Chemioterapia ed emesi: una nuova era

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Supplemento bollettino SIFO 2013

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SIFO bollettino società italiana di farmacia ospedaliera

e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie

Supplemento bollettino SIFO 2013

Report dal Corso di Formazione Scientifica “Chemioterapia ed emesi: una nuova era”

Roma 12-13 settembre 2013

Il Pensiero Scientifico Editore


Servizio scientifico offerto alla Classe Medica da MSD Italia S.r.l. Questa pubblicazione riflette i punti di vista e le esperienze dell’autore e non necessariamente quelli della MSD Italia S.r.l.


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Terapie di supporto per il trattamento della CINV: verso una nuova era? L’aumentata efficacia delle terapie oncologiche, con significativo impatto sulla sopravvivenza e la “cronicizzazione” dei trattamenti, destinati a prolungarsi spesso per periodi lunghi, ha determinato una sempre maggiore attenzione a quelli che nella pratica clinica vengono definiti gli effetti indesiderati delle terapie. D’altra parte, la qualità della vita del paziente e il suo giudizio soggettivo sul trattamento intrapreso costituiscono un endpoint primario, dal quale ormai non si prescinde neanche nel disegno degli studi clinici. La patient satisfaction ha un peso sempre maggiore nella considerazione del giusto valore da dare a una molecola. La Food and Drug Administration (FDA) ha di recente indicato qualità della vita, preferenze e soddisfazione del paziente (elementi che concorrono ai Patient Reported Outcomes) come “parametri essenziali” nella valutazione dei farmaci. La migliore terapia oncologica, quindi, non è più quella con maggiore efficacia, ma quella che unisce a questo parametro imprescindibile, la migliore tollerabilità. Oggi sono disponibili terapie che, se associate alla chemioterapia per la cura del tumore, riescono a contenere – quando non ad azzerare – gli effetti collaterali delle terapie. L’impatto di nausea e vomito indotti da chemioterapia (chemotherapy-induced nausea & vomiting -CINV) sulla qualità di vita del paziente oncologico ha richiamato quindi differenti figure professionali (farmacologi, oncologi medici, farmacisti, preoccupati della risposta dei pazienti) a un più incisivo tentativo di controllo dei sintomi. Secondo una recente survey condotta al Congresso AIOM del 2012, gli effetti collaterali correlati con la CINV risultano essere quelli che affliggono di più il paziente in corso di trattamento chemioterapico (Tabella 1). L’argomento di grande interesse è stato oggetto del corso di formazione scientifica “Chemioterapia ed emesi: una nuova era”, tenutosi a Roma il 12 e il 13 settembre 2013. Negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha dato maggiore spazio a queste tematiche nell’ambito della redazione delle linee-guida e delle raccomandazioni specifiche.

Tabella 1. Effetti collaterali lamentati dai pazienti. Quale effetto collaterale rileva più frequentemente nei pazienti? % sul totale delle risposte Nausea

18,6

Fatigue

16,8

Vomito

12,1

Perdita di capelli

11,3

Perdita di appetito

10,7

Diarrea

9,6

Alterazione del gusto

8,6

Stipsi

7,8

Infezioni

3,9

Altro

0,6

Totale

100%

I dati delle tabelle 1 e 2 sono tratti dal questionario “L’impatto dei trattamenti oncologici sulla qualità di vita dei pazienti” compilato da 274 oncologi italiani in occasione del Congresso AIOM 2012.

Dunque, cosa è cambiato? Innanzitutto, è cresciuta la consapevolezza della problematica, e con essa la capacità di valutazione del rischio emetico associato ai diversi agenti antitumorali e alle loro combinazioni. Nel tempo, sono stati individuati schemi antiemetici sempre più efficaci e si sono resi disponibili nuovi farmaci capaci di migliorare la prevenzione della CINV. Nonostante questi sforzi, l’emesi continua a rappresentare una delle maggiori problematiche per i pazienti. I dati più recenti, ricorda Matti Aapro (Ospedale Universitario di Ginevra), indicano infatti che una percentuale compresa tra il 30 e il 90% dei pazienti oncologici sperimenta, in corso di terapia, disagi più o meno gravi legati alla CINV. Queste percentuali evidenziano come, nonostante notevoli passi avanti siano stati ottenuti nella sensibilizzazione e nel trattamento di queste problematiche, ancora non si riesca a raggiungere il controllo completo ed efficace di nausea e vomito indotti da chemioterapia.


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È opinione diffusa che sia possibile imputare questa incompleta risoluzione del problema più alla disinformazione e alla mancanza di standardizzazione dei trattamenti che all’inadeguatezza dei farmaci di cui disponiamo. Alla radice del problema, quindi, pesa una lacuna comunicativa. L’apertura dei lavori congressuali è stata diretta dal presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), Carmine Pinto (Ospedale Sant’Orsola Malpighi, Bologna), il quale ha sottolineato l’importanza sia delle tematiche oggetto di discussione, sia del ruolo dell’oncologo medico nel prestare sempre una maggiore attenzione alla qualità di vita del paziente. «Purtroppo, la routine e forse anche l’abitudine alcune volte non permettono di comprendere appieno come discutere col paziente di queste problematiche – neglette in prima istanza dalla stessa persona malata, preoccupata innanzitutto di guarire – e quindi dell’efficacia dei farmaci che sta assumendo, anche se le causano problemi gravi. A mio avviso oggi dobbiamo lavorare in prima istanza sull’esigenza di spingere il paziente a confidarsi con i curanti, medici e personale infermieristico, così da fornire prima di tutto gli strumenti adatti a garantire questo tipo di informazione». E così il futuro Presidente degli oncologi medici italiani ha fatto notare come siano obiettivi della stessa AIOM l’educazione e la comunicazione sul problema, il controllo e la sempre più attenta salvaguardia della qualità di vita del paziente oncologico. Ed è proprio sul rapporto medico-paziente e sull’importanza delle linee-guida sulla CINV, strumento di fondamentale rilievo per l’appropriatezza dei trattamenti ma troppo spesso disattese nella pratica, che si è concentrata buona parte del dibattito. Matti Aapro – uno dei maggiori esperti mondiali sulle terapie di supporto – ha riportato i risultati ottenuti qualche anno fa dal gruppo di Steve Grunberg sul gap tra i dati reali sulla CINV (quelli dunque riportati dai pazienti) e la percezione di medici e infermieri al riguardo. Tali studi hanno evidenziato come ci sia una sostanziale discrepanza tra l’incidenza reale dei sintomi riferita dai malati e quella percepita da medici e infermieri, soprattutto nei giorni successivi al trattamento. Tabella 2. Percezione reale dei sintomi riferita dai malati.

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Quanto influenzano la qualità di vita dei pazienti gli effetti collaterali della chemio e delle altre terapie? Moltissimo

28,1%

Molto

48,2%

Abbastanza

23,7%

Poco Per niente Totale Dati Congresso AIOM 2012, vedi tabella 1.

0 0 100%

Questo divario evidenzia un aspetto assolutamente da non trascurare: un dialogo forse ancora insoddisfacente tra medico e paziente su quello che accade “a casa”, quando la persona malata si trova da sola, o con i propri cari, non sempre informati e all’altezza di gestire gli effetti collaterali dei trattamenti antiblastici (Tabella 2). La profilassi della CINV riveste quindi un ruolo decisivo, in primo luogo in caso di terapie antineoplastiche considerate altamente emetizzanti (HEC). Questa categoria copre, tra gli altri, ambiti di patologia clinica a larghissima diffusione epidemiologica: tumore della mammella, tumore del polmone, tumore testa-collo e il tumore del testicolo. Come sottolinea Francesco Ferraù (Ospedale San Vincenzo, Taormina): «La necessità di agire su questi ultimi tre (polmone, testa-collo e testicolo) subset di malattia deriva dalla presenza di un elemento comune a tutti gli ambiti che vedono come protagonista del panorama farmacologico un agente, il cisplatino, che più di tutti risulta sviluppare un effetto emetizzante. Costituiscono quindi una sfida clinicamente impegnativa, una sorta di “banco di prova” sul quale si sono misurate tutte le nuove molecole». Le linee-guida più recenti sottolineano pertanto la necessità, di attuare una condotta che sia sistematizzata ed efficace ai fini della gestione della nausea e del vomito indotti da chemioterapici, di quantificare il rischio di CINV in base al tipo di trattamento. Ciò ha portato a un’attenta classificazione degli schemi chemioterapici in base all’incidenza di nausea e vomito riscontrata in un determinato protocollo. Gli ultimi anni hanno visto, in questo campo, una significativa evoluzione. L’avvento di una nuova categoria di farmaci, gli inibitori del recettore degli NK1, ha infatti consentito di estendere l’efficacia antiemetica aumentando la protezione dalla CINV, con ricadute immediate sulla qualità delle cure. Le ultime revisioni delle linee-guida nazionali e internazionali, accanto al cisplatino considerato da sempre regime chemioterapico ad alto potere emetogeno, hanno introdotto come trattamenti da considerare tali i regimi chemioterapici AC/EC nelle donne con tumore della mammella: in questa tipologia di chemioterapie – definite HEC (High Emetogenic Chemotherapy) –, le raccomandazione delle linee-guida consigliano l’utilizzo di uno schema a tre farmaci, costituito da antagonisti del recettore NK1 (sostanza P/neurokinina), associati a corticosteroidi e anti 5-HT3, mentre per regimi chemioterapici, a moderato o a basso potere emetogeno, l’approccio è differente, e non sempre richiede l’utilizzo contemporaneo della triplice terapia. Questa suddivisione in classi di rischio degli schemi di trattamento – ha sottolineato sempre Matti Aapro – ha


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permesso pertanto di fare notevoli passi avanti verso la prevenzione, inibendo efficacemente il vomito. Claudio Verusio (AO di Busto Arsizio, PO Saronno), fra i relatori presenti all’evento, spiega: «Nonostante queste evidenze sull’applicazione delle linee-guida, permangono numerose criticità imputabili, da un lato, a una non ottimale conoscenza delle stesse da parte dello specialista, e dall’altro a un certa sottovalutazione del problema, non tanto in fase acuta, quanto e soprattutto nei giorni successivi alla chemioterapia, in presenza cioè di CINV ritardata». Lo stesso Verusio ha sostenuto che l’unico evento in grado fattivamente di modificare in via definitiva il comportamento prescrittivo del medico sia costituito dall’esperienza diretta nella pratica clinica del sintomo e del malessere da parte del paziente. Purtroppo, «anche il confronto tra lo studio internazionale PEER e i risultati italiani dello stesso ha mostrato evidenze sovrapponibili, confermando una bassa adesione nell’applicazione delle linee-guida sulla CINV», ha confermato Davide Pastorelli (Azienda Ospedaliera di Padova) commentando i dati. Questo rafforza l’esigenza di ridurre la discrepanza esistente tra la percezione dell’incidenza dell’emesi da parte di oncologi e operatori sanitari e la sintomatologia effettivamente sperimentata in prima persona dai pazienti. E nuovamente viene a essere sottolineata l’urgenza di creare e favorire tra i medici e i caregiver un rapporto sempre più vicino alle esigenze dei malati oncologici, con una più incisiva attenzione alle problematiche quotidiane legate ai trattamenti. «In un’ottica di prevenzione della CINV, inoltre, diventa strategica la scelta della schedula chemioterapica», ha ribadito Paolo Pronzato (AOU San Martino, Genova). Dopo aver selezionato, sulla base delle evidenze scientifiche, il trattamento antineoplastico di prima scelta, ossia ritenuto più efficace per un determinato caso, è essenziale adottare e condividere con il paziente lo schema di terapia antiemetica più adatto, sia per garantire una migliore qualità della vita al paziente, sia per facilitare una più alta aderenza alla terapia. Per ottenere un miglior controllo globale dell’emesi, dunque, sembrano essere in primo luogo necessari un più attento inquadramento iniziale (attraverso un’analisi più approfondita dei fattori di rischio associati all’insieme degli agenti chemioterapici utilizzati, ai dosaggi, alle vie di somministrazione e alle caratteristiche del paziente quali l’età, il sesso, la predisposizione personale) e l’individuazione di scale di valutazione dell’emesi più precise e informative. Ma quello che rende fondamentale il trattamento della CINV e delle altre tossicità legate agli schemi di chemioterapia è la possibilità di rispettare le dosi e le giuste tempistiche da seguire nei protocolli antiblastici, soprattutto in quelle fasi in cui la terapia ha un intento di cura (trattamenti neoadiuvanti e adiuvanti).

Nel tumore della mammella, come riportato da Paolo Pronzato, è stato per esempio dimostrato come un non adeguato adempimento alla schedula di somministrazione dei farmaci, fino al mancato raggiungimento delle dosi raccomandate per la terapia adiuvante, rischia di rendere il trattamento inefficace. Il che si traduce in una penalizzazione della qualità della vita della persona malata e in uno spreco di risorse da parte dell’amministrazione ospedaliera. Utilizzare i farmaci contro la nausea e il vomito indotto da chemioterapici significa dunque sia prestare attenzione ai sintomi riferiti dai pazienti, garantendo una più adeguata qualità di vita, sia apportare un miglioramento della compliance del paziente. La maggior aderenza al trattamento che ne consegue comporta un più efficace controllo della malattia anche nella recidiva, nonché minori rischi di ripresa e di progressione, in caso di trattamenti adiuvanti, e addirittura un miglioramento della sopravvivenza. È interessante inoltre notare come siano le donne a soffrire maggiormente il problema. «Probabilmente», ha notato Antonio Astone (Policlinico A. Gemelli, Roma) nel suo intervento, «si tratta di una questione di genere», imputabile a fattori diversi. In ogni caso, l’esperienza del cancro ha per la donna profondi risvolti psico-sociali, impattando pesantemente sull’immagine che ha di sé e sul suo ruolo all’interno della famiglia. Questo è particolarmente vero per una delle neoplasie che più frequentemente colpisce la popolazione femminile, il tumore della mammella. Sebbene la strada verso il pieno recepimento delle linee-guida sembri ancora in salita, non mancano, anche in Italia, note positive in tal senso. Modelli di “best practice” sono stati per esempio messi a punto presso l’Ospedale San Maurizio di Bolzano e all’Istituto Pascale di Napoli. All’Ospedale San Maurizio di Bolzano, racconta Atto Billio, «un gruppo multiprofessionale composto da medici, infermieri, farmacisti ed esperti di evidence-based medicine (EBM) ha selezionato le linee-guida giudicate migliori sulla base della metodologia standardizzata AGREE, adattandole al contesto locale e implementando raccomandazioni specifiche per ogni protocollo chemioterapico». Questo processo è ormai consolidato da più di due anni e ogni paziente riceve il più adeguato trattamento antiemetico contestualmente al modulo di chemioterapia. Nella Regione Campania, all’interno del Dipartimento di uroginecologia dell’Istituto Nazionale dei Tumori Pascale di Napoli, è nata invece un’esperienza dettata dall’esigenza di conciliare l’utilizzo appropriato del farmaco con il controllo della spesa, come ha esposto Piera Maiolino. Il gruppo di lavoro, costituito da alcuni oncologi medici e da un farmacista ospedaliero, ha prima redatto un documento


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di raccomandazioni sulla gestione della CINV ed è poi riuscito a “traslare” l’esperienza all’esterno, invitando a partecipare al progetto oncologi di diverse aziende ospedaliere campane. Un momento di condivisione e di dialogo che ha dato i suoi frutti ma che necessita di un’apertura su più vasta scala. L’ultima relazione, certamente non in termini di importanza, è stata quella di Claudio Jommi (Università del Piemonte Orientale, Novara) il quale ha affrontato il delicato tema dell’appropriatezza e della sostenibilità delle terapie antiemetiche, argomento che in un’era di spending review e di massima attenzione ai vincoli di spesa appare imprescindibile. Il principale messaggio che è emerso da questo intervento è stato che appropriatezza e costi, quindi sostenibilità, siano strettamente legati e che, contrariamente a quanto potrebbe apparire a una considerazione superficiale del problema, una maggiore appropriatezza consente una razionalizzazione della spesa. L’introduzione di nuovi farmaci e di nuove tecnologie nella pratica clinica dovrebbe sempre essere supportata, oltre che da dati di sicurezza e di efficacia, anche da una valutazione e da un’accurata analisi d’impatto economico sul Sistema Sanitario Nazionale. In questo senso il concetto di costo-efficacia, applicato agli antiemetici, così come a tutti gli altri farmaci, deve guardare sia al prezzo della terapia, sia ai benefici generati dalla stessa, anche in termini di “costi evitati”. Parlando di medicina delle evidenze, gli studi pubblicati attualmente a livello internazionale sull’introduzione nella pratica clinica dei nuovi farmaci antiemetici, con particolare attenzione al discorso costo-efficacia di questi trattamenti, evidenziano che l’utilizzo delle nuove terapie risulta relativamente ragionevole. Infatti, nonostante i costi incrementali generati dai maggiori prezzi dei farmaci, ci sono comunque importanti costi evitati e questo a fronte di benefici misurabili non solo in termini di qualità di vita del paziente. Il controllo dell’emesi, infatti, riduce i costi collegati al percorso del paziente, riduce l’utilizzo delle terapie di soccorso, gli accessi al pronto soccorso, le prestazioni di ricovero, rende meno intensivi i follow-up del paziente perché di fatto lo stesso non soffre di CINV e quindi riduce il ricorso alle prestazioni mediche con un significativo impatto positivo sulla spesa sanitaria. In tutti quei Paesi che hanno stabilito valori cosiddetti “soglia”, cioè, valori limite massimi di costi incrementali per unità di beneficio incrementale, tendenzialmente le nuove classi di farmaci antiemetici si collocano al di sotto di questi valori. È importante comunque sottolineare come le analisi di costo-efficacia vadano applicate in maniera flessibile, perché, in caso contrario, c’è il rischio che, adottando un

parametro unico per tutte le patologie, si escludano intere categorie di pazienti dall’accesso ai farmaci. Un altro parametro che sta dando frutti nel processo di negoziazione dei prezzi è quello legato alla rimborsabilità del farmaco stesso. Purtroppo, anche farmaci clinicamente validi possono avere difficoltà di “entrata” proprio a causa dei vincoli di spesa; da questo punto di vista, nel momento in cui si valuta se un nuovo farmaco o una nuova tecnologia abbiano tutte le carte in regola per essere raccomandati e rimborsati, è importante che questi arrivino realmente al letto del paziente. In ultima analisi, quindi, una valutazione “multi attributi”, che consideri cioè più parametri per evitare iniquità nell’accesso, e la trasparenza si pongono come condizioni necessarie affinché un sistema sia accettato dalla comunità che si aspetta la tutela della salute come diritto costituzionalmente sancito. «Il problema dei costi nella medicina odierna è fondamentale e deve essere affrontato in maniera esplicita e trasparente», ha ribadito Paolo Pronzato. Il Direttore della Struttura complessa di oncologia medica del San Martino IST di Genova ha riportato alcune evidenze scientifiche che dimostrano come, sebbene di per sé l’uso degli antagonisti dei recettori NK1 sia associato a un aumento della spesa sanitaria, l’efficacia di questi farmaci nel controllare la CINV è in grado di determinare un risparmio complessivo. Tale vantaggio economico sembra essere il risultato ottenuto proprio in virtù dell’eliminazione di tutti quei costi indiretti di cui si è detto precedentemente. Sempre a questo proposito, Matti Aapro ha inoltre evidenziato come sia rilevabile una sproporzione tra le preoccupazioni per i costi delle terapie antinausea e lo spreco perpetrato da un approccio prescrittivo, a volte anche ai limiti dell’accanimento terapeutico, come in tutte quelle situazioni in cui si è a uno stadio oramai avanzato. Nella malattia metastatica, infatti, anche dopo molteplici linee di chemioterapia, si tende a volte a somministrare farmaci costosissimi nel tentativo di prolungare anche di pochi mesi la sopravvivenza. Questo approccio risulta a oggi molto questionabile, soprattutto se non viene supportato da una maggiore attenzione alla qualità di vita dei pazienti, che soffrono gli importanti effetti collaterali di questi trattamenti, quando si hanno a disposizione farmaci che, con una spesa assai relativa, permettono di controllare efficacemente questi sintomi. Un’istanza prepotentemente emersa, a conclusione dell’evento, riguarda ancora la qualità della comunicazione medico-paziente.


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insieme a infermieri, psicologi, familiari, tutti alleati in questa lotta dove il medico dovrebbe essere una sorta di regista cinematografico», sostiene ancora Rosti. Questo per sottolineare l’importanza di una responsabilizzazione da parte dell’oncologo verso un rapporto medico-paziente che sia diretto, basato sul concetto di affidamento del malato, il quale sin dal primo giorno della diagnosi sceglie il centro dove essere curato e lo specialista dal quale farsi seguire. Secondo Carmine Pinto, «dobbiamo imparare a non delegare, a proteggere questo dialogo continuo con il malato». In tale contesto l’obiettivo primario della “nuova AIOM” è proprio quello di educare la classe medica alla conoscenza e al rispetto delle linee-guida, al fine di implementare la sopravvivenza dei pazienti oncologici con un maggior riguardo verso la qualità della vita di questi ultimi.

L’aspetto della comunicazione nella gestione degli effetti collaterali delle terapie presenta infatti ancora ampi margini di miglioramento. «In realtà l’informazione continua e corretta, ma data sin dall’inizio, può essere di grande aiuto per un adeguato inquadramento della questione e per spiegare al paziente quello che gli sta per accadere», afferma Giovanni Rosti (Ospedale Regionale Ca’ Foncello, Treviso) (Figura 1). Serve ancora uno sforzo, un “cambio di visuale”, che porti lo specialista a considerare la persona assistita nella sua interezza e a prestare maggiore attenzione ad aspetti a volte trascurati in nome di un prioritario controllo della patologia. «È necessario il salto rivoluzionario che porti a non considerare più il paziente come tale, bensì come una persona malata, che si innamora, che lavora, che ha una famiglia… ed è un passo che noi medici dovremmo fare

In chiusura, appare evidente come eventi di formazione come quello tenutosi a Roma abbiano un ruolo rilevante, in quanto contribuiscono a colmare il gap culturale che ancora grava sul tema, alimentando un confronto realmente costruttivo tra i vari attori coinvolti: medici curanti, personale di nursing, farmacisti ospedalieri. Starà poi all’oncologo riuscire a diffondere questa “nuova sensibilità” all’interno del suo ambito lavorativo, in stretta sinergia con gli altri specialisti investiti dalla questione, in primis il farmacista ospedaliero, apportando così un cambiamento incisivo e definitivo nella qualità delle cure oncologiche, a pieno vantaggio della qualità della vita della persona malata, nel rispetto e nella valorizzazione delle terapie e dei vincoli di spesa. È stata, questa, l’esperienza vissuta dalla dottoressa Maiolino e dal gruppo di oncologi campani, la cui eco è risuonata come un tam-tam di richiamo tra i farmacisti e gli oncologi presenti in sala, coinvolgendo tutti in un clima di positiva e possibile collaborazione.

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Figura 1. La comunicazione medico-paziente in cifre.

Le videointerviste realizzate durante il Corso di Formazione Scientifica “Chemioterapia ed emesi: una nuova era” – tenutosi a Roma nei giorni 12 e 13 settembre 2013 – sono disponibili in versione integrale sul sito del Bollettino SIFO (www.bollettinosifo.it).


www.msd-italia.it www.contattamsd.it info@contattamsd.it www.univadis.it

Codice ONCO-1100798-0000-EMD-PU-11/2015

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