CARE 2024 | 1-2

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costi dell’assistenza e risorse economiche

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INCONTRI

Il ‘nuovo’ Servizio sanitario nazionale deve partire dalle esigenze di salute dei cittadini

A colloquio con Americo Cicchetti

Direttore generale della Programmazione sanitaria del Ministero della salute

Come sta il nostro Servizio sanitario nazionale e quali obiettivi di programmazione ha il Ministero della salute?

Non si possono nascondere le difficoltà di un sistema che, evidentemente, ha avuto una sua evoluzione. È uscito dalla pandemia del covid-19 in una situazione difficile e io credo che abbia bisogno di un po’ di tempo per evolversi ulteriormente. Io parlo di tre anni, ma semplicemente perché sono gli anni che ci separano dall’implemen-

tazione completa degli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Guardiamo a quell’orizzonte, e alle riforme associate, con le quali stiamo evidentemente irrobustendo la componente territoriale, ma è l’integrazione con il resto del sistema che progressivamente dovrà andare a regime.

Come intendete muovervi?

Partendo dalle analisi e dai numeri molto dettagliati che abbiamo a disposizione, e che ci offrono un quadro chiaro dei punti di forza e delle criticità del Servizio sanitario nazionale, dobbiamo avere uno sguardo lungo, uno sguardo programmatorio. Da qui l’importanza di tornare a sviluppare la programmazione sulla base di un ‘piano sanitario nazionale’ che ci permetta effettivamente di mettere intorno al tavolo tutte le istituzioni e tutti i portatori di interesse all’interno di

CARE nasce per offrire a medici, amministratori e operatori sanitari un’opportunità in più di riflessione sulle prospettive dell’assistenza al cittadino, nel tentativo di coniugare – entro severi limiti economici ed etici – autonomia decisionale di chi opera in Sanità, responsabilità collettiva e dignità della persona.

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DOSSIER

Alzheimer e demenze: facciamo il punto con Nicola Vanacore sulle azioni intraprese dalla sanità pubblica per la loro gestione

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DOSSIER

Andrea Fabbo e Elena Memeo descrivono la situazione della presa in carico delle persone con demenza nel territorio di Modena e in Puglia

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DOSSIER

Patrizia Spadin e Manlio Matera presentano un quadro delle maggiori criticità che come AIMA rilevano nell’assistenza alle persone con Alzheimer

11 Incontri IL ‘NUOVO’ SERVIZIO

SANITARIO NAZIONALE

DEVE PARTIRE DALLE

ESIGENZE DI SALUTE

DEI CITTADINI

A colloquio con Americo Cicchetti

13 Dalla letteratura internazionale

11 Dossier LA GESTIONE

Interviste a Nicola Vanacore, Andrea Fabbo, Elena Memeo, Patrizia Spadin e Manlio Matera In questo

DELLE DEMENZE:

A CHE PUNTO SIAMO?

Americo Cicchetti, professore ordinario di organizzazione aziendale alla Facoltà di Economia dell’Università Cattolica nel campus di Roma, è stato direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari (ALTEMS) dell’Ateneo dal 2012 al 2023.

È stato nominato Direttore generale della Programmazione sanitaria del Ministero della salute dal Ministro della salute Orazio Schillaci a ottobre 2023.

questo sistema, a partire dai pazienti e dai cittadini. È importante in tal senso un passaggio parlamentare che possa permettere la definizione dei principi anche di equità e di giustizia distributiva sui quali costruiamo tutto il sistema a partire dai modelli di allocazione delle risorse sui quali c’è molto dibattito. Credo ci sia l’impegno di tutti, dei diversi interlocutori, delle diverse istituzioni, e, dalla parte tecnica del Ministero della salute, c’è la volontà di lavorare su queste basi.

Altra grande sfida è quella della carenza di professionisti sanitari, medici e soprattutto infermieri. Come la si affronta?

Tutti gli articoli e le interviste sono disponibili su www.careonline.it

CARE Costi dell’assistenza e risorse economiche

Direttore responsabile

Giovanni Luca De Fiore

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Finito di stampare marzo 2024

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In questo quadro come si inserisce la riforma sull’autonomia differenziata in discussione in Parlamento?

È un provvedimento su cui è in corso una discussione politica. Noi dovremo implementarla in maniera intelligente perché può essere un’opportunità. Evidentemente, nel momento in cui sarà da mettere a terra, andrà comunque realizzata tenendo presente che il nostro servizio sanitario è un servizio sanitario ‘nazionale’ anche con le sue declinazioni regionali. Su questo abbiamo strumenti di misurazione consolidati come i LEA, i Livelli essenziali di assistenza, che stiamo ulteriormente rafforzando. Il primo passaggio lo facciamo quest’anno aggiungendo per la prima volta, tra i nuovi, un indicatore che riguarda i PDTA, i Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali, e quindi la presa in carico dei pazienti. Questo ci permette di misurare la capacità della singola regione di prendere in carico un intero programma di salute e in questo caso parliamo di patologie croniche. L’obiettivo è quello di implementare gradualmente tutti gli 88 indicatori, ma soprattutto quelli legati ai PDTA, che pensiamo possano essere davvero il modo migliore per valutare la performance e, semplicemente, consentirci di capire se siamo in grado come sistema di rispondere alle esigenze dei cittadini e quindi di garantire a tutti, su tutto il territorio nazionale, il diritto alla tutela della salute.

I numeri ci dicono che questo è uno dei nodi principali. Di conseguenza gli investimenti e l’attenzione devono essere concentrati su questo. Certamente dobbiamo anche adottare formule nuove di organizzazione del lavoro, spostare task, e quindi facilitare il sistema nella sua sostenibilità, valorizzando al massimo i livelli professionali che vengono raggiunti e che sono sempre più alti proprio nel caso delle professioni sanitarie. E credo che questo ragionamento sia anche in linea con il tema degli OSS, gli operatori sociosanitari. Anche qui una qualificazione diversa degli OSS ci può permettere in qualche modo di prendere in carico problemi diversi in modo più efficiente e più competente.

La spinta all’innovazione tecnologica e organizzativa potrebbe condizionare positivamente la pianificazione di un Servizio sanitario nazionale ‘rinnovato’?

La tecnologia e l’infrastruttura sono importanti, ma ciò che è importante è l’organizzazione. L’organizzazione del lavoro che permette di porre al centro dell’attenzione anche la soluzione digitale, la telemedicina, gli strumenti di intelligenza artificiale. Tutto questo non può prescindere dal ruolo dell’operatore e del professionista sanitario. Poi c’è una seconda cosa fondamentale, a mio avviso, che è la trasmissione di una “cultura del digitale”. Rendere il digitale e le soluzioni di telemedicina e di teleconsulto intellegibili e comprensibili da parte dei cittadini, soprattutto per le persone più anziane. In realtà siamo in un mondo in cui anche chi è in là con gli anni comincia sempre di più ad avere una dimestichezza con questi strumenti digitali e quindi siamo nel contesto adatto per poter cambiare e trasformare veramente dal profondo il nostro Servizio sanitario nazionale.

Intervista a cura di Cesare Buquicchio

Prevenzione della demenza: rapporto

della Commissione Lancet 2020

Livingston G, Huntley J, Sommerlad A et al

Dementia prevention, intervention, and care: 2020 report of the Lancet Commission

Lancet 2020; 396 (10248): 413-446

L’invecchiamento della popolazione a livello globale e l’incremento della diffusione della demenza sono interessati da cambiamenti molto significativi. Mentre i tassi di mortalità diminuiscono nei gruppi più giovani, il numero di individui anziani, compresi quelli con demenza, continua a crescere. Tuttavia, si registra un paradosso nel calo dell’incidenza età-specifica in vari paesi ad alto reddito, attribuito a progressi nell’istruzione, nella nutrizione, nell’assistenza sanitaria e nello stile di vita. Al contrario, la demenza sta aumentando maggiormente nei paesi a basso e medio reddito, a causa del rapido invecchiamento della popolazione e dell’alta frequenza di fattori di rischio potenzialmente modificabili.

Attualmente circa 50 milioni di persone nel mondo vivono con la demenza. Questo numero è destinato a salire fino a 152 milioni entro il 2050. Come già evidenziato, tale aumento è particolarmente pronunciato nei paesi a basso e medio reddito, dove risiedono circa i 2/3 delle persone con demenza. L’impatto si estende alle famiglie degli individui con demenza e ha implicazioni economiche sostanziali, con costi globali stimati a circa mille miliardi di dollari l’anno.

La Commissione Lancet del 2017 sulla prevenzione, l’intervento e la cura per la demenza aveva identificato nove fattori di rischio modificabili: istruzione inadeguata, ipertensione, deficit uditivo, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete e scarso contatto sociale. Nel 2020 la Commissione si è riunita nuovamente per ampliare il proprio lavoro e identificare tre ulteriori fattori di rischio.

METODOLOGIA

Per fornire una comprensione esaustiva, la Commissione ha effettuato e analizzato nuove revisioni e metanalisi, integrandole in un modello a 12 fattori di rischio per la prevenzione della demenza. È fondamentale notare che la maggior parte delle evidenze raccolte proviene da studi condotti nei paesi ad alto reddito, il che richiede cautela nell’estendere i rischi ad altri contesti culturali e ambientali, specialmente nei paesi a basso e medio reddito. La metodologia ha coinvolto la considerazione dei fattori di rischio nelle diverse fasi della vita, suddividendoli in prima età (istruzione), mezza età (ipertensione, obesità, deficit uditivo, lesioni cerebrali traumatiche e abuso di alcol) ed età avanzata (fumo, depressione, inattività fisica, isolamento sociale, diabete e inquinamento atmosferico). Questi fattori contribuiscono complessivamente a un aumento del rischio di demenza.

L’inclusione nel modello del consumo eccessivo di alcol, delle lesioni cerebrali traumatiche e dell’inquinamento atmosferico, insieme ai nove fattori originali, porta la frazione totale attribuibile nella popolazione (Population Attributable Fraction, PAFs, ovvero la quota di casi di demenza attribuibili ai fattori di rischio modificabili) a circa il 40% delle demenze nel mondo. In particolare, i fattori di rischio modifica-

bili offrono un’opportunità teorica per la prevenzione o il ritardo della demenza, con un impatto potenzialmente maggiore nei paesi a basso e medio reddito, data l’alta incidenza di demenza in tali contesti.

RACCOMANDAZIONI

La Commissione sostiene un approccio ambizioso alla prevenzione della demenza, enfatizzando il duplice ruolo delle politiche e delle azioni individuali. Gli sforzi preventivi dovrebbero iniziare precocemente e continuare per tutta la vita, impiegando sia programmi di salute pubblica che interventi personalizzati. Oltre alle strategie di popolazione, le politiche mirate dovrebbero affrontare gruppi ad alto rischio, promuovendo attività sociali, cognitive e fisiche insieme alla salute vascolare.

FRAZIONE ATTRIBUIBILE ALLA POPOLAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO POTENZIALMENTE MODIFICABILI PER LA DEMENZA

Riduzione percentuale della prevalenza della demenza se questo fattore di rischio venisse eliminato

inadeguata

Perdita dell’udito
Istruzione
Trauma cranico
Mezza età
Prima età

Le azioni specifiche lungo tutto il corso della vita includono: il mantenimento della pressione sanguigna sistolica al di sotto di 130 mm Hg nella mezza età, la promozione dell’uso di apparecchi acustici, la riduzione dell’esposizione all’inquinamento atmosferico e al fumo passivo, la prevenzione delle lesioni cerebrali, la limitazione del consumo di alcol, lo scoraggiamento dell’abitudine al fumo, l’assicurazione di un’istruzione primaria e secondaria e il contrasto all’obesità e al diabete. Sono raccomandati anche interventi nello stile di vita relativi a fattori di rischio come la qualità del sonno, per migliorare la salute generale.

Al fine di affrontare le disuguaglianze e proteggere gli individui con demenza, la Commissione sottolinea l’importanza di gestire i fattori che contribuiscono alle disuguaglianze sociali, specialmente nelle minoranze etniche e nelle popolazioni vulnerabili. Le azioni sociali sono cruciali per creare ambienti che promuovano l’attività fisica e modelli alimentari adeguati, oltre che una riduzione dell’esposizione al rumore. Poiché i tassi di demenza aumentano di più nei paesi a basso e medio reddito rispetto a quelli ad alto reddito, gli interventi preventivi hanno un impatto sostanziale in queste regioni. Per coloro che già vivono con la demenza, si raccomanda un approccio olistico all’assistenza post-diagnostica, che comprenda il benessere fisico e mentale e l’assistenza e il supporto sociale. La gestione dei sintomi neuropsichiatrici attraverso specifici interventi multicomponente è evidenziata come una scelta di trattamento efficace, con un riconoscimento dei limiti dei farmaci psicotropi. Inoltre, sono sottolineati anche gli interventi dei caregiver, per i loro effetti duraturi sulla salute mentale e la convenienza e il potenziale risparmio in termini di costi.

CONCLUSIONI

Il rapporto del 2020 della Commissione Lancet costituisce l’analisi fino a oggi più esaustiva, aggiornando le scoperte del 2017 con nuove evidenze, sui fattori di rischio potenzialmente modificabili per la demenza. L’ipotesi che circa il 40% di tutti i casi di demenza sia associato a 12 fattori di rischio offre una maggiore speranza per le misure preventive. Nonostante le ipotesi formulate nella definizione di questo modello, inclusi l’approccio globale relativo ai dati di rischio e la relazione causale tra i fattori di rischio e la demenza, il rapporto riconosce le rilevanti lacune nell’attuale conoscenza del fenomeno a livello mondiale.

La Commissione sottolinea l’importanza di istituire una fornitura globale di risorse necessarie per migliorare il benessere delle persone con demenza e dei loro caregiver. Con cure di qualità e un approccio basato sulle evidenze scientifiche per definire cure individuali e formulare nuove politiche, gli individui con demenza possono comunque condurre vite appaganti e le loro famiglie possono beneficiare di un supporto migliore.

Potenziamento dei servizi sanitari nelle farmacie di comunità

Hindi AMK, Campbell SM, Jacobs S, Schafheutle EI

Developing a quality framework for community pharmacy: a systematic review of international literature

BMJ Open 2024; 14 (2): e079820

Nel panorama attuale dell’assistenza sanitaria, è estremamente evidente la pressione sui sistemi sanitari di tutto il mondo, al fine di fornire cure di alta qualità e soddisfare la crescente domanda di servizi sanitari primari. Questa sfida è aggravata dalla carenza di personale, dai vincoli finanziari e dalle significative disparità dell’assistenza sanitaria osservate tra i vari paesi.

In risposta a tali sfide, negli ultimi due decenni i legislatori hanno ampliato il ruolo delle farmacie di comunità. Tradizionalmente conosciute per la distribuzione di farmaci, le farmacie di comunità attualmente offrono una gamma più ampia di servizi sanitari, mirando ad alleviare la pressione sulle pratiche mediche generali e potenziare il servizio offerto all’interno dei sistemi di assistenza primaria. Grazie alla loro accessibilità, agli orari prolungati e alle visite che non necessitano di appuntamento, le farmacie di comunità svolgono un ruolo cruciale nel migliorare l’accesso e l’assistenza ai pazienti, specialmente nelle regioni più svantaggiate.

I sistemi sanitari di tutto il mondo, tra cui quelli del Regno Unito, del Canada, degli USA, dell’Australia e della Nuova Zelanda, hanno investito nell’espansione dei servizi offerti dalle farmacie di comunità. Tuttavia, nonostante tali sforzi, i tentativi di migliorare la distribuzione e la revisione dei canali distributivi dei farmaci non hanno finora portato a risultati soddisfacenti. Dato che le farmacie di comunità continuano a evolversi oltre il loro ruolo tradizionale, è essenziale esaminare come possano collaborare efficacemente con altri operatori sanitari al fine di fornire servizi di assistenza migliori.

L’obiettivo dello studio di Hindi e colleghi è identificare le caratteristiche distintive della qualità dei servizi delle farmacie di comunità e sintetizzarle in un quadro di qualità basato su evidenze scientifiche. Lo scopo finale è rafforzare i sistemi sanitari unendo la pianificazione, la commissione e la fornitura di servizi, per garantire un’assistenza integrata, locale e senza interruzioni, in grado di soddisfare tempestivamente ed efficacemente le esigenze degli utenti.

APPROCCIO METODOLOGICO: REVISIONE SISTEMATICA E SINTESI NARRATIVA

Nella sua analisi e revisione sistematica della letteratura attualmente disponibile, lo studio ha preso in considerazione le linee guida del rapporto Preferred Reporting Items for Systematic Reviews and Meta-Analyses (PRISMA). In particolare, gli autori hanno esaminato sistematicamente tutti i lavori internazionali pubblicati dal 2005 in poi, partendo da sei database elettronici (Embase, PubMed, Scopus, CINAHL, Web of Science e PsycINFO). Inoltre, hanno impiegato i termini di ricerca correlati alle voci “farmacia di comunità” e “qualità,” includendo studi sulla qualità delle farmacie con approcci qualitativi, quantitativi e misti, e svolgendo un attento e rigoroso screening iniziale.

MODELLO A 6 DIMENSIONI PER MISURARE LA QUALITÀ DEI SERVIZI

OFFERTI DALLE FARMACIE DI COMUNITÀ

Accesso

•Orari di apertura

•Tempi di attesa

•Accesso sico

•Disponibilità dei farmacisti

•Disponibilità dei farmaci

Sicurezza

•Preparazione dei medicinali

•Erogazione dei medicinali

•Sistemi per garantire la sicurezza

•Documentazione relativa all’assistenza e al trattamento

Assistenza centrata

sulla persona

•Esperienza del paziente

•Relazione pazientefarmacista

•Professionalità

Ambiente

•Aspetto della farmacia

•Area di attesa

•Area dedicata alla consultazione privata

•Dispensario

•Risorse siche

Qualità della farmacia di comunità

Competenza

•Competenza nel processo di erogazione

•Conoscenze cliniche e capacità diagnostiche

Per la revisione, gli autori hanno scelto un processo a due fasi eseguito da revisori indipendenti, risolvendo eventuali discrepanze tramite consultazione e inserendo anche articoli non in lingua inglese accuratamente tradotti. Per la sintesi, invece, hanno adottato un approccio di sintesi narrativa, coinvolgendo sia i pazienti sia il pubblico, per perfezionare ulteriormente il quadro di qualità in base ai feedback ricevuti.

RISULTATI: MODELLO A 6 DIMENSIONI

Lo screening è partito da 11.493 articoli, ma solo 81 sono stati effettivamente inclusi nella revisione. Questi lavori considerano vari aspetti che influenzano la qualità dei servizi delle farmacie di comunità, compresi la soddisfazione degli utenti e lo sviluppo degli indicatori, degli standard e delle linee guida di qualità. Il quadro risultante include sei dimensioni (vedi figura): accesso, assistenza centrata sulla persona, ambiente, sicurezza, competenza e integrazione nei sistemi sanitari locali.

Gli aspetti identificati nella revisione sono in linea con i quadri esistenti, già proposti da organizzazioni internazionali come l’US Institute of medicine, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e l’Organizzazione mondiale della sanità. Tra questi spiccano i punti fondamentali in comune: la centralità della persona, l’efficacia, l’accesso e la sicurezza.

CONCLUSIONI

Integrazione

•Collaborazione interprofessionale

•Meccanismi di comunicazione e sistemi di informazione

Lo studio fornisce preziose informazioni sulla qualità dei servizi delle farmacie di comunità e presenta un quadro generale per orientare gli sforzi fatti per il loro miglioramento. Poiché le farmacie di comunità continuano a espandere il loro ruolo, è cruciale convalidare e perfezionare le dimensioni identificate, concentrandosi in particolare sull’integrazione nei sistemi sanitari locali.

L’integrazione, infatti, svolge un ruolo vitale nell’efficace fornitura di servizi professionali, evidenziando l’importanza della collaborazione e della condivisione delle informazioni tra gli operatori di assistenza primaria. In futuro, questo quadro potrebbe servire da base per sviluppare ed esaminare i meccanismi volti a garantire e a migliorare la qualità. In generale, lo studio si è fondato su una ricerca esaustiva e sistematica della letteratura, garantendo l’affidabilità e la validità dei risultati. Il coinvolgimento dei pazienti nel perfezionamento del quadro di qualità ne aumenta sia la rilevanza che l’applicabilità. Tuttavia, è necessario svolgere ulteriori ricerche e test di fattibilità, al fine di convalidare il quadro nei diversi contesti sanitari a livello globale.

Il compromesso tra resilienza

ed efficienza: evidenze dal covid-19

in Europa

Almeida A

The trade‑off between health system resiliency and efficiency: evidence from COVID‑19 in European regions

Eur J Health Econ 2024; 25: 31-47

L’efficienza economica del sistema sanitario è, ormai da tempo, una delle preoccupazioni centrali dei decisori politici e degli analisti economici. La resilienza del sistema sanitario è un concetto relativamente recente e di solito definisce la capacità di tale sistema di prepararsi per rispondere efficacemente alle crisi mantenendo inalterate le proprie funzioni fondamentali. Nei sistemi adattivi complessi, come quello sanitario, sussistono tensioni tra efficienza e resilienza, che richiedono il ricorso a compromessi. Se tale esigenza esiste, i politici si trovano di fronte a una scelta difficile: preparare il sistema sanitario perché sia in grado di dare una migliore risposta alla prossima crisi o migliorare i risultati sanitari nel presente?

LO STUDIO

L’obiettivo dello studio di Alvaro Almeida è indagare, nei sistemi sanitari europei, la presenza di un compromesso tra resilienza ed efficienza economica. I dati di 173 regioni dell’Unione europea sono stati usati come base dati per la stima dell’efficienza dei sistemi sanitari prima della pandemia di covid-19. Successivamente è stato utilizzato un modello econometrico spaziale per stimare se questa misura di efficienza abbia avuto un impatto significativo sulla resilienza del sistema sanitario regionale durante la pandemia di covid-19, misurata dal numero di decessi per covid-19 ogni 100.000 abitanti. Il tasso di mortalità da covid-19 viene utilizzato come indicatore della resilienza del sistema sanitario poiché evitare la morte è stato l’obiettivo chiave della politica sanitaria durante la pandemia. Pertanto, i sistemi sanitari con tassi di mortalità più bassi sono quelli che hanno risposto meglio alla crisi sanitaria mostrandosi più resilienti. In questo studio il livello di analisi è regionale e non nazionale perché le evidenze hanno dimostrato che l’impatto della crisi determinata dal covid-19 ha avuto effetti diversi non solo tra paesi ma anche tra regioni all’interno dello stesso paese, a indicare che le disuguaglianze nella diffusione territoriale subnazionale del covid-19 sono correlate alla struttura delle economie locali. L’indice di efficienza del sistema sanitario è stato stimato utilizzando un modello che ha come input il numero di medici, infermieri e posti letto per 100.000 abitanti e come output l’aspettativa di vita, il tasso di sopravvivenza standardizzato e gli anni potenziali di vita non persi. Il valore medio dell’indice di efficienza è 0,669 e il valore mediano è 0,676. La figura fornisce una mappa con il livello di efficienza per ciascuna area.

RISULTATI

Il risultato principale dello studio è la stima di quanto sia significativamente ampio l’effetto dell’efficienza del sistema sanitario sui tassi di mortalità da covid-19. Sistemi sanitari più efficienti, cioè sistemi che utilizzano meno input per raggiungere determinati esiti sanitari, pre-

sentano in realtà tassi di mortalità da covid-19 più elevati, rivelandosi meno resilienti. Questo effetto dell’efficienza sulla resilienza può derivare da tre diversi fattori. In primo luogo, poiché una maggiore efficienza implica un uso minore di risorse per la produzione di esiti sanitari, è probabile che le regioni ad alta efficienza abbiano avuto meno risorse disponibili per accogliere l’ondata di pazienti verificatasi durante la pandemia. In secondo luogo, è probabile che i decisori politici, guidati da preoccupazioni in termini di efficienza, possano aver scelto di limitare le spese – come la preparazione e l’attuazione di piani di emergenza in caso di crisi o il rafforzamento delle infrastrutture – che possono sembrare ingiustificatamente costose quando una pandemia è in corso. In terzo luogo, generalmente l’efficienza comporta razionalizzazione e specializzazione, il che potrebbe implicare che le regioni più efficienti abbiano una struttura meno flessibile nella risposta a una pandemia.

CONCLUSIONI

Quando si decide di investire nella resilienza di un sistema sanitario, i costi aumentano e l’efficienza diminuisce. Si tratta di una scelta tra costi presenti e futuri: un sistema sanitario più efficiente ha costi inferiori in assenza di crisi e costi maggiori durante una crisi sanitaria. Le decisioni di politica sanitaria volte a rafforzare la resilienza dei sistemi sanitari non possono basarsi esclusivamente sull’osservazione dei costi sanitari associati alla pandemia di covid-19, ma devono essere valutate rispetto ai costi dell’inefficienza generati dall’aumento della resilienza.

Letizia Orzella

Direzione Regionale Salute e Integrazione Sociosanitaria

Area Farmaci e Dispositivi, Regione Lazio

EFFICIENZA DEL SISTEMA SANITARIO PER REGIONE

Il valore dell’indice di efficienza del sistema sanitario per regione è stato stimato tramite la Data envelopment analysis (DEA).

Intelligenza artificiale: è il momento della medicina generale, nell’interesse

dei pazienti

Sarkar U, Bates DW

Using artificial intelligence to improve primary care for patients and clinicians

JAMA. Published online February 12, 2024. doi:10.1001/ jamainternmed.2023.7965

L’emergenza originata dalla pandemia da covid-19, mettendo a nudo numerose criticità nel Servizio sanitario nazionale, ha palesato la necessità di migliorare i percorsi di cura e la gestione clinica delle malattie, soprattutto quelle croniche. Il perno di questo tipo di assistenza è rappresentato indubbiamente dalla medicina di base, il cui ruolo fondamentale può tuttavia essere messo in crisi sia dal superlavoro che in molti frangenti (la pandemia, appunto) condiziona negativamente l’attività dei medici di medicina generale (MMG), sia dalla difficoltà di rapporto con le strutture ospedaliere che insistono sul territorio, spesso separate nel percorso di cura del paziente in assenza di continuità assistenziale.

Oltre alla medicina di prossimità, il compito della moderna medicina generale è anche quello di promuovere una medicina ‘attiva’, dove non si aspetta passivamente che il paziente si rivolga, magari in ritardo, all’ospedale, ma si va incontro a coloro che hanno necessità di una valutazione clinica, quindi attraverso la diagnosi precoce e la gestione delle varie esigenze sanitarie anche da remoto. In sostanza il MMG ha bisogno di ‘ottimizzare’ il proprio tempo lavorativo, sia per poter offrire un’assistenza di qualità ai propri pazienti, senza disperdere inutili energie, sia per poter essere connesso validamente ai colleghi specialisti e alle strutture ospedaliere territoriali.

Nell’editoriale pubblicato sul JAMA viene opportunamente citato uno studio secondo il quale, per poter garantire cure primarie adeguate a una platea di 2.500 pazienti, un MMG dovrebbe lavorare 27 ore al giorno per 7 giorni alla settimana! L’introduzione del fascicolo sanitario elettronico è sicuramente un utile strumento per dialogare con i pazienti, ma è evidente a questo punto che solo l’intelligenza artificiale (IA) può imprimere una svolta decisiva al processo di digitalizzazione della sanità già in atto e ormai irreversibile.

LE MODALITÀ DI IMPIEGO DELL’INTELLIGENZA

ARTIFICIALE

Teoria e applicazione pratica dell’IA in medicina generale hanno da tempo messo a fuoco varie modalità di impiego. La prima riguarda il miglioramento della qualità delle cure attraverso la definizione di diagnosi e trattamenti corretti dall’analisi dei dati clinici disponibili, minimizzando l’errore umano. Gli algoritmi di IA in ambito medico vengono infatti già usati quando occorre elaborare una mole consistente di dati e identificare possibili relazioni di causa-effetto tra i dati stessi e le patologie di cui un paziente soffre. Dopo aver istruito una macchina a interpretare le immagini ottenute tramite radiografie, ecografie, TAC, elettrocardiogrammi (ECG) e gli esami provenienti dall’analisi di campioni biologici o istologici, è possibile identificare, con un buon grado di affidabilità, patologie tumorali, cardiovascolari, dermatologiche, respiratorie etc.

Un’altra area sulla quale si sta lavorando molto è quella legata ai sistemi predittivi mirati a una diagnosi precoce. Per esempio, dall’analisi di un ECG e della storia clinica è possibile predire se una persona sia o meno a rischio di sviluppare alcune patologie cardiovascolari come la fibrillazione atriale o un’insufficienza cardiaca, mentre, con analoghe modalità, è possibile addirittura prevedere con un anticipo di svariati anni la comparsa di un tumore del polmone.

Non meno interessante è l’uso dell’IA per individuare, in un ampio panel di molecole esistenti, quelle più meritevoli di sperimentazione clinica, abbreviando così i tempi per trasferire i risultati della ricerca alla pratica clinica. Inoltre, l’IA già permette di elaborare i dati riportati sulle cartelle cliniche elettroniche per formulare i codici diagnostici necessari per definire costi sanitari e rimborsi. Altre potenzialità sono quelle che riguardano l’impiego di Chat GPT per sintetizzare e semplificare referti, lettere di dimissioni o documenti complessi in un linguaggio facilmente comprensibile ai pazienti.

Se in America sono oltre 500 le applicazioni di IA approvate dalla Food and Drug Administration, in Italia quasi tutte quelle disponibili sono ancora in fase di sperimentazione.

A parere degli esperti, questo è solo l’inizio. In realtà l’IA non dovrebbe avere solo il compito di migliorare la qualità della medicina generale, ma, secondo alcuni, contribuire alla sua trasformazione.

LE POSSIBILI CRITICITÀ

I rischi? Esistono certamente e, come segnalato già nel 2021 in un documento ufficiale del Consiglio superiore di sanità (CSS), possono derivare fra l’altro dall’uso di sistemi di IA privi di una rigorosa validazione scientifica, dalla mancanza di controllo sulla modalità di processazione dei dati da parte dei sistemi esperti, da possibili violazioni della privacy degli utenti, da discriminazioni (per esempio, di razza e/o di genere) introdotte dalla programmazione degli algoritmi e dall’assenza di informazioni circa la sicurezza e la riproducibilità nell’uso dei sistemi di IA. Insomma, soprattutto nell’ambito della medicina generale, l’IA non è certo la panacea, come ricorda l’editoriale del JAMA, quanto piuttosto uno strumento potente di supporto al MMG, che non va a sostituirsi al suo acume clinico né deve alterare la relazione medico-paziente. Del resto, un robusto controllo etico sul suo impiego appare mandatorio per evitare di perpetuare o peggiorare le disuguaglianze già esistenti all’in terno del servizio sanitario. Per questo motivo, il già citato documento del CSS sottolinea la necessità di una serie di interventi finalizza ti a introdurre in modo sicuro l’IA nella pratica clinica, fra cui la creazione di una struttura di governance da parte delle agenzie regolato rie, la definizione di linee guida nazionali riguardanti il corretto utilizzo dei sistemi di IA nella diagnostica e la creazione di un osservatorio permanente presso il Ministero della salute, per il mo nitoraggio post-market delle performance dei sistemi immessi sul mercato.

Diagnosi dei disturbi neurocognitivi: raccomandazioni intersocietarie europee

Frisoni GB, Festari C, Massa F et al. European intersocietal recommendations for the biomarker based diagnosis of neurocognitive disorders

Lancet Neurol 2024; 23: 302-312

I disturbi neurocognitivi, che includono condizioni come il morbo di Alzheimer, la demenza frontotemporale e la demenza a corpi di Lewy, rappresentano una sfida significativa per i sistemi sanitari globali. La loro diagnosi è infatti intrinsecamente complessa a causa delle diverse presentazioni cliniche e dei sintomi sovrapposti associati a queste condizioni. Allo stesso tempo l’emergere di terapie modificanti il decorso della malattia specifiche per il morbo di Alzheimer, che mirano a intervenire sui meccanismi fisiopatologici della patologia sottolineando la necessità di identificare il paziente affetto quando è ancora nelle prime fasi del decorso patologico, ha evidenziato l’importanza di poter disporre di biomarcatori diagnostici affidabili. Biomarcatori come le proteine nel liquido cerebrospinale (CSF), l’imaging per la proteina beta-amiloide e la proteina tau iper-fosforilata, e la tomografia a emissione di positroni (PET) possono essere molto utili nella diagnosi e nel monitoraggio della progressione della malattia. Tuttavia, la loro interpretazione e integrazione nella pratica clinica rendono auspicabile il ricorso a raccomandazioni standardizzate per garantire la loro utilità e la loro efficacia.

Questo ha indotto un consorzio di esperti provenienti da 11 società e organizzazioni scientifiche europee a riunirsi per sviluppare raccomandazioni esaustive volte a migliorare la diagnosi di questi disturbi. Il consenso tra gli esperti è stato raggiunto attraverso una procedura basata sul metodo Delphi, condotta tra novembre 2020 e giugno 2022.

SVILUPPO COLLABORATIVO DELLE RACCOMANDAZIONI

Proprio considerando la natura complessa della diagnosi dei disturbi neurocognitivi, il gruppo di lavoro multidisciplinare ha sentito la necessità di intraprendere questo importante sforzo di collaborazione. Infatti, mettere insieme competenze diverse ha consentito di sviluppare raccomandazioni in grado di riflettere la situazione attuale di questo tipo di diagnosi e di affrontare le diverse esigenze di clinici e pazienti. L’obiettivo degli esperti è stato quello di definire uno schema diagnostico basato su biomarcatori centrati sul paziente, da utilizzare opportunamente nelle cliniche specializzate.

Gli esperti hanno identificato biomarcatori di primo e secondo livello: i biomarcatori di primo livello dovrebbero essere usati subito, mentre quelli di secondo livello dovrebbero essere usati in seconda battuta e se necessario, sulla base del profilo clinico del paziente e i risultati non univoci dell’analisi precedente.

L’APPROCCIO DELLE QUATTRO FASI

Al cuore di queste raccomandazioni si trova uno schema diagnostico strutturato, composto da quattro fasi, ognuna progettata per guidare

sistematicamente i clinici attraverso la diagnosi. La prima fase (fase 0), detta fase della ‘stadiazione’, coinvolge un esame clinico e una valutazione completa, al fine di stabilire la funzione cognitiva di base, identificare i potenziali fattori di rischio e categorizzare i pazienti in sindromi cliniche. Questa fase iniziale pone le basi per quelle successive, dove i test dei biomarcatori diventano sempre più importanti.

Nella seconda fase (fase 1), detta fase delle ‘sindromi cliniche’, i clinici impiegano le indagini di primo livello, tra cui le valutazioni neuropsicologiche, le analisi di neuroimaging strutturale e i test di routine del sangue, per raffinare le ipotesi diagnostiche e guidare la successiva selezione dei biomarcatori. In caso di sospetto morbo di Alzheimer, vengono raccomandati come biomarcatori le proteine del CSF e la PET amiloide, mentre in casi di sospetta demenza frontotemporale o altre presentazioni atipiche viene raccomandata come biomarcatore la PET cerebrale con 18F-FDG.

Man mano che si sviluppa il processo diagnostico, si arriva alla terza e alla quarta fase (fasi 2 e 3), che si concentrano rispettivamente sul raffinamento e sulla conferma diagnostica. I biomarcatori di secondo livello, tra cui le tecniche avanzate di neuroimaging e i nuovi test del CSF, possono essere impiegati per delineare ulteriormente la patologia sottostante e indirizzare le decisioni terapeutiche. In ultima analisi, l’obiettivo è raggiungere una diagnosi conclusiva basata sui biomarcatori che guidi le strategie di gestione personalizzate, opportunamente adattate per soddisfare le specifiche esigenze del paziente.

PERSONALIZZAZIONE DELLA DIAGNOSI

IN RELAZIONE AI SINGOLI PROFILI

Le raccomandazioni sottolineano l’importanza di adattare gli approcci diagnostici ai profili dei singoli pazienti, considerando fattori come l’età, la presentazione clinica e la progressione della malattia. Per gli individui con sospetto morbo di Alzheimer, le analisi con i biomarcatori giocano un ruolo centrale nel confermare la presenza della proteina beta-amiloide e della proteina tau, guidando la prognosi e facilitando l’arruolamento in studi clinici. Al contrario, gli individui che presentano sindromi cliniche atipiche o una demenza a insorgenza precoce possono richiedere indagini aggiuntive, come test genetici o modalità di imaging specializzate, al fine di identificare precisamente l’eziologia sottostante.

SFIDE E ORIENTAMENTI FUTURI

Nonostante le raccomandazioni intersocietarie europee possano rappresentare un passo in avanti nella diagnosi dei disturbi neurocognitivi, rimangono ancora diverse sfide da risolvere. L’accessibilità e la convenienza dei test dei biomarcatori, l’interpretazione dei risultati inconcludenti e l’integrazione di nuovi biomarcatori nella pratica clinica sono aree che richiedono ulteriori ricerche e perfezionamenti. Inoltre, l’implementazione di queste raccomandazioni in diversi contesti sanitari e regionali può richiedere l’adattamento alle risorse e alle esperienze locali disponibili.

È importante ricordare che questo schema diagnostico non intende sostituire le linee guida attuali, ma intende offrire il proprio contributo per promuovere l’uniformità nella diagnosi dei disturbi neurocognitivi in tutta Europa e facilitare l’uso razionale delle risorse.

La salute pubblica nel mirino della guerra tra opposte culture

Gostin L, Wetter S

Public health in the crosshairs of culture wars

JAMA Health Forum 2024; 5 (2): e240465

Lawrence Gostin e Sara Wetter, del Dipartimento di legge della Georgetown University, evidenziano come negli Stati Uniti le politiche per la salute siano uno degli argomenti su cui maggiormente si dividono gli opposti schieramenti politici. A supporto della loro tesi portano tre temi di sanità pubblica – la salute riproduttiva, l’assistenza per i transgender e le vaccinazioni per il covid-19 – rispetto ai quali i diversi Stati, a seconda che siano democratici o repubblicani, stanno introducendo normative diverse dopo alcune storiche sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti. E questo, argomentano Gostin e Wetter, rischia di mettere in discussione il diritto alla salute, che è alla base di tutti gli altri diritti e libertà.

LA SALUTE RIPRODUTTIVA

Dopo la sentenza della Corte Suprema ‘Dobbs vs Jackson women’s health organization1’ sono state intentate più di 40 cause legali contro le restrizioni all’aborto previste da diversi Stati. Venti hanno infatti vietato o limitato l’accesso all’interruzione di gravidanza e altri ventuno hanno, al contrario, previsto di garantire per legge questa prestazione. La Corte Suprema degli Stati Uniti affronterà nel corso del 2024 due ulteriori casi relativi all’aborto – in situazioni di emergenza e relativamente alla pillola abortiva – e le sue sentenze potrebbero avere conseguenze ulteriormente divisive, incidendo sul diritto alla salute.

Nel primo caso, la legge federale EMTALA (Emergency Medical Treatment And Labor) prevede che gli ospedali finanziati dal livello federale debbano curare tutti i pazienti che necessitano di trattamenti in emergenza, anche procedendo a interruzioni di gravidanza se necessarie. Nel caso Moyle vs Stati Uniti, la Corte Suprema è chiamata a decidere se la legge EMTALA pregiudichi l’applicazione della legge dello Stato dell’Idaho, che vieta l’aborto.

Nel secondo caso, la causa FDA vs l’Alliance for Hippocratic Medicine, la Corte Suprema si occuperà dell’approvazione da parte dell’FDA del mifepristone2, il principio attivo che permette l’aborto chimico nei primi mesi di gravidanza. Secondo gli autori questa causa può mettere in

discussione l’autorità dell’FDA. L’FDA, per mandato del congresso, ha il compito di determinare la sicurezza e l’efficacia dei farmaci basando le sue conclusioni su dati scientifici e metodologie rigorose, e, al di là del caso del farmaco in questione, questa sentenza può minare l’autorità dell’FDA nella sua capacità di elaborare giudizi evidence-based senza interferenze politiche.

ASSISTENZA SANITARIA PER I TRANSGENDER

L’American Academy of Pediatrics considera gli interventi sanitari per l’affermazione del genere (per esempio, l’ormonoterapia per favorire la transizione di genere) necessari per gli adolescenti transgender non binari che vivono stati di stress e sofferenza psichica dovuti al non riconoscersi nel profilo sessuale con cui sono nati. Questi interventi sono infatti associati a una migliore qualità della vita, a un minor rischio di depressione e suicidio, e al miglioramento del benessere psicologico.

A partire dal 2022, in ventidue Stati sono però stati approvati divieti o restrizioni rispetto a questo tipo di assistenza, stabilendo nella maggior parte dei casi anche una responsabilità civile o penale degli operatori sanitari, e a volte anche dei genitori, con il rischio conseguente di allontanamento del figlio/a dalla famiglia di origine. Di contro, sono almeno undici gli Stati che hanno approvato leggi scudo finalizzate a proteggere questo tipo di assistenza, garantendone l’accesso anche a pazienti provenienti da altri Stati. Anche se la Corte Suprema degli Stati Uniti finora non si è occupata di casi relativi all’assistenza per l’affermazione del genere o di altre questioni legate ai diritti dei transgender, il volume crescente di contenziosi suggerisce che potrebbe presto accadere.

SICUREZZA E ARMI DA FUOCO

La violenza tramite arma da fuoco rappresenta un problema di salute pubblica. Si stima che a partire dal 2020 si siano verificati negli Stati Uniti circa 40.000 decessi legati alle armi da fuoco. Sebbene le armi da fuoco siano la principale causa di morte tra i bambini, il Congresso ha rifiutato di attuare misure basate sulle evidenze, nonostante siano sostenute dalla maggior parte degli elettori statunitensi, compresi la messa al bando delle armi d’assalto, l’innalzamento dell’età e il controllo dei precedenti penali per l’acquisto di armi. La Corte Suprema americana ha reso sempre più difficile di fatto l’approvazione di una legislazione per la sicurezza delle armi da fuoco.

1 La Jackson Women’s Health Organization è l’unica clinica che pratica aborti nel Mississippi. Nel 2022 ha citato in giudizio i rappresentanti del Dipartimento della salute per contestare la costituzionalità della legge di quello Stato, che prevede restrizioni al diritto all’aborto. Nella sentenza del 24 giugno 2022, Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization, i giudici della Corte Suprema americana hanno però ritenuto, in relazione a tale disputa, che la costituzione federale non offra una copertura del diritto della donna a decidere se portare avanti una gravidanza e questo, nell’ordinamento americano, implica sostanzialmente che ai singoli Stati è lasciata la libertà di regolamentare la materia come meglio ritengono.

2 Nel 2000, la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato il mifepristone come parte di un regime a due farmaci per l’interruzione precoce di gravidanza, imponendo determinati requisiti per il suo uso. Nel 2016 ha poi allentato alcuni requisiti (per esempio, riducendo il numero di visite in presenza richieste per la prescrizione, estendendo l’uso approvato da sette settimane a dieci settimane, etc) e nel 2021 ha eliminato l’obbligo di distribuzione in persona permettendo l’ordine postale (mail-order pharmacy). https://www.americanbar.org/groups/public_education/ publications/preview_home/fda-v-ahm-danco/.

La stessa Corte Suprema deve decidere a breve su un caso relativo a un funzionario dello Stato di New York che avrebbe violato il primo emendamento incoraggiando le aziende a rinunciare a fare affari con la National Rifle Association dopo la sparatoria mortale del 2018 in una scuola di Parkland, in Florida.

In un altro caso, la Corte dovrà decidere se il Federal bureau of alcohol, tobacco, firearms, and explosives può classificare come mitragliatrici i dispositivi utilizzati per trasformare armi semiautomatiche in armi automatiche, cosa che il Federal bureau ha iniziato a fare dopo il massacro avvenuto a Las Vegas dopo un concerto. In conclusione, anche se negli Stati Uniti molte comunità vogliono rispondere alla piaga della violenza scatenata dalle armi da fuoco, la Corte Suprema potrebbe precludere le già limitate vie per farlo. Allo stesso tempo nel Congresso e in molti Stati persiste, secondo gli autori, una paralisi politica su questo tema.

VACCINI PER IL COVID-19

Storicamente le società si sono spesso unite per affrontare minacce comuni, ma, secondo gli autori, la pandemia di covid-19 ha evidenziato profonde spaccature nella società statunitense. Durante la pandemia, più di trenta Stati hanno approvato leggi che di fatto hanno limitato il potere di dichiarare lo stato di emergenza, di imporre vaccinazioni o l’uso delle mascherine, di ordinare quarantene e chiusure di aziende.

In più di 1.000 cause legali tali misure sono però state contestate e in circa un quarto di tali cause queste misure sono state invalidate. Diversi Stati hanno addirittura introdotto o approvato leggi antivaccino, come è accaduto nel Tennessee, che ha eliminato tutti i requisiti vaccinali per i bambini scolarizzati a casa, nell’Iowa, che ha eliminato l’obbligo per le scuole di educare gli studenti alla vaccinazione contro

il papillomavirus umano, e nella Florida, che ha impedito ai distretti scolastici di richiedere i vaccini covid-19.

CONCLUSIONI

La salute dovrebbe costituire uno dei valori più cari alla società statunitense. Per questo, come sostengono Lawrence Gostin e Sara Wetter, l’accesso ai servizi sanitari essenziali e la protezione dalle minacce alla salute non dovrebbero dipendere da chi è al potere o da quale sia lo Stato americano in cui si vive. Quest’anno, tuttavia, sia il voto per il rinnovo della carica presidenziale sia le posizioni prese dalla Corte Suprema degli Stati Uniti tendono a mettere seriamente in gioco il futuro della salute pubblica degli americani.

I dati del servizio sanitario inglese messi in vendita?

Morley J, Hamilton N, Floridi L Selling NHS patient data

BMJ 2024; 384: q420

Era il lontano 2006 quando il matematico e data scientist inglese Clive Humby coniò lo slogan “I dati sono il nuovo petrolio” per definire la quarta rivoluzione industriale. A distanza di quasi vent’anni, ci ritroviamo circondati da big data, open data, cloud e database, grazie a uno sviluppo tecnologico che ha contributo a una crescita esponenziale e continua di dati, incrementando anche la tipologia di informazioni processabili. È indubbio, ormai, come i dati rappresentino una ricchezza in grado di modificare il mercato e la società, creando nuove opportunità di business.

Opportunità che a quanto pare il prossimo governo inglese, che dovrà risanare il suo servizio sanitario in profonda crisi, non dovrebbe farsi sfuggire, a detta di Tony Blair e William Hague, fervidi sostenitori dell’idea di sfruttare i dati sanitari a scopi commerciali1

Nel report A new national purpose: leading the biotech revolution2, i due ex leader di partito si fanno promotori di un nuovo approccio all’utilizzo dei dati sanitari a sostegno dei progressi in medicina, proponendo l’istituzione di un data trust, con una quota di controllo di proprietà del National Health System (NHS), con investimenti aggiuntivi da parte delle aziende. Secondo Blair e Hague, questa struttura promuoverebbe un’intelligenza artificiale ‘personalizzata’, in grado di apportare enormi benefici alla ricerca e alla salute pubblica, aiutando gli operatori sanitari a fornire cure non solo più tempestive, ma anche costo-efficaci3-5 Il tutto, ovviamente, preservando rigorosamente la privacy di ciascun cittadino e prevenendo qualunque tipo di abuso. Questa proposta è stata, fin da subito, interpretata come una raccomandazione a vendere i dati del NHS per rivoluzionare l’intelligenza artificiale, sebbene la parola ‘vendita’ non venga mai chiaramente esplicitata. Leggendo attentamente il report, tuttavia, è questa la chiave di lettura che emerge, e che sicuramente ha avuto un impatto negativo sull’opinione pubblica generale, minando la fiducia della popolazione. Perché mai un cittadino dovrebbe dare il suo consenso alla vendita dei suoi dati sensibili a fini commerciali? Probabilmente molti, se non la

maggior parte, saranno restii a farlo, rendendo le informazioni presenti nel data trust meno rappresentative, e quindi meno ‘preziose’6 Un’alternativa alla vendita al dettaglio dei dati sanitari, che possa comunque avere un risvolto economico per il NHS, potrebbe essere rappresentata dal ‘noleggio’ degli stessi, gestito da società senza scopo di lucro e di interesse comunitario. Il NHS resterà proprietario dei dati sanitari dei cittadini, che potrebbero essere conservati in ambienti sicuri, e il cui accesso potrebbe essere consentito di volta in volta per scopi specifici predefiniti da un comitato di pazienti e cittadini. Inoltre, a garanzia che i dati vengano utilizzati solo per finalità socialmente accettabili, sarà necessario stipulare accordi di licenza per tutti i prodotti e i servizi derivati dai dati stessi. Chiunque vincerà le prossime elezioni nel Regno Unito, oramai alle porte, dovrà essere quindi consapevole che i dati possono costituire una risorsa, ma che ci sono alternative valide alla loro messa in vendita, evitando di ricorrere a modelli di ricerca del profitto che rischiano di minare non solo la fiducia dei cittadini, ma anche i valori fondamentali su cui si basa lo stesso NHS7

Eliana Ferroni

UOC Servizio Epidemiologico Regionale e Registri, Azienda Zero Regione del Veneto

BIBLIOGRAFIA

1. Smeeth L, Kumar P, Adebowale V, Abbasi K. The BMJ’s NHS commission: an emphatic recommitment to the founding principles. BMJ 2024;384:q187.doi: 10.1136/bmj.q187 pmid: 38290728.

2. Tony Blair Institute for Global Change. A new national purpose: leading the biotech revolution. 2024. https://www.institute.global/insights/politics-and-governance/anew-national-purposeleading-the-biotech-revolution.

3. O’Dowd A. Sell access to NHS data to boost health innovation, say Blair and Hague. BMJ 2024;384:q225. doi: 10.1136/bmj.q225 pmid: 38278542.

4. Freeman R. Former political rivals call for sale of NHS data to drive AI treatment. Independent 2024 Jan 25. https://www.independent.co.uk/news/uk/tony-blairwilliam-hague-nhs-lord-britishb2484491.html.

5. Nolin JM. Data as oil, infrastructure or asset? Three metaphors of data as economic value. J Inf Commun Ethics Soc 2019;18: 20-43. doi: 10.1108/JICES-04-2019-0044.

6. Graham M. Data for sale: trust, confidence and sharing health data with commercial companies. J Med Ethics 2023;49: 515-522. doi: 10.1136/medethics-2021-107464 pmid: 34330796.

7. Sterckx S, Rakic V, Cockbain J, Borry P. “You hoped we would sleep walk into accepting the collection of our data”: controversies surrounding the UK care.data scheme and their wider relevance for biomedical research. Med Health Care Philos 2016;19: 177190. doi: 10.1007/s11019-015-9661-6 pmid: 26280642.

La gestione delle demenze: a che punto siamo?

Fare il punto sulla gestione di una realtà così complessa quale è quella rappresentata dalle persone con Alzheimer o un’altra forma di demenza non è semplice. È però sicuramente urgente perché stiamo parlando di una realtà che coinvolge 6 milioni di persone, comprendendo in questa cifra i due milioni di pazienti e i 4 milioni di familiari che, ricorda Nicola Vanacore (Osservatorio Demenze, ISS) in questo dossier, possono essere considerati come ‘secondi pazienti’ tanto impatta sulla loro vita la presenza di un familiare con demenza. I dati raccolti e pubblicati nel Report sulle attività che il Fondo per l’Alzheimer e le demenze 2021-2023 ha assegnato all’ISS sono quindi particolarmente preziosi perché, se da un lato fanno emergere la realtà di un paese in grave difficoltà, fatta salva qualche rara eccezione, nella governance di questo tema, dall’altro vogliono costituire uno stimolo per i decisori ad attuare un vero e proprio cambio di paradigma rispetto alle politiche sociosanitarie finora adottate. A descrivere due realtà regionali sono poi Andrea Fabbo (Ausl Modena) e Elena Memeo (Regione Puglia), mentre Patrizia Spadin e Manlio Matera, in qualità di rappresentati dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer, da più di quarant’anni accanto ai malati e ai caregiver, ci presentano un quadro delle lacune più urgenti da colmare.

Alzheimer e demenze: le azioni intraprese dall’Istituto superiore di sanità in nome della sanità

pubblica

Progetto Fondo per l’Alzheimer e le demenze

Il report nazionale e i 21 report regionali sono disponibili per il download al seguente indirizzo: https://www.demenze.it/ it-schede-10054-i_risultati_ del_fondo_per_l_alzheimer_e_ le_demenze_quali_prospettive_ nella_diagnosi_ed_assistenza_d oppure inquadrando con il proprio device questo QR code.

A colloquio con Nicola Vanacore

Responsabile dell’Osservatorio Demenze, Istituto superiore di sanità

Perché il Report nazionale sulle attività dell’Osservatorio demenze dell’Istituto superiore di sanità nell’ambito del progetto Fondo per l’Alzheimer e le demenze negli anni 2021-2023, pubblicato all’inizio di quest’anno, può essere considerato come la testimonianza della più grande operazione di sanità pubblica compiuta in Italia? Il report include tutte le attività che il Fondo per l’Alzheimer e le demenze 2021-23 ha assegnato all’Istituto superiore di sanità (ISS). Il Fondo ha rappresentato il primo finanziamento pubblico, seppure estremamente limitato dal punto di vista economico, per l’implementazione delle azioni incluse nel Piano nazionale delle demenze del 2014. Nel report nazionale sono riportati i risultati di tre indagini condotte nei Centri per i Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD), nei Centri Diurni (CD) e nelle RSA che ospitano persone con demenza. Inoltre sono stati valutati tutti i Piani regionali di prevenzione nell’ottica di identificare le azioni mirate specificatamente sui 12 fattori di rischio modificabili nella demen-

za e i Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) regionali e aziendali specifici sul tema della demenza. Il report include anche i risultati di un’indagine nazionale su 2.369 familiari di persone con demenza, che documentano i costi della malattia e il livello di assistenza forniti dai servizi nelle diverse realtà territoriali. Infine nel documento sono riportati i risultati di 42 focus group, due in ogni regione e provincia autonoma (PA), uno eseguito con gli operatori sociosanitari, l’altro con i familiari dei pazienti. Il quadro complessivo che emerge è quello di un paese, al di là di qualche rara eccezione, in grande difficoltà nella governance del tema della demenza in un quadro generale di profonda crisi dei 21 sistemi sociosanitari pubblici. Appare urgente, per un problema che riguarda 6 milioni di persone (2 milioni con demenza o mild cognitive impairment - MCI) e 4 milioni di familiari (considerati anche come ‘secondi pazienti’), un cambio di paradigma nelle politiche sociosanitarie sia a livello nazionale sia locale.

Una delle attività realizzate dall’Osservatorio demenze grazie al Fondo per l’Alzheimer è stata la realizzazione delle linee guida sulla ‘Diagnosi e trattamento di demenza e mild cognitive impair ment’. Perché sono importanti e quali caratteristiche innovative presentano?

Per la prima volta il nostro paese ha una linea guida pubblica sulla demenza e MCI inserita nel sistema nazionale delle linee guida. La linea guida ha aggiornato quella del NICE e ha inserito 11 nuovi quesiti sul MCI, una condizione che riscuoterà sempre maggiore attenzione in termini di sanità pubblica, visto il grande recente sviluppo della ricerca farmacologica. Complessivamente la linea guida ha formulato 47 quesiti e definito 167 raccomandazioni di pratica clinica e 38 raccomandazioni di ricerca in cinque specifici ambiti: percorso di identificazione, diagnosi e supporto post-diagnostico; modelli assistenziali e coordinamento delle cure; trattamenti farmacologici dei sintomi cognitivi; interventi non farmacologici per i sintomi cognitivi della demenza e del MCI; sintomi non cognitivi, malattie intercorrenti e cure palliative. Sono stati individuati dalle strategie di ricerca, fino a novembre 2023, 216.481 articoli complessivi, 1.054 dei quali – dopo l’applicazione dei criteri di inclusione e di esclusione – sono stati considerati nella versione finale della linea guida. Nel ricordare che la linea guida aiuta e non si sostituisce al professionista sanitario nel prendere le decisioni cliniche, alcune raccomandazioni relative all’uso degli inibitori delle

“All’1 gennaio 2024 nel SNLG erano presenti 96 linee guida prodotte dalle società scientifiche e solo 8 da istituzioni pubbliche, tra le quali quella dell’ISS sulla demenza e MCI. Questo è il contesto nel quale è stata redatta la linea guida sulla ‘Diagnosi e trattamento di demenza e mild cognitive impairment’, e per questo, a nostro avviso, questa linea guida ha un valore ancora maggiore in termini di sanità pubblica.”

colinesterasi e ai trattamenti psico-educazionali e di stimolazione cognitiva verranno inviate all’AIFA, per la modifica della nota 85, e alla Commissione ministeriale per l’aggiornamento dei LEA.

Sono state pubblicate recentemente sul Lancet Neurology le prime raccomandazioni intersocietarie europee per la corretta utilizzazione di biomarcatori per la diagnosi dei disturbi neurocognitivi. Condividete le conclusioni dei colleghi sull’impiego di questo strumento diagnostico?

No, non condividiamo le conclusioni di questo articolo. Le ragioni sono semplici. Le raccomandazioni intersocietarie sono state elaborate applicando il metodo Delphi nell’ambito di una Consensus conference, quelle invece della linea guida ‘Diagnosi e trattamento di demenza e mild cognitive impairment’ sono state redatte applicando il metodo GRADE alle evidenze scientifiche disponibili. Mai come in questo caso la metodologia è sostanza. Il tutto ha un valore enorme nella scelta di quali raccomandazioni cliniche introdurre nel Servizio sanitario nazionale (SSN) pubblico. Abbiamo assistito con grande amarezza a una distorsione comunicativa, anche televisiva, sul significato di queste raccomandazioni pubblicate su Lancet Neurology: sono state presentate come linee guida europee sulla diagnosi dei disturbi neurocognitivi.

Ricordo che nella linea guida coordinata dall’ISS la raccomandazione numero 29 recita “Non offrire biomarcatori per la diagnosi e diagnosi differenziale di MCI” (GRADE: forte negativa) e quella di ricerca 4R si domanda “Qual è l’utilità clinica dei biomarcatori per l’inquadramento diagnostico, la diagnosi differenziale e la prognosi di mild cognitive impairment?”. Inoltre, per la diagnosi di demenza le raccomandazioni 13 e 14 suggeriscono di utilizzare ulteriori test diagnostici (tra i quali anche i biomarcatori liquorali) “solo nel caso in cui siano di supporto alla diagnosi del sottotipo e la conoscenza della sottocategoria diagnostica modifichi la gestione” (GRADE: debole positiva). La questione dei biomarcatori si inserisce in una problematica più ampia dove si discute se la diagnosi di malattia di Alzheimer debba essere solo biologica e come valutare il carico amiloideo di un paziente qualora gli anticorpi monoclonali vengano autorizzati all’immissione in commercio anche in Europa. L’argomento è in continua evoluzione e si sta valutando la validazione dei biomarcatori plasmatici. Ovviamente non esiste un confine netto tra ricerca e attività clinica corrente ma abbiamo tutti gli elementi conoscitivi per fare chiarezza e soprattutto comunicare in modo corretto con i pazienti e i familiari su quali test diagnostici si basi la diagnosi. Un’ultima riflessione riguarda la legge Gelli-Bianco, che ha modificato dal marzo 2017 il Sistema naziona-

le linee guida (SNLG) nel nostro paese, e che àncora, in modo eccessivo e unico rispetto agli altri paesi occidentali, le linee guida alla responsabilità professionale e quindi al codice civile e penale. Le linee guida sono un documento tecnico e vengono redatte per aiutare i professionisti sanitari nel prendere decisioni, per cui le loro raccomandazioni non possono essere utilizzate esclusivamente nel contesto della medicina difensiva. La legge Gelli-Bianco consente sia alle società scientifiche che alle istituzioni pubbliche di redigere le linee guida, che devono poi, tutte, essere approvate dal SNLG. In Italia ad oggi 411 società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie possono redigere linee guida. All’1 gennaio 2024 nel SNLG erano presenti solo 96 linee guida prodotte dalle società scientifiche e 8 da istituzioni pubbliche (tra le quali quella sulla demenza e MCI). Appare urgente una riflessione su questo tema: non esiste in Italia un finanziamento pubblico specifico sulle linee guida (il NICE stanzia circa 35 milioni di sterline all’anno per redigere linee guida) e non sembra plausibile sostenere che nel futuro riusciremo ad avere a disposizione sul sito del SNLG linee guida in tutti gli ambiti della medicina. Ecco, questo è il contesto nel quale è stata redatta la linea guida sulla ‘Diagnosi e trattamento di demenza e mild cognitive impairment’, e per questo, a nostro avviso, questa linea guida ha un valore ancora maggiore in termini di sanità pubblica.

L’implementazione del Piano nazionale demenze ha comportato anche il monitoraggio della quantità e della qualità dei Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali per le demenze presenti nel nostro paese. Quali criticità sono emerse?

Nell’ambito delle attività del Fondo per l’Alzheimer e le demenze abbiamo individuato 11 Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (PDTA) regionali e 28 PDTA aziendali sulla demenza, redatti dopo la pubblicazione nel 2017 delle ‘Linee di indirizzo nazionali per i percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali per le demenze’. Queste linee di indirizzo, redatte dal Tavolo permanente della demenza, coordinato dal Ministero della salute, definiscono uno standard di qualità nella redazione di questi importanti e cruciali documenti per la governance del fenomeno. Il quadro che emerge è che, ad oggi, per nessuno dei PDTA sono stati pubblicati i valori degli indicatori di struttura, processo ed esito, impedendo nei fatti di valutare se un PDTA ha prodotto o meno un cambiamento nella realtà assistenziale. Inoltre la criticità più importante è rappresentata dall’assenza, in tutti i PDTA valutati, di indicatori di natura economica e amministrativa, che costituiscono l’elemento chiave per il monitoraggio sull’impiego e l’allocazione delle risorse economiche disponibili.

La Linea guida per la diagnosi e il trattamento della demenza e MCI è consultabile a questo indirizzo: https://www.iss.it/-/snlg-diagnosi-etrattamento-delle-demenze oppure inquadrando questo QR code

La collaborazione instaurata con tutti i referenti regionali vi ha permesso di condurre una survey di tutti i servizi dedicati alla demenza nelle varie regioni. Perché la pubblicazione di questi dati è particolarmente importante?

Ritengo che il lavoro di questi tre anni con il Fondo abbia prodotto una nuova modalità di collaborazione tra le istituzioni nazionali e quelle regionali. Si è creato un nuovo clima di lavoro che sta favorendo le interazioni tra le regioni, il Ministero e l’ISS con la finalità di analizzare la situazione esistente e proporre azioni di cambiamento. Le discussioni consentono un confronto continuo tra le diverse realtà assistenziali e questo rafforza una visione nazionale del problema nella complessità e nell’articolazione dei 21 sistemi sociosanitari. Con i dati raccolti possiamo ora affermare che l’offerta assistenziale per la demenza è differente complessivamente nel nord e nel centro del paese rispetto al sud e alle isole. Ecco perché le survey condotte nell’ambito delle attività previste dal Fondo per l’Alzheimer e le demenze nei CDCD, RSA e CD hanno consentito di caratterizzare il profilo organizzativo, le risorse professionali disponibili nonché l’offerta dei servizi in 511/534 CDCD (96%), 1.766/3.614 RSA (48,9%) e 493/104 CD (45,5%). L’insieme di queste informazioni potrà essere utilizzato nell’elaborazio-

ne dei nuovi PDTA e nell’aggiornamento di quelli esistenti, definendo standard di qualità nell’erogazione dei servizi nella prospettiva dell’applicazione del DM 77/2022. Questo è il motivo del perché abbiamo redatto non solo un report nazionale ma anche 21 report regionali in modo tale da fornire tutte le informazioni al decisore locale per programmare al meglio la direzione del cambiamento.

Il fondo per l’Alzheimer è stato fortunatamente rifinanziato per quasi 35 milioni di euro nel triennio 2024-2026. Sappiamo quanto spende il nostro paese ogni anno per questi pazienti, la cui assistenza coinvolge direttamente anche gli stessi familiari? Saranno sufficienti questi soldi e come dovrebbero essere secondo lei utilizzati al meglio?

Penso che bisogna essere chiari su questo punto. Stiamo utilizzando dei “pannicelli caldi” per una situazione molto critica e di grande impatto per la nostra collettività, visto che sono coinvolti – tra malati e familiari – circa 6 milioni di persone. Per la prima volta in Italia, con dati raccolti in tutte le Regioni e PA, possiamo stimare che il costo annuo della demenza è pari a 23 miliardi di euro, il 63% dei quali a carico delle famiglie. L’Italia, a differenza di tutti i paesi occidentali, non ha finanziato nel 2014 il Piano nazionale delle demenze, e solo con la legge di bilancio del 2020 sono stati stanziati 15 milioni di euro per il triennio 2021-23. Considerando che il 60% di questa risorsa economica è stato destinato al personale, consentendo l’assunzione di centinaia di neuropsicologi e psicologi nei CDCD, si evince che non può essere questa tipologia di finanziamento quella che tampona la mancanza cronica di personale nei servizi. Il Tavolo permanente della demenza sta chiedendo alla politica, nell’aggiornamento del Piano nazionale della demenza, un finanziamento strutturale che preveda la voce del personale e quella delle strumentazioni diagnostiche. Nella fase di chiusura delle attività del Fondo 2021-23, e in attesa di essere operativi con il Fondo 2024-26, si stanno verificando situazioni spiacevoli che si configurano come un’interruzione di pubblico servizio, visto che il personale assunto ha contribuito in modo consistente alla riduzione delle liste di attesa nei CDCD e ha consentito di poter offrire a un maggior numero di pazienti e familiari interventi psico-educativi e di stimolazione cognitiva.

In sintesi è vero che 35 è un numero maggiore di 15 ma, a mio parere, al di là delle sterili polemiche tra le parti politiche, dovremmo affrontare con maggiore responsabilità e discontinuità rispetto al passato il tema della governance della demenza nell’auspicio di preservare un bene prezioso per la nostra comunità: il SSN pubblico. n ML

Distretto di Mirandola

Distretto di Carpi

Distretto di Modena

Distretto di Sassuolo

Distretto di Castelfranco Emilia

Distretto di Vignola

Distretto di Pavullo

Il ‘modello Modena’ nella gestione delle persone con demenza

A colloquio con Andrea Fabbo

Responsabile Unità Operativa di Geriatria ‘Disturbi Cognitivi e Demenze’, AUSL di Modena

Dottor Fabbo, lei dirige una struttura all’avanguardia nella presa in carico di quanti hanno una forma di demenza. Come siete organizzati all’interno della vostra struttura e come sono distribuiti i s ervizi sul vostro territorio?

Il servizio che dirigo è una struttura complessa di geriatria denominata ‘Disturbi cognitivi e demenze’, presente nel contesto territoriale, che si occupa della diagnosi, cura e assistenza delle persone con demenza e dei loro caregiver. La struttura svolge anche un lavoro di regia del percorso delle persone con demenze nelle tre aziende sanitarie presenti in provincia di Modena: l’Azienda Unità Sanitaria Locale (AUSL), che è un’azienda territoriale che comprende però anche 5 ospedali, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria (AOU), alla quale fanno capo due grandi ospedali, il Policlinico e l’Ospedale Civico di Baggiovara, e il Nuovo Ospedale di Sassuolo, un’azienda mista pubblico-privato a prevalente partecipazione pubblica. A questo coordinamento provinciale afferiscono anche i comuni

(con le attività dei servizi sociali) e le associazioni di pazienti e familiari, che lavorano su progetti integrati. Fin dall’avvio del progetto regionale demenze (DGR 2581/99) e del progetto Cronos (2000), poi ripreso dall’applicazione del Piano Nazionale Demenze (2014) con la DGR 990/2016, vi è sempre stata in questa provincia una forte attenzione alla necessità di creare una rete territoriale diffusa per la gestione delle persone con demenza e delle loro famiglie con la scelta di realizzare un Centro Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) in ogni distretto. Questa attenzione si è anche manifestata nella buona integrazione tra la rete dei servizi, le associazioni di volontariato e l’ospedale (per il supporto alla diagnosi e la gestione dei casi complessi), e nella creazione di un modello assistenziale basato sul coinvolgimento, fin dalla diagnosi, del medico di medicina generale (grazie al progetto Disturbi cognitivi con la medicina generale, avviato nel 2002 con revisioni nel 2007 e nel 2015). Contemporaneamente si sono sviluppati in questi anni servizi specialistici (NODAIA Villa Igea, Nuclei Demenze per assistenza residenziale temporanea nelle Comunità Riabilitative ad Alta Assistenza - CRA) - e Centri Diurni Demenze) per rispondere alla vera emergenza del problema, rappresentata dai disturbi comportamentali (Behaviour and psychological symptoms of dementia - BPSD), e per ridurre rico-

RETE DEMENZE PROVINCIA DI MODENA

702.949 abitanti

10 CDCD (7 distrettuali - 3 ospedalieri)

157.854 over 65 (22%)

Circa 12.000 pazienti presi in carico dal sistema

Équipe territoriale (AUSL)

•20 geriatri dipendenti

•1 neurologo territoriale

•1 neurologo in H Carpi

•9 geriatri SUMAI territoriali

•16 infermieri + 1 coordinatore UO

Accordo con 503 MMG: progetto disturbi cognitivi

1 Nucleo Ospedaliero Demenze (20 PL cod. 056/060)

5 Nuclei Demenze Temporanei in RSA: 66 PL

2 Centri Diurni Demenze (Modena e Carpi): 39 posti

5 Associazioni di Familiari in Rete

PL: posti letto

•9 psicologi (sostegno caregiver)

•5 neuropsicologi (diagnostica e riabilitazione)

•Collegamento con la geriatria e la neurologia dell’AOU per interventi di 2° e 3° livello (diagnostica complessa e day service)

•Nuove gure professionali: 13 terapisti occupazionali per domicilio

•3 OSS (Modena, Pavullo, Carpi)

Équipe ospedaliera (AOU)

•3 geriatri (UO Geriatria)

•4 neurologi (UO Neurologia)

•3 neuropsicologi (UO Neurologia)

•1 psicologo clinico (Geriatria-Neurologia)

•4 infermieri

•1 genetista

•2 neurocardiologi

•1 medico nucleare

•2 logopedisti

I principali progetti della ASL di Modena per contrastare il declino cognitivo e combattere lo stigma

Dal momento che solo con interventi precoci è possibile rallentare la progressione e gestire le varie forme di demenza il più a lungo possibile la AUSL di Modena ha attivato alcuni progetti in collaborazione con le associazioni e le comunità locali con l’intento di creare una vera e propria rete di prevenzione e socialità per gli anziani.

 Modena, insieme ad altri comuni della sua provincia, è entrata a far parte della rete delle Comunità amiche delle persone con demenza (Dementia friendly community) da tempo avviata su scala internazionale, con l’obiettivo di permettere alla persona con demenza di rimanere nella propria casa il più a lungo possibile, offrendo ai familiari maggiori risorse e opportunità per sostenere il loro lavoro di cura.

 Le Palestre della Memoria sono realtà di prevenzione attiva del decadimento cognitivo in cui, settimanalmente, gruppi di anziani svolgono esercizi di stimolazione delle funzioni cognitive supportati da volontari formati dalle neuropsicologhe del Centro Disturbi Cognitivi dell’Ausl di Modena.

 Il progetto In forma mentis è uno spazio per l’invecchiamento attivo e la prevenzione della depressione nell’anziano, che offre corsi di ginnastica mentale e fisica e di educazione alla salute.

 Sempre legati all‘invecchiamento attivo, sono stati avviati alcuni progetti in collaborazione con la Medicina dello sport, tra cui la ricerca AirAlzheimer per la quale la AUSL di Modena ha vinto un apposito bando.

veri ospedalieri inappropriati e istituzionalizzazione precoce.

Quali sono i progetti aziendali e di comunità che avete in corso?

Tutti i progetti che il sistema locale ha messo e sta mettendo in campo in questi anni sono il frutto di uno straordinario sforzo collaborativo, solo in parte limitato dall’emergenza epidemiologica legata alla pandemia, ma già in piena ripresa fin dal 2021, che vede le aziende sanitarie, il comune, l’università e le associazioni dei familiari uniti per rispondere a una delle più grandi priorità di salute pubblica del nostro tempo, che interessa un numero sempre crescente di famiglie.

Fondamentale, nella gestione del percorso demenze, è il ruolo del medico di medicina generale non solo per l’intercettazione precoce dei casi (sappiamo che, se la demenza viene diagnosticata e presa in carico in fase precoce, si riducono le complicanze della malattia e migliora la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie), ma anche per il monitoraggio della malattia, spesso associata alle più diffuse patologie croniche dell’anziano, che permette di ridurre gli accessi in Pronto Soccorso e i ricoveri inappropriati in ospedale. I dati del 20222023 mostrano un incremento dei casi con la ripresa delle attività dopo l’emergenza covid-19 (nonostante queste non si siano in realtà mai interrotte anche durante la pandemia, in quanto le urgenze sono state sempre garantite e molte attività di monitoraggio sono state effettuate con modalità a distanza e telemedicina) anche grazie al potenziamento della rete di assistenza dedicata ai disturbi cognitivi, che vede in prima linea i geriatri della struttura complessa Disturbi cognitivi e demenze dell’AUSL oltre a psicologi, infermieri e terapisti occupazionali. In particolare, la figura del terapista occupazionale, innovazione legata al potenziamento della rete dei servizi territoriali da parte della stessa AUSL, permette di poter effettuare programmi di trattamento a domicilio finalizzati da un lato al mantenimento delle autonomie delle persone con demenza (attività fondamentale per ridurre l’impatto della disabilità legata a demenza) e dall’altro al controllo dei disturbi comportamentali (spesso causa di ricoveri ospedalieri inappropriati e complicanze). La demenza è complessa. Crediamo che l’approccio migliore alla patologia non risieda solo nella capacità di cura di un farmaco, ma nel ricorso a diverse terapie che potranno risolvere specifici aspetti dell’Alzheimer. Oggi abbiamo la possibilità di erogare trattamenti di tipo non farmacologico (i cosiddetti ‘interventi psicosociali’), che possono rallentare il decorso della demenza. Sono proprio questi interventi a ‘bassa soglia’ (come la stimolazione cognitiva e la terapia

occupazionale), che eroghiamo nella nostra rete di cura insieme ai progetti che portiamo avanti con le associazioni come i Caffè Alzheimer, i Centri di Incontro (Meeting Center) e i Cogs Club, ad avere una grande rilevanza sociale per le persone con disturbi cognitivi e per le loro famiglie.

La gestione della persona con demenza coinvolge direttamente anche i familiari, che ricoprono il più delle volte anche il delicato ruolo di caregiver. Quali interventi di sostegno avete messo in atto nei loro confronti?

La Regione Emilia-Romagna ha assunto a livello di politica generale fin dal 2014 l’obiettivo di riconoscere il ruolo del caregiver familiare e l’importanza del suo sostegno con una specifica legge regionale, avviando il percorso attuativo in collaborazione con la rete dei referenti territoriali di ambito sociale e sanitario e con la partecipazione del terzo settore, inclusi i rappresentanti delle associazioni dell’area demenze, che fanno parte del gruppo regionale caregiver. Dal 2021 è stato inoltre sbloccato il Fondo nazionale caregiver (di importo molto limitato, circa 2 milioni di euro l’anno per la nostra regione, che ci auguriamo venga incrementato) che ha consentito di sviluppare:

• interventi di sollievo sia presso il domicilio che in residenze e centri diurni,

• interventi di supporto in situazioni complesse e di emergenza per il caregiver,

• interventi educativi, di affiancamento, tutoring, sostegno socio-relazionale al caregiver,

• assegni di cura,

• percorsi di sostegno psicologico individuale o di gruppo e interventi di supporto psico-educativo,

• iniziative di formazione,

• altri interventi a carattere sperimentale e innovativo individuati dai singoli ambiti territoriali.

Si tratta di azioni molto importanti perché spesso i familiari sono costretti a ricorrere a personale da loro retribuito e non inserito nel sistema di cura rappresentato dalla rete dei servizi, cosa che li espone al rischio di non garantire una ‘tutela’ adeguata alla persona assistita.

Sostegno psicologico e formazione sono azioni indispensabili per ridurre il rischio di burnout di chi presta assistenza e per evitare che, proprio a causa di un caregiving inadeguato, la persona con demenza vada incontro a fenomeni di abuso sia fisico sia psicologico e a complicanze evitabili, come l’eccesso di disabilità (si pensi al tema della contenzione e alla perdita precoce delle autonomie), la richiesta impropria di accesso ai servizi sanitari e al Pronto Soccorso, fino a veri e propri ‘maltrattamenti’ di varia natura. La tutela dell’anziano con demenza

“La prevenzione, la diagnosi e cura, e la gestione delle demenze nella rete dei servizi dipenderanno sicuramente dalle nuove conoscenze e dai passi avanti nella ricerca (non solo sui farmaci), ma anche e soprattutto dalle strategie di politica sociosanitaria che saremo in grado di mettere in campo.”

passa quindi anche attraverso un adeguato supporto a tutto il sistema del caregiving sia di tipo informale (familiare o assistente familiare) sia formale (operatori dei servizi domiciliari, semiresidenziali o residenziali). La realizzazione di questo supporto prevede sempre un lavoro di integrazione condotto sul campo, al fianco delle famiglie, non solo tra servizi sociali e sanitari, ma anche con le associazioni di categoria, il volontariato e il privato (agenzie del lavoro, agenzie formative o di consulenza), così da sostenere tutte le azioni necessarie per un caregiving di qualità.

Secondo lei, quali sono le aree di miglioramento possibili nella presa in carico e nella gestione di queste persone?

Va sicuramente migliorato il supporto a domicilio per le persone con demenza con un’assistenza domiciliare più specializzata, per fare in modo che possano vivere nel contesto della propria comunità. Questa sfida presuppone una grande lavoro di sinergia fra enti, associazioni e comunità, oltre che maggiori risorse dedicate (in linea con uno dei grandi obiettivi del DDL anziani, recentemente approvato, che ancora non è stato raggiunto).

Il CDCD non dovrebbe essere un semplice ambulatorio, ma un servizio dedicato in cui un’équipe multiprofessionale (medici, infermieri, psicologi, terapisti) si fa carico di seguire e supportare le persone con demenza a vari livelli per evitare complicazioni, ricoveri inappropriati in ospedale, e il ricorso all’istituzionalizzazione anche nelle fasi più precoci, quando può invece essere evitata. Purtroppo l’organizzazione dei CDCD nel contesto italiano è ancora lontana da questo obiettivo. Il CDCD dovrebbe poter intervenire anche in situazioni urgenti, legate ai disturbi comportamentali, che mettono in crisi la famiglia e spesso l’intero sistema sociosanitario. Quando si parla di miglioramento della rete dei servizi non si può tralasciare l’ospedale. La demenza infatti rappresenta per il paziente ospedalizzato un predittore indipendente di aumentata durata della degenza, di maggiore perdita funzionale, di maggiore rischio di complicanze (infezioni, cadute, danni iatrogeni), di mortalità e di più elevata frequenza di istituzionalizzazione. E uno degli obiettivi del nuovo progetto regionale demenze (DGR 990/2016) è quello di qualificazione dei processi assistenziali interni agli ospedali nei reparti maggiormente interessati dai ricoveri di persone con demenza. Poiché è ipotizzabile il trasferimento di parte di questi ricoveri al setting delle cure intermedie (azione peraltro prevista nel modello del PDTA demenze regionale), sono state proposte le seguenti azioni che vanno a ‘impattare’ sulla rete dei servizi: 1. incremento dell’offerta di posti per assistenza re-

sidenziale temporanea presso strutture per anziani per coprire aree dei territori distrettuali sprovviste di questa possibilità;

2. valutazione della possibilità di destinare alla gestione del delirium e dei BPSD alcuni posti letto nei setting di cure intermedie attraverso la collaborazione dei medici di medicina generale e degli specialisti dei CDCD (alcuni già presenti nelle Case della Comunità);

3. incrementare la presenza di team distrettuali (unità mobili) per la presa in carico in urgenza di ‘scompensi comportamentali’ delle persone con demenza, così da evitare accessi impropri in Pronto Soccorso, richiesta di ospedalizzazione e istituzionalizzazione precoci.

Che impatto avranno secondo lei le recenti novità terapeutiche per la cura dell’Alzheimer sull’organizzazione dei servizi sanitari e quali sono le sfide per il futuro?

Premesso che le terapie monoclonali potrebbero modificare l’evoluzione della demenza di Alzheimer purtroppo solo in un sottogruppo di persone (si pensa a non oltre il 10% dei casi diagnosticati), i progressi compiuti sia in ambito diagnostico sia farmacologico negli ultimi anni avranno un impatto enorme sui servizi sanitari. Dovrà essere riorganizzata tutta la rete dei CDCD, perché dovrà essere valutato un numero sempre più grande di persone, dotandola di attrezzature adeguate, e dovranno essere formati gli operatori per predisporre i servizi di emergenza-urgenza per la gestione dei possibili eventi avversi, che non sono secondari. Restando in tema di innovazione, la crisi pandemica ha permesso di sperimentare nuove soluzioni per erogare interventi psicosociali anche a distanza attraverso la telemedicina, diventati ora parte integrante degli interventi utili per contrastare l’isolamento del paziente da un lato e monitorare il suo stato di salute dall’altro. Fondamentale resta comunque la necessità di erogare interventi individualizzati a domicilio per sostenere la persona con demenza e la sua famiglia. La grande sfida per il futuro è quella non solo della creazione di servizi sempre più specializzati e adeguati, ma anche e soprattutto di promuovere e realizzare interventi nella comunità in grado di garantire una ‘normalità’ alle persone con demenza e ai loro caregiver. La prevenzione, la diagnosi e cura, e la gestione delle demenze nella rete dei servizi dipenderanno sicuramente dalle nuove conoscenze e dai passi avanti nella ricerca (non solo sui farmaci), ma anche e soprattutto dalle strategie di politica sociosanitaria che saremo in grado di mettere in campo. Non è un lusso ma una necessità perché “di demenza si deve parlare”, oggi più che mai. n ML

La gestione delle persone con demenza in Puglia

A colloquio con Elena Memeo

Servizio Strategie e Governo dell’Assistenza alle Persone in Condizioni di Fragilità della Regione Puglia

RETE DEMENZE REGIONE PUGLIA

26

Centri Disturbi Cognitivi e Demenze

45

Unità di Valutazione Multidisciplinare

205

Residenze Sanitarie Assistenziali

153

Centri Diurni

“...si auspica un ulteriore miglioramento degli interventi non farmacologici e psicosociali che consentano di aumentare il funzionamento cognitivo globale e migliorare la qualità della vita nonché di mantenere l’autonomia funzionale e ridurre il tasso di ospedalizzazione di questi pazienti.”

Dottoressa Memeo, a che punto è la Regione Puglia nella definizione dei percorsi di assistenza e presa in carico delle persone con demenza?

Previa presa in carico da parte dei Centri Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) e delle Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM) del distretto sociosanitario, i soggetti con demenza, ove non necessitino di presa in carico ospedaliera o ambulatoriale, sono inseriti nelle apposite strutture a regime residenziale o semiresidenziale, quali le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) per soggetti non autosufficienti e i Centri Diurni (CD) per soggetti non autosufficienti.

Attualmente sul territorio della Regione Puglia sono presenti 26 CDCD, 45 UVM, 205 RSA e 153 CD.

Prevenzione e diagnosi precoce sono essenziali per cercare di contenere gli effetti drammatici di quella che con l’invecchiamento della popolazione si sta delineando come una grave emergenza. Avete avviato dei progetti specifici in Puglia a questo riguardo?

Sì. La Regione Puglia, con Deliberazione della Giunta regionale n. 1284 del 19 settembre 2022, ha approvato il Piano regionale di Attività Demenze per il triennio 2021-2023. Il Progetto in questione, finanziato con i fondi di cui al Decreto del Ministero della salute 23 dicembre 2021, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 75 del 30 marzo 2022, si sviluppa su due linee di intervento, scelte tra quelle indicate dal predetto Decreto.

La prima linea di azione consiste nel “potenziamento della diagnosi precoce del disturbo neuro-cognitivo (DNC) minore (Mn)/Mild Cognitive Impairment (MCI) e sviluppo di una carta del rischio cognitivo per la pratica clinica, mediante investimenti, ivi incluso l’acquisto di apparecchiature sanitarie”. Tale linea progettuale è stata optata, tra le altre linee proposte dal citato Decreto, al fine di garantire interventi quanto più possibile tempestivi a beneficio delle persone con demenza e contempla i seguenti sotto-obiettivi specifici.

a. Formazione e sensibilizzazione dei medici di medicina generale, allo scopo di migliorare il processo di individuazione di soggetti con possibile DNCMn/MCI. La campagna è indirizzata a tutti i medici di medicina generale, già coinvolti nell’invio dei soggetti con deficit cognitivi ai CDCD afferenti alle sei Aziende Sanitarie Locali

(ASL) di Regione Puglia. Sono organizzati eventi formativi ECM sull’identificazione precoce di segni e sintomi associati al MCI, sugli strumenti clinici e diagnostici per la diagnosi precoce di MCI, su training specifici sulla somministrazione di test di screening, sui percorsi diagnostici-terapeutici presso i CDCD e sulla rete assistenziale territoriale per l’assistenza dei soggetti con MCI o DNC maggiore (Mg).

b. Survey presso i CDCD di Regione Puglia, volta a indagare disponibilità di competenze e figure sanitarie coinvolte nel processo di diagnosi e cura dei soggetti con MCI e DNCMg, scale cliniche e test neuropsicologici somministrati nel work-up clinico e diagnostico dei soggetti con sospetto MCI e flusso annuale di pazienti con diagnosi di MCI e DNCMg.

c. Creazione di un protocollo clinico di valutazione, diagnosi, follow-up e quantificazione del rischio per il MCI, condiviso e standardizzato per tutti i CDCD di Regione Puglia.

d. Formazione del personale CDCD, con l’organizzazione di webinar e corsi FAD rivolti alle figure sanitarie che prestano servizio nei CDCD delle sei ASL di Regione Puglia.

e. Sviluppo di una piattaforma per la raccolta dei dati risultanti dal protocollo clinico e di valutazione del rischio sviluppato nell’obiettivo specifico c) e da implementare in ciascuna azienda sanitaria locale. L’intera raccolta dati sarà finalizzata alla creazione di un minimum dataset del MCI, per ottenere informazioni precise sul flusso regionale, al fine di calcolarne prevalenza e incidenza a due anni dall’inizio del progetto.

Secondo lei, quali sono le aree di miglioramento possibili nella presa in carico e nella gestione di queste persone?

Nella cura dei soggetti con demenza è sempre migliorabile la fase diagnostica, al fine di identificare precocemente i soggetti con MCI e rallentare, ove possibile, il declino cognitivo.

Ancora, si auspica un ulteriore miglioramento degli interventi non farmacologici e psicosociali che consentano di aumentare il funzionamento cognitivo globale e migliorare la qualità della vita nonché di mantenere l’autonomia funzionale e ridurre il tasso di ospedalizzazione di questi pazienti.

Si auspica che l’efficientamento di tali fasi, già oggetto del Piano regionale 2021-2023, prosegua con il finanziamento relativo al triennio 2024-2026. n ML

“È necessario, oltre che urgente, che una governance forte del Ministero della salute disegni una presa in carico adeguata ai bisogni dei malati e delle famiglie, alle innovazioni ormai dietro l’angolo, e alla ricerca clinica e sociale che negli ultimi vent’anni ha fatto passi avanti anche per la demenza.”

Alzheimer e demenze: le lacune da colmare nella presa in carico dei pazienti e dei loro familiari secondo AIMA

A colloquio con Patrizia Spadin1 e Manlio Matera2

1Presidente Nazionale Associazione Italiana Malattia di Alzheimer - AIMA; 2Presidente AIMA Firenze

Che cosa ancora manca secondo voi al sistema di gestione delle persone con demenza a livello territoriale perché si possa parlare di una reale presa in carico dei loro bisogni assistenziali e di quelli dei loro familiari?

Per fare un esame delle criticità relative alla gestione delle demenze crediamo sia imprescindibile iniziare da un’analisi a più livelli. Infatti, le demenze, come diverse altre malattie croniche, scontano alcuni dei problemi ‘sistemici’ del Servizio sanitario nazionale, come per esempio la cronica insufficienza di personale sanitario, reti di presa in carico non omogenee tra regioni (e spesso nemmeno all’interno delle stesse) e sottofinanziamenti per quanto riguarda anche le reti sociali.

In aggiunta, le demenze rappresentano una cronicità realmente complessa riguardando soprattutto persone anziane e fragili con molte possibili comorbilità, e quindi un numero elevato di casi con un’incidenza destinata a triplicare entro il 2050, essendo l’Italia uno dei paesi più longevi al mondo.

AIMA ritiene, forte della sua quarantennale esperienza accanto ai malati e ai caregiver, di poter elencare senza tema di smentite le principali carenze della presa in carico nel nostro paese:

l una sostanziale carenza di centri ‘esperti’, sia come distribuzione geografica rapportata al numero di pazienti sul territorio, sia come orari di servizio e come multiprofessionalità presenti; l mancato collegamento e integrazione tra servizi di diagnosi e cura, servizi sociosanitari e socioassistenziali;

l medici di medicina generale poco ‘attenti’ (poco formati?) sia ai campanelli d’allarme della patologia che ai sintomi conclamati, rallentando così l’inizio del percorso di presa in carico;

l poca uniformità tra regioni, servizi, protocolli di diagnosi e trattamento, valutazioni multidimensionali per l’accesso ai previsti ausili previdenziali.

Si comprende quindi come le enormi difformità territoriali rendano difficile parlare di ‘presa in carico’ nel nostro paese.

È necessario, oltre che urgente, che una governance forte del Ministero della salute disegni una presa in carico adeguata ai bisogni dei malati e delle fami-

glie, alle innovazioni ormai dietro l’angolo, e alla ricerca clinica e sociale che negli ultimi vent’anni ha fatto passi avanti anche per la demenza. I Centri Disturbi Cognitivi e Demenze (CDCD) hanno necessità di essere riorganizzati, potenziati e modulati sui bisogni della popolazione dei pazienti. Le regioni devono stendere e applicare PDTA che tengano conto anche delle innovazioni alle porte. La rete di cura e quella assistenziale devono integrarsi per diventare efficaci risposte ai bisogni che mutano negli anni di malattia del paziente.

Entrando nel merito della Toscana, quali sono le maggiori criticità che rilevate in questa regione anche rispetto al diritto di tutti i pazienti di ricevere le stesse opportunità di assistenza?

La Toscana ha affrontato lo sviluppo e l’innovazione dei servizi sociali e sanitari per la demenza con tutta l’attenzione richiesta da una patologia o, più correttamente, da un insieme di patologie che, per gravità, diffusione e ripercussioni sociali, si presentano con le caratteristiche di una malattia sociale. Tuttavia, non si può sostenere che in Toscana le persone con demenza e le loro famiglie ricevano risposte appropriate e tempestive ai bisogni di cura e di sostegno che si presentano negli anni di malattia, né che il modello organizzativo dei servizi sia adeguato rispetto alla complessità della patologia che, in termini di gestione sanitaria, necessita di interventi coordinati di diverse professionalità, appartenenti a specialità e organizzazioni diverse. In sintesi, si soffre per la mancanza di un’effettiva organizzazione in rete di tutte le strutture e i soggetti coinvolti, dall’ospedale al territorio, dal sanitario al sociale. Anche in Toscana si incontrano difficoltà nell’accesso ai servizi, diverse da territorio a territorio. Anche in Toscana non si riesce a combattere efficacemente, con interventi sulla comunità, lo stigma della malattia e l’isolamento delle famiglie.

Ma un obiettivo certo è stato raggiunto, con una attenzione alla demenza mantenuta negli anni: si è costruita una governance competente e attiva, in grado di garantire, con un solido background culturale, la capacità di progettazione richiesta per un efficace utilizzo delle risorse destinate, in maniera diretta o indiretta, alla patologia, e questo risulta evidente dall’osservazione del percorso fatto nell’ultimo decennio, scandito da delibere e decreti, tra cui nel 2017 il Piano Regionale Demenze e nel 2018 la costituzione del Gruppo di Lavoro Demenze, e il sostegno alle esperienze di Caffè Alzheimer, di Atelier Alzheimer e di Musei Toscani per l’Alzheimer. È comunque chiaro che le azioni qui brevemente elencate non sono ancora sufficienti, soprattutto considerati i trend di invecchiamento legati alla patologia e – nonostante l’impegno – le evidenti

necessità di potenziamento dell’attuale sistema di presa in carico.

Per definire nuove strategie di intervento, infatti, è necessario partire dalla considerazione che oggi si debba parlare di demenza in un nuovo scenario, determinato, in parte, dalle linee di intervento delle missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e, in parte, dallo sviluppo delle conoscenze prodotto dalla ricerca clinica e farmacologica e dalla consolidata esperienza dei luoghi di cura. Manca ancora una visione (e riteniamo non manchi solo in Toscana) che consenta di avviare percorsi di innovazione del modello organizzativo dei servizi per la demenza in grado di seguire le nuove conoscenze,

NASCE Tè-Co, IL SUPPORTO ONLINE PER PAZIENTI E FAMILIARI

La salute mentale è centrale nella cura del paziente con demenza o Alzheimer. Ed è per andare incontro a questa richiesta che nasce a Firenze la collaborazione tra l’Associazione Italiana Malattia Alzheimer (AIMA Firenze) e Tè-Co (www.teco-spaziosicuro.it), il servizio di supporto psicologico on line di Helaglobe – la realtà che da oltre 10 anni si occupa di bisogni e coinvolgimento dei pazienti – che mette a disposizione un team di terapeuti esperti in malattie croniche, demenze e Alzheimer.

Oltre l’8% dei toscani con più di 65 anni soffre di forme di demenza: più della metà, circa 50.000, hanno l’Alzheimer. Ben 3 persone malate su 4 sperimentano sintomi di ansia e anche il 60% dei caregiver (familiari, operatori, volontari) sviluppa depressione e vede incrinato il suo benessere psicologico. L’enorme numero di richieste del bonus psicologico istituito dal Governo e l’istituzione disomogenea della figura dello psicologo di base segnalano la necessità di rafforzare gli interventi in questo settore.

Ma per l’86% di chi soffre di patologie croniche è anche fondamentale che il supporto psicologico sia fornito da un esperto della malattia. È quanto emerge dall’indagine realizzata da Helaglobe in collaborazione con 37 associazioni di pazienti. All’indagine hanno risposto 1445 persone appartenenti a 13 differenti gruppi di patologie. Il 96% delle risposte è arrivato da malati e il restante dai caregiver.

La prima seduta su Tè-Co è gratuita per permettere al paziente o al caregiver di conoscere lo psicoterapeuta e capire se si tratta del percorso giusto. Si tratta di terapie limitate nel tempo. Nel primo incontro vengono fornite tutte le indicazioni sul percorso terapeutico e non c’è nessun obbligo nel proseguire. La durata di ogni seduta è di 50 minuti. Gli incontri successivi al primo hanno un costo di 45 euro e sono totalmente detraibili. Le sedute si svolgono comodamente da casa collegandosi online, anche da smartphone, e non richiedono l’installazione di particolari applicazioni. Ma su Tè-Co non ci sono solo terapisti esperti di Alzheimer. Anche per chi soffre di problematiche legate ad altre malattie come diabete, endometriosi, fibromialgia e obesità ci sono specialisti e psicoterapeuti preparati con cui fare una prima seduta e valutare una terapia, perché Tè-Co è in grado di attivare il supporto necessario a seconda della patologia di cui soffre il paziente e che il caregiver deve gestire.

oltre che la realtà profondamente mutata negli ultimi vent’anni.

Il 2023 si è chiuso con la buona notizia del rifinanziamento del fondo per l’Alzheimer. Su quali azioni è secondo voi fondamentale convogliare queste risorse?

Abbiamo più volte dichiarato la nostra soddisfazione per il rifinanziamento di un fondo che ha visto AIMA in prima linea per l’istituzione del Fondo nel triennio precedente (2021-2023).

Tuttavia, riteniamo necessario modificare la strategia d’impiego, rispetto a quanto fatto finora: le progettualità mirate a ‘tappare’ carenze croniche dei diversi Servizi sanitari regionali, che nulla hanno a che vedere con la ratio del Fondo, o quelle su interventi socio-assistenziali a basso impatto, distraggono le risorse da progetti che possono consentire alle regioni una strutturazione (ri-strutturazione) di percorsi di cura che guardino non solo ai pazienti di oggi, ma anche a quelli di domani e alle innovazioni che sono state introdotte su quest’area di patologia nel corso degli anni. E, a nostro parere, dovrebbe essere imprescindibile che queste risorse siano ‘messe in comunicazione’ con quelle già previste dal PNRR.

Venendo alla vostra associazione, quali sono i servizi che offrite?

AIMA da quasi 40 anni è a fianco delle famiglie, aiutandole come e dove possibile ad affrontare la tragedia della malattia: l’obiettivo è sostenere chi sta vicino al malato, informarlo e, soprattutto, ‘formarlo’ perché unisca, all’amore per la persona colpita, la competenza necessaria ad affrontare tutti gli aspetti della malattia.

Il nostro servizio principale, attivato nel 1997, è la Linea Verde Alzheimer (800-679679), unica linea telefonica nazionale gratuita, aperta continuativamente per 8 ore in tutti i giorni feriali dell’anno, e che risponde a circa 10.000 telefonate ogni anno. Chiamano soprattutto familiari, che chiedono indicazioni e chiarimenti, consigli e suggerimenti per vivere accanto al malato, ma anche consulenza e supporto di tipo legale o psicologico. Ma la Linea Verde Alzheimer rappresenta anche un importante punto di riferimento per operatori e professionisti della salute, che cercano informazioni e aggiornamenti sul tema demenza.

Le nostre associazioni territoriali, più vicine al domicilio delle famiglie, offrono servizi di sostegno in presenza sia a familiari che a malati e offrono la competenza necessaria ad accompagnare lungo tutto il percorso di malattia, rappresentando per le famiglie il punto di riferimento e una reale presa in carico. n ML

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