ACC.19: le tre sotto-analisi dello studio DECLARE-TIMI 58

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cardioinfo Ist ant anee di cardiologia

ACC.19:

le tre sotto-analisi

dello studio DECLARE-TIMI 58


cardioinfo Circa 415 milioni di adulti al mondo soffrono di diabete mellito, un gruppo di disturbi metabolici caratterizzati da un incremento patologico della concentrazione di glucosio nel sangue. Una prevalenza, questa, in continuo aumento: se nel 1964 si riteneva che il numero di pazienti affetti da questa classe di disturbi a livello globale si aggirasse intorno ai 30 milioni,1 ora si stima che questo raggiungerà i 640 milioni nel 2040.2 In Italia, secondo i dati riportati dalla Società Italiana di Diabetologia, i soggetti affetti da questa patologia sono circa 3 milioni, anche se si ritiene che un ulteriore mezzo milione di persone lo sia in modo inconsapevole.3 È noto che il diabete mellito, e in particolare quello di tipo 2 (T2D), costituisce un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di patologie cardiovascolari come ictus, fibrillazione atriale e scompenso cardiaco (HF), le quali a loro volta rappresentano la prima causa di morte tra i soggetti diabetici.4,5 Alla luce di questa intersezione, quindi, è fondamentale sviluppare delle terapie per il diabete che siano anche efficaci nel ridurre il rischio cardiovascolare. Vanno a inserirsi in questo contesto gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2), classe di farmaci sviluppati per il trattamento dell’iperglicemia nei pazienti affetti da T2D.6,7 Questi agiscono attraverso l’inibizione selettiva del SGLT2 presente a livello del primo segmento del tubulo renale prossimale, il quale è in grado di riassorbire l’80-90% del glucosio filtrato dai glomeruli accoppiando l’energia elettrochimica prodotta dal trasporto attivo del sodio al co-trasporto del glucosio.8 Sfruttando questo meccanismo, quindi, la somministrazione di inibitori del SGLT2 produce glicosuria e comporta una riduzione dei livelli di glucosio nel sangue.

Lo studio

DECLARE-TIMI 58 Il trial DECLARE (Dapagliflozin Effect on Cardiovascular Events) -TIMI 58, i cui risultati sono stati presentati in occasione dell’edizione 2018 del Meeting annuale dell’American Heart Association, è uno studio multicentrico randomizzato in doppio cieco controllato con placebo, progettato per valutare l’effetto del trattamento con l’inibitore del SGLT2 dapagliflozin rispetto a un placebo sugli esiti cardiovascolari negli adulti con T2D con pregressa patologia cardiovascolare o con soli multipli fattori di rischio.9

2

In totale, sono stati inclusi nello studio 17.160 pazienti, di cui 6974 (40,6%) con storia pregressa di patologia cardiovascolare e 10.186 (59,4%) pazienti senza storia pregressa di patologia cardiovascolare ma con plurimi fattori di rischio cardiovascolare, i quali sono stati randomizzati per ricevere 10 mg di dapagliflozin o un placebo. Solo il 10% dei soggetti reclutati aveva una storia di HF. In media, i soggetti reclutati erano caratterizzati al basale da livelli di HbA1c di 8,3±1,2%, una durata del diabete di 11,0 anni e una velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) di 85,2 mL/min/1,73 m2 (con il 45% dei soggetti con eGFR compresa tra 60 e 90 mL/min/1,73 m2). Il follow-up mediano è stato di 4,2 anni. Oltre a confermare l’utilità degli inibitori del SGLT2 nei pazienti diabetici con accertata patologia cardiovascolare, lo studio DECLARE-TIMI 58 ha dimostrato, per la prima volta, la capacità di dapagliflozin di ridurre il rischio di morte cardiovascolare (CV) o ospedalizzazioni per HF in una popolazione molto ampia, anche in pazienti con multipli fattori di rischio, senza storia pregressa di patologia cardiovascolare. La rilevanza di questa evidenza è stata alla base delle recentissime linee guida per la prevenzione cardiovascolare dell’American Heart Association/American College of Cardiology che suggeriscono l’impiego degli inibitori del SGLT2 in prevenzione primaria per i pazienti diabetici con altri fattori di rischio (classe di raccomandazione IIb, livello di evidenza B).10 Inoltre, nel corso dell’ultima edizione del Meeting annuale dell’American College of Cardiology, tenutasi a New Figura 1. DECLARE-TIMI 58: endpoint primari e secondari Endpoint primario di sicurezza: MACE Non inferiorità Se non inferiore... Endpoint co-primari di efficacia: MACE o mortalità CV/ospedalizzazioni per scompenso cardiaco Se entrambi significativi... Endpoint composito renale Se significativo... Mortalità per tutte le cause


cardioinfo Orleans dal 16 al 18 marzo 2019, sono state presentate tre importanti sotto-analisi dello studio DECLARE-TIMI 58, le quali hanno chiarito gli effetti di dapagliflozin in relazione a sottogruppi specifici di pazienti a elevato rischio cardiovascolare.

Diabete di tipo 2 e precedente infarto acuto del miocardio Nella prima sotto-analisi dello studio DECLARE-TIMI 58 presentata al Meeting dell’American College of Cardiology, un gruppo di ricerca coordinato da Remo H. M. Furtado del Thrombolysis in Myocardial Infarction (TIMI) Study Group del Brigham and Women’s Hospital di Boston ha preso in esame i dati del trial relativi al sottogruppo di pazienti con T2D e precedente infarto acuto del miocardio (IMA) (n=3584), col fine di valutare l’efficacia di un trattamento con dapagliflozin nel ridurre il rischio cardiovascolare in questa specifica classe di pazienti.11 Tra i pazienti con un precedente IMA, infatti, quelli affetti da T2D rappresentano il gruppo più a rischio.12 Lo dimostra il fatto che, nonostante gli standard di cura attuali, questi pazienti ottengono un beneficio significativo, in

termini di riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori (MACE), da interventi di prevenzione secondaria prolungati.13,14,15 I pazienti con T2D e precedente IMA rappresentavano un gruppo di interesse pre-specificato dello studio DECLARETIMI 58, quindi le informazioni relative a un precedente IMA, quali la data dell’ultimo evento e i trattamenti farmacologici associati, sono state raccolte al momento dell’arruolamento. Gli endpoint erano quelli dello studio principale, ovvero, per quanto riguarda quelli primari di efficacia, MACE (misura composita di morte CV, infarto miocardico o ictus ischemico) e l’endpoint composito di morte CV o ospedalizzazioni per HF. Gli esiti secondari, invece, erano costituiti dalle singole componenti degli endpoint coprimari più la mortalità per tutte le cause e da una misura composita renale costituita da: diminuzione (almeno) del 40% del filtrato glomerulare stimato (eGFR; calcolato mediante l’equazione Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration),16 malattia renale in fase terminale (o terapia sostitutiva renale per 90 giorni o più, trapianto renale o velocità di filtrazione glomerulare sostenuta di 15 ml/ min/1,73 m2 o meno), morte CV o renale. Dai risultati è emerso che il trattamento con dapagliflozin ha ridotto il rischio relativo di MACE del 16% (HR 0,84; 95% CI da 0,72 a 0,99; p=0.039) e il rischio assoluto del 2,6% (15,2% vs. 17,8%; 95% CI 0,1% al 5,0%). Nella stessa popolazione dapagliflozin ha ridotto, rispetto al placebo, il rischio di ospedalizzazione per HF o morte CV. Il beneficio, infine, era ancor più evidente se il precedente infarto miocardico

Figura 2. MACE ed endpoint composito di morte CV/ospedalizzazioni per HF nei pazienti con precedente IM vs. senza precedente IM

20

Pz. con precedente IM Pz. senza precedente IM

Morte CV o ospedalizzazione per HF

16.2%

15 10 7.0% 5

0

0

360

720 Giorni

1080

1440

Tasso di incidenza cumulativa (%)

Tasso di incidenza cumulativa (%)

Morte CV, IM o ictus

9.5%

Pz. con precedente IM Pz. senza precedente IM

10 7.5 5

4.1%

2.5 0

0

360

720

1080

1440

Giorni

3


cardioinfo si era verificato a meno di 2 anni dall’arruolamento. È importante notare come la popolazione di pazienti con precedente infarto miocardico avesse una probabilità circa 2 volte maggiore di eventi cardiovascolari maggiori e di HF/ morte CV. Appare evidente, quindi, la capacità di dapagliflozin di ridurre il rischio assoluto in questa popolazione, rafforzando ulteriormente la raccomandazione, riportata dalle linee guida della European Society of Cardiology del 2016, ad utilizzare gli inibitori del SGLT2 nei pazienti con diabete mellito e malattia cardiovascolare (classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza B).17

Diabete di tipo 2 e scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione Nella seconda sotto-analisi presentata al Meeting dell’American College of Cardiology, invece, un gruppo di ricerca coordinato da Eri T. Kato del Department of Cardiovascular Medicine della Kyoto University Graduate School of Medicine ha preso in esame i dati del trial DECLARETIMI 58 relativi al sottogruppo di pazienti con scompenso cardiaco (HF) a ridotta frazione di eiezione (HFrEF).18

Il T2D è infatti un fattore di rischio ben noto per lo scompenso,19 e lo scompenso risulta infatti essere in Italia la prima causa di ospedalizzazione nei pazienti con T2D. Tuttavia, mentre sono stati fatti molti progressi nel tentativo di migliorare gli outcome cardiovascolari di questi pazienti, rispetto ad altre condizioni la gestione del rischio di HF non ha raggiunto gli stessi risultati.20 C’è quindi un bisogno urgente, anche alla luce dell’aumento del numero di pazienti affetti da queste due condizioni, di terapie efficaci in grado di affrontare l’aumento del carico atteso di HF.21 Per valutare l’efficacia di dapagliflozin in questo senso, i ricercatori hanno effettuato un confronto tra i 671 (3,9%) soggetti con HFrEF dello studio DECLARE-TIMI 58 e i 16489 (96,1%) che invece non presentavano questa condizione, di cui 1316 (7,7%) con HF senza ridotta frazione di eiezione e 15173 (88,4%) che non avevano HF al baseline. Tra i soggetti reclutati, poi, 808 (4,7%) avevano una EF ≥45 mentre 508 (3%) avevano una EF sconosciuta. Gli endpoint primari di interesse erano costituiti dalla misura composita di morte CV o ospedalizzazioni per HF, dalle sue componenti prese singolarmente e dalla mortalità per tutte le cause. Per quanto riguarda gli endpoint secondari, invece, sono stati presi in considerazione i MACE, comprensivi di morte CV, infarto miocardico e ictus ischemico, e l’esito composito renale costituito da diminuzione sostenuta di eGFR ≥40% rispetto al basale, malattia renale allo stadio terminale o morte renale. Il trattamento con dapagliflozin ha ridotto l’endpoint caratterizzato dai decessi per cause cardiovascolari o dalle ospedalizzazioni per HF in modo più marcato nei pazien-

Figura 3. Mortalità per tutte le cause e morte CV nei pazienti con HFrEF vs. senza HFrEF Mortalità per tutte le cause HFrEF: (N=671) Dapagliflozin Placebo

15

17.7%

Not HFrEF: (N=15173) Dapagliflozin Placebo

11.3%

10

5.5% 5

0

5.4%

0

1

2

Anni

4

3

4

20

Tasso di incidenza cumulativa (%)

Tasso di incidenza cumulativa (%)

20

Morte CV HFrEF: (N=671) Dapagliflozin Placebo

15

Not HFrEF: (N=15173) Dapagliflozin Placebo

12.4%

10

7.2% 5

2.5% 2.3% 0

0

1

2

Anni

3

4


cardioinfo ti con HFrEF (HR 0,62, 95% CI da 0,45 a 0,86) rispetto a quelli senza HFrEF (HR 0,88, 95% CI da 0,76 a 1,02; P-interaction 0,046), mentre l’effetto di dapagliflozin è risultato simile nei pazienti con HF senza ridotta frazione di eiezione (HR 0,88, 95% CI da 0,66 a 1,17) e in quelli senza HF (HR 0,88, 95% CI da 0,74 a 1,03). Nonostante il trattamento con dapagliflozin abbia ridotto le ospedalizzazioni per HF sia nei pazienti con HFrEF (HR 0,64, 95% CI da 0,43 a 0,95) sia in quelli senza HFrEF (HR 0,76, 95% CI da 0,62 a 0,92), ha ridotto i decessi per cause cardiovascolari solo nei pazienti con HFrEF (HR 0,55, 95% CI da 0,34-0,90) e non in quelli senza HFrEF (HR 1,08, 95% CI da 0,89 a 1,31, P-interaction 0,012). Allo stesso modo, il trattamento con dapagliflozin si è mostrato in grado di ridurre la mortalità per tutte le cause nei pazienti con HFrEF (HR 0,59, 95% CI da 0,40 a 0,88) ma non in quelli senza HFrEF (HR 0,97, 95% CI da 0,86 a 1,10, P-interaction 0,016). In presenza, dunque, di HF e ridotta frazione d’eiezione, il beneficio ottenuto dalla somministrazione di dapagliflozin è ancora maggiore e si traduce non solo nella riduzione degli eventi legati allo HF ma anche nella riduzione della mortalità cardiovascolare e in quella per tutte le cause. Un risultato ancor più rilevante, questo, se si considera da un lato il rischio particolarmente elevato di eventi in questo gruppo di pazienti e dall’altro la riduzione del rischio assoluto ottenuta dalla somministrazione del farmaco, tale da rendere estremamente basso il numero di pazienti necessario da trattare (NNT) per risparmiare un evento: 11 per l’endpoint ospedalizzazione per scompenso/morte CV, 19 per la morte CV e 16 per la mortalità per tutte le cause.

Figura 5. Morte CV e ospedalizzazioni per HF nei sottogruppi di pazienti con HFrEF, senza HFrEF, con HF senza rEF, con EF ≥ 45%, con EF sconosciuta e senza una storia di HF Morte CV Placebo Km (%)

1.41

5.0

1.44

EF sconosciuta (n=508)

5.5

1.33

No storia di HF (n=15.173)

2.1

1.01

Meglio placebo

10

Placebo Km (%) 19.0

HFrEF (N=671)

HR 0.64 P-int 0.615

Non HFrEF (N=16.489)

2.7

0.76

HF senza rEF (N=1.316)

10.6

0.72

EF ≥45% (n=808)

12.1

0.74

EF sconosciuta (n=508)

8.0

0.70

No storia di HF (n=15.173)

2.0

0.77

0.1

Meglio 1 dapagliflozin

Meglio placebo

10

Mortalità per tutte le cause

5

1260

0 1440

1260

1440

1080

720

900

360

540

0

0

5

1080

5

10

720

10

15

900

15

20

360

20

NNT(4 anni)=16

25

540

25

30

0

NNT(4 anni)=19

180

Tasso di incidenza cumulativa (%)

30

180

1260

1440

0 1080

5.2

EF ≥45% (n=808)

Meglio 1 dapagliflozin

1.08

Ospedalizzazioni per HF

Tasso di incidenza cumulativa (%)

5

720

1260

1440

1080

720

900

360

540

0

0

10

900

5

15

360

10

20

540

15

HF senza rEF (N=1.316)

Morte CV

25

0

20

2.3

Km: kaplan meier.

NNT(4 anni) =18

180

25

30

Non HFrEF (N=16.489)

0.1

Ospedalizzazioni per HF Tasso di incidenza cumulativa (%)

NNT(4 anni) =11

180

Tasso di incidenza cumulativa (%)

30

HR 0.55 P-int 0.011

Figura 4. NNT per risparmiare un evento: ospedalizzazione per HF/morte CV, ospedalizzazioni per HF, morte CV, mortalità per tutte le cause Ospedalizzazioni per HF/morte CV

12.4

HFrEF (N=671)


cardioinfo Figura 6. Dapagliflozin vs. placebo nei pazienti con e senza PAD Efficacia di dapagliflozin vs. placebo nei pazienti con e senza PAD

Amputazioni

KM (%) at 4 Yrs P-interaction

0.92

0.42

1.05

Dapa

ARR

9.0%

8.3%

0.7%

15.9% 16.9%

0%

Morte CV o ospedalizzazioni per HF

0.82 0.86

4.5%

0.9%

Durata del diabete >20 y

12.1% 10.7%

1.4%

eGFR 60-90

5.4%

0.84

0.76

0.75

5.3%

4.0%

1.3%

10.9%

8.8%

2.1%

NoPAD PAD Complessivo 1.00

1.21 1.06

1.20

HbA1C 7% - <8%

1.37

HbA1C 8% - <9%

0.88

HbA1C ≥9%

0.09

0.93

NoPAD

1.51

PAD

Pbo n/N 62/4619

48/3948

51/3950

20/1883

14/1948

20/2373

22/2354

27/2014

21/1936

33/1246

25/1186

23/1058

31/1144

11/604

15/658

55/3836

46/3890

57/4133

52/4021

0.55

1.05

4/771

4/772

35/3314

29/3306

30/2190

24/2324

54/2297

56/2163

79/8053

85/8067

44/521

28/502

1.19

Complessivo

1.5

Nella terza sotto-analisi presentata, infine, i ricercatori coordinati da Marc P. Bonaca del Brigham and Women’s Hospital e della Harvard Medical School di Boston hanno preso in esame i dati del trial DECLARE-TIMI 58 relativi al sottogruppo dei pazienti con T2D e malattia arteriosa periferica (PAD).22 Dati precedenti relativi a un altro inibitore del SGLT2, infatti, avevano messo in evidenza un preoccupante aumento del rischio di amputazione in questa popolazione ad alto rischio. Scopo della sotto-analisi, quindi, era di mettere a confronto l’efficacia di dapagliflozin rispetto a placebo nella prevenzione di eventi cardiaci e renali e, soprattutto, valutare la sicurezza di dapagliflozin riguardo agli eventi ischemici degli arti inferiori e alle amputazioni nei pazienti con o senza malattia arteriosa periferica. I ricercatori hanno preso in considerazione i 1025 (6%) pazienti con T2D e PAD arruolati nel trial DECLARE-TIMI 58 e hanno analizzato, per quanto riguarda l’efficacia di dapagliflozin, il tasso di MACE, l’endpoint composito di

0.69

0.84

eGFR <60

0.50

Meglio placebo

Diabete di tipo 2 e malattia arteriosa periferica

6

1.23 0.80

HbA1C <7%

0.78

Meglio dapagliflozin

1.24

eGFR ≥90

0.76

0.59

0.92

Durata del diabete >5 - ≤10 y Durata del diabete >15 - ≤20 y

0.83 Endpoint primario renale

1.46

Durata del diabete >10 - ≤15 y

0.79

75/4626

0.95

Età ≥65 y Durata del diabete ≤5 y

0.93

0.39

1.19

Età <65 y

0.75

1.00

Meglio dapagliflozin

1.5

3.0

Meglio placebo

Figura 7. Amputazioni nei pazienti in trattamento con dapagliflozin vs. placebo 2.0

1.5

HR 1.09 (0.84–1.40)

HR 0.99 (0.41–2.39)

1.43%

HR 1.18 (0.67–2.08)

HR1.14 (0.85–1.53)

Tutti i valori di p >0.05 1.32%

n/N (%)

Morte CV, 1M, ictus

Dapa n/N

P-interaction

Pbo

1.12% 0.98%

1.0

0.5 0.3%

0.26%

0.12% 0.12%

0.0

123

113

10

10

26

22

96

84

Amputazioni Amputazioni Amputazioni Amputazioni per ischemia per ischemia per infezioni acuta critica degli arti degli arti Dapagliflozin (8574)

Placebo (8569)

morte CV o ospedalizzazioni per HF e la progressione del danno renale. Per quanto riguarda la sicurezza, invece, sono stati analizzati il numero di amputazioni, quello di rivascolarizzazioni periferiche e quello di eventi avversi di natura ischemica a livello degli altri. Il trattamento con dapagliflozin è risultato efficace nella riduzione dei decessi per cause cardiovascolari, dello HF


cardioinfo e degli eventi renali, indipendentemente dalla presenza di PAD. Tuttavia, il vantaggio è risultato molto più marcato nei pazienti con PAD. In totale, si sono registrati 560 eventi ischemici agli arti inferiori, 454 rivascolarizzazioni degli arti inferiori e 236 amputazioni, ma non è stata riscontrata una differenza statistica significativa in merito a questi tre parametri nel gruppo di pazienti trattati con dapagliflozin (HR 0,86 da 0,65 a 1,15 per le rivascolarizzazioni; HR 0,93 da 0,71 a 1,23 per gli eventi ischemici; HR 1,51 da 0,94 a 2,24 per le amputazioni). Questi risultati sfatano, quindi, ogni timore riguardo un profilo di minore sicurezza di dapagliflozin nei pazienti con vasculopatia periferica. Al contrario, poiché questi pazienti presentano molte analogie con i pazienti con precedente infarto miocardico o con una storia pregressa di HF, è probabile che possano trarre un beneficio ancora maggiore da un trattamento capace di modificare la storia naturale dei pazienti diabetici, migliorandone l’aspettativa di vita e riducendo il rischio di eventi cardiovascolari.

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22. Bonaca P, Wiviott S, Zelniker T, et al. Dapagliflozin and Outcomes in Patients with Peripheral Artery Disease: Insights from DECLARE - TIMI 58. Presentato al Meeting annuale dell’American College of Cardiology il 18 marzo 2019.

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