico e molecolare per permettere ai pazienti di ricevere un trattamento in linea con i nuovi standard terapeutici. Il substrato migliore per la caratterizzazione immunofenotipica e molecolare è da sempre il tessuto tumorale che, quando disponibile, resta di primaria importanza.

Il campione tissutale si ottiene al momento della diagnosi (biopsia) o dell’intervento chirurgico (campione resecato), viene fissato in formalina e incluso in blocco di paraffina. Una valida alternativa è rappresentata dal materiale citologico, ottenuto mediante agoaspirazione, lavaggi, brushing o prelievi di essudati (ad esempio pleurici/peritoneali ecc.). I campioni citologici possono essere processati in modo da ottenere citoinclusioni che rappresentano un materiale efficace su cui determinare alterazioni molecolari. Il patologo, prima di procedere a qualsiasi analisi molecolare, è tenuto ad esaminare il campione di partenza. La possibilità di trovare alterazioni molecolari è condizionata dalla percentuale di cellule neoplastiche, pertanto l’accurata analisi del campione al microscopio permette di stabilire la percentuale di cellule neoplastiche presenti e lo stato di conservazione delle stesse. Infatti, il campione tissutale spesso è eterogeneo, accanto ad aree neoplastiche vitali possono essere presenti aree necrotiche, zone ricche di infiltrato flogistico e tessuto normale.

Queste osservazioni sono di fondamentale importanza in quanto consentono la selezione specifica delle aree tumorali e la scelta della metodica più idonea da utilizzare per procedere all’analisi molecolare. Sempre più comunemente il patologo molecolare è chiamato a gestire delle piccole biopsie con una bassa percentuale di cellule neoplastiche. L’analisi molecolare di campioni con basso contenuto di cellule neoplastiche potrebbe portare a falsi positivi per la presenza di artefatti e a falsi negativi legati ai limiti di sensibilità delle tecnologie impiegate. Inoltre, come riportato precedentemente nel capitolo dedicato, il tessuto risente fortemente della fase preanalitica che, se non eseguita correttamente, comporta il rischio di risultati inaffidabili o di non adeguatezza del campione. A tal proposito, non tutti i pazienti dispongono di tessuto qualitativamente e quantitativamente idoneo per analisi molecolari. Pertanto, in assenza di tessuto e nell’impossibilità clinica di ottenere un campione tissutale idoneo, c’è la possibilità alternativa di effettuare esami molecolari su plasma o su altri liquidi biologici, ovvero di utilizzare la biopsia liquida (per l’approfondimento di tali aspetti si rimanda al capitolo che segue).

La ricerca di alterazioni molecolari comporta la valutazione diretta di mutazioni geniche o indiretta attraverso i loro prodotti proteici, in termini di alterazioni qualitative e quantitative dell’espressione. Per queste analisi, le tecniche utilizzabili su tessuto si distinguono classicamente in metodiche in situ e metodiche non in situ.

Metodiche in situ

Le tecniche in situ si esplicano direttamente su sezioni di tessuto e quindi rientrano nell’ambito del bagaglio culturale classico del patologo in quanto necessitano di una valutazione dei preparati al microscopio. In questo ambito, i principali settori tecnologici sono rappresentati dall’immunoistochimica (IHC), l’immunofluorescenza (IF) e l’ibridazione in situ (ISH).

Tra i vantaggi delle metodiche in situ ricordiamo la possibilità di comparare la caratterizzazione molecolare con la morfologia, ovvero di poter osservare direttamente al microscopio in quali cellule si realizzano le alterazioni molecolari. Inoltre, queste metodiche possono essere applicate con successo anche su piccoli campioni bioptici contenenti rare cellule neoplastiche non coese, difficilmente analizzabili con approcci non in situ. Tuttavia, la bassa sensibilità e il numero ristretto di marcatori analizzabili simultaneamente rendono queste metodiche talora non sufficienti da sole per caratterizzare l’assetto molecolare ai fini del trattamento.

Tra le metodiche in situ, l’IHC è certamente la più diffusa. Si basa sulla reazione antigene-anticorpo e permette di valutare l’espressione di specifiche proteine nei tessuti e la natura di strutture cellulari nei casi in cui la pura morfologia risulti

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 15

insufficiente a caratterizzare la lesione. L’IHC evidenzia se la proteina che si sta valutando è presente nel campione in esame ed eventualmente dove essa si localizza (nucleo, citoplasma, membrana cellulare, tessuti extracellulari). Inoltre, attraverso l’IHC si può definire non solo l’immunofenotipo di un tumore, ma anche l’espressione di biomarcatori prognostici e predittivi di risposta a trattamenti target (immunoistochimica predittiva).

Le maggiori applicazioni dell’immunoistochimica in ambito oncologico sono rappresentate dall’identificazione della natura di tumori maligni indifferenziati (ad esempio linfomi, carcinomi, melanomi), dalla caratterizzazione di neoplasie del sistema emo-linfopoietico (ad esempio linfomi, leucemie), dall’identificazione dell’origine di una metastasi, utilizzando marcatori tessuto-specifici, dall’identificazione di agenti infettivi (ad esempio virus, batteri, protozoi).

Per quanto concerne la predittività, l’esame risulta di gran lunga più impegnativo e richiede una maggiore expertise sia nell’allestimento del preparato sia nella lettura da parte del patologo molecolare. L’IHC predittiva può essere realizzata mediante in vitro companion diagnostics devices/companion diagnostic test (CDx) o test sviluppati in laboratorio (LDT). Nel primo caso, si tratta di test specifici, sviluppati per la diagnostica in vitro (IVD) in parallelo con i farmaci target, testati in trial clinici e approvati in genere negli Stati Uniti d’America dalla Food and Drug Amministration (FDA) insieme al farmaco. Il test, così sviluppato, è in grado di predire l’outcome in termini di sicurezza, efficacia e tollerabilità del farmaco. I test IVD sono in genere comprensivi di sistemi di amplificazione del segnale. Nel caso dei test LDT, l’utilizzo di anticorpi ben caratterizzati può rappresentare un’alternativa accettabile in grado di fornire risultati adeguati purché il laboratorio effettui un rigoroso percorso di sviluppo e validazione del test che comprenda anche un monitoraggio dell’efficienza dello stesso nel tempo. Inoltre, in considerazione della bassa concentrazione di alcuni biomarcatori nelle cellule neoplastiche, nell’utilizzo di un test LDT è consigliato l’impiego di sistemi di rivelazione in grado di amplificare il segnale.

Per quanto concerne i principali biomarcatori predittivi e analizzabili mediante IHC, nella pratica clinica, vi sono HER2 (Human Epidermal growth factor Receptor 2) per i carcinomi della mammella e del tratto gastroesofageo, ALK (Anaplastic Lymphoma Kinase), ROS1 (Proto-oncogene tyrosine-protein kinase) e PD-L1 (Programmed Death-Ligand 1) per i tumori polmonari, MSI (Micro Satellite Instability) per i tumori solidi e BRAF (v-Raf murine sarcoma viral oncogene homolog B) per il melanoma. L’applicazione di alcuni di questi biomarcatori si sta estendendo ad altre patologie oncologiche.

Nello specifico, nei tumori della mammella e del tratto gastroesofageo, l’espressione della proteina HER2 è conseguente all’amplificazione del gene ERBB2. Il primo test CDx, approvato dall’FDA, noto come HercepTest, ha consentito negli anni il trattamento con trastuzumab di donne affette da carcinoma mammario metastatico, HER2 positive. Attualmente, altri assay sono stati ap-

provati come companion diagnostic per l’utilizzo di farmaci target, anti-HER2. La positività IHC si valuta mediante uno scoring system basato sulla percentuale di cellule neoplastiche, l’intensità di reazione (debole, moderata, forte) e la localizzazione dell’espressione sulle membrane citoplasmatiche (completa o incompleta di membrana). In alcuni casi (espressione moderata e non completa di membrana), tuttavia, la positività immunoistochimica non è sufficiente per definire l’eleggibilità del paziente al trattamento ed è necessaria la conferma con metodica di secondo livello, quale ad esempio l’ibridazione in situ (ISH).

Per i carcinomi del polmone, le linee-guida attualmente impongono la valutazione delle mutazioni del gene EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor), dei riarrangiamenti dei geni ALK e ROS1 e l’espressione del PD-L1 che consentono la selezione dei pazienti per terapie a bersaglio molecolare. I biomarcatori ALK, ROS1 e PD-L1 vengono analizzati in prima linea mediante IHC (la valutazione dell’EGFR verrà trattata in seguito). Per quanto concerne la valutazione di ALK, il VENTANA ALK (D5F3) CDx Assay consente di definire con uno scoring binario se un campione è negativo o positivo e quindi se il paziente risulta eleggibile al trattamento anti-ALK, senza la necessità di conferma del dato con metodica ortogonale. Metodi alternativi LDT, al contrario, necessitano di conferma del dato positivo con altra metodica. La valutazione dell’espressione della proteina di fusione ROS1 in molti centri viene eseguita mediante IHC (con clone D4D6, Cell Signaling o SP324, Ventana). Tuttavia, alla data attuale, non ci sono test CDx e manca uno scoring system universalmente validato. Pertanto l’ibridazione in situ a fluorescenza (FISH) per l’analisi di ROS1 è considerata metodica gold standard e i casi positivi all’IHC devono essere confermati con altra tecnica. Per la valutazione dell’espressione del PD-L1, al contrario, sono stati sviluppati diversi test CDx che prevedono uno scoring system specifico dell’assay, ciascuno correlato a un farmaco immunoterapico. Ad esempio, per il farmaco pembrolizumab il companion diagnostic test per il tumore del polmone è attualmente l’anticorpo 22C3 su piattaforma Dako Link 48 con un cut-off ≥ 50%. Per l’atezolizumab il companion diagnostic test per il carcinoma mammario triplo negativo è l’anticorpo SP142 su piattaforma Ventana Benchmark. Per i farmaci nivolumab, durvalumab e avelumab gli assay sono complementary test (cioè utili per caratterizzare il tumore e indirizzare verso il trattamento, ma non indispensabili) e sono rispettivamente l’anticorpo 28-8 su piattaforma Dako Link 48, l’SP263 su piattaforma Ventana Benchmark e il 73-10 su piattaforma Dako. Alcuni laboratori hanno sviluppato test LDT per la valutazione del PD-L1 e l’utilizzo di anticorpi con sistemi di rivelazione adeguati può essere un’alternativa ai kit CDx purché i test siano validati su ampia casistica e il laboratorio partecipi a controlli di qualità esterni.

Di recente, l’immunoterapico pembrolizumab è stato approvato dall’FDA anche nelle neoplasie maligne solide metastatiche, non resecabili, indipendentemente dal tipo istologico e dalla sede del tumore, dall’età e dal sesso del paziente.

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 17

Il trattamento è stato definito pertanto “tumore-agnostico”. Il requisito richiesto è la presenza di elevata instabilità micro satellitare (MSI-H) o deficit del mismatch repair (dMMR). Da questa approvazione è scaturita la necessità di valutare nella pratica clinica l’instabilità micro satellitare non solo nei carcinomi colorettali, per identificare i pazienti affetti dalla sindrome di Lynch, ma anche, in termini generici, nelle neoplasie solide per tale trattamento agnostico. A tal fine, come metodica di primo livello si può procedere alla valutazione dell’espressione delle proteine coinvolte nei meccanismi del riparo del DNA (MisMatch Repair, MMR), ovvero di MLH1 (MutL Homolog 1), MSH2 (MutS Homolog2), PMS2 (PostMeiotic Segregation increased 2), e MSH6 (MutS Homolog 6). La perdita dell’espressione di una o più proteine dell’MMR (dMMR) necessita di conferma del risultato ottenuto con metodiche ortogonali e, in base anche al tipo di proteina coinvolta, si può procedere con diverse tipologie di analisi molecolari (sequenziamento del DNA o valutazione della metilazione del promotore di MLH1).

In considerazione delle recenti linee-guida ASCO-CAP sulle determinazioni molecolari per il tumore del polmone e delle linee-guida per il tumore del colonretto e per il melanoma, potrebbe entrare nella pratica clinica anche il test IHC con anticorpo anti-BRAF (ad esempio VENTANA anti-BRAF V600E [VE1] Mouse Monoclonal Primary Antibody) che consente di selezionare rapidamente i tumori positivi per mutazione V600E del gene BRAF, da destinare a conferma del dato con esame su DNA.

Tra le metodiche in situ, una particolare tecnica immunoistochimica è l’Immunofluorescenza Diretta, che consente di rilevare in un campione, utilizzando un microscopio a fluorescenza, la presenza di specifici antigeni mediante anticorpi marcati con un particolare fluorocromo. Questa metodica è utilizzata per lo più nella diagnosi di malattie autoimmuni della cute e nelle glomerulopatie primitive e secondarie. Le attuali applicazioni in campo oncologico sono limitate al settore della ricerca.

L’ibridazione in situ o ISH è una delle metodiche più utilizzate per la caratterizzazione genetica delle malattie ematopoietiche e per la ricerca di alcuni biomarcatori nei tumori solidi. Può essere impiegata per rilevare e localizzare la presenza o l’assenza di specifiche sequenze di DNA, consentendo di identificare fusioni, delezioni e amplificazioni geniche e/o cromosomiche.

Il principio applicato è quello di utilizzare sonde altamente specifiche che ibridizzano con regioni di DNA target ad esse complementari, presenti nel campione da esaminare.

Le sonde possono essere marcate con fluorofori e pertanto si parla di FISH (Fluorescent In Situ Hybridization) oppure con cromogeni nel caso di CISH (Chromogenic In Situ Hybridization) o con sali di metalli come i sali d’argento nel caso della SISH (Silver In Situ Hybridization). A differenza delle altre due metodiche, la FISH, per individuare il sito di legame tra sonda e cromosoma, necessita di un microscopio a fluorescenza e attualmente sono disponibili in

commercio delle piattaforme semiautomatizzate che consentono, mediante dei software, l’analisi e la lettura del preparato. La FISH può anche essere usata per rilevare e localizzare specifici target di RNA (mRNA, lncRNA e miRNA) in colture cellulari, cellule tumorali circolanti e campioni di tessuto.

In diagnostica oncologica, la FISH trova applicazione nella definizione di molti tumori dei tessuti molli – ad esempio traslocazione t(11; 22) nel sarcoma di Ewing –, di tumori cerebrali (perdita delle regioni 1p/19q) così come di malattie ematolinfopoietiche (ad esempio nei linfomi per l’identificazione dei riarrangiamenti dei geni MYC, BCL2, BCL6). Può anche essere utilizzata nella diagnosi precoce di carcinomi vescicali e nel follow-up di pazienti affetti da carcinoma vescicale per predire recidive, mediante l’identificazione e la quantificazione dei cromosomi 3, 7, e 17 e del locus 9p21 in campioni di urine umane.

In ambito predittivo, la FISH viene utilizzata come test di conferma all’analisi IHC per la valutazione dell’amplificazione del gene HER2 nei carcinomi della mammella e del tratto gastroesofageo. Inoltre, trova importanti applicazioni nella valutazione dei riarrangiamenti dei geni ALK e ROS1 e dell’amplificazione del gene c-MET (tyrosine-protein kinase Met) nel tumore polmonare, delle fusioni di RET (REarranged during Transfection gene) nei carcinomi polmonari e nel carcinoma tiroideo. In questo ambito, la FISH ha il vantaggio, rispetto ad altre metodiche, di riuscire a evidenziare piccole inserzioni e delezioni e di identificare anche riarrangiamenti genici con partner di fusione noti e non noti. A fronte di elevata sensibilità e specificità, presenta costi alti e richiede la formazione di personale qualificato ed esperto soprattutto nella lettura e nell’interpretazione dei preparati che possono spesso risentire di alterazioni artefattuali. Inoltre, di recente, sono stati sviluppati kit che permettono l’analisi in simultanea di più geni, superando in tal modo il limite della FISH di studiare un solo gene per volta (ad esempio, FlexISH ® ALK/ROS1 DistinguISHTM Probe, ZytoVision).

Metodiche non in situ

Nel corso degli ultimi decenni, parallelamente alla scoperta di nuovi farmaci, si è passati dalla necessità di analizzare un solo marcatore per volta (analisi monomarker) a quella di valutare, in una stessa seduta, marcatori multipli (analisi multimarker) e conseguentemente le metodiche adottate sono cambiate radicalmente in risposta alle necessità cliniche crescenti.

Tra le metodiche monomarker non in situ, si annoverano tecniche quali il sequenziamento secondo Sanger, il pirosequenziamento e la Real Time PCR, che richiedono l’estrazione del DNA dal campione tumorale.

L’estrazione e la purificazione del DNA possono essere eseguite a partire da tessuto paraffinato o da tessuti congelati e da campioni citologici utilizzando vari kit commerciali che si basano soprattutto sulla cromatografia. Quelli più diffusi

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 19

consentono di ridurre i tempi e favoriscono la standardizzazione della procedura. Dopo l’estrazione, il DNA viene valutato quantitativamente e qualitativamente con lo spettrofotometro prima di procedere con la fase analitica.

Il sequenziamento genico è una metodica che consente di sequenziare il DNA, dopo l’estrazione del campione in esame, ottenendo l’esatta sequenza del tratto genomico d’interesse. Il primo modello sviluppato fu opera del biochimico Sanger negli anni Cinquanta e gli valse il premio Nobel per la chimica nel 1958. Il sequenziamento “secondo Sanger” o metodo enzimatico, a terminazione di catena si basa sull’utilizzo di nucleotidi modificati, bloccanti (dideossitrifosfato, ddNTPs) che vengono introdotti dall’enzima DNA polimerasi per interrompere la reazione di sintesi del DNA in posizioni specifiche lungo la sequenza. Si generano così filamenti di diversa lunghezza, in base al punto del DNA in cui i bloccanti vengono incorporati, marcati con fluorocromi o con radioattivi, che vengono separati in base alla loro lunghezza e visualizzati su gel di agarosio o su lastra fotografica (a seconda della marcatura). La disposizione dei frammenti permette di identificare la sequenza dei nucleotidi e la stringa del DNA stampo da sequenziare. Questo primo modello è stato successivamente modificato con l’introduzione dell’elettroforesi capillare (in cui il gel di separazione è inserito in un tubo capillare) e la marcatura dei ddNTPs con quattro diverse molecole fluorescenti. Ogni ddNTP si associa a un colore diverso e un raggio laser permette di stabilire l’identità del nucleotide via via che viene inserito nel filamento sintetizzato dalla PCR. Le emissioni fluorescenti vengono captate da un rilevatore e le informazioni vengono integrate e trasformate in picchi di colore diverso, con aree proporzionali all’intensità di emissione. Il risultato è una sequenza di picchi di quattro colori diversi o elettroferogramma.

Per molti anni, il sequenziamento secondo Sanger è stato considerato il gold standard per l’identificazione di mutazioni geniche note e non note su campioni tumorali grazie all’elevata specificità e ai bassi costi per l’individuazione di un basso numero di target. Tuttavia, a margine di questi vantaggi, ci sono numerosi svantaggi che hanno portato al superamento di questa metodologia. Il metodo Sanger, infatti, è poco sensibile: la sensibilità della metodica individua mutazioni quando le copie di DNA mutato rappresentano il 20% circa del totale, pertanto per identificare una mutazione nel tratto genico d’interesse è necessario avere una quantità elevata di DNA tumorale, ed è poco processivo, occorre molto tempo per sequenziare lunghi tratti di DNA e possono essere esaminati un solo gene o tratto genico e un solo campione per volta.

Un altro metodo di sequenziamento è il pirosequenziamento o sequenziamento mediante sintesi. L’analisi sfrutta la liberazione di pirofosfato che si ha quando la DNA polimerasi reagisce con un nucleoside trifosfato e lega un nucleotide a una catena polinucleotidica in accrescimento. Come nel metodo di Sanger, si opera su un segmento di DNA a singolo filamento che agisce come templato per la sintesi di una nuova catena polinucleotidica ad opera della DNA

polimerasi. La tecnica consente il monitoraggio in tempo reale della sintesi di DNA mediante il rilevamento della bioluminescenza prodotta al termine di una cascata di reazioni enzimatiche innescata dall’incorporazione di un nucleotide. Il risultato è una sequenza di basi con dei picchi di segnale definita pirogramma. Questa metodica è stata automatizzata e implementata con l’uso di sequenziatori che effettuano le determinazioni su molti campioni in parallelo. Inoltre il rilevamento, l’analisi e l’elaborazione dei risultati viene affidata a un software che riporta i pirogrammi e i dati relativi a ciascun campione, consentendo nel corso di qualche ora di ottenere sequenze geniche di milioni di paia di basi. È anche possibile effettuare contemporaneamente un’analisi comparativa di DNA di origine diversa e rilevare con facilità mutazioni di singole basi.

Il sequenziamento diretto e il pirosequenziamento permettono di effettuare diagnosi del tipo specifico di mutazione rilevata. Le metodiche di pirosequenziamento hanno alcuni vantaggi rispetto al sequenziamento standard, tra cui la maggiore sensibilità (riportata tra il 5 e il 10%) e la possibilità di sequenziare frammenti piuttosto corti di DNA, superando in tal modo eventuali problematiche legate alla frammentazione del DNA nel materiale fissato e incluso in paraffina. Queste metodiche di sequenziamento si sono notevolmente diffuse negli anni passati soprattutto per la valutazione delle mutazioni puntiformi, delle delezioni geniche di EGFR nel polmone, di KRAS, NRAS e BRAF nel tumore del colon-retto, di BRAF nel melanoma.

Diverse metodiche basate sull’impiego della Real Time PCR possono essere utilizzate per l’individuazione di alterazioni geniche nei tumori solidi. La RTPCR consente simultaneamente di amplificare grazie all’enzima DNA polimerasi e quantificare il DNA estratto dopo ogni turno di amplificazione. Spesso questa metodica si combina con la PCR Retro Trascrizionale (RT-PCR) che permette di quantificare i livelli di espressione di specifici tratti di RNA. Mediante la retro-trascrizione (o trascrizione inversa) viene prodotta una molecola di DNA complementare a singolo filamento detto cDNA (complementary DNA), mantenendo inalterati i rapporti relativi di concentrazione delle diverse specie di RNA. Applicazioni di questa metodologia sono kit commerciali basati sulla tecnologia ARMS/Scorpion in grado di individuare, ad esempio, le mutazioni dell’EGFR più frequentemente descritte in letteratura nei pazienti con NSCLC. La sensibilità teorica della metodica è tale da individuare mutazioni quando le copie di DNA mutato rappresentano circa l’1% del DNA totale, con differenze tra le varie mutazioni identificate. Tuttavia, è da sottolineare che la metodica individua una mutazione se nel campione sono presenti almeno 5-10 copie di DNA mutato. Pertanto, l’analisi effettuata su di un numero esiguo di cellule potrebbe comunque risultare in un falso negativo. Esistono numerosi kit commerciali, alcuni dei quali approvati dalla FDA come companion diagnostics per l’individuazione di mutazioni di EGFR nel tumore del polmone (Qiagen TheraScreen EGFR RGQ PCR Kit; Cobas® EGFR Mutation Test; PNAClamp™ EGFR Mutation Detection Kit; PNA

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 21

EGFR Mutation Detection Kit; DxTM EGFR 29 Mutations Detection Kit, Idylla™ EGFR Mutation Test), basati su metodiche di Real Time PCR e con sensibilità teorica variabile tra lo 0,1% e il 5% a seconda della tecnologia impiegata. Tra i vantaggi di queste metodiche ci sono quelli di essere procedure standardizzate e di fornire nei kit adeguati controlli positivi e negativi di reazione. Inoltre, queste tecnologie sono più rapide e sensibili rispetto al sequenziamento diretto, anche se presentano lo svantaggio di evidenziare solo le mutazioni hot spot, previste a priori.

Per il tumore del colon-retto sono attualmente disponibili test in RT-PCR approvati da FDA per le mutazioni dei geni RAS e BRAF. In particolare, il TheraScreen KRAS Mutation Detection Kit (DxS-Qiagen) e il COBAS® KRAS Mutation Test (Roche Molecular Systems) sono metodiche a elevata sensibilità che consentono di identificare le principali mutazioni del gene KRAS. Per le determinazioni mutazionali dei geni NRAS e BRAF sono disponibili diversi kit in commercio quali ad esempio therascreen® NRAS Pyro® e Therascreen BRAF RGQ kit (Qiagen), il kit COBAS® KRAS/NRAS (LightMix KRAS/NRAS) e cobas® 4800 BRAF V600 Mutation Test.

Più recentemente è stato commercializzato l’Idylla™, test rapido e completamente automatizzato che permette l’identificazione delle principali varianti mutazionali negli esoni 2, 3 e 4 di KRAS (IdyllaTM KRAS Mutation Test), 18 mutazioni negli esoni 2, 3 e 4 di NRAS e 5 mutazioni di BRAF nel codone 600 (IdyllaTM NRAS-BRAF Mutation Test).

Per i pazienti affetti da melanoma, tra i kit in RT-PCR approvati da FDA per la valutazione delle mutazioni del gene BRAF vi sono il cobas® 4800 BRAF V600 Mutation Test, e il THXID-BRAF; ricordiamo inoltre il therascreen BRAF RGQ PCR Kit e l’IdyllaTM BRAF Mutation Test. L’FDA ha anche approvato come companion diagnostic devices i kit Therascreen® FGFR RGQ RT-PCR per il carcinoma uroteliale e Therascreen® PIK3CA RGQ PCR per il carcinoma della mammella. La RT-PCR trova applicazione anche nello studio delle fusioni di particolari geni di interesse quale l’ALK nel tumore polmonare. In questi casi è necessario estrarre l’RNA dal tessuto paraffinato. Gli approcci possono essere sia di rilevare solo fusioni di varianti note con sonde e primer specifici o di rilevare livelli sbilanciati tra le regioni 3’ e 5’ del gene ALK. Nel primo caso, la sensibilità è molto alta, ma la possibilità di evidenziare solo le varianti note e quindi l’elevata percentuale di falsi negativi ne limita l’impiego nella diagnostica di routine. Il secondo metodo, al contrario, può essere utile come test di screening a prescindere dal partner di fusione del gene ALK. Questo approccio si basa sul principio che la proteina ALK è espressa a bassissimi livelli nel tessuto polmonare, pertanto i riarrangiamenti del gene ALK comportano una iper-espressione della porzione 3’ del gene, che codifica per il dominio chinasico, rispetto alla regione 5’. Questa metodica permette pertanto di rilevare l’overespressione anche di poche molecole dei trascritti chimerici di ALK e possono essere identificate tutte le varianti

di fusione di ALK, indipendentemente dai partner di fusione (ALK RGQ RT-PCR, Qiagen). La RT-PCR ha il vantaggio dell’oggettività (maggiore rispetto alla variabilità inter-osservazionale della FISH e dell’IHC), tuttavia il tasso di fallimento non è marginale perché richiede una buona qualità dell’RNA, spesso difficile da ottenere dai campioni disponibili nella pratica clinica.

Altre tecnologie disponibili in diagnostica sono metodiche di ibridazione molecolare su supporti solidi del tipo monomarker quali il Southern Blot e il Northern Blot o multimarker come il NanoString e l’ibridazione su microchip. In alcuni laboratori si è diffusa anche la tecnologia Maldi-TOF per l’analisi simultanea multigenica. Infine il sequenziamento di nuova generazione (NGS), noto anche come sequenziamento massivo parallelo, sta progressivamente imponendosi come tecnologia di riferimento per l’analisi massiva delle alterazioni genetiche in funzione dei trattamenti.

Il Southern Blot è usato per rilevare la presenza di specifiche sequenze di DNA. In breve, dal campione viene estratto il DNA con enzimi di restrizione. Il DNA modificato viene sottoposto a separazione mediante migrazione in un campo elettroforetico e trasferito per capillarità su una membrana di nitrocellulosa, fissato su questa membrana e fatto reagire con una sequenza complementare di DNA denominata “probe” marcata, in genere con un isotopo radioattivo o chimicamente con biotina. Dopo l’ibridazione si effettua una rilevazione della reazione di ibridazione mediante radiografia o reazione cromogenica. Questa metodica ha un’elevata specificità ma richiede molto tempo, necessita di elevate quantità di DNA (bassa sensibilità), l’utilizzo di sonde radioattive e il ricorso alla digestione con enzimi di restrizione. Sia il Southern che il Northern Blot (principio e procedimenti simili, ma applicati per il rilevamento di sequenze di RNA utilizzando delle sonde molecolari specifiche) sono state metodiche molto diffuse di biologia molecolare negli anni Ottanta, oggi trovano ancora limitato impiego a scopo di ricerca.

Negli ultimi tempi, per far fronte alle richieste sempre crescenti di valutare più biomarcatori target di terapie mirate, sono state introdotte nella pratica clinica metodiche multimarker. Tra le metodiche di analisi multimarker, è stato introdotto il sistema nCounter (NanoString Technology) che si basa sull’ibridazione di sonde molecolari (barcode fluorescenti) direttamente con molecole di mRNA target e che consente di contare direttamente le molecole di mRNA target presenti nel campione senza amplificazione né retro-trascrizione. Questa metodica, così sviluppata, ha il vantaggio di risentire meno di problemi e artefatti relativi alla fase preanalitica e alla preparazione del campione. Inoltre, i pannelli includono sia sonde specifiche per le varianti di fusioni note, sia sonde che consentono di rilevare lo sbilanciamento tra regione 3’ e 5’ del gene di interesse, come nel caso di ALK e ROS1. Il NanoString è stato approvato dall’FDA negli Stati Uniti per il carcinoma della mammella (Prosigna® Breast Cancer Prognostic Gene Signature Assay and nCounter® Dx Analysis System) come test predittivo di recidiva

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 23

nelle donne con carcinoma della mammella, positive per l’espressione del recettore estrogenico, in stadio precoce e in post-menopausa.

Di recente è stato sviluppato un altro test multimarker basato su ibridazione molecolare, l’IntelliplexTM System, che prevede una duplice strategia: amplificazione selettiva e πCode (PlexBio/Menarini). La prima strategia, definita Locked Nucleic Acid, permette di bloccare l’amplificazione mediante PCR delle sequenze wild type, aumentando la sensibilità e la specificità della metodica. La strategia πCode, al contrario, si basa su micro dischi magnetici di 50 µm che riportano impressi sulla superficie fino a 16.000 configurazioni differenti, ognuna delle quali si associa a una specifica coppia sonda-analita. Su questi dischetti si possono coniugare virtualmente tutti i tipi di sonde: DNA, RNA, anticorpi, antigeni ecc. La tecnologia di base si fonda sulle interazioni e ibridazioni specifiche tra analiti e sonde molecolari. I vantaggi sono molteplici come la possibilità di esaminare in parallelo campioni multipli e geni diversi, l’elevatissima sensibilità (compresa tra 0,1% e 0,01%) a fronte della richiesta di una bassa quantità di acidi nucleici estratti dal campione (10 ng-100 ng) in un “turnaround time” inferiore alle 6 ore. I kit a disposizione prevedono dei pannelli multipli includenti le alterazioni geniche a carico dei principali geni di interesse clinico nei tumori solidi. Un approccio tecnologico a parte è rappresentato dalla spettrometria di massa (Matrix-Assisted Laser Desorption/Ionization – time of flight, MALDI-TOF) con tecnologia primer extension. Si tratta di una tecnologia multimarker per l’analisi di alterazioni hot-spot che permette la genotipizzazione del campione mediante l’amplificazione del DNA e una reazione di estensione a singola base di primer adiacenti ai siti polimorfici di interesse. Per ciascun sito polimorfico si ottengono uno o più analiti di massa nota, ciascuno corrispondente al genotipo wild type oppure mutato del campione analizzato. La sensibilità analitica del metodo può variare dal 2,5 al 10% in base alla mutazione testata. Ad oggi sono disponibili in commercio kit validati per l’uso diagnostico basati sulla spettrometria di massa MALDI-TOF che permettono, mediante l’utilizzo di PCR multiplex, la rivelazione delle principali mutazioni dei principali geni di interesse.

Il sequenziamento massivo parallelo

Il progresso più importante degli ultimi anni nel settore della diagnostica molecolare si è avuto con l’introduzione del sequenziamento massivo parallelo in diagnostica. L’incremento di target molecolari e di farmaci a bersaglio ha determinato in parallelo nuove acquisizioni sulle alterazioni geniche che conferiscono resistenza al tumore dopo la terapia target. Questo ha portato alla necessità di valutare l’assetto molecolare completo del campione tumorale in esame, sia primitivo sia metastatico, includendo le mutazioni, la variazione del numero di copie e la presenza di fusioni geniche. A questo scopo il sequenziamento mas-

sivo parallelo si sta progressivamente imponendo rispetto ad altri approcci tecnologici.

La strategia NGS consente il sequenziamento in contemporanea di regioni specifiche del genoma (Targeted Sequencing, TS), regioni geniche codificanti (whole exome sequencing) fino all’intero genoma (whole genome sequencing). La sensibilità teorica della metodica è tale da individuare mutazioni quando le copie di DNA mutato rappresentano circa lo 0,01% del DNA totale, con differenze tra le varie mutazioni identificate. Tra gli approcci NGS, quello che ha trovato un impiego maggiore nella pratica clinica è il TS che consta di pannelli genici comprendenti i principali oncogeni e anti-oncogeni actionable o con un ruolo predittivo e/o prognostico. Le tecnologie a disposizione utilizzano strategie diverse per la preparazione delle librerie genomiche da sequenziare e per il metodo di sequenziamento. Per la produzione di librerie genomiche è possibile utilizzare una strategia che prevede l’ibridazione e cattura dei frammenti di acidi nucleici che devono essere sequenziati oppure ricorrere all’amplificazione selettiva delle sequenze target (ampliconi). Entrambi gli approcci hanno vantaggi e svantaggi la cui trattazione richiederebbe di scendere in dettagli tecnici che vanno al di là dello scopo di questo capitolo. Per quanto concerne le tecnologie di sequenziamento, i pannelli spesso includono la possibilità di valutare sia DNA (per l’analisi delle varianti nucleotidiche) sia RNA messaggero (per identificare alterazioni più complesse, inclusi i riarrangiamenti genici). Per quanto concerne la chimica di reazione, il sequenziamento mediante sintesi utilizza i terminatori con coloranti reversibili che permettono di identificare le singole basi introdotte nel DNA. Al contrario, il sequenziamento con semiconduttori ionici rileva gli ioni idrogeno rilasciati in seguito alla polimerizzazione del DNA. Le piattaforme più diffuse sul territorio nazionale sono Ion Torrent (Thermofisher), Illumina e GeneReader (Qiagen).

I pannelli a disposizione sono molto vari, alcuni dei quali già validati e disponibili come prodotti per la diagnostica in vitro (In Vitro Diagnostics, IVD), basati sia sulla chimica ad ampliconi sia su quella a cattura, e consentono di rilevare la presenza di singole varianti nucleotidiche (Single Nucleotide Variant, SNV), inserzioni/delezioni (Insertion/Deletion, INDEL), variazioni del numero delle copie geniche (Copy Number Variations, CNV) e riarrangiamenti genici caratterizzandone le varianti di fusione. Il numero e i tipi di varianti di fusione dipendono dalla tipologia di pannello utilizzato. Le tecnologie NGS sono in grado di fornire informazioni utili anche sui meccanismi di resistenza correlati alle terapie a bersaglio molecolare. Sono stati prodotti pannelli genici di varie dimensioni di cui alcuni molto grandi, da centinaia di geni, in grado di fornire anche informazioni sul carico mutazionale del tumore (Tumor Mutation Burden, TMB). Tra questi ultimi, il TruSight Tumor 170 o 500 (Illumina), Oncomine Comprehensive™ (Thermofisher), Oncomine Tumour Mutational Load Assay™ (Thermofisher), FoundationOne CDx™ (Roche), MSK-IMPACT (Memorial Sloan Kettering), Molecular Intelligence® (CARIS), Tempus xT (TEMPUS), ACE ImmunoID (Persona-

Metodiche e test disponibili per l’analisi del tessuto tumorale 25

Lis), Cancer-Plex (KEW). I pannelli con approvazione FDA alla data attuale sono il FoundationOne e l’MSK-IMPACT. Questi pannelli differiscono per il numero di geni valutabili, il tipo di alterazioni evidenziabili, il tipo e la quantità di campioni che possono essere analizzati e i tempi di esecuzione.

La sensibilità dei test NGS dipende dal tipo di pannello, dalla strategia di cattura dei target, dalla piattaforma e dal software integrato per l’analisi dei risultati. In considerazione della sensibilità di queste tecnologie (detection rate di 0,1/0,01 di alleli mutati), la quantità minima di DNA/RNA richiesta per l’analisi permette di valutare mediante NGS non solo i campioni tissutali ma anche quelli di biopsia liquida. Per questa tipologia di campioni ci sono dei pannelli dedicati che variano per il tipo di alterazioni dimostrabili, la qualità e la quantità del campione di partenza richiesto (per la completa trattazione di questo argomento si rimanda al capitolo dedicato).

I vantaggi dell’utilizzo di una metodica NGS nella diagnostica molecolare sono molteplici, tra questi si annoverano l’elevata sensibilità e specificità, la possibilità di testare contemporaneamente più pazienti e diversi geni, l’abbattimento dei costi in virtù della maggiore diffusione della tecnologia. Tuttavia, in questa fase si consiglia di affiancare alla metodica NGS una metodica ortogonale per l’analisi di campioni di scarsa qualità o risultati dubbi. Infatti, l’elevata sensibilità della tecnologia può aumentare il tasso dei falsi positivi. È necessario avere personale specificamente formato con competenze bioinformatiche per l’analisi dei dati. La scelta dei pannelli NGS dipende dalle esigenze del centro, ma è consigliato l’utilizzo di pannelli CE-IVD ed eventualmente approvati dal’FDA. Inoltre, considerando la complessità dell’interpretazione dei risultati e la quantità di dati forniti dalla metodica, si rende necessario l’implementazione dei test NGS in laboratori di riferimento, con personale esperto e qualificato, con volumi di attività elevati e che partecipino a controlli di qualità esterni.

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3. Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida

Introduzione

Il termine “biopsia liquida” è alquanto generico e in oncologia si riferisce alla possibilità di identificare biomarcatori nei liquidi biologici dei pazienti neoplastici. La principale applicazione della biopsia liquida è rappresentata al momento dall’analisi del DNA libero circolante (circulating cell-free DNA, cfDNA), più frequentemente estratto dal plasma isolato dal sangue periferico.1 Altre sorgenti di cfDNA sono le urine, il liquido cefalo-rachidiano e in generale tutti i liquidi biologici che possono essere utilizzati per applicazioni specifiche.

I tumori rilasciano DNA in circolo in quantità variabile e comunque in genere correlata sia all’estensione della malattia che alla sua sede.1 Il DNA tumorale circolante (circulating tumor DNA, ctDNA) rappresenta tuttavia solo una frazione del cfDNA, in alcuni casi anche molto piccola. Infatti, il cfDNA contiene anche DNA rilasciato dai tessuti normali, con particolare riguardo alle cellule del sistema emopoietico. Pertanto, la frequenza allelica delle varianti geniche (VAF) associate alla neoplasia in esame può essere estremamente bassa nella biopsia liquida, spesso <1%.

Le basse quantità di cfDNA che si isolano dal sangue periferico (in genere pochi nanogrammi), l’estrema diluizione del DNA tumorale in quello normale e la relativa instabilità del cfDNA impongono la necessità di utilizzare tecnologie ad elevata sensibilità per individuare alterazioni genetiche proprie del tumore nel cfDNA.2 Le metodiche principalmente impiegate per l’analisi del cfDNA nella pratica clinica sono basate sulla Real Time PCR o sulla emulsion PCR (tabella 3.1). In particolare, le tecniche di droplet digital PCR (ddPCR) e Beads Emulsion Amplification and Magnetics (BEAMing) sono in grado di individuare mutazioni a VAF di gran lunga inferiore all’1%. Tuttavia, queste tecnologie possono analizzare un numero limitato di mutazioni per analisi. Inoltre, esse possono fornire informazioni solo su mutazioni puntiformi (Single Nucleotide Variants, SNVs) e

Tabella 3.1

Metodi per l’individuazione di alterazioni genetiche nel cfDNA

Approccio

Analisi di mutazioni selezionate

Tecniche di NGS

Tecnologia LoD (%) Tipo di alterazioni genetiche analizzate

qPCR

0,05-0,1% SNV, Indel

PNA-clamp PCR 0,1%

BEAMing 0,001-0,1%

ddPCR 0,001-0,1%

TAm-Seq 0,2-2% SNV, Indel, CNA e fusioni

AmpliSeq 0,1%

Guardant360 <0,1%

SAFE-SeqS 0,01-0,1%

CAPP-Seq 0,01%

TEC-Seq <0,01%

BEAMing: beads, emulsion, amplification, magnetics; CAPP-Seq: cancer personalized profiling by deep sequencing; CNA: copy number alteration; ddPCR: droplet digital PCR; Indel: insertion/deletion; LoD: limit of detection; PNA: peptide nucleic acid; PCR: polymerase chain reaction; qPCR: quantitative PCR; SAFE-SeqS: safe-sequencing system; SNV: single nucleotide variant; TAm-Seq: tagged-amplicon deep sequencing; TEC-Seq: targeted error correction sequencing.

brevi inserzioni/delezioni (Indels), ma non su alterazioni genomiche complesse come le alterazioni del numero di copie geniche (copy number alterations, CNA) ed i riarrangiamenti genici che danno origine a geni di fusione. Per questo motivo, molte aziende del settore e laboratori indipendenti sono attualmente impegnati nello sviluppo di tecnologie di sequenziamento di nuova generazione (Next-Generation Sequencing, NGS), che hanno il vantaggio di fornire in un quadro complessivo delle alterazioni genetiche del tumore interrogando in una singola analisi diversi geni per la presenza di SNVs, Indels, CNAs e fusioni.

Tecniche di NGS per analisi del cfDNA

Diverse tecnologie di NGS sono state applicate allo studio della biopsia liquida. Alcuni studi hanno esplorato la possibilità di applicazione di tecniche di sequenziamento dell’intero genoma (Whole Genome Sequencing, WGS) o dell’intero esoma (Whole Exome Sequencing, WES) all’analisi del cfDNA. Tuttavia, queste tecnologie hanno una sensibilità non sufficiente per identificare varianti geniche a bassa VAF.2

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 29

Molto più promettenti per l’analisi del cfDNA appaiono invece le tecnologie di targeted sequencing, ovvero di sequenziamento di un numero limitato di geni, con pannelli che possono variare da decine a centinaia di geni. In realtà, i pannelli di sequenziamento standard comunemente usati per analisi molecolari di campioni di tessuto hanno una sensibilità di circa l’1%, che limita la possibilità di utilizzarli per testare il cfDNA. Numerose nuove tecniche con una maggiore sensibilità sono state recentemente sviluppate (tabella 3.1). In linea di massima, queste nuove tecnologie combinano un elevato coverage (ovvero il sequenziamento ripetuto per migliaia di volte), con la marcatura molecolare delle molecole di cfDNA (molecular barcoding) e un adeguato approccio bioinformatico, al fine di garantire un equilibrio tra sensibilità e specificità.

Uno dei primi approcci di NGS dedicato alla biopsia liquida è stato quello del SafeSeqS che utilizza identificatori molecolari legati alle molecole di cfDNA prima della amplificazione.3 Questo approccio consente l’individuazione dopo il sequenziamento di tutte le molecole originate dallo stesso frammento di cfDNA e, quindi, il riconoscimento di eventuali artefatti di sequenza. Tra le metodiche più innovative è il cosiddetto CAPP-Seq, un approccio NGS basato su una fase di preparazione della libreria ottimizzata per un basso input di DNA impiegando oligonucleotidi di DNA biotinilato chiamati “selettori”.4 Attraverso una fase preliminare di ibridazione, questi selettori arricchiscono la libreria in regioni di interesse, selezionate in quanto ricorrentemente mutate in oltre il 95% dei tumori. La sensibilità e la specificità di questa tecnologia sono state ulteriormente migliorate utilizzando un approccio integrato di soppressione degli errori digitali (iDES), che sfrutta codici a barre molecolari per marcare le molecole di DNA a doppio filamento ed una appropriata pipeline bioinformatica.5 Dati ottenuti in una coorte di 172 campioni da pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) hanno mostrato una sensibilità del 92% e una specificità del 96%. Questa tecnologia è attualmente impiegata nei pannelli Avenio (Roche Diagnostics) disponibili in commercio.

TEC-Seq è una tecnologia di sequenziamento che combina la cattura mirata di regioni multiple in 58 geni, un workflow di amplificazione specifico e una pipeline bioinformatica sviluppata per evitare errori di contaminazione e artefatti di sequenziamento.6 Questa tecnologia ha dimostrato una buona sensibilità e specificità anche nell’individuazione di alterazioni genetiche a bassa frequenza nel cfDNA. Infine, la tecnologia TAm-Seq utilizza un approccio diverso dalle precedenti, ovvero basato sull’amplificazione di sequenze di cfDNA con primers specifici e non sulla cattura. Questo approccio ha il vantaggio teorico di una maggiore sensibilità, sebbene l’impiego di primers limiti l’indagine a sequenze di DNA note. La validazione di un pannello di 35 geni basato sulla tecnologia TAm-Seq ha rilevato una sensibilità del 98,65% per mutazioni con VAF tra 0,5-0,65% e dell’89,73% nell’intervallo 0,25-0,33%.7

Alcune delle tecnologie sopraelencate sono impiegate in pannelli di NGS già impiegati nella pratica clinica per l’analisi del cfDNA (tabella 3.2). La maggioran-

Tabella 3.2 Pannelli NGS per l’analisi della biopsia liquida

AVENIO ctDNA Targeted Kit (Roche)

Oncomine Pan-Cancer Cell-Free Assay (Thermofisher)

(Predicine)

Plasma SELECT64 (PGD)

Guardant 360/ GuardantOMNI (GuardantHealth)

FoundationOne ® Liquid (Foundation Medicne)

Illumina NextSeq

Illumina NGS Illumina NGS Non riportato Ion GeneStudio S5 series

Illumina HiSeq 4000 Guardant Health Digital Seq Platform

SNVs, indels, fusioni, CNA

SNVs, indels, fusioni, CNA

SNVs, indels, fusioni, CNA

SNVs, indels, CNA

SNV, indels, fusioni, CNA

SNVs, indels, fusioni, CNA

SNVs, indels, fusioni, CNA

Plasma (5 ml) 20 ng cfNA 10-50 ng cfDNA

Plasma (singolo tubo)

6-10 ml plasma

Nome del test (Azienda)

Piattaforma di sequenziamento

Tipo di alterazioni

Campione richiesto 20 ng cfDNA 1-2 ml plasma (5-30 ng cfDNA)

SNVs: single nucleotide variants; indels: insertion/deletions; CNA: copy number alterations.

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 31

za di queste tecnologie è attualmente disponibile come service, sebbene alcuni pannelli delle aziende Thermofisher e Roche dedicati allo studio del cfDNA possano essere acquistati come kit da laboratori indipendenti.

Applicazioni cliniche dell’analisi del cfDNA con tecniche di NGS

Lo sviluppo di metodiche ad elevata sensibilità in grado di individuare alterazioni genetiche a bassa frequenza allelica ha determinato un progressivo incremento nell’impiego della biopsia liquida per la profilazione genomica delle neoplasie in stadio avanzato. Tuttavia, la biopsia liquida è attualmente esplorata anche in stadi più precoci della progressione tumorale, e in particolare per la diagnosi precoce delle neoplasie e per l’individuazione della malattia minima residua in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico (figura 3.1). L’utilizzo di tecnologie di NGS per queste applicazioni presenta infatti numerosi vantaggi rispetto alle tecniche convenzionali di analisi. Sebbene il focus principale di questo volume sia la caratterizzazione genomica delle neoplasie, verranno bre-

Figura 3.1

Applicazioni della biopsia liquida nelle diverse fasi di progressione del paziente neoplastico.

Marcatori predittivi
Malattia minima residua
Diagnosi precoce

vemente discusse anche le altre applicazioni che rivestono un ruolo rilevante nell’ottica della personalizzazione dei trattamenti.

Diagnosi precoce

Una delle applicazioni più affascinanti della biopsia liquida è il suo possibile impiego per l’individuazione della malattia prima che questa si manifesti clinicamente. La non invasività della metodica, la rapidità del test e la possibilità di ripetere le analisi nel tempo rendono la biopsia liquida un approccio perfetto in questo settore.

Purtroppo, lo sviluppo della biopsia liquida per la diagnosi precoce delle neoplasie è al momento limitato da problematiche relative alla sensibilità e specificità dei test disponibili. Le neoplasie in fase di crescita iniziale hanno un volume limitato e, pertanto, rilasciano basse quantità di cfDNA in circolo. Questo fattore rappresenta una notevole limitazione per la loro individuazione che in parte la NGS può contribuire a superare. Infatti, l’analisi contemporanea di molteplici mutazioni in diversi geni effettuabile mediante NGS può incrementare in maniera significativa la probabilità di individuare una neoplasia rispetto alla valutazione di poche mutazioni in un singolo gene con tecnologie di Real Time PCR o ddPCR. Inoltre, la sensibilità della NGS può essere aumentata con vari accorgimenti, quali ad esempio l’arricchimento delle librerie per sequenze mutate, l’incremento del coverage e appropriate pipelines bioinformatiche. Ad esempio, un pannello in grado di identificare mutazioni in 139 geni frequentemente mutati nell’NSCLC e basato sulla tecnologia CAPP-Seq ha dimostrato una sensibilità del 100% in tumori allo stadio I-IV e del 50% in pazienti allo stadio I.4 Più recentemente, un pannello di 58 geni frequentemente mutati nei tumori umani è stato disegnato utilizzando la tecnologia TEC-Seq. Questo pannello è stato in grado di identificare mutazioni somatiche nel 62% di pazienti con tumori di polmone, colon-retto, ovaio o mammella allo stadio I-II di malattia.6

Se da un lato le nuove tecnologie sembrano essere in grado di risolvere almeno in parte i limiti di sensibilità, la specificità rappresenta comunque un problema per questo tipo di approccio. La specificità dell’analisi con NGS della biopsia liquida è essenzialmente legata a due fattori. Il primo è la presenza di artefatti di sequenziamento che sono piuttosto frequenti alle basse frequenze alleliche a cui sono in genere rilevate le varianti presenti nel cfDNA.8 Diversi approcci bioinformatici sono stati sviluppati per ridurre al minimo questa possibilità, che deve comunque essere tenuta in considerazione. Un ulteriore fenomeno che può determinare una ridotta specificità dell’analisi della biopsia liquida è la presenza di mutazioni associate ad emopoiesi clonale. Diversi studi hanno dimostrato che mutazioni possono occorrere in cellule emopoietiche senza che questo fenomeno sia associato ad un incrementato rischio di sviluppare patologie emolinfopoietiche, quantomeno se viene rilevata una sola mutazione.9 Il gene più

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 33

frequentemente mutato nell’emopoiesi clonale è DNMT3A. Tuttavia, sono state anche descritte mutazioni in geni potenzialmente coinvolti nella patogenesi di neoplasie solide, quali TP53, JAK1/2 e più raramente KRAS.10 La presenza di queste alterazioni rappresenta chiaramente un possibile fattore di confondimento per la diagnosi precoce di una neoplasia solida.

Una possibile soluzione a questa problematica è rappresentata dall’impiego di una combinazione di biomarcatori di natura diversa, come sperimentato recentemente da Cohen et al.11 Questi ricercatori hanno dosato nel sangue periferico di pazienti affetti da varie neoplasie sia mutazioni nel cfDNA con una tecnica di NGS che proteine frequentemente alterate nelle neoplasie umane. Il test sviluppato, definito CancerSEEK, ha dimostrato una specificità del 99% e una sensibilità media del 70% tra gli otto tipi di cancro analizzati, ovvero ovaio, fegato, stomaco, pancreas, esofago, colon-retto, polmone e mammella. Sebbene la sensibilità per gli stadi I fosse solo del 40%, per lo stadio II la sensibilità raggiunta era comunque superiore al 70%. Questo approccio sembra essere pertanto molto promettente.

Individuazione della malattia minima residua

Lo sviluppo di tecnologie per l’individuazione di residui tumorali in pazienti sottoposti ad intervento chirurgico con intento radicale rappresenterebbe una importante innovazione, in quanto consentirebbe l’adozione di protocolli terapeutici personalizzati in base al rischio di recidiva della malattia. Anche in questo contesto la biopsia liquida, per le sue caratteristiche di non invasività, è uno strumento diagnostico ideale.

Numerosi studi hanno dimostrato che in pazienti trattati chirurgicamente per neoplasie del colon-retto, della mammella o del polmone, l’individuazione di mutazioni nel cfDNA dopo l’intervento chirurgico e/o dopo la eventuale terapia adiuvante, è correlata ad un significativo aumento del rischio di recidiva della malattia.12-15 Inoltre, l’individuazione di mutazioni nel cfDNA di pazienti trattati chirurgicamente con finalità radicale durante il follow-up è risultata correlare con un incremento significativo del rischio di recidiva. Sebbene i pazienti arruolati in questi studi siano nel complesso in numero limitato, i risultati descritti sono davvero importanti e consistenti tra le diverse neoplasie ed impiegando differenti tecnologie di analisi.

La ricerca della malattia minima residua può essere effettuata con due diversi approcci. Alcuni studi sono partiti dall’analisi con NGS del tessuto tumorale per individuare le mutazioni clonali specifiche del singolo tumore. Successivamente, sono stati costruiti saggi di ddPCR ad elevata sensibilità per ricercare un numero limitato di mutazioni specifiche per ogni singolo paziente. Questo approccio ha il vantaggio di consentire l’impiego di tecnologie di analisi della biopsia liquida relativamente poco costose ed altamente sensibili. Tuttavia, la ricerca di un

numero limitato di specifiche mutazioni non permette di valutare le eventuali modifiche dell’assetto genetico del tumore che potrebbero essere determinate dalla terapia adiuvante o dalla semplice progressione tumorale. Ad esempio, l’analisi del cfDNA di pazienti con carcinoma della mammella con un pannello di 273 geni ha rivelato differenze significative tra tumore primitivo e malattia minima residua, suggerendo l’espansione di specifici subcloni in questa fase della malattia.12

L’impiego di ampi pannelli di NGS presenta proprio il vantaggio di poter valutare meglio nel tempo le modifiche del profilo genomico indotte dal microambiente o dai trattamenti farmacologici, che peraltro potrebbero rivestire un ruolo importante nella sensibilità/resistenza a specifici agenti. Inoltre, questo approccio eviterebbe la necessità di analizzare il tessuto tumorale, se non richiesto per altre finalità. Infine, lo sviluppo di saggi dedicati di ddPCR per ogni singolo paziente richiede naturalmente sia tempi di lavoro che un investimento economico non sostenibili su larga scala. Pertanto, è molto probabile che l’impiego di pannelli di NGS sostituirà del tutto l’utilizzo della ddPCR in questo settore. Naturalmente, saranno necessari studi randomizzati con adeguato numero di casi per dimostrare che l’individuazione di una persistenza di malattia o di una recidiva a livello molecolare possa poi essere utile per lo sviluppo di una strategia terapeutica alternativa efficace.

Determinazione di fattori prognostici e predittivi nella malattia avanzata

L’analisi della biopsia liquida è da tempo entrata nella pratica clinica quotidiana per l’individuazione delle mutazioni di EGFR in pazienti con NSCLC avanzato e, in misura minore, anche per la valutazione delle mutazioni di RAS in pazienti con carcinoma del colon-retto metastatico. L’analisi di queste mutazioni viene generalmente eseguita con tecnologie di Real Time PCR e di ddPCR nella pratica clinica in quei pazienti che non hanno tessuto tumorale disponibile per la caratterizzazione molecolare.

Tuttavia, le linee-guida attuali raccomandano la valutazione di molteplici biomarcatori, particolarmente nei pazienti con NSCLC metastatico che dovrebbero essere analizzati anche per la presenza di alterazioni genetiche di ALK, ROS1 e BRAF per definire l’approccio terapeutico più adeguato. In realtà, questo elenco è destinato ad aumentare rapidamente, per la probabile approvazione a breve di farmaci diretti contro altri bersagli molecolari, quali le alterazioni di MET (exon14 skipping), i riarrangiamenti di RET e di NTRK, le mutazioni di ERBB2. La ricerca di alterazioni genetiche in un ampio spettro di geni favorisce naturalmente l’arruolamento in studi clinici anche di pazienti con tumori diversi da quelli polmonari. In questo scenario, appare evidente la necessità di passare all’impiego di tecnologie di NGS per l’analisi della biopsia liquida al fine di

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 35

garantire un’adeguata caratterizzazione molecolare ai pazienti che non hanno tessuto tumorale disponibile.

Numerosi studi hanno dimostrato la possibilità di identificare diversi tipi di alterazioni genetiche nel cfDNA isolato dal plasma utilizzando pannelli di NGS basati su differenti tecnologie.16-19

Tra i vari pannelli disponibili in commercio, quello per il quale sono stati prodotti maggiori dati di validazione è il pannello della Guardant Health che analizza alterazioni geniche di 73 geni. Questo pannello, che comprende le principali alterazioni genetiche per le quali sono disponibili terapie a bersaglio molecolare, è stato in grado di individuare almeno un’alterazione genetica nel 63,1% dei casi analizzati in uno studio di validazione.20 Mutazioni actionable, ovvero che offrono possibilità di intervento terapeutico, sono state identificate nel 48% dei pazienti. In uno studio focalizzato sul carcinoma polmonare, la concordanza tra tessuto e biopsia liquida per le mutazioni di EGFR è stata superiore all’80%.21 In particolare, l’impiego della biopsia liquida nei pazienti con carcinoma polmonare che non sono stati genotipizzati o hanno ricevuto una genotipizzazione subottimale a causa della scarsa quantità o qualità di tessuto disponibile, consente di individuare mutazioni actionable in oltre il 20% dei pazienti. In generale, il profilo mutazionale derivato dall’analisi della biopsia liquida è risultato essere sovrapponibile a quello derivante da analisi del tessuto tumorale riportato in letteratura.22

Risultati analoghi possono essere ottenuti con altri pannelli disponibili in commercio, come ad esempio il pannello FoundationOne Liquid di Foundation Medicine. Questo pannello è in grado di analizzare alterazioni genetiche in 70 geni, con una sensibilità analitica elevata e senza alcun falso positivo in donatori sani.23 L’analisi di campioni clinici ha rivelato mutazioni nei geni analizzati in linea con quanto atteso in base ai dati di epidemiologia molecolare disponibili, ivi inclusa l’individuazione di diverse fusioni geniche anche non precedentemente descritte.

Più recentemente, sono diventati disponibili pannelli NGS per il cfDNA commerciali, che possono essere quindi acquistati ed utilizzati da laboratori indipendenti. Per questi mancano tuttavia adeguati studi di validazione in letteratura. Gli studi di NGS con biopsia liquida hanno in generale rilevato un quadro di mutazioni sovrapponibile a quello atteso nelle diverse neoplasie in base alle conoscenze accumulate con lo studio dei tessuti tumorali.20 23 24 Tuttavia, sono anche state dimostrate differenze significative in particolare con casi che presentano mutazioni nella biopsia liquida ma non nel tessuto neoplastico. Al netto delle problematiche relative alla sensibilità e specificità dei test di NGS precedentemente descritte, queste osservazioni suggeriscono che la biopsia liquida possa meglio rappresentare l’eterogeneità tumorale rispetto all’impiego della sola analisi di un singolo campione di tessuto tumorale, concetto come vedremo ancora più importante nella malattia resistente.

I dati di maggiore interesse clinico sono tuttavia quelli che mostrano una correlazione tra alterazioni genetiche individuate nel cfDNA e risposta alle terapie target somministrate sulla base delle indicazioni derivanti dalla biopsia liquida. Sebbene i numeri assoluti siano limitati, risultati preliminari suggeriscono che i pazienti positivi per specifiche alterazioni genetiche all’analisi della biopsia liquida eseguita con pannelli di NGS rispondono alle terapie target in misura simile a quelli positivi all’analisi del tessuto tumorale.24 25 Naturalmente, i risultati ottenuti con specifici approcci non possono essere generalizzati, in quanto ogni pannello presenta proprie caratteristiche di sensibilità e di specificità e necessita della opportuna validazione.

Infine, va sottolineato come pannelli NGS sempre più ampi stiano diventando disponibili anche per l’analisi della biopsia liquida. Alcuni pannelli, disegnati per analizzare centinaia di geni, possono essere anche impiegati per la definizione del carico mutazionale (Tumor Mutation Burden, TMB).26 Sebbene tale analisi sia al momento una pratica esclusivamente sperimentale, questa osservazione testimonia il rapido progresso che stiamo osservando in questo settore.

Monitoraggio molecolare della malattia

Una delle applicazioni più affascinanti della biopsia liquida è la sua possibilità di utilizzo per monitorare la risposta alla terapia. Numerosi studi hanno dimostrato che il monitoraggio dei livelli di mutazione dell’EGFR nel cfDNA di pazienti con carcinoma polmonare trattati con inibitori di tirosin-chinasi è in grado di predire se il paziente sta rispondendo al trattamento e l’eventuale progressione di malattia.27 Questi risultati sono spesso stati ottenuti impiegando metodiche di analisi delle sole mutazioni di EGFR basate su Real Time PCR oppure ddPCR. La disponibilità di pannelli di NGS potrebbe ampliare notevolmente il campo di applicazione di questa tecnica. Infatti, la possibilità di analizzare decine di geni frequentemente alterati nelle neoplasie umane potrà consentire di estendere l’utilizzo della biopsia liquida per la valutazione della risposta alla maggioranza dei pazienti, indipendentemente dal tipo di trattamento che essi riceveranno. Sarà sufficiente individuare una o più mutazioni nella biopsia liquida prima dell’inizio della terapia per poter poi utilizzare questa informazione per monitorare la risposta. In questo contesto, esistono già alcune esperienze che hanno dimostrato come la biopsia liquida possa essere impiegata per monitorare la risposta alla chemioterapia e all’immunoterapia.28-31 In quest’ultimo caso, la biopsia liquida potrebbe consentire di intercettare i pazienti con rapida progressione prima del deterioramento delle condizioni cliniche. Infatti, la mancata riduzione o l’incremento dei livelli di mutazione a 4-8 settimane dall’inizio del trattamento sono quasi sempre associati a successiva progressione di malattia.

Se l’analisi quantitativa del cfDNA può quindi rivelare una progressione della malattia, la sua valutazione qualitativa può indicare i meccanismi alla base

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 37

della resistenza acquisita alla terapia. Questo concetto è in qualche modo già ben noto alla maggioranza degli oncologi per l’impiego frequente della biopsia liquida per l’identificazione della mutazione T790M nei pazienti con carcinoma del polmone che progrediscono dopo trattamento con inibitori di tirosin-chinasi di EGFR di prima o di seconda generazione.32 L’utilizzo di tecniche di NGS apre tuttavia scenari del tutto innovativi. Innanzitutto, l’impiego di pannelli ha consentito l’individuazione di molteplici meccanismi di resistenza ai farmaci a bersaglio molecolare. Come esempio, basti pensare alle diverse alterazioni genetiche che sono state scoperte come meccanismi di resistenza acquisita agli inibitori di tirosin-chinasi di prima, seconda o terza generazione, ai meccanismi di resistenza ai farmaci anti-EGFR nel carcinoma del colon-retto oppure alle mutazioni di reversione dei geni BRCA in pazienti trattate con inibitori di PARP.33-35 Molti di questi meccanismi sono stati individuati proprio grazie all’impiego di tecnologie di NGS su biopsia liquida. Questi studi stanno però rivelando anche un fenomeno biologico di estrema rilevanza. Nella maggioranza dei casi la resistenza acquisita ai farmaci a bersaglio molecolare appare dovuta a molteplici meccanismi molecolari. Alcuni studi effettuati su campioni tessutali di pazienti selezionati hanno infatti dimostrato che differenti alterazioni genetiche associate a resistenza acquisita sono frequentemente individuate in diverse lesioni metastatiche oppure anche nella stessa sede di malattia. L’impiego di tecnologie di NGS per lo studio della biopsia liquida ha confermato questa osservazione in ampie coorti di pazienti. Ad esempio, un test su biopsia liquida basato sulla tecnologia CAPP-sequencing ha rivelato la presenza di molteplici meccanismi di resistenza in circa il 50% dei pazienti con carcinoma del polmone che avevano sviluppato la T790M in seguito al trattamento con inibitori di tirosin-chinasi dell’EGFR di prima generazione.36 In analogia, fino a 13 diverse alterazioni genetiche sono state individuate in pazienti con carcinoma del colon-retto divenuto resistente ai farmaci anti-EGFR.37 Tutti gli studi condotti sembrano suggerire che, quindi, l’eterogeneità molecolare della malattia aumenta nel tempo sotto la pressione selettiva dei trattamenti. In questi casi, è evidente che la biopsia liquida possa meglio rappresentare l’eterogeneità tumorale e, soprattutto, indirizzare in maniera più adeguata la decisione terapeutica.38 Infatti, alcune evidenze sperimentali suggeriscono che la presenza di diverse alterazioni genetiche possa influenzare in maniera significativa la risposta alle successive linee di terapia, soprattutto se si impiegano farmaci a bersaglio molecolare come nel caso dell’osimertinib per i pazienti con carcinoma polmonare T790M-positivo.39

Conclusioni e prospettive future

La disponibilità di tecnologie di NGS per l’analisi della biopsia liquida consentirà di migliorare in maniera significativa l’approccio diagnostico al paziente neoplastico e lo sviluppo della medicina di precisione.

La messa a punto di tecnologie ad elevata sensibilità aprirà la possibilità di impiegare la biopsia liquida sia nella fase diagnostica che nell’individuazione della malattia minima residua. La diagnosi precoce, soprattutto in pazienti ad alto rischio di malattia per fattori genetici, ambientali o connessi agli stili di vita, è per ora legata ad esami per lo più radiologici che sono in grado di evidenziare la malattia solo in fase relativamente avanzata. La biopsia liquida per le sue caratteristiche rappresenta uno strumento ideale in questo ambito diagnostico, sebbene siano necessari ampi studi per dimostrarne la specificità e l’utilità clinica. In questo settore, la combinazione di diversi tipi di marcatori appare come la strategia migliore per garantire sensibilità e specificità del test.

Discorso analogo si può fare per la malattia minima residua, la cui individuazione con la biopsia liquida potrebbe permettere di personalizzare i trattamenti adiuvanti, al momento somministrati solo in base a criteri clinici che non sempre discriminano tra pazienti a diverso livello di rischio di recidiva.

L’utilizzo della biopsia liquida con tecnologie di NGS è già una realtà nei pazienti con malattia metastatica, dove spesso questa analisi viene richiesta quando non è disponibile tessuto per la profilatura genetica della malattia. Tuttavia, in pazienti con diverse sedi di localizzazione della malattia, la biopsia liquida può fornire informazioni che risultano essere complementari alla biopsia tessutale. Infatti, è indubbio che la biopsia liquida possa meglio rappresentare l’eterogeneità molecolare della malattia. In molte istituzioni, i Molecular Tumor Boards già richiedono entrambi i test su tessuto e su cfDNA soprattutto nei casi più complessi, al fine di avere un quadro complessivo delle alterazioni genetiche della malattia prima di suggerire un possibile trattamento al paziente. La valutazione dell’eterogeneità tumorale, sebbene esercizio di notevole complessità, deve oramai far parte del bagaglio di informazioni che devono essere prese in considerazione nell’ottica della medicina di precisione. Infine, l’analisi con NGS della biopsia liquida apre enormi prospettive per il monitoraggio della risposta alla malattia e per l’individuazione dei meccanismi di resistenza alle terapie a bersaglio molecolare. Non essendo proponibile l’esecuzione di biopsie tessutali ripetute in pazienti con molteplici localizzazioni metastatiche, il ruolo della biopsia liquida risulta indispensabile in questo specifico settore diagnostico. È importante sottolineare che le informazioni che la biopsia liquida può fornire non hanno più solo un valore meramente speculativo. La disponibilità di molteplici inibitori dello stesso bersaglio molecolare con spettri di attività diversi, come ad esempio accade per gli inibitori di ALK, potrà consentire nel futuro di alternare diverse molecole che colpiscono lo stesso ber-

Le tecnologie di Next-Generation Sequencing per l’analisi della biopsia liquida 39

saglio all’insorgere di mutazioni acquisite. Tale strategia richiede tuttavia la conoscenza approfondita delle alterazioni genetiche responsabili della resistenza, possibile appunto solo attraverso la caratterizzazione della biopsia liquida con tecnologie di NGS.

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4. L’interpretazione dei dati e la refertazione

La diagnostica molecolare ha assunto un ruolo fondamentale nella gestione integrata dei processi di cura dei pazienti oncologici, permettendo una precisa identificazione dei fattori predittivi di risposta alle terapie personalizzate e all’immunoterapia. Pertanto, il laboratorio di patologia molecolare diagnostica è da considerarsi parte integrante della struttura e dell’attività di una moderna anatomia patologica. I processi gestiti in un laboratorio di patologia molecolare sono strettamente connessi, costituendo parte integrante del report diagnostico molecolare. Tali processi possono essere schematizzati come segue:

• fase preanalitica;

• fase analitica;

• controlli di qualità interni al laboratorio ed esterni, condotti da enti indipendenti riconosciuti a livello nazionale e/o internazionale;

• report mutazionale.

Così come avviene per l’anatomia patologica tradizionale (surgical pathology), nella patologia molecolare le procedure di creazione, processazione e rilascio dei dati sono di cruciale importanza per la corretta gestione dei pazienti oncologici e per la definizione del rischio di sviluppare malattie eredo-familiari. Infatti, indipendentemente dalle metodiche utilizzate nelle diverse discipline della patologia, l’output finale delle analisi prodotte è rappresentato da un report che deve essere facilmente interpretabile da numerosi operatori interni ed esterni (personale medico e paramedico, compagnie assicurative, registri tumori, agenzie governative) e, primariamente, dal paziente stesso. In sintesi, nel report devono essere presenti i fattori diagnostici, prognostici e predittivi essenziali.

A differenza dei laboratori di patologia clinica, che generano una gran mole di dati quantitativi, i report di patologia molecolare sono di solito strutturati integrando i dati in informazioni testuali. Negli ultimi decenni, diverse istituzioni nazionali e internazionali hanno dato luogo a programmi di standardizzazione

del report mutazionale, focalizzati sui parametri qualitativi di tempestività, accuratezza, completezza, conformità con gli standard correnti, uniformità e chiarezza. Tra questi, riveste particolare importanza il criterio di standardizzazione: infatti, il processo di cronicizzazione della patologia neoplastica, combinato con la necessità di ottenere analisi ripetute durante il decorso clinico, determina la produzione di numerosi report mutazionali spesso ottenuti in laboratori differenti, che dovranno contenere dati omogenei e facilmente consultabili da operatori diversi. Nonostante non sia possibile eliminare completamente le informazioni testuali, il report mutazionale deve essere costruito secondo una struttura sinottica, consentendo in questo modo di convogliare un’elevata e crescente quantità di dati in modo sintetico e schematico.

Il report mutazionale è pertanto uno strumento fondamentale per il Molecular Tumor Board che identifica le terapie più adeguate integrando le informazioni molecolari con le caratteristiche clinico-patologiche tradizionali. Idealmente, il report dovrebbe contenere in una singola pagina di un modello prestabilito tutti i dati utili per l’oncologo, quali:

• identificazione del paziente e del campione sottoposto ad analisi;

• descrizione del test utilizzato, comprensiva dell’elenco dei geni investigati;

• risultati rilevanti con la relativa interpretazione clinica;

• controlli di qualità utilizzati;

• identificazione degli operatori.

Qualora non fosse possibile limitare la lunghezza del report a una singola pagina, le ulteriori dovrebbero essere identificate in modo appropriato e numerate progressivamente.

Identificazione del paziente e del campione analizzato

L’identificazione del paziente avviene tramite l’utilizzo dei suoi dati anagrafici (quali data di nascita, cartella clinica e reparto di provenienza), associati a un numero progressivo attribuito al campione prelevato, idealmente tramite il processo di barcoding che consente la tracciabilità dell’intero processo. Infatti, i test molecolari, svolti in-house o esternalizzati, sono di norma eseguiti nel contesto del tradizionale flusso di lavoro diagnostico delle strutture di patologia, che prevede procedure dedicate e tracciabili di registrazione, fissazione, campionamento, processazione, inclusione e preparazione delle sezioni al microtomo. Nel report di patologia molecolare, i dati quantitativi vanno costantemente interpretati rispetto allo specifico saggio adottato, alle caratteristiche del tessuto e alla storia clinica del paziente, come nel caso di analisi effettuate su tessuti diversi (tumore e sangue), recidive tumorali occorse anni dopo il tumore primitivo o biopsia liquida per l’analisi dell’insorgenza di mutazioni associate a resistenza.

L’interpretazione dei dati e la refertazione 43

Ciò rende di fondamentale importanza l’acquisizione delle principali informazioni cliniche (ad esempio prelievo alla diagnosi o dopo trattamento chemioterapico o personalizzato) e patologiche (valutazione macroscopica, diagnosi istologica, fissativo utilizzato, tipo di prelievo e dimensioni, tipo istologico, cellularità ed eterogeneità del tumore), che sono essenziali e propedeutiche al report mutazionale, poiché informano circa le caratteristiche di idoneità del tessuto in esame. A questo riguardo, il report mutazionale, se ottenuto da esami citologici e istologici, deve contenere informazioni relative alla percentuale di target (popolazione neoplastica, nel caso di mutazioni somatiche) disponibile nel campione utilizzato, o almeno garantire che la quantità di acido nucleico estratto sia sufficiente rispetto alla sensibilità del test e delle metodiche utilizzate nel laboratorio. La valutazione della quantità del DNA purificato può essere eseguita con tecnologie basate sull’analisi dell’assorbanza o di tipo fluorimetrico. L’identificazione del tipo di prelievo è anche essenziale al clinico per comprendere il flusso di lavoro e l’interpretazione dei dati: ad esempio, le recenti linee-guida ASCO/ CAP1 raccomandano di riportare come “non informativo” e non come “negativo” un test molecolare su plasma dove non si sia rilevata una specifica variante e dove la quantità di analita sia giudicata insufficiente o borderline. Una diagnosi di questo tipo non può essere utilizzata a scopo terapeutico e indica la necessità di ottenere un nuovo prelievo plasmatico o di optare per il prelievo bioptico di una lesione metastatica. La medesima condizione, se rilevata in un test condotto da DNA estratto da un campione bioptico dove è stata rilevata con precisione la cellularità tumorale, genererebbe invece un report di assenza di mutazione, con immediate ricadute cliniche.

Descrizione del test utilizzato

L’Association for Molecular Pathology (AMP) evidenzia l’importanza di specificare il metodo di analisi e le sue possibili limitazioni.2 La metodica e il test impiegati per l’esecuzione dell’analisi, siano essi commerciali o sviluppati all’interno del laboratorio, così come la loro relativa sensibilità analitica, devono essere chiaramente specificati, poiché questo fattore influenza l’interpretazione clinica dei risultati. La sensibilità analitica è, infatti, funzione del metodo individuato per l’analisi – 20-30% per sequenziamento diretto, pirosequenziamento e spettrometria di massa, 1-5% per sequenziamento di ultima generazione (NextGeneration Sequencing, NGS) e Real Time PCR – e dell’eventuale arricchimento in cellule neoplastiche all’interno del campione. Nel report devono essere chiaramente specificati gli esoni sottoposti ad analisi o le mutazioni indagate nel caso in cui si applichino metodiche targeted su specifici bersagli molecolari. Il report molecolare deve inoltre contenere specifiche informazioni riguardanti il grado di validazione dei test analizzati: ad esempio, la

norma ISO 15189 richiede che i test diagnostici sviluppati all’interno del laboratorio siano rigorosamente validati prima del loro utilizzo clinico con test coperti dalla marcatura CE-IVD, diretti a identificare il medesimo target. Infatti, sebbene nei laboratori diagnostici sia sempre preferibile utilizzare i test marcati CE-IVD, la legislazione italiana non ne prevede l’obbligatorietà, consentendo di utilizzare reagenti non CE-IVD, a condizione che questi siano validati internamente e sottoposti a controlli di qualità interni ed esterni.

Nel report devono perciò essere indicati i sistemi di qualità utilizzati, a garanzia della specificità e riproducibilità dei metodi utilizzati. In particolare, i laboratori sono chiamati ad ottenere un accreditamento europeo secondo la norma ISO 15189, che certifica i processi di laboratorio integrando la normativa ISO 9001 ed è focalizzata non solo sul controllo di tutte le fasi del processo, ma anche sui risultati delle indagini svolte, sul loro impatto clinico e, in ultima analisi, sulla soddisfazione del “cliente” (pazienti, oncologi interni ed esterni all’ospedale, Enti convenzionati). I laboratori di patologia molecolare in Europa sono di solito accreditati all’interno di network certificati, quali UK Accreditation Service (UKAS), Quality in Pathology (QiP) in Germania ed AIOM/SIAPEC in Italia. Oltre alla qualità del report molecolare, la normativa fissa standard precisi rispetto a idoneità degli spazi e degli impianti, corretta gestione dei flussi di lavoro integrati con la patologia tradizionale, formazione del personale (tecnici di laboratorio, biotecnologi, biologi molecolari, patologi, amministrativi) e definizione dei Procedure Operative Standard (SOP), che descrivono i processi garantendone la riproducibilità. Il report deve inoltre indicare chiaramente la data di accettazione e quella di refertazione, affinché sia possibile identificare con chiarezza il tempo di esecuzione (TAT), che per motivi etici e di tempestività dell’intervento terapeutico non dovrebbe superare i 10-14 giorni lavorativi. Infine, per ragioni medico-legali, il nominativo degli operatori che hanno gestito le diverse fasi del processo (identificazione dell’area tumorale, movimentazione del materiale di archivio, estrazione degli acidi nucleici, preparazione delle libraries e interpretazione dei dati) deve essere chiaramente indicato nel report molecolare. In alcuni Stati europei, deve comparire nel report anche il patologo responsabile dell’integrazione diagnostica, morfologica e molecolare.

Risultati del test

I risultati dei test molecolari vanno espressi nel report in termini di assenza o presenza di mutazione. Quando presente, la specifica mutazione deve essere descritta sia a livello di DNA che della proteina corrispondente, secondo la nomenclatura internazionale riportata nelle “Human Genome Variation Society (HGVS) guidelines” (http://www.hgvs.org/mutnomen/).3 Numerose agenzie, come il College of American Pathologists, hanno sviluppato specifiche check-

L’interpretazione dei dati e la refertazione 45

list per il report mutazionale, allo scopo di implementare la standardizzazione nell’interpretazione dei risultati, che rappresenta un obiettivo di fondamentale importanza. Recentemente, l’AMP4 ha evidenziato un’alta variabilità nell’annotare le mutazioni somatiche nei pazienti oncologici, proponendo dettagliate linee-guida per la standardizzazione dei processi di classificazione, annotazione, interpretazione e reporting per le varianti somatiche. Le varianti somatiche includono SNVs, indels e riarrangiamenti.

A differenza di quanto accade per l’interpretazione delle varianti germinali, che è focalizzata sulla patogenicità di una variante nei confronti di una specifica patologia, quella delle varianti somatiche considera principalmente il loro impatto clinico. Una variante può essere considerata un biomarcatore affidabile solo nel caso in cui si dimostri predittiva di sensibilità, resistenza o tossicità a un trattamento farmacologico; alteri la funzione di un gene che può essere pertanto bersaglio di una terapia personalizzata già validata o sperimentale; influenzi la prognosi di una patologia oncologica; permetta di identificare una specifica patologia; o infine sia di ausilio nella diagnosi precoce. In altri termini, la definizione di impatto clinico di un biomarcatore identifica il suo ruolo terapeutico, prognostico, diagnostico e preventivo.5 6

Vi sono quattro livelli di evidenza clinica e sperimentale di un biomarcatore: i biomarcatori di livello A sono predittivi di risposta o resistenza a terapie approvate dai sistemi regolatori per uno specifico tipo di tumore o sono stati inclusi in linee-guida specifiche come fattori predittivi, diagnostici o prognostici; i biomarcatori di livello B sono fattori predittivi o prognostici per terapie identificate in studi clinici; i biomarcatori di livello C sono fattori predittivi per una terapia validata dalle agenzie regolatorie o da associazioni professionali per un setting tumorale differente (utilizzo “off-label”), sono fattori di inclusione in studi clinici o hanno dimostrato un valore diagnostico o prognostico in studi clinici; i biomarcatori di livello D, infine, hanno dimostrato un potenziale ruolo terapeutico in studi preclinici o hanno valore diagnostico o prognostico di per sé o in associazione con ulteriori biomarcatori, dimostrato in studi clinici o in casi isolati, in assenza di un consenso nella comunità scientifica. Questi livelli di evidenza possono essere assegnati alle varianti genomiche identificate per determinare la significatività del loro impatto clinico.9 AMP ha stabilito un sistema basato su quattro livelli, in particolare (figura 4.1):

• livello 1, varianti con evidente rilevanza clinica (livello di evidenza A e B);

• livello 2, varianti con potenziale rilevanza clinica (livello di evidenza C e D);

• livello 3, varianti di significato clinico ignoto;

• livello 4, varianti benigne o probabilmente benigne.

L’AMP ha inoltre rilevato come, in considerazione della rapida evoluzione delle conoscenze in ambito genomico, la rilevanza clinica di ogni variante dovrebbe continuamente essere rivalutata dinamicamente, e ha evidenziato l’importanza

Livello I: Varianti clinicamente rilevanti

Terapia, prognosi, diagnosi

Evidenza di Livello A

Terapia approvata da FDA

Previsto dalle linee-guida

Evidenza di Livello B

Studi con sufficiente potere statistico e consenso di esperti

Figura 4.1

Livello II: Varianti di potenziale rilievo clinico

Terapia, prognosi, diagnosi

Level C Evidence

Terapia approvata da FDA per tumori differenti o in fase di validazione clinica

Studi su popolazioni limitate o consenso parziale

Evidenza di Livello D

Studi preclinici o casi sporadici, in assenza di consenso

Classificazione delle varianti somatiche. Modificata da Li et al.4

Livello III: Varianti di rilievo clinico sconosciuto

Alterazione rilevata ad alta frequenza allelica nella popolazione o in data-base di tumori

Nessuna evidenza convincente di associazione con il cancro pubblicata

Livello IV: Varianti benigne o verosimilmente benigne

Alterazione rilevata ad alta frequenza allelica nella popolazione o in data-base di tumori

Nessuna evidenza convincente di associazione con il cancro pubblicata

di utilizzare una nomenclatura condivisa e di specificare il metodo di analisi e le possibili limitazioni della metodica. L’interpretazione delle varianti somatiche e potenzialmente germinali in un campione tumorale è particolarmente problematica e impegnativa, richiedendo personale altamente specializzato con una specifica formazione nel settore, come è evidente dalla complessità di database disponibili per l’analisi (tabella 4.1).4 Qualora il campione non sia idoneo per l’analisi (materiale scarso, bassi livelli di DNA dopo estrazione, DNA frammentato per prolungata o inadeguata fissazione), nel report deve essere specificato il motivo dell’inadeguatezza. Poiché il risultato dell’analisi è funzione delle quantità e qualità di DNA estratto, il report dovrebbe contenere la percentuale di cellule neoplastiche relativa all’area del campione biologico selezionata per l’analisi dal patologo nel corso della fase precedente all’estrazione degli acidi nucleici. La presenza di numerosi fattori predittivi molecolari determina sempre più frequentemente il bisogno di includere nel report un’interpretazione clinica dei risultati con riferimento alle opzioni terapeutiche. A questo proposito, considerata la diversificazione dei test richiesti durante il work-up diagnostico, le lineeguida suggeriscono di integrare tutti i differenti test molecolari ottenuti con diverse metodiche nello stesso report, specificando l’identificativo di ogni test, per permettere una migliore interpretazione dei dati al fine della più corretta decisione terapeutica.5 6 Le metodiche NGS producono una maggiore quantità di dati rispetto ai saggi basati sull’analisi di un singolo analita, e richiedono pertanto una maggior accuratezza nell’identificazione dei dati clinicamente rilevanti. La

Tabella 4.1

Database rilevanti per l’interpretazione delle varianti somatiche

Utilizzo/Funzione Database Indirizzo web

Database di popolazione per escludere polimorfismi

qPCR

PNA-clamp PCR

BEAMing

ddPCR

Tecniche di NGS

TAm-Seq

AmpliSeq

Guardant360

SAFE-SeqS

CAPP-Seq

TEC-Seq

SNV, indel

SNV, indel, CNA e fusioni

Non esistono elenchi esaustivi: l’inclusione nella Tabella non costituisce una validazione particolare per uno specifico database o prodotto. Ultima data di accesso ai siti web: 7 Giugno 2016. dbSNP, The Database Short Genetic Variation; ExAC, Exome Aggregation Consortium; IARC, International Agency for Research on Cancer; NCBI, National Cancer for Biotechnology Information; SNV, single nucleotide variant; UCSC, University Of California, Santa Cruz; WHO, Wolrd Health Organization. Li et al.4

maggior parte dei report mutazionali di tipo commerciale associa una lista di farmaci clinicamente validati alle lesioni genomiche rilevate ed elenca gli studi clinici nei quali i pazienti possono essere trattati con terapie sperimentali. Poiché questi test sono sviluppati da aziende basate negli Stati Uniti, l’ente regolatore di riferimento è di solito la FDA o, come nel caso di FoundationOne CDx, FDA ed EMA: ciò può limitare la rilevanza dell’informazione per un paziente oncologico che afferisce al sistema sanitario italiano, determinando un potenziale fattore di confusione circa le reali possibilità del trattamento personalizzato.7-9

Per contro, nei report mutazionali dei test sviluppati in-house solitamente non sono specificati i farmaci associati alle specifiche aberrazioni molecolari. È fondamentale ai fini interpretativi che nel report del test NGS siano incluse informazioni aggiuntive quali coverage e qualità del sequenziamento delle singole regioni genomiche.10 L’utilizzo di targeted sequencing si associa a una maggiore probabilità di identificare varianti di significato incerto, che impone di specificare le procedure utilizzate nell’interpretazione dei dati, come specificato dall’European Society of Human Genetics e dall’American College of Medical Genetics and Genomics, che raccomandano di distinguere chiaramente tra risultati attesi e incidentali, soprattutto quando vengano analizzate alterazioni germinali. È stata prodotta una lista di 58 geni rilevanti le cui varianti dovrebbero essere

riportate. Tutte le varianti patogeniche (classe 5) e probabilmente patogeniche (classe 4) devono essere riportate, mentre la decisione se annotare le varianti non classificate (UV – classe 3) viene adottata solitamente sulla base della pratica clinica locale dopo discussione interna al Molecular Tumor Board. La metodica adottata per annotare e riportare le varianti genomiche deve essere sviluppata in accordo con le raccomandazioni internazionali e documentata da opportune procedure. In considerazione dell’importanza dei dati generati dalle metodiche NGS e della necessità di applicare protocolli validati in laboratori accreditati, è necessario che i dati prodotti vengano condivisi, a seguito di un consenso informato ottenuto dal paziente, con database regionali nazionali ed europei.

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5. L’importanza dell’approccio multidisciplinare: il Molecular Tumor Board

Tecnologie, acquisizioni e nuovi modelli nella profilazione molecolare dei tumori

L’introduzione e l’accessibilità diffusa a nuove tecnologie, e in particolare alla Next-Generation Sequencing (NGS), sta progressivamente modificando l’approccio nella caratterizzazione e profilazione molecolare dei tumori, con importanti ricadute cliniche e organizzative da una parte, e di programmazione e di allocazione di risorse per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) dall’altra. Con questa tecnologia, seguendo l’approccio denominato di Targeting Sequencing, è possibile il sequenziamento di alcune regioni specifiche del genoma con potenziali, rilevanti implicazioni cliniche. Utilizzando pannelli che vanno da pochi geni a centinaia di geni possono essere identificate alterazioni genetiche actionable o che comunque possono avere un ruolo prognostico e/o predittivo di sensibilità/resistenza utile nella definizione di scelte terapeutiche in oncologia.

Le acquisizioni conseguenti alle innovazioni tecnologiche, insieme alla riduzione nei costi e all’incremento nella disponibilità di farmaci mirati su specifici bersagli cellulari, hanno prodotto una progressiva e non programmata diffusione di utilizzo di queste tecnologie, ma hanno anche fatto emergere importanti e attualmente non risolte problematiche:

• in quali tumori e in quale fase della strategia di trattamento di un paziente oncologico vanno utilizzate;

• come interpretare i risultati e come valutare e introdurre le potenziali indicazioni terapeutiche;

• come guidare e gestire le possibili implicazioni derivanti dall’identificazione di mutazioni germinali;

• come garantire un equilibrio tra equità di accesso e disponibilità e utilizzo di risorse nell’ambito dell’SSN.

CARMINE PINTO

Differenti specificità professionali sono necessarie per dare risposta e guidare le scelte in quest’ambito, e possono trovare una sintesi sia culturale che operativa nella definizione e strutturazione del Molecular Tumor Board (MTB).

Finalità e indicazioni del Molecular Tumor Board

L’MTB ha la finalità di definire i criteri di selezione dei pazienti con patologia oncologica da sottoporre a profilazione molecolare estesa mediante NGS, di valutare il significato e le potenziali indicazioni cliniche derivate dalle alterazioni molecolari identificate, e quindi intervenire sulla base dalla disponibilità di farmaci a target molecolare e delle conoscenze cliniche disponibili nella decisione in merito alla scelta di terapie target correlate.

Le problematiche su cui interviene l’MTB sono quindi rilevanti nell’ambito dell’oncologia di precisione e in continua evoluzione in relazione al progresso delle conoscenze e delle tecnologie. Per quali tumori e in quale fase della storia naturale della malattia neoplastica di un singolo paziente è indicata questa profilazione e con quali dati a supporto? Un settore di intervento assolutamente nuovo, che racchiude valutazioni di ordine scientifico, ma anche di ordine etico, di appropriatezza, di programmazione e di razionalizzazione nell’impiego delle risorse dell’SSN.

Elemento centrale è quello dei criteri di selezione dei pazienti da sottoporre a un’analisi NGS del tessuto tumorale (o anche della biopsia liquida), che si correla a una potenziale disponibilità e impiego di farmaci a specifico target molecolare, al fine di indicare per un paziente il possibile trattamento ottimale. Risulta però indispensabile oggi definire criteri validi, riconosciuti e ripetibili che possano permettere agli MTB di definire raccomandazioni cliniche per il singolo paziente:

• tumore ad alto volume o frequente vs. tumore raro o “orfano”;

• opzioni terapeutiche disponibili e quindi valutazione del bisogno terapeutico;

• dati acquisibili dai cancer genome database disponibili e quindi valutazione della frequenza di alterazioni geniche actionable per la specifica patologia neoplastica in oggetto;

• farmaci per specifici target disponibili e con possibilità di accesso per il paziente;

• valutazione di efficacia del farmaco a target molecolare identificato per il singolo target nei trial clinici disponibili e nelle diverse fasi di sviluppo delle sperimentazioni;

• valutazione dei dati di tossicità del farmaco target e quindi analisi del rapporto costo/beneficio;

• valutazione della possibilità di un management e iter strutturato correlato alla potenziale identificazione di alterazioni germinali (anche se rare) e quindi delle successive implicazioni eredo-familiari;

• analisi di sostenibilità e di appropriatezza di tutto il percorso.

L’importanza dell’approccio multidisciplinare: il Molecular Tumor Board 51

Un elemento di criticità per queste valutazioni è rappresentato anche dall’eterogeneità dei dati presenti nei database internazionali, determinata dalle molteplici piattaforme e test genomici di sequenziamento utilizzati (differenti per tipologia ed estensione dei pannelli) e dalla mancanza di criteri uniformi nel definire l’actionability di un’alterazione molecolare e quelle potenzialmente patogenetiche o a significato incerto.

Considerando tutte queste limitazioni, sono ad oggi consultabili diversi cancer genoma database: canSAR, cBioPortal, My Cancer Genome, COSMIC (Catalogue of Somatic Mutations in Cancer), ICGC (International Cancer Genome Consortium) e TCGA (The Cancer Genome Atlas). Inoltre ogni singola istituzione ha prodotto propri strumenti interpretativi disponibili on-line: www.mycancergenome.org (Vanderbilt-Ingram Cancer Center), pct.mdanderson.org (MDAnderson Cancer Center), http://oncokb.org (Memorial Sloan Kettering Cancer Center), civic.genome.wustl.edu (MacDonnell Genome Institute) e www.cancergenomeinterpreter.org (Global Alliance for Genomics and Health). I singoli data set risultano così solo parzialmente utilizzabili per trasferire i profili genomici del singolo caso in indicazioni terapeutiche. In questo ambito, pertanto, l’attività e i criteri di riferimento degli MTB diventano centrali e determinanti nelle conseguenti scelte cliniche.

Vanno inoltre considerati i livelli di evidenza clinica dei target molecolari identificati con i test. Una classificazione è stata proposta con l’ESMO Scale for Clinical Actionability of Molecular Targets (ESCAT), che così gradua i livelli di evidenza:

1. Ready for routine use: alterazioni molecolari associate con farmaci con miglioramento degli outcome nei clinical trial.

2. Investigational: alterazioni molecolari associate con farmaci con impatto non conosciuto per gli outcome clinici.

3. Hypothetical target: alterazioni molecolari associate con farmaci con miglioramento degli outcome clinici in altri tipi di tumore o con simili alterazioni molecolari;

4. Combination development: alterazioni molecolari associate con farmaci con risposte obiettive ma senza un chiaro beneficio clinico o mancanza di actionability.

Le indicazioni scaturite dall’MTB, perché vengano interpretate coerentemente e trasferite nella pratica clinica, devono prevedere un report standard e strutturato che espliciti le caratteristiche quali-quantitative del campione biologico utilizzato, la specifica tecnologia NGS, le alterazioni molecolari actionable evidenziate, e quindi le raccomandazioni terapeutiche con i relativi dati clinici disponibili.

L’elemento conclusivo di questo processo è rappresentato dal ritorno delle informazioni circa l’utilizzo clinico e l’outcome della raccomandazione prodotta dall’MTB (figura 5.1), che possono essere così definite:

Raccomandazioni

• Terapia target identi cata in assenza di possibilità di accesso al farmaco per il paziente

• Terapia target identi cata e accesso al farmaco per il paziente con descrizione dell’outcome clinico e dell’eventuale tossicità

• Terapia target non identi cata e descrizione dell’outcome clinico con la terapia “standard” adottata

Figura 5.1

Outcomes delle Raccomandazioni del Molecular Tumor Board (TMB)

• terapia target identificata in assenza di possibilità di accesso al farmaco per il paziente;

• terapia target identificata e accesso al farmaco per il paziente con descrizione dell’outcome clinico e dell’eventuale tossicità;

• terapia target non identificata e descrizione dell’outcome clinico con la terapia “standard” adottata.

Strutturazione e figure professionali coinvolte nel Molecular Tumor Board

Per le finalità e le problematiche già riportate, l’MTB richiede necessariamente il coinvolgimento attivo di diverse figure professionali in un’ampia multidisciplinarietà. Nella strutturazione dell’MTB sono previsti un Core Team la cui presenza è sempre richiesta, e un non-Core Team con professionisti che possono intervenire per specifiche problematiche (figura 5.2).

I professionisti che costituiscono il Core Team sono: l’oncologo medico, l’anatomopatologo, il biologo molecolare, il genetista, il farmacologo clinico, il farmacista ospedaliero, il bioinformatico, l’epidemiologo clinico, il bioeticista e il rappresentante dei pazienti.

Le figure professionali del non-Core Team sono: il radioterapista, il chirurgo e l’endoscopista per le diverse specialità, il radiologo, il radiologo interventista, il medico nucleare, gli specialisti d’organo coinvolti (pneumologo, gastroenterologo, ecc.) e lo psicologo.

Figura 5.2

L’importanza dell’approccio multidisciplinare: il Molecular Tumor Board 53

Core-Team

Oncologo medico, Anatomo-patologo, Biologo molecolare, Genetista, Farmacologo clinico, Farmacista ospedaliero, Bioinformatico, Epidemiologo clinico, Bioeticista, Rappresentante dei pazienti

Non-Core Team

Radioterapista, Chirurgo per le diverse specialità, Endoscopista per le diverse specialità, Radiologo, Radiologo interventista, Medico nucleare, Specialisti d’organo coinvolti (Pneumologo, Gastroenterologo, ecc.), Psicologo

Medico referente del caso

Composizione del Molecular Tumor Board (TMB)

Alle riunione dell’MTB è necessario che sia sempre presente il medico referente clinico del caso in discussione, che renderà disponibile tutta la documentazione clinica e lo specifico consenso informato. Insieme al consenso deve essere inoltre predisposta una lettera informativa sia per il paziente che per il medico di medicina generale di riferimento, che illustri le problematiche cliniche e le possibili indicazioni e ricadute che potranno scaturire dall’MTB. Va inoltre previsto un collegamento continuo con l’attività del rispettivo Comitato Etico.

L’MTB va quindi realizzato in forma strutturata e riconosciuta istituzionalmente, e con un calendario definito di riunioni programmate. Per specifici casi e con evidenti motivazioni cliniche deve essere inoltre prospettata anche la possibilità di una convocazione in urgenza dell’MTB.

L’attività dell’MTB viene poi rendicontata in uno specifico verbale che ne riporta la discussione e le relative conclusioni, e quindi nel report finale che diventa parte integrante della cartella clinica del singolo paziente.

Per i rari casi in cui si evidenziano alterazioni germinali con le relative implicazioni eredo-familiari, le cui probabilità di evidenza sono già riportate nel consenso firmato dal paziente, va attivato il rispettivo iter e counseling genetico.

Aspetti organizzativi e normativi

L’innovazione tecnologica, insieme alla crescita continua delle richieste di profilazione molecolare dei tumori in funzione delle scelte terapeutiche e alla necessità di una razionalizzazione nell’impiego di tutte le risorse richiedono mo-

delli organizzativi che prevedano una centralizzazione dei laboratori di biologia molecolare per volumi di attività/popolazione, collegati in rete e con una pianificazione della logistica per la movimentazione dei campioni. In quest’ambito vanno previsti e strutturati gli MTB, che possono essere riferimento di una o più aree nell’ambito di una rete oncologica regionale. Un’applicazione in tal senso è stata realizzata nella Regione Veneto, con il Decreto numero 67 dell’8 luglio 2019, che ha istituito per l’intera Regione un unico Gruppo di lavoro interdisciplinare Molecular Tumor Board, individuando le diverse figure professionali coinvolte “a cui affidare il compito di definire indirizzo in materia di profilazione genomica nonché interpretare i dati provenienti dalle analisi molecolari del profilo genetico del tumore di un paziente e di proporre la terapia più adeguata in base alle migliori conoscenze scientifiche”. Regolamentazioni analoghe, anche se con diverse modulazioni, sono in corso di discussione e di realizzazione in altre regioni italiane. Si producono così normative che prevedono l’istituzione di un MTB e ne sanciscono le funzioni.

Definita l’area di competenza per aree vaste o regionale è indispensabile un collegamento diretto dell’MTB con la rete oncologica regionale, di cui dovrebbe essere una diretta derivazione, e con i rispettivi comitati etici. In quest’ambito risulta indispensabile un’adeguata attività di aggiornamento e formazione che riguardi sia direttamente i diversi professionisti coinvolti nell’MTB che l’intera rete oncologica regionale, finalizzata allo sviluppo delle conoscenze e a un approccio culturale e strategico condiviso.

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Appendice.

Decreto n. 67 dell’8 luglio 2019 “Istituzione del gruppo di lavoro interdisciplinare Molecular Tumor Board (MTB)”

di stampare nel mese di ottobre 2019 da Ti Printing S.r.l. Via delle Case Rosse 23, 00131 Roma per conto de Il Pensiero Scientifico Editore, Roma

Materiale di consultazione scientifica notificato ad AIFA in data 17/10/2019 ai sensi dell'art 123 D.lvo 219/2006

Finito

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