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DOAC: l’appropriatezza tra efficacia e sicurezza
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Introduzione
I dosaggi
I nuovi anticoagulanti orali (NAO) hanno costituito una vera rivoluzione nella profilassi tromboembolica nei pazienti con fibrillazione atriale (FA). I NAO, sia inibitori diretti della trombina (dabigatran) che inibitori diretti del fattore Xa (rivaroxaban, apixaban, edoxaban), gli studi di fase III hanno dimostrato almeno una non inferiorità nei confronti del warfarin nella riduzione del rischio ischemico e tromboembolico della FA e hanno comportato una riduzione dei sanguinamenti fatali, in particolare delle emorragie intracraniche. I NAO presentano il vantaggio di essere somministrabili in dosi fisse giornaliere e di non richiedere il monitoraggio periodico dell’international normalized ratio (INR). In particolare il loro profilo di sicurezza ha permesso, almeno in parte, di aumentare la diffusione e l’appropriatezza di prescrizione della terapia anticoagulante orale (TAO). Il timore delle emorragie, infatti, costituisce la remora principale per l’utilizzo della TAO, soprattutto nei pazienti anziani. Nei pazienti con FA di nuovo riscontro ed indicazione alla TAO (warfarin-naïve) e nei pazienti trattati in modo inappropriato con solo antiaggregante, i NAO si collocano come l’anticoagulante di scelta, sempre di più anche nella popolazione degli anziani e molto anziani in considerazione dei dati di sicurezza ed efficacia che derivano sia dai trial registrativi e che dai dati di mondo reale. Indicazioni prioritarie per i NAO sono rappresentate non solo dai pazienti con difficoltà logistiche nell’effettuare il monitoraggio laboratoristico periodico o con pregresso ictus ischemico e emorragia in corso di warfarin, ma anche nei pazienti che hanno una buona gestione dell’INR in quanto il rischio di emorragia intracranica è marcatamente più basso con i NAO indipendentemente dal controllo dell’INR. In particolare, in pazienti in prevenzione secondaria, soprattutto se l’ictus è avvenuto in corso di terapia con warfarin, il NAO diventa il farmaco di scelta per le caratteristiche di efficacia e sicurezza mostrata negli studi registrativi. In caso di pregressa emorragia intracranica, quando in base al profilo di rischio tromboembolico ed emorragico (sede dell’emorragia, presenza di fattori anatomici correggibili) si ritiene possibile e necessaria la ripresa della terapia anticoagulante o per cui sono state escluse strategie alternative (chiusura dell’auricola sinistra), questa dovrebbe essere certamente effettuata con un NAO, eventualmente a basso impatto sul rischio emorragico.
Nel momento della scelta del farmaco anticoagulante è necessario rispettare le indicazioni per la riduzione dei dosaggi: la percezione di un elevato rischio emorragico sul piano clinico ha infatti in alcuni casi portato ad un utilizzo inappropriato dei dosaggi ridotti in pazienti che non avevano le caratteristiche necessarie (il 9,4% nel registro ORBIT-AF II, dati pubblicati nel 2016), esponendoli ad un rischio tromboembolico non giustificabile. Uno studio realizzato dalla Mayo Clinic di Rochester ha quindi indagato gli effetti, in termini di efficacia e sicurezza, che emergono in situazioni di sovradosaggio e sottodosaggio. I risultati, pubblicati sul Journal of the American College of Cardiology, mostrano che entrambe le condizioni possono portare a outcome di salute negativi. Sono stati inclusi nello studio 14.865 pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare, sottoposti a trattamento con un NAO (apixaban, dabigatran o rivaroxaban) nel periodo compreso tra ottobre 2010 e settembre 2015. Di questi, 1.473 avevano un’indicazione a ricevere un dosaggio ridotto per un’insufficienza renale, mentre i restanti 13.392 pazienti no. Gli Autori hanno preso in considerazione due possibili scenari: uno caratterizzato dall’utilizzo di un dosaggio standard in soggetti con un’indicazione a un dosaggio ridotto (sovradosaggio) e uno caratterizzato da un dosaggio ridotto in pazienti senza tale indicazione (sottodosaggio). Gli endpoint primari erano rappresentati dal tasso di ictus ischemici ed eventi embolici, per quanto riguarda l’efficacia del trattamento, e dal tasso di emorragie maggiori, per quanto riguarda la sicurezza. Dai risultati è emerso che i pazienti con indicazione a ridurre il dosaggio per compromissione della funzionalità renale hanno ricevuto un dosaggio standard (sovradosaggio) nel 43% dei casi, mentre quelli che non presentavano questa condizione hanno ricevuto un dosaggio ridotto (sottodosaggio) nel 13,3% dei casi. Il gruppo dei pazienti esposto a sovradosaggio è risultato associato a un rischio maggiore di emorragie (HR: 2,19; C.I. 95%: 1,07-4,46; P=0,03), senza alcun beneficio significativo in termini di riduzione del numero di ictus (HR: 1,66; C.I. 95%: 0,40-6,88; P=0,48). Tra i pazienti esposti a un sottodosaggio, invece, quelli sottoposti ad apixaban – e non a rivaroxaban o dabigatran – sono risultati associati a un rischio di 5 volte maggiore di andare incontro a un ictus (HR: 4.87; C.I. 95%: 1,30-18,26; P=0,02), senza benefici in termini di rischio emorragico (HR: 1,29; C.I. 95%: 0,48-3,42; P=0,61). “Questi
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cardioinfo risultati – si legge nella conclusione dello studio – suggeriscono che la tendenza a prescrivere un dosaggio ridotto di apixaban a pazienti senza insufficienza renale si associa a una riduzione dell’efficacia in termini di prevenzione dell’ictus”.
Figura 1. Off-label dosing of non-vitamin K antagonist oral anticoagulants and adverse outcomes.
Events During Follow-up (per 100 Patient-Years)
60
Baseline NOAC Dosing
50
3,4% 9,4%
52,0 49,0 43,0
40 87,0%
30
20
10
6,9 3,6 4,1
0
6,3 1,3 2,0 2,3
0,8 1,1 0,5
SSE
MI
Major Bleeding
8,1
3,0
All All-Cause Hospitalization Mortality
Recommended Dose Under-Dosed Over-Dosed Steinberg BA, et al. J Am Coll Cardiol 2016;68:2597-604.
I NAO in commercio possiedono tutti due dosaggi utilizzabili per la prevenzione dell’ictus ischemico e dell’embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV). Tali dosaggi, pur essendo genericamente definiti come dosaggi pieni e dosaggi ridotti, in realtà presentano delle differenze significative sia da un punto di vista farmacologico che clinico, determinando due diversi scenari di utilizzo tra l’unico inibitore diretto del fattore II, il dabigatran, e gli inibitori diretti del fattore Xa (apixaban, edoxaban e rivaroxaban). Spiega Andrea Rubboli della UO di Cardiologia – Laboratorio di Emodinamica dell’Ospedale Mag giore di Bologna: “Tali differenze scaturiscono dal diverso disegno degli studi registrativi nei quali i NAO sono stati confrontati con warfarin nella prevenzione di ictus e/o tromboembolia sistemica nei pazienti con FANV. Mentre nello studio RE-LY sono state valutate due diverse intensità di trattamento con dabigatran (150 e 110 mg bid) in una medesima popolazione, negli studi ROCKET AF, ARISTOTLE ed ENGAGE AF-TIMI 48 due popolazioni diverse sono state esposte ad una medesima intensità di trattamento, ottenuta tuttavia con l’uso selettivo delle due dosi di rivaroxaban (20/15 mg/die), apixaban (5/2.5 mg bid) ed edoxaban (60/30 mg/die). Con le due dosi di dabigatran si è ottenuto un effetto su efficacia e sicurezza proporzionale all’intensità del trattamento. Con le due dosi di inibitori del fattore Xa si è ottenuto un medesimo effetto su efficacia e sicurezza (eccezion fatta per edoxaban risultato ancora più sicuro con riduzione della dose).
Figura 2. Confronto tra dabigatran, apixaban, rivaroxaban e warfarin negli studi RE-LY, ARISTOTLE e ROCKET AF. RE-LY Dabigatran 150 mg. VHD Dabigatran 150 mg. No VHD Dabigatran 110 mg. VHD Dabigatran 110 mg. No VHD
NOAC Warfarin Event Rate/Year (n) Event Rate/Year (n)
Hazard Ratio 95% CI
Interaction P-value 0,63
1,12 (30) 1,11 (104) 1,12 (30) 1,12 (30)
1,9 (49) 1,66 (153) 1,9 (49) 1,9 (49)
0,59 [0,37, 0,93] 0,67 [0,52, 0,86] 0,59 [0,37, 0,93] 0,59 [0,37, 0,93]
1,46 (64) 1,2 (148)
2,08 (89) 1,43 (176)
0,70 [0,51, 0,97] 0,84 [0,67, 1,04]
2,01 (38) 1,96 (231)
2,43 (50) 2,22 (256)
0,83 [0,55, 1,27] 0,89 [0,75, 1,07]
ARISTOTLE Apixaban 5 mg. VHD Apixaban 5 mg. No VHD
0,38
ROCKET AF Rivaroxaban 20 mg. VHD Rivaroxaban 20 mg. No VHD
0,65
0,70
0,5 1,0 1,5 2,0 Favor NOAC Favor Warfarin
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cardioinfo Avverte Sergio Agosti della SC di Cardiologia dell’O spedale San Giacomo di Novi Ligure (AL): “In termini pratici ciò si traduce sostanzialmente in una forte raccomandazione per il clinico a seguire con attenzione i criteri di riduzione dei dosaggi per ogni inibitore del fattore Xa, eliminando completamente la discrezionalità clinica. La nostra particolare attenzione verso il concetto del primum non nocere ci ha spinti infatti ad un utilizzo probabilmente eccessivo dei dosaggi ridotti. Ad oggi il 40% circa dei pazienti assume il dosaggio ridotto degli inibitori del fattore Xa ed il 60% dei pazienti in dabigatran assume il dosaggio 110 mg bid. Questa sovraprescrizione di bassi dosaggi per gli inibitori del fattore Xa potrebbe portare ad avere una certa quota di pazienti con FANV sottodosati, e quindi a maggior rischio embolico cerebrale e sistemico. Tale concetto è supportato da dati osservazionali del “mondo reale” che mostrano come un utilizzo delle dosi ridotte in condizioni non adeguate possa non fornire un’adeguata protezione contro gli eventi cardioembolici. Tale aspetto è particolarmente evidente con la dose ridotta di apixaban, la quale nella pratica clinica è usata fino a 4 volte di più rispetto allo studio registrativo e nei confronti della quale dovremmo fare uno sforzo culturale, allineandoci maggiormente alle indicazioni di riduzione del dosaggio derivanti dallo studio registrativo (e non genericamente riferendoci alla clearance della creatinina)”.
Le interazioni Spiega Silvia Zagnoni della UO di Cardiologia del l’Ospedale Maggiore di Bologna: “Uno dei grandi limiti dei “vecchi” antagonisti della vitamina K sono le numerose interazioni farmacologiche. Recentemente la guida pratica EHRA ha aggiornato le interazioni farmacologiche dei NAO di cui dobbiamo tenere conto nella scelta della molecola da utilizzare: dabigatran e rivaroxaban non possono essere utilizzati in associazione al dronedarone. Solo edoxaban può essere utilizzato (con cautela) in concomitanza con rifampicina ed è prevista la possibilità di utilizzo, riducendo il dosaggio, con ketoconazolo, itraconazolo e voriconazolo. Apixaban ed edoxaban possono essere utilizzati con cautela in associazione a carbamazepina, fenobarbital e fenitoina (mentre nessun NAO può essere utilizzato con levetiracetam e acido valproico). Tenendo conto delle indicazioni, dunque, i farmaci anticoagulanti orali attualmente disponibi-
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li ci consentono una buona personalizzazione della terapia, adeguandola alle caratteristiche cliniche e al profilo di rischio del paziente con l’obiettivo di minimizzare gli eventi tromboembolici ed emorragici”. All’EHRA Congress 2018, il meeting annuale dell’European Heart Rhythm Association tenutosi a Barcellona, sono state presentate le Linee Guida aggiornate per l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti diretti. Ampio spazio è stato riservato al tema delle interazioni tra i NAO e gli altri farmaci. Nonostante queste siano minori rispetto a warfarin, alcune necessitano comunque di essere monitorate con attenzione. Ad esempio, quelle relative a farmaci la cui attività coinvolge la glicoproteina P o l’enzima CYP3A4. È da evitare con tutti i NAO, quindi, l’uso concomitante con molti inibitori della proteasi dell’HIV e, solo per alcuni, con dronedarone, rifampicina, itraconazolo, ketoconazolo, voriconazolo, iperico, dexametasone. Giuseppe Boria ni, Cattedra di Cardiologia, Policlinico di Modena, Università di Modena e Reggio Emilia, spiega: “Ci sono differenze importanti tra i NAO relativamente alla quota di metabolizzazione epatica o renale, al legame con le proteine plasmatiche, ma soprattutto all’interazione. Abbiamo varie possibilità di trattamento e di condurre un tailoring sul profilo del paziente, sui trattamenti concomitanti e anche relativamente alla possibilità di assumere un farmaco una o due volte al giorno. Così – ad esempio – se un paziente assume già molti farmaci che metabolizzano a livello epatico, sarà ragionevole non prescrivere un NAO che ha una maggior quota di metabolizzazione epatica. Si dovrà e potrà scegliere al meglio in base al profilo del paziente”. Scrivono Alessandro Nobili e Luca Pasina del Laboratorio di Valutazione della Qualità delle Cure, IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano in un articolo pubblicato sul Giornale Italiano di Farmacoeconomia e Farmacoutilizzazione: “Gli anziani rappresentano indubbiamente la popolazione maggiormente sensibile alle interazioni e alle reazioni avverse da farmaci a seguito delle alterazioni fisiologiche associate all’invecchiamento e ai loro effetti sui parametri farmacocinetici e farmacodinamici con conseguente alterazione della normale risposta ai trattamenti farmacologici. Gli effetti dell’invecchiamento sulla farmacocinetica e farmacodinamica sono complessi e dipendono da numerosi fattori, tra cui la composizione della massa corporea, lo stato di salute dei diversi organi e l’attività dei sistemi enzima-
cardioinfo Figura 3. Initiation and structured follow-up of patients on non-vitamin K antagonist oral anticoagulants. Initiator of anticoagulant treatment: {{Establishes indication for anticoagulation {{Checks baseline blood works, incl. hemoglobin, renal and liver function, full coagulation panel {{Chooses anticoagulant and correct dose {{Decides on need for proton pump inhibitor {{Provides education and hands out anticoagulation card {{Organises follow-up (when, by whom, what?) {{Remains responsible coordinator for follow-up first FU: 1 month
Follow-up: GP; anticoagulant or AF clinic; initiator of therapy; ...
+/- 3 months (1-6 months, interval depending on patient factors incl. renal function, age, comorbidities etc)
{{Checks for thromboembolicand bleeding events {{Assesses adherence (remaining pills, NOAC card, ...), re-enforces education {{Checks for side effects {{Assesses co-medications and over-the-counter drugs {{Assesses modifiable risk factors and takes every effort to minimize them {{Determines the need for blood sampling {{Assesses optimal NOAC and correct dosing
In case of problems: contacts initiator of treatment. Difficult decisions on anticoagulation should be taken by a multidisciplinary team. Otherwise: {{Fills out anticoagulation card {{Reinforces key educational aspects {{Sets date/place for next follow-up
tici. La politerapia è una condizione abbastanza comune nei soggetti anziani e se da un lato può rendersi necessaria per trattare patologie o sintomi che si presentano con maggior frequenza negli anziani, dall’altro può rappresentare di per sé un fattore di rischio per diversi aspetti, tra cui gli eventi avversi farmaco-correlati, l’uso di farmaci potenzialmente inappropriati (potentially inappropriate medication, PIM) e il rischio di interazioni tra farmaci”. Ma i clinici sono sufficientemente attenti al tema delle interazioni tra farmaci? E come sensibilizzarli meglio sull’argomento? Spiega Daria Bettoni dell’UO Farma cia dell’ASST Spedali Civili di Brescia: “I clinici sanno che le interazioni tra farmaci sono molto importanti ovviamente, però è necessario fornire loro degli strumenti efficaci per valutarle, perché è difficile effettuare un’analisi di terapie molto complesse. Abbiamo pazienti con comorbilità che assumono fino a dieci farmaci contemporaneamente e quindi il rischio di interazioni in alcuni casi è molto elevato. Il Ministero della Salute ha posto l’accento su questo problema con una raccomandazione numero 17 sulla Riconciliazione terapeutica emessa nel 2014: questa raccomandazione dice che quando un paziente viene ricoverato in ospedale o viene trasferito da un reparto all’altro e quindi cambia setting di cura oppure viene dimesso, tutte le volte occorre fare un’accurata anamnesi e una valutazione delle prescrizioni potenzialmente inappropriate, che possono essere: dosaggi inappropriati, indicazioni di farmaco inappropriate per le patologie del paziente ma anche proprio le interazioni. Tutto è molto difficile perché a volte il paziente non ricorda o non è in grado di enumerare tutte le terapie che sta seguendo; inoltre sulle interazioni non ci sono studi clinici sistematici ma spesso soltanto case report o deduzioni fatte a partire dal meccanismo farmacologico delle diverse terapie. Quindi calare nella realtà della pratica clinica la gestione delle interazioni è qualcosa di molto complicato, anche perché lo specialista non ha disposizione – come i medici di famiglia – una scheda informatica del paziente. Nasce da questa esigenza il Progetto FarmAmico (acronimo di FARMAcovigilanza: MIglioriamo la Comunicazione), partito nel 2005, quando è stato presentato e approvato dalla Regione Lombardia come Progetto di Farmacovigilanza con Decreto D.G. Sanità 9/2/2006, n.1411. La durata prevista era di 24 mesi dall’ottobre 2005 all’ottobre 2007 ma – dati gli importanti risultati ottenuti – si è poi chiesto ed ottenuto di proseguirlo oltre tale termine. Na-
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cardioinfo Figura 4. Il Progetto FarmAmico.
to presso l’Ambulatorio Anticoagulanti degli Spedali Civili di Brescia, è stato via via esteso ad altri Centri lombardi: Poliambulanza di Brescia, Ospedale di Chiari, Ospedale di Desenzano, Ospedale di Cremona, Ospedali Riuniti di Bergamo, Humanitas di Milano. Quali sono gli obiettivi del Progetto FarmAmico? 1. Verificare l’insorgenza di possibili interazioni della TAO con altre terapie (inclusi i fitoterapici e le medicine alternative), malattie intercorrenti e variazioni delle abitudini di vita – eventualmente non ancora segnalate in letteratura. Un farmaco interferisce con gli anticoagulanti orali quando, in relazione alla sua assunzione o sospensione, si riscontri un valore di INR >5 oppure quando esso determini una variazione del dosaggio di anticoagulante >25%, in pazienti con buona compliance, in range terapeutico nei tre controlli precedenti, in assenza di cause evidenti di aumento o diminuzione di INR. L’introduzione di farmaci può interferire sulla TAO, ma anche la loro sospensione modifica i valori di INR, ovviamente in senso opposto a quanto è accaduto con l’inizio dell’assunzione.
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Gli anticoagulanti orali presentano tre caratteristiche che favoriscono la comparsa di pericolose interazioni con altri farmaci: a. elevato legame con le proteine; b. metabolismo dipendente dal citocromo P450; c. stretto intervallo terapeutico. La maggior parte delle segnalazioni sull’interazione con anticoagulanti orali è basata su singoli episodi dove, spesso, l’interazione è farmacologicamente plausibile, ma non necessariamente provata. In letteratura vi sono anche numerose osservazioni basate su volontari sani, non necessariamente applicabili in modo diretto a soggetti malati. Vi sono inoltre segnalazioni tra loro contraddittorie. 2. Implementare interventi formativi mirati alla luce delle eventuali nuove acquisizioni. Gli interventi potrebbero essere articolati su diversi fronti: a. Creazione e distribuzione di guide tascabili per i medici; b. Creazione e distribuzione di opuscoli informativi ai pazienti; c. Corsi di formazione per i pazienti tenuti dai medici del Centro; d. Corsi di aggiornamento più specifici per i medici di base, i medici ospedalieri, i farmacisti e gli infermieri professionali. È stato anche prodotto un documento, una guida che riassume le principali interazioni degli anticoagulanti orali dicumarinici: warfarin (486), acenocumarolo (306) e dei NAO (Nuovi Anticoagulanti Orali) al momento disponibili: apixaban (154), dabigatran (104), rivaroxaban (120), e edoxaban (41). Sono riportati la rilevanza clinica (associazione controindicata, maggiore, moderata, minore ed incerta, se la rilevanza è classificata in modo diverso è stata inserita la valutazione maggiore, indipendentemente dalla fonte), i possibili effetti, il meccanismo dell’interazione ed il comportamento clinico, distinguendo fra le fonti utilizzate (Micromedex, scheda tecnica (RCP) ed informatore on line, Codifa).
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