COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE MED25
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COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE MED25
Apertura
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mnia mutantur scrive Ovidio nelle Metamorfosi (15,165): questo primo numero del Bollettino del Collegio viene pubblicato in un periodo critico, caratterizzato da profondi mutamenti sociali, culturali ed economici. Tutta l’Università, come è sua natura, è protagonista di questi avvenimenti nella doppia veste di soggetto e di oggetto. Nel momento in cui si opera una riforma universitaria, si viene sia ad alterare la codificazione di un sapere che costituisce il core dell’identità della disciplina specifica, sia a modificare il significato del rapporto culturaleprofessionale esistente tra la comunità accademica e il contesto sociale. Il decreto di riforma Gelmini riguarda a 360° tutto il funzionamento dell’Università, andando a toccare anche gli organi di gestione dell’Università (governance) e modificando sostanzialmente compiti e caratteristiche, basti pensare agli effetti che avrà l’introduzione del ruolo di Direttore Generale Universitario. Radicali modifiche inoltre riguardano i Corsi di Laurea, le Scuole di Specializzazione, la revisione dei settori scientificodisciplinari, il reclutamento dei professori universitari. In questo scenario di grandi cambiamenti e di grandi incertezze, il Collegio dei Professori di Psichiatria deve acquisire sempre più forza ed autorevolezza per permettere alla nostra materia di crescere e di potenziarsi in modo armonico, coerente e con chiare prospettive di sviluppo. La Psichiatria oggi si muove nel confronto critico con aree limitrofe, la Neuropsichiatria Infantile, la Psicologia Clinica, più in generale le materie di competenza delle Neuroscienze, che tendono a determinare effetti sull’identità stessa della nostra materia e conseguenti ricadute dal punto di vista formativo, scientifico e professionale. Se da un lato di grande importanza è stato il riconoscimento della specializzazione in Psichiatria tra le prime dieci specialità a maggiore impatto per il Servizio Sanitario Nazionale (circolare Masia, 2009), dall’altro diventa quanto mai necessario il dialogo culturale e politico con le discipline confinanti, vedi in particolare la Neuropsichiatria Infantile, per disegnare una identità complessiva dello psichiatra sempre più moderna e sempre più rispondente alle esigenze e bisogni della società. I cambiamenti in atto riguardano anche il riordino legislativo dell’assistenza psichiatrica tanto a livello nazionale quanto nelle diverse organizzazioni regionali dove frequentemente
il ruolo dell’Università è stato sotto-dimensionato se non apertamente espropriato. Bisognerà che il Collegio si assuma la responsabilità di costituirsi come punto di riferimento e di riflessione per un fattivo confronto con le diverse istituzioni nazionali e regionali competenti e con le principali società scientifiche. L’assunzione di questa responsabilità non può che essere collegiale, laddove, con questo termine, si indichi una forza che deriva dalla pluralità e dalla condivisione delle opinioni, e dalla trasparenza delle decisioni. Infine, il Collegio avrà il compito, non secondario, di difendere l’imprescindibile impronta universitaria della Facoltà di Medicina da quelle spinte che sempre più frequentemente vengono
esercitate per ‘’metter fuori’’ la Facoltà di Medicina dall’Università. Ciò non potrà che avvenire attraverso l’accentuazione del profilo scientifico e didattico della Psichiatria quale aspetto fondamentale della Medicina. Il Bollettino del Collegio si propone come strumento di raccolta degli stimoli utili ad aprire uno spazio di discussione su questo momento di così difficile transizione. Alberto Siracusano Presidente Collegio dei Professori di Psichiatria Dipartimento di Neuroscienze, Cattedra di Psichiatria, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma
IN QUESTO NUMERO
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Dirigenza sanitaria dell’Università nelle strutture psichiatriche del Servizio Sanitario Nazionale
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Pier Maria Furlan, Chiara Marmo, Rocco Luigi Picci
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La Scuola di Specializzazione in Psichiatria: un aggiornamento
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Diana De Ronchi
La responsabilità dello psichiatra. La costituzione dell’O.R.ME. Gian Piero Milano
L’importanza della formazione alla ricerca per i giovani psichiatri
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A L’Aquila, psichiatria “a porte aperte” Massimo Casacchia
Silvana Galderisi
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Ricerca e giovani psichiatri, tra impegno, difficoltà e passione Silvia Ferrari
Didatticamente
Anno I, numero 1, gennaio-aprile 2010
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Dirigenza sanitaria dell’Università nelle strutture psichiatriche del Servizio Sanitario Nazionale Pier Maria Furlan, Chiara Marmo, Rocco Luigi Picci Dipartimento di Salute Mentale Universitario AOU S. Luigi Gonzaga ASL TO 3 Coordinamento per la salute mentale e le tossicodipendenze ASL TO 3
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l sistema psichiatrico italiano, come noto, ha attuato un radicale processo di trasformazione a partire dalla c.d. legge Mariotti del 1964 e con la promulgazione delle Leggi 180 e 833 del 1978, che decretavano l’avvio dei processi di deistituzionalizzazione, vietando l’utilizzo degli ospedali psichiatrici a favore di uno spostamento per la diagnosi e la cura delle malattie mentali negli ospedali generali e demandando al territorio e al contesto sociale del paziente la responsabilità assistenziale e la presa in carico dell’utente affetto da patologia psichiatrica. Lo scopo finale di tale processo può essere riassunto nella costruzione di progetti di assistenza e intervento individuali, ambientali e sociali nell’ambito di una rete dei servizi “a trama fitta”. Tuttavia si trattava di leggi quadro; la 180 fu recepita interamente nella legge 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e gli articoli 30-33 indicavano quasi esclusivamente le modalità amministrativosanitarie per procedere ai TSO, trattamenti sanitari obbligatori, in assenza delle strutture psichiatriche pregresse; le modalità costitutive e le procedure amministrative, quindi, furono delegate alle Regioni che impiegarono dai dieci ai quindici anni per predisporre quanto dovuto. Per ottemperare alle conseguenti disomogeneità regionali, dalla metà degli anni Novanta furono emanati due “Progetti Obiettivo per la Salute Mentale”, che fornirono parametri operativi e standard minimi per le risorse umane (ad es. un operatore psichiatrico per 1500 abitanti), per le strutture (ad es. comunità con posti non superiori a 20 letti). Tuttavia, una rilevante carenza legislativa riguardava la partecipazione al processo delle Università e delle sue strutture cliniche o clinicizzate, in particolare quelle psichiatriche, neuropsichiatriche infantili, di psicologia clinica. Le difficoltà di un’attribuzione specifica di compiti fu immediatamente evidente e l’eventuale compartecipazione subì rallentamenti o accelerazioni locali1. Queste disomogeneità indussero spesso dei preconcetti anche recenti e tra questi il più diffuso: una volontaria assenza dell’Accademia al processo di attuazione della riforma psichiatrica. L’indagine qui riassunta vuole offrire una panoramica esaustiva dei compiti assistenziali svolti dalle strutture Universitarie all’ottobre 20092, completata dalle mansioni istituzionali di formazione clinica. La psichiatria universitaria, invece, attraverso questa indagine dimostra di avere un ruolo importante nel processo di riforma psichiatrica anche a livello assistenziale e clinico. La presenza e la responsabilità della psichiatria universitaria nel sistema assistenziale del SSN, e quindi anche nel territorio, sono ad oggi intense e diffuse, come dimostrano i dati da noi raccolti nell’ambito di un’indagine conoscitiva che ha coinvolto i Professori Ordinari ed Associati di Psichiatria MED-25 con responsabilità di dirigenza del SSN di II livello. Emerge che il 96,6% di questi ha competenze assistenziali e che il 3,4% (2) dei Professori Ordinari senza compiti assistenziali lo è solo per raggiunti limiti di età, rispetto all’ordinamento ospedaliero. Le recenti modifiche introdotte dalla legge finanziaria e da quella sul Pubblico Impiego (cd. Brunetta) possono ulteriormente modificare questa percentuale, sebbene di poche frazioni. 2
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Una rilevante carenza legislativa riguardava la partecipazione al processo delle Università e delle sue strutture cliniche o clinicizzate, in particolare quelle psichiatriche, neuropsichiatriche infantili, di psicologia clinica. Le difficoltà di un’attribuzione specifica di compiti fu immediatamente evidente e l’eventuale compartecipazione subì rallentamenti o accelerazioni locali. Queste disomogeneità indussero spesso dei preconcetti anche recenti e tra questi il più diffuso: una volontaria assenza dell’Accademia al processo di attuazione della riforma psichiatrica. I dati che presenteremo nel lavoro soddisfano l’intento di mostrare come, e in quale misura, la psichiatria universitaria sia compenetrata con il tessuto assistenziale ospedaliero e territoriale e come la progressiva integrazione Università-SSN, cui stiamo assistendo in questi ultimi anni in Italia, preveda un’importante delega di responsabilità a coloro che sono deputati alla formazione di operatori socio-sanitari, alla pianificazione dell’attività clinica e alla gestione integrata delle strutture assistenziali. Al fine di offrire un inquadramento generale, evidenziamo come i dati che abbiamo raccolto si riferiscano a 38 Università italiane, tutti gli atenei ove è presente una Facoltà di Medicina e Chirurgia, escludendo il Campus BioMedico di Roma e l’Università di Salerno, ove, pur essendo presente una Facoltà di Medicina e Chirurgia, non vi è al momento della conclusione della ricerca nessun docente incardinato come MED-25; di questi atenei, 36 sono statali e 2 non statali. Sono state, dunque, coinvolte 40 Fa-
coltà di Medicina e Chirurgia delle 42 presenti a livello nazionale, attraverso la rilevazione dei dati dei 54 Professori Ordinari incardinati come MED-25 e dei 5 Professori Associati MED-25 con responsabilità di dirigenza di II livello. Complessivamente, le analisi sono state condotte su 47 Unità Operative di Psichiatria a direzione universitaria. È stato inviato per via telematica a tutti i soggetti coinvolti nell’indagine un questionario composto di 18 item, caratterizzati in parte da domande a risposta dicotomica (sì/no), in parte da domande aperte, che permettessero di descrivere la singola realtà e, quindi, di cogliere le peculiarità relative al singolo caso. Tale invio è stato reiterato più volte, in particolare laddove condizioni particolari o rapporti istituzionali con le Regioni potevano assumere caratteristiche disomogenee rispetto ai quesiti posti. Dopo circa un anno e mezzo è stato raggiunto il totale delle risposte e nel corso degli ultimi mesi si è provveduto ad ulteriori aggiornamenti in particolare presso quelle sedi che avevano segnalato mutamenti e nuovi rapporti
DALLA LETTERATURA
convenzionali in itinere. Tutti i dati sono stati sottoposti ad una ulteriore valutazione statistica che sarà completata entro il mese di febbraio 2010. Nel corso degli ultimi anni, a seguito delle istanze trattate nelle LL 502/517, 229-1999 e Turco-Mussi, che prevedono la costituzione in ente unico degli Ospedali Generali con triennio clinico, la dipartimentalizzazione integrata Università-SSN con assimilazione assistenziale, è stato avviato un processo di ampio respiro volto alla costituzione come aziende ospedalierouniversitarie delle strutture universitarie, che, allo stato attuale, risultano essere 25, con una distribuzione complessivamente omogenea sul territorio italiano. Ulteriori cambiamenti potrebbero verificarsi nel corso della pubblicazione di questo articolo in quanto in molte Regioni si stanno convertendo pregresse aziende ospedaliere che ospitavano sedi universitarie in “Aziende Sanitarie Ospedaliere Universitarie” nonché nel corso dell’attuale legislatura è in discussione un progetto di legge contenente linee guida per i rapporti tra Enti nelle aziende in via di trasformazione3. Ad un’analisi più dettagliata, dai nostri dati sulla situazione della psichiatria italiana, emerge una significativa compenetrazione tra università e territorio anche valutando le responsabilità dirigenziali a livello accademico ed assistenziale dei Professori Ordinari e dei Professori Associati coinvolti nello studio. In particolare, si evidenzia come 9 (15,2%) di questi dirigano un Dipartimento Universitario, 9 (15,2%) abbiano la direzione di un Dipartimento di Salute Mentale e 2 (3,4%) di questi dirigano entrambi. Inoltre due hanno assunto il compito di Presidi di Facoltà di Medicina e Chirurgia. •
1. Ad esempio nello stesso periodo in cui veniva attribuito al Dipartimento a direzione universitaria dell’ ASL 5-Collegno-Ospedale S. Luigi Gonzaga di Torino il compito di chiusura degli Ospedali Psichiatrici di CollegnoGrugliasco e la contestuale responsabilità di un territorio di 185.000 abitanti, altre strutture universitarie erano limitate alla gestione di ambulatori intra ospedalieri o all’attività interna di liaison. 2. Si è deciso di porre questa data per avere una panoramica esaustiva di una situazione che muta spesso anche in virtù di legislazioni subentranti circa la cessazione di servizio, l’opposizione individuale a tali decisioni, gli eventi naturali. Alla data di pubblicazione di questo sommario 12 professori ordinari risultano in pensione, deceduti o comunque sostituiti. La versione definitiva riporterà gran parte delle modifiche in una nota esplicativa per non modificare le elaborazioni statistiche. 3. Ad esempio in Piemonte, oltre alla costituzione di una seconda Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga, dal inizio del 2008 è avviato il processo di integrazione in un’azienda unica Università Ospedale in ciascuna delle tre sedi Ospedale San Giovanni Battista – Molinette, della Carità di Novara e San Luigi Gonzaga di Orbassano.
Medicina “accademica”, il suo ruolo chiave Dal Lancet le proposte per salvare il declino.
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a medicina accademica svolge un ruolo essenziale, mediando il mondo della ricerca e della formazione con quello della pratica clinica. Un ruolo chiave da preservare e promuovere se si vuole che la medicina del futuro si mantenga all’altezza dei tempi. Tuttavia, da tempo sono visibili i segni di un suo declino, in particolare in Europa. Un editoriale di Desmond Sheridan sulla rivista Lancet ne analizza le cause e propone interventi per invertire questa tendenza1. “Nell’ultimo secolo la medicina accademica ha fornito grandi contributi alla cura e prevenzione delle malattie”, afferma Desmond Sheridan nel suo editoriale; “tuttavia, attualmente in Europa sta declinando. Si può invertire questa tendenza, e in che modo?”. Anche se negli Stati Uniti e, in misura minore, anche in Europa, si stanno intraprendendo iniziative per contrastare questo andamento, ancora c’è molto da fare e i fattori critici da affrontare sono numerosi. Il numero di clinici che intraprendono la carriera accademica, e in particolare nelle discipline legate alle scienze biologiche, è in costante diminuzione. La durata del percorso formativo per questa specialità, rispecchiando l’elevarsi degli obiettivi clinici, sta aumentando progressivamente, ad esempio in Svezia l’età di conseguimento di queste competenze è passata dai 38,5 anni del 1991 ai 40,8 anni del 1997. Manca un’intera generazione di scienziati e, con il ritiro dall’attività accademica dei più anziani, le schiere si assottigliano progressivamente. “La necessità di attirare e formare giovani clinici alle carriere scientifiche è nota”, afferma Desmond Sheridan, “ma perché ciò accada occorre ristabilire il collegamento fra medicina e ricerca di base”. L’offerta di tecnologie mediche sempre più raffinate ha elevato sia i costi che le liste di attesa delle prestazioni; in Europa, questa crescente pressione sanitaria costituita dalla richiesta dell’utenza ha dirottato ulteriori finanziamenti e risorse umane dal settore formativo e della ricerca a quelli non accademici. “L’insegnamento e la ricerca clinica”, commenta l’editoriale, “devono fronteggiare non solo la pressione di un ambiente accademico sempre più competitivo, ma anche quella di un settore sempre più esigente e orientato agli obiettivi clinici”.
Analisi e soluzioni “Ricollocare la medicina accademica al centro della scienza biomedica in Europa è possibile”, afferma Sheridan, “e ci sono segni che questo processo è iniziato. I docenti clinici devono contribuire alla comprensione delle questioni implicate e lavorare per salvare la medicina accademica”. Per quanto riguarda l’analisi del problema, Sheridan osserva che oggi essa viene fatta soprattutto sulla base della “produttività” degli studi pubblicati in un dato settore o in un dato Paese. Questo può portare ad interpretazioni fuorvianti, condizionate da elementi di esclusione come ad esempio la selezione linguistica, e comunque questi dati non misurano né gli effettivi investimenti né il reale impatto che la ricerca ha sulla salute e sulla vita della gente. Negli Stati Uniti, ad esempio, c’è la maggiore produttività in termini di mole di studi ma l’Europa, vista globalmente, ha gli investimenti maggiori (seppure con forti discrepanze fra Nord e Sud e fra Est ed Ovest). Questo divario può costituire una sfida ma anche un enorme potenziale per la formazione e la ricerca negli Stati europei. Come invertire la tendenza Occorre basarsi sui reali bisogni sanitari, attraverso solide analisi epidemiologiche che identifichino le ipotesi rilevanti per la salute. “La medicina accademica”, ribadisce Sheridan, “deve avere un ruolo guida nello sviluppo di ipotesi rilevanti per la salute e per la malattia, e nella definizione delle relative priorità”. Per ricostruire la fiducia del pubblico non sono sufficienti i progressi della scienza medica. Questi vanno valutati alla luce del cambiamento che portano nella vita dei pazienti. Se non si tengono nel dovuto conto gli aspetti comunicativi, organizzativi e relazionali, anche una terapia riuscita può non trovare corrispondenza nella percezione soggettiva del paziente, e le conquiste scientifiche saranno offuscate dalle distorsioni, semplificazioni e assolutismi di una cattiva informazione da parte dei Media. Riorganizzare i finanziamenti In Europa i fondi destinati alla ricerca clinica costituiscono solo l’1,99 per cento del Prodotto Interno Lordo (PIL), a fronte del 2,76 per cento che vi viene destinato negli Stati uniti. Anche l’industria farmaceutica, per motivi complessi, in Europa investe meno in ricerca accademica di quanto faccia negli USA. L’Unione Europea nel 2000 ha sancito l’obiettivo di aumentare al 3 per cento del PIL gli investimenti inerenti alla ricerca; ma il budget sanitario non aumenta con la stessa velocità. Occorre reindirizzare e riorganizzare il sistemi dei finanziamenti per fermare la diaspora delle risorse umane e degli investimenti dedicati alla ricerca e allo sviluppo e riportarla in Europa.
Più incentivi per la carriera accademica Bisogna aumentare l’attrattiva della carriera accademica e di ricerca per i medici, definendone con più chiarezza i percorsi e fornendo finanziamenti adeguati; una tendenza che sta cominciando a delinearsi anche in Europa. È fondamentale coinvolgere gli studenti nel processo creativo della ricerca, offrendo ai più brillanti fra loro l’opportunità di portare avanti lavori originali in un ambiente accademico che affianchi lo studente fornendo gli opportuni strumenti didattici, di ricerca e di pratica clinica. “Per i futuri leader del mondo accademico è importante”, prosegue Sheridan, “che vi siano una formazione ed esperienza di ricerca che garantiscano un nucleo di competenza nella medicina accademica”. Promuovere la formazione Nell’ambito della riforma della medicina accademica, che ora utilizza strumenti di valutazione delle politiche sanitarie basati principalmente sui risultati clinici, occorre includere fra gli esiti da valutare anche quelli della ricerca e della formazione, riconoscendo l’impatto della ricerca e della didattica sui servizi erogati in ambito clinico: un ruolo critico di cui, afferma Sheridan, è imperativo tenere conto. • 1. Sheridon DJ. Reversing the decline of academic medicine in Europe. Lancet 2006; 367: 1608-701. Didatticamente
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La Scuola di Specializzazione in Psichiatria: un aggiornamento
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Gli specializzandi alzano i tassi di mortalità?
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tassi di mortalità nelle strutture ospedaliere salgono significativamente in concomitanza con i primi giorni di lavoro di medici specializzandi. Lo rivela uno studio pubblicato da PLoS One. I ricercatori dell’Imperial College di Londra coordinati da Paul Aylin hanno preso in esame 300.000 pazienti ricoverati in reparti d’emergenza tra il 2000 e il 2008 comparando i tassi di mortalità della prima settimana di agosto – quella nella quale tradizionalmente in Gran Bretagna iniziano a lavorare in corsia i nuovi specializzandi – e della prima settimana di luglio. Il risultato? +6% di mortalità per tutte le cause, e nel sottogruppo dei pazienti non sottoposti a interventi chirurgici e non oncologici, si arriva a un +8%. “Questo non vuol dire che i pazienti
devono evitare il ricovero in quella settimana”, avverte Aylin, “innanzitutto perché l’oscillazione nei tassi di mortalità non è poi così enorme, e poi perché le cause precise non sono ancora chiare e potrebbero dipendere dai pazienti, non dagli specializzandi”. Shree Datta, responsabile della Sezione specializzandi della British Medical Association, è perplesso: “Questi dati devono essere valutati accanto a quelli di numerosi altri studi che non hanno rilevato differenze significative nei tassi di mortalità pre e post l’inizio del lavoro degli specializzandi”. Fonte: Jen MH, Bottle A, Majeed A et al. Early In-Hospital Mortality following Trainee Doctors’ First Day at Work. PLoS ONE 2009; 4(9): e7103. doi:10.1371/journal.pone.0007103
Letteratura Open Access: quanto è gradita ai ricercatori?
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endere un articolo scientifico di libero accesso per tutti dovrebbe garantire una sua maggior diffusione tra il vasto pubblico di studenti e ricercatori. Ciò che accade, secondo uno studio apparso sulla rivista Science, è invece l’esatto contrario. La letteratura scientifica Open Access è un modello di letteratura basato sulla diffusione gratuita di tutte le pubblicazioni e che fonda gran parte della sua forza sull’ampia tiratura degli articoli e sul loro maggior numero di citazioni da parte di altri autori. Per verificare la diversa fruizione della letteratura Open Access rispetto alla letteratura a pagamento, un team di ricercatori dell’University of Chicago ha passato in rassegna milioni di articoli scientifici disponibili online in entrambi i formati, con risultati davvero sorprendenti. Rendere un articolo scientifico disponibile online in formato Open Access, dopo averlo reso disponibile per un anno in forma stampata,
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aumenta infatti la sua fruizione presso il pubblico di studenti e ricercatori dell’8%. Se invece, dopo un anno di pubblicazione in forma stampata, un articolo viene reso disponibile online nella sua forma commerciale, la sua fruizione aumenta fino al 12%. “In ambito scientifico”, ha dichiarato James Evans, docente di Sociologia presso l’University of Chicago e coautore della ricerca, “pare che la diffusione degli articoli in formato Open Access non abbia lo stesso impatto sull’attenzione del pubblico che ha un articolo pubblicato da una rivista a pagamento”. Probabilmente a causa di un maggior scetticismo da parte dei lettori, ancora poco fiduciosi del fatto che una buona e autorevole letteratura scientifica possa trovarsi disponibile online, in forma totalmente gratuita. Fonte: Evans JA et al. Open Access and Global Participation in Science. Science 2009; 323(5917):1025.
e nostre Scuole di Specializzazione in Psichiatria hanno “vissuto” il primo anno del nuovo ordinamento. Una vera rivoluzione ha quasi cancellato le lezioni ex cathedra in favore di un’intensa attività professionalizzante. È poi di pochi giorni fa la nota, pervenutaci tramite Mario Maj e Mario Amore, con cui il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha scelto la Psichiatria fra le dieci scuole di maggiore impatto per il Servizio Sanitario Nazionale. Questo riconoscimento potrebbe aiutarci nelle sedi Regionali e Nazionali per chiedere un aumento del numero dei contratti per gli Specializzandi in psichiatria, e deve rafforzare il riconoscimento della psichiatria quale
disciplina fondamentale anche per le altre Scuole di Specializzazione. Andrà incrementato il contributo della nostra Scuola al tronco comune di area medica, senza dimenticare il ruolo sempre di maggiore rilevanza che spetterà alla Psichiatria nell’ambito dei Corsi di Laurea, sia specialistici che delle professioni sanitarie. Questa scelta ha infine ricadute positive anche nell’ambito assistenziale, laddove la nostra disciplina ha necessità di responsabilità cliniche adeguate per soddisfare i criteri di sede e rete formativa.
Diana De Ronchi Ordinario di Psichiatria, Università di Bologna
La responsabilità dello psichiatra. La costituzione dell’O.R.ME.
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on crescente frequenza vengono portate all’attenzione dell’opinione pubblica fattispecie di responsabilità medica collegate alle molteplici tipologie di attività sanitarie, i cui toni e contenuti legittimano l’ipotesi che sia in atto una vera e propria aggressione mediaticogiudiziaria. Anche le statistiche citate, con la consueta ambiguità, dai media, non appaiono sufficientemente supportate da indicatori precisi sull’entità professionale e sociale del fenomeno e sulle conseguenti ricadute in termini economici. Ciò determina, per un verso, l’impossibilità di acquisire una visione complessiva e ponderata delle disfunzioni del “sistema sanitario italiano”; per altro verso impedisce l’elaborazione e l’individuazione di correttivi sul piano legislativo, organizzativo ed assicurativo, che valgano a ridurre in consistenza e gravità il lamentato fenomeno. Una inversione di tendenza può forse essere favorita da una recente iniziativa dell’Ordine dei Medici di Roma e della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata” che, nell’ambito di più ampie forme di collaborazione istituzionale, hanno sottoscritto una convenzione con il Tribunale Ordinario, la Corte di Appello e la Procura della Repubblica di Roma, per la costituzione di un Osservatorio permanente sulla Responsabilità Medica (O.R.ME.).
Scopo principale dell’iniziativa è di raccogliere sistematicamente, analizzare ed elaborare criticamente le sentenze rese dagli organi giurisdizionali civili e penali del distretto romano; un materiale imponente, dal quale le istituzioni partecipanti si propongono di ricavare uno spaccato sulle varie forme di responsabilità correlate alle diverse discipline scientifiche ed assistenziali. In particolare nell’ambito della psichiatria appare estremamente interessante rilevare la consistenza e la “tenuta” dei principi elaborati alla giurisprudenza di legittimità in temi particolarmente delicati quali la titolarità in capo allo psichiatra di una posizione di garanzia con conseguente obbligo di protezione del paziente; la rilevanza degli errori in psichiatria; la responsabilità dello psichiatra per reato commesso dal paziente ovvero per suicidio o omicidio del paziente. Parimenti auspicabile è che dalle ricerche giurisprudenziali di O.R.Me – sui cui contenuti ci si riserva di dedicare adeguati spazi in questa sede – possano ricavarsi elementi utili per affinare linee comportamentali e protocolli da assumere nei percorsi assistenziali e terapeutici che caratterizzano il delicato, peculiare settore dell’attività psichiatrica.
Gian Piero Milano Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Università di Roma – Tor Vergata
L’importanza della formazione alla ricerca per i giovani psichiatri Silvana Galderisi Dipartimento di Psichiatria, Università di Napoli SUN
La formazione alla ricerca nelle Scuole di Specializzazione Medica Non è insolito riscontrare tra gli psichiatri e i giovani medici in formazione un certo disinteresse, talora persino ostilità, nei confronti della ricerca in Psichiatria. Alla base di tale atteggiamento vi è, in genere, l’erronea convinzione che la cura delle persone e la ricerca siano mondi separati e inconciliabili. Al contrario, la pratica medica e la ricerca medica hanno molto in comune, anche se differiscono negli intenti specifici: la pratica medica, infatti, ha come finalità primaria quella di arrecare beneficio al singolo paziente, mentre la ricerca medica è tesa primariamente al progresso delle conoscenze di cui i pazienti in generale, e non direttamente il singolo paziente che partecipa alla ricerca, possano beneficiare. Senza ricerca non vi può essere progresso della conoscenza dei disturbi che i medici curano, e dunque non possono migliorare gli interventi di cura, di prevenzione e di riabilitazione. Gli psichiatri, e più in generale i medici, non possono pensare di delegare ad altri la ricerca riservando per sé la cura dei pazienti. La ricerca, persino quella preclinica, non può e non deve prescindere dalla competenza clinica se non a rischio di rinunciare ad avere ricadute pratiche, mancando così il suo obiettivo primario, cioè la possibilità di arrecare beneficio ai pazienti. Formare alla ricerca i giovani psichiatri è dunque un obiettivo importante e peraltro oggi reso ineludibile dalle nuove normative per il riassetto delle scuole di specializzazione medica (decreto 29 marzo 2006 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca), che prevedono nei programmi delle scuole di specializzazione in Psichiatria che lo specializzando partecipi alla conduzione, secondo le norme di buona pratica clinica, di almeno 3 sperimentazioni cliniche controllate. È evidente che il legislatore comincia a prendere atto dell’importanza che la ricerca riveste nella formazione del medico, in quanto contribuisce a promuovere l’interesse e la capacità di fare ricerca in tutti i futuri specialisti, incoraggia un ruolo attivo nella ricerca lungo l’arco della loro vita professionale; fornisce esperienze che possono stimolare la scelta di una carriera nell’ambito della ricerca e consente di associare l’espandersi della conoscenza clinica con la formulazione di quesiti per la ricerca che siano orientati al paziente. La formazione alla ricerca deve includere l’esercizio all’aggiornamento delle proprie conoscenze attraverso la letteratura scientifica, poiché conoscere la letteratura significa aggiornarsi sulle teorie emergenti circa l’eziopatogenesi, i fattori di rischio e i trattamenti dei disturbi psichiatrici. La conoscenza della letteratura scientifica è anche indispensabile per migliorare la comunicazione con i propri colleghi, con i pazienti e i loro familiari, e per contribuire in modo adeguato allo sviluppo delle conoscenze nell’ambito della propria disciplina. La formazione deve essere mirata a favorire la lettura critica della letteratura, cosa che di solito si sviluppa anche attraverso un proprio impegno in prima persona nell’implementazione e nell’esecuzione di un protocollo di ricerca, nonché nell’interpretazione dei dati da esso ottenuti. Etica e ricerca in Psichiatria Prima ancora che i medici in formazione vengano addestrati ai metodi della ricerca in Psichiatria, i formatori hanno il compito di educarli all’etica della ricerca in Psi-
La formazione alla ricerca deve includere l’esercizio all’aggiornamento delle proprie conoscenze attraverso la letteratura scientifica, poiché conoscere la letteratura significa aggiornarsi sulle teorie emergenti circa l’eziopatogenesi, i fattori di rischio e i trattamenti dei disturbi psichiatrici. La conoscenza della letteratura scientifica è anche indispensabile per migliorare la comunicazione con i propri colleghi, con i pazienti e i loro familiari, e per contribuire in modo adeguato allo sviluppo delle conoscenze nell’ambito della propria disciplina. chiatria, sia per evitare che abusi del passato abbiano a ripetersi nel presente e nel futuro, sia per stimolare la riflessione sui problemi tuttora aperti, la cui soluzione è molto probabilmente nelle mani dei giovani attualmente in formazione. La ricerca psichiatrica condivide con tutta la ricerca medica l’obiettivo principale, cioè il progresso della conoscenza per migliorare gli standard di cura dei pazienti. Differiscono le popolazioni interessate, in quanto i pazienti con disturbi mentali sono considerati “popolazioni vulnerabili” poiché godono di un minore supporto sociale, hanno maggiori difficoltà nel far valere i propri diritti, sono maggiormente discriminati a causa dello stigma associato ai disturbi mentali e, di conseguenza, hanno un ridotto accesso ai trattamenti ottimali e ai sostegni psicosociali, rispetto ad altri partecipanti a protocolli di studio. Inoltre, i pazienti affetti da disturbi mentali possono presentare una compromissione delle funzioni cognitive e delle capacità decisionali, che altresì comportano un maggiore svantaggio sia nella ricerca di possibilità ottimali di cura che nell’adesione consapevole e volontaria ai protocolli di ricerca proposti. La possibilità che i pazienti affetti da disturbi mentali non prendano parte ai protocolli di ricerca è del tutto inaccettabile considerata l’importanza che l’avanzamento delle conoscenze riveste per migliorare la comprensione dei disturbi di cui queste persone soffrono. L’esclusione
di individui di qualsiasi segmento della popolazione, in ragione della loro appartenenza a quel gruppo, è comunque una forma di discriminazione e, in assenza di ricerca sui disturbi mentali più gravi, le persone con questi disturbi sono relegate a ricevere trattamenti per i quali le evidenze di efficacia sono basate solo su inferenze. Secondo le linee guida per i ricercatori promosse nel 2000 dal Royal College of Psychiatrists “i pazienti psichiatrici, al pari di tutti gli altri pazienti, devono poter beneficiare dei progressi della ricerca e, quindi, debbono avere l‘opportunità di partecipare liberamente a programmi qualificati di ricerca”. I medici in formazione psichiatrica devono però conoscere le tappe fondamentali che nel tempo hanno portato alla stesura di codici etici che condividono la finalità di evitare per il futuro abusi e pratiche discutibili, se non del tutto inaccettabili sul piano etico, garantendo nel contempo alle persone affette da disturbi mentali il diritto a partecipare alla ricerca. Tali tappe sono riassunte nel box alla pagina seguente. Altri codici sono stati proposti negli anni, tra cui quello dell’American Psychiatric Association3. Tuttavia, senza nulla togliere all’importanza che rivestono l’esistenza e l’aggiornamento di codici etici accettati e condivisi dalla comunità clinica e scientifica, va sottolineato che l’esistenza di codici scritti non assicura un comportamento etico nella pratica e che spesso i codici esprimono quello che i medici/ricercatori vorrebbero che accadesse e non Didatticamente
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quello che accade. Sulla base di un’analoga riflessione, Henry K. Beecher professore di anestesiologia presso l’ Harvard’s Massachusetts General Hospital e molto impegnato nella ricerca medica, negli anni ‘60 giunse alla conclusione che gli editori delle riviste scientifiche dovrebbero rifiutare i lavori in cui le informazioni sono state ottenute in modo non etico. Beecher aveva seguito molto attentamente il processo di Norimberga ed era rimasto colpito dalla somiglianza tra quello che era accaduto ad opera dei nazisti e quello che in America alcuni ricercatori facevano, riferendosi in particolare alle ricerche in cui popolazioni vulnerabili venivano esposte senza una fondata ragione e senza il loro consenso a pericolosi esperimenti, quali quelli descritti nel box nel paragrafo sulla dichiarazione di Helsinki. Beecher osservò che come un tribunale rigetta le evidenze ottenute con metodi illegali, parimenti le riviste scientifiche debbono rigettare gli articoli che riportano i risultati di studi che non rispettano i codici etici4. Più tardi, tale istanza venne recepita dall’ International Committee of Medical Journal Editors che nel 1977 pubblicò l’articolo “Uniform Requirements for
Manuscripts Submitted to Biomedical Journals”, la cui edizione aggiornata è disponibile al sito www.icmje.org Attualmente l’obbligo di riportare in ogni pubblicazione l’approvazione dello studio da parte del Comitato Etico competente viene largamente rispettato e limita efficacemente la conduzione di studi che non rispettino le fondamentali norme etiche di cui sopra. Tuttavia, alcune problematiche permangono irrisolte nell’ambito della ricerca clinica, in particolare per quanto riguarda il disegno sperimentale e il consenso informato. Alcuni temi, particolarmente critici per quel che concerne i rischi e i diritti del paziente, quali condizioni di sospensione dei farmaci, ricerca sui prodromi e sui soggetti ad alto rischio, ricerca genetica) possono essere oggetto di protocolli di ricerca purché sufficientemente robusti da garantire un favorevole bilancio rischi/benefici. Nell’ambito della formazione dei giovani psichiatri gli standard dettati dalle attuali norme ministeriali prevedono la partecipazione a sperimentazioni cliniche controllate. È interessante rilevare, a tale proposito che due dei temi controversi nell’ambito della ricerca psichiatrica attuale sono proprio
Il Codice di Norimberga - La Dichiarazione di Ginevra (1949) Nell’ambito del processo contro 23 medici e ufficiali nazisti che avevano condotto “studi” sui prigionieri (Ebrei, Cechi, Polacchi, gemelli, omosessuali, individui con disturbi mentali e altro) nei campi di concentramento, il codice di Norimberga definì i principi fondamentali perché un esperimento medico fosse ammissibile: 1. il consenso volontario della
persona è assolutamente necessario; 2. è di cruciale importanza che la ricerca sia nell’interesse della società; 3. è auspicabile che l’argomento oggetto di indagine sia studiato con l’ausilio di modelli animali e di acute osservazioni cliniche prima di dare inizio a interventi sperimentali sull’uomo; 4. è indispensabile minimizzare i rischi in tutti gli studi;
5. gli esperimenti con elevati rischi debbono essere evitati; 6. qualora i partecipanti allo studio si trovassero in pericolo è indispensabile provvedere alla loro protezione; 7. i partecipanti allo studio hanno il diritto di lasciare lo studio in qualsiasi momento; 8. i ricercatori debbono essere competenti sul piano scientifico e disposti a porre fin ad un esperimento quando ve ne siano sufficienti ragioni scientifiche o morali. •
La Dichiarazione di Helsinki
recluse, le quali vennero poi esposte all’infezione per verificare l’esito1,2. La denuncia di questi e altri abusi condusse nel 1964 alla stesura della Dichiarazione di Helsinki che introdusse la distinzione tra ricerca con e senza finalità terapeutiche; sostenne l’utilizzazione di un meccanismo istituzionale per monitorare la condotta del ricercatore e per definire l’inclusione di tutori per coloro che non sono in grado di fornire un consenso; suggerì uno stretto monitoraggio di popolazioni speciali coinvolte nella ricerca (individui svantaggiati dal punto di vista medico o sociale,
che non sono in grado di fornire il consenso informato, che non beneficiano direttamente della ricerca, e per i quali la ricerca coincide con la cura); sancì il divieto di coinvolgere negli studi popolazioni vulnerabili quando altre popolazioni sono disponibili e appropriate per lo studio; propose la necessità che il paziente fornisca il proprio assenso anche quando si richieda una terza parte per il consenso informato e stabilì il dovere da parte del ricercatore di non influenzare attraverso la relazione clinica il paziente nella sua decisione di fornire il consenso. •
A dispetto della promulgazione del Codice di Norimberga, i seguenti studi furono condotti dopo il 1949 negli Stati Uniti: bambini affetti da disturbi dello sviluppo furono intenzionalmente infettati con virus dell’epatite per osservare il decorso naturale della malattia; cellule cancerose furono iniettate in pazienti affetti da demenza senza che ne fossero informati e fornissero un qualunque assenso o consenso; vaccini sperimentali contro l’influenza furono somministrati ad alcune centinaia di persone affette da ritardo mentale o
La Dichiarazione delle Hawaii (World Psychiatric Association, 1977) 4. ogni persona che prenda parte a una ricerca è libera di abbandonare in ogni Il documento conteneva i rischi previsti e i benefici momento, per qualunque seguenti principi: dello studio; ragione, qualunque trattamento 1. la partecipazione dei pazienti 3. nella ricerca clinica ogni o programma di ricerca deve essere volontaria, dopo persona deve mantenere ed o di insegnamento a cui che sono state fornite tutte le esercitare i suoi diritti di partecipa; tale abbandono informazioni sullo scopo, le paziente (per i pazienti o qualunque rifiuto di entrare procedure, i rischi e gli che non sono in grado in un programma di ricerca inconvenienti del progetto di di fornire un consenso non deve in alcun modo ricerca; informato, questo deve influenzare la relazione 2. deve essere sempre presente essere ottenuto dal familiare terapeutica. • una relazione favorevole tra i più prossimo);
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l’uso del placebo e i trial clinici randomizzati e controllati (RCT). Quanto alla prima problematica, studi recenti riportano che la maggior parte dei pazienti non vuole partecipare a questo tipo di ricerca e che più di un terzo dei ricercatori con una precedente esperienza di studi controllati con placebo non ripeterebbe l’esperienza5,6. Gli studi controllati con placebo non sono scoraggiati da alcun codice etico, sono uno standard nell’approvazione di nuovi farmaci, tuttavia sollevano problemi importanti per lo psichiatra qual è il dato tuttora controverso che nei pazienti randomizzati al placebo si riscontra un più elevato tasso di suicidi7-9. Più in generale gli studi clinici randomizzati e controllati sono oggi oggetto di discussione perché troppo spesso grandi risorse umane e finanziarie vengono impiegate per studi che hanno poi scarse ricadute sulla pratica clinica e perché troppo spesso i risultati avvantaggiano il farmaco prodotto dallo sponsor dello studio. Considerazioni conclusive Lo psichiatra in formazione che acquisisca un’adeguata preparazione teorica e pratica sul tema potrà meglio orientarsi anche nell’ambito professionale nella lettura dei dati riportati dalla letteratura, perché sarà in grado di aggiornarsi sui dibattiti concernenti questi grandi studi e di rilevare eventuali debolezze del protocollo sperimentale che espongono al rischio di risultati preconfezionati. Quanto al consenso informato il problema più dibattuto in ambito psichiatrico riguarda la valutazione della capacità della persona affetta da disturbi psichiatrici gravi di fornire il consenso informato. Un’importante sfida per i ricercatori è lo sviluppo di metodi adeguati per valutare tale capacità senza incorrere nel rischio di discriminare le persone affette da disturbi mentali escludendole dalla ricerca psichiatrica. In conclusione, la ricerca sui disturbi mentali deve essere oggetto di formazione e di informazione. È indispensabile che gli specializzandi in Psichiatria ricevano un’adeguata formazione sugli aspetti etici della ricerca in psichiatria, apprendano i metodi della ricerca clinica e maturino capacità di analisi critica della letteratura scientifica, dei protocolli di sperimentazione clinica, dei metodi di analisi e di discussione dei dati. La loro pratica clinica si avvantaggerà notevolmente della loro esperienza in questi ambiti e la Psichiatria potrà contare sul loro contributo all’evoluzione delle conoscenze sui disturbi mentali e alla soluzione dei tanti problemi tuttora aperti in questo ambito. •
SAPERNE DI PIÙ
1. Beecher HK. Ethics and clinical research. N Engl J Med 1966; 274: 1354-60. 2. Katz J. Experimentation with human beings. New York: Russell Sage Foundation Press, 1972. 3. Ethical principles and practices for research involving human participants with mental illness. APA Task Force on Research Ethics. Psychiatr Serv 2006; 57: 552-7. 4. Beecher HK. Ethics and clinical research. N Engl J Med 1966; 274: 1354-60. 5. Fleischhacker WW, Burns T, European Group For Research In Schizophrenia. Feasibility of placebocontrolled clinical trials of antipsychotic compounds in Europe. Psychopharmacology 2002; 162: 82-4. 6. Hummer M, Holzmeister R, Kemmler G, et al. Attitudes of patients with schizophrenia toward placebo-controlled clinical trials. J Clin Psychiatry 2003: 277-81. 7. Khan A, Khan SR, Lenthal RM, Brown WA. Symptom reduction and suicide risk among patients treated with placebo in antipsychotic clinical trials: an analysis of the Food and Drug Administration database. Am J Psychiatry 2001; 158: 1449-54. 8. Storosum JG, van Zwieten BJ, Wohlfarth T, et al. Suicide risk in placebo vs active treatment in placebocontrolled trials for schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 2003; 60: 365-8. 9. Kim SYH. Benefits and burdens of placebos in psychiatric research. Psychopharmacology 2003; 171: 13-8.
Ricerca e giovani psichiatri, tra impegno, difficoltà e passione Silvia Ferrari Unità Operativa di Psichiatria OspedalieroUniversitaria, Azienda USL di Modena, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena
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a ricerca psichiatrica sta attraversando una fase di grande sviluppo; questo ha certamente contribuito a rafforzare l’immagine della psichiatria come disciplina medica che si richiama all’ordine del metodo scientifico, nonostante le specificità cliniche dei disturbi psichiatrici richiedano un eclettismo metodologico che sappia coniugare rigore e complessità (ulteriore sfida rispetto alla quale, peraltro, la psichiatria sembra avere molto da insegnare anche al resto della medicina). A fronte di tale situazione, i percorsi di ricerca in psichiatria in Italia rimangono ancora solo parzialmente sviluppati, per tanti motivi tra cui anche la grave difficoltà nel reperimento di fondi sia statali che privati, necessari per programmazioni di più ampio respiro. Che rapporto hanno i giovani professionisti della salute mentale con la ricerca in psichiatria? Dopo il pri-
missimo contatto, costituito per lo più dal periodo in cui si prepara la tesi di laurea presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di appartenenza, una volta entrati in scuola di specialità, la ricerca è contemplata nella normativa del recente riassetto tra gli obiettivi formativi di base e specifici della scuola, nonché tra le attività professionalizzanti obbligatorie. Il periodo della specializzazione dovrebbe innanzitutto formare il futuro specialista alla metodologia della ricerca. Ma un secondo e non meno importante obiettivo dovrebbe essere quello di stimolare la “cultura” della ricerca, come possibilità reale, e non solo ambizione lontana, e come parte integrante dell’attività clinica. Solo una piccola percentuale dei neo-specialisti, infatti, farà della Ricerca la parte principale della propria carriera, trovando occupazione presso l’Università o altri Enti di Ricerca pubblici o privati, nazionali o internazionali, e spesso attraversando percorsi di precariato incerti ma anche fantasiosi e stimolanti quali borse, assegni e finanziamenti a progetto. La maggior parte dei giovani psichiatri sceglierà di dedicarsi principalmente alla Clinica, un impegno in genere enorme sia in termini di investimento emotivo che di carico di lavoro e ritmi
convulsi. A questo punto, più che mai, il mantenere l’impegno in attività di ricerca è affidato all’interesse ed alla disponibilità del singolo professionista. Fare ricerca non è ovviamente obbligatorio: alcuni colleghi semplicemente non sono interessati; molti altri colleghi, pur non impegnati a tempo pieno nella ricerca, vivono questa opportunità come uno stimolo per la loro vita professionale e possono contribuire in modo molto significativo, sia a livello locale, nella propria realtà di lavoro, che a livello nazionale ed internazionale. Certo, ci sono moltissimi problemi che attendono di trovare soluzioni innovative: innanzitutto le carenze e disomogeneità nella didattica della ricerca, ancora troppo dipendente dall’entusiasmo e dalle capacità della realtà locale in cui ci si inserisce. Poi, l’ovvio problema delle poche risorse, da cui discende la forte competitività. E altre criticità, brillantemente riassunte da Martin1. La clinica e la ricerca, si sa, sono in rapporto circolare: si alimentano a vicenda. La ricerca è un aspetto molto importante del nostro lavoro, a cui tutti possiamo contribuire, anche in modo molto semplice. Qualche tempo fa, preoccupata del brain-drain a cui stavo assistendo nella nostra Clinica modenese, chiesi ad alcune delle nostre “giovani promesse”, le dott.sse Barbanti-Silva e Forghieri: «Perché lo fate? Perché avete scelto di continuare a dedicare qualche sprazzo di tempo libero anche a collaborare alle ricerche della Clinica, a fare poster per congressi o a somministrare scale a pazienti, o a interrogare dataset alla ricerca di correlazioni significative?». E la risposta che ottenni, e che mi rassicurò, fu: «Perché è interessante, perché è divertente, perché aiuta a lavorare meglio». • 1. Martin B. Research grants: problems and options. Australian Universities’ Report 2000; 43: 17-22.
ANTICIPAZIONE
Una ricchezza sconosciuta al clinico In occasione del XIV congresso della Società Italiana di Psicopatologia sarà presentata la prima, attesa edizione del Lessico di Psicopatologia, curato da Mario Maj, Carlo Maggini e Alberto Siracusano. Ecco come i Curatori introducono l’opera ai lettori italiani.
L’
idea di compilare un lessico di psicopatologia per il clinico è nata da diverse considerazioni. La prima è che tra gli psichiatri italiani, e non solo italiani, si sta facendo strada da tempo la voglia di conoscere meglio o di riscoprire la psicopatologia. Una voglia che esprime spesso, oltre al desiderio di arricchimento culturale, il bisogno di riaffermare la propria professionalità, emancipandosi da una pratica quotidiana sempre più piatta e demotivante, in cui il vocabolario professionale si è ridotto ad una decina di parole. La seconda constatazione è che questa voglia di psicopatologia trova oggi poche risposte. Da una parte ci sono i trattati classici, spesso di difficile reperimento, inevitabilmente appesantiti dalla polvere lasciata dal tempo e privi di alcuni capitoli oggi di grande interesse per il clinico. Dall’altra ci sono i lavori recenti, quasi sempre in inglese, in genere sofisticati e di difficile lettura e pubblicati su riviste quasi introvabili (perché le riviste maggiori, quelle più lette, raramente contengono lavori di psicopatologia). Non esiste un trattato o un manuale moderno di psicopatologia in lingua italiana che riproponga i concetti classici e riassuma le nuove acquisizioni e, quand’anche questo trattato o manuale esistesse, il clinico probabilmente non avrebbe il tempo di leggerlo. La terza considerazione è che oggi esistono in psicopatologia vari orientamenti e diverse scuole, che propongono modelli differenti. Un trattato o un manuale di
psicopatologia correrebbe il rischio di risultare unilaterale oppure troppo eterogeneo. Il problema dell’eterogeneità è meno rilevante per un lessico, a cui non si chiede necessariamente di fornire una visione d’insieme coerente. La quarta constatazione è che la tradizione psicopatologica italiana è molto ricca, ed anche variegata, ma che questa ricchezza è spesso sconosciuta al clinico. Per di più, si tratta di una ricchezza largamente riconducibile a generazioni di studiosi che hanno lasciato o stanno per lasciare la pratica clinica. Far conoscere questa tradizione ai giovani psichiatri è indispensabile, prima che sia troppo tardi e che si venga a creare un gap che non sarà più possibile colmare. La quinta considerazione è che i nostri attuali sistemi diagnostici sono tanto dettagliati e meticolosi nel delineare le sindromi quanto sono superficiali ed elusivi nel descrivere i sintomi e i segni psicopatologici. Basta leggere il glossario contenuto in alcune pagine alla fine del DSM-IV per rendersene conto. Le poche parole dedicate a sintomi come i deliri e le allucinazioni appaiono non esaurienti o persino confusive. Ecco dunque i motivi alla base dell’idea di produrre questo lessico, le cui voci sono state affidate a diversi psichiatri e psicologi italiani, nonché ad alcuni esperti stranieri che hanno fornito contributi fondamentali e sono in grado di esporli con chiarezza al clinico.
Il lavoro di editing non è stato semplice. Si trattava di dare una certa uniformità stilistica alle voci senza mortificare la personalità degli autori. Gli psicopatologi puri tendono a dilungarsi; gli psichiatri ad orientamento biologico ad essere troppo succinti: questa diversità è stata attenuata, ma volutamente non annullata dall’editing. Produrre in tempi brevi un’opera con tanti autori, in un paese come il nostro, non è impresa facile. Anche chi è abituato a contribuire a volumi a livello internazionale è a volte portato automaticamente, quando scrive in Italia, a non rispettare scadenze e istruzioni. Il problema c’è stato, ma meno serio del previsto. Un lettore puntiglioso potrà osservare che non tutte le voci del lessico sono della stessa qualità e che altre voci avrebbero potuto essere incluse. I rilievi sono benvenuti, e se ne terrà conto per la stesura di una seconda edizione, probabilmente non lontana. • Didatticamente
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A L’Aquila, psichiatria “a porte aperte” Da un "reparto a porte chiuse" a un servizio "a porte aperte", dopo il terremoto del 6 aprile. Massimo Casacchia Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi de L’Aquila
I
l 6 aprile 2009 un terremoto di magnitudo pari a 6,3 Mw della Scala Richter ha colpito L’Aquila e i comuni limitrofi, causando 308 decessi (220 nel capoluogo), circa 2000 feriti, di cui 500 in gravi condizioni, e danneggiando in maniera irreparabile la maggior parte degli edifici e provocando lesioni insanabili a tutto il patrimonio artistico. Tutto ciò ha comportato per la popolazione colpita l’esposizione a diversi fattori stressanti, come, ad esempio, oltre che l’esperienza traumatica data dal terremoto stesso, la perdita di familiari, degli amici o della abitazione, anche lo stress secondario alla sistemazione presso campi tenda (per la convivenza forzata con altre persone o la perdita della propria privacy) e a cambiamenti della propria situazione socio-economica. L’esistenza degli individui è stata totalmente disarticolata, frammentata e disancorata dalle proprie precedenti certezze, dalla serenità dei costumi quotidiani, dalla solidità delle proprie vite. In qualche secondo, dal XXI secolo si è tornati nel medioevo; tutto era difficile o impossibile da reperire, le comunicazioni telefoniche erano interrotte, le strade impraticabili ed i due luoghi ove comunemente nelle situazioni di grande emergenza la popolazione si raccoglie per chiedere aiuto, l’ospedale ed il palazzo del governo, erano crollati o inagibili. Neanche lo spirito aveva un luogo da cui trarre nutrimento di speranza: tutte le chiese aquilane erano inavvicinabili per i crolli. L’Ospedale San Salvatore dell’Aquila, compreso il Servizio Psichiatrico Universitario di Diagnosi e Cura, è stato gravemente danneggiato, per cui si ne è resa necessaria l’evacuazione. Tutti i reparti presentavano gravi lesioni localizzate sui tramezzi, in alcuni le lesioni strutturali sono apparse da subito ben più gravi anche ad occhi “non esperti”, quali quelli di tutto il personale e dei pazienti che vi erano ricoverati al momento della scossa. Già nel primo pomeriggio del 6 aprile tutti i pazienti ricoverati precedentemente al sisma sono stati trasferiti presso ospedali di altre province o delle regioni limitrofe, così come i feriti gravi estratti vivi dalle macerie. Il personale sanitario, compresi i medici strutturati, gli specializzandi, gli infermieri e gli operatori socio-sanitari del SPUDC, sin dai primi minuti successivi al sisma si era reso conto della gravità della situazione. Tutto il personale era, quindi, impegnato nelle operazioni di primo soccorso, quali medicare o suturare le ferite, ma anche fornire acqua o conforto alle persone che giungevano come un fiume nell’ospedale, sicuramente non attrezzato per accogliere tutto il flusso di persone che vi si è riversato per chiedere aiuto. Molte operazioni, sia per l’inagibilità da subito evidente di alcuni spazi, ma sia anche per la mancanza reale degli stessi, avvenivano in luoghi improvvisati, quali i corridoi e lo stesso piazzale antistante il Pronto Soccorso. Era un continuo suonare di sirene, con ambulanze che cercavano di farsi strada tra persone ferite, tanto fisicamente che nello spirito. La Protezione Civile ha fornito prontamente aiuto, allestendo sin dal giorno successivo al sisma un ospedale da campo, dotato di un Pronto Soccorso, in grado di garantire interventi d’urgenza e di coordinamento dei trasferimenti. Dopo una settimana l’ospedale da campo è stato dotato di una tensostruttura munita di posti letto per la Medicina Generale e per l’SPUDC. Quest’ultimo è stato dotato dal 7 aprile di una tenda, in cui era posizionata la medicheria e due posti letto per pazienti in osservazione 8
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breve. Da subito sono stati riorganizzati i turni dei medici strutturati, degli specializzandi e degli infermieri, al fine di garantire una presenza costante nell’arco dell’intera giornata, ma anche notturna. Dopo una settimana dal sisma è stata allestita una seconda tenda che ospitava insieme al Day Hospital e all’attività ambulatoriale anche la direzione di reparto. L’attività ambulatoriale, data la carenza di spazi volti ad accogliere l’enorme numero di persone che cercavano aiuto, veniva inoltre svolta all’interno di camper e roulotte. Questi svolgevano anche la funzione di accogliere medici, specializzandi ed infermieri, che spesso vi hanno trascorso la notte. Contemporaneamente è stata resa disponibile una linea telefonica che, per i successivi due mesi, ha rappresentato l’unico recapito, per tutti i servizi psichiatrici del Dipartimento, a disposizione degli utenti e tutto il personale compresi gli specializzandi, 24 ore su 24, forniva una pronta risposta alle varie richieste di aiuto che pervenivano dai Campi-Tenda che si stavano via via allestendo nella città e nella sua periferia. La sistemazione in tenda ha fornito agli specializzandi la particolare occasione di condividere spazi e momenti di vita quotidiana a stretto contatto con gli utenti, in un servizio di fatto a “porte aperte”. La peculiare condizione di vicinanza a chi è ricoverato nel nostro reparto ha consentito più praticamente ed immediatamente di instaurare un rapporto scevro da alcune formalità che normalmente rappresentano una sorta di “barriera all’empatia”. Gli specializzandi hanno infatti avuto la possibilità di partecipare con più immediatezza alle sofferenze degli utenti, i quali hanno certamente risposto agli interventi con una maggiore facilità di interazione e con un crescente interesse al rapporto interpersonale con gli stessi. Inoltre ha consentito loro di fare un’esperienza differente passando da un “reparto a porte chiuse” ad uno in cui gli utenti hanno una maggiore possibilità di movimento e di interazione, con un atteggiamento meno stigmatizzante, rispetto al recente passato, anche da parte di coloro che operano nei servizi a noi vicini. Poiché nelle fasi iniziali i posti letto per il ricovero erano realmente esigui, si cercava di effettuare dei ricoveri brevi in modo da rispondere alle numerose richieste. L’attività medico-infermieristica del SPUDC di L’Aquila è stata nei primi giorni successivi al sisma, pertanto, prevalentemente ambulatoriale, di consulenza al Pronto Soccorso e di interventi sul territorio. Spesso, infatti, si sono resi necessari spostamenti del personale verso Campi-Tenda allestititi in diverse zone di L’Aquila o dei paesi limitrofi. Tali spostamenti sono stati resi possibili anche grazie a donazione private: la FIAT ha donato, infatti, una A16, mentre la Signora Giulia una FIAT Seicento. Questo ha permesso agli specializzandi di conoscere una realtà differente, fatta di interventi nel contesto di vita delle persone, avendo la possibilità di un’osservazione diretta delle dinamiche relazionali e dell’ambito sociale di coloro che chiedevano aiuto. Il 23 aprile siamo stati dotati di una tenda con quattro posti letto, ubicata all’interno del giardino del “vecchio” reparto. Seppur più grande della precedente tenda, mancavano ovviamente i bagni e uno spazio per i pasti dei degenti, ed infine maschi e femmine erano costretti a dividere lo stesso spazio. Tutto ciò portava ad una condivisione delle mansioni e ad operare con un maggiore spirito di collaborazione, accompagnando ad esempio i degenti nei bagni comuni, dove spesso era difficile fare una semplice doccia o a prendere i pasti presso la mensa comune (dalla parte opposta dell’ospedale da campo). Il 29 maggio, a meno di due mesi dal sisma, il reparto è stato ubicato all’interno di un’ala ristrutturata
dell’Ospedale San Salvatore. Il “nuovo” reparto è molto più piccolo del precedente, essendo passati da 16 posti letto per la degenza ordinaria più 2 per i DH a 8 posti letto, con due sole stanze di degenza (una per le femmine e una per i maschi, in totale otto posti letto), da una medicheria e due stanze per il personale medico. Contemporaneamente alla sistemazione nel “nuovo reparto”, sempre grazie ad una donazione privata da La Stampa di Torino, è stato realizzato un modulo in legno antisismico, dotato di tre stanze ed una piccola sala d’aspetto, dove viene svolta l’attività dello SMILE (Servizio Monitoraggio ed Intervento Precoce per la Lotta agli Esordi). Tale servizio è rivolto ai giovani dai 17 ai 30 anni, che presentano quadri che vanno da un “semplice” disagio a veri e propri disturbi di pertinenza psichiatrica. Gli specializzandi, nell’arco di tutti i mesi trascorsi dal sisma, hanno sempre assicurato le 38 ore settimanali, firmando l’abituale foglio delle firme. I loro turni sono stati organizzati in 2 giornate da 12 ore ed una notte, con un totale di 36 ore settimanali, consentendoci di rispondere, 24 ore su 24, a tutte le richieste di aiuto che giungevano continuamente presso il nostro Reparto. Fin dai primi giorni ci siamo riuniti per leggere, studiare e valutare tutta la letteratura scientifica che parlava di terremoti avvenuti in varie parti del mondo: quello in Turchia nel 1998 (Altindag et al., 2005), quello in Armenia del 1988 (Najarian et al., 2001), quello di Atene nel 1999 (Soldato et al., 2006; Livanou et al., 2005; Giannopoulou et al., 2006), ecc. Insieme agli specializzandi abbiamo individuato strumenti valutativi vecchi e nuovi, con un’ottica completamente diversa. Infatti una batteria di strumenti valutativi (come la Impact of Events Scale, Stanford Acute Stress Reaction Questionnaire, il Test di memoria di prosa, lo SPAN avanti ed indietro) è stata inserita routinariamente nella valutazione psicopatologica già utilizzata in precedenza. In questo modo, gli specializzandi hanno potuto monitorare l’impatto del sisma sul piano psicopatologico su una vasta popolazione costituita dagli utenti “conosciuti” dal nostro Dipartimento, ma soprattutto su una popolazione “nuova” rappresentata da studenti universitari che afferivano presso i nostri ambulatori o presso il nostro Servizio di Ascolto e Consultazione per gli Studenti (SACS), aperto dal 1991 presso questo Ateneo. Questo breve resoconto è anche un ringraziamento tangibile per l’impegno, la serietà, la professionalità mostrati dagli specializzandi che sono cresciuti sul piano professionale, esistenziale, emotivo ed etico più in fretta rispetto ai tempi abituali di una Scuola di Specializzazione. •
NEWSLETTER del COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA
Presidente: Alberto Siracusano, Roma Segretario: Secondo Fassino, Torino Tesoriere: Diana De Ronchi, Bologna Didatticamente Anno I, gennaio-aprile 2010 Registrazione del Tribunale di Roma in corso Il Pensiero Scientifico Via Bradano 3/c – 00199 Roma Tel. (+39) 06 862821 - Fax: (+39) 06 86282250 E-mail: pensiero@pensiero.it Internet: http://www.pensiero.it Stampa: Arti Grafiche Tris srl, Roma Direttore Responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Prezzo: Fascicolo singolo € 10,00 Le immagini di questo numero sono di Winslow Homer (1836-1910)