Autunno — 2017
Le novità dell’ASCO 2017 sulle terapie di supporto/palliative 5 Terapia della trombosi venosa profonda nei pazienti con cancro: il ruolo dei nuovi anticoagulanti orali 9
Servizio scientifico offerto da MSD Italia S.r.l.
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Tossicità rare da immunoterapia 16 Prevenzione della cardiotossicità da trastuzumab nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 positive 19 Coefficienti di correlazione 23
Periodico trimestrale riservato alla classe medica edito in collaborazione con Via Vitorchiano 151 – 00189 Roma Tel 06 36 19 11 – Fax 06 36 380 311 www.msd-italia.it Numero verde 800 23 99 89 Autunno 2017 Registrazione del Tribunale di Roma in corso Direzione scientifica: Fausto Roila Enzo Ballatori Comitato scientifico: Andrea Antonuzzo (Pisa) Paolo Bossi (Milano) Claudia Caserta (Terni) Enrico Cortesi (Roma) Verena De Angelis (Perugia) Sonia Fatigoni (Terni) Guglielmo Fumi (Terni) Paolo Marchetti (Roma) Gianmauro Numico (Alessandria) Carla Ripamonti (Milano) Daniele Santini (Roma) Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel 06 862 821 – Fax 06 862 82 250 Internet: www.pensiero.it Stampa: Ti Printing, Roma Novembre 2017 Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo €15,00
Di interesse sempre maggiore è l’attenzione sulle tossicità rare da immunoterapia...
Autunno 2017
In questo numero EDITORIALE
IL PUNTO SU...
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Questioni importanti e attuali, da sfogliare Enzo Ballatori, Fausto Roila
DAI CONGRESSI
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Le novità dell’ASCO 2017 sulle terapie di supporto/palliative Fausto Roila, Chiara Scafati, Maria Francesca Currà Terapia della trombosi venosa profonda nei pazienti con cancro: il ruolo dei nuovi anticoagulanti orali Mario Mandalà
I contenuti pubblicati dalla rivista rispecchiano le opinioni degli Autori e non necessariamente quelle dell’Editore o della MSD Italia S.r.l.
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Tossicità rare da immunoterapia Andrea Antonuzzo, Andrea Sbrana
CASI CLINICI
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Prevenzione della cardiotossicità da trastuzumab nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 positive Enzo Ballatori, Fausto Roila
STATISTICA PER CONCETTI
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Ogni farmaco menzionato deve essere usato in accordo con il relativo riassunto delle caratteristiche del prodotto fornito dalla ditta produttrice.
ONCO-1189198-0005-EMD-PU-11/2019
GESTIONE EVENTI AVVERSI
LINEE GUIDA E PRATICA CLINICA
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Il supporto nutrizionale ha un ruolo nella gestione della cachessia da cancro? Enrico Cortesi, Salvatore Caponnetto, Serena Zancla, Luca Di Lazzaro, Alessandro Laviano
In copertina: Richard Diebenkorn, Cityscape #1, 1963.
Il coefficiente di correlazione lineare r di Bravais-Pearson Enzo Ballatori
Editoriale
Questioni importanti e attuali, da sfogliare
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n questo numero di CASCO, nella sezione “Dai congressi”, tra le novità dell’ASCO 2017 appaiono i risultati di uno studio, presentato in sessione plenaria, che dimostra un importante aumento della sopravvivenza mediana (> 5 mesi) nei pazienti sottoposti a chemioterapia e che riportavano immediatamente i loro sintomi tramite un questionario online rispetto all’usuale monitoraggio nella pratica clinica. Infatti, se il sintomo era severo o se vi era stato un peggioramento, un’infermiera riceveva una alert per e-mail e contattava il paziente immediatamente suggerendo modalità di controllo del sintomo. Precedentemente lo stesso studio aveva dimostrato che riportare immediatamente i sintomi determinava anche un miglioramento della qualità di vita del paziente ed una riduzione delle visite urgenti e delle ospedalizzazioni. Ci piace sottolineare che in Italia il NICSO sta attivando uno studio simile, in circa 60 centri oncologi, che prevede l’arruolamento di oltre 1200 pazienti divisi in tre gruppi (sottoposti a: – chemioterapia adiuvante per carcinoma del colonretto e mammella, – immunoterapia e – targeted therapies) randomizzati in ogni gruppo a ricevere o meno l’intervento dell’infermiere. È uno studio rilevante che potrebbe confermare i risultati dello studio americano cambiando in modo radicale le modalità di affrontare la tossicità dei trattamenti somministrati ai nostri pazienti. Interessante è l’articolo sul ruolo dei nuovi anticoagulanti orali, sia gli inibitori diretti della trombina (dabigatran) che gli inibitori diretti del fattore X attivato (apixaban, rivaroxaban e edoxaban) nella prevenzione e nel trattamento delle tromboembolie venose in pazienti oncologici. Purtroppo i pazienti oncologici inclusi negli studi clinici controllati che hanno valutato l’efficacia-tollerabilità di questi farmaci sono relativamente pochi e quindi non è possibile considerare i nuovi anticoagulanti orali una terapia standard. D’altro canto, non necessitando di un monitoraggio della coagulazione come il warfarin, presentando un numero relativamente limitato di interazioni farmacologiche con i cibi ed altri farmaci ed essendo somministrabili per via orale, potrebbero migliorare significativamente la qualità di vita dei nostri pazienti. Gli studi attualmente in corso forniranno la risposta alle domande sull’efficacia e tossicità di tali farmaci nei pazienti neoplastici. Oggi vi è una crescente attenzione ai problemi nutrizionali del paziente neoplastico. Il ruolo di un supporto nutrizionale nella gestione della cachessia neoplastica, in cui finora i trattamenti farmacologici hanno dato scarsi risultati, è stato analizzato in un altro interessante articolo. Di interesse sempre maggiore è l’attenzione sulle tossicità rare da immunoterapia che spesso richiedono di essere identificate rapidamente per affrontarle e risolverle in maniera multidisciplinare con altri specialisti. Le modalità organizzative di tale intervento congiunto sono tutte da ideare e verificare nella pratica clinica e, quindi, l’articolo su questo argomento costituisce un primo fondamentale passo per una approfondita riflessione sull’argomento. Infine, come sempre in CASCO, viene condotta l’analisi critica di uno studio clinico (questa volta verte sulla prevenzione con ACE inibitori e beta bloccanti della tossicità cardiaca da trastuzumab) e nella rubrica “Statistica per concetti” vengono trattati i coefficienti di correlazione. Fausto Roila Enzo Ballatori 4
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Dai Congressi
Le novità dell’ASCO 2017 sulle terapie di supporto/palliative
Fausto Roila, Chiara Scafati, Maria Francesca Currà Struttura Complessa di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera Universitaria “S. Maria della Misericordia”, Perugia
Gli studi presentati al congresso ASCO 2017 sulla terapia di supporto/palliativa sono stati numerosi ma spesso di bassa qualità. Ne abbiamo selezionati 10 che rappresentano quelli da cui trarre qualche insegnamento per la pratica clinica corrente. Controllo dei sintomi in generale e psicologici in particolare Uno studio ha randomizzato 766 pazienti con carcinoma solido avanzato (tumori ginecologici, genitourinari, carcinomi della mammella e del polmone che erano sottoposti a chemioterapia ambulatoriale) in due gruppi: quelli che riportavano immediatamente i loro sintomi online tramite un questionario online (gruppo intervento) e quelli che ricevevano l’usuale monitoraggio dei sintomi nella pratica clinica1. Questi ultimi pazienti discutevano i sintomi durante la visita con l’oncologo ed erano incoraggiati a telefonargli tra le visite se insorgevano sintomi. I pazienti del gruppo intervento invece compilavano settimanalmente un questionario in cui rispondevano alla presenza o meno e, se presenti, all’intensità (un punteggio da 0 a 5) di 12 sintomi indotti dalla chemioterapia includenti perdita dell’appetito, difficoltà a respirare, fatigue, vampate di calore, nausea e dolore. Tali sintomi erano segnalati da casa o durante la visita. Un’infermiera riceveva per e-mail un alert se il sintomo era severo o vi era stato un peggioramento dei sintomi. L’infermiera in più di tre quarti dei casi interveniva immediatamente con consigli clinici. Lo studio ha mostrato che l’intervento che permetteva ai pazienti di riportare i loro sintomi in tempo reale può avere importanti benefici incluso un aumento della sopravvivenza mediana (31,2 versus 26 mesi) rispetto ai pazienti che non usavano il questionario online. I pazienti sottoposti a chemioterapia presentavano sintomi gravi di cui medici e infermieri spesso non venivano a conoscenza. Un iniziale report dello stesso studio aveva evidenziato come l’uso del questionario online era associato ad una migliore qualità di vita, una riduzione delle visite urgenti e delle ospedalizzazioni ed inoltre, rispetto ai pazienti che ricevevano la terapia di supporto usuale, una tolleranza maggiore della chemioterapia. Il risultato ottenuto in termini di aumento della sopravvivenza
può sembrare modesto ma non lo è considerando che è maggiore di quello ottenuto con molte targeted therapies per carcinomi metastatici. Questo studio riportato in sessione plenaria all’ASCO dovrà ovviamente essere confermato da altri studi uno dei quali è attualmente ongoing in Italia. Si tratta di uno studio organizzato e coordinato dal NICSO che prevede di randomizzare circa 1200 pazienti. Tutti i centri sono invitati a partecipare. Un altro studio ha arruolato 305 pazienti con carcinoma avanzato che sono stati randomizzati a ricevere un breve intervento psicologico chiamato CALM (Managing Cancer and Living Meaningfully) più l’usuale terapia versus l’usuale terapia da sola2. Il CALM, sviluppato specificamente per pazienti con carcinoma avanzato, consiste in 3-6 sessioni individuali della durata di 45-60 minuti organizzate in un periodo di 3-6 mesi con oncologi clinici specificamente educati, sociologi, psichiatri, psicologi, palliativisti (incluse infermiere). I familiari dei pazienti erano invitati a partecipare alle sessioni che focalizzavano 4 importanti topics: trattamento dei sintomi e relazioni con altri sanitari; cambiamenti di sé stessi e delle relazioni con gli altri, benessere spirituale e significato e propositi della vita, preoccupazioni del futuro, speranza e mortalità. Il gruppo di controllo riceveva il trattamento oncologico ed il follow-up di routine così come uno screening del distress. Circa un terzo di essi riceveva un qualche trattamento specialistico di oncologia psicosociale, ma meno del 10% era sottoposto ad una psicoterapia strutturata o semistrutturata. Gli investigatori misuravano i sintomi della depressione (usando il Patient Health Questionnaire-9) e altri outcome dopo l’entrata nello studio e a tre mesi (endpoint primario) e a 6 mesi. A 3 mesi, il 52% dei pazienti che riceveva il CALM aveva una riduzione importante dei sintomi da depressione rispetto al 33% dei pazienti che riceveva i trattamenti usuali. Tali differenze erano ancora maggiori a 6 mesi (64% versus 35%). In questi pazienti migliorava anche il benessere psicologico a 3 e 6 mesi ed erano più preparati per il fine vita. Circa il 50% di sopravviventi con carcinoma ed il 70% delle giovani donne sopravviventi con carcinoma della mammella segnalano una paura di recidiva moderata-alta. Tale paura può essere talmente stressante da influenzare negativamente il comportamento durante il follow-up, le relazioni, il lavoro, gli obiettivi e la qualità di vita delle pazienti. Finora mancano interventi tesi ad alleviare la paura. Gli investigatori hanno randomizzato 222 pazienti sopravviventi con carCASCO — Autunno 2017
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cinoma della mammella, carcinoma del colon-retto o melanoma stadio I-III che riportavano un’alta paura di recidiva a ricevere l’intervento “Conquer Fear” o un training di rilassamento individuale di 5 sessioni della durata di 60 minuti in 10 settimane (braccio di controllo)3. Tutte le pazienti erano libere da malattia ed avevano terminato il trattamento da 2 mesi a 5 anni prima dello studio. L’intervento psicologico Conquer Fear consisteva in 5 sessioni della durata di 60-90 minuti in 10 settimane e si focalizzava su accettazione del rischio di recidiva, strategie per controllare la paura, spostare più controllo dove i pazienti ponevano l’attenzione, aiutare i pazienti a focalizzarsi su ciò che vogliono ottenere dalla vita e scegliere un livello di screening del cancro sensibile. Per misurare i cambiamenti della paura di recidiva del cancro veniva utilizzato un questionario di 42 domande chiamato “Fear of Cancer Recurrence Inventory” con uno score variabile da 0 a 168, con il punteggio più alto indicante un peggioramento della paura di recidiva. Tale questionario era somministrato all’entrata nello studio, immediatamente dopo l’intervento psicologico e 3 e 6 mesi dopo. Lo score mediano del questionario era simile al baseline (82,7 nel braccio intervento e 85,7 nel braccio di controllo). L’endpoint primario, il punteggio totale della paura di recidiva della malattia, si riduceva significativamente di più nel gruppo intervento (di 18,1 punti in media) che nel gruppo di controllo (di 7,6 punti in media) immediatamente dopo l’intervento. Il punteggio si riduceva ulteriormente nel tempo con una differenza significativa a 6 mesi (diminuzione di 27,2 punti in media nel braccio intervento e 17,8 punti in media nel braccio di controllo). Il miglioramento della paura di recidiva riduceva il distress dovuto al cancro, il distress generale (ansietà, depressione e stress) e migliorava la qualità di vita. Infine un altro studio che ha valutato come diminuire il di-
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stress dopo la diagnosi di cancro4. Purtroppo pochi pazienti al momento ricevono un supporto psicologico a causa di mancanza di accesso, tempo e risorse sia dei pazienti che degli psicologi. Un intervento online potrebbe colmare questo gap. Entro 12 settimane dall’inizio del trattamento del cancro 129 pazienti sono stati arruolati al braccio intervento STREAM o al gruppo di controllo. La maggior parte erano donne con carcinoma della mammella in stadio iniziale sebbene venivano inclusi anche pazienti affetti da carcinoma ovarico, polmonare, gastrointestinale, linfomi e melanomi. L’intervento STREAM consisteva in un programma online di trattamento dello stress sviluppato da oncologi e psicologi della durata di 8 settimane basato su approcci psicoterapeutici face to face. Tale approccio copriva 8 differenti topics come la reazione del corpo allo stress, la riduzione dello stress cognitivo, le emozioni e le interazioni sociali. Per ogni settimana i partecipanti ricevevano un’informazione scritta e a voce e poi completavano gli esercizi e i questionari. Gli psicologi rivedevano ogni settimana il progresso dei pazienti e fornivano una guida scritta personalizzata e supporto online. Tale intervento è meno time-consuming per il terapista e più conveniente per il paziente specie considerando i molteplici impegni per le visite e le terapie dopo una diagnosi di cancro. In ambedue i gruppi venivano usate scale validate per misurare la qualità di vita (FACIT-F), il distress (DT) e l’ansia-depressione (HADS) al momento dell’arruolamento nello studio e 2 mesi dopo l’intervento. Una differenza clinicamente significativa era di 9 punti per il FACIT-F. Il gruppo di controllo non riceveva supporto psicologico nei due mesi dopo l’arruolamento. Dopo due mesi i pazienti del gruppo intervento presentavano un miglioramento statisticamente significativo della
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qualità di vita (lo score del FACIT-F aumentava in media di 8,59 punti rispetto al gruppo di controllo). Il punteggio del distress calava da 6 a 4 nel gruppo di intervento e rimaneva 6 nel gruppo di controllo (fino a 4 lo score indicava basso distress mentre 5-10 indicava alto distress). No vi erano differenze significative in ansietà e depressione fra i due gruppi. Radioterapia nella sindrome da compressione midollare Molti pazienti con carcinoma solido presentano metastasi ossee specie alla colonna vertebrale; fino al 10% di tutti i pazienti con cancro metastatico alle ossa sviluppano una sindrome da compressione midollare caratterizzata da dolore al dorso, pesantezza agli arti inferiori, formicolii e difficoltà a camminare. Il trattamento radioterapico è utilizzato per alleviare il dolore e gli altri sintomi ma non ci sono una dose e una schedula standard raccomandate. Uno studio ha randomizzato 688 pazienti con metastasi ossee da carcinoma della prostata, polmone, mammella e tratto gastrointestinale a ricevere una radioterapia in singola dose di 8 Gy versus 20 Gy somministrati in 5 dosi in 5 giorni5. Erano esclusi dallo studio pazienti per cui la chirurgia o la chemioterapia erano considerate più utili, linfomi, mielomi, o leucemie, un precedente trattamento radioterapico della sindrome da compressione midollare e la gravidanza. Questo era uno studio di non inferiorità che accettava come massimo per la non inferiorità una differenza dell’11%. L’endpoint primario dello studio era lo status ambulatoriale del paziente misurato in una scala da 1 a 4 punti ad 8 settimane (1 = capace di camminare normalmente; 2 = capace di camminare con un aiuto; 3 = difficoltà nel camminare anche con un aiuto; 4 = dipendente da una sedia a rotelle). Il 66% dei pazienti presentava al basale uno status ambulatoriale di 1 o 2. Ad 8 settimane il 69,5% dei pazienti che hanno ricevuto una dose singola versus il 73,3% di quelli sottoposti a 5 dosi avevano uno status ambulatoriale di 1 o 2 dimostrando che ambedue le modalità permettevano al paziente di rimanere deambulante. Non vi erano differenze fra i due gruppi nella funzione intestinale a 1, 4, 8 o 12 settimane e neanche differenze in termini di qualità di vita a 4, 8 e 12 settimane. La sopravvivenza mediana era di 12,4 settimane con dose singola versus 13,7 settimane con 5 dosi. Mentre la proporzione di pazienti con effetti collaterali severi era simile (20,6% versus 20,4 %, rispettivamente), gli effetti collaterali lievi erano meno frequenti con dose singola di radioterapia (51,0% versus 56,9%). In conclusione 8 Gy dose singola era così efficace come 20 Gy in 5 frazioni ed è pertanto da raccomandare in questi pazienti perché riduce le visite in ospedale, cosa importante considerando la breve durata della sopravvivenza, e riduce sostanzialmente i costi. Quello che comunque gli autori stressano nelle loro conclusioni è che in ogni caso un rapido riconoscimento della sindrome da compressione midollare è critico per raggiungere i migliori risultati con la radioterapia.
Fatigue La fatigue cancro-correlata è un sintomo molto frequente e stressante per il paziente neoplastico. Il ginseng americano ha dimostrato in due studi precedenti una qualche efficacia ma la popolazione studiata era eterogenea (in trattamento antitumorale o dopo il trattamento, con carcinomi non specificati). Uno studio ha valutato il ginseng rosso coreano 2000 mg die per 16 settimane rispetto al placebo in 438 pazienti con carcinoma del colon-retto sottoposti a FOLFOX-6 come chemioterapia adiuvante o per la fase metastatica6. I pazienti con dolore non controllato, ipotiroidismo, insonnia, chemioterapia entro 6 mesi prima la visita di screening non erano eleggibili allo studio. L’endpoint primario era la modifica dell’area sotto la curva del Brief Fatigue Inventory durante 16 settimane. I cambiamenti nel BFI globale dal momento dell’inizio della terapia a 16 settimane erano significativamente superiori con il ginseng (78,54 versus 75,89). Altrettanto significativi erano i cambiamenti nella fatigue usuale (76,15 versus 73,08), nel comportamento (80,46 versus 77,88) e nelle relazioni con gli altri (82,09 versus 78,67), nella capacità di camminare (82,70 versus 80,77) e nel godersi la vita (79,53 versus 77,51). Un’ analisi per sottogruppi ha evidenziato che l’efficacia era maggiore nei pazienti anziani e nelle femmine. La tossicità non era significativamente differente tra i due trattamenti. Il ginseng rosso coreano è più efficace del placebo nel controllo della fatigue cancro-correlata. È stato dimostrato che lo yoga diminuisce significativamente la fatigue cancro-correlata e migliora la qualità del sonno nei sopravviventi. Questo studio ha analizzato se il miglioramento della fatigue era condizionato dal miglioramento del sonno7 in un’analisi secondaria di uno studio di fase III, che ha confrontato una terapia standard versus una terapia standard più 4 settimane di yoga in 321 pazienti con carcinoma (96% femmine). Lo studio ha valutato sia la qualità del sonno (Pittsburgh Sleep Quality Index) che la fatigue cancro-correlata (Multidimensional Fatigue Scale Inventory). Erano incluse donne con diagnosi di cancro senza presenza di metastasi, che avevano completato la chemioerapia 2-24 mesi prima, che avevano alterazioni persistenti del sonno di tipo moderato severo. Lo yoga ha migliorato ambedue significativamente rispetto alla terapia standard con una riduzione della fatigue di 6,5 punti. La qualità del sonno significativamente condizionava i cambiamenti della fatigue (di 1,4 punti) in aggiunta all’effetto diretto dello yoga sulla riduzione della fatigue cancro-correlata (di 5,1 punti) suggerendo che il 22% della riduzione della fatigue era dovuto ad un miglioramento della qualità del sonno. Tra le sottoscale del Multidimensional Fatigue Scale Inventory erano soprattutto le disfunzioni durante la giornata a mediare l’effetto dello yoga sulla fatigue cancro-correlato (4,1 punti) e la mediazione dell’effetto dello yoga sulla fatigue cancro-correlata tramite le disfunzioni giornaliere (di 2,4 punti), suggerendo che il 37% del miglioramento della fatigue cancro-correlata era dovuta ad una diminuzione delle disfunzioni giornaliere. CASCO — Autunno 2017
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In conclusione, tra il 22% e il 37% del miglioramento della fatigue cancro-correlata era dovuta a miglioramenti della qualità del sonno e alla riduzione delle disfunzioni giornaliere. I clinici dovrebbero prescrivere yoga come trattamento per i disordini del sonno accompagnati a fatigue nei sopravviventi da cancro. Prevenzione della diarrea da chemioterapia La diarrea è un importante effetto collaterale della chemioterapia con fluorouracile che può portare ad una riduzione della dose del farmaco. Questo studio valuta l’efficacia di tre diverse dosi (10, 20 o 40 mg sottocute) di elsiglutide, un GLP-2 analogo, rispetto al placebo. Le dosi erano somministrate nei giorni 1 - 4 dei primi due cicli di chemioterapia per la prevenzione della diarrea indotta da FOLFIRI e FOLFOX in pazienti con carcinoma del colonretto8. L’endpoint primario era la proporzione di pazienti con diarrea di grado ≥ 2 nel ciclo 1. In 484 pazienti l’elsiglutide era più efficace del placebo anche se questa differenza non era statisticamente a significativa. L’ incidenza di diarrea di grado I e II era presente nel 3% dei pazienti con 10 mg, 5% con 20 mg e 6% con 40 mg rispetto a 10% con placebo. Risultati simili si osservavano al 2° ciclo. Delirio eccitato Il delirio eccitato è una condizione molto stressante comune negli ultimi giorni di vita. L’uso di benzodiazepine in questa condizione è controverso. Questo studio doppio cieco ha confrontato in 58 pazienti il lorazepam rispetto al placebo, ambedue associati all’aloperidolo per il trattamento del delirio eccitato persistente9. Pazienti con carcinoma avanzato ricoverati in unità di cure palliative ricevevano in aggiunta ad aloperidolo 2 mg ev, all’inizio dell’agitazione, 3 mg di lorazepam o placebo. L’endpoint primario era il Richmond Agitation Sedation Score (RASS) nelle prime 8 ore che variava da -5 (paziente non risvegliabile) a + 4 (paziente combattivo). Endpoint secondari erano il trattamento di salvataggio con neurolettici, il confort percepito, il distress correlato al delirio, gli effetti collaterali e la sopravvivenza globale. Hanno completato le 8 ore di osservazione 52 dei 58 pazienti. Il punteggio del RASS diminuiva significativamente entro 30 minuti di trattamento in ambedue i gruppi di pazienti. Il lorazepam determinava un’ulteriore riduzione stati-
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sticamente significativa rispetto al placebo, sia nell’intervallo di tempo 0-30 minuti che in quello 0-8 ore. Il rescue con aloperidolo veniva eseguito significativamente meno (1 mg versus 3 mg) così come maggiore era il confort percepito con l’aggiunta di lorazepam. Non vi erano differenze inerenti il distress correlato al delirio, gli eventi avversi e la sopravvivenza globale. In conclusione, la combinazione di lorazepam e aloperidolo risultava in una rapida e significativa riduzione dell’agitazione rispetto all’aloperidolo da solo. • Bibliografia 1. Basch EM. Overall survival results of a randomized trial assessing patient-reported outcomes for symptom monitoring during routine cancer treatment. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr LBA2). 2. Rodin G, et al. Managing cancer and living meaningfully (CALM): a randomized controlled trial of a psychological intervention for patients with advanced cancer. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr LBA10001). 3. Beith J, et al. Long-term results of a phase II randomized controlled trial of a psychological intervention (Conquer Fear) to reduce clinical levels of fear of cancer recurrence in breast, colorectal, and melanoma cancer survivors. J Clin Oncol 2017; 3, (suppl; abstr LBA10000). 4. Hess V, et al. Web-based stress management for newly diagnosed cancer patients (STREAM): a randomized, wait-list controlled intervention study. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr LBA10002). 5. Hoskin P, et al. SCORAD III: randomized noninferiority phase III trial of single-dose radiotherapy compared to multifraction radiotherapy in patients with metastatic spinal canal compression. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr LBA10004). 6. Kim YH, et al. Korean red ginseng to improve cancer-related fatigue in colorectal cancer patients with FOLFOX chemotherapy: a randomized, double-blind, placebo-controlled, parallel, multicenter trial, NCT 02039635. J Clin Oncol 2017; 3, (suppl; abstr 10008). 7. Lin P-J, et al. The influence of yoga on mediational relationships between sleep and cancer-related fatigue: a URCC NCORP RCT in 321 cancer patients. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr 10007). 8. Karthaus M, et al. Elsiglitide in the primary prevention of chemotherapy-induced diarrhea in patients with colorectal cancer receiving 5-fluorouracil-based chemotherapy: a multinational randomized , double-blind, placebo controlled study. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr 10101). 9. Hui D, et al. Lorazepam as an adjuvant to haloperidol for agitated delirium at the end of life: a double-blind randomized controlled trial. J Clin Oncol 2017; 35 (suppl; abstr 10003).
Linee guida e pratica clinica
Terapia della trombosi venosa profonda nei pazienti con cancro: il ruolo dei nuovi anticoagulanti orali
Mario Mandalà Responsabile Unità semplice gastroenterologia oncologica, ASST Papa Giovanni XXIII, Cancer Center, Bergamo RIASSUNTO C’è un nesso stretto tra cancro e trombosi: è ben noto che i pazienti affetti da tumore hanno un rischio elevato di sviluppare tromboembolia venosa (TEV). Le eparine a basso peso molecolare (LMWH) sono il trattamento standard nei pazienti con TEV e sono più efficaci degli antagonisti della vitamina K, ma hanno limitazioni e controindicazioni. Gli anticoagulanti orali diretti (NOAC) potrebbero superare alcune di queste limitazioni. Il trattamento con NOAC per il trattamento del TEV nei pazienti che ricevono la terapia antitumorale viene revisionato in maniera critica nel presente manoscritto, focalizzandosi in particolare sulla profilassi e il trattamento del TEV nei pazienti affetti da tumore. I NOAC non possono essere considerati ancora un trattamento standard perché i pazienti con cancro valutati nell’ambito degli studi clinici controllati sono relativamente pochi e alcune domande rimangono ancora senza risposta. Tuttavia ciò non dovrebbe ostacolare l’uso di NOAC per il trattamento della trombosi associata al cancro. Studi clinici che indagano il loro ruolo sono in corso e forniranno la risposta al quesito sul ruolo dei NOAC nella profilassi e nella terapia del TEV in oncologia. Parole chiave. DOAC, TEV, cancro.
SUMMARY
Direct oral anticoagulants (DOAC) in cancer patients: evidence and perpectives There is a strict link between cancer and thrombosis: it’s well known that cancer patients are at high risk to develop venous thromboembolism (VTE). Low molecular weight heparins (LMWHs) are the standard treatment in patients with VTE and indeed are more effective than vitamin K antagonists, nevertheless they have limitations and contraindications. Direct oral anticoagulants (DOACs) could overcome some of these limitations. Here, DOAC use for VTE treatment in patients receiving anticancer therapy is reviewed, focusing on in the context of prophylaxis and treatment of VTE in cancer patients. DOAC cannot be considered still a standard treatment in cancer patients because patient populations studied are limited and some questions remain unanswered. However this should not deter the use of DOACs for the tre-
atment of cancer-associated thrombosis. Clinical trials investigating their role are ongoing and will provide the answer. Key words. DOAC, VTE, cancer.
Terapia della fase acuta Il trattamento standard del TEV in pazienti con cancro, in assenza di controindicazioni note, non differisce da quello dei pazienti senza cancro e consiste in una fase iniziale in cui si somministra eparina (ENF o EBPM), seguita dall’anticoagulazione con anticoagulanti orali. L’ENF sodica viene somministrata in un bolo iniziale di 5000 UI seguito dall’infusione endovenosa continua di dosi variabili, aggiustate in modo da ottenere, e mantenere, un allungamento del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) pari a 1,5-2,5 volte il valore basale. Le EBPM vengono invece somministrate in dosi fisse, aggiustate al peso corporeo, per via sottocutanea due volte al giorno. Esse hanno la stessa efficacia e sicurezza dell’ENF nel trattamento iniziale del TEV1,2. Possibilmente entro 24 ore dall’inizio dell’eparina va iniziata l’embricatura con l’anticoagulante orale. Al raggiungimento del range terapeutico di anticoagulazione (INR 2-3) per almeno 2 giorni consecutivi, l’eparina viene sospesa, e viene continuato solo l’anticoagulante orale. Oggigiorno le EBPM possono essere considerate il nuovo standard terapeutico per la terapia iniziale della trombosi. Anche nei pazienti oncologici i due trattamenti, EBPM versus ENF, nella fase iniziale, risultano sovrapponibili nel prevenire le recidive trombotiche. Infatti, con tali schemi, l’outcome a breve termine nei pazienti oncologici non è diverso da quello osservato nei pazienti con TEV non oncologici è parimenti favorevole in questi pazienti come nei pazienti senza cancro. Quale durata del trattamento anticoagulante nei pazienti neoplastici? Il trattamento anticoagulante standard a lungo termine con gli anticoagulanti orali (inibitori della vitamina K), al range terapeutico (INR 2-3), si è dimostrato inequivocabilmente efficace nella prevenzione delle recidive del TEV. La durata di tale trattamento dopo un unico episodio di TEV rimane ancora dibattuta. È stato, comunque, chiaramente evidenziato che, tra i pazienti con tromboembolismo venoso, il rischio di sviluppare una recidiva tromboembolica durante il follow-up è particolarmente spiccato nei pazienti neoplastici con un rischio relativo pari a 1,7 rispetto ai non neoplastici3. Tale rischio è ancora maggiore rispetto ai pazienti con trombofilia ereditaria. La durata dell’anticoagulazione appare quindi da prolungarsi almeno per tutto il tempo in cui il cancro sia in fase atCASCO — Autunno 2017
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tiva o vi sono terapie antitumorali in corso, a meno che non sussistano delle controindicazioni (es. diatesi emorragica). Il ruolo del trombo residuo valutato mediante metodica ultrasonografica è argomento di ricerca. Pertanto, la presenza o l’assenza del trombo residuo dopo 6 mesi di terapia anticoagulante standard con EBPM non dovrebbe influenzare la decisione clinica relativamente alla durata della terapia anticoagulante. Terapia a lungo termine del TEV nel paziente oncologico I pazienti neoplastici con TEV, durante il trattamento anticoagulante orale, sono esposti ad un rischio significativo sia di recidive trombotiche che di complicanze emorragiche, rispetto a pazienti non neoplastici con TEV1,2. Nonostante un’adeguata anticoagulazione infatti circa il 5-7% dei pazienti con cancro sviluppa una recidiva di TEV. La condotta terapeutica da far seguire deve pertanto tener conto sia dell’elevato rischio di recidiva sia anche del rischio emorragico in questi pazienti. Pertanto si sta oggigiorno valutando la possibilità di trattamenti alternativi, più efficaci, per la terapia del TEV a lungo termine nelle neoplasie. Lo studio CLOT ha valutato l’efficacia della EBPM dalteparina verso la terapia anticoagulante orale nella prevenzione secondaria della trombosi in pazienti neoplastici. I pazienti, dopo un episodio di TEV, erano randomizzati a ricevere: 1. trattamento standard con EBPM (dalteparina 200 UI/Kg/ die) per 5-7 giorni embricata con l’anticoagulante orale per 6 mesi (INR 2-3), oppure 2. dalteparina 200 UI/Kg/die per un mese, seguita da una dose pari al 70-80% della dose iniziale per i rimanenti 5 mesi. Il trattamento prolungato con EBPM per 6 mesi ha ridotto le recidive tromboemboliche dal 17% al 9% (p=0.0017), rispetto alla terapia standard con dicumarolici, senza aumentare il rischio di sanguinamento4. I dati di buona tollerablità e sicurezza sono stati confermati da un altro studio condotto da Meyer et al.5. Questi autori hanno valutato pazienti con TEV acuto e li hanno randomizzati a ricevere 3 mesi di warfarina ad INR tra 2 e 3 o enoxaparina. Lo studio ha valutato un outcome combinato di emorragie maggiori e recidive trombotiche. Nel gruppo di pazienti che assumeva warfarina l’outcome degli eventi era del 21% versus il 10,5% dei pazienti che avevano assunto enoxaparina. Questa differenza (p=0,09) era dovuta particolarmente alla differenza di emorragie maggiori. In base ai dati forniti da questi studi la EBPM è considerata la terapia standard nella profilassi secondaria del TEV nei pazienti neoplastici1,2,6. Recentemente uno studio, denominato CATCH, è stato condotto per valutare il trattamento del TEV nei pazienti con cancro. Si tratta del più grande studio randomizzato condotto sull’argomento. Le differenze nei tassi di recidiva di TEV con tinzaparina (EBPM) rispetto al warfarin non hanno raggiunto significatività statistica (7,2% vs 10,5%, rapporto rischio [HR] 0,65, intervallo di confidenza 95% [CI] 0,41-1,03), mentre l’endpoint secondario della trombosi venosa sintomatica e il sanguinamento non clinicamente significativo è risultato a favore di tinzaparina7. 10
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Pertanto si pensa che ragionevolmente la maggiore efficacia delle EBPM rispetto agli antagonisti della vitamina k nei pazienti con cancro attivo rifletta probabilmente la difficoltà di mantenere l’anticoagulazione terapeutica con antagonisti della vitamina K (VKA). Negli studi CLOT e CATCH, l’INR terapeutico era mantenuto solo nel 46% e il 47% del tempo, rispettivamente4,7. La terapia con VKA è infatti particolarmente complicata nei pazienti con tumore per varie ragioni: è spesso molto difficile mantenere l’INR entro il corretto range in quanto i pazienti con cancro soffrono spesso di vomito, possono avere inappetenza o dieta obbligata, oppure alterazioni dell’assorbimento intestinale e/o della funzionalità epatica. Per di più le interazioni farmacologiche delle terapie concomitanti possono ampiamente interagire con i VKA. Infine un altro fattore limitante è dovuto al fatto che si è spesso costretti ad interrompere la terapia anticoagulante per la necessità di procedure micro-invasive (toracentesi, biopsie o altro) o piastrinopenia intercorrente. Ruolo dei nuovi anticoagulanti orali Il profilo farmacodinamico dei VKA non è prevedibile, pertanto i pazienti devono costantemente sottoporsi al monitoraggio ematico per la valutazione dell’INR. Per assicurare efficacia terapeutica e limitare i rischi di sanguinamento maggiore, l’INR deve essere mantenuto in un range terapeutico compreso tra 2 e 3. Nel tentativo di migliorare il rapporto rischio-beneficio della terapia anticoagulante con VKA e la qualità di vita dei pazienti, sono state commercializzate altre due classi di anticoagulanti orali: la classe degli inibitori diretti della trombina (dabigatran) e la classe degli inibitori diretti del fattore X attivato (apixaban rivaroxaban, edoxaban) (tabella I)8-11. Diversamente dai VKA, i nuovi anticoagulanti orali (NOAC) sono caratterizzati da un profilo farmacodinamico prevedibile, motivo per cui non necessitano del monitoraggio di routine, e presentano un numero relativamente limitato di interazioni farmacologiche con alimenti o farmaci. A differenza di warfarin, che inibisce la sintesi vitamina K-dipendente dei fattori della coagulazione II, VII, IX e X, i NOAC inibiscono la coagulazione attraverso il legame diretto e specifico con il sito attivo della trombina (dabigatran) o del fattore Xa (edoxaban, apixaban, rivaroxaban). Apixaban and rivaroxaban vengono somministrati in monoterapia mentre dabigatran ed edoxaban sono somministrati dopo un trattamento anticoagulante parenterale. I NOAC rappresentano una promettente opzione terapeutica per il trattamento del TEV nei pazienti affetti da tumore: possono eludere alcune delle limitazioni di EBPM e VKA. I NOAC hanno una somministrazione a dose fissa senza necessità di monitoraggio della coagulazione di routine, senza interazioni con la dieta e interazioni farmacologiche limitate. Analisi di sottogruppi nei pazienti con cancro attivo provenienti da studi di fase III che abbiano utilizzato i NOAC (VTE EINSTEIN DVT / EINSTEIN PE (rivaroxaban, studio condiviso), AMPLIFY (apixaban), Hokusai-VTE (edoxaban) e RECOVER/RE-COVER II (dabigatran, studio condiviso) hanno dato risultati incoraggianti (tabella II)8-11. Sono stati osservati tassi analoghi di recidiva di TEV e una si-
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gnificativa riduzione dei sanguinamenti maggiori con rivaroxaban vs enoxaparina/VKA8 e recenti dati indicano che nella pratica clinica l’efficacia e la sicurezza di rivaroxaban possono essere simili per i pazienti con o senza TEV e cancro attivo12. Tuttavia i dati clinici restano limitati. Le linee guida attuali non raccomandano i NOAC come trattamento di prima linea per la trombosi acuta associata a tumore, in primo luogo a causa della mancanza di dati che confrontano la loro efficacia e la sicurezza con EBPM, ma anche a causa dell’incertezza
su alcuni aspetti pratici di gestione (per esempio potenziali interazioni farmacologiche tra NOAC e nuovi farmaci target ad esempio). La terapia con EBPM è l’opzione preferita dalla linea guida rispetto a VKA o NOAC per i primi 3 mesi1,2 (o primi 3-6 mesi in alcune linee guida) nei pazienti con cancro attivo persistente dopo un TEV acuto. Per questi pazienti, l’anticoagulazione estesa è raccomandato (in pazienti senza rischio di emorragia elevata) o suggerito (nei pazienti con alti livelli rischio di sanguinamento) oltre 3 mesi di terapia. Ad
Tabella I. Caratteristiche farmacologiche dei NOAC.
Farmaco
Dabigratan
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Dosaggio
110 mg 150 mg
15 mg 20 mg
5 mg 2,5 mg
30 mg 60 mg
Indicazione terapeutica
Prevenzione ictus e embolia sistemica in pazienti adulti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV) con uno o più fattori di rischio
Prevenzione ictus ed embolia sistemica nei pazienti adulti affetti da FANV con uno o più fattori di rischio
Prevenzione di ictus e embolia sistemica in pazienti adulti con FANV e uno o più fattori di rischio
Prevenzione di ictus e embolia sistemica in pazienti adulti con FANV e uno o più fattori di rischio
Trattamento e prevenzione di recidive di trombosi venosa profonda (TVP) e di embolia polmonare (EP)
Trattamento e prevenzione di recidive di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP)
Trattamento e prevenzione di recidive di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP)
Trattamento e prevenzione di recidive di trombosi venosa profonda (TVP) e di embolia polmonare (EP)
Somministrazione
Due volte die
Una volta die
Due volte die
Una volta die
Biodisponibilità
3-7%
66% senza cibo 100% con cibo
50%
60%
Tempo di picco massimo
3 ore
3 ore
3 ore
1-2 ore
Eliminazione
80% renale
75% epatica 25% renale
25% renale 75% fecale
65% epatica 35% renale
Emivita
12-17 ore
11-13 ore
9-14 ore
10-14 ore
Tabella II. Tassi di recidiva e sanguinamento maggiore in pazienti con cancro attivo: analisi di sottogruppo di studi di fase III che abbiano valutato i NOAC per il trattamento del TEV.
Studi Trattamento n Pazienti con TEV %
Einstein PE e TVP
Hokusai TEV
RECOVER RECOVER II
Rivaroxaban 354
TS 301
APIXABAN 81
TS 78
EDOXABAN 109
TS 99
Dabigatran 173
TS 162
5,0
7,0
3,7
6,4
4,0
7,0
5,8
7,4
HR 0,67 IC 95% 0,35-1,30 P=0,24
Pazienti con sanguinamento maggiore %
AMPLIFY
HR 0,56 IC 95% 0,13-2,37 P=0,07
HR 0,55 IC 95% 0,16-1,85 NR
P= NS
Rivaroxaban n= 353
TS N= 298
APIXABAN N= 87
TS N=80
EDOXABAN N=109
TS N= 99
Dabigatran N= 159
TS N=152
2,0
5,0
2,3
5,0
5,0
3,0
3,8
4,6
HR 0,42 IC 95% 0,18-0,99 P=0,047
HR 0,45 IC 95% 0,08-2,46 P=0,83
HR 1,52 IC 95% 0,36-6,43
P = NS
TS: Terapia standard, TEV: tromboembolismo venoso, TVP: Trombosi venosa profonda, PE: embolia polmonare, HR: Hazard ratio, IC: intervallo di confidenza.
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oggi non ci sono dati, derivanti da studi prospettici randomizzati di fase III, sull’efficacia dei NOAC nella profilassi primaria dei pazienti oncologici ambulatoriali oppure ospedalizzati con malattia attiva in trattamento chemioterapico. In 6 studi clinici che hanno paragonato i NOAC al Warfarin nella terapia della TVP o della EP (RECOVER I-II, EINSTEIN-TVP e EINSTEIN-TEP, AMPLIFY, HOKUSAI TEV) la percentuale di pazienti con cancro inclusi negli studi è molto bassa, pari al 4-6%. Sebbene siano state condotte analisi di sottogruppo, la valutazione dell’efficacia e della sicurezza dei NOAC nei pazienti con e senza cancro, i criteri di inclusione dei vari studi di fase III variano, rendendo difficoltoso il confronto tra studi. Nel complesso, e con queste limitazioni, i dati di queste sotto-analisi suggeriscono un ruolo dei NOAC per il trattamento del TEV associato al cancro. In un’analisi aggregata di EINSTEIN DVT e EINSTEIN PE la frequenza di recidiva del TEV nei pazienti con tumore attivo era inferiore nel gruppo rivaroxaban rispetto a enoxaparina/VKA, con meno episodi di sanguinamento maggiore (tabella II). Infine è importante sottolineare che i pazienti con fibrillazione atriale che sviluppano un cancro possono beneficiare da un trattamento anticoagulante con i NOAC, in considerazione del fatto che le EBPM non sono raccomandate per la prevenzione dell’ictus in pazienti con fibrillazione atriale cronica. In ogni caso per la maggior parte dei pazienti, ad oggi, sulla base dei dati disponibili, i NOAC non sono indicati in prima battuta, nei pazienti con cancro, per la profilassi scondaria dopo TEV per i seguenti motivi: 1. i NOAC sono risultati non inferiori a warfarin nei pazienti senza cancro, ma ci sono dati insufficienti per dimostrare che non sono inferiori a warfarin nei pazienti con cancro. 2. Non vi è alcuna evidenza che dimostri che i NOAC siano ugualmente efficaci o superiori alle EBPM nei pazienti con cancro. 3. La percentuale di pazienti oncologici inclusi nei trial clinici non solo è bassa, ma i pazienti arruolati in tali studi sono molto selezionati per cui risulta difficile estrapolare i dati alla popolazione generale oncologica. 4. Inoltre negli studi suddetti vi sono poche informazioni, nei pazienti oncologici arruolati, sul tipo di neoplasia, lo stadio clinico, il tipo di trattamento chemioterapico. Inoltre la definizione di ‘cancro attivo differisce da uno studio all’altro. 5. Data la superiorità della EBPM sul warfarin nella terapia del TEV nei pazienti oncologici, diversi studi prospettici randomizzati sono in corso al fine di paragonare EBPM e NOAC.
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6. I dati di sicurezza nella popolazione con insufficienza renale ed epatica non permettono di escludere problemi di accumulo nei pazienti con cancro. •
Bibliografia 1. Lyman GH, Khorana AA, Kuderer N, et al. Venous thromboembolism prophylaxis and treatment in patients with cancer: American Society of Clinical Oncology clinical practice guideline update. J Clin Oncol 2013; 31: 2189-2204. 2. Mandala M, Falanga A, Roila F. Management of venous thromboembolism (VTE) in cancer patients: ESMO Clinical Practice Guidelines. Ann Oncol 2011; 22 Suppl 6: vi85–vi92. 3. Prandoni P, Lensing AWA, Piccioli A, et al. Recurrent venous thromboembolism and bleeding complications during anticoagulant treatment in patients with cancer and venous thrombosis. Blood 2002; 100: 3484-8. 4. Lee AY, Levine MN, Baker RI, et al. Low-molecular-weight heparin versus a coumarin for the prevention of recurrent venous thromboembolism in patients with cancer. N Engl J Med 2003; 349: 146-53. 5. Meyer G, Marjanovic Z, Valcke J, et al. Comparison of lowmolecular-weight heparin and warfarin for the secondary prevention of venous thromboembolism in patients with cancer: a randomized controlled study. Arch Intern Med 2002; 162: 172935. 6. Akl EA, Kahale L, Barba M, et al. Anticoagulation for the longterm treatment of venous thromboembolism in patients with cancer. Cochrane Database Syst Rev 2014; 7: CD006650 7. Lee AY, Kamphuisen PW, Meyer G, et al. Tinzaparin vs warfarin for treatment of acute venous thromboembolism in patients with active cancer: a randomized clinical trial. JAMA 2015; 314: 67786. 8. Prins MH, Lensing AWA, Brighton TA, et al. Oral rivaroxaban versus enoxaparin with vitamin K antagonist for the treatment of symptomatic venous thromboembolism in patients with cancer (EINSTEIN-DVT and EINSTEIN-PE): a pooled subgroup analysis of two randomised controlled trials. Lancet Haematol 2014; 1: e37-e46. 9. Agnelli G, Buller HR, Cohen A, et al. Oral apixaban for the treatment of venous thromboembolism in cancer patients: results from the AMPLIFY trial. J Thromb Haemost 2015; 13: 2187-91. 10. Schulman S, Goldhaber SZ, Kearon C, et al. Treatment with dabigatran or warfarin in patients with venous thromboembolism and cancer. Thromb Haemost 2015; 114: 150-7. 11. Raskob GE, van Es N, Segers A, et al. Edoxaban for venous thromboembolism in patients with cancer: results from a noninferiority subgroup analysis of the Hokusai-VTE randomised, double-blind, double-dummy trial. Lancet Haematol 2016; 3: e379-e387. 12. Bott-Kitslaar DM, Saadiq RA, McBane RD, et al. Efficacy and safety of rivaroxaban in patients with venous thromboembolism and active malignancy: a single-center registry. Am J Med 2016; 129: 615-9.
Il punto su...
Il supporto nutrizionale ha un ruolo nella gestione della cachessia da cancro?
Enrico Cortesi, Salvatore Caponnetto, Serena Zancla, Luca Di Lazzaro*, Alessandro Laviano* Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche ed Anatomo-Patologiche Unità di Oncologia Medica B Dipartimento di Medicina Clinica* Sapienza, Università di Roma
RIASSUNTO Il supporto nutrizionale svolge un ruolo fondamentale nella gestione della cachessia neoplastica, quando questo viene tempestivamente attuato con adeguati apporti di calorie e proteine, e come parte integrante delle cure palliative. Specifici nutrienti come gli acidi grassi omega-3 possono aiutare i pazienti oncologici con alta risposta infiammatoria e possono inoltre contribuire positivamente ad influenzarne la sopravvivenza. Parole chiave. Paziente oncologico, cachessia, supporto nutrizionale, cure palliative, acidi grassi omega 3.
SUMMARY
Does nutritional support play a role in managing cancer cachexia? Nutritional support plays a role in managing cancer cachexia, when it is timely delivered, when it provides adequate amounts of calories and proteins, and when it is part of a concurrent palliative care approach. Specific nutrients, that is, omega-3 fatty acids, may help in those cancer patients with high-inflammatory response, and may also contribute to positively influence long-term clinical outcomes. Key words. Cancer patient, cachexia, nutritional support, palliative care, omega-3 fattyacids.
La cancerogenesi, cioè il processo molecolare di crescita tumorale che comporta diversi momenti evolutivi, dall’iniziazione alla progressione, è strettamente legata alla progressiva insorgenza di una risposta comportamentale e metabolica che si è conservata intatta per millenni e che è finalisticamente orientata a contrastare insulti interni ed esterni. L’infiammazione è il principale fattore di induzione della risposta comportamentale e metabolica dell’ospite alla presenza del cancro. Tuttavia, il tumore stesso ha però sviluppato strategie molecolari non solo per sopravvivere nonostante l’infiammazione, ma anche per proliferarvi; la cellula neoplastica
è infatti capace di adattarsi a molteplici condizioni ambientali1. La cellula tumorale è capace di indurre alterazioni biochimiche attraverso la produzione di citochine infiammatorie come il TNF-alfa. La traslazione clinica di questo quadro metabolico è una sindrome clinica multifattoriale definita cachessia. La cachessia è caratterizzata dalla perdita di massa muscolare (con o senza perdita di massa grassa) che non può esser completamente invertita dal supporto nutrizionale convenzionale e che conduce ad un progressivo deficit funzionale2. Il fenotipo del paziente cachettico include cambiamenti comportamentali, collettivamente definiti come “sickness behavior” (= comportamento da presenza di malattia), e che comprendono anoressia, letargia, ansia, sonnolenza, e deterioramento fisico caratterizzato da perdita di tessuto adiposo, atrofia muscolare, aumento dispendio energetico, fatica, ridotta performance muscolare, ecc.3. Anoressia e ridotto introitodi cibo sono frequentemente riportati dai pazienti oncologici già alla diagnosi, ma spesso sono esacerbati dagli effetti collaterali delle terapie antitumorali4. Anche se la cachessia neoplastica non può essere spiegata solo dalla riduzione dell’assunzione di cibo, l’anoressia contribuisce in modo significativo al deficit cronico di energia e proteine nei pazienti affetti da tumore e quindi alla progressiva perdita di peso. Ad esempio, i cambiamenti indotti dal tumore a carico della soglia di rilevazione dei differenti gusti (in particolare il “dolce”) portano ad un deficit giornaliero di circa 500 kcal e 20 g di proteine5. Inoltre, il ridotto interesse verso il cibo e la riduzione dell’introito di alimenti influiscono negativamente sulla qualità di vita del paziente6. Il supporto nutrizionale potrebbe pertanto contribuire alla prevenzione e al trattamento della cachessia neoplastica riducendo il gap calorico e proteico indotto dalla anoressia. La cachessia neoplastica è una sindrome clinicamente rilevante in quanto rappresenta un fattore prognostico negativo. Riconosciamo certo che rimane pienamente da dimostrare con ampi studi randomizzati prospettici se il supporto nutrizionale nei pazienti affetti da tumore porti a effetti clinicamente significativi, anche se, ad oggi, alcuni piccoli studi suggeriscono che la terapia nutrizionale possa migliorare la storia clinica. In questa prospettiva, per convincere l’oncologo del ruolo del supporto nutrizionale nei pazienti affetti da tumore, indipendentemente dalla fase della malattia, sarebbe importante prevedere future sperimentazioni cliniche con obiettivi clinicamente rilevanti come la qualità della vita, la tossicità, la sopravvivenza, la funzionalità fisica, ecc.7. Le variabili nutriCASCO — Autunno 2017
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zionali dovrebbero essere anch’esse ovviamente valutate ma per corroborare i dati clinici. L’obiettivo di questa rassegna è quello di presentare e discutere i recenti progressi nella comprensione del ruolo del supporto nutrizionale nei pazienti affetti da cancro e di elaborare possibili raccomandazioni sulla base delle prove disponibili e più recenti. Supporto nutrizionale in pazienti oncologici La perdita di peso e la cachessia sono oggi riconosciuti come determinanti fondamentali degli effetti del tumore sul performance status dei pazienti8-10, eppure la maggior parte dei pazienti oncologici non ha accesso alla terapia nutrizionale durante e dopo la terapia11. Ciò può limitare l’efficacia delle terapie antitumorali disponibili nella pratica clinica. In questa luce, è di grande interesse il dibattito emergente sul fatto che il potenziale anabolico dei pazienti affetti da tumore possa essere efficacemente stimolato dal sostegno nutrizionale standard o se siano necessari specifici nutrienti capaci non solo di fornire calorie, ma anche in grado di modulare il metabolismo. Come accennato in precedenza, la cachessia neoplastica non è conseguenza esclusiva della riduzione nella assunzione di calorie e proteine. Infatti, la risposta infiammatoria indotta dal tumore determina una ‘resistenza anabolica’ a livello del tessuto muscolare alterandone il metabolismo. Pertanto, le calorie e le proteine introdotte con la dieta o con il supporto nutrizionale standard possono essere inefficaci nello stimolare l’anabolismo muscolare. L’uso di agenti anti-infiammatori o nutrienti specifici sembra necessario per ottenere un risultato clinicamente significativo. Gli acidi grassi omega-3, ovvero l’acido eicosapentaenoico (EPA) e l’acido docosaexanoico (DHA), sono acidi grassi polinsaturi con riconosciuta attività biologica. Quando somministrati a dosi sopra-fisiologiche, EPA e DHA hanno dimostrato di modulare la risposta infiammatoria riducendo la produzione di mediatori infiammatori, inclusa la prostaglandina E2 (PGE2)12. Il loro utilizzo nei pazienti con cancro potrebbe migliorare gli effetti anabolizzanti dei nutrienti “standard”. Recentemente sono stati pubblicati numerosi studi con risultati contrastanti13. Ad esempio, Burns et al.14 non hanno dimostrato un beneficio clinico in termini di aumento di peso corporeo nei pazienti trattati con alte dosi di acidi grassi omega3 integrati alla dieta. Più recentemente, Faber et al.13 hanno condotto uno studio su 64 pazienti con tumore esofageo di nuova diagnosi. I pazienti ricevevano consulenza dietetica e consigli dietetici. Nel braccio sperimentale, tutti i pazienti ricevevano un supplemento dietetico arricchito da EPA e DHA (contenente anche proteine, leucina e oligosaccaridi) per 4 settimane prima dell’inizio della terapia antitumorale. Nel braccio di controllo, i pazienti con meno del 5% di perdita di peso ricevevano un placebo iso-calorico e i pazienti con perdita di peso maggiore o uguale al 5% ricevevano un prodotto iso-calorico per assicurare lo studio in cieco. Il peso corporeo e lo stato nutrizionale dei pazienti sono stati monitorati all’inizio dello studio e dopo 4 settimane di trattamento. I pazienti sono stati invitati a completare i questionari sulla qua14
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lità della vita. Inoltre, sono stati prelevati campioni di sangue per la misurazione di diversi parametri immunologici, nutrizionali e di sicurezza. I risultati ottenuti non hanno mostrato alcun effetto dello specifico intervento nutrizionale sulla stimolazione ex vivo di cellule mononucleate del sangue. Al contrario, il peso corporeo però era notevolmente aumentato (P <0,05) e la performance secondo Eastern Cooperative Oncology Group era migliorata dopo l’assunzione del prodotto proteico (P <0,05). Inoltre, i livelli sierici di PGE2 sono significativamente diminuiti nel braccio sperimentale e aumentati nel gruppo di controllo (P 0,002). Sulla base di questi risultati, oltre a quelli provenienti da studi precedenti, sembra che l’intervento nutrizionale con nutrienti specifici sia superiore al sostegno nutrizionale standard, poiché aumenta il peso corporeo e migliorail performance status dei pazienti. Bisogna verificare se questi risultati possano anche tradursi in una migliore sopravvivenza, anche se recenti dati epidemiologici già supportano l’uso dell’acido grasso omega-3 per migliorare la sopravvivenza dei pazienti oncologici. Infatti, nello studio “Nurses’ Health Study and Health Professionals Follow-up”, Song et al.16 hanno prospettivamente studiato la mortalità cancro-specifica e complessiva in una coorte di 1659 pazienti con cancro del colon-retto mettendola in relazione con l’assunzione di acidi grassi polinsaturi omega-3 prima e dopo la diagnosi. Il maggiore aumento nell’assunzione di acidi grassi polinsaturi omega-3 dopo la diagnosi di cancro del colon-retto è risultata associata a un minore rischio di mortalità cancro-specifico (P per il trend 0,03). Rispetto ai pazienti che consumavano meno di 0,10 g/die di acidi grassi polinsaturi omega-3, quelli che consumavano almeno 0,30 g/die avevano un hazard ratio (HR) per la mortalità specifica da cancro del colon-retto di 0,59 (95% CI 0,35-1,01). I pazienti che hanno aumentato la loro assunzione di acidi grassi omega-3 polinsaturi di almeno 0,15 g/die dopo la diagnosi hanno avuto HR di 0,30 (95% CI 0,140,64, P per tendenza <0,001) per morti tumorali del colonretto, rispetto a coloro che non hanno modificato la loro assunzione. Purtroppo, questi dati non consentono di accertare i meccanismi che inducono il miglioramento della sopravvivenza. Esistono molti interrogativi circa l’attività degli omega3 sulla cachessia, sul miglioramento dello stato infiammatorio e sulla ridotta tossicità nei pazienti con diagnosi di carcinoma del colon-retto. A causa di queste incertezze, e nonostante i dati epidemiologici sianopromettenti, interessanti e solidi, sono necessari ulteriori studi prima che EPA e/o supporti nutrizionalicon EPA/DHA possano essere raccomandati a tutti i pazienti affetti da tumore, indipendentemente dal loro stato nutrizionale. Supporto nutrizionale e gestione della cachessia da cancro. È sufficiente? I risultati contrastanti ottenuti nel tentativo di prevenire e curare la cachessia da cancro possono essere dovuti a molti fattori. La conformità al protocollo nutrizionale, la mancanza di esercizi fisici di resistenza ed aerobici e l’inizio tardivo della terapia nutrizionale sono solo alcuni dei motivi da considerare. Tuttavia, la cachessia neoplastica si sviluppa spesso o si
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esacerba nei pazienti con neoplasia in stadio avanzato. In questo contesto clinico, la cachessia è solo uno dei sintomi che interessano i pazienti affetti da tumore, e affrontare solo la cachessia può non essere in grado di migliorare la qualità della vita globale17. Pertanto, la terapia nutrizionale dovrebbe essere integrata con un approccio più completo, allo scopo di affrontare tutte le esigenze dei pazienti affetti da tumore. Il supporto nutrizionale, il supporto psicologico e la gestione del dolore sono i pilastri delle cure palliative, che devono supportare fin dall’inizio il paziente per ottenere i migliori risultati18. Il supporto nutrizionale, nell’ambito delle cure palliative precoci, dovrebbe essere istituito tempestivamente e continuamente attuato. Di conseguenza, quando si integra anche il sostegno nutrizionale, le cure palliative precoci riducono la morbilità e la mortalità nel cancro19. Conclusione La cachessia neoplastica aumenta la morbilità e la mortalità nei pazienti oncologici. Il supporto nutrizionale deve essere considerato nei pazienti affetti da tumore con cachessia o a rischio di svilupparla. Recenti evidenze suggeriscono che i fattori chiave per l’efficacia del supporto nutrizionale sono: l’intervento tempestivo, il supporto con adeguate quantità di calorie e proteine, l’inclusione di nutrienti specifici, come EPA e DHA, in presenza di una risposta infiammatoria, nonché la prescrizione di esercizi fisici di resistenza edaerobici. Inoltre, il supporto nutrizionale nei pazienti affetti da tumore può migliorare non solo lo stato nutrizionale ma anche la sopravvivenza dei pazienti affetti da tumore quando proposto nel contesto delle cure palliative come integrazione della cura globale della malattia. •
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6. Mar´ın Caro MM, Laviano A, Pichard C. Impact of nutrition on quality of life during cancer. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2007; 10: 480-7. 7. Laviano A, Fearon KC. The oncology wall: could Ali Baba have got to the nutrition treasure without using the correct words? Clin Nutr 2013; 32: 6-7. 8. Martin L, Senesse P, Gioulbasanis I,et al. Diagnostic criteria for the classification of cancer-associated weight loss. J Clin Oncol 2015; 33: 90-9. 9. Ryan AM, Power DG, Daly L, et al. Cancer-associated malnutrition, cachexia and sarcopenia: the skeleton in the hospital closet 40 years later. Proc Nutr Soc 2016; 75: 199-211. 10. Lu Z, Yang L, Yu J, et al. Change of body weight and macrophage inhibitory cytokine-1 during chemotherapy in advanced gastric cancer: what is their clinical significance? PLoS ONE 2014; 9: e88553. 11. Maschke J, Kruk U, Kastrati K, et al. Nutritional care of cancer patients: a survey on patients’ needs and medical care in reality. Int J Clin Oncol 2016; 22: 200-6. 12. Pappalardo G, Almeida A, Ravasco P. Eicosapentaenoic acid in cancer improves body composition and modulates metabolism. Nutrition 2015; 31:549-55. 13. Ries A, Trottenberg P, Elsner F, et al. Asystematic review on the role of fish oil for the treatment of cachexia in advanced cancer: an EPCRC cachexia guidelines project. Palliat Med 2012; 26: 294-304. 14. Burns CP, Halabi S, Clamon G, et al .Phase II study of high-dose fish oil capsules for patients with cancerrelated cachexia. Cancer 2004; 101: 370-8. 15. Faber J, Uitdehaag MJ, Spaander M, et al. Improved body weight and performance status and reduced serum PGE2 levels after nutritional intervention with a specific medical food in newly diagnosed patients with esophageal cancer or adenocarcinoma of the gastroesophageal junction. J Cachexia Sarcopenia Muscle 2015; 6: 32-44. 16. Song M, Zhang X, Meyerhardt JA, et al. Marinev3polyunsaturated fatty acid intake and survival after colorectal cancer diagnosis. Gut 2016; 66: 1790-6. 17. Jatoi A, Kumar S, Sloan JA, Nguyen PL. On appetite and its loss. J Clin Oncol 2000; 18: 2930-2. 18. Bakitas MA, Tosteson TD, Li Z, et al. Early versus delayedinitiation ofconcurrent palliative oncology care: patient outcomes in the ENABLE III randomized controlled trial. J Clin Oncol 2015; 33: 1438-45. 19. Rocque GB, Cleary JF. Palliative care reduces morbidity and mortality in cancer. Nat Rev Clin Oncol 2013; 10: 80-9.
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Gestione eventi avversi
Tossicità rare da immunoterapia
Andrea Antonuzzo, Andrea Sbrana Polo Oncologico Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana
tion and therapeutic use, while rare toxicities are divided regerding grade of severity and involved body district. Key words. Immunotherapy, Anti-CTLA4, Anti-PD1, AntiPDL1, multidisciplinary toxicity management.
RIASSUNTO
La recente introduzione di farmaci immunoterapici (tabella I), già approvati per il trattamento di numerose forme tumorali (melanoma, carcinoma polmonare non a piccole cellule, tumori del distretto testa-collo, carcinoma uroteliale) e in fase di studio per molte altre (come i tumori del tratto gastroenterico), ha determinato la comparsa di nuove tossicità che devono essere adeguatamente gestite dal clinico. A differenza della tossicità da chemioterapia o da terapie targeted, i farmaci immunoterapici, proprio in considerazione del loro meccanismo d’azione, possono avere come bersaglio tutti gli organi e distretti dell’organismo. Le tre classi principali di farmaci immunoterapici attualmente in uso nella pratica clinica sono: anti CTLA-4, anti-PD1, anti-PD-L1, che possono essere utilizzati in monoterapia o talora in combinazione16. Escludendo le tossicità più frequenti riscontrate in clinica, quali la gastroenterica (diarrea, colite), cutanea (rash maculo-
La rapida crescita dell’immunoterapia nell’ambito dei trattamenti antitumorali ha introdotto in clinica numerose tossicità che necessitano di approcci spesso tempestivi e multidisciplinari. Possiamo distinguere i farmaci immunoterapici per meccanismo d’azione e indicazione terapeutica, mentre le tossicità rare si possono suddividere per grado e organo o distretto corporeo interessato. Parole chiave. Immunoterapia, Anti-CTLA4, Anti-PD1, Anti-PDL1, gestione multidisciplinare delle tossicità.
SUMMARY
Immunotherapy rare toxicities The growing impact of immunotherapy for the treatment of solid tumors lead to treat a lot of toxicites with a need of quick and multidisciplinary management. We can distinguish immunotherapy drugs in relation to their mechanism of ac-
Tabella I. Farmaci (suddivisi per meccanismo d’azione e con relative indicazioni terapeutiche approvate da FDA13 e/o EMA14 e AIFA15).
Classe di farmaci
Farmaci
Indicazioni terapeutiche già approvate
Anti-CTLA4
Ipilimumab
Melanoma
Anti-PD1
Nivolumab
Melanoma NSCLC Tumori del distretto testa-collo Carcinoma renale Carcinoma uroteliale Carcinoma colorettale MSI-H o dMMR Linfoma di Hodgkin
Pembrolizumab
Melanoma NSCLC Carcinoma gastrico Carcinoma uroteliale Tumori del distretto testa-collo Linfoma di Hodgkin classico Tumori solidi MSI-HIGH
Atezolizumab
Carcinoma uroteliale NSCLC
Durvalumab
Carcinoma uroteliale
Avelumab
Carcinoma a cellule di Merkel Carcinoma uroteliale
Ipilimumab + Nivolumab
Melanoma
Anti-PDL1
Anti-CTLA4 + Anti-PD1
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| Gestione eventi avversi | Tossicità rare da immunoterapia
papulare), epatica ed endocrina, sono sicuramente da considerare una grande varietà di tossicità meno frequenti (<10%) che possono talora creare notevoli difficoltà di gestione al clinico. Inoltre, anche all’interno dei distretti corporei più colpiti (ad es. tratto gastroenterico e sistema endocrino), esistono tossicità poco frequenti (ad es. pancreatiti e diabete mellito). La difficoltà di gestione di tali eventi è legata da una parte alla difficoltà diagnostica che questi hanno e dall’altra ad una mancanza di algoritmi terapeutici standardizzati (data la bassa incidenza). Anche in questo sottogruppo di problematiche la distinzione più pratica ed agevole risulta essere quella organo/distretto correlata (tabella II). Considerando la rarità degli eventi riportati (tabella II) non esistono algoritmi terapeutici standardizzati per la loro gestione. Per tale motivo è ancora più importante la stretta collaborazione con i diversi specialisti medici (ad es. cardiologi, neurologi, reumatologi, ecc.) per l’attuazione di terapie specifiche dei diversi eventi. Estrapolando, comunque, dalle correnti raccomandazioni circa la gestione delle tossicità immuno-correlate più frequenti1,12, è possibile pensare ad un algoritmo che tenga conto della gravità del sintomo e della risposta ad eventuali precedenti terapie. La tabella III ricorda in breve i vari step da intraprendere. L’immunoterapia ha sicuramente apportato una rivoluzione nell’ambito del trattamento dei tumori solidi, ma si accompagna a un profilo di tossicità peculiare e sicuramente non trascurabile. Data, quindi, la complessità della gestione di questi pazienti, è essenziale valutare il rapporto tra i benefici apportati al paziente ed i rischi legati a tale terapia, non esitando, qualora necessario, a modificare il dosaggio o sospendere il trattamento immunoterapico. Questo è supportato anche dall’evidenza che alcuni pazienti mantengono un beneficio dal trattamento immunologico anche dopo la sospensione di questo. In conclusione, l’atteggiamento verso la gestione delle tossicità rare non deve essere sostanzialmente diverso da quello verso la gestione di quelle più comuni e il beneficio verso il paziente deve rimanere l’obiettivo principale del clinico. • Bibliografia 1. Haanen JBAG, Carbonnel F, Robert C, Kerr KM, Peters S, LarkinJ, Jordan K, on behalf of the ESMO Guidelines Committee. Management of toxicities from immunotherapy: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol 2017; 28 (Suppl 4): iv119-iv42. 2. Le Burel S, Champiat S, Mateus C, et al. Prevalence of immune-related systemic adverse events in patients treated with anti-programmed celldDeath 1/antiprogrammed cell death-ligand 1 agents: a single-centre pharmacovigilance database analysis. Eur J Cancer 2017; 82: 34-44. 3. Wick W, Hertenstein A, Platten M. Neurological sequelae of cancer immunotherapies and targeted therapies. Lancet Oncol 2016; 16: e529-41.
Tabella II. Tossicità rare distinte per organo o distretto corporeo2,7.
Distretto corporeo o organo
Tossicità
Tratto gastroenterico
Epatite Pancreatite
Sistema endocrino
SIADH Insufficienza surrenalica primitiva o centrale Diabete mellito
Cute
Sindrome di Sweet Pioderma gangrenoso Pemfigoide Epidermolisi tossica
Sistema Nervoso3,4
Myasthenia gravis Encefalite Sindrome di Guillain-Barré Poliradicolonevrite Mielite trasversa Mielite necrotizzante Meningite asettica Sclerosi multipla
Occhio
Uveite Congiuntivite Nevrite ottica Cheratite Retinopatia
Sangue
Pancitopenia Anemia Leucopenia Neutropenia Piastrinopenia Emofilia acquisita Aplasia pura della serie rossa
Apparato genitourinario
Nefrite interstiziale acuta o granulomatosa Necrosi tubulare acuta
Apparato muscolo-scheletrico10
Poliartrite Artralgia Mialgia Rabdomiolisi
Apparato cardiovascolare
Pericardite Miocardite Sindrome di Tako-Tsubo Aritmie cardiache (es. FA)
Malattie sistemiche5,6,11
Sarcoidosi (a carico di vari distretti)8,9 Polimialgia reumatica/ Artrite gigantocellulare Malattia celiaca Dermatomiosite Lupus eritematoso sistemico Artrite simil-reumatoide10 Sindrome di Sjogren Sindrome di Vogt-Koyanagi-Harada Vasculiti Reazioni infusionali Reazioni di ipersensibilità
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Tabella III. Algoritmo terapeutico.
Gravità del sintomo
Gestione
Grado 1
Farmaci sintomatici
Grado 2
Corticosteroidi per via orale a basso dosaggio (es. 0,5-1 mg/kg pc/die di metilprednisolone o equivalente). Sospendere il farmaco fino al recupero delle reazioni avverse al grado 0-1.
Grado 3-4
Corticosteroidi per via endovenosa ad alto dosaggio (es. 1,2 mg/kg pc/die di metilprednisolone o equivalente). In caso di fallimento eventuale ricorso ad anti-TNF (es. infliximab 5 mg/kg pc ogni 15 giorni o micofenolato o tacrolimus). In caso di reazione di grado 3, sospendere il farmaco fino al recupero delle reazioni avverse al grado 0-1. In caso di reazione di grado 4, interrompere definitivamente il trattamento.
In caso di terapia corticosteroidea per periodi superiori a 4 settimane, valutare eventuale aggiunta di profilassi antibiotica (es. sulfametossazolo + trimetoprim 160 + 800 mg/die).
4. Cuzzubbo S, Javeri F, Tissier M, et al. Neurological adverse events associated with immune checkpoint inhibitors: Review of the literature. Eur J Cancer 2017; 73: 1-8. 5. Belkhir R, Burel SL, Dunogeant L, et al. Rheumatoid arthritis and polymyalgia rheumatica occurring after immune checkpoint inhibitor treatment. Ann Rheum Dis 2017; 76: 1747-50. 6. Cappell LC, Gutierrez AK, Baer AN, et al. Inflammatory arthritis and sicca syndrome induced by nivolumab and ipilimumab. Ann Rheum Dis 2017; 76: 43-50.
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7. Abdel-Wahab N, Shah M, Suarez-Almazor ME. Adverse Events Associated with Immune checkpoint Blockade in Patients with Cancer: A Systematic Review of Case Reports. PLoS ONE 11 (7):e0160221. doi:10.1371/journal.pone.0160221 8. Paydas S. Pulmonary sarcoidosis induced by the anti-PD1 monoclonal antibody pembrolizumab or post-immunotherapy granulomatous reaction: which is more appropriate terminology? Ann Oncol 2017; 27: 1650-1. 9. Cousin S, Italiano A. Pulmonary sarcoidosis or postimmunotherapy granulomatous reaction induced by the anti-PD-1 monoclonal antibody pembrolizu- mab: the terminology is not the key point. Ann Oncol 2016; 27: 1974-5. 10. Cappelli LC, Gutierrez AK. Bingham CO, Shah AA. Rheumatic and musculoskeletal immune-related adverse events due to immune checkpoint inhibitors: A systematic review of the literature. Arthritis Care Res (Hoboken) 2016; Dec 20. doi: 10.1002/acr.23177. [Epub ahead of print]. 11. Cappell LCi, Shah A, Bingham CO. Effects of cancer immunotherapy. Implications for rheumatology. Rheum Dis Clin N Am 2017; 43: 65-78. 12. Kumar V, Chaudhary N, Garg M, Floudas CS, Soni P, Chandra AB. Current Diagnosis and Management of Immune Related Adverse Events (irAEs) Induced by Immune Checkpoint Inhibitor Therapy. Front Pharmacol 2017; 8: 49. doi: 10.3389/fphar.2017.00049 13. www.fda.gov/newsevents/productsapprovals/default.htm 14. www.ema.europa.eu/ema/index.jsp?curl=pages/regulation/ general/general_content_001595.jsp&mid=WC0b01ac058 0b18a3d 15. www.agenziafarmaco.gov.it/content/elenco-dei-farmaciautorizzati 16. Rosenberg SA, DeVita VT, Lawrence TS. Cancer. Principles & Practice of Oncology. 10th Edition. Philadelphia: Wolters Kluwer/Lippincott Williams & Wilkins Health, c2012.
Casi clinici
Prevenzione della cardiotossicità da trastuzumab nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 positive
Enzo Ballatori Statistico medico, Spinetoli (AP)
Fausto Roila SC di Oncologia Medica Azienda Ospedaliera Universitaria “S. Maria della Misericordia”, Perugia
della diastole, al termine del trattamento con trastuzumab (cioè al ciclo 17, ossia dopo circa 52 settimane dall’inizio del trattamento) rispetto al basale. La frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) è considerata endpoint secondario.
RIASSUNTO Sono stati discussi metodi e risultati di uno studio in cui un ACE-inibitore e un beta-bloccante sono usati per prevenire la cardiotossicità del trastuzumab in pazienti con carcinoma mammario operato HER2 positive e le conclusioni degli autori appaiono inaccettabili. Parole chiave. Dimensione dello studio, potenza dello studio, analisi della varianza, test t di Student, studi a tre bracci.
SUMMARY
Prevention of cardiotoxicity in patients with breast cancer over-expressing HER2 We discuss both methods and results of a study where an ACE-inhibitor and a beta-blocker were used to prevent cardiotoxicity induced by trastuzumab in patients with early breast cancer HER2 positive. Authors’ conclusions seem to be unacceptable. Key words. Sample size, study power, ANOVA, Student’s t-test, three arms studies.
Background Nelle pazienti affette da carcinoma mammario con sovra-espressione di HER2 l’aggiunta di trastuzumab migliora l’efficacia della chemioterapia, ma tale farmaco è cardiotossico, inducendo in circa un caso su 6 disfunzione cardiaca e in un caso su 25 insufficienza cardiaca. Al manifestarsi della cardiotossicità, trastuzumab viene sospeso e la paziente viene trattata con ACE-inibitori o con beta-bloccanti. L’idea centrale dello studio è considerare tali trattamenti come profilassi per prevenire la cardiotossicità indotta dal trastuzumab. Lo scopo dello studio è dunque rilevante, ma ha importanti limitazioni che non consentono di ritenere del tutto affidabili i risultati conseguiti ed anche la sua programmazione presenta alcuni aspetti non chiari. Oltre a discutere di tali shortcomings, nella presente nota si coglie l’occasione di puntualizzare alcuni strumenti usati per l’analisi dei dati. Endpoint principale dello studio è il rimodellamento cardiaco, valutato con RM cardiaca, espresso come cambiamento del volume cardiaco del ventricolo sinistro alla fine
a. Principale difetto dello studio: il basso numero delle pazienti arruolate. 1.Nella pianificazione dello studio. Il calcolo del sample size è basato: a.su uno studio pilota in cui la percentuale delle pazienti con cambiamento del volume cardiaco fu stimato essere dell’11% (1 caso su 9). Uno studio pilota di norma è eseguito su un piccolo numero di pazienti e, pertanto, la variabilità della stima è elevata. Una notevole diversità di tale stima dal vero valore del parametro produce grandi variazioni nella determinazione della dimensione dello studio e, pertanto, un atteggiamento più prudenziale avrebbe imposto di determinare un intervallo di confidenza per quell’11% assumendo come stima del parametro il valore corrispondente alla massima numerosità delle pazienti da arruolare; b.è stato ipotizzato che l’uso di ACE-inibitori o di betabloccanti avrebbe prevenuto il 90% di tali cambiamenti. Questa ipotesi ci sembra francamente irrealistica, e tale dubbio è confermato dai risultati dello studio stesso. Probabilmente gli autori sapevano fin dall’inizio di non poter arruolare un notevole numero di pazienti ed hanno adattato stime ed assunzioni per l’adeguamento della numerosità campionaria alla loro realtà. Ci si può chiedere, però, che senso abbia il calcolo del sample size basato su assunzioni forzate; ma si sa, nessuna rivista accetterebbe mai un articolo che non contenesse tali calcoli che, come si è visto, nello studio in oggetto sono puri artefatti. Inoltre, il vantaggio di operare con una elevata numerosità campionaria è quello di valutare efficacia e tollerabilità in un gruppo di pazienti più eterogenei, dando consistenza e rilevanza clinica ai risultati ottenuti. 2.In sede di analisi dei risultati. A fronte delle 159 pazienti programmate, in realtà ne sono state analizzate solo 99, con una riduzione di oltre 1/3 rispetto a quanto programmato. La perdita di potenza dello studio è pertanto rilevante e ciò induce a ritenere che alcune differenze trovate non significative (comprese quelle relative all’endpoint primario) sarebbero potute esserlo in presenza di una maggiore numerosità campionaria. CASCO — Autunno 2017
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b. Lo studio è a tre bracci: ciò produce una notevole maggiore complessità rispetto ad uno studio a due bracci dovuta ad una serie di fattori. 1. Siano A, B e C i 3 trattamenti. I confronti possibili sono 3; ad esempio, A vs B, A vs C, B vs C. In alcuni casi però uno dei confronti potrebbe essere irrilevante e pertanto i confronti potrebbero essere ridotti a due. Comunque, eseguendo due o più confronti sullo stesso materiale sperimentale occorre sempre tener presente la disuguaglianza di Bonferroni (v. “Statistica per concetti” in CASCO 1). In particolare andrebbe precisato nella pianificazione dello studio quali confronti saranno eseguiti in sede di elaborazione dei dati, cosa che nel lavoro in discussione non è stata fatta. A prima vista sembrerebbero due: bisoprolol (BIS) vs placebo (PL) e perindopril (PER) vs PL. Leggendo però attentamente la scheda, sono stati eseguiti tutti e tre i confronti (nella scheda evidenziati in grassetto), evidentemente anche per valutare se i due trattamenti attivi (ACE-inibitore e beta-bloccante) avessero una diversa efficacia. 2. Aumentata dimensione del campione. La numerosità campionaria per uno studio a tre bracci è più che doppia rispetto a quella richiesta per uno studio a due bracci e
dipende anche dal numero di confronti che saranno eseguiti nella elaborazione dei dati.
c. Uso dell’analisi della varianza. Nelle tabelle 1, 2 e 3 (per brevità non riportate nella scheda) in cui vengono riportati i risultati dello studio, per eseguire i confronti fra i tre trattamenti (BIS, PER, PL) si usa l’analisi della varianza ad una via (indicata dagli autori con ANOVA). Il problema affrontato dall’ANOVA è il confronto tra le medie di 3 (o più) popolazioni: nell’articolo quella delle pazienti trattate con BIS, con PER e con PL. Per eseguire l’ANOVA con un solo fattore di classificazione (ANOVA 1-way) si usa il test F di Fisher-Snedecor. L’ipotesi nulla è che, nelle tre popolazioni, la media sia la stessa. L’ipotesi alternativa è che almeno una media sia diversa dalle altre. Quindi se il test F è significativo vuol dire che nelle 3 popolazioni almeno una media è diversa dalle altre; se è non significativo vuol dire che non ci sono elementi per ritenere che le medie non siano tutte e tre uguali. Quindi se il test F risulta significativo, il passo successivo è quello di vedere quali medie sono diverse e quali, invece, possono essere ritenute uguali. Ad esempio, nella tab. 3 dell’articolo, il cambiamento di LVEF al ciclo 17 ri-
SCHEDA
Pituskin E, Mackey JR, Koshman S, et al. Multidisciplinary approach to novel therapies in cardio-oncology research (manticore 101-breast): a randomized trial for the prevention of trastuzumab-associated cardiotoxicity. J Clin Oncol 2017; 36: 870-8.
Gli HER2 sono sovra-espressi nel 2025% delle pazienti con carcinoma mammario e sono associati ad una precoce progressione di malattia. In tali pazienti, l’aggiunta di trastuzumab alla chemioterapia adiuvante pur migliorando significativamente gli outcome di sopravvivenza della chemioterapia, induce però disfunzione cardiaca fin nel 18% dei casi, con insufficienza cardiaca fin nel 4% dei casi. Una ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) porta ad un’interruzione del trastuzumab con conseguente aumento del rischio di morte. La risonanza magnetica cardiaca (MRI) è raccomandata dalle linee guida per la conferma delle disfunzioni cardiache indotte dalla terapia. ACE-inibitori e beta-bloccanti sono raccomandati come terapia per
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la cura di disfunzioni cardiache e per prevenire l’insufficienza cardiaca. Scopo del lavoro è provare se tali farmaci possono essere utili per prevenire la disfunzione cardiaca. Metodi Disegno dello studio Lo studio doppio cieco, randomizzato a tre bracci (1:1:1), con blocchi di 6 pazienti, volto a verificare se perindopril (PER) o bisoprolol (BIS) siano superiori al placebo (PL) nella prevenzione delle disfunzioni cardiache. Pazienti arruolate Pazienti con carcinoma mammario operato (Early Breast Cancer, EBC) HER2 positive furono arruolate consecutivamente da due programmi canadesi. Criteri di eleggibilità: età > 18 anni, con EBC (stadio da I a IIIA), con sovraespressione di HER2 e con trattamento pianificato con trastuzumab. Criteri di esclusione: LVEF < 50% al basale, storia di insufficienza cardiaca, cardiomiopatia e infarto del miocardio, con controindicazioni
all’uso di beta-bloccanti o di ACEinibitori, con ipertensione incontrollata, e controindicazioni alla MRI. Outcome Obiettivo primario è il rimodellamento cardiaco, valutato con MRI, ed espresso come cambiamento del volume cardiaco (del ventricolo sinistro alla fine della diastole) dal basale al termine del trattamento con trastuzumab (al ciclo 17, circa 52 settimane dall’inizio della terapia). Endpoint secondario: cambiamento della LVEF dal baseline alla fine del trattamento con trastuzumab. La “cardiotossicità clinica” fu definita come interruzione di trastuzumab per più di 7 giorni a causa di una peggiorata funzionalità cardiaca. Analisi statistica Sample size. Basandosi su un precedente studio pilota fu stimata pari all’11% la frazione di pazienti con cambiamento del volume cardiaco indotto da trastuzumab, e fu ipotizzato che l’uso di ACEinibitori o di beta-bloccanti
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spetto al basale è stato nei tre bracci (media ± deviazione standard) PL: -5 ± 5; PER: -3 ± 4; BIS: -1 ± 5; P < 0,001 rispetto al test F La significatività di F attesta che almeno una media è diversa dalle altre; ad es., potrebbe essere che la media della popolazione PL sia diversa sia da quella della popolazione BIS sia da quella della popolazione PER, oppure che la media di PL sia diversa da quella di BIS, ma non da quella di PER, e così via. Per trovare quali siano le medie diverse dalle altre esistono diversi test per confronti multipli, il più affidabile dei quali è il test di Scheffé, ma non si possono eseguire test t di Student, come invece hanno fatto gli autori, pena incorrere nella disuguaglianza di Bonferroni, nemmeno accennata dagli autori. Una seconda obiezione all’uso dell’ANOVA deriva dal fatto che F è un test parametrico, nel senso che la sua validità è condizionata al verificarsi di due assunzioni: a) uguaglianza delle varianze nelle tre popolazioni, b) distribuzione normale del carattere nelle tre popolazioni. Esistono test per verificare tali assunzioni, ma in questo caso la loro potenza è limitata dalla bassa dimensione
avrebbero prevenuto il 90% di tali casi. Fissando una deviazione standard all’interno dei gruppi di 20 ml, 47 pazienti per braccio sarebbero stati sufficienti per provare l’efficacia di ciascuno dei due farmaci vs PL ad un livello di significatività per un test bidirezionale del 5%, con una probabilità dell’80%. Attendendosi un tasso di drop-out del 10% e un tasso di mortalità del 3% fu deciso di arruolare complessivamente 159 pazienti. L’analisi degli endpoint clinici fu condotta in accordo al criterio di intenzione a trattare (ITT) e non furono considerati le pazienti con missing data. t-test bidirezionali o un’analisi della varianza ad una via furono usati per determinare la significatività delle differenze tra i gruppi per le variabili continue. Il chi-quadro fu utilizzato per il confronto tra variabili categoriche. Un P < 0,05 fu usato come misura di significatività per tutti i confronti. Un modello di analisi della regressione multipla fu utilizzato per individuare i predittori del cambiamento del volume cardiaco.
campionaria; in altre parole, con circa 30 pazienti per gruppo, è assai difficile che possano risultare significativi: è probabile che diano un risultato non significativo, ma data la loro scarsa potenza, tale risultato potrebbe essere dovuto al basso numero di pazienti arruolate e non al fatto che nelle tre popolazioni siano effettivamente verificate le due assunzioni a) e b). In generale, quando la numerosità campionaria è scarsa, è impossibile verificare se le assunzioni alla base dei test parametrici possano ritenersi valide; è allora opportuno procedere con test non parametrici: il test di KruskalWallis è il test non parametrico corrispondente al test F dell’ANOVA, mentre il test non parametrico corrispondente al t-test è il test di Wilcoxon per la somma dei ranghi (o il suo equivalente test U di Mann-Whitney); anche quest’ultimo, però, deve tener conto della disuguaglianza di Bonferroni.
d. Difetti di minore rilevanza. 1. Randomizzazione a blocchi di 6. La più rilevante proprietà della randomizzazione è la sua imprevedibilità, nel senso che non dovrebbe mai essere prevedibile a quale trattamento verrà allocato il successivo paziente arruo-
Risultati Furono valutate per eleggibilità 402 pazienti e ne furono escluse 303 soprattutto perché o le loro caratteristiche non erano in accordo con i criteri di inclusione (161) o hanno rifiutato di partecipare (120). Furono dunque randomizzate 99 pazienti ai tre gruppi: 32 (PL), 34 (PER), 33 (BIS). Escludendo quelle che sospesero il trattamento, le pazienti analizzate furono 30 (PL), 33 (PER), 31 (BIS), in totale 94 che, nella maggioranza dei casi (77%) furono sottoposte ad una chemioterapia non contenente antracicline e furono osservate per un periodo medio di 350 ± 18 giorni. Il massimo livello di dose del farmaco nei tre bracci fu del 90% (PL), 75% (PER, dose media: 6,8 ± 2 mg), 65% (BIS, dose media: 7,7 ± 3 mg, P < 0,06, n.s.). Non ci fu alcun evento avverso grave. I cambiamenti medi del volume cardiaco dopo la somministrazione di trastuzumab furono non significativamente diversi tra i gruppi (PL: + 4 ± 11 ml/mq; PER: + 7 ± 14 ml/mq; BIS: + 8 ± 9 ml/mq; P < 0,36). Comunque, il cambiamento assoluto in LVEF al termine della terapia fu
più basso con BIS confrontato sia con PL che con PER: – 1 ± 5% vs – 3 ± 4% vs – 5 ± 5%, rispettivamente; P < 0,001). Dopo il 4° ciclo, l’incidenza di disfunzione cardiaca fu meno comune tra le pazienti trattate con PER (1/33) e con BIS (1/31) rispetto a PL (6/30; P < 0,02), ma non ci furono differenze significative dopo il ciclo 17. Le interruzioni di trastuzumab per abbassamento di LVEF furono meno frequenti nel gruppo PER (3/33 pazienti) e nel gruppo BIS (3/31 pazienti) rispetto al gruppo PL (9/30 pazienti; P < 0,03). L’analisi multivariata identificò solo il valore basale come predittivo del cambiamento nel volume cardiaco, mentre i predittori di una diminuzione di LVEF furono il valore basale di LVEF e l’uso profilattico di PER (P < 0,016) e di BIS (P < 0,001). Conclusioni Sia peridopril (PER) che bisoprolol (BIS) attenuano il declino di LVEF dovuto al trattamento con trastuzumab, ma non prevengono il rimodellamento del ventricolo sinistro che era l’outcome primario dello studio. •
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| Casi clinici | Prevenzione della cardiotossicità da trastuzumab nelle pazienti con carcinoma mammario HER2 positive
lato. Usando per 3 trattamenti blocchi di randomizzazione di 6 unità, dopo che al più 5 di esse sono state assegnate ai trattamenti, è prevedibile a quale trattamento sarà assegnata la sesta. Forse blocchi più numerosi (ad es., di 12 unità) sarebbero stati preferibili. 2. Analisi multifattoriale. È stata condotta un’analisi multifattoriale per tentare di identificare i predittori dell’endpoint primario (rimodellamento del volume cardiaco) e di quello secondario (LVEF). Per quanto riguarda l’endpoint primario, solo il valore del basale è stato trovato significativo, mentre per l’endpoint secondario sono risultati significativi anche i trattamenti (v. scheda). Probabilmente se la dimensione dello studio fosse stata considerevolmente più alta sarebbero risultati significativi (anche) altri predittori dei due endpoint.
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CASCO — Autunno 2017
3. Livello di significatività. Nel lavoro commentato il livello di significatività è indicato con “P < 0,05”. È un’imprecisione in quanto anche P = 0,05 può ritenersi significativo. Quindi, gli autori avrebbero dovuto scrivere “P ≤ 0,05”. In conclusione, lo studio ci sembra inadeguato soprattutto per dimensione per poter ritenere affidabili i risultati conseguiti. Gli autori concludono che le due profilassi attive non hanno effetto sull’endpoint primario ma hanno efficacia nel ridurre la diminuzione di LVEF dal basale al ciclo 17. Per quanto esposto sopra, riteniamo che entrambe le conclusioni non siano accettabili: la prima (endpoint primario) per insufficienza di numerosità del campione, la seconda (endpoint secondario) per l’uso di tecniche statistiche inadeguate. •
Statistica per concetti
Il coefficiente di correlazione lineare r di Bravais-Pearson
Riassunto Il coefficiente di correlazione lineare r di Bravais-Pearson è costruito come media geometrica dei coefficienti di regressione esposti nella rubrica “Statistica per concetti” del precedente numero di CASCO. Si mostra come esso possa essere utile per risolvere il problema del confronto della concordanza tra due o più distribuzioni doppie. Infine, si accenna agli indici di concordanza tra due graduatorie da usare in luogo di r quando almeno uno dei caratteri associati sia qualitativo rettilineo (cioè ordinale): il rho di Spearman e il tau di Kendall. Parole chiave. Coefficienti di regressione, coefficiente di correlazione lineare, r, ρ (rho) di Spearman, τ (tau) di Kendall.
Summary
Pearson’s correlation coefficient Pearson’s correlation coefficient, r, is calculated as geometric mean of the two regression coefficients described in the previous number of CASCO, and it is shown that r can be used to compare the concordance (or discordance) between two or more double distributions. Furthermore, when at least one characteristic is evaluated using an ordinal scale, r should be replaced by Spearman’s ρ or by Kendall’s τ. Key words. Regression coefficient, Pearson’s correlation coefficient, r, Spearman’s ρ, Kendall’s τ. Nel precedente numero di CASCO a partire dalla rappresentazione grafica della nuvola di punti sono state definite le due rette di regressione come quelle che passano il più vicino possibile ai punti empirici (X, Y) in base al metodo dei minimi quadrati. Più precisamente, la prima, quella di Y a X, ha equazione Y = a + bX i cui parametri sono calcolati rendendo minima la somma dei quadrati delle distanze tra ordinate teoriche (quelle dei punti che giacciono sulla retta) e ordinate empiriche (quelle della nuvola di punti). La seconda, quella di X a Y, ha equazione X = a’ + b’Y, ed i suoi parametri sono ottenuti minimizzando la somma dei quadrati degli scarti tra ascisse teoriche (quelle dei punti appartenenti alla retta) e ascisse empiriche (quelle dei punti della nuvola): v. grafici nel precedente numero di CASCO. Si è mostrato che i coefficienti angolari, b e b’, sono misure di concordanza che hanno lo stesso segno e variano da –∞ a +∞. Se il segno dei coefficienti angolari è positivo si dice che c’è concordanza, nel senso che al crescere di X (ad es. la statura) in media cresce anche Y (ad es., il peso:
al crescere del peso cresce, in media, la statura e al crescere della statura cresce, in media il peso; in altre parole i soggetti più alti sono anche quelli che, in media, sono i più pesanti). Analogamente, se il segno dei coefficienti angolari è negativo, c’è discordanza, ossia al crescere di un carattere, l’altro, in media, diminuisce. Si è infine mostrato che il valore del coefficiente angolare di entrambe le rette di regressione è un indice di concordanza, nel senso che misura quanto cresce un carattere, in media, al crescere di una unità dell’altro carattere (ad es., se in un gruppo di ragazzi di 10 anni, l’equazione della retta di regressione della statura rispetto al peso fosse X = 40 + 1,2Y, il coefficiente angolare (+1,2) indicherebbe che la statura cresce, in media, di 1,2 cm per ogni aumento di un chilo di peso). In conclusione, sono stati costruiti due indici di concordanza, uno di Y a X, l’altro di X a Y.
Nel caso si voglia confrontare la concordanza tra due o più distribuzioni doppie, avere due indici, b e b’, non è conveniente perché il risultato del confronto potrebbe dipendere dalla scelta dell’uno o dell’altro; inoltre essi variano da –∞ a +∞ mentre in Statistica, per eseguire confronti, si preferiscono gli indici “normalizzati” ossia quelli che assumono valori in un range ben definito (ad es., tra 0 e 1). Si possono sintetizzare b e b’ in un solo valore facendone una media. Quella più vantaggiosa è la media geometrica che, in questo caso, è la radice quadrata del prodotto tra b e b’. Essa prende il nome di coefficiente di correlazione lineare di Bravais-Pearson (dal nome degli autori che, indipendentemente l’uno dall’altro, lo hanno introdotto) e il suo simbolo è r: r = ± √(b x b’). I due coefficienti di regressione hanno lo stesso segno; pertanto il loro prodotto è sempre positivo. Com’è noto, il risultato dell’operazione di radice quadrata può essere assunto sia con segno positivo che con segno negativo (ad es., √4 = 2 ed anche √4 = – 2 perché l’operazione inversa, il quadrato, in ambedue i casi vale 4). Poiché r è la media geometrica di b e b’, ed ogni media è interna ai termini della distribuzione, r dovrà essere compreso tra b e b’. Il segno di radice è preceduto dal simbolo “±” perché si sceglie il segno “+” se i coefficienti di regressione sono entrambi positivi e il segno “–” se sono negativi (altrimenti la media risulterebbe esterna). CASCO — Autunno 2017
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| Statistica per concetti | Il coefficiente di correlazione lineare r di Bravais-Pearson
Calcolato come media geometrica di b e b’, r ha il notevole vantaggio di variare tra – 1 e + 1 (di essere normalizzato) denotando con i valori negativi discordanza e concordanza con quelli positivi. Nel caso in cui è r = 0, sono anche b = 0 e b’ = 0; tale caso è detto di “indifferenza”: al variare di X, Y non varia lungo la retta di regressione di Y a X e, al variare di Y, X resta costante sulla retta di regressione di X a Y. Ad esempio, in un gruppo di ragazzi maschi di terza media, la retta di regressione della statura (Y) rispetto al peso (X) ha equazione Y = 20 + 1,4X e quella del peso rispetto alla statura X = –10 + 0,4Y. Pertanto, è r = √(1,4 x 0,4) = √0,56 = 0,748. Interpretazione: in quel gruppo di ragazzi, al crescere di 1 chilo di peso, la statura cresce in media (cioè lungo la retta di regressione) di 1,4 cm; al crescere di 1 cm di statura, il peso cresce in media di 0,4 kg. Il valore di r = 0,748 indica che in questa distribuzione doppia c’è il 74,8% della massima concordanza che vi si sarebbe potuta osservare. È evidente il vantaggio di r per i confronti; ad esempio se volessimo confrontare la concordanza tra peso e statura dei maschi (r = 0,748) con quella riscontrata nel collettivo delle loro colleghe (ad es., r = 0,589) si concluderebbe che al crescere del peso la statura cresce in modo più marcato per gli studenti maschi
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che per le loro colleghe, così come al crescere della statura, il peso cresce maggiormente per i maschi che per la femmine. Quanto esposto è applicabile quando i due caratteri associati (ad es., peso e statura) sono entrambi quantitativi. Spesso però, in Medicina, un carattere è quantitativo, mentre l’altro è qualitativo ordinale (ad es., in soggetti neoplastici, score di qualità di vita e tempo dalla diagnosi di malattia); ovvero sono entrambe scale ordinali (ad es., due sottoscale di un questionario psicometrico per la misura della qualità di vita). In tali casi, per misurare la concordanza occorre ricorrere ad indici non parametrici perché i coefficienti di regressione non possono essere calcolati. Il più usato indice non parametrico corrispondente ad r è il ρ (rho) di Spearman (esistono anche altri indici non parametrici di concordanza, come il τ (tau) di Kendall, ma si incontrano più raramente). Tutti tali indici, calcolati da tutti i package statistici, sono detti “indici di concordanza tra graduatorie” ed hanno le stesse proprietà e la stessa interpretazione di r: variano tra – 1 e + 1, denotando con valori negativi discordanza, con valori positivi concordanza e con zero indifferenza. Enzo Ballatori
Il metodo GRADE Laura Amato, Luca De Fiore, Elena Parmelli, Marina Davoli ͺͲ Ǥ ̀ ͳͷǡͲͲ
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