Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con
Primavera 2015
Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.msd-italia.it Numero verde 800 23 99 89 Primavera 2015 Registrazione del Tribunale di Roma in corso Direzione scientifica: Fausto Roila Enzo Ballatori Gruppo editoriale: Claudia Caserta Sonia Fatigoni Guglielmo Fumi Azienda Ospedaliera di Terni Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma Giugno 2015 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00
In questo numero EDITORIALE
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Le nuove linee guida di terapia antiemetica Enzo Ballatori, Fausto Roila
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Tossicità endocrina da targeted therapies Fausto Roila, Claudia Caserta, Sonia Fatigoni
LINEE GUIDA E PRATICA CLINICA
CASI CLINICI
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Linee guida sulla mucosite orale e gastrointestinale da terapie antitumorali Paolo Bossi, Roberta Granata
La protezione della funzione ovarica nelle donne sottoposte a chemioterapia Enzo Ballatori, Fausto Roila
GESTIONE EVENTI AVVERSI
STATISTICA PER CONCETTI
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20
Tossicità dei MEK inibitori Elisa Minenza Sonia Fatigoni
I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l. Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice.
A conclusione del MASCC è previsto il varo delle nuove linee guida di terapia antiemetica
In copertina: Juan Gris, Verre et fruits (1920).
Test bidirezionali e test unidirezionali Enzo Ballatori
Editoriale
I
Le nuove linee guida di terapia antiemetica
l prossimo 28 giugno, a Copenaghen, a conclusione
dell’emesi da chemioterapia fortemente e moderatamente
del congresso annuale del MASCC (Multinational
emetogena nei bambini.
Association of Supportive Care in Cancer), è previsto il
varo delle nuove linee guida di terapia antiemetica. Rispetto all’ultima consensus conference ESMO/MASCC del 2009 non ci sono stati studi clinici rivoluzionari che abbiano modificato profondamente i risultati disponibili già
Purtroppo nella conferenza non verranno presentate novità di rilievo nel controllo della nausea acuta e ritardata perché in questo settore, che è restato il punto dolente della terapia antiemetica, c’è stata e c’è poca ricerca.
da allora. In ogni caso avremo la possibilità di discutere
La consensus conference, come già nelle precedenti
l’utilizzo, sempre in associazione ad un 5-HT3 antagonista
edizioni, è articolata in 10 commissioni con la
e desametasone, del fosaprepitant nella prevenzione
partecipazione di almeno 5 esperti in ogni commissione
dell’emesi indotta da cisplatino a dosi basse e ripetute per
che avranno il compito di preparare la discussione del
5 giorni consecutivi, come nel caso della chemioterapia
28.6.2015 identificando anzitutto i punti critici da
con PEB nel cancro del testicolo, nella prevenzione
sciogliere per aggiornare le precedenti linee guida, quali,
dell’emesi da carboplatino (regime considerato
ad esempio, se e come valutare studi non etici (che hanno
moderatamente emetogeno ma che, nelle donne affette
privato una parte dei pazienti della miglior terapia
da carcinomi della sfera ginecologica, induce un’elevata
antiemetica disponibile),
incidenza di nausea e vomito) e da regimi di alte dosi di
se e come valutare studi dal disegno metodologicamente
chemioterapia. In tutte queste tre situazioni avremo la
non corretto (ad esempio, con comparator subottimale).
dimostrazione di un incremento significativo apportato dall’aggiunta di un NK1 antagonista ai farmaci antiemetici già disponibili.
Avremo una commissione che rivaluta il potenziale emetogeno dei farmaci antitumorali (commissione importante data la commercializzazione di molti nuovi
Inoltre verranno per la prima volta esaminati i risultati
farmaci negli ultimi 5 anni), quella sui farmaci altamente
ottenuti con i nuovi NK1 antagonisti, il netupitant*
emetogeni, sui farmaci moderatamente emetogeni, sui
(approvato FDA solo in combinazione con palonosetron in
farmaci utilizzati per più giorni consecutivi, sulla terapia
unica compressa) e il rolapitant* e si valuterà l’impatto di
antiemetica in pazienti sottoposti ad alte dosi di
questi farmaci nella prevenzione dell’emesi acuta e
chemioterapia, sui trattamenti di rescue in pazienti che
ritardata da cisplatino e da chemioterapia di moderato
vomitano dopo la somministrazione delle migliori
potere emetogeno, che, quando utilizzata in combinazioni
associazioni di farmaci antiemetici, sull’emesi anticipatoria
del tipo EC/AC e FEC/FAC nelle donne affette da carcinoma
ed infine, novità assoluta, sui farmaci antiemetici nei
della mammella, presenta caratteristiche di chemioterapia
pazienti in fase terminale.
ad alto potere emetogeno. Ovviamente la consensus conference discuterà come questi nuovi NK1 antagonisti si pongano rispetto all’aprepitant e al fosaprepitant.
Insomma un bell’impegno per i circa 30 membri di queste commissioni con la speranza di tornare con novità che permettano ai nostri pazienti un controllo sempre migliore
Infine, verranno presentati i risultati positivi, da poco
di questi sintomi.
pubblicati, sull’efficacia dell’aprepitant nella prevenzione *Non autorizzato in Italia.
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CASCO — Primavera 2015
Enzo Ballatori Fausto Roila
Linee guida e pratica clinica
Linee guida sulla mucosite orale e gastrointestinale da terapie antitumorali
Paolo Bossi, Roberta Granata Oncologia medica tumori testa-collo Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori Milano
RIASSUNTO Questo lavoro consiste nel riassunto di una serie di evidenze che riguardano la mucosite orale e gastrointestinale, causata dalla chemioterapia convenzionale o dalle nuove terapie antitumorali. Le lesioni alla mucosa orale causate dalle terapie antitumorali sono comuni tossicità di questi farmaci o dei trattamenti chemioradianti in pazienti con tumori del distretto cervico-facciale1. Tutto il tratto gastrointestinale può essere colpito da un’infiammazione causata dalle terapie antiblastiche; tale mucosite può richiedere l’utilizzo di antidolorifici per migliorare il dolore o il ricovero ospedaliero per la somministrazione di antibiotici o terapia di supporto. Nei pazienti immunodefedati, le infezioni delle lesioni della mucosa orale e gastrointestinale possono portare a batteremia, fungemia e sepsi. In alcuni casi, la morbilità associata a mucosite è significativa e può portare a riduzione delle dosi, ritardi e/o interruzione dei trattamenti antitumorali, determinando così un impatto negativo sull’esito oncologico dei trattamenti stessi2. Il trattamento delle mucositi orali e gastrointestinali si basa essenzialmente sulla terapia di supporto e in particolare sull’igiene orale, sul controllo algico, sulla prevenzione e trattamento delle infezioni e sul supporto nutrizionale. Le nuove linee guida cliniche per le mucositi orali e gastrointestinali sono state aggiornate dal MASCC/ISOO (Multinational Association of Supportive Care in Cancer and International Society of Oral Oncology)3. Queste linee guida sono state sviluppate sulla base di livelli di evidenza con tre possibili denominazioni: raccomandato, suggerito o assenza di linea guida3. Parole chiave. Mucosite orale, mucosite gastrointestinale, MASCC, ISO, linee guida, trattamento clinico.
SUMMARY
Oral and gastrointestinal mucositis in patients receiving anticancer therapy: clinical guidelines This work provides a summary of clinical suggestions regarding oral and gastrointestinal mucositis caused by conventional and emerging cancer therapy. Oral mucosal injury caused by cancer therapies is a common toxicity of anti-
neoplastic drugs and/or head and neck radiation in cancer patients1. All the gastrointestinal tract can be affected by inflammation of anticancer therapy that may require systemic narcotics for pain relief or hospital admission for antibiotics or rehydration. In patients with a reduction of immune responses, secondary infection of oral and gastrointestinal mucositis lesions can lead to bacteremia, fungemia, and sepsis. Sometimes the significant morbidity associated with mucositis may result in dose reductions, delays, and/or treatment interruptions in cancer therapy which in turn may negatively impact patient outcome2. Management of oral/gastrointestinal mucositis is mainly directed to supportive care including basic oral care, oral pain control, prevention and treatment of infection, and nutritional support2. The clinical guidelines for oral and gastrointestinal mucositis have been updated by Multinational Association of Supportive Care in Cancer and International Society of Oral Oncology (MASCC/ISOO)3. These guidelines were developed and based on the level of evidence, with three possible guideline determinations: recommendation, suggestion, or no guideline possible3. Key words. Oral mucositis, gastrointestinal mucositis, MASCC, ISOO, guidelines, clinical management.
Le linee guida qui schematizzate non rappresentano una risposta esaustiva a diversi quesiti in merito al trattamento delle mucositi, poiché in diverse aree non è stato possibile individuare sufficienti studi a supporto di determinati interventi. Questo fatto, che deriva dalla costruzione di linee guida con una metodica rigorosa, può rappresentare un limite di queste linee guida, ma allo stesso tempo è uno stimolo forte alla conduzione di studi clinici per l’individuazione di nuovi strumenti di prevenzione e trattamento di questa tossicità. • Bibliografia 1. Sonis ST, Elting LS, Keefe D, et al. Perspectives on cancer therapyinduced mucosal injury: pathogenesis, measurement, epidemiology, and consequences for patients. Cancer 2004; 100: 1995-2025. 2. Jensen SB, Peterson DE. Oral mucosal injury caused by cancer therapies: current management and new frontiers in research. J Oral Pathol Med 2014; 43: 81-90. 3. Lalla RV, Bowen J, Barasch A, et al. MASCC/ISOO Clinical Practice Guidelines for the Management of Mucositis Secondary to Cancer Therapy. Cancer 2014; 120: 1453-61. Si ringrazia la Prof.ssa Alessandra Majorana, dell’Università di Brescia, per la collaborazione alla traduzione delle linee guida. CASCO — Primavera 2015
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| Linee guida e pratica clinica | Linee guida sulla mucosite orale e gastrointestinale da terapie antitumorali
Tabella I. Linee guida raccomandate per intervento nella mucosite orale.
MUCOSITE ORALE
Raccomandazioni in favore di intervento (l’efficacia del setting terapeutico elencato è supportata da forte evidenza)
1. Il panel raccomanda l’utilizzo di crioterapia orale per 30 minuti nella prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono 5-fluorouracile in bolo (livello di evidenza II). 2. Il panel raccomanda l’utilizzo del fattore di crescita per i cheratinociti ricombinante umano (KGF-1/palifermin) nella prevenzione della mucosite orale (ad una dose di 60 μg/kg al giorno per 3 giorni prima del regime di condizionamento e per 3 giorni successivi al trapianto) in pazienti con neoplasia ematologica che ricevono chemioterapia ad alte dosi e irradiazione total-body (TBI) seguiti da trapianto di cellule staminali autologhe (livello di evidenza II). 3. Il panel raccomanda che la terapia laser low-level (lunghezza d’onda 650 nm, potenza 40 mW, con ciascun cm2 trattato per il tempo richiesto con una dose di energia tessutale pari a 2 J/cm2 (2 s/point)) sia utilizzata per la prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono trapianto di cellule staminali preceduto da regime di condizionamento ad alte dosi, con o senza una irradiazione totalbody (TBI) (livello di evidenza II). 4. Il panel raccomanda che un trattamento analgesico con morfina controllato dal paziente sia utilizzato per il trattamento del dolore dovuto a mucosite orale in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali (livello di evidenza II). 5. Il panel raccomanda sciacqui con benzidamina nella prevenzione della mucosite orale nei pazienti con neoplasia del distretto testa-collo, che ricevono una dose moderata di radioterapia (fino a 50 Gy), senza chemioterapia concomitante (livello di evidenza I).
Tabella II. Linee guida suggerite per intervento nella mucosite orale.
MUCOSITE ORALE
Suggerimenti in favore di intervento (l’efficacia del setting terapeutico elencato è supportata da evidenza più debole)
1. Il panel suggerisce che i protocolli di igiene e cura del cavo orale siano utilizzati per la prevenzione della mucosite in tutte le fasce di età e indipendentemente dalle modalità di trattamento oncologico (livello di evidenza III). 2. Il panel suggerisce che la crioterapia orale sia utilizzata per la prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono melfalan ad alte dosi, con o senza una irradiazione total-body (TBI), come regime di condizionamento per il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (livello di evidenza III). 3. Il panel suggerisce che la terapia laser low-level (lunghezza d’onda 632,8 nm) sia utilizzata per la prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono radioterapia senza chemioterapia concomitante per neoplasie del distretto testa-collo (livello di evidenza III). 4. Il panel suggerisce che l’applicazione di fentanyl transdermico possa essere efficace per il trattamento del dolore dovuto a mucosite orale in pazienti che ricevono chemioterapia convenzionale o ad alte dosi, con o senza irradiazione total-body (TBI) (livello di evidenza III). 5. Il panel suggerisce che sciacqui con morfina al 2‰ possano essere efficaci nel trattamento del dolore dovuto a mucosite orale in pazienti sottoposti a radioterapia per neoplasia del distretto testa-collo (livello di evidenza III). 6. Il panel suggerisce che sciacqui con doxepina allo 0,5% possano essere efficaci nel trattamento del dolore dovuto a mucosite orale (livello di evidenza IV).
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CASCO — Primavera 2015
| Linee guida e pratica clinica | Linee guida sulla mucosite orale e gastrointestinale da terapie antitumorali
Tabella III. Raccomandazioni contro l’intervento nella mucosite orale.
MUCOSITE ORALE
Raccomandazioni contro l’intervento (esiste una forte evidenza che indica la mancanza di efficacia dei trattamenti elencati)
1. Il panel raccomanda che l’utilizzo di pastiglie antimicrobiche contenenti PTA (polimixina, tobramicina, anfotericina B) e BCoG (bacitracina, clotrimazolo, gentamicina) e creme ad uso orale contenenti PTA non siano utilizzate nella prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono radioterapia per neoplasie del distretto testa-collo (livello di evidenza II). 2. Il panel raccomanda che gli sciacqui con l’antimicrobico iseganan non siano utilizzati nella prevenzione della mucosite orale in pazienti con neoplasia ematologica che ricevono chemioterapia ad alte dosi con o senza irradiazione total-body (TBI) seguiti da trapianto di cellule staminali autologhe o in pazienti che ricevono radioterapia o radiochemioterapia concomitante per una neoplasia del distretto testa-collo (livello di evidenza II). 3. Il panel raccomanda che gli sciacqui con sucralfato non siano utilizzati per la prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono chemioterapia (livello di evidenza I) o in pazienti che ricevono radioterapia (livello di evidenza I) o radiochemioterapia concomitante (livello di evidenza II) per neoplasie del distretto testa-collo. 4. Il panel raccomanda che gli sciacqui con sucralfato non siano utilizzati per il trattamento della mucosite orale in pazienti che ricevono chemioterapia (livello di evidenza I) o in pazienti che ricevono radioterapia (livello di evidenza II) per neoplasie del distretto testa-collo. 5. Il panel raccomanda che il trattamento con glutamina per via endovenosa non sia usato come prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono chemioterapia ad alte dosi, con o senza irradiazione total-body (TBI), per il trapianto di cellule staminali emtopoietiche (livello di evidenza II).
Tabella IV. Suggerimenti contro l’intervento nella mucosite orale.
MUCOSITE ORALE
Suggerimenti contro l’intervento (una evidenza più debole indica la mancanza di efficacia dei trattamenti elencati)
1. Il panel suggerisce che gli sciacqui di clorexidina non siano utilizzati nella prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono radioterapia per neoplasie del distretto testa-collo (livello di evidenza III). 2. Il panel suggerisce che i fattori di crescita per i granulociti macrofagi (GM-CSF) in sciacqui non siano utilizzati nella prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevano chemioterapia ad alte dosi, per il trapianto di cellule staminali autologo od eterologo (livello di evidenza II). 3. Il panel suggerisce che gli sciacqui con misoprostolo non siano utilizzati nella prevenzione della mucosite orale in pazienti che ricevono radioterapia per neoplasie del distretto testa-collo (livello di evidenza III). 4. Il panel suggerisce che la pentossifilina sistemica per via orale non sia utilizzata per la prevenzione della mucosite orale in pazienti sottoposti a trapianto di midollo (livello di evidenza III). 5. Il panel suggerisce che la pilocarpina sistemica per via orale non sia utilizzata per la prevenzione della mucosite orale in pazienti sottoposti a radioterapia per neoplasia del distretto testa-collo (livello di evidenza III) o in pazienti che ricevono chemioterapia ad alte dosi con o senza irradiazione total-body (TBI) per trapianto di cellule staminali ematopoietiche (livello di evidenza II).
CASCO — Primavera 2015
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| Linee guida e pratica clinica | Linee guida sulla mucosite orale e gastrointestinale da terapie antitumorali
Tabella V. Linee guida raccomandate per intervento nella mucosite gastrointestinale.
MUCOSITE GASTROINTESTINALE
Raccomandazioni in favore di intervento (l’efficacia del setting terapeutico elencato è supportata da forte evidenza)
1. Il panel raccomanda l’utilizzo di amifostina endovena, ad una dose ≥ 340 mg/m², per la prevenzione della proctite da raggi in pazienti sottoposti a terapia radiante (livello dell’evidenza II). 2. Il panel raccomanda l’utilizzo di octreotide, ad una dose ≥ 100 μg sottocutanea due volte al giorno, per il trattamento della diarrea indotta da dosi standard di chemioterapia o da alte dosi associata a trapianto di cellule staminali, quando loperamide risulti inefficace (livello dell’evidenza II).
Tabella VI. Linee guida suggerite per intervento nella mucosite gastrointestinale.
MUCOSITE GASTROINTESTINALE
Suggerimenti in favore di intervento (l’efficacia del setting terapeutico elencato è supportata da evidenza più debole)
1. Il panel suggerisce l’utilizzo di amifostina endovena per la prevenzione dell’esofagite indotta da chemioterapia concomitante a terapia radiante in pazienti affetti da carcinoma non a piccole cellule del polmone. 2. Il panel suggerisce l’utilizzo di clisteri di sucralfato per il trattamento della proctite cronica indotta da radiazioni in pazienti con sanguinamento rettale (livello di evidenza III). 3. Il panel suggerisce l’utilizzo di sulfasalazina sistemica, ad una dose di 500 mg somministrata per os due volte al giorno, per la prevenzione dell’enteropatia radio-indotta in pazienti sottoposti a terapia radiante alla pelvi (livello di evidenza II). 4. Il panel suggerisce l’utilizzo di probiotici contententi Lactobacillus, per la prevenzione della diarrea in pazienti sottoposti a chemioterapia e/o a terapia radiante per un tumore pelvico (livello di evidenza III). 5. Il panel suggerisce l’utilizzo di ossigeno iperbarico per il trattamento della proctite radio-indotta in pazienti sottoposti a terapia radiante per un tumore solido (livello di evidenza IV).
Tabella VII. Raccomandazioni contro l’intervento nella mucosite gastrointestinale.
MUCOSITE GASTROINTESTINALE
Raccomandazioni contro l’intervento (esiste una forte evidenza che indica la mancanza di efficacia dei trattamenti elencati)
1. Il panel raccomanda di non utilizzare sucralfato sistemico, somministrato per os, per il trattamento delle mucositi gastroenteriche in pazienti sottoposti a terapia radiante per un tumore solido (livello di evidenza I). 2. Il panel raccomanda di non utilizzare acido 5-acetilsalicilico (ASA) e i relativi componenti mesalazina e olsalazina, somministrati per os, per la prevenzione della diarrea acuta indotta da radiazione in pazienti sottoposti a terapia radiante per un tumore della pelvi (livello di evidenza I). 3. Il panel raccomanda di non utilizzare supposte di misoprostolo per la prevenzione delle proctiti acute radio-indotte in pazienti sottoposti a terapia radiante per una neoplasia prostatica (livello di evidenza I).
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CASCO — Primavera 2015
Gestione eventi avversi
Tossicità dei MEK inibitori
Elisa Minenza, Sonia Fatigoni Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
RIASSUNTO L’immunoterapia è una delle strategie di trattamento in oncologia più interessanti ed innovative. Recentemente l’immunoterapia ha dimostrato di essere potenzialmente efficace in diversi tumori, con un prolungato controllo della malattia in una percentuale importante di pazienti. I MEK inibitori sono un altro gruppo interessante di farmaci; essi sono stati valutati in numerosi studi, soprattutto per il trattamento del melanoma, dimostrando efficacia soprattutto in combinazione con gli inibitori di BRAF. In particolare, trametinib e cobimetinib sono stati valutati in combinazione rispettivamente con dabrafenib e vemurafenib, con importanti risultati nel melanoma metastatico. Questi farmaci hanno effetti collaterali caratteristici come ad esempio la tossicità oculare e cardiaca, di solito gestibile senza gravi complicanze. Parole chiave. Trametinib, cobimetinib.
SUMMARY
MEK inhibitors toxicity Immunotherapy is one of the most interesting and innovative treatment strategy in oncology. Recently immunotherapy showed potential efficacy in several tumours, with prolonged disease control in a significative percentage of patients. MEK inhibitors are another group of interesting drug; they have been evaluated in several studies, especially for the treatment of melanoma, when they showed efficacy mostly in combination with BRAF inhibitors. In particular, trametinib and cobimetinib have been evaluated in combination with dabrafenib and vemurafenib respectively, with important results in metastatic melanoma. These drugs have peculiar side effects, including ocular and cardiac toxicity, usually well manageble. Key words. Trametinib, cobimetinib.
Introduzione Nel corso dell’ultimo anno sono stati pubblicati numerosi lavori sull’impiego di MEK inibitori per il trattamento di vari tumori come ad esempio il melanoma metastatico, dove alcuni di questi farmaci sono già stati autorizzati dagli enti re-
golatori, perché hanno portato ad un aumento della progressione libera di malattia (PFS) e della sopravvivenza (OS). In particolare, in questo articolo, ci occuperemo di trametinib e cobimetinib, come MEK inibitori, perché sono le molecole su cui recentemente si sono accumulati più dati. MEK inibitori Trattando di questa classe di farmaci, faremo riferimento ai più recenti studi nel melanoma avanzato, perché i dati di utilizzo in altre neoplasie sono molto limitati e quindi ricavare il profilo di tossicità è più difficile; nella tabella I riportiamo le principali tossicità emerse dagli studi di fase III. Circa la metà dei pazienti con melanoma avanzato presenta una mutazione di BRAF, una delle tre proteine, insieme a ARAF e CRAF, della famiglia di chinasi RAF che fanno tutte parte della cascata di trasduzione del segnale delle mitogenactivated protein kinase (MAPK). La mutazione porta ad un’attivazione di BRAF che fosforila e attiva la chinasi MEK che attiva, a sua volta, ERK, l’effettore finale della cascata delle MAPK, con conseguente proliferazione ed aumento della sopravvivenza delle cellule tumorali. L’inibizione di MEK porta ad un blocco dell’attivazione della cascata delle MAPK, potenzialmente anche nei pazienti resistenti all’inibizione di BRAF. Per tale motivo i MEK inibitori sono stati valutati sia come terapia singola, purtroppo dimostrando un’efficacia limitata1, sia come terapia di combinazione con gli inibitori di BRAF, con l’obiettivo di ritardare l’insorgenza della resistenza a tali farmaci e prolungare la PFS. La combinazione, inoltre, sembra ridurre la frequenza di alcuni effetti collaterali dei BRAF inibitori come la comparsa di carcinomi cutanei squamocellulari. La combinazione, invece, ha dimostrato solo un’efficacia modesta in pazienti resistenti agli inibitori di BRA2. Trametinib È un inibitore selettivo, allosterico, reversibile di MEK1/ MEK2, a somministrazione orale. Nel 2012 sono stati pubblicati i primi lavori1,3 di cui abbiamo già parlato in precedenza (vedi CASCO 2012 volume 2 n. 3), che hanno valutato trametinib da solo verso chemioterapia e trametinib + dabrafenib. A marzo 2014 è stato pubblicato anche un lavoro sulla qualità di vita dei pazienti dello studio con trametinib verso chemioterapia4, valutata attraverso il questionario sulla qualità di vita dell’European Organization for Research and Treatment of Cancer (EORTC); il lavoro ha evidenziato un minore declino funzionale e nello stato di salute ed una minore esacerbazione dei sintomi con trametinib rispetto alla chemioterapia. Tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 sono stati pubbliCASCO — Primavera 2015
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| Gestione eventi avversi | Tossicità dei MEK inibitori
Tabella I. Principali tossicità della combinazione di BRAF inibitori e MEK inibitori.
Tossicità
dabrafenib + trametinib
dabrafenib + trametinib
vemurafenib + cobimetinib
Studio Long5 NEJM 2014 (%)
Studio Robert7 NEJM 2015 (%)
Studio Larkin9 NEJM 2014 (%)
Febbre
51
53
26
Fatigue
35
32
Mal di testa
30
35
Nausea
30
35
Brividi
30
31
Artralgie
24
24
32
Diarrea
24
32
56
Rash
23
22
39
Ipertensione
22
Vomito
20
29
21
Tosse
16
Edemi periferici
14
Dolore ad un arto
14
Riduzione appetito
11
Dolore addominale
11
Aumento ALT
11
23
Aumento AST
11
22
Aumento creatin-chinasi
31
Stipsi
11
Mialgie
11
Astenia
10
Vertigini
10
Nasofaringite
10
Dolore alla schiena
9
Secchezza cute
9
Prurito
8
Alopecia
7
6
Sindrome mano-piede
5
4
Ipercheratosi
3
4
Papilloma cutaneo
1
2
Fotosensibilità
4
29
CR cutaneo squamoso
2
1
3
Riduzione frazione eiezione
4
8
8
(compreso il cheratoacantoma)
35
↑ Intervallo Qt
10
40
10
4
Corioretinopatia
<1
Distacco di retina
0
Vista sfocata
2
Dermatite acneiforme
8
CASCO — Primavera 2015
14
1
13 9
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| Gestione eventi avversi | Tossicità dei MEK inibitori
cati due importanti studi di fase III che hanno valutato la combinazione di trametinib con dabrafenib. Il primo5 è uno studio doppio cieco, randomizzato, che ha confrontato dabrafenib + trametinib verso dabrafenib + placebo, su 423 pazienti con melanoma stadio IIIC non resecabile o IV, con mutazione BRAF V600E o V600K, mai trattati in precedenza. La dose di dabrafenib era 150 mg x 2/die e quella di trametinib 2 mg/die. Lo studio ha evidenziato una PFS di 9,3 mesi verso 8,8 mesi (un vantaggio statisticamente significativo ma di soli 0,5 mesi); le risposte sono state 67% verso 51%; a 6 mesi c’è un trend in favore della combinazione per la sopravvivenza globale. Gli effetti collaterali sono risultati simili nei due bracci con una frequenza elevata (95% verso 96%), e un grado 3 nel 32% e 34% rispettivamente, anche se una discontinuazione permanente della terapia si è verificata nel 9% dei casi con la combinazione verso 5% con dabrafenib + placebo e una riduzione di dose si è resa necessaria nel 25% verso 13%; gli eventi di grado 3-4 si sono verificati nel 35% vs 37% dei casi. L’evento collaterale più frequente nei due bracci è risultato la febbre (51% verso 28%) che è anche il motivo più frequente di discontinuazione della terapia; seguono fatigue (35% vs 35%), mal di testa (30% vs 29%), nausea (30% vs 26%) , brividi (30% vs 16%), artralgie (24% vs 27%), diarrea (24% vs 14%), rash (23% vs 22%) e ipertensione (22% vs 14%). Nel braccio con la combinazione sono risultati meno frequenti il carcinoma cutaneo squamocellulare (2% vs 9%) e l’ipercheratosi cutanea (3% vs 32%). Non si sono verificati casi di occlusione venosa retinica. In generale possiamo quindi concludere che l’effetto collaterale più frequente ed invalidante della combinazione dabrafenib + trametinib è la febbre, anche perché il 63% dei pazienti che aveva manifestato febbre ha avuto un secondo episodio e il 47% tre o più episodi. Per la gestione della febbre in circa il 15% dei pazienti è stata effettuata una terapia con steroidi per 3 o più settimane dopo il primo o secondo episodio. Successivamente è stato anche pubblicato un lavoro6 sulla qualità di vita legata allo stato di salute (healht-related quality of life, HRQoL) nei pazienti arruolati nello studio, valutato attraverso il questionario sulla qualità di vita C30 dell’EORTC. Con tutte le limitazioni legate alla valutazione sulla qualità di vita, il lavoro ha comunque evidenziato una migliore preservazione della HR-QoL ed un miglioramento del dolore con la combinazione; un trend in favore della combinazione è stato registrato per gli aspetti funzionali (dimensione fisica, sociale, di ruolo, emozionale e cognitiva), mentre per i sintomi nausea e vomito, diarrea, dispnea e stipsi è stato riportato un trend in favore della monoterapia. Il secondo studio7 ha confrontato dabrafenib + trametinib verso vemurafenib su 704 pazienti con melanoma metastatico, mutazione BRAF V600; le dosi impiegate erano dabrafenib 150 mg x 2/die, trametinib 150 mg x 2/die e vemurafenib 960 mg x 2/die. I risultati hanno evidenziato una PFS di 11,4 verso 7,3 mesi e risposte nel 64% verso 51%. Simili sono risultate nei due bracci le percentuali di effetti collaterali (91% vs 98%, di cui quelli di grado 3-4 nel 53% vs 63%), di discontinuazione permanente della terapia (13% vs
12%) e di riduzione della dose (33% vs 39%). La causa più frequente per l’interruzione o riduzione di dose è risultata la febbre nel braccio con la combinazione e il rash cutaneo nel braccio con vemurafenib. Gli eventi avversi che sono risultati più frequenti nel braccio con la combinazione sono risultati la febbre (53%), la nausea (35%), la diarrea (32%), i brividi (31%), la fatigue, il mal di testa e il vomito (29%); nel braccio con vemurafenib, invece, i più frequenti erano gli effetti collaterali cutanei quali rash (43%), reazioni di fotosensibilità (22%), sindrome mano-piede (25%), papillomi cutanei (23%), carcinomi squamocellulari e cheratoacantomi (18%), ipercheratosi (25%). Da segnalare, inoltre, una riduzione della frazione di eiezione cardiaca di grado 2-3 nell’8% dei pazienti nel braccio con la combinazione, due casi di corioretinopatia di grado 1 sempre nel braccio con la combinazione ed un caso di occlusione venosa retinica nel braccio con vemurafenib. La febbre, effetto collaterale più frequente nel braccio con la combinazione, viene riferita di facile gestione con trattamenti sintomatici o interruzioni temporanee dei farmaci che possono essere ripresi dopo 24 ore senza febbre. Cobimetinib È un potente e selettivo MEK inibitore a somministrazione orale. Dagli studi di fase 1 che hanno valutato l’utilizzo in monoterapia, gli effetti collaterali più frequenti sono risultati diarrea, rash, fatigue, edemi. Nel 2014 sono stati pubblicati due importanti lavori riguardanti la combinazione di vemurafenib con cobimetinb in pazienti con melanoma avanzato BRAF mutati. Ad agosto è stato pubblicato uno studio di fase 1b che ha valutato la combinazione su 129 pazienti mai trattati oppure in progressione a vemurafenib8, determinando la sicurezza e la tollerabilità dei farmaci alla dose di 960 mg x 2/die di vemurafenib + 60 mg/die per 21 giorni sì e 7 no di cobimetinib. Con questa schedula di trattamento le tossicità più frequenti sono risultate la diarrea (64%), il rash non acneiforme (60%), l’aumento degli indici epatici (50%), la fatigue (48%), la nausea (45%) e la fotosensibilità (40%). A novembre è stato pubblicato lo studio di fase 3 randomizzato9 che ha valutato su 495 pazienti mai trattati per melanoma stadio IIIC o IV con mutazione BRAF V600 vemurafenib + cobimetinib verso vemurafenib + placebo. Le dosi utilizzate erano 960 mg x 2/die per il vemurafenib e 60 mg/die per 21 giorni ogni 28 per cobimetinib. I risultati hanno evidenziato una PFS mediana di 9,9 mesi verso 6,2 mesi, con un tasso di risposte complete/parziali di 68% verso 45%; l’analisi ad interim della sopravvivenza a 9 mesi è risultata dell’81% verso 73%. La combinazione non ha evidenziato una differenza significativa nell’incidenza di effetti collaterali: complessivamente, il 95% dei pazienti nel braccio di combinazione e il 96% nel braccio vemurafenib + placebo hanno avuto effetti collaterali; quelli di grado 3 o superiore sono risultati del 65% verso 59%, e il tasso di sospensione della terapia è stato del 13% verso 12%. Gli eventi avversi più frequenti con la combinazione rispetto alla monoterapia sono risultati diarrea nausea, vomito, fotosensibilità, aumento delle transaminasi e della creatin-chiCASCO — Primavera 2015
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nasi, retinopatia; meno frequenti sono risultati, invece, carcinomi cutanei squamocellulari, cheratoacantomi, alopecia e artralgie. Simili sono risultati la febbre e la tossicità cardiaca (riduzione della frazione di eiezione e prolungamento del QT). Va sottolineato che molti eventi avversi dei MEK inibitori sono comuni anche ad altri nuovi farmaci utilizzati nel melanoma, come ipilimumab e anti-PD1. In generale si tratta di tossicità ben gestibili; i gradi lievi possono essere trattati con farmaci sintomatici e non richiedono una sospensione del farmaco o una riduzione di dose. Nei gradi moderati-severi si ricorre, invece, quasi sempre ad una sospensione temporanea e alla ripresa del farmaco alla risoluzione dell’evento, spesso a dose ridotta10. – Febbre: compare in genere dopo qualche giorno dall’inizio del trattamento e si accompagna a malessere generale; può essere trattata con paracetamolo, se necessario steroidi come il prednisone a basse dosi e nei casi più importanti con la sospensione del farmaco. – Diarrea: è quasi sempre di grado lieve-moderato e può essere trattata con modificazione della dieta e/o sintomatici come la loperamide. – Ipertensione: è un effetto collaterale abbastanza frequente per cui si richiede il monitoraggio della pressione arteriosa e l’eventuale introduzione o l’adeguamento della terapia farmacologica. – Complicanze cardiache: si può verificare una riduzione della frazione di eiezione in una bassa percentuale di pazienti per cui, probabilmente, in assenza di una storia di cardiopatia, non è giustificato il monitoraggio ecocardiografico di routine. Si può avere, inoltre, un prolungamento dell’intervallo QT che non è riportato con i MEK inibitori da soli, ma con la combinazione anche se anch’esso è un’evenienza rara; può essere utile, comunque, effettuare un ECG e il controllo degli elettroliti basale, dopo un mese di trattamento e dopo ogni modifica di dose. – Complicanze oftalmologiche: con i MEK inibitori sono segnalate complicanze retiniche che si manifestano in genere con riduzione dell’acuità visiva o visione sfocata e che possono essere segno anche di un distacco di retina. Anche se rare, quindi, è importante istruire il paziente a riportare ogni cambiamento anche minimo della vista ed effettuare una valutazione oculistica basale in pazienti con problemi preesistenti come, ad esempio, il glaucoma.
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Conclusioni Si tratta, in conclusione, di farmaci molto interessanti, che hanno una potenziale efficacia in molte neoplasie ed il cui profilo di tossicità è diverso da quello della chemioterapia tradizionale, ma in genere ben gestibile, anche se ovviamente l’impiego nella pratica clinica porterà ad una maggiore conoscenza anche di possibili tossicità più rare. •
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Gestione eventi avversi
Tossicità endocrina da targeted therapies
Fausto Roila, Claudia Caserta, Sonia Fatigoni Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
RIASSUNTO Sono riportate differenti tossicità endocrine indotte dalle targeted therapies. Disfunzione tiroidea, soprattutto ipotiroidismo, occorre nel 20-50% di pazienti che ricevono gli inibitori multichinase sunitinib, sorafenib, axitinib, pazopanib, regorafenib. Nonostante ciò, i sintomi dell’ipotiroidismo, come fatigue, debolezza, costipazione, depressione e intolleranza al freddo possono essere scorrettamente attribuiti alla patologia neoplastica o agli agenti neoplastici. Ciò può avere importanti conseguenze nella gestione del paziente oncologico; infatti, i sintomi possono portare a ridurre il dosaggio di terapie potenzialmente salva-vita, ad alterare la cinetica e la clearance dei farmaci, con effetti indesiderati e un impatto negativo sulla qualità di vita del paziente. L’ipotiroidismo può essere classificato in due tipi: ipotiroidismo ricorrente e de novo. Il primo, descritto con imatinib, sorafenib e motesanib, è caratterizzato da aumentati livelli di TSH nelle due settimane dall’inizio della terapia e occorre in pazienti tiroidoctomizzati con ipotiroidismo sconosciuto controllato con dosi stabili di levotiroxina. Il secondo, descritto con sunitinib, sorafenib e axitinib, è ipotiroidismo de novo, diagnosticato in pazienti con funzione tiroidea regolare prima dell’inizio delle terapie. Ipogonadismo centrale è stato recentemente riportato nell’80100% di pazienti maschi che ricevono crizotinib. Occorre nelle 2-3 settimane dall’inizio del crizotinib, è diagnosticato con la riduzione del testosterone, livelli di FSH e LH ed è reversibile con l’interruzione del trattamento. In pazienti riceventi crizotinib, è importante monitorare i sintomi di ipogonadismo quali la disfunzione erettile, la fatigue, la perdita di massa muscolare, controllare i livelli di testosterone e, se indicato, somministrare sostituto del testosterone. Infine, diverse endocrinopatie immuno-relate sono state descritte con ipilimumab. Pertanto prima e durante il trattamento si suggerisce una valutazione dello stato ipofisario, tiroideo, surrenale e gonadale. Parole chiave. Tossicità endocrine, targeted therapies, ipotiroidismo, ipogonadismo.
SUMMARY
Endocrine toxicity induced by targeted therapies Different endocrine toxicities induced by targeted therapies have been reported. Thyroid dysfunction, especially hypothiroidism, occurs in 20-50% of the patients receiving the multikinase inhibitors sunitinib, sorafenib, axitinib, pazopanib, regorafenib. Despite this, symptoms of hypothyroidism, such as fatigue, weakness, constipation, depression, and cold intolerance may be incorrectly attributed to the neoplastic disease or to the antineoplastic agent. This can have important conseguences for cancer patient management; in fact, the symptoms can lead to dose reductions of potentially life-saving therapies, to alter kinetics and clearance of medications, with undesirable side effects and to a negative impact on the patient’s quality of life. The hypothiroidism can be classified into 2 types: recurrent and de novo hypothyroidism. The former, described with imatinib, sorafenib and motesanib, is characterized by increased TSH levels within 2 weeks of starting therapy and occurs in thyroidectomized pts with known hypothyroidism controlled with stable dose of levothyroxine. The second, described with sunitinib, sorafenib, and axitinib, is the de novo hypothyroidism, diagnosed in pts with regular thyroid function before the start of therapies. Central hypogonadism has recently been reported in 80-100% male pts receiving crizotinib. It occurs within 2-3 weeks of crizotinib initiation, is diagnosed by reduction in testosterone, FSH and LH levels and is reversible with treatment interruption. In pts submitted to crizotinib it is important to monitor symptoms of hypogonadism such as erectile dysfunction, fatigue, loss of muscle mass, to check testosterone levels, and, if indicated, to administer testosterone replacement. Finally different immune-related endocrinopaties have been described with ipilimumab. Therefore evaluation is suggested before and during treatment of the pituitary, thyroid, adrenal, and gonadal status. Key words. Endocrine toxicities, targeted therapies, hypothiroidism, hypogonadism.
La tossicità endocrina indotta dalle targeted therapies è frequente nei pazienti oncologici. Nonostante ciò, ci sono molte aree di incertezza sui meccanismi patogenetici del danno causato alle ghiandole endocrine e sulle possibili strategie di prevenzione e di trattamento. La più comune tossicità endocrina delle targeted therapies è rappresentata dalle disfunzioni tiroidee, ed in particolare, l’ipotiroidismo; più recentemente è stato segnalato ipogonadismo, ipopituitarismo e iperparatiroidismo seconCASCO — Primavera 2015
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dario. L’obiettivo di questo articolo è fare il punto su queste diverse tossicità. Ipotiroidismo Riconoscere una disfunzione della tiroide in un paziente oncologico può essere piuttosto difficile poiché alcuni sintomi dell’ipotiroidismo, come ad esempio la fatigue e la stipsi, sono molto comuni nei pazienti oncologici ed è difficile distinguerli dai sintomi attribuibili al cancro o alle terapie usate per controllare i sintomi. A volte i sintomi di una disfunzione tiroidea possono essere confusi con gli eventi avversi della terapia antitumorale, inducendo erroneamente a ridurre la dose o a cambiare la terapia. L’ipotiroidismo può alterare la farmacocinetica e la clearance di vari farmaci con conseguente rischio di effetti collaterali. Infine, sebbene raramente, le disfunzioni tiroidee possono portare a conseguenze anche gravi per la vita del paziente. Ad esempio con sunitinib è stato segnalato un coma da mixedema. Nei pazienti che ricevono una targeted therapy che può causare disfunzioni della tiroide, l’oncologo dovrebbe sospettare una patologia tiroidea in presenza di sintomi compatibili con ipotiroidismo che comprendono fatigue, aumento di peso, secchezza della cute e dei capelli, fragilità delle unghie, stipsi, bradicardia, ipotermia. Il test di screening migliore per valutare la funzione tiroidea è il dosaggio del TSH; nei pazienti con malattia pituitaria e in quelli con un TSH anomalo è indicata la determinazione della tiroxina libera (FT4). Il dosaggio della triiodotironina libera (FT3) solo raramente è utile, poiché di solito FT3 risulta soppresso. Sono stati descritti due tipi di disturbi tiroidei in pazienti che assumono inibitori delle tirosina-kinasi. Il primo tipo di distiroidismo, che è stato descritto con imatinib, sorafenib e motesanib, ma non con sunitinib, è una recidiva di ipotiroidismo in pazienti con preesistente ipotiroidismo, ad esempio pazienti sottoposti a tiroidectomia per un carcinoma della tiroide in terapia con dosi stabili di levotiroxina esogena. L’aumento del TSH sembra essere dovuto all’aumentata clearance degli ormoni tiroidei dovuta all’incremento dell’attività dell’enzima deiodinasi di tipo 3 che inattiva sia T3 che T4. Nei pazienti che iniziano imatinib, sorafenib e motesanib e che stanno ricevendo levotiroxina, si raccomanda il dosaggio basale del TSH ripetuto ogni 4 settimane per aggiustare appropriatamente la dose di levotiroxina. Se il TSH e la dose di levotiroxina sono stabili, la frequenza del monitoraggio può essere ridotta a una volta ogni 2 mesi. Per l’imatinib si consiglia di raddoppiare la dose di tiroxina già all’inizio della terapia. Il secondo tipo di disturbo tiroideo descritto è l’ipotiroidismo in pazienti con una funzione tiroidea normale prima di iniziare la terapia ed è stato riportato con sunitinib, sorafenib ed axitinib. Ci sono dei casi descritti in letteratura in cui l’ipotiroidismo indotto dal sunitinib è preceduto da una fase di ipertiroidismo. Questi dati suggeriscono che l’ipotiroidismo potrebbe essere la conseguenza di una tiroidite acuta o subacuta distruttiva associata ad una tireotossicosi transitoria. La causa della tiroidite potrebbe essere l’effetto del farmaco sull’inibizione del pathway del VEGF e sulla riduzione della vascolarizzazione nella ghiandola tiroidea. La riduzione del flusso 14
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ematico nella tiroide comporterebbe una tiroidite ischemica. In tutti i pazienti che assumono questi farmaci è raccomandato un regolare monitoraggio della funzione tiroidea. A questo scopo è sufficiente il dosaggio del TSH e del T4 prima di iniziare la terapia e poi ogni 4 settimane per 4 mesi, seguito da un controllo ogni 2-3 mesi. L’ipotiroidismo da targeted therapies è più frequente con sunitinib. Inizialmente in 42 pazienti eutiroidei trattati con sunitinib veniva evidenziato un TSH alterato nel 62% dei casi seguito da un ipotiroidismo nel 40%. Nei vari studi pubblicati successivamente il sunitinib ha indotto ipotiroidismo in una percentuale di pazienti variabile dal 7% al 85%. In alcuni di questi studi come detto sopra una fase di ipertiroidismo precedeva la comparsa di ipotiroidismo. Va considerato altresì che non vi è stata alcuna segnalazione di ipertiroidismo isolato senza successivo ipotiroidismo. L’insorgenza di ipotiroidismo aumentava con il tempo dall’inizio del trattamento e con il numero di cicli effettuati; inoltre, dato che il farmaco spesso viene somministrato per 4 settimane seguito da 2 settimane di riposo, i livelli di TSH crescevano durante il trattamento e diminuivano dopo interrotto. Continuando il sunitinib però il TSH può rimanere elevato anche alla fine delle due settimane di interruzione del trattamento. Il tempo medio all’inizio dell’ipotiroidismo è variabile insorgendo da 4 settimane a addirittura 94 settimane dall’inizio del trattamento. Alla sospensione definitiva del farmaco alcuni pazienti rimangono ipotiroidei mentre altri riacquistano una normale funzione tiroidea. Nei pazienti con carcinoma neuroendocrino pancreatico in cui il sunitinib è somministrato a dosi continuative più basse l’incidenza di ipotiroidismo sembra essere minore. Nei vari studi pubblicati il sorafenib induce ipotiroidismo in una percentuale inferiore di pazienti rispetto al sunitinib variabile dal 6% al 38% ed insorge dopo un tempo medio dall’inizio del trattamento di 20 mesi anche se può apparire dopo solo 6 settimane di terapia. Alla sospensione del trattamento alcuni pazienti riacquistano uno stato eutiroideo ma i dati su questo aspetto sono pochi. Il vandetanib, approvato per il trattamento del carcinoma midollare della tiroide metastatico, ha determinato un aumento del TSH nel 49,3% dei pazienti trattati; quasi tutti i pazienti erano stati tiroidectomizzati. Anche l’imatinib ha determinato nel 60% dei pazienti la necessità di aumentare le dosi di tiroxina nei pazienti tiroidectomizzati, ma nessun caso di ipotiroidismo è stato segnalato in pazienti eutiroidei prima dell’inizio del farmaco. Il pazopanib da ipotiroidismo nel 12% dei pazienti trattati per carcinoma renale metastatico e nel 60% dei pazienti tiroidectomizzati ha indotto un aumento di più di due volte del TSH. Con motesanib in pazienti tiroidectomizzati un aumento dei livelli di TSH e ipotiroidismo è stato riportato nel 22% dei pazienti. Infine il cabozantinib sembra indurre ipotiroidismo nel 57% dei pazienti tiroidectomizzati e nel 15% di quelli non tiroidectomizzati. Ipogonadismo È stato segnalato nell’80-100% dei pazienti sottoposti a crizotinib, un inibitore delle tirosina-kinasi attivo nei carcinomi
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del polmone non microcitomi che esprimono ALK, ROS1 e MEK. I sintomi di ipogonadismo sono rappresentati dalla disfunzione erettile, dalla diminuzione della libido, fatigue e perdita della massa muscolare. Spesso si accompagna la perdita o la diminuzione dei peli pubici e ascellari. Tali sintomi, difficilmente attribuiti all’ipogonadismo nella pratica clinica oncologica, di fatto non sono regolarmente valutati nel carcinoma del polmone. Il meccanismo d’azione non è noto. L’ipogonadismo insorge dopo circa 2-3 settimane dall’inizio del crizotinib. Si caratterizza per una riduzione del testosterone libero e totale, FSH, LH, albumina e globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG) che indicano un effetto centrale del crizotinib sull’asse ipotalamo-ipofisario. L’ipogonadismo è reversibile interrompendo il trattamento. I sintomi migliorano eseguendo una terapia sostitutiva con testosterone. Pertanto è importante monitorare i pazienti sottoposti a crizotinib per identificare rapidamente i sintomi, controllare i livelli di testosterone e, se indicato, iniziare terapia sostitutiva. Ipopituitarismo e ipofisite L’ipilimumab è un anticorpo anti CTLA4 (Cytotoxic T Lymphocyte Antigen 4) che rimuove il posto di blocco rappresentato dal CTLA4 che favorisce un’immuno-tolleranza al cancro. Ciò determina il pieno espletamento della reazione immunitaria T cellulare contro le cellule neoplastiche che determina oltre la distruzione delle cellule tumorali anche importanti effetti collaterali immuno-mediati. L’ipofisite indotta dall’ipilimumab ha un’incidenza intorno al 4-6% dei pazienti trattati; che è di grado 3-4 nell’15% dei pazienti. Tale effetto collaterale ha una frequenza nettamente inferiore rispetto alla tossicità cutanea e gastrointestinale, rispettivamente 47-68% e 31-46% dei pazienti trattati. La dose di ipilimumab influenza l’incidenza di ipofisite, una reazione potenzialmente molto grave se non rapidamente sospettata in quanto determina un’insufficienza corticosurrenalica; al contrario se ci si pensa è facilmente diagnostica e trattata. L’ipopituitarismo causato dall’ipilimumab è raramente reversibile e pertanto richiede una terapia ormonale sostitutiva a lungo termine. L’ipofisite è caratterizzata da cefalea, nausea, vertigini, modifiche del comportamento, disturbi visivi come diplopia e astenia che insorgono in media dopo 6 settimane dall’inizio della terapia. La diagnosi differenziale più importante è con le metastasi cerebrali. Una RM con gadolinio dell’encefalo con tagli per la regione ipofisaria mostra l’edema della ghiandola o la sua eterogeneità confermando il sospetto diagnostico. Prima del trattamento è necessario valutare lo stato dell’ipofisi, tiroide, surrene e delle gonadi determinando i livelli serici di cortisolo, ACTH, T3, T4, TSH, e, in aggiunta, testosterone nei maschi e FSH, LH e prolattina nelle femmine. La diagnosi si caratterizza per livelli base di ormoni tiroidei, surrenalici e gonadici. Per questo è utile eseguire prima dell’inizio della terapia con ipilimumab e prima di ogni somministrazione successiva gli ormoni tiroidei ed un profilo biochimico includente gli elettroliti e la funzione epatica.
L’ipopituitarismo primario determina bassi livelli di ACTH e cortisolo, e si distingue dalla sindrome di Addison, che può essere osservata anche con ipilimumab, che è caratterizzata da bassi livelli di cortisolo ma ACTH nella norma. L’ipopituitarismo primario causa bassi livelli di TSH, T3 e T4 che vanno distinti da una tiroidite periferica determinante ipotiroidismo perché in questo caso il TSH è aumentato mentre il T3 ed il T4 sono bassi. Se insorge un panipopituitarismo sintomatico e qualsiasi endocrinopatia di grado 3-4, la dose di ipilimumab dovrebbe essere mantenuta e dovrebbe essere somministrata una dose di metilprednisolone di 1-2 mg/kg/die endovena. Questa dovrebbe essere seguita da una dose di prednisone di 1-2 mg/kg/die per via orale che va ridotta gradualmente in 4 settimane e rimpiazzata da appropriata terapia ormonale come la dose degli steroidi si riduce. In genere dopo pochi giorni di trattamento steroideo i sintomi migliorano e si osserva una riduzione dell’edema e dell’eterogeneità della ipofisi alla RM di controllo. Se compaiono sintomi di iposurrenalismo, come disidratazione severa, ipotensione o shock, è necessario somministrare corticosteroidi con attività mineralcorticoide per via endovenosa ed il paziente dovrebbe essere valutato per la presenza di sepsi. Il tempo medio alla risoluzione dei sintomi e la terapia sostitutiva con dosi fisiologiche di steroidi (idrocortisone) può essere più lungo di 20 settimane e sebbene alcuni pazienti possono riacquistare la funzione ipofisaria e non aver più bisogno di una terapia sostitutiva, molti pazienti seguiti perfino a 7 anni presentano una disfunzione ipofisaria permanente che richiede la somministrazione di ormoni. Iperparatiroidismo secondario È caratterizzato da una diminuzione della fosforemia e della calciuria con o senza una riduzione della calcemia ed un contemporaneo aumento del PTH rispetto a valori basali. È stato evidenziato in pazienti trattati con sorafenib, sunitinib, imatinib e nilotinib. Anche con una terapia protratta i valori biochimici non peggiorano e la densità minerale ossea rimane stabile o aumenta leggermente in un periodo di due anni. In risposta all’aumento del PTH c’è un aumento dei livelli della 1,25-diidrossivitamina D3 con il sunitinib, imatinib e nilotinib, mentre i livelli sono abnormemente bassi nei pazienti trattati con sorafenib. Questo perché il sorafenib induced sarcopenia e osteomalacia. Non è necessario fare un monitoraggio del calcio, del fosforo e del PTH e della densità minerale ossea nei pazienti sottoposti a sunitinib, imatinib e nilotinib. Invece nei pazienti sottoposti a sorafenib l’ipovitaminosi D in associazione con l’iperparatiroidismo può contribuire alla comparsa di sarcopenia che può portare a osteomalacia. In questi pazienti supplementi di vitamina D possono normalizzare la ipofosforemia ed i livelli di PTH. Un altro effetto collaterale è l’ipofosforemia indotta dall’everolimus che in uno studio preclinico ha indotto fosfaturia con aumento della 1,25-diidrossivitamina D3, senza indurre alterazioni del PTH. L’ipofosforemia è stata segnalata anche con gli inibitori dell’istone deacetilasi, del MET e CASCO — Primavera 2015
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dell’ALK. È stato suggerito pertanto di eseguire un monitoraggio del fosforo nel sangue e nelle urine e nel caso si raccomandano supplementi di fosforo. Solo nei casi severi di ipofosforemia si consiglia l’interruzione del trattamento.
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Conclusioni La tossicità endocrina da targeted therapies è un frequente effetto collaterale specie con alcuni farmaci come il sunitinib e ha un forte impatto negativo sulla qualità di vita del paziente neoplastico. Molti sintomi generici (fatigue, cefalea) sono erroneamente attribuiti al cancro o al suo trattamento e non alla tossicità endocrina indotta dalle targeted therapies. Ciò pone a repentaglio la sopravvivenza del paziente ed è quindi assolutamente necessario che l’oncologo conosca bene queste tossicità e si avvalga sempre più di una stretta collaborazione con gli endocrinologi al fine di prevenire e trattarla nel miglior modo possibile. •
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Casi clinici
La protezione della funzione ovarica nelle donne sottoposte a chemioterapia
Enzo Ballatori Statistico medico, Spinetoli (AP)
Fausto Roila SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera “S. Maria”, Terni
RIASSUNTO Sono discussi metodi e risultati di uno studio volto a valutare l’efficacia di goserelin, un agonista dell’ormone gonadotropo, nella protezione della funzione ovarica di giovani donne sottoposte a chemioterapia contenente ciclofosfamide. Parole chiave. Distorsione da selezione, test unidirezionali, perdita della funzione ovarica.
SUMMARY
Ovarian protection during breast-cancer adjuvant chemotherapy Methods and results of a study on the efficacy of goserelin, a gonadotropin-releasing hormone agonist, in the prevention of ovarian failure in young women submitted to chemotherapy-containing cyclophosphamide were discussed. Key words. Selection bias, one-sided test, ovarian failure.
Un effetto collaterale di alcuni regimi chemioterapici particolarmente rilevante nelle donne giovani è l’induzione della menopausa precoce che non solo impedisce successive gravidanze, ma anticipa gli effetti indesiderati della menopausa, quali, ad esempio, lo squilibrio ormonale e la diminuzione della densità ossea. Per quanto concerne la preservazione della funzione riproduttiva l’American Society of Clinical Oncology (ASCO) incoraggia le giovani a rivolgersi a specialisti della funzione riproduttiva per valutare la possibilità di una crioconservazione di embrioni. Tuttavia, per ragioni di tempi, nel senso che il congelamento degli embrioni ritarderebbe l’inizio della chemioterapia, e di costi, tale raccomandazione è poco seguita. La somministrazione congiunta di un agonista dell’ormone gonadotropo alla chemioterapia può essere un’opzione più praticabile, anche usata congiuntamente alla pratica del congelamento degli embrioni, perché comunque riduce il rischio di insorgenza della menopausa precoce con tutti gli effetti indesiderati che essa comporta, come è già stato dimostrato da un gruppo di ricerca italiano (Del Mastro L, et al. Effect of the gonadotropin-releasing hormone analogue triptorelin on the occurrence of chemotherapy-induced early menopause in premenopausal women with breast cancer. JAMA 2011; 306: 269-76). Lo studio sintetizzato nella scheda si colloca in questo contesto.
Lo studio è randomizzato, a gruppi paralleli, open label, condotto con donne in premenopausa di età compresa tra 19 e 49 anni, randomizzate a ricevere la chemioterapia più o meno Goserelin (GOS), un agonista dell’ormone gonadotropo. Si tratta di uno studio “ospite”, nel senso che le pazienti sono state arruolate tra le partecipanti ad altri trial; quindi, probabilmente non si sono potuti porre in essere tutti gli accorgimenti per un disegno ed un management ottimale della ricerca; il che avrebbe evitato almeno alcuni dei difetti che il lavoro presenta, come, ad esempio, la mancata cecità, e avrebbe potuto limitare l’entità del numero dei persi al follow up, difetti che saranno discussi in ordine sparso, e non in una graduatoria di severità ai fini della valutazione dell’attendibilità dei risultati ottenuti. Endpoint secondari Due dei tre obiettivi secondari sono insignificanti e quindi, a nostro avviso, non andavano né previsti nel protocollo, né analizzati. a. Sopravvivenza. Trattandosi di uno studio di terapia neoadiuvante e adiuvante, il periodo di follow up (mediana: 4,1 anni) è troppo breve per valutare effetti di GOS sulla sopravvivenza globale e sulla sopravvivenza libera da progressione, come si può osservare anche dalle curve riportate nel lavoro: oltre l’80% delle pazienti dopo 4 anni è ancora in vita e poco più del 20% di esse è andato in progressione; in corrispondenza di tempi superiori le numerosità delle pazienti si fanno così piccole da rendere infattibile il confronto. L’irrilevanza di tali endpoint discende dalla considerazione che nessuno può assicurare che il guadagno osservato a favore di GOS si mantenga nel tempo, in quanto nel prosieguo del follow up esso potrebbe essere riassorbito o addirittura rovesciato. Queste considerazioni evitano anche di commentare l’uso del modello di Cox per la valutazione della sopravvivenza e di indagare sulle ragioni per cui la risposta è aggiustata per i fattori di stratificazione usati nella randomizzazione, dato che questi sono introdotti solo per avere due gruppi perfettamente comparabili (una volta stratificata la randomizzazione, sembra inutile aggiustare perché i due bracci sono perfettamente bilanciati rispetto ad essi). b. Gravidanze. A causa della mancata (e forse difficile da realizzare per uno studio “ospite”) cecità dello studio, le donne sottoposte a sola chemioterapia più difficilmente delle altre, che ricevevano (e sapevano di ricevere) anche un farmaco protettore della funzione ovarica, avrebbero forse deciso di avventurarsi in una gravidanza. L’argomento si presta ad una più generale riflessione sulle laCASCO — Primavera 2015
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cune di conoscenza nella ricerca clinica circa una serie di argomenti che sembrano invece rilevanti. Ad esempio, non sappiamo quante (e quali) donne eleggibili abbiano deciso di non dare il consenso ad entrare nello studio perché, tenendo troppo a preservare la funzione ovarica, sapevano (dal consenso informato) che, se avessero partecipato, avrebbero avuto solo 1/2 di probabilità di ricevere GOS, mentre, al di fuori dello studio, avrebbero potuto comunque averlo. Si potrà obiettare che essendovi stata la randomizzazione, tale informazione è irrilevante ai fini del confronto, e in qualche modo è così. Ma conoscere
la frazione delle partecipanti, e le loro caratteristiche rispetto al totale delle donne eleggibili, è utile per ridefinire la popolazione target. Se la frazione delle mancate adesioni allo studio fosse elevata i risultati non potrebbero essere più riferiti alle donne eleggibili, ma solo a quelle che hanno dato il consenso e che potrebbero rappresentare un sottogruppo diversamente connotato da quello di tutte le donne cui è stato chiesto di partecipare. Infine, nello specifico, non ci sono dati sulle gravidanze tentate rispetto a quelle andate a buon fine, così come non ci sono dati sulla integrità dei nati, importanti in quanto la
SCHEDA
Moore HCF, Unger JM, Phillips K-A, et al. Goserelin for ovarian protection confronto tra i due gruppi, si during breast-cancer adjuvant chemotherapy. N Engl J Med 2015; 372: sarebbero dovute reclutare 416 923-32. pazienti per avere una probabilità dell’80% di trovare una differenza Questo studio di fase III ha per obiettivo di provare se l’impiego di un significativa. agonista dell’ormone gonadotropo riesce a proteggere la funzione ovarica Lo studio fu chiuso delle pazienti sottoposte a chemioterapia. anticipatamente per mancanza di fondi per la distribuzione dei Pazienti e metodi menopausale a 2 anni. In ogni farmaci. Tuttavia, ad una Donne in pre-menopausa di età caso, le pazienti rimaste incinte rivalutazione post hoc, compresa tra 18 e 49 anni furono furono considerate tra coloro che considerando le pazienti considerate eleggibili se affette da non avevano subito la perdita della effettivamente arruolate, risultò che carcinoma mammario ER- e PR-, funzione ovarica. Le donne che lo studio avrebbe avuto una stadio I-IIIa, per le quali fosse avevano subito un’isterectomia o potenza superiore all’80% se la pianificata una chemioterapia neouna ooforectomia bilaterale non differenza minima clinicamente adiuvante o adiuvante a base di furono valutate. rilevante della differenza nel tasso ciclofosfamide. Le partecipanti Endpoint secondari: gravidanza di perdita della funzione ovarica furono arruolate tra le donne entro 5 anni (valutata fosse stata fissata al 20% (anziché reclutate in vari studi internazionali annualmente), disfunzione ovarica, al 15%). sul carcinoma della mammella definita come amenorrea negli L’analisi statistica dell’endpoint (SWOG, IBCSG, ecc.). ultimi 3 mesi e livelli postprimario fu condotta mediante un Le pazienti furono randomizzate menopausali di FSH, o estradiolo, o modello logistico, considerando 1:1 a ricevere il trattamento inibina B valutati dopo 1 e 2 anni tutte le pazienti valutabili che standard previsto dal protocollo dalla randomizzazione. avessero completato i 2 anni di dello studio di provenienza, da solo Inoltre, furono considerate la follow up, assumendo come (S) o in aggiunta al Goserelin (GOS). sopravvivenza globale e la variabili esplicative il fattore età La randomizzazione fu stratificata sopravvivenza libera da malattia (due livelli: <40, 40-49 anni) e il per età (<40, 40-49 anni), regime di (Disease-Free Survival, DFS). tipo di chemioterapia [in altre chemioterapia (3-4 cicli vs 6-8 cicli), Solo gli eventi avversi correlati agli parole, gli stessi fattori usati per uso di antracicline (sì, no). effetti ormonali e gli eventi avversi stratificare la randomizzazione]. Obiettivo primario: confronto del gravi occorsi durante la Inoltre, furono analizzate sia la tasso di perdita della funzione chemioterapia furono registrati frequenza delle gravidanze nei due ovarica tra i due gruppi di routinariamente. gruppi, sia la sopravvivenza globale trattamento. La perdita della Fissata come clinicamente rilevante a 4 anni, derivando la stima dell’HR funzione ovarica fu definita come una riduzione del 15% del tasso di (Hazard ratio) e il relativo intervallo amenorrea negli ultimi 6 mesi e perdita della funzione ovarica con di confidenza al 95% in base al livelli dell’ormone follicolol’uso di GOS e stabilito un livello di modello di Cox, con aggiustamento stimolante (Follicle-Stimulating significatività del 2,5% per il test per i fattori di stratificazione e per Hormone, FSH) nel range postunidirezionale scelto per eseguire il stadio della malattia.
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chemioterapia potrebbe interferire con il sistema riproduttivo anche in modi diversi dalla perdita della funzione ovarica. Gruppo di controllo Il braccio di controllo non riceve alcun trattamento. Questa è una situazione che, in linea di massima, dovrebbe essere evitata, perché se poi (come di fatto è accaduto) il gruppo di trattamento mostra migliori risultati questi, in generale, potrebbero essere imputati al solo effetto placebo del farmaco. Nel caso presente probabilmente non è così non solo per il
Risultati Un totale di 257 pazienti fu randomizzato tra febbraio 2004 e maggio 2011. Di queste pazienti, 24 risultarono ineleggibili e 15 non valutabili, lasciando 218 pazienti nello studio, 105 nel gruppo sperimentale (GOS) e 113 in quello di controllo (S, solo chemioterapia). Ma per impossibilità di valutare la perdita della funzione ovarica per morte, per perdita al follow up, e per altre ragioni, le pazienti realmente considerate ai fini dell’endpoint primario furono 69 nel gruppo di controllo (S) e 66 in quello sperimentale (GOS). Il follow up mediano fu di 4,1 anni. Le caratteristiche delle pazienti furono trovate ben bilanciate tra i due gruppi, sia considerando le 218 pazienti eleggibili che le 135 valutate. Endpoint primario: perdita della funzione ovarica. In 15/69 pazienti del gruppo di controllo (22%) e in 5/66 pazienti del gruppo sperimentale (8%) fu riscontrata la perdita della funzione ovarica. Il modello logistico mostrò che questa differenza era significativa, sia rispetto ad un test unidirezionale (P = 0,02) che a quello bidirezionale (P = 0,04); l’odds ratio fu pari a 0,30, con un intervallo di confidenza da 0,09 a 0,97. La significatività della differenza si mantenne anche considerando il solo fattore
quadro teorico di riferimento, ma perché i suoi risultati corroborano quelli ottenuti da altri studi sull’argomento. Test unidirezionali Tra i metodi usati per la determinazione della numerosità del campione viene menzionato il test unidirezionale (sebbene considerato ad un livello di significatività dimezzato: 0,025, anziché 0,05). Apparentemente il razionale dello studio sembra consentirlo, perché un gruppo di pazienti riceve la sola chemioterapia, mentre all’altro gruppo viene aggiunto goserelin. In realtà, un notevole numero di mancate valutazioni
“trattamento” [ossia, senza aggiustare per i fattori considerati nella randomizzazione stratificata]. Analogamente, anche considerando come variabile risposta l’amenorrea o i livelli di FSH postmenopausale a 2 anni, la significatività della differenza tra i due gruppi fu raggiunta. Endpoint secondari. − La disfunzione ovarica fu valutata a 1 anno e a 2 anni, considerando le pazienti in stato mestruale che avessero avuto almeno due valutazioni di laboratorio, cioè due o più misure di FSH o di estradiolo o di inibina B. A un anno erano disponibili dati per 153 pazienti. La disfunzione ovarica fu presente in 28 delle 75 pazienti (37%) del gruppo di controllo (S) e in 18/78 pazienti (23%) del gruppo sperimentale (GOS), differenza non significativa. A 2 anni i dati furono disponibili per 130 pazienti. La disfunzione ovarica era evidenziata in 22/67 pazienti (33%) nel braccio di controllo e in 9/63 pazienti (14%) nel braccio sperimentale (P < 0,03). − Gravidanze. Tra le 238 pazienti che potevano essere valutate, 34 (12%) ebbero almeno una gravidanza: 12/113 (11%) nel gruppo S e 22/105 (21%) nel gruppo GOS; tale differenza risultò significativa (P = 0,03).
Sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale. Le stime di Kaplan-Meier a 4 anni mostrano un leggero vantaggio per il gruppo sperimentale, sia per quanto riguarda la sopravvivenza libera da malattia (con aggiunte le morti) 89% nel gruppo GOS e 78% nel gruppo S (P = 0,04), sia per la sopravvivenza globale: 92% nel braccio GOS e 82% nel braccio S (P = 0,05). Tollerabilità dei trattamenti. Le pazienti valutate per tossicità furono 214, 111 nel gruppo di controllo (S) e 103 nel gruppo sperimentale (GOS). Gli effetti tossici di grado 3 o 4 furono pochi sia nel gruppo S (6/111, 5,4%) che nel gruppo GOS (8/103, 7,8%). Tuttavia, alcuni effetti tossici di grado 2 furono più frequenti nel braccio GOS che nel braccio S, in particolare vampate di calore (29 vs 14) e mal di testa (12 vs 1). Sia nella sezione discussione, sia nel riassunto sono stati sempre evidenziati i maggiori punti critici del lavoro: l’incompleto arruolamento rispetto a quanto previsto dal protocollo e l’elevato numero di missing data. Tuttavia gli autori concludono sostenendo che i risultati confermano quanto provato in altri studi circa la protezione della funzione ovarica indotta da agonisti dell’ormone gonadotropo somministrati nel corso della chemioterapia. •
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Statistica per concetti
poteva essere preventivato e, quando molti pazienti non sono valutati il dubbio della presenza di una distorsione da selezione fa cadere i presupposti per l’uso di un test unidirezionale (di ciò si parlerà in dettaglio nella rubrica Statistica per concetti). Incompletezza dell’arruolamento Come sottolineato più volte dagli autori (persino nel summary), il più importante limite del lavoro deriva dalla chiusura precoce dello studio e dalla possibile distorsione da selezione dovuta all’elevata frazione di pazienti per cui non fu valutato l’endpoint primario. Gli autori hanno reiteratamente avvertito dell’esistenza di tali problemi, e, quindi, della necessaria cautela con cui vanno interpretati i risultati, ma ciò, se attesta la loro onestà intellettuale, non rimuove certo il difetto. Delle 416 pazienti che, in base al protocollo, si sarebbero dovute arruolare, ne furono randomizzate 233, ma di 15 non fu possibile la valutazione (9 avevano ritirato il consenso, 5 avevano subito un intervento di isterectomia, 1 di ooforectomia). Delle restanti 218 pazienti che furono randomizzate e valutabili, solo per 135 fu valutata la perdita della funzione ovarica a 2 anni (endpoint principale). In conclusione, la preventivata dimensione del campione si è ridotta ad 1/3. Conclusioni Lo studio è randomizzato e appare meticolosamente condotto. Desta qualche sorpresa il fatto che un simile studio, che non ha prodotto rilevanti novità in materia, data l’esistenza di studi pubblicati in precedenza sullo stesso argomento, e con tutti i difetti che ha, sia stato pubblicato dal NEJM. Malgrado tutto, si può ritenere che goserelin abbia una sua efficacia. Infatti, la perdita della funzione ovarica si è osservata in 5/66 (8%) nel gruppo GOS e in 15/69 (22%) pazienti nel gruppo S (differenza significativa), valori assai vicini a quelli ottenuti circa 4 anni prima dallo studio di Lucia Del Mastro et al., sopra citato, con triptorelin (8,9% nel gruppo delle pazienti trattate, 25,9% nel gruppo di sola chemioterapia). Va osservato che poco meno del 10% delle giovani donne sottoposte a chemioterapia e trattate con un farmaco che protegge la funzione ovarica, comunque la perdono. Pertanto andrebbe raccomandato alle pazienti che tengono particolarmente alla loro capacità riproduttiva di seguire, se possono, anche la strada della crioconservazione degli embrioni. •
Test bidirezionali e test unidirezionali
Riassunto Vengono anzitutto sintetizzate la logica e la costruzione di test statistici per l’analisi dei risultati di esperimenti comparativi, precedentemente trattate nei numeri 5 e 6 di CASCO, con lo scopo di procedere alla definizione dei test unidirezionali, più potenti di quelli bidirezionali, illustrando le ragioni del loro scarso utilizzo nella ricerca clinica. Parole chiave. Test unidirezionale, test bidirezionale, livello di significatività, valori critici del test.
Summary
Two-sided and one-sided statistical tests Methodological aspects of statistical tests used in comparative studies, previously described in CASCO 5 and 6, were synthetized to introduce the one-sided tests, more powerful than two-sided tests, highlighting the reasons of their not frequent use in clinical research. Key words. One-sided test, two-sided test, significance level, critical values of a statistical test.
L’argomento riguarda tutti i tipi di test statistici che man mano sono stati descritti dal n. 5 al n. 11 di CASCO. Per facilitarne la comprensione, si consiglia di riguardare la costruzione dei test statistici esposta nel n. 6 di CASCO (estate 2013) e la logica del test statistico esposta nel n. 5 di CASCO. Comunque, per comodità del Lettore, riepiloghiamo i punti salienti della costruzione di un test statistico in modo tale che il contenuto della rubrica resti, come al solito, autosufficiente, nel senso che non richieda conoscenze pregresse.
Costruzione di un test statistico (sintesi) 1. Formulazione dell’ipotesi nulla, H0. Negli esperimenti comparativi, l’ipotesi nulla è quella di uguale efficacia dei trattamenti. Siano A e B due trattamenti e PA e PB (parametri sconosciuti) le frequenze relative dei successi terapeutici nelle popolazioni target (cioè nelle popolazioni cui va riferito il risultato del test). Se i due trattamenti hanno la stessa efficacia, le percentuali di successi nelle due popolazioni sono uguali: H0 : PA = PB o anche H0: PA – PB = 0. 2. Formulazione dell’ipotesi alternativa, H1. L’ipotesi alternativa sia quella di differente efficacia; pertanto, se i
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trattamenti non sono ugualmente efficaci, la percentuale dei successi nelle due popolazioni risulta diversa: H1: PA ≠ PB, ossia H1: PA – PB ≠ 0. 3. Stima dei parametri. Le percentuali di successi nei due bracci di trattamento, fA e fB, costituiscono le migliori stime dei parametri. Pertanto, fA – fB è la migliore stima di PA – PB. 4. Stimatore sotto H0. Al variare del campione nell’universo dei campioni la stima del parametro varia. In altre parole, ripetendo lo stesso studio i pazienti arruolati sarebbero diversi e, poiché la risposta dipende non solo dal trattamento ma anche dal paziente, la differenza fA – fB sarebbe diversa nei vari studi. L’insieme di tutti i possibili valori di una stima ha la natura di una variabile casuale e prende il nome di stimatore (v. Statistica per concetti in CASCO 5). Quindi, nel nostro caso, al variare del campione nell’universo dei campioni, fA – fB varia e descrive una variabile casuale FA – FB, detta stimatore. Se la numerosità dei due gruppi è sufficientemente grande (n > 20 per ciascun gruppo), si può dimostrare che lo stimatore FA – FB è una variabile casuale normale (cioè rappresentabile con la curva di Gauss) con media PA – PB ed un certo errore standard ES di cui, per semplicità, omettiamo la formula (si ricordi che ES è lo scarto quadratico medio dello stimatore e misura quanto ciascuna stima si discosta, in media, dalla media di tutte le stime). Da questo punto in poi, il test prosegue come se l’ipotesi nulla (uguale efficacia dei trattamenti) fosse vera fino a giungere ad una conclusione che (probabilisticamente) la contraddica (in tal caso H0 sarà respinta) o non la contraddica (in tal caso H0 sarà accettata). Quindi, se è vera l’ipotesi nulla, ES si trasforma nell’errore standard sotto H0, ES0, e la media dello stimatore, essendo pari a PA – PB, è uguale a 0.
5. Costruzione della statistica test. Una variabile casuale normale gode di due proprietà: è asintotica (nel senso che si avvicina indefinitamente all’asse delle ascisse man mano che ci si allontana dalla media) e simmetrica. Essa si trasforma nella variabile casuale normale standardizzata quando le si sottrae la media e la si divide per lo scarto quadratico medio (errore standard). Quindi, la variabile casuale normale standardizzata ha media 0 ed errore standard pari a 1. Pertanto, essendo fA – fB una determinazione di una normale (nel caso di grandi campioni), sottraendole la media e dividendo per lo scarto quadratico medio dello stimatore sotto H0, si trasforma in una determinazione di una variabile casuale normale standardizzata. Sotto l’ipotesi nulla, la media dello stimatore è uguale a 0 e l’errore standard è ES0. Pertanto, la quantità z = (fA – fB) / ES0
[1]
è una determinazione di una normale standardizzata. In altre parole, z è un qualsiasi punto dell’asse delle ascisse del grafico riportato nella figura 1. Tenendo presente che le aree sotto la curva vanno interpretate come probabilità, si fissa una probabilità piccola di commettere un errore nel respingere l’ipotesi nulla (detta livello di significatività, generalmente il 5%, come nella figura 1). Figura 1. Curva normale standardizzata nel caso di un test bidirezionale.
Quindi, se è vera l’ipotesi nulla, la variabile normale standardizzata può assumere tutti i valori compresi tra – ∞ e + ∞, solo che quelli nelle code della distribuzione (tra – ∞ e – 1,96 e tra + 1,96 e + ∞) hanno complessivamente una probabilità piccola di presentarsi (il 5% nel grafico), mentre quelli tra – 1,96 e + 1,96 hanno un’alta probabilità di presentarsi (il 95%). Collochiamo quindi nel grafico il valore z ottenuto con la [1]: – Se cade tra – 1,96 e + 1,96 si accetta l’ipotesi nulla perché, sotto H0, si è presentato uno degli eventi che avevano un’alta probabilità di presentarsi (il 95%); quindi non abbiamo elementi per respingerla. L’intervallo dell’asse delle ascisse compreso tra –1,96 e +1,96 si chiama regione di accettazione. – Se cade tra – ∞ e – 1,96 o tra + 1,96 e + ∞ vuol dire che possono essersi presentate una delle due seguenti situazioni: a. l’ipotesi nulla è vera, ma si è presentato un evento raro, cioè uno degli eventi che complessivamente avevano il 5% di probabilità di presentarsi; b. l’ipotesi nulla è falsa. Tra tali due possibilità si sceglie la seconda argomentando che, se l’ipotesi nulla fosse stata vera si sarebbe presentato un evento raro; ma, con pratica certezza, un evento raro non si presenta. La zona dell’asse delle ascisse compresa tra – ∞ e – 1,96 e tra + 1,96 e + ∞ si chiama regione di rifiuto. I punti – 1,96 e + 1,96 si chiamano valori critici del test in quanto dividono la regione di accettazione da quella di rifiuto e, per convenzione, appartengono alla regione di rifiuto. Pertanto, tra le due alternative sopra esposte, si sceglie la seconda, senza però dimenticare che poteva invece essere vera H0 ed essersi presentato un evento raro. Quindi il 5% è la probabilità di sbagliare nel decidere di respingere l’ipotesi nulla CASCO — Primavera 2015
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ed è detta livello di significatività (significance level) del test. Test unidirezionali Il test sopra esposto di chiama bidirezionale – o a due code – (twosided test), nel senso che la regione di rifiuto è ugualmente ripartita nelle due code della distribuzione. In altre parole, se si respinge l’ipotesi nulla è perché il trattamento A è più efficace di B (se è fA > fB ) o anche perché il trattamento B è più efficace di A (se è fA < fB ). Quindi, il segno di z indica quale delle due situazioni sia da accogliere. In alcune circostanze, però, una delle due situazioni può essere esclusa a priori (cioè, prima di eseguire il test). Se è così si può modificare l’ipotesi alternativa in modo più vantaggioso per il ricercatore (si ricordi che l’interesse del ricercatore è di respingere l’ipotesi nulla perché nel caso di accettazione non vorrebbe dire che H0 è vera, ma solo che non ci sono evidenze per respingerla). Ad esempio nel caso di sperimentazione contro placebo (indichiamolo con B), si può ritenere che l’effetto placebo sia incorporato in qualunque trattamento attivo. Il tal caso, l’ipotesi nulla è che il trattamento attivo (indicato con A) non abbia alcun effetto farmacologico, cioè abbia solo un effetto placebo. Pertanto, nell’ipotesi alternativa, sembra potersi escludere l’altra possibilità, cioè che sia PB > PA. Tale situazione si ha anche nel caso in cui ad un gruppo sperimentale è assegnato un trattamento che invece all’altro è negato (come nello studio esaminato in “Casi clinici” di questo numero). In tali casi sembra potersi formulare un’ipotesi alternativa più vantaggiosa per il ricercatore: H1: PA > PB ovvero H1: PA – PB > 0 Tale ipotesi è quella che dà luogo ad un test unidirezionale (one-sided test) per la cui comprensione introduciamo la figura 2 che invitiamo il lettore di confrontare con la figura 1. Come si può osservare, avendo escluso la possibilità che sia PA – PB < 22
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0, il livello di significatività si concentra nella sola coda di destra e, pertanto, il valore critico del test diminuisce (passando da + 1,96 a + 1,645) rendendo più facile respingere l’ipotesi nulla. Ad esempio, se avessimo ottenuto un valore della statistica-test pari a + 1,80, nel caso di un test bidirezionale risulterebbe non significativo (è inferiore a + 1,96), mentre con un test unidirezionale si giungerebbe ad una conclusione opposta (è superiore a + 1,645). A parità delle altre circostanze il test unidirezionale è più potente di quello bidirezionale, ma, ricordiamolo, lo si può usare solo a condizione di poter escludere, prima di eseguirlo, una delle due alternative (quindi, mai lo si può usare quando si confrontano due trattamenti attivi). Osservando la figura 2, nel caso di un test unidirezionale, la regione di accettazione va da – ∞ a + 1,645 (escluso) e quella di rifiuto va da + 1,645 (incluso) a + ∞. Quindi, se anche il risultato della statistica-test fosse pari a – 4 (un valore che per un test bidirezionale condurrebbe a respingere l’ipotesi nulla ad un livello di significatività pari a P < 0,001), l’ipotesi nulla dovrebbe essere accettata, sebbene con qualche perplessità. Nelle applicazioni cliniche, un test unidirezionale si potrebbe usare solo quando si sperimenta verso placebo o quando ad un braccio si somministra un trattamento che all’altro è negato. Nel secondo caso, come già sottolineato in “Casi clinici”, il Figura 2. Curva normale standardizzata nel caso di un test unidirezionale.
confronto di un trattamento attivo verso nessun trattamento non è accettabile perché, in caso si riscontri una significativamente maggior efficacia nel braccio di trattamento rispetto a quello di controllo, si potrebbe sempre pensare che essa sia riconducibile all’effetto placebo del farmaco e non ad una sua reale attività farmacologica. Comunque, non si dovrebbe pensare all’uso di un test unidirezionale, soprattutto in presenza di una forte selezione dei pazienti (come nello studio riportato nella scheda), in quanto potrebbe accadere che vi siano effetti indesiderati del trattamento che possano modificare la risposta – o essere modificati dalla risposta – così che l’uscita dei pazienti che ne soffrano possa giungere a privilegiare il gruppo di controllo. In tal caso (e forse anche nel caso di altri effetti di selezione) non si può escludere a priori che il trattamento di controllo risulterà nei fatti significativamente più efficace di quello sperimentale. Nel caso di sperimentazione contro placebo, l’uso dei un test unidirezionale è comunque sconsigliato soprattutto perché, se i pazienti sono valutati in accordo al principio di intenzione a trattare (come viene quasi sempre richiesto ad uno studio clinico), se per la tossicità del trattamento molti pazienti sospendono la sua assunzione, nel gruppo di controllo tutti i pazienti ricevono un placebo, mentre in quello sperimentale molti pazienti non ricevono alcun trattamento e, pertanto, al termine dello studio nel braccio di trattamento si potrebbero riscontrare risultati significativamente peggiori di quelli osservati nel gruppo di controllo. In conclusione, nella ricerca clinica l’uso di un test unidirezionale è quasi sempre da sconsigliare. Invece, esso trova utili impieghi in altri settori di ricerca (ad esempio, nelle applicazioni della Statistica all’analisi dei processi produttivi). Enzo Ballatori
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Materiale depositato presso l’AIFA il 24/06/2015