COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE MED25
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BOLLETTINO DEL COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA DELLE UNIVERSITÀ ITALIANE MED25
Didattica e psichiatria: sapere, saper fare, saper essere
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l prossimo anno accademico si presenta di particolare importanza per le annunciate modifiche che subiranno i corsi di laurea; si dovrà infatti ridurre la didattica frontale per favorire altre forme di insegnamento, più applicative ed esperienziali. L’intenzione è quella di adeguarsi a una didattica ispirata al “sapere” e al “saper fare” per raggiungere una preparazione sempre più professionalizzante. Il fine è quello di creare nuovi medici, pronti a svolgere in modo efficace la professione una volta entrati nel mondo reale dell’assistenza. L’ulteriore formazione specialistica dovrà anch’essa seguire i dettami della formazione professionalizzante, in modo tale che il medico specialista sia in grado, come è giusto, di rispondere in modo completo e aggiornato alle esigenze sociali di salute proprie della sua specialità.
È interessante collegare a questa sfida sulla ricerca di una sempre più moderna professionalizzazione del medico il dibattito emergente su un altro termine formativo poco conosciuto e poco applicato, tanto nei corsi di laurea quanto nelle scuole di specializzazione: professionalismo. Il recentissimo libro della filosofa americana Martha Nussbaum, Not for profit, parte da una domanda oggi particolarmente attuale: fa un errore l’America nell’orientare il suo sistema educativo seguendo le regole del sistema economico? In particolare l’autrice ritiene un errore pericoloso dimenticare nei percorsi formativi il critical thinking e l’imagination, elementi distanti ma non antitetici rispetto a un insegnamento più tecnicoscientifico. Probabilmente se con il termine professionalizzante si intende rispondere alle esigenze della salute sociale attraverso soluzioni di tipo strettamente tecnico, per professionalismo si intende la necessità di integrare la pratica tecnica con l’attenzione al rispetto dell’individuo, al rigore etico e alla sensibilità nei confronti delle diverse culture. I laureati in medicina, gli specialisti e i professionisti sanitari hanno la necessità di sviluppare, nel corso degli studi, competenze interpersonali e comunicative che permettano di affrontare in modo adeguato le relazioni terapeutiche con i pazienti, nonché di mettere a punto le imprescindibili capacità interpersonali necessarie per il lavoro di equipe. Si può dire che il bagaglio di competenze che ogni medico o specialista si è andato costruendo attraverso il sapere e il saper fare oggi deve essere completato con un altro aspetto del sapere, cioè il “saper essere”.
A
bbiamo scelto di illustrare questo secondo fascicolo di DidatticaMente con ritratti eseguiti da artisti del Novecento. Il ritratto esprime la capacità di cogliere la complessità della persona ed è utile per sottolineare la complessità dell'agire psichiatrico.
La psichiatria moderna, didattica e clinica, deve necessariamente intervenire in questo dibattito, e mettere a disposizione dell’intera area sanitaria esperienze e competenze, formative e professionali, acquisite da sempre nel “dialogo costitutivo” che la rende una materia speciale, unica nella capacità di confronto e di composizione tra i diversi aspetti biologici, psicopatologici, psicologici, filosofici, culturali e sociali. La psichiatria è la disciplina medica in cui questi aspetti trovano una costante integrazione, sia per comprendere la patologia che per sviluppare un’efficace relazione medico-paziente. La psichiatria è al centro della medicina e bisogna che tutti noi, docenti di psichiatria, valorizziamo le nostre capacità di dialogo con le altre discipline mediche, per far capire come il nostro sia un ruolo didattico e clinico imprescindibile per una formazione medica moderna, completa, professionale, rispettosa della relazione
medico-paziente. La psichiatria è da sempre in prima linea, si pensi ad esempio al significato di “consenso informato”, alla capacità di cogliere e dibattere le nuove esigenze sociali sulla salute e sulla malattia, ivi comprese le problematiche etiche e cliniche legate alla valutazione dei fattori di rischio, alle grandi questioni sollevate dal progresso scientifico riguardanti tanto l’inizio che la fine della vita. Ritenere che il ruolo della psichiatria sia soltanto quello dello studio e della cura dei disturbi mentali gravi è non solo culturalmente sbagliato, ma anche pericoloso in quanto riduce la complessità del sapere scientifico. Alberto Siracusano Presidente del Collegio dei Professori di Psichiatria Direttore del Dipartimento di Neuroscienze, Cattedra di Psichiatria, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, Roma
IN QUESTO NUMERO
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Gli psichiatri sono una specie a rischio di estinzione? Il parere di Mario Maj
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Psichiatria e arte Eugenio Torre, Fredrica Imperatori
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Ritrovare la mente per curare il cervello? Secondo Fassino
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Corteccia associativa eteromodale nella schizofrenia, asimmetria cerebrale e teoria della mente Enrica Di Rosa
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Fattori di cronicizzazione nelle forme gravi di anoressia e di bulimia nervosa: implicazioni per il trattamento Nadia Delsedime
Didatticamente
Anno I, numero 2, luglio-dicembre 2010
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Gli psichiatri sono una specie a rischio di estinzione? “Se la psichiatria è in crisi, a mio parere si tratta di una crisi che comporta evoluzione. Il nostro futuro è nelle nostre mani, più che in quelle dei nostri pazienti o dei politici”. Tradotto e riadattato da: Maj M. Are psychiatrists an endangered species? World Psychiatry 2010; 9: 1-2.
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atschnig (direttore del Ludwig Boltzmann Institut für Sozialpsychiatrie, Vienna, Austria) ha espresso un punto di vista molto provocatorio in merito all’attuale stato dell’arte della psichiatria; lei è d’accordo? Potrebbe essere vero che gli psichiatri stiano diventando una specie a rischio di estinzione, come affermato nel documento di H. Katschnig che ha aperto il Forum del numero 9 della rivista World Psychiatry 1. Quello che dobbiamo fare è cogliere l’essenza del problema e trasformare i possibili rischi in opportunità di crescita. Quale pensa possa essere la causa di questa affermazione? Forse la frammentarietà della disciplina? Ci sono certamente differenti orientamenti teorici in psichiatria, ma questi possono essere considerati come un inevitabile riflesso della complessità biopsicosociale dei disturbi mentali, che necessitano infatti di un ugualmente complesso approccio biopsicosociale. Le altre professioni affini possono avere identità più chiare e apparire meno divise di quanto non sembri la psichiatria, ma uno dei motivi è che la loro visione e il loro approccio sono più unilaterali, tali da renderle non adeguate ad affrontare la complessità biopsicosociale dei disturbi mentali. L’esistenza di una componente biologica, psicologica e sociale nella nostra disciplina non è una debolezza, ma una prova della sua peculiare natura integrativa e dovrebbe essere percepita, presentata e promossa come tale. Piuttosto che denigrarsi e combattersi l’un l’altro, i sostenitori delle varie prospettive dovrebbero mirare alla creazione di una sinergia e all’arricchimento reciproco. La dialettica è la benvenuta, ma il fanatismo distruttivo deve essere attivamente scoraggiato (piuttosto che applaudito, come sfortunatamente spesso succede). C’è sicuramente in psichiatria un continuo dibattito su cos’è un disturbo mentale, sulla relazione tra malattia e indebolimento funzionale, sul ruolo dei principi contro le prove nel processo diagnostico2-6. Comunque non sono convinto che la discussione sia solo un segno della debolezza del fondamento teorico della nostra disciplina. Se fossi un internista, seguirei questo dibattito con grande interesse. È possibile che la psichiatria stia solo precorrendo i tempi avviando una discussione che in futuro coinvolgerà tutta la medicina. Oltre alla frammentarietà, non c’è forse anche una certa contrapposizione di criteri diagnostici? È vero che i criteri diagnostici dei disordini mentali cambiano di tanto in tanto e che abbiamo due sistemi diagnostici in concorrenza. Ma è davvero ciò che scuote le 2
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fondamenta della nostra pratica clinica? Io non credo. Non credo che, attualmente, i clinici siano disorientati a proposito della natura di schizofrenia e depressione, o che stiano ansiosamente aspettando la nuova edizione dei due sistemi diagnostici per imparare cosa sono. I principali criteri diagnostici in psichiatria hanno mostrato una notevole stabilità nei decenni: considerando che si tratta solo di “convenzioni arbitrarie” hanno fatto notevolmente bene (e molte migliaia di pazienti hanno beneficiato della loro definizione). Questo certamente non significa che questi concetti non debbano essere perfezionati, molti clinici potranno certamente accogliere future opportunità di rendere la loro valutazione diagnostica più articolata e personalizzata7-9, e saranno lieti di testimoniare la “rinascita della psicopatologia” che è stata ripetutamente invocata in anni recenti10,11. Anche in merito all’efficacia di antidepressivi ed antipsicotici, c’è una certa contrapposizione; lei cosa ne pensa? C’è difatti una perenne discussione a proposito dell’efficacia degli antipsicotici e degli antidepressivi12. È una sfortuna che questo dibattito sia così pesantemente influenzato da conflitti d’interesse di carattere economico e non (da un lato, a causa delle relazioni economiche di alcuni ricercatori con le case farmaceutiche; dall’altro, a causa dei pregiudizi ideologici, che a volte rasentano il fanatismo, di parecchie persone dentro e fuori la nostra professione). Ma sarebbe folle anche solo contemplare
l’idea che antidepressivi e antipsicotici non facciano effetto, che siano solo un placebo. Il fondamento empirico del loro utilizzo è molto solido, e ha resistito alla prova del tempo, in un contesto che era completamente sfavorevole. Hanno cambiato e cambieranno in meglio molte migliaia di vite. Naturalmente, se usati appropriatamente, come gli psichiatri ben formati sono capaci di fare. Noi dobbiamo comunque creare un meccanismo per assicurarci che, per ogni nuovo antidepressivo o antipsicotico introdotto, almeno un trial sia condotto da un ente indipendente dall’azienda che ha prodotto il farmaco. La figura dello psichiatra è notevolmente cambiata nel tempo; pensa che questa evoluzione sia stata sufficientemente spiegata e compresa? Sì, noi psichiatri siamo stigmatizzati, soprattutto a causa della nostra immagine professionale passata. Quello che dobbiamo fare è perfezionare la nostra nuova immagine e promuoverla. Molti di noi trattano con competenza un ampio range di disordini mentali che sono molto comuni nella popolazione. Forniamo il nostro counselling nelle carceri, nei posti di lavoro, nelle scuole. Siamo richiesti dai colleghi di altre discipline mediche per fornire il nostro parere in merito ai problemi emotivi dei loro pazienti. Interagiamo continuamente con utenti e organizzazioni di cura. Questa nuova realtà della nostra professione non è abbastanza conosciuta e probabilmente non è neanche abbastanza sviluppata in alcune aree del mondo. Dobbiamo costruire questa nuova immagine e renderla pubblica. Allo stesso tempo, dobbiamo assicurarci che la pratica psichiatrica mondiale corrisponda a questa nuova immagine13-16. In conclusione, quindi, come giudica il punto di vista di Katschnig? Apprezzo il documento di H. Katschnig, ma non condivido il suo pessimismo di fondo. Se la psichiatria è in crisi, a mio parere si tratta di una crisi che comporta evoluzione. Il nostro futuro è nelle nostre mani, più che in quelle dei nostri pazienti o dei politici. Smettiamo di rimproverarci e di lottare gli uni con gli altri, e iniziamo a lavorare insieme per rinnovare l’essenza e l’immagine della nostra professione. •
SAPERNE DI PIÙ
1. Katschnig H. Are psychiatrists an endangered species? Observations on internal and external challenges to the profession. World Psychiatry 2010; 9: 21-8. 2. Wakefield JC. The concept of mental disorder: diagnostic implications of the harmful dysfunction analysis. World Psychiatry 2007; 6: 149-56. 3. Zisook S, Shear K. Grief and bereavement: what psychiatrists need to know. World Psychiatry 2009; 8: 67-74. 4. Üstün B, Kennedy C. What is “functional impairment”? Disentangling disability from clinical significance. World Psychiatry 2009; 8: 82-5. 5. Fulford KWM, Broome M, Stanghellini G, et al. Looking with both eyes open: fact and value in psychiatric diagnosis? World Psychiatry 2005; 4: 78-86.
6. Alarcón RD. Culture, cultural factors and psychiatric diagnosis: review and projections. World Psychiatry 2009; 8: 131-9. 7. Krueger RF, Bezdijan S. Enhancing research and treatment of mental disorders with dimensional concepts: toward DSM-V and ICD-11. World Psychiatry 2009; 8: 3-6. 8. Keefe RSE. Should cognitive impairment be included in the diagnostic criteria for schizophrenia? World Psychiatry 2008; 7: 22-8. 9. Mellsop G, Kumar S. An axis for risk management in classificatory systems as a contribution to efficient clinical practice. World Psychiatry 2008; 7: 182-4. 10.Maj M. Critique of the DSM-IV operational diagnostic criteria for schizophrenia. Br J Psychiatry 1998; 172: 458-60.
11. Andreasen NC. DSM and the death of phenomenology in America: an example of unintended consequences. Schizophr Bull 2007; 33: 8-12. 12.Fleischhacker WW, Goodwin GM. Effectiveness as an outcome measure for treatment trials in psychiatry. World Psychiatry 2009; 8: 23-7. 13.Maj M. The WPA Action Plan 2008-2011. World Psychiatry 2008; 7: 129-30. 14.Maj M. The WPA Action Plan is in progress. World Psychiatry 2009; 8: 65-6. 15.Thornicroft G, Tansella M, Law A. Steps, challenges and lessons in developing community mental health care. World Psychiatry 2008; 7: 87-92. 16.Bhugra D, Sivakumar K, Holsgrove G, et al. What makes a good psychiatrist? A survey of clinical tutors responsible for psychiatric training in the UK and Eire. World Psychiatry 2009; 8: 119-20.
La psiche è, nel senso più lato, una successione di immagini, ma non un allineamento accidentale di immagini bensì una costruzione estremamente sensata ed opportuna, un’intuibilità di attività vitali espressa in immagini. C. G. JUNG
Tutta l’arte è a un tempo superficie e simbolo. Coloro che penetrano al di sotto della superficie lo fanno a proprio rischio e pericolo. Coloro che interpretano il simbolo lo fanno a proprio rischio e pericolo. È lo spettatore, non la vita, che l’arte in realtà rispecchia. Pensiero e linguaggio sono per l’artista strumenti di un’arte. Vizio e virtù sono per l’artista materiali di un’arte. Dal punto di vista della forma il prototipo di tutte le arti è l’arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo è l’arte dell’attore. O. WILDE1
Psichiatria e arte Eugenio Torre*, Fredrica Imperatori° * Ordinario di Psichiatria, Direttore Clinica Psichiatrica AOU Maggiore della Carità di Novara ° Clinica Psichiatrica AOU Maggiore della Carità di Novara
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e ci soffermiamo a considerare l’arte come fenomeno dinamico che coinvolge una parte non irrilevante della coscienza umana, a livello sia individuale che collettivo, possiamo riconoscerle un ruolo di mediatore e, per così dire, regolatore dei nostri rapporti col mondo delle immagini che abitano e sostanziano la psiche, secondo la lezione di Jung. Nell’arte, dunque, possiamo ritrovare la matrice dell’inconscio umano e, nel contempo, una modalità vitale di comunicazione con quest’ultimo: una “via regia” alla comprensione delle strutture e delle dinamiche che fanno da sorgente e da sfondo all’esistenza dell’uomo nelle sue più variegate declinazioni. In particolare, ripercorrere la storia dell’arte ci offre una sorta di ricapitolazione e sommatoria della storia dell’inconscio collettivo e del suo destino: arte e spirito del tempo sono in stretta relazione e soprattutto le inquietudini di un’epoca si rispecchiano nell’arte contemporanea, generano nuove forme artistiche o nuove modalità espressive facendo emergere le forme e le immagini che premono dal profondo della collettività e ne condizionano gli umori e gli orientamenti. Il livello estetico di appercezione stimolato dall’attività artistica, sia come creazione che come fruizione, non resta peraltro un fenomeno isolato: com’è caratteristica dello spirito del tempo, che si
configura come un fenomeno emotivo ed irrazionale, “un pregiudizio essenziale [che] agisce su basi inconsce esercitando una suggestione prepotente...”2, le suggestioni e i temi esistenziali di cui l’arte del tempo si fa portatrice arrivano a coinvolgere tutte le sfere dell’umano, proprio perché da quell’umano provengono come fattori interni di trasformazione. In tal senso, il rapporto fra arte e coscienza del tempo rimanda significativamente al dialogo fra Io ed inconscio di cui ci parla Jung,, con tutta la rilevanza che assume in tali processi di integrazione (o mancata integrazione) psichica l’attività simbolica in tutte le sue forme: il simbolo e quella che Jung chiama la funzione trascendente propria dell’attività simbolica provvedono a gettare un ponte tra irrazionale e consapevolezza, anche qui una “via regia” per comprendere la follia e radicarvi la riflessione sulla natura della vita psichica, come ancora ci suggerisce Jung quando afferma: “... anche le cose più assurde non sono altro che simboli di pensieri che abitano tutti i cuori umani (…) così nel malato di mente non scopriamo qualche cosa di nuovo o sconosciuto, ma il sottofondo del nostro stesso essere, la matrice dei problemi vitali attorno ai quali noi tutti lavoriamo…”. Ne sono esempi vicini e dunque ancora ben visibili e
condivisibili i movimenti che rivoluzionarono le arti visive, la musica, la letteratura, il teatro e la nascente cinematografia dell’inizio del Novecento: il golpe del significato nell’arte moderna ci offre un parallelismo con la lezione della nevrosi, una malattia che nasce dalla lacerazione apparentemente insanabile fra i due poli di un conflitto, uno dei quali inconscio, ma che comprende in sé cura e percorso di guarigione, e questo proprio attraverso l’esperienza complessa del senso; ma anche la disgregazione e l’esperienza del nucleo disfunzionale del pensiero nelle psicosi si rispecchia nelle forme dell’arte del Novecento, una sorta di perversione e de-realizzazione della funzione pensante come caratteristica della dissociazione psicotica.
“... anche le cose più assurde non sono altro che simboli di pensieri che abitano tutti i cuori umani (…) così nel malato di mente non scopriamo qualche cosa di nuovo o sconosciuto, ma il sottofondo del nostro stesso essere, la matrice dei problemi vitali attorno ai quali noi tutti lavoriamo…”. C. G. JUNG Didatticamente
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Senso e significato in psichiatria e psicoterapia ci riportano alla figura dello psichiatra, alla sua identità di medico e di terapeuta, al problema della formazione; ma anche alla psichiatria come filosofia della medicina, una disciplina che è insieme pratica clinica e riflessione continua sulla pratica stessa, secondo l’insegnamento di Jaspers per cui “il medico senza filosofia non può dominare la stoltezza”3. Lo strumento filosofico, primitivamente riflessivo, offre al medico ed in particolare allo psichiatra una risorsa per la comprensione della complessità dell’esistenza stessa in quanto teatro, possibilità, limite e confine dell’esserci. La filosofia fa da sfondo epistemologico al lavoro psicologico, sia quando assume il ruolo più generico, ma anche prioritariamente formativo, di cultura e di paidéia, sia, al polo opposto, nella sua accezione di disciplina scientifica definita avente per oggetto i principi primi e le strutture più generali dell’essere4. Ma ne può soprattutto corroborare gli aspetti metodologici, nel senso che “la filosofia rappresenta espressione concettuale dell’esperienza e la tradizionale depositaria di una funzione critica essenziale per l’analisi e la riflessione nei confronti dell’esperienza stessa (Schopenhauer, Mondo, vol. 1, par. 15)”5. Come ci suggerisce L. S. Leonard, “solo se ci confronteremo con le forze irrazionali e caotiche nel più profondo del nostro essere riusciremo a trasformarle in qualche cosa che abbia un significato. E solo allora, cosa forse più importante, riusciremo ad affrontarle in una altra persona”6. Il medico, il terapeuta come “testimone del fuoco”, per dirla con l’autrice: “un crocevia di cultura, sensibilità, tecnica e improvvisazione (…) in modo molto simile a quello che è il compito di integrazione fra istinto, tecnica e sentimento che caratterizza lo specifico dell’arte”. L’arte come maestra, ovvero l’arte non presuntuosa di utilizzare ambiti e strumenti diversi e differenziati, ma riconosciuti come di pertinenza dell’uomo, dell’esserci, allo scopo di curare l’umana sofferenza e aver cura dell’umana differenza. Medicina come arte medica, psichiatria come arte della relazione, la metodologia del clinico e del terapeuta mutuata dall’arte come visione e filosofia: come ci ricorda Oscar Wilde1 “per la forma il prototipo di tutte le arti è l’arte del musicista, per il sentimento, l’arte dell’attore…” e via di seguito, imparando dall’arte lo psichiatra amplifica e raffina i suoi strumenti, sullo sfondo della riflessione filosofica, suo bastone e suo vincastro. Quanto finora detto è particolarmente rilevante ai fini della formazione del personale sanitario, del medico in generale e dello psichiatra in particolare. La triade di compiti istituzionali di una clinica psichiatrica facilita l’integrazione fra didattica, ricerca ed assistenza in vista della formazione non solo degli studenti ma anche del personale in servizio effettivo. Presso la Clinica Psichiatrica dell’Università del Piemonte Orientale, integrata nell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara, tale attività è svolta a beneficio dei Corsi di Laurea (Medicina, Chirurgia e Scienze della Salute, Professioni Sanitarie), dei Master e Corsi di Perfezionamento (Infermiere Psichiatrico e Counselling), nonché per la formazione degli specializzandi in psichiatria, soprattutto per quanto attiene alla psicoterapia, ma non solo. Parallelamente è attivo un articolato programma di formazione permanente relativa agli aspetti relazionali e psicologici della professione sanitaria stessa offerto a tutti i dipendenti dell’AOU (con possibilità di partecipazione anche per dipendenti SSN di altre aziende) nell’ambito e in coordinamento con la rete di iniziative ECM organizzata dall’azienda stessa. Inoltre, per gli infermieri in servizio presso la clinica psichiatrica è attivo un modulo di formazione permanente. La metodologia sviluppata negli anni prevede l’armoniosa integrazione fra conoscenze teoriche, addestramento tecnico specifico e quel “valore aggiunto” rappresentato dall’esperienza stessa di formazione in gruppo, luogo di scambio, discussione ed arricchimento reciproco. Particolare attenzione è data da sempre al tema dei vissuti e sentimenti dell’operatore sanitario, nel loro duplice aspetto di problema e di risorsa per la comunicazione e la relazione. Strumento privilegiato è il lavoro sull’immagine cine4
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matografica, sia nei suoi aspetti simbolici che nella sua capacità di rispecchiare il complesso delle immagini individuali e del gruppo. A tale scopo si privilegiano il lavoro in piccoli gruppi e il lavoro con le immagini e le tecniche psicodrammatiche, fra cui i gruppi psicodramma-Balint, grazie ai quali: “Il soggetto può apprendere a collegare la teoria all’esperienza, liberandosi della teoria come rigida griglia, comunque riduttiva. Sì che può prendere l’avvio quella inversione di tendenza quanto mai necessaria, affinché il momento dell’esperienza divenga oggetto di successive riflessioni. Riflessioni che trarranno origine dal dato empirico, vissuto, ‘patito’, osservato, condiviso”7. Le immagini visive, soprattutto quelle dinamiche come gli spezzoni cinematografici, per la loro immediata forza evocativa, paiono particolarmente adatte a suscitare un coinvolgimento emotivo e ad attivare complessi e problematiche inconsce.
tecipanti al gruppo e l’integrazione dei contenuti emersi da parte del conduttore. Una formazione, quindi, alla relazione attraverso la relazione con se stessi, con il gruppo, con le immagini archetipiche, con gli aspetti tecnici e culturali. Quanto alla necessità di un equilibrio fra fantasia e oggettività nella pratica psichiatrica, modelli di riferimento per entrambe le polarità della funzione giacciono nelle diverse arti. Qualche esempio. “E persino dopo che il dottor Rieux ebbe riconosciuto davanti all’amico suo che un gruppo di malati, senza preavviso, era morto di peste, il pericolo rimaneva irreale per lui. Semplicemente, quando si è medici, ci si è fatta un’idea del dolore, e si ha un po’ più di fantasia.” Così si esprime Camus in una delle più maestose ed illuminanti pagine de La peste, dove l’intimità di un atteggiamento umano peculiare, visto nella sua dimensione sia indivi-
Il cinema dunque, esprimendosi per immagini, permette l’immedesimazione dello spettatore con i personaggi delle scene e, come attivatore di complessi e di problematiche inconsce, favorisce una mobilizzazione dell’emotività. Nell’era moderna i motivi mitologici fondamentali si esprimono anche attraverso il linguaggio cinematografico. A partire da tali riflessioni è stato elaborato un percorso formativo8 che utilizza le immagini, sia nel loro aspetto di “figure archetipiche” – l’Ombra, l’Eroe, la Grande Madre, il Guaritore Ferito, Anima e Animus, il Vecchio Saggio – , sia come “immagini dinamiche” – filmati ed opere cinematografiche –, “immagini rappresentate” attraverso la drammatizzazione, il role play e lo psicodramma, “immagini evocate” attraverso le parole, le riflessioni su quanto si è visto ed interpretato ed attraverso le rappresentazioni, la “messa in scena”. Il percorso formativo avviene in gruppo, con il gruppo, nel gruppo, attraverso il gruppo. Le immagini cinematografiche vengono viste e poi vissute attraverso la rappresentazione delle scene più significative (rappresentazione che comprende l’inversione di ruolo). È possibile formarsi sperimentando la relazione con l’altro, tramite l’identificazione con i personaggi rappresentati, la verbalizzazione dei vissuti, il confronto tra i par-
duale che collettiva – quello di fronte ai prodromi di una catastrofe sanitaria che investe una piccola comunità – viene finemente analizzato e quasi squadernato nelle sue componenti sintomatologiche e nella sua possibile eziopatogenesi, così come nel suo decorso e nella sua prognosi, come meglio non farebbe un clinico di fronte ad una patologia complessa che arrivi alla sua osservazione. Un uomo di mezza età, impiegato in una pubblica istituzione, viene condotto al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dalla sua psichiatra territoriale dopo settimane di angoscia con progressivo distacco dal mondo: ma non è un nemico esterno la fonte del suo male, il suo proprio corpo gli è motivo di atroce pena, poiché non è il suo, ma il corpo di un morto, di cui egli avverte la totale assenza di vitalità, la sostanza di cadavere, attraverso i suoi propri viventi sensi, impotenti spettatori/percettori di una dannazione in vita… Non ricorda forse la creatura del dottor Frankenstein tutto questo, come ce la descrive nel suo racconto Mary Shelley e come il cinema ce lo ha più volte riproposto, talora facendo parlare il mostro con accenti di profonda ed amara riflessione sul suo vissuto, quasi in un colloquio clinico con il suo creatore, come ci viene reso da Kenneth Branagh nella sua versione del 1995? Come mai gli psichiatri, dacché esiste la disciplina e fatta salva forse solo la desolante e tuttora corrente sta-
gione del diagnostico-statistico manuale, manifestano spesso in termini emotivi quasi lirici l’interesse, talora l’entusiasmo per l’osservazione e la descrizione di forme così inquietanti dell’esperienza umana? Sarà capitato, credo, a ciascuno di vivere in prima persona od osservare in più di un collega tale fenomenologia, per cui ci si dilunga nel descrivere orripilanti dispercezioni e terrificanti deliri, ed i loro correlati esistenziali, con la voce rotta e gli occhi lucidi, non dissimilmente da un attore che sul palcoscenico interpreti l’acme di un’esemplare tragedia umana… Per una volta, chiuderei con una domanda… o forse trattasi di domande retoriche… Chi è lo psichiatra? Cosa lo lega, attraverso gli strumenti del pensiero e del linguaggio, dell’arte; per esempio all’arte dello scrittore? Lo scrittore è qualcuno che si sente costantemente – e spesso non senza un certo spossato fastidio – in dovere di trovare e, per così dire, testimoniare almeno una parola in relazione a quel che gli capita di vedere, sentire, vivere nell’attimo presente: come se non bastasse, egli è tormentato dall’idea che la memoria altro non sia che commemorazione scritta di ciò che nell’attimo presente sfuggì colpevolmente a questo dovere, così che la sua coscienza operante non fa che rincorrersi da sola, senza tregua, fra le parole sottili, fragili, trasparenti dell’oggi e quelle affannate, incomplete e ombrose che trasudano dai labirinti polverosi e bricconi della memoria. Il terapeuta: potremmo definirlo come qualcuno che si sente in dovere più o meno costantemente di impicciarsi degli affari e soprattutto dei malanni di altri esseri umani e che non sa sottrarsi a questa curiosità – e teniamo presente l’etymon della parola, da “cura” – non altrimenti qualificabile se non morbosa appunto, facendone una professione nonché l’argomento di riflessioni, di seminari, di convegni, o di prose scritte, come noi qui oggi? In altre parole, quel limite nella trasmissione dell’esperienza emotiva di cui parla Bion ha radici profonde nell’individuo: senza un autentico atto di responsabilità non è superabile. Spetta al formatore creare i presupposti per un tale atto, e però la responsabilità dell’atto riguarda solo il soggetto, cogliendo così l’occasione per un confronto dialettico, una messa in gioco di se stesso e della propria identità professionale, un confronto tra i diversi ruoli che è destinato a rivestire sia come tecnico che come uomo. Questo è reso sicuramente possibile da una lucida e disincantata visione scientifica e culturale della complessità, sia della professione di psichiatra, sia del lavoro di formazione, da un’adeguata e poliedrica base culturale e da un approccio metodologico che renda conto dell’importanza della poesia come sfondo affettivo ed umano della pratica professionale e del processo di formazione come caso particolare del divenire dell’esistenza umana. Come sosteneva Edgar Morin, la poesia non è solo un genere letterario, ma anche un modo di vivere che trasfigura la vita prosaica fatta di compiti pratici e utilitaristici. Le attività pratiche prosaiche, infatti, sono fondamentali perché permettono di sopravvivere, ma non sono sufficienti: c’è un gran bisogno di poesia; di una poesia che, in quanto momento in cui universale e individuale si armonizzano, sia in grado di commuovere e suscitare emozioni smascherando alibi e camuffamenti. •
Ritrovare la mente per curare il cervello? Verso un nuovo ruolo della psicoterapia in psichiatria Secondo Fassino Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino
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n un’era in cui la comprensione dell’interfaccia mentecervello è sempre più possibile, la psichiatria è spesso eccessivamente riduzionista. L’egemonia della psichiatria biologica incoraggia, infatti, un dualismo cartesiano in cui mente e cervello sono artificialmente separati; la psicoterapia viene vista come il trattamento per i disturbi “a base psicologica”, mentre i farmaci sono il trattamento per i disturbi “basati sul cervello”. Questo dualismo semplicistico omette le evidenze secondo cui la psicoterapia deve lavorare attraverso i cambiamenti del cervello e per cui la mente è l’attività del cervello stesso1. L’enfasi crescente attribuita negli ultimi anni alle basi biologiche della malattia mentale ed il conseguente spostamento di attenzione verso i trattamenti farmacologici possono far perdere di vista gli aspetti psicodinamici: cercando il cervello si rischia di perdere la “mente”. Tuttavia l’attuale ricerca biopsicologica rivela come gli stessi fattori culturali modulino l’espressione genica e come i trattamenti psicologici modifichino l’attività cerebrale. Un numero crescente di studi supporta l’efficacia di differenti forme di psicoterapia e di interventi psicosociali per il trattamento di quasi tutti i disturbi mentali – perfino fisici – e la loro superiorità al placebo.
La comprensione neurobiologica, la prescrizione di psicofarmaci, l’esatta collocazione diagnostica dei vari Manuali Diagnostici e Statistici dei Disturbi Mentali e la puntuale programmazione riabilitativa non sostituiscono la necessità di un incontro dialogico col paziente, del parlare con lui e della necessità di essere compreso più che spiegato. Considerare i vissuti e la personalità è irrinunciabile per la ricerca del senso del disturbo psicopatologico: i pazienti chiedono sempre più di essere ascoltati oltre che di essere trattati con i farmaci. I fattori della personalità concorrono, com’è noto, alla
SAPERNE DI PIÙ
1. Wilde O. Il ritratto di Dorian Gray. Roma: Newton Compton, 2010; prefazione. 2. Jung CG (1931). Il problema fondamentale della psicologia contemporanea. In: Opere. Torino: Bollati Boringhieri, 1976. Vol 8. 3. Jaspers K. Il medico nell’età della tecnica. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1991. 4. Schopenhauer A. Mondo. In: AAVV. Enciclopedia della filosofia. Milano: Garzanti, 1993. 5. Ibidem. 6. Leonard LS. Testimone del fuoco. Roma: Astrolabio, 1991. 7. Torre E. L’immagine cinematografica nella formazione degli studenti universitari, V Congresso Nazionale Psichiatria Forense, Alghero, 2002. 8. Torre E. La Psichiatria di Liaison: il modello e la relazione. Psichiatria di Consultazione. Roma: CIC Edizioni Internazionali, 1999.
L’enfasi crescente attribuita negli ultimi anni alle basi biologiche della malattia mentale ed il conseguente spostamento di attenzione verso i trattamenti farmacologici possono far perdere di vista gli aspetti psicodinamici: cercando il cervello si rischia di perdere la “mente”. Didatticamente
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Un numero crescente di studi supporta l’efficacia di differenti forme di psicoterapia e di interventi psicosociali per il trattamento di quasi tutti i disturbi mentali – perfino fisici – e la loro superiorità al placebo.
trasformazione dell’effetto farmacologico in effetto terapeutico. Per un’applicazione concreta nella pratica clinica del modello biopsicosociale, su cui si fonderebbe la psichiatria attuale, servono allo psichiatra conoscenze, competenze e capacità – pensare, fare, essere – che considerino il ruolo della personalità sia del paziente sia del terapeuta. Qui si collocano fattori importanti dell’efficacia delle cure.
Il fondamento psicoterapeutico della futura psichiatria A dieci anni dalla pubblicazione del memorabile New Intellectual framework of psychiatry del Premio Nobel per la Medicina E. Kandel2, psicoanalista e neurobiologo, gli studi sugli effetti cerebrali della psicoterapia sono ancora utili e necessari a fornire un fondamento neurobiologico per protocolli di trattamento largamente utilizzati, a monitorare inoltre gli effetti del trattamento e a scegliere la terapia ottimale. Da poco, rigorose metodiche di brain imaging hanno convalidato l’efficacia della psicoterapia. Uno studio accurato a riguardo è quello di Etkin, et al. del 20053: non ci sono più dubbi sul fatto che la psicoterapia provochi cambiamenti cerebrali individuabili. Diverse evidenze indicano il ruolo importante del neuroimaging nella valutazione dei meccanismi patogenetici, nel seguire il successo degli interventi terapeutici e nel predire l’outcome. I risultati conseguiti suggeriscono rilevanti differenze nei meccanismi tra i processi operanti a livello conscio ed inconscio. Molecular Psychiatry nel 2006 pubblicava una review di Linden4 – poi aggiornata nel 20085 – relativa a studi di neuroimmagine funzionale sugli effetti della psicoterapia e sul loro background metodologico, includendovi anche le tecniche che provocano i sintomi. Per esempio, gli studi sugli effetti della Cognitive Behavioural Therapy (CBT) nel disturbo ossessivo-compulsivo si sono dimostrati consistenti e hanno rivelato una diminuzione del metabolismo nel nucleo caudato destro. La CBT nella fobia ha fatto registrare una riduzione del metabolismo nel sistema limbico e nelle aree paralimbiche. Per quanto riguarda l’efficacia della psicoterapia dinamica a lungo termine quello di Leichsenring e Rabung (2008)6,pubblicatosul JAMA, è uno studio di valenza storica. È la prima valutazione – mediante metanalisi – di cinquant’anni di studi e osservazioni in ambito psicoanalitico. Il risultato è l’evidenza che la psicoterapia psicodinamica a lungo termine non solo è efficace, ma è anche indicata in disturbi mentali complessi e presenta buoni indicatori di costo-efficacia. A proposito del meccanismo d’azione “nel profondo” della psicoterapia appare innovativo il metodo delle neuroscienze “in prima persona” di Northoff et al.7: è possibile descrivere come i processi psicodinamici associati ai meccanismi di difesa siano collegati all’attività neuronale. I diversi costrutti di meccanismi di difesa (secondo l’ipotesi psicoanalitica) potrebbero corrispondere a meccanismi specifici funzionali attraverso cui l’attività neuronale è coordinata e poi integrata in differenti regioni cerebrali. L’approccio psicodinamico e studi di brain imaging suggeriscono che regressione sensomotoria e conversione isterica possono essere associate ad una disfuzione nel neural network che include corteccia orbito6
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frontale, prefrontale media e premotoria. Una migliore comprensione di questi processi neuronali favorirà la conoscenza della neurofisiologia sottostante la transizione da meccanismi di difesa immaturi ad altri più maturi in psicoterapia. Nel 20th World Congress on Psychosomatic Medicine 2009 a Torino, Northoff ha presentato uno studio su “cosa avviene nel cervello degli psicoterapeuti”. Egli ha cercato le differenze nei substrati neuronali dei meccanismi sociali e interpersonali degli psicoterapeuti rispetto ai non-psicoterapeuti. Gli psicoterapeuti, al Temperament and Character Inventory di Cloninger8, hanno personalità più cooperativa e con un livello maggiore di autotrascendenza. Nel cervello degli psicoterapeuti è stata inoltre osservata una maggiore attivazione dell’insula e della corteccia frontale inferiore durante la visione di volti con un’espressione emotivamente significativa rispetto a facce neutre: tale differenza di attivazione è risultata, rispetto ai controlli, significativamente maggiore per gli psicoterapeuti, nei quali la correlazione tra il grado soggettivo di empatia e la percezione emotiva del proprio io è significativamente inferiore rispetto ai non-psicoterapeuti. Gli psicoterapeuti quindi sarebbero caratterizzati da un maggiore grado di empatia che risulta più indi-
nandosi a una più fine conoscenza dei processi neuropsicologici, avvalora l’ipotesi che la psicoterapia non solo è il modo migliore, ma forse è l’unico per esplorare, comprendere e modificare l’esperienza interiore di un altro essere umano16. Non solo i farmaci cambiano il cervello e quindi la mente, ma anche i comportamenti, le emozioni e le relazioni significative, come quella psicoterapeutica, incidono sul cervello – oltre che sulla mente – come agenti biologici. Il modello biopsicosociale riceve ulteriori conferme scientifiche dalle neuroscienze. I sintomi psichici sono espressione di un disturbo, con sofferenza a tre livelli: processi biologici, vissuti e mondo interno del soggetto, relazioni interpersonali. In modo corrispondente i presidi terapeutici – farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi – quando necessari in uno stesso individuo, devono essere coordinati per evitare il rischio di giustapposizioni eclettiche, confusive e potenzialmente iatrogeniche17, e per creare un insieme multimodale articolato, compatibile e orientato alla maturazione del sé. È allora necessario pianificare e programmare le cure ad personam considerando le resistenze dei pazienti e delle loro famiglie, prendendo in considerazione anche l’atteggiamento e le emozioni dei clinici rivalutate come cofattori di cambiamento18. La relazione psicoterapeutica risulta, infatti, confermata come contenitore e regolatore degli interventi biopsicosociali. Sono quindi necessari un approccio di tipo progettuale e un’applicazione strategica, consapevole cioè delle resistenze che ogni intervento di cura può attivare nel paziente e/o nella sua famiglia. La competenza del clinico nell’accordare i tre tipi di cure – farmaci, psicoterapia e riabilitazione – in un progetto che consideri anche la personalità del soggetto e non solo il suo disturbo, si propone come centrale nel contesto psicoterapeutico che regola il modello biopsicosociale della cura. La competenza psicoterapeutica è indispensabile, specialmente nell’individuale il senso del disturbo e della sua diagnosi19. Non c’è psichiatria che trascenda la validità dei principi psicoterapici: la psicoterapia dovrebbe essere considerata una scienza base della psichiatria20. Gran parte del lavoro clinico in psichiatria dipende dal curare la relazione col paziente e con la sua famiglia. Persino le interviste diagno-
La comprensione neurobiologica, la prescrizione di psicofarmaci, l’esatta collocazione diagnostica dei vari DSM e la puntuale programmazione riabilitativa non sostituiscono la necessità di un incontro dialogico col paziente, del parlare con lui, e della necessità di essere compreso più che spiegato.
pendente dalla percezione emotiva del proprio sé. Considerando quanto avviene nel terapeuta oltre che nel paziente, altre frontiere sembrano aprirsi nelle ricerche sui sistemi di azione delle psicoterapie dopo la scoperta dei neuroni specchio9-11.
Il contesto psicoterapeutico rende possibile l’applicazione della psichiatria biopsicosociale Emergono frequenti riflessioni sulla psicoterapia intesa non solo come tecnica di cura, ma anche come “contesto psicoterapeutico”: ambito concettuale e operativo in cui le cure psichiatriche sono considerate e praticate. Questi orientamenti sono più attuali da quando il modello biopsicosociale inizialmente proposto per la medicina12 si sta affermando anche in psichiatria13-15. L’indagine delle neuroscienze, come nel caso dei neuroni specchio, avvici-
stiche possono essere profondamente influenzate dalla mancanza di attenzione all’alleanza con il paziente. Allo stesso modo, fatti come transfert, controtransfert, difesa, resistenza, identificazione empatica, ecc. influiscono anche sulle interazioni cliniche non specificatamente psicoterapeutiche. La formulazione esplicativa psicodinamica21–22 rappresenta uno strumento della competenza progettuale dello psichiatra, utile per la programmazione degli interventi biopsicosociali intesa come una descrizione che riassuma le dinamiche di una situazione clinica in quanto si propone di spiegare la natura, le modalità e i tempi di sviluppo dell’esistenza e della crisi del paziente fino al momento presente. La formulazione esplicativa psicodinamica considera inoltre senso, significato e direzione, autoriparativi della crisi stessa allo scopo di predire, per quanto possibile, le resistenze e l’evoluzione del caso.
In World Psychiatry numero 1 del 2010, M. Maj23 propone un forum sul quesito se lo psichiatra sia o meno una specie a rischio. Il dibattito sull’aumento del burnout degli psichiatri era iniziato sulla stessa rivista nel 2007 e prosegue accrescendosi… La nuova identità dello psichiatra24-26 potrebbe basarsi su una specifica competenza progettuale centrata sulla capacità psicoterapeutica di articolare farmaci, cure psicologiche e riabilitazione ad personam per il paziente e la sua famiglia. Emergono alcune acquisizioni critiche per l’approccio economico costi-risultati sulla psichiatria psicoterapeutica. Se da un lato il mondo scientifico sta rivalutando l’importanza della psicoterapia come trattamento efficace – complementare alla farmacoterapia, spesso elettivo – e comunque come contesto su cui basarsi per progettare la cura biopsicosociale dei disturbi mentali, dall’altro in tutto il mondo la ristrettezza di risorse economiche richiede che gli interventi ottengano molto rapidamente ottimi risultati. La psicoterapia è un intervento ad alta “tecnologia umana” e quindi consuma molte risorse economiche: alcuni studi hanno tuttavia da tempo27-28 dimostrato che spendere di più in psicoterapia, nell’area dei disturbi men-
tali, è un modo di risparmiare future spese per cronicizzazione dei sintomi, inabilità, patologie secondarie, ecc. La schizofrenia, il disturbo bipolare ed il disturbo borderline di personalità in genere implicano un grande investimento nel corso del trattamento ed una perdita importante di giorni lavorativi: questi studi suggeriscono che la psicoterapia può essere un investimento utile in queste malattie perché può avere un impatto sulle performance lavorative e sulla durata e frequenza delle ospedalizzazioni. La schizofrenia sembra essere la migliore dimostrazione di come un intervento psicoterapeutico possa avere un effetto positivo sui costi. Questo può essere sorprendente, perché comunemente si pensa che la psicoterapia non sia efficace per i disturbi gravi. Da notare, comunque, che questi studi coinvolgevano la psicoterapia o il counselling anche per le famiglie29, al fine di mobilizzare risorse sociali più accessibili e di supportare meglio il paziente. Questi risultati sono stati replicati in anni più recenti e relativamente a patologie con un assetto molto diverso tra loro come depressione, dipendenza da sostanze, disturbi borderline di personalità, fobia sociale, ecc.30-35 Non prendersi cura del paziente anche sotto il profilo
La psicoterapia è un intervento ad alta “tecnologia umana” e quindi consuma molte risorse economiche: alcuni studi hanno tuttavia da tempo dimostrato che spendere di più in psicoterapia, nell’area dei disturbi mentali, è un modo di risparmiare future spese per cronicizzazione dei sintomi, inabilità, patologie secondarie, ecc.
psicologico aumenta i costi diretti e indiretti dell’intervento terapeutico. Studi di follow-up superiori all’anno riportano i vantaggi economici più consistenti. Nel recente Congresso della Società Italiana di Psicoterapia Medica a Palermo è stato rilevato che la psicoterapia conviene anche perché è efficace come contesto e ambito del progetto terapeutico BPS. Specie nei “casi difficili” aumenta la resilience e la capacità di coping del paziente e della famiglia; promuove la crescita e la maturazione della personalità. L’attitudine psicoterapeutica dà senso al lavoro del “nuovo psichiatra” e previene logoramento e burnout. La psicoterapia a livello economico è un buon investimento: è un costo produttivo perché consente buoni guadagni in termini di risparmi successivi e soprattutto a livello di QALY (Quality Adjusted Life Year: anno di vita ponderato per la qualità della vita)36. Il “clima psicoterapico” della relazione consente di migliorare la comprensione del paziente, il senso delle cure e la qualità delle prestazioni. I disturbi mentali sono considerati il più grande problema sociale della Gran Bretagna. A fronte di 2 milioni e 500 mila pazienti affetti da disturbi d’ansia o depressivi, solo un quarto riceve una terapia e solo il 4% (100 mila) usufruisce di una psicoterapia. Curare i pazienti consentirebbe un vantaggio economico notevole sia come qualità di vita sia come maggior capacità lavorativa. Il professor R. Layard, economista consulente del Governo inglese, ha avviato una sperimentazione37,38 con un budget di 173 milioni di sterline secondo cui un nuovo pool di 3600 psicologi fornirà trattamento per la depressione e l’ansia cronica presso centri locali nazionali. Il programma è pensato affinché si autofinanzi riducendo i costi di malattia. Critiche importanti sono state fatte da Cooper39: “è un progetto mal programmato e non adatto come modello di diagnosi e cura dei disturbi psichiatrici comuni per altre nazioni; soprattutto non viene valorizzata una più stretta integrazione della psichiatria e dei servizi di cura primari”. L’iniziativa rappresenta però la forte denuncia di una grave carenza sanitaria con pesanti conseguenze economiche. In Italia le promesse di inserire la psicoterapia nei Livelli Essenziali di Assistenza sono rimaste tali, come pure i disegni di legge che prevedevano di organizzare anche da un punto di vista economico la psicoterapia nei Servizi di Salute Mentale. •
SAPERNE DI PIÙ
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Tesi di Dottorato
Corteccia associativa eteromodale nella schizofrenia, asimmetria cerebrale e teoria della mente
Tesi di Dottorato
Fino all’inizio del XX secolo, la schizofrenia era classificata come una psicosi funzionale a causa dell’impossibilità di identificare delle alterazioni distintive nella struttura cerebrale1. Questo lavoro comprende studi focalizzati sulla neuropatologia delle associazioni funzionali locali del giro cingolato anteriore nella schizofrenia, compreso il piano temporale e il giro fusiforme. Inoltre, le nuove tecniche di imaging per valutare la densità del neuropilo beneficeranno dell’assunzione dei dati post-mortem nei loro modelli come è stato qui mostrato per la corteccia cingolata anteriore. Queste sono aree importanti della corteccia associativa eteromodale relative alla percezione sociale e alla teoria della mente (ToM). Il lobo temporale è un’area cruciale per alcune funzioni specifiche come il processamento delle facce, la ricompensa
delle anticipazioni, l’empatia e l’emozione così come il processamento dei segnali uditivi e del linguaggio2. Il “cervello sociale” include i sistemi neurali in cui la cognizione sociale e la capacità di “mettersi nei panni di qualcun’altro” sono contenute3. Bleuler ha descritto le quattro A (affect, association, ambivalence e autism) della schizofrenia tra cui, appunto, l’autismo inteso come l’incapacità di attribuire stati mentali agli altri. La capacità di cogliere la prospettiva degli altri, coinvolgendo la facoltà della ToM, è importante per sviluppare la consapevolezza e il discernimento della malattia che sembrano carenti nei disturbi mentali e soprattutto nella schizofrenia. Il cervello umano è funzionalmente diviso in quattro quadranti che formano un circuito che serve funzioni distinte come il pensiero (frontale destro),
Fattori di cronicizzazione nelle forme gravi di anoressia e di bulimia nervosa: implicazioni per il trattamento Introduzione. I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono gravi condizioni che comportano un’alterazione sia della salute psicologica che fisica. Il modello di riferimento è quello biopsicosociale (Engel, 1980). La necessità di articolare in maniera non contraddittoria e non iatrogenica trattamenti nutrizionistici, farmacologici, psicoterapeutici e socioriabilitativi/familiari nella strategia terapeutica dei DCA ha portato all’applicazione, presso il Centro per la Diagnosi e la Cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare, di un modello d’intervento biopsicosociale (Engel, 1980), multifattoriale (Garner e Garfinkel, 1982), di rete (Rovera et al., 1984). È, infatti, fondamentale non sono migliorare in tali pazienti la motivazione al cambiamento, ma anche evitare la cronicizzazione della patologia alimentare, intercettando precocemente i fattori perpetuanti il disturbo e trattandoli in modo intensivo. Materiali e metodi. L’ipotesi di lavoro è che i fattori invalidanti dei DCA siano costituiti dalla cronicità, intesa come durata di malattia superiore ai 5 anni, dallo scarso benessere e dal problematico funzionamento familiare; fattori che insieme contribuiscono a diminuire in modo consistente la qualità di vita di questi pazienti. Sono stati utilizzati strumenti di
assessment della psicopatologia (Eating Disorder Inventory 2 - EDI2; State-Trait Anger Expression Inventory - STAXI; Symptom Questionnaire - SQ; Psychological Well-being Scales - PWB; Toronto Alexithymia Scale 20 - TAS 20), della personalità (Temperament Character Inventory - TCI), del funzionamento familiare (Family Assessment Device - FAD) e dei criteri psicosomatici (Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research DCPR). Il campione è costituito da 101 soggetti di sesso femminile ricoverati nel reparto di degenza del Centro Pilota Regionale per la Cura del Disturbo del Comportamento Alimentare per i DCA dell’ospedale Molinette di Torino. Di queste: 53 pazienti presentavano una diagnosi di anoressia (AN) restricter, 13 di AN binge/purging e 35 di bulimia (BN); 61 pazienti (59,8%) presentavano un DCA cronico (> 5 anni di malattia) e 40 non cronico (39,2%). Il percorso post-ricovero effettuato era, a seconda della gravità della patologia, di tipo ambulatoriale, di DH psichiatrico-nutrizionale o di tipo comunitario riabilitativo. Risultati. Il criterio di cronicità scelto per questo studio si riferisce ad una durata di malattia superiore ai 5 anni. Le pazienti con un DCA cronico dimostrano di avere un CGI più grave all’ingresso in reparto,
NEWSLETTER del COLLEGIO DEI PROFESSORI DI PSICHIATRIA
Presidente: Alberto Siracusano, Roma Segretario: Secondo Fassino, Torino Tesoriere: Diana De Ronchi, Bologna
il linguaggio (frontale sinistro), la percezione (occipito-temporo-parietale sinistro) e il significato (occipitotemporo-parietale destro). I sintomi primari della psicosi sembrano essere originati da una “infiltrazione” tra questi quattro compartimenti, che comporterebbe una connessione anormale tra funzioni separate4. Le indagini neuropsicologiche hanno studiato i cambiamenti evolutivi nei bambini in relazione alla ToM suggerendo che linguaggio e funzioni esecutive possano avere un ruolo nello sviluppo ed essere associate alla capacità di strutturare una ToM5. Questo inoltre
evidenzia il neurosviluppo come un processo in cui l’incapacità di sviluppare delle abilità sociali può influenzare l’adattamento futuro agli ambienti collettivi come succede nelle psicosi. Una percezione sociale insufficiente è rilevata con test neuropsicologici non solo nei pazienti schizofrenici ma anche nei loro parenti non-psicotici suggerendo che un’insufficienza nell’abilità della ToM costituisce un tratto geneticamente determinato della schizofrenia6.
Enrica Di Rosa Dipartimento di Neuroscienze, Psichiatria e Anestesiologia, Università di Messina, Italia
SAPERNE DI PIÙ
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racchiudendo in tale indice un giudizio complessivo sulla sintomatologia fisica e psichica, e di necessitare di un maggior numero di giorni di ricovero (32 vs 25) rispetto alle pazienti non croniche. La cronicità nei DCA sembra essere connotata da caratteristiche peculiari: una maggiore impulsività (legata alla compulsione alimentare), un maggiore ascetismo (legato alle caratteristiche restricter), una maggiore insicurezza sociale e un senso di inadeguatezza. A livello psicopatologico, le pazienti croniche mostrano maggiori livelli di depressione e minore rilassamento e contentezza, cosa che depone per una scarsa qualità di vita caratteristica di tali soggetti. Le caratteristiche personologiche sono rappresentate soprattutto da una più bassa autodirettività alla Target Controlled Infusion, cosa che rende più probabile la presenza di un disturbo di personalità; sono inoltre caratterizzate da punteggi più bassi al Partial Weight Bearing, cosa che sta ad indicare un minor benessere generale, e particolarmente problematica appare l’area dell’autoaccettazione. Inoltre, le pazienti con DCA cronici mostrano dinamiche familiari alterate ed in particolare una percezione negativa del funzionamento generale della famiglia; e indicano come maggiormente problematiche le aree dell’affettività (espressione degli affetti) e del problem solving, inteso come capacità di risolvere insieme i problemi. Per tali complesse motivazioni è consigliabile quindi prendere in carico le famiglie delle pazienti che stanno effettuando un percorso di cura per un DCA. Conclusioni. Le pazienti con DCA cronico
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sembrano essere particolarmente carenti nell’ambito del benessere, risultando prive di scopi e obiettivi per il futuro, dipendenti dagli altri in vari ambiti, insoddisfatte del proprio corpo e della propria situazione, con sentimenti di inadeguatezza verso l’ambiente in cui vivono e di scarsa efficacia personale. Al fine di migliorare la loro qualità di vita sarebbe utile un approccio motivazionale e supportivo, che le aiuti anche a reinserirsi nel tessuto sociale da cui si sono poco alla volta isolate. Un altro fattore importante nel migliorare la cura di tali disturbi, implementando i risultati terapeutici, è la terapia della famiglia; in particolare la presa in carico familiare risulta fondamentale nell’ambito di un progetto di cura biopsicosociale dei DCA. Infine un dato importante riguarda la lunghezza del ricovero ospedaliero. In diversi studi (Willer et al., 2005; Steinhausen et al., 2008) si è sottolineato come ricoveri brevi, anche se con un rapido aumento ponderale, predicano nuove ospedalizzazioni a breve termine e un peggior outcome finale. Nel caso particolare di pazienti cronici è ancora più utile allungare i tempi di ricovero, sia per trattare le numerose complicanze internistiche, sia per evitare l’effetto “revolving-door”. Tale approccio, pur risultando più costoso a breve termine, potrebbe risultare infatti vantaggioso sul lungo periodo, evitando il susseguirsi di numerosi ricoveri e la conseguente perdita di autonomia da parte del paziente (Vandereycken, 2003).
Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel. (+39) 06 862821 Fax: (+39) 06 86282250 E-mail: pensiero@pensiero.it Internet: http://www.pensiero.it
Nadia Delsedime Università degli Studi di Torino Scuola di Dottorato in Neuroscienze Indirizzo di Psichiatria
Direttore Responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Chiara Barbato Progetto grafico: Antonella Mion Stampa: Arti Grafiche Tris srl, Roma Prezzo: Fascicolo singolo € 10,00
LE IMMAGINI IN QUESTO NUMERO: Selbstbildnis, Egon Schiele, 1910 (p. 1); Portrait de Pierre Colle, Balthus, 1936 (p. 2); Young painter, Lucian Freud, 1957-58 (p. 3); I'm dreaming of a white Christmas, Richard Hamilton, 1967-68 (p. 3);
Phil (II) Grey, Chuck Close, 1982 (p. 4); Self-portrait, Jean-Michael Basquiat, 1982 (p. 5); Portrait of a woman (Linda Oxenburg), Andy Warhal, 1985 (p. 5); Reverse, Jenny Saville, 2003 (p. 6); Self (red), Marc Quinn, 2006 (p. 6); Portrait, Gao Yang, 2007 (p. 7).
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