Update nel trattamento della leucemia mieloide acuta e della BPDCN

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emato info

Istantanee di Ematologia

Update nel trattamento della leucemia mieloide acuta e della BPDCN

European Hematology Association

Meeting 2024

Update nel trattamento della leucemia mieloide acuta e della BPDCN

European Hematology Association Meeting 2024

Francesco Grimaldi

Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia

Divisione di Ematologia e Trapianto di CSE

Università degli Studi di Napoli Federico II

Leucemia mieloide acuta

Phase 1b study of azacitidine, venetoclax and

revumenib

in newly diagnosed older adults with NPM1 mutated or KMT2A rearranged AML: interim results of dose escalation from the Beat-AML Consortium

Zeidner J, Lin TL, Welkie R, et al.

Abstract S134

Introduzione. Sebbene la combinazione di azacitidina + venetoclax (AZA/VEN) rappresenti un importante progresso nel trattamento dei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta unfit per chemioterapia intensiva e di nuova diagnosi, i risultati a lungo termine rimangono deludenti in termini di sopravvivenza. Gli inibitori della menina rappresentano una nuova classe di farmaci a bersaglio molecolare che hanno dimostrato un’attività clinica promettente nei pazienti affetti da LMA con mutazione del gene NPM1 (NPM1-m) o con riarrangiamento del gene KMT2A (KMT2A-r), essendo capaci di inibire il complesso trascrizionale menina/KMT2A e la conseguente sovraespressione dei geni HOX/MEIS ad esso correlati e responsabile del processo di leucemogenesi. Revumenib (REV) è un inibitore orale della menina già studiato come farmaco single-agent

nel trattamento della LMA NPM1-m o KMT2A-r recidivante/refrattaria, con un tasso di risposta globale del 53%. In questo studio è stato ipotizzato che l’aggiunta di REV alla combinazione AZA/VEN possa rappresentare una terapia di combinazione sicura ed efficace nel trattamento della LMA di nuova diagnosi NPM1-m o KMT2-Ar.

Obiettivi. Stabilire la dose raccomandata di revumenib da aggiungere alla combinazione AZA/VEN, e valutarne sicurezza ed efficacia in pazienti anziani di ND affetti da LMA NPM1-m o KMT2A-r.

Metodi. I dati dello studio sono stati raccolti da una coorte di pazienti arruolati nel Beat AML Master Trial. In particolare, i pazienti con LMA di ND di età ≥60 anni sono stati sottoposti a screening e assegnati a questo sottostudio se presentavano NPM1-m o KMT2A-r. Per determinare la dose raccomandata di revumenib in combinazione con AZA/VEN è stato utilizzato un disegno 3+3 che identificava la tossicità dose-limitante (DLT). Le dosi raccomandate di AZA/VEN sono state: AZA: 75 mg/m2, giorni 1-7; VEN: 400 mg con aggiustamento della dose, giorni 1 -28. A tutti i pazienti è stato richiesto di assumere un azolo con forte inibizione sul CYP3A4 durante il ciclo 1. Sono stati studiati due livelli di dose (DL) di revumenib (somministrato nei giorni 1-28 del ciclo). Nel primo gruppo, definito DL1a, REV è stato somministrato alla dose di 113 mg PO ogni 12 ore; nel secondo gruppo, definito DL2a, REV è stato somministrato alla dose di 163 mg PO ogni 12 ore. Le DLT sono state valutate durante il ciclo 1 e definite come tossicità correlata al farmaco di tipo non ematologico di grado ≥3, oppure come tossicità ematologica di grado ≥3 intesa come: conta dei neutrofili <500/μL e conta di piastrine <25.000/μL a più di 42 giorni dall’inizio del ciclo 1 e in assenza di malattia attiva. Risultati. Le caratteristiche dei pazienti arruolati nei gruppi DL1a e DL2a sono illustrate nella Tabella 1. Sette pazienti sono stati arruolati nel gruppo DL1a e 6 di questi erano valutabili per DLT. In questo gruppo 1 solo paziente ha mostrato una DLT di tipo ematologico. Successivamente altri 6 pazienti sono stati arruolati e risultati valutabili nel gruppo DL2a, dove non sono state osservate DLT. Infine, ulteriori 13 pazienti sono stati inclusi nel gruppo DL2a come co -

orte di espansione dello studio, per un totale di 26 pazienti arruolati (età mediana: 70 anni, range 60-85). Complessivamente, la sindrome da differenziazione (DS) è stata osservata in 4 pazienti (31% delle coorti DL1a e DL2a, 15% dei pazienti in totale), con solo 1 DS di grado 3 che ha richiesto l’interruzione temporanea del trattamento per 10 giorni, con successiva ripresa di REV alla stessa dose. Il prolungamento del QTcF è stato osservato in 12 pazienti (46%), ma solo in 3 (12%) è risultato di G ≥3, con necessità di sospensione temporanea del farmaco. Nel complesso, le tossicità G3 correlate al trattamento sono state rare (neutropenia febbrile: n=2; diarrea: n=1; sepsi: n=1; edema polmonare: n=1; danno renale acuto: n=1; diminuzione dell’appetito: n=1). Il numero mediano di cicli di REV somministrati è stato di 3 (1-11). Diciotto pazienti hanno raggiunto una remissione completa, altri 3 pazienti hanno raggiunto una CR con recupero ematologico o parziale (CRh: n=1) o incompleto (CRi: n=2), mentre in un paziente è stato osservato uno stato di midollo morfologicamente libero da leucemia (MLFS). Il tasso globale di remissione, inteso come CR composita (cCR = CR + CRh + CRi) è stato di 24/24 pazienti valutabili (100%, con IC 95%: 75,3-100). Dei pazienti testati mediante citometria a flusso centralizzata (con sensibilità dello 0,01%), 22/24 (92%) presentavano una malattia minima residua misurabile negativa. Nella coorte iniziale di 13 pazienti, dopo un follow-up mediano di 7,6 mesi (range: 1,8-14,7), si sono verificati due decessi dopo l’interruzione del trattamento, rispettivamente a 13,5 mesi (DL1a) e 3,0 mesi (DL2a). Cinque pazienti (3 nel gruppo DL1a, 2 nel gruppo DL2a) sono rimasti nello studio mentre 8 pazienti hanno interrotto il trattamento: 2 pazienti a causa di recidiva di malattia, 4 per eventi avversi insorti durante il trattamento (citopenia in 2 casi, sepsi in 2 casi), e 2 pazienti per aver ricevuto un trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.

Conclusioni. In questo studio di fase 1b la combinazione revumenib + AZA/VEN è stata somministrata in sicurezza in pazienti anziani con LMA di ND NPM1-m o KMT2A-r, senza evidenza di una dose massima tollerata. I risultati provvisori hanno rivelato un tasso di cCR del 100% nella fase di incremento

della dose (n=13), e del 92% nella coorte totale di espansione (n=24). Lo studio sta continuando ad arruolare pazienti in una fase di espansione randomizzata che confronti DL1a con DL2a per determinare la dose ottimale di revumenib + AZA/VEN, e dati più maturi saranno presto disponibili. Questi dati supportano il continuo sviluppo della combinazione AZA/VEN/REV in pazienti anziani con LMA di nuova diagnosi e unfit per chemioterapia intensiva.

Quadro d’insieme

Nonostante lo studio Viale-A abbia rappresentato una svolta nel trattamento dei pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta e unfit a chemioterapia intensiva, i risultati a lungo termine rimangono delu-

denti, se consideriamo che a 2 anni circa dall’inizio del trattamento solo il 38% dei pazienti risulta lungosopravvivente e che nessun vantaggio di sopravvivenza si osserva nei pazienti con cariotipo sfavorevole o ad alto rischio genomico. Di contro, una nuova generazione di farmaci a bersaglio molecolare denominati inibitori della menina, tra i quali, in particolare, il revumenib, ha evidenziato la capacità d’indurre un significativo tasso di risposte in pazienti con LMA NPM1-m o KMT2A-r recidivata/refrattaria normalmente considerati non recuperabili. Questo studio si propone di fondere le due terapie in una terapia di combinazione di prima linea che aumenti le possibilità di cura dei pazienti affetti da LMA ed anziani, quindi non eleggibili a terapie intensive.

Hematology

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

Tabella 1. Caratteristiche dei pazienti arruolati nello studio

Analisi dei risultati

I risultati di questo studio appaiono estremamente incoraggianti. Innanzitutto, il tasso di risposta globale (92%) appare decisamente elevato se consideriamo l’età mediana di trattamento dei pazienti, più che avanzata, così come il tasso di conversione in malattia minima residua negativa (24/24), per quanto analizzata con tecnica citofluorimetrica. A questo tasso di risposte corrisponde un numero estremamente ridotto di recidive osservate, congruente con un buon controllo di malattia, almeno al follow-up disponibile.

Inoltre, nonostante l’età avanzata dei pazienti arruolati, le tossicità dose-limitanti sono state rare, e tutte in linea con quanto atteso in un trattamento chemioterapico dell’anziano, senza particolari eventi tossici inattesi. Anche le tossicità peculiari dei farmaci target utilizzati nella leucemia acuta, come il prolungamento del QTcF e la sindrome da differenziazione, sono state osservate in numero limitato di casi per il grado 3 o superiore (4 casi in totale), determinando peraltro solo la temporanea sospensione del farmaco, ripreso con successo in tutti i pazienti.

Concetti chiave

Il trattamento della leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi dell’anziano rimane un ambito complesso e difficile, ma i dati di questo studio, seppur molto preliminari, mostrano chiaramente come le target therapies rappresentino il vero punto di svolta in questo ambito. La combinazione AZA/VEN/REV, infatti, mostr a una maneggevolezza nella modalità di somministrazione orale e un profilo di tossicità che ben si sposano con le fragilità del paziente anziano, senza però perdere nulla in termini di qualità e profondità di risposta rispetto alla chemioterapia intensiva, visti i tassi di CR con malattia minima residua negativa raggiunti nello studio. Tuttavia, la natura stessa dello studio di fase 1b impone la necessità di valutare questi risultati su un numero più esteso di pazienti, con un follow-up più lungo, ed eventualmente con un adeguato braccio di controllo al fine di validarne completamente l’efficacia come terapia di prima linea.

Magrolimab vs placebo in combination with venetoclax and azacitidine in previously untreated patients with acute myeloid leukemia who are ineligible for intensive chemotherapy: the ENHANCE-3 study

Daver N, Vyas P, Huls G, et al.

Abstract S138

Introduzione. Nonostante i recenti progressi, i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta non idonei al trattamento chemioterapico intensivo a causa dell’età avanzata o delle comorbidità restano ancora un problema clinico senza risposta soddisfacente. Magrolimab (Magro) è il primo anticorpo monoclonale umanizzato in grado di legare il CD47, un segnale anti-fagocitosi espresso sulle cellule tumorali. Studi preclinici hanno dimostrato la capacità di Magro di agire in sinergia con azacitidina (AZA) e venetoclax (VEN) nel promuovere la morte per fagocitosi delle cellule tumorali. Magro in combinazione con AZA e VEN ha inoltre dimostrato in uno studio di fase I/II un’efficacia promettente e un tollerabile profilo di sicurezza in pazienti affetti da LMA.

Obiettivi. Valutare l’efficacia e la sicurezza di Magro + AZA + VEN vs placebo (PBO) + AZA + VEN in pazienti con LMA non precedentemente trattata, non eleggibili alla chemioterapia intensiva, in uno studio di fase III, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, caso-controllo con placebo, lo studio ENHANCE-3. Metodi. Sono stati arruolati nello studio pazienti adulti con LMA di nuova diagnosi considerati non

idonei alla chemioterapia intensiva a causa di un’età ≥75 anni o per le comorbidità documentate. I pazienti inseriti sono stati randomizzati 1:1 (stratificati per età, regione e rischio di malattia secondo i criteri ELN2017) a ricevere Magro (dose EV da 1 mg/kg nei giorni 1 e 4, da 15 mg/kg al giorno 8, da 30 mg/ kg nei giorni 11 e 15, da 30 mg/kg a settimana 5 settimane, e poi di mantenimento a 30 mg/kg ogni 2 settimane) vs PBO (stesso schema posologico di Magro) + AZA (IV o sottocutanea 75 mg/m2 giorni 1-7 in cicli di 28 giorni) + VEN (orale alla dose di 100 mg il giorno 1, 200 mg il giorno 2 e 400 mg il giorno 3 e successivamente ogni giorno in cicli di 28 giorni).

L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale, mentre gli endpoint secondari includevano il conseguimento di una remissione completa entro 6 cicli di trattamento e il profilo di sicurezza e tollerabilità.

Risultati. Dal luglio 2022 al settembre 2023, 378 pazienti sono stati randomizzati ai due bracci di arruolamento: Magro + AZA + VEN (n=189) vs PBO +

AZA + VEN (n=189) rispettivamente. Le caratteristiche di base tra cui età, sesso, performance status secondo ECOG e status mutazionale di TP53 erano nel complesso ben equilibrate, mentre si riscontrava una differenza tra i due bracci per quanto riguarda il rischio genetico secondo i criteri ELN2017, con uno status ELN favorevole/intermedio del 37,6% vs 46,6% e avverso del 44,4% vs 35,4%, rispettivamente nei bracci Magro e PBO. Dieci pazienti nel braccio Magro e 9 nel braccio PBO sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali. Con una mediana di follow-up di 5,4 mesi, la OS mediana nei bracci Magro e PBO è stata rispettivamente di 11,7 vs 10,4 mesi (con un Hazard Ratio di 1,173 [IC al 95%, 0,819-1,679]. Si sono verificati più decessi (n=68, 36%) nel braccio Magro [6,9% ≤30 giorni; 14,8% ≤60 giorni]) rispetto al braccio PBO (n=58, 30,7%) [4,3% ≤30 giorni; 9,8% ≤60 giorni]). Il tasso di CR entro 6 cicli di trattamento è stato del 39,7% vs 42,9%, rispettivamente, nel braccio Magro rispetto al braccio PBO, e il tempo mediano alla CR è stato di 1,08 vs 1,87 mesi, con una durata

(n=189)

(95% CI), mo

Magro + VEN + AZA (n=189)

PBO + VEN + AZA (n=189)

Figura 1. Sopravvivenza globale (OS) all’analisi finale dello studio ENHANCE-3

della CR di 7,8 vs 8,1 mesi. L’incidenza di eventi avversi è risultata simile nei due bracci, così come quella di eventi avversi gravi, di infezioni gravi e febbre, di neutropenia e di neutropenia di grado ≥3. Tuttavia, si è verificata una maggiore incidenza di eventi avversi fatali (18,5% vs 10,9%) e di infezioni fatali (11,1% vs 6,0%) nel braccio Magro rispetto al PBO. Una più alta incidenza di anemia di grado ≥3 (39,7% vs 25,0%) e di reazioni correlate all’infusione di grado ≥3 (3,7% vs 1,6%) è stata osservata nel braccio Magro. Conclusioni. Nei pazienti con LMA di nuova diagnosi non idonei alla chemioterapia intensiva, Magro + VEN + AZA non ha migliorato il tasso di sopravvivenza globale o di CR, peraltro portando ad una maggiore incidenza di eventi avversi fatali. Lo studio è stato interrotto anticipatamente poiché il limite di inutilità pre-specificato per l’OS (HR, 1,1) è stato superato. I risultati dello studio evidenziano la difficoltà nel migliorare i tassi di risposta per i pazienti affetti da LMA che non siano candidabili a trattamento intensivo e la necessità di identificare nuovi farmaci con un migliore profilo di sicurezza ed efficacia.

Quadro d’insieme

Lo studio ENANCHE-3 è un trial di fase 3 randomizzato, in doppio cieco, caso-controllo che si pone l’obiettivo ambizioso di migliorare i risultati dello studio Viale-A combinando la piattaforma di terapia AZA/VEN con un approccio immunoterapico che utilizza un anticorpo monoclonale anti-CD47, il magrolimab, in grado di inibire un check-point immunologico macrofagico. Le cellule tumorali, infatti, normalmente esprimono alti livelli di CD47, inibendo la capacità dei macrofagi di riconoscere ed eliminare le stesse per fagocitosi. La validità dell’approccio era sostenuta da una serie di evidenze di laboratorio in vitro e in vivo, e dai precedenti studi di fase I/II che avevano mostrato una promettente attività del farmaco in clinica.

Analisi dei risultati

Nonostante l’ampia coorte di pazienti arruolati e il rigoroso disegno statistico, lo studio non è riuscito a centrare nessuno dei due end-point principali inizialmente previsti; in particolare il braccio di tratta-

mento magrolimab + AZA/VEN non è stato capace né di migliorare il tasso di remissione entro i sei cicli di terapia praticati, né di prolungare la sopravvivenza globale rispetto ai pazienti trattati nel braccio placebo. Inoltre, come parzialmente atteso da una immunoterapia attiva vs placebo, il tasso di eventi avversi osservato nel braccio magrolimab, inclusi gli eventi avversi fatali di natura infettiva, si è dimostrato significativamente superiore rispetto al braccio di controllo. Tutti questi dati non hanno permesso di evidenziare alcun vantaggio nell’aggiunta del magrolimab alla terapia di combinazione AZA/VEN.

Concetti chiave

Nonostante alcuni studi pre-clinici e clinici avessero suggerito un vantaggio nell’inibizione del CD47 nel trattamento della LMA, lo studio ENANCHE-3 ha fallito nel dimostrare un vantaggio nell’aggiunta del magrolimab alla piattaforma terapeutica AZA/venetoclax. Anche se gli sperimentatori hanno osservato uno sbilanciamento nel profilo di rischio genetico dei pazienti arruolati, con una maggior quota di pazienti ad alto rischio ELN nel braccio di trattamento con magrolimab, rispetto ad una maggiore quota di rischi bassi/intermedi nel braccio placebo, va osservato che proprio nella popolazione dei pazienti anziani affetti da LMA prevalgono queste caratteristiche di rischio genetico-molecolare avverso, e che qualsiasi farmaco innovativo dovrebbe essere in grado di migliorare i tassi di risposta proprio in questo setting così complesso. Inoltre, l’aumentata incidenza di eventi avversi riportati, sia di natura infusionale sia infettiva, indica la scarsa maneggevolezza e tollerabilità in una popolazione fragile come quella del paziente anziano con LMA. In conclusione, i risultati finali dello studio ENANCHE-3 indicano come l’inibizione del check-point macrofagico non aggiunga alcun vantaggio al trattamento delle LMA dell’anziano.

LLS 2024

ELN-refined risk stratification in older adults with newly diagnosed acute myeloid leukemia treated with low-intensity therapy

Abstract S140

Introduzione. La leucemia mieloide acuta è una malattia biologicamente eterogenea tipica degli anziani, con un’età media alla diagnosi di 69 anni. Nel 2022 lo European LeukemiaNet (ELN) ha fornito raccomandazioni aggiornate per stratificare il rischio dei pazienti affetti da LMA. Mentre queste raccomandazioni si sono dimostrate efficaci nel predire l’outcome dei pazienti trattati con chemioterapia intensiva (IC) e/o di età <60 anni, non è chiaro se questo sistema di stratificazione del rischio possa essere applicato correttamente ai pazienti adulti di età ≥60 anni trattati con chemioterapie a bassa intensità (LIT).

Obiettivi. Validare l’impatto prognostico della stratificazione di rischio ELN 2022 nei pazienti con LMA di nuova diagnosi di età ≥60 anni trattati con LIT e perfezionare questo sistema di valutazione utilizzando un’ampia coorte di soggetti trattati in uno studio promosso dalla Leukemia and Lymphoma Society (LLS).

Metodi. Tutti i pazienti di età ≥60 anni con LMA di nuova diagnosi arruolati nello studio Beat AML Master Trail prima del 10 maggio 2023 sono stati inclusi nello studio, e sono stati raccolti i dati disponibili relativi a citogenetica, valutazione del rapporto FLT3-ITD (con LeukoStrat CDx FLT3 Mutation Assay di Invivoscribe) e NGS (FoundationOne®Heme). La sopravvivenza globale è stata stimata utilizzando il metodo Kaplan-Meier. Il modello del rischio propor-

zionale secondo Cox è stato utilizzato per valutare l’impatto di ciascuna variabile sul rischio relativo di morte nel tempo. Le analisi statistiche sono state eseguite utilizzando il software statistico R. Risultati. Nello studio sono stati inclusi un totale di 1.028 pazienti con LMA di nuova diagnosi. Il rischio secondo ELN 2022 era disponibile per 940 pazienti ed era favorevole, intermedio o avverso rispettivamente nel 14,9% (n=140), 11,6% (n=109) e 73,5% (n=691) dei pazienti. I pazienti inclusi sono stati trattati con LIT (n=584), IC (n=132), terapia di supporto (n=59) o terapia sconosciuta (n=165). Per i pazienti che hanno ricevuto la LIT, la stratificazione del rischio ELN 2022 ha assegnato in modo affidabile quelli con ridotta OS alla categoria di rischio avverso (P<0,001; N=460/584, 79%), ma non ha permesso di distinguere distintamente la categoria di rischio favorevole da quello intermedio (P=0,22) (Figura 1A). Per affinare la capacità di stratificare il rischio dei pazienti con LAM ND >60 anni che ricevono LIT è stato quindi riconsiderato l’impatto delle anomalie molecolari presenti alla diagnosi, concentrandosi innanzitutto su quelle classificate come a rischio avverso secondo l’ELN 2022 (n=460). La prima analisi multivariata è stata eseguita su un training-dataset (n=303) che incorporava dati di mutazione e citogenetici. Tra i pazienti assegnati al gruppo di rischio avverso secondo ELN 2022, la mutazione IDH2 è stata identificata come variabile indipendente prognosticamente favorevole, e le mutazioni KRAS, MLL2 e TP53 come variabili indipendenti prognosticamente sfavorevoli (P<0,05). È stato quindi assegnato un punto negativo alla mutazione IDH2 (-1) e un punto positivo (+1) a ciascuna mutazione tra KRAS, MLL2 o TP53. Uno score mutazionale è stato successivamente calcolato per ciascuna combinazione di mutazioni, assegnando infine i pazienti a due gruppi di rischio: ≤0 punti (“LLS-intermedio”) vs ≥1 punto (“LLS-avverso”). È stata eseguita successivamente un’analisi di validazione su una coorte differente di pazienti (n=157), che ha mostrato una significativa separazione prognostica (P=0,004) tra i diversi rischi. Considerando quindi l’intera coorte di pazienti trattati con LIT, sono stati ulteriormente riclassificati coloro a cui era stato assegnato un rischio ELN 2022 favorevole

(n=58) e intermedio (n=66) raggruppandoli nella categoria “rischio LLS favorevole” (n=124), ottenendo infine un nuovo modello di rischio perfezionato (OS a 18 mesi 57% vs 40% vs 19%, rispettivamente; P<0,001) (Figura 1B).

Conclusioni. Tra i pazienti di età ≥60 anni affetti da LMA di ND trattati con LIT, l’attuale sistema di rischio ELN 2022 classifica la maggior parte (79%) dei pazienti come a rischio avverso e non distingue in modo affidabile il rischio favorevole da quello intermedio, evidenziando i limiti del modello in questa popolazione. Si propone pertanto una classificazione LLS-ELN migliorata che, utilizzando uno “score mutazionale”, incorpori le mutazioni IDH2, MLL2, KRAS e TP53 per i soggetti precedentemente assegnati secondo ELN 2022 al rischio avverso, e riconsideri la definizione di rischio favorevole e intermedio.

Quadro d’insieme

L’ampia eterogeneità biologica della LMA rende spesso i sistemi di classificazione prognostici inadeguati nel predire la sopravvivenza dei pazienti anziani, per i quali l’aumentata incidenza di anomalie genetiche e molecolari a significato avverso porta

Favorable (n=58) 2022 ELN risk Adverse (n=460) Intermediate (n=66)

spesso a raggruppare la maggior parte dei soggetti nella categoria ad alto rischio prognostico. Inoltre, spesso i pazienti anziani affetti da LMA, per età e comorbidità, non possono accedere a trattamenti chemioterapici intensivi, rappresentando di fatto un gruppo clinicamente differente rispetto alle casistiche su cui è stato validato l’attuale sistema di classificazione ELN. Tutto questo rende necessario identificare nuovi sistemi di stratificazione prognostica in grado di classificare correttamente i pazienti anziani sottoposti a trattamenti chemioterapici meno intensivi (LIT). Questo studio propone un nuovo sistema di scoring che tiene conto di tutte queste variabili, non considerate attualmente nella classificazione ELN.

Analisi dei risultati

Lo studio arruola 1028 pazienti di età ≥60 anni con LMA di nuova diagnosi e inseriti nel Beat-AML Master trial. I risultati dimostrano chiaramente come la classificazione ELN 2022 non sia in grado di separare distintamente i pazienti a rischio favorevole o intermedio da quelli considerati a rischio sfavorevole. Per tale motivo gli sperimentatori hanno imple -

LLS 2024 ELN-re nited risk

LSS-Favorable (n=124)

2022 ELN Fav (n=58) + Int (n=66)

LSS Intermediate (n=252)

2022 ELN Adv + “Mutation score” ≤0 points

LSS Adverse (n=221)

2022 ELN Adv + “Mutation score” ≥1 points

Figura 1. Sopravvivenza globale (OS) in base al rischio ELN2022 (A) e in base al rischio ridefinito LLS-ELN2022 (B)

mentato la classificazione di tali pazienti con un mutational-score che prende in considerazione la presenza di mutazioni ad impatto prognostico favorevole, come l’IDH2, o quella di mutazioni ad impatto prognostico sfavorevole come le KRAS, MLL2 o TP53. La combinazione dell’ELN 2022 con il mutational-score degli autori permette di produrre un nuovo sistema di classificazione, definito come LLSELN in grado di distinguere in maniera più efficace i pazienti a rischio favorevole, da quelli a rischio intermedio e sfavorevole.

Concetti chiave

Lo studio evidenzia come la popolazione dei pazienti anziani affetti da LMA resti un gruppo biologicamente eterogeneo dove l’attuale sistema di classificazione ELN risulta inefficace. La classificazione LLSELN 2022 proposta dagli autori in parte sembra ripianare queste lacune, e si propone come uno strumento di classificazione del rischio clinico più che attuale nel panorama di ricerca clinica ematologica odierno, che punta sempre più ad espandere il ventaglio di trattamento dei pazienti anziani con piattaforme chemio-immunoterapiche a bassa intensità, non paragonabili alla chemioterapia intensiva. Tuttavia questi dati, per quanto promettenti, andranno validati prospetticamente su un set di pazienti più ampio prima di definire completamente superato l’attuale sistema ELN 2022, che rimane lo standard di riferimento nei pazienti con LMA.

FLAG-IDA + venetoclax in newly diagnosed or relapsed/refractory AML

Abstract S136

Introduzione. La chemioterapia intensiva (CI) con citarabina e un’antraciclina costituisce lo standard di trattamento per i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta fit a terapia intensiva. Intensificare il trattamento con la terapia di combinazione FLAGIDA+VEN può migliorare l’efficacia con una ragionevole tollerabilità.

Obiettivi. Riportare i risultati di uno studio di fase 2 per indagare l’attività di FLAG-IDA+VEN nella LMA di nuova diagnosi o recidivata/refrattaria.

Metodi. Sono stati considerati eleggibili al protocollo tutti i pazienti di età ≥18 anni con LMA/MDSEB2 ND o R/R, con adeguata funzionalità cardiaca, renale ed epatica, se non avevano avuto precedente esposizione al VEN. Sono stati esclusi i pazienti con coinvolgimento del sistema nervoso centrale. La terapia di induzione comprendeva fludarabina 30 mg/m2 D2-6, citarabina 1,5 g/m2 D2-6, idarubicina 8 mg/m2 (6 mg/m2 se R/R) D4-6 e filgrastim 5 mcg/kg D1-7. La terapia di consolidamento comprendeva fludarabina e citarabina D2-4, ed idarubicina D3-4 a discrezione del medico. VEN 400 mg è stato somministrato dal giorno 1 al giorno 14 dei cicli di induzione e consolidamento con aggiustamenti della dose per i concomitanti inibitori del CYP3A fino a luglio 2023; a seguito di una modifica del protocollo, ora è VEN somministrato solo nei giorni 1-7. Obiettivo primario dello studio era l’ORR (CR + CRh + CRi + MLFS + PR, come definite dallo European LeukaemiaNet [ELN]). Obiettivi secondari erano la CRc (CR + CRh + CRi), la sopravvivenza globale, la sopravvivenza libera da eventi e la durata della risposta al trattamento. La malattia minima

residua è stata valutata tramite citometria a flusso con una sensibilità di 10 -4 . Risultati. A gennaio 2024 sono stati arruolati 134 pazienti, 127 (68 ND e 59 RR) dei quali valutabili al data-cut off. L’età media era di 45 anni (intervallo 1873); 19 pazienti (15%) avevano un’età ≥60 anni. Tredici (19%), 22 (32%) e 33 (49%) pazienti con LMA ND erano, rispettivamente, a rischio ELN 2022 favorevole, intermedio e avverso. Sette (10%) pazienti avevano una LMA secondaria, inclusi quattro precedentemente trattati con agenti ipometilanti e sette (10%) con LMA secondaria a terapia (t-LMA). Dei pazienti R/R, 40 (68%) erano in primo salvataggio (S1), e, di questi, 32 (54%) erano TP53WT. Venti (34%) pazienti R/R avevano avuto una recidiva dopo un precedente trapianto di cellule staminali. Nei pazienti ND, l’ORR è stata del 99%, (96% CRc, di cui 89% MRD negativo). Non sono state osservate differenze significative di risposta tra i gruppi di rischio ELN o LMA de novo e secondarie. Al follow-up mediano (mFU) di 30 mesi, le mOS, mEFS e mDOR non erano state raggiunto. OS, EFS e DOR a 2 anni sono state rispettivamente del 75% (IC al 95%, 64-88), 68% (IC al 95%, 56-81) e 71% (IC al 95%, 59-85), di nuovo senza differenze tra i gruppi ELN o per i soggetti di età ≥60 anni. Trentanove pazienti (57%) sono andati a trapianto allogenico in CR1. La landmark analysis ha dimostrato il beneficio del SCT in CR1 (mOS NR con SCT vs 23,4 mesi senza, p=0,03). 4/4 pazienti con TP53mut hanno raggiunto una CRc MRD-negativa, ma la mDOR è rimasta solo di 8,2 me-

si (IC al 95%, 2,2-NE), con conseguente mOS scarsa (13,5 mesi, IC al 95%, 8,6-NV). Nei pazienti R/R, l’ORR è stata del 70% (66% CRc, di cui il 79% MRD negativo [Tabella 1]). Al mFU di 27 mesi, le mOS, mEFS e mDOR erano, rispettivamente, di 12 (IC al 95%, 7-33), 7 (IC al 95%, 4-23) e 21 (IC al 95%, 8-NE) mesi. OS, EFS e DOR a 2 anni erano pari al 40% (IC al 95%, 28-55), 34% (IC al 95%, 23-49) e 49% (IC al 95%, 35-68) rispettivamente. Il 58% dei pazienti è riuscito a procedere a trapianto dopo il raggiungimento di una remissione. I pazienti in S1 con TP53WT avevano una mOS di 34 mesi (IC al 95%, 12-NE), con il 72% portato con successo a SCT in CR2. I pazienti hanno ricevuto una media di due cicli di FLAG-IDA+VEN. La mortalità a 30 e 60 giorni era, rispettivamente, dello 0% e del 3%. Dei quattro decessi osservati entro 60 giorni dal trattamento, uno era correlato a sepsi in un paziente di ND in CR1, mentre tre erano correlati a malattia in pazienti R/R non rispondenti alla terapia di prima linea. Il tipo di evento avverso più frequente osservato sono state le infezioni. Infezioni di grado ≥3, tossicità gastrointestinale e sanguinamento si sono verificati in 102 (80%), 20 (16%) e 9 (7%) pazienti rispettivamente. Il tempo mediano per il raggiungimento di neutrofili >1x10^9/L e di piastrine >50x10^9/L è stato di 27 giorni e 28 giorni per il ciclo1, di 39 e 67 giorni per il ciclo 2, e di 35 e 50 giorni rispettivamente per il ciclo 3. Conclusioni. Il regime FLAG-IDA+VEN determina tassi elevati di risposta MRD-negativa, portando a risultati di sopravvivenza impressionanti in tutti i

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

Tabella 1. Tassi di risposta ottenuti con il protocollo FLAG-IDA+VEN

gruppi di rischio ELN nella LMA di ND. Si tratta inoltre di un regime di salvataggio efficace per la LMA R/R, in particolare per i pazienti TP53WT in primo salvataggio.

Quadro d’insieme

Da quando 40 anni fa il 3+7 è stato definito come lo standard terapeutico nella LMA, non si sono verificati sostanziali progressi nei protocolli di chemioterapia utilizzati in prima linea per questa patologia. Inoltre, anche i risultati dei protocolli di polichemioterapia di salvataggio correntemente utilizzati, nonostante l’uso consolidato, restano nel complesso poco soddisfacenti, soprattutto per le forme di LMA recidivata/ refrattaria ad alto rischio genomico. Per questo motivo gli autori dello studio propongono l’integrazione del venetoclax nel protocollo di polichemioterapia FLAG-IDA sia in prima linea sia in salvataggio. Avendo il venetoclax dimostrato una buona attività nella LMA dell’anziano in combinazione con gli agenti ipometilanti, i risultati della chemioterapia intensiva potrebbero migliorare con l’aggiunta di questa molecola ai regimi correntemente utilizzati in LMA.

Analisi dei risultati

I risultati dello studio sono estremamente promettenti. Quando utilizzato in prima linea, il regime FLAGIDA+VEN determina tassi impressionanti di risposta, con un ORR del 99%, praticamente trasversale a tutte le classi di rischio ELN 2022. Anche la profondità di risposta è eccellente, con un tasso di risposte MRDnegative del 89%. Tutto questo si traduce in un vantaggio di sopravvivenza per i pazienti trattati tale che al data-cut off dello studio non è stata ancora raggiunta la mediana di sopravvivenza globale e libera da eventi (mOS e mEFS). Non sono state osservate differenze significative di risposta per i pazienti ad alto rischio ELN, o per i pazienti con LMA secondaria. Inoltre, i pazienti ad alto rischio sono stati portati con successo a trapianto allogenico, come evidenzia la landmark analysis, dalla quale emerge un chiaro vantaggio di sopravvivenza per questa categoria. Anche come regime di salvataggio, il protocollo FLAGIDA+VEN ha determinato tassi di risposta ottimali, con un ORR del 70%, e con un 58% di pazienti che riesce

a procedere verso il trapianto allogenico. Globalmente le tossicità restano quelle attese da un regime polichemioterapico di trattamento per LMA.

Concetti chiave

I risultati del protocollo FLAG-IDA+VEN mostrano un miglioramento notevole dei tassi di risposta normalmente osservati con la chemioterapia intensiva sia in prima linea sia in salvataggio, configurando un reale avanzamento rispetto a quanto osservato nei regimi consolidati come il 3+7. I tassi di risposta MRD-negativa in prima linea suggeriscono che il FLAG-IDA+VEN possa effettivamente diventare il nuovo standard per la LMA di nuova diagnosi. Tuttavia, la breve sopravvivenza mediana osservata per i pazienti con mutazione di TP53, per quanto questi abbiano conseguito una CR, suggerisce che per alcuni pazienti ad alto rischio genomico saranno necessarie ulteriori innovazioni terapeutiche. Anche nei pazienti R/R il tasso di risposta globale al 70% fa ben sperare rispetto a quanto osservato nei regimi di salvataggio standard. Tuttavia, anche in questo caso, c’è da osservare che il miglior vantaggio di sopravvivenza è osservato nei pazienti TP53 wild-type, per i quali la performance del trapianto in CR2 risulta migliore in termini di risposta e sopravvivenza. A rimarcare, probabilmente, come osservato per la prima linea, che i pazienti ad alto rischio genetico necessiteranno di ulteriori innovazioni terapeutiche prima di vedere un reale avanzamento. Infine, c’è da sottolineare che, nonostante il profilo di tossicità sia relativamente accettabile e atteso rispetto a una popolazione di trattamento relativamente anziana (il 15% dei pazienti arruolati aveva più di 60 anni, con un’età massima di trattamento di 73 anni), alcuni dati andranno necessariamente riconfermati su una popolazione più ampia.

In particolare, i tassi di mortalità precoce appaiono inaspettatamente bassi (3% a 60 giorni) rispetto a quanto osservato nella real-life, considerando soprattutto i tempi di recupero ematologico relativamente più lunghi riportati, soprattutto dopo 2 cicli di terapia. In definitiva, i risultati seppur straordinari di questo studio, peraltro in linea con altre esperienze di altri gruppi cooperatori con regimi simili, andranno riconfermati su una casistica e numeriche più ampie.

Venetoclax and hypomethylating agents

compared to other strategies in older acute myeloid leukaemia patients in the real life: a Rete Ematologica Lombarda (REL) study

Borlenghi E, Cattaneo C, Frigeni M, et al.

Abstract P563

Introduzione. La combinazione di venetoclax (VEN) ed agenti ipometilanti (HMA) è considerata lo standard di cura per i pazienti di nuova diagnosi anziani con leucemia mieloide acuta non idonei alla chemioterapia intensiva (CI). Tuttavia, ad oggi, in questo contesto sono disponibili dettagli limitati riguardo la tollerabilità, l’efficacia a lungo termine e i piani di trattamento applicati.

Obiettivi. È stato condotto uno studio retrospettivo multicentrico per valutare l’esperienza di real-life nella gestione dei pazienti anziani (≥65 anni) con LMA di nuova diagnosi e per valutare l’efficacia di VEN-HMA rispetto ad altre opzioni terapeutiche come la CI o gli HMA.

Metodi. Tra gennaio 2020 e dicembre 2022, 568 pazienti hanno ricevuto una diagnosi di LMA consecutivamente presso 11 Unità di Ematologia aderenti alla Rete Ematologica Lombarda (REL): 406 pazienti (71%) sono stati sottoposti a trattamento specifico e sono stati oggetto dello studio, 94 pazienti sono stati trattati con CI (induzione: 3+7 like, CPX351, FLAI), 238 con VEN-HMA (azacitidina o decitabina) e 74 con solo HMA. La tabella 1 riassume le caratteristiche dei pazienti.

Risultati. Tra i pazienti trattati con VEN-HMA, l’83% era considerabile unfit per CI secondo i criteri SIE/

SIES/GITMO, il 51% presentava una LMA de novo e il 59% un rischio avverso secondo ELN17. I pazienti sottoposti a CT erano prevalentemente fit a CI (98%) secondo i criteri SIE/SIES/GITMO; i pazienti trattati con solo HMA erano più anziani di quelli trattati negli altri due gruppi. Il tasso di remissione completa osservato è stato del 56% con il trattamento VENHMA, simile a quello dei pazienti in CI (66%; p:0,17) e significativamente più alto rispetto ai pazienti trattati con solo HMA (30%; p<0,0001). La durata mediana della risposta è stata di 12 mesi nei pazienti CT, di 8 mesi nei pazienti in VEN-HMA, e di 7,5 mesi nei pazienti in solo HMA (p=0,0068). Nel complesso, il tasso di recidiva è stato significativamente inferiore con VEN-HMA (40%) rispetto a CI(55%; p=0,04) e HMA (63%; p=0,02), con una sopravvivenza libera da recidiva di 16 mesi in VEN-HMA, rispetto a “non raggiunta” in IC (p=0,1) e di 8,6 mesi in HMA (p=0,008). Dopo un follow-up mediano di 21 mesi, la sopravvivenza mediana dell’intera popolazione è stata di 10,7 mesi. La OS era decisamente inferiore nel gruppo HMA rispetto al gruppo VEN-HMA (7 m vs 10,4 m; p=0,0061), mentre era simile tra VEN-HMA e CI (10,4 vs 16 m; p=0,05). Nei pazienti trattati con VEN-HMA, l’OS non differiva tra fit ed unfit (11 mesi vs 10 mesi; p=ns), mentre differiva significativamente per rischio ELN17 (8 mesi vs 20 mesi nei rischi favorevoli e 21 mesi nei rischi intermedi; p<0,0001) e per le LMA secondarie (9 mesi per le secondarie vs 14 mesi nelle de novo; p=0,017). Sempre secondo il rischio ELN17, l’OS mediana era migliore per i pazienti in CI rispetto a quelli in VEN-HMA a rischio avverso (13,4 vs 8 m; p: 0,017), mentre non è stata riscontrata alcuna differenza nel rischio intermedio e favorevole tra le due terapie. Dei 282 pazienti con rischio ELN17 avverso/intermedio, 42 pazienti (15%; età mediana 69 anni, range 65-75) hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali allogeniche, 18 (12%) dopo VEN-HMA e 24 (36%) dopo CI. La sopravvivenza globale nei pazienti sottoposti ad allo-SCT è stata di 29 mesi (19 mesi dopo VEN-HMA; non raggiunta dopo CI, p=0,04). I giorni mediani di ospedalizzazione sono stati 18 (intervallo 0-125) con VENHMA, risultando in un valore superiore rispetto a quelli osservati con HMA (mediana: 3, intervallo

0-121; p=0,004), ed inferiore rispetto a CI (mediana 68, range: 18-140; p<0,0001). La principale causa di morte è stata la progressione della malattia (73%).

La morte in CR è stata causata da infezione o a da aplasia in induzione nel 12% dei pazienti in VENHMA contro il 7,4% in CT e il 12% in HMA. Il tasso di interruzione del trattamento VEN-HMA non correlato alla recidiva è stato del 29% (46 pazienti). Le cause più frequenti di interruzione sono state: la tossicità ematologica in 10 pazienti dopo una media di 3 cicli (range 2-11), gli eventi non ematologici in 32 pazienti (infezioni in 23 pazienti, dopo una media di 2 cicli, e peggioramento delle condizioni generali in 9 pazienti dopo 1 ciclo).

Conclusioni. VEN-HMA ha prodotto tassi di risposta simili alla CI, ma ha determinato meno ospedalizza-

zioni nei pazienti anziani con LMA non idonei alla chemioterapia intensiva. Tuttavia, l’alto tasso di interruzione (30%) osservato nella real-life e il basso tasso di sopravvivenza a lungo termine rappresentano ancora una criticità che andrebbe valutata su coorti di pazienti più ampie e con un follow-up più lungo.

Quadro di insieme

Nonostante lo studio Viale-A abbia definito il nuovo standard di trattamento nei pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta, i risultati a lungo termine in termini di tollerabilità e sopravvivenza rimangono poco definiti, soprattutto nella real-life. Inoltre, al di fuori degli studi clinici registrativi, sono ancora pochi i dati di confronto disponibili rispetto alla chemioterapia intensiva e agli agenti ipometilanti come

1. Caratteristiche e outcome della popolazione in studio

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

Tabella

single-agent, tutte opzioni terapeutiche che sono correntemente utilizzate nel trattamento della LMA di ND. Questo studio della REL per la prima volta cerca di confrontare questi tre diversi schemi, provando ad evidenziare vantaggi e svantaggi di ciascuno.

Analisi dei risultati

I risultati di questo studio di rete sono estremamente interessanti. Come atteso, il tasso di CR è stato decisamente più alto nella combinazione HMA-VEN rispetto all’HMA single-agent, ma cosa ancora più interessante, è risultato assolutamente paragonabile quello tra la combinazione HMA-VEN e la CI. Tutto questo si è tradotto in una sopravvivenza globale praticamente simile tra VEN-HMA e CI (10,4 vs 16 m; p=0,05). Nei pazienti trattati con VEN-HMA, l’OS non differiva per fattori legati al paziente come la fitness ma differiva significativamente per fattori legati alla biologia della malattia quali il rischio ELN17 e la condizione di LMA secondaria. Tuttavia, nel confronto tra VEN-HMA e CI i pazienti ad alto rischio ELN17 sembravano beneficiare maggiormente della chemioterapia intensiva in termini di sopravvivenza. Dei 282 pazienti con rischio ELN17 avverso/intermedio, come atteso in una popolazione anziana, solo il 15% ha ricevuto un trapianto allogenico, con una proporzione maggiore di pazienti provenienti da trattamento con CI rispetto a VEN-HMA (36% vs 12%). I giorni mediani di ospedalizzazione sono stati decisamente inferiori (18) nel gruppo VEN-HMA rispetto a quello CI, ma il tasso d’interruzione per tossicità ematologica ed infettiva è risultato altrettanto elevato (29%).

Concetti chiave

Lo studio della REL ci offre un panorama dello status del trattamento della LMA dell’anziano in un contesto di real-life, con diversi spunti interessanti. In primo luogo, i risultati in termini di risposta e sopravvivenza globale tra VEN-HMA e CI sono praticamente sovrapponibili e non influenzati tanto dalla fitness del paziente, quanto, piuttosto, dalla biologia di malattia, visto l’impatto negativo del rischio ELN17 o dello status di LMA secondaria sulle risposte ottenute. Il dato di non inferiorità della piattaforma VEN-

HMA rispetto alla CI appare ancora più straordinario se consideriamo che l’ospedalizzazione dei pazienti appare significativamente ridotta nei soggetti trattati con approccio meno intensivo. Tuttavia, alcune criticità sono ancora presenti: in primis, le remissioni osservate non sembrano molto persistenti, tanto per i pazienti sottoposti a CI che per quelli trattati con VEN-HMA, con una durata mediana osservata non superiore all’anno. Un dato particolarmente incoraggiante viene dalla coorte dei pazienti avviati a trapianto allogenico, nella quale la sopravvivenza globale osservata risulta di 29 mesi (contro i 10 mesi di OS di tutti i pazienti in studio). Tuttavia, il trapianto allogenico resta una strategia difficilmente applicabile nel paziente anziano, come si evince anche dallo studio nel quale appena il 15% dei pazienti inclusi è stato trapiantato. Inoltre, nel gruppo VEN-HMA è presente un discreto tasso d’interruzione del trattamento, dovuto ad eventi avversi di natura infettiva ed ematologica. Questi dati continuano ad indicare come, nonostante la potenziale competitività con la CI, la combinazione VEN-HMA necessiti di ulteriori perfezionamenti, e, probabilmente, dell’aggiunta di nuovi agenti target per migliorarne l’efficacia antileucemica a lungo termine.

Prognostic relevance of TP53 mutations with or without concomitant complex karyotype in patients treated with CPX-351: evidence from a large real-world Italian study

Abstract P573

Introduzione. Lo studio di fase III condotto da Lancet JE et al. (Lancet Hematology 2021) ha dimostrato la superiorità del CPX-351 rispetto alla chemioterapia convenzionale 3+7 come trattamento di induzione per i pazienti con diagnosi di leucemia mieloide acuta derivante da una precedente sindrome mielodisplastica (s-AML) o secondaria a chemioterapia (t-AML). I risultati a lungo termine dello studio hanno confermato che il beneficio del CPX-351 è stato mantenuto al di là del successivo consolidamento con trapianto allogenico di cellule staminali. Tuttavia, le informazioni sull’attività del CPX-351 nei pazienti con s-AML e t-AML con mutazione di TP53 sono incomplete, dato che tale impatto non è stato valutato nello studio di fase III, mentre i successivi studi real-world evidence hanno riportato risultati contrastanti.

Obiettivi. Lo scopo dello studio è quello di analizzare l’impatto delle mutazioni di TP53 in un’ampia coorte di pazienti con s-AML e t-AML trattati con il CPX-351, disponibile in commercio in Italia sin dall’approvazione del farmaco, e di valutare gli outcome dell’HSCT sulla base dello stato mutazionale.

Metodi. Sono stati inclusi retrospettivamente nello studio 513 pazienti anziani (età mediana: 65,6 anni, range 19-79) con diagnosi di s-AML o t-AML e che

hanno ricevuto il trattamento con CPX-351 in 38 centri italiani da gennaio 2019. A tutti i pazienti è stato permesso di ricevere sino a due cicli d’induzione e a due di consolidamento. I pazienti idonei hanno proceduto a consolidamento con HSCT secondo lo standard interno di ciascun centro.

Risultati. A 108 (21,1%) pazienti è stata diagnosticata una t-AML e a 405 (78,9%) una s-AML. È stata rilevata la mutazione NPM1 in 31 pazienti (6%) e la mutazione FLT3-ITD in 24 pazienti (4,6%). Il rischio ELN 2017 era favorevole, intermedio o alto rispettivamente in 27 (5,2%), 177 (34,5%) e 309 (60,3%) pazienti. La maggior parte dei pazienti presentava comorbidità rilevanti (84%), principalmente malattie cardiovascolari (43%), e diabete di tipo II (39%). Lo status di TP53 è stato valutato in 335 pazienti (65%) e sono state riscontrate mutazioni in 49 (15%) pazienti (12 t-AML e 37 s-AML). In 33 pazienti (8 t-AML e 25 s-AML) la mutazione TP53 è stata rinvenuta nel contesto di un cariotipo complesso (CK, 9%). Dopo la prima induzione, 297/513 pazienti (58%) hanno raggiunto una remissione completa (CR). Settantadue pazienti che non sono riusciti a raggiungere la CR hanno ricevuto anche una seconda induzione. Dopo l’induzione 2, la CR è stata raggiunta in 340/513 pazienti (66,3%). Il tasso di CR era significativamente più alto tra i pazienti con rischio ELN2017 favorevole (p<0,05), mentre non era inferiore tra i pazienti con mutazioni TP53, a meno che non fosse concomitante la presenza di un CK (p<0,05). Il consolidamento con HSCT in prima CR è stato eseguito in 166/340 pazienti rispondenti (48,8%), 15 dei quali presentavano la mutazione di TP53, 9 dei quali nel contesto di un CK. Dopo un follow-up mediano di 23,66 mesi (IC 95% 23,11–26,01), l’OS mediana è stata di 16,23 mesi (IC 95% 13,6–18,9). L’OS è stata significativamente influenzata dal rischio ELN 2017 (p<0,05), ma non dalla mutazione di TP53, a meno che non fosse presente anche un CK (Figura 1). Inoltre, tra i pazienti con citogenetica ad alto rischio, la presenza della TP53 era correlata a un outcome peggiore (p<0,05). Nella landmark analysis, che includeva pazienti vivi e in CR al giorno 90, l’HSCT è risultato il più forte predittore di lungo-sopravvivenza (OS mediana non raggiunta vs OS di 16,3 mesi per i pazienti sottoposti o non

sottoposti a HSCT, rispettivamente: p<0,05) indipendentemente dallo stato mutazionale di TP53. Tuttavia, i pazienti con TP53 in presenza di CK hanno avuto un outcome significativamente inferiore anche dopo trapianto (OS mediana di 14,3 mesi vs non raggiunta, per i pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche, con o senza una mutazione TP53 nel contesto di una CK, rispettivamente: p<0,05).

Conclusioni. Nel complesso l’ampia coorte in studio conferma l’efficacia del trattamento con CPX-351 anche in sottogruppi di LMA particolarmente difficili come quelli con il gene TP53 mutato. I pazienti con mutazioni di TP53 nel contesto di un cariotipo complesso hanno un esito peggiore. L’HSCT può migliorare significativamente i risultati del trattamento e, potenzialmente, è in grado di accrescere alla sopravvivenza a lungo termine in una piccola percentuale di pazienti. In futuro l’aggiunta di nuovi farmaci mirati potrà migliorare ulteriormente i risultati in questo complesso setting.

Quadro di insieme

Attualmente le LMA TP53-mutate rappresentano un setting molto sfidante essendo associate, in diversi studi clinici, a una prognosi infausta. Infatti, i pazien-

ti con mutazione di TP53 trattati con chemioterapia convenzionale tendono ad avere un più basso tasso di remissione completa, una sopravvivenza libera da malattia ridotta anche dopo trapianto allogenico, e, in definitiva, presentano una più alta mortalità rispetto ai pazienti non mutati. L’attività dei nuovi farmaci disponibili per la LMA in questo setting rimane poco chiara, essendo gli studi registrativi non disegnati per questo specifico sottogruppo, ed essendo le evidenze provenienti dalla real-life contrastanti. In quest’ottica il presente studio retrospettivo consente di analizzare l’impatto del CPX-351 in questo specifico gruppo di pazienti.

Analisi dei risultati

Seppur derivanti da un’analisi retrospettiva, i risultati sono interessanti. Innanzitutto, anche in questa casistica di real-life, il CPX-351 si conferma un farmaco maneggevole nei pazienti anziani e con numerose comorbidità. Infatti, la popolazione in esame presentava un’età mediana di 65,6 anni e l’84% presentava comorbidità rilevanti. Inoltre, i dati prodotti evidenziano come la probabilità di ottenere una CR nello studio non sia tanto influenzata dallo status di TP53, quanto, piuttosto, dal rischio ELN2017. Questo vantaggio viene, tuttavia, perso nel momento in cui p <0,05

TP53 wild type or without Complex Karyotype

TP53 mutated and Complex Karyotype

Figura 1. Sopravvivenza globale secondo status mutazionale TP53 e presenza o meno di cariotipo complesso

la mutazione di TP53 si associa a un cariotipo complesso (CK).

Lo stesso andamento si osserva nella sopravvivenza a lungo termine e quando si analizza l’impatto del trapianto allogenico. Infatti, tra i pazienti sottoposti a trapianto allogenico, soltanto quelli in cui la mutazione TP53 era associata a un CK presentavano effettivamente un outcome peggiore e non beneficiavano di un vantaggio a lungo termine, nonostante la terapia cellulare.

Concetti chiave

Attualmente la leucemia mieloide acuta TP53-mutata resta un problema clinico rilevante, per la prevalente incidenza nel paziente anziano e l’associata chemiorefrattarietà. Questo studio, tuttavia, dimostra che il CPX-351 nei pazienti anziani TP53-mutati induce un buon tasso di remissioni e prolunga la sopravvivenza nei soggetti trapiantati. Saranno necessarie casistiche più ampie per confermare il ruolo del CPX-351 in questo setting di pazienti difficili, e probabilmente, in futuro, l’utilizzo di questo farmaco in combinazione con altre terapie target porterà a migliorare ulteriormente i tassi di sopravvivenza.

Baseline predictors of survival in 263

patients with AML treated with

hypomethylating agents plus venetoclax: a multicenter cohort study

Abstract P550

Introduzione. La combinazione di agenti ipometilanti (HMA) più venetoclax rappresenta il trattamento standard di prima linea per i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta non idonei alla chemioterapia intensiva. I dati di real-life hanno confermato i risultati dello studio VIALE-A in termini di tassi di remissione completa e di sopravvivenza globale. Il continuo aumento dei pazienti trattati con HMA più venetoclax (HMA+VEN) rende, tuttavia, assai importante identificare semplici predittori al basale di sopravvivenza globale.

Obiettivi. Identificare semplici predittori di OS al basale nei pazienti anziani con leucemia mieloide acuta trattati con HMA+VEN in prima linea.

Metodi. Lo studio di coorte multicentrico ha analizzato la probabilità di sopravvivenza (OS) in 263 pazienti con leucemia mieloide acuta trattati con HMA+VEN in prima linea; il 32% dei pazienti (n=83) ha ricevuto la decitabina come HMA e il 68% (n=180) l’azacitidina. L’età mediana era di 74 anni (range 70-77).

È stato valutato l’impatto sull’OS di 9 caratteristiche cliniche e biologiche associate alla LMA al basale: sesso, età, LMA secondaria documentata, cariotipo, rischio citogenetico-molecolare, WBC>30.000/mmc, comorbilità rilevanti (comorbidità cardiache, comorbilità polmonari, concomitante neoplasia), performance status al basale, presenza di un’infezione

clinicamente o microbiologicamente documentata (al basale o entro il primo ciclo di HMA+VEN). Non sono state considerati come variabili i livelli di piastrine o di emoglobina pre-trattamento (che potevano essere influenzati dal supporto trasfusionale). Risultati. Secondo l’analisi univariata, le variabili significative che influenzavano l’OS risultavano essere: lo status di LMA secondaria (HR 1.462 [1.0622.014], p=0,020), il cariotipo avverso (HR 1.596 [1.1362.242], p=0,007), il rischio citogenetico-molecolare elevato (HR 1.566 [1.113-2.203], p=0,010) e la presenza di un’infezione al basale o entro il primo ciclo di terapia (HR 2,105 [1,521-2,914], p <0,001). Utilizzando queste variabili come co-variate in analisi multivariata, la significatività statistica è stata mantenuta solo dalla LMA secondaria documentata (HR 1.492 [1.0592.102], p=0,022) e dalla presenza di un’infezione al basale o entro il primo ciclo (HR 1.855 [1.302-2.642], p=0,001). Basandosi su l’hazard ratio, è stato sviluppato un punteggio di rischio (assegnando +0,5 punti per LMA secondaria documentata e +1 punto per infezione presente) che ha definito 4 gruppi con diversa OS: gruppo 1 (punteggio=0), gruppo 2 (punteggio=0,5), gruppo 3 (punteggio=1) e gruppo 4 (punteggio=1,5 – ossia pazienti con sia LMA secon-

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

daria che infezione al basale). La OS mediana è stata rispettivamente di 16 [9,88-22,11], 14 [11,70-16,29], 10 [7,17-12,28] e 3 [0,55-5,44] mesi, con p <0,001, come mostrato nella Figura 1. Le principali cause di morte erano la progressione di malattia (42%), l’evento infettivo (23%) o entrambi (29%).

Conclusioni. Il calcolo di questo semplice punteggio predittivo di OS (utilizzando 2 parametri facilmente e ampiamente disponibili) consente una stratificazione significativa della probabilità di OS nei pazienti trattati con HMA+VEN. Questa stratificazione di base della probabilità di OS può rivelarsi un’informazione utile nella pratica clinica quotidiana per guidare la discussione con i pazienti e i loro caregiver sulla prognosi della leucemia mieloide acuta e personalizzare l’approccio alla cura.

Quadro di insieme

Nonostante la combinazione di un agente ipometilante con venetoclax rappresenti ormai lo standard di cura per i pazienti anziani con LMA unfit per la chemioterapia intensiva, non esistono al momento strumenti semplici che possano orientare i clinici nell’identificare a priori i pazienti con più basse probabilità di sopravvivenza. Gli autori di questo studio

Figura 1. Sopravvivenza globale per gruppi di rischio

multicentrico partono da nove variabili facilmente reperibili alla diagnosi per calcolare uno score predittivo di sopravvivenza globale.

Analisi dei risultati

Sono stati analizzati dati retrospettivi di 263 pazienti con LMA trattati con HMA+VEN in prima linea. Come ipometilante il 32% (83) dei pazienti aveva ricevuto la decitabina e il 68% (180) l’azacitidina. Dalle iniziali nove covariate identificate in analisi univariata come impattanti sulla sopravvivenza, solo lo status di LMA secondaria e la presenza di un’infezione concomitante sono rimaste significative nel modello di analisi multivariata. Sulla base del modello in multivariata gli autori hanno successivamente costruito uno score che, assegnando +0,5 punti per LMA secondaria documentata e +1 punto per infezione concomitante, definisce 4 gruppi con diversa OS: gruppo 1 (punteggio=0), gruppo 2 (punteggio=0,5), gruppo 3 (punteggio=1) e gruppo 4 (punteggio=1,5). Il modello si mantiene significativo dato che all’analisi di Kaplan- Maier le curve dei quattro gruppi rimangono distinte e separate.

Concetti chiave

Data l’elevata mortalità e la ridotta lungo-sopravvivenza dei pazienti anziani con LMA, uno dei problemi clinici più significativi resta quello di riuscire a predire la probabilità di sopravvivenza di un nuovo paziente prima ancora di iniziare un trattamento, per quanto innovativo, con HMA-VEN. Gli autori di questo studio provano a rispondere a tale quesito elaborando uno score di semplice e pronto calcolo che può essere applicato a tutti i pazienti. Qualora questo strumento venisse validato su numeri più ampi e prospetticamente, potrebbe rivelarsi molto utile nell’identificare i pazienti a cattiva prognosi, per i quali, probabilmente, l’approccio più ragionevole sarebbe l’inserimento in un trial clinico, laddove disponibile, o la scelta della sola terapia di supporto finalizzata al mantenimento di una buona qualità di vita del paziente. Sarà tuttavia necessario aspettare risultati più maturi prima di validare nella pratica clinica lo strumento proposto dagli autori.

Reduced venetoclax exposure to 7 days vs standard venetoclax exposure with hypomethylating agent in older/unfit patients with newly diagnosed acute myeloid leukemia: a retrospective comparison

Abstract P590

Introduzione. I regimi con agente ipometilante (HMA) più venetoclax (VEN) costituiscono ora lo standard di cura in pazienti con leucemia mieloide acuta non idonei alla chemioterapia intensiva. Sebbene per il VEN siano raccomandati da registrazione del farmaco cicli continui di 28 giorni, schedule con durata ridotte di VEN a 21 o 14 giorni possono indurre tassi di risposta simili, mitigare le citopenie e migliorare la tollerabilità (Karrar O et al, Am J Hematol 2024). Non è tuttavia noto se un’esposizione a VEN ridotta ad appena 7 giorni possa essere paragonata ai cicli standard di HMA+VEN in termini di efficacia e sicurezza.

Obiettivi. Confrontare retrospettivamente i tassi di risposta, i risultati di sopravvivenza e la tossicità nei pazienti trattati con HMA + VEN sette giorni per ogni ciclo a partire dal primo ciclo, rispetto ai pazienti trattati con HMA + VEN ad un’esposizione standard. Metodi. Si è proceduto a un confronto retrospettivo di pazienti con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi trattati con azacitidina (AZA) per 7 giorni più VEN per 7 giorni (regime “7+7”) dal primo ciclo in 7 centri francesi (n=82, Willekens C et al, ASH Congress 2022) rispetto a pazienti trattati con dosaggio

standard HMA+VEN (s-HMA/VEN) presso un centro statunitense (n=173), generalmente consistente in 21-28 giorni di VEN. Nel gruppo s-HMA-VEN, l’HMA utlizzato era la decitabina (DAC) a 10 giorni nel 59% dei casi, mentre la restante parte di pazienti riceveva DAC 5 giorni o AZA 7 giorni. Sono stati quindi confrontati il tasso composito di remissione completa (CRc, costituito da CR + CRi), la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da eventi (EFS), la mortalità precoce e il grado di tossicità ematologica tra i due regimi.

Risultati. Le caratteristiche al basale tra le coorti 7+7 e s-HMA/VEN erano ben bilanciate ad eccezione della quota di LMA secondarie (32% vs 18%), LMA secondarie a chemioterapia (34% vs 22%), citogenetica complessa (22% vs 39%), mutazioni di FLT3-ITD (13% vs 3%) e mutazioni di RAS (9% vs 24%). Da notare invece che i tassi di mutazione di TP53, NPM1 e IDH1/2 erano simili. Il tasso di CRc era simile (72% con “7+7” vs 71% con s-HMA/VEN (p=0,89)) così come il tasso di CR (57% con “7+7” vs 55% con s-HMA/ VEN (p=0,72)). I cicli mediani alla prima risposta sono stati di 1 in entrambi i gruppi, tuttavia il 42% dei rispondenti al programma “7+7” ha richiesto più di un ciclo per ottenere la prima risposta, mentre quasi tutti i pazienti che hanno risposto al trattamento con s-HMA-VEN (99%) hanno ottenuto una prima risposta dopo il ciclo 1. I cicli mediani alla miglior risposta sono stati di 2 con “7+7” vs 1 con s-HMA-VEN (p=0,02). Per quanto riguarda la tossicità, durante il ciclo 1 il tasso di neutropenia febbrile e la necessità di trasfusioni di globuli rossi erano simili tra i due regimi. Tuttavia, un numero inferiore di pazienti ha richiesto trasfusioni di piastrine durante il ciclo 1 con “7+7” rispetto a s-HMA/VEN (62% contro 77%, p=0,01). La mortalità precoce a 4 settimane era simile (2% con “7+7”, 6% con s-HMA-VEN; p=0,24) mentre a 8 settimane la mortalità era inferiore con “7+7” (6%) rispetto a s-HMA-VEN (17%) (p=0,02). Il trapianto di cellule staminali è stato eseguito nel 14% dei pazienti trattati con s-HMA/VEN rispetto al solo 1% dei pazienti con “7+7” (p=0,002), dato probabilmente da correlare al maggiore carico di comorbidità nella coorte “7+7” (il 29% aveva comorbidità definite come criteri di esclusione nello studio VIALE-A).

L’OS mediana è stata di 11,2 mesi (OS a 2 anni: 27,7%) con “7+7” vs 10,1 mesi (OS a 2 anni 32,6%) con s-HMA/ VEN (p=0,93) (Figura 1). L’EFS mediana è stata di 6,5 mesi (25% a 2 anni) con “7+7” rispetto a 7,1 mesi (26% a 2 anni) con s-HMA/VEN (p=0,77).

Conclusioni. Riconoscendo i limiti di un confronto retrospettivo tra più centri, non è stata osservata una significativa differenza nei tassi di risposta o nella sopravvivenza tra cicli abbreviati di VEN per 7 giorni rispetto alle doppiette HMA-Ven standard basate su VEN nella LMA di nuova diagnosi. Il regime “7+7” è stato associato a una risposta più lenta, a una minore richiesta di trasfusioni piastriniche durante il ciclo 1 e a una mortalità a 8 settimane inferiore.

Quadro di insieme

L’aderenza alla schedula HMA-VEN rimane uno dei temi clinici più attuali nei pazienti anziani affetti da LMA. Nonostante i tassi globali di risposta elevati per la popolazione in oggetto, il tasso di interruzione (e quindi di fallimento) della terapia rimane elevato, con un’aumentata incidenza di recidiva e morte per progressione di malattia. Diverse esperienze di reallife hanno già dimostrato l’equivalenza di una schedula di somministrazione di venetoclax a 14 o 21 giorni, rispetto a quella classica di 28. Gli autori dello studio proseguono in questa direzione andando a confrontare una schedula di 7 giorni di VEN con azacitidina (schema 7+7) con la classica schedula di HMA+VEN a 28 giorni.

Analisi dei risultati

Come atteso da un regime che prevede appena 7 giorni di venetoclax, le risposte al trattamento sono state più lente e sono intervenute dopo una mediana di due cicli di trattamento rispetto alla schedula classica di HMA-VEN di un ciclo. In altri termini, la quota dei cosiddetti “slow-responders”, identificati anche negli studi di real-life con HMA-VEN, risulta nel regime 7+7 significativamente aumentata. Le risposte ottenute risultano, tuttavia, paragonabili a quelle della schedula standard, essendo il tasso di CR (57% con “7+7” vs 55% con s-HMA/VEN (p=0,72) paragonabile nei due gruppi, così come la sopravvivenza a lungo termine (OS mediana di 11,2 mesi (2

anni 28%) con “7+7” vs 10,1 mesi (2 anni 33%) con s-HMA/VEN. Nello studio di Willekens et al, però, la lentezza di risposta sembra essere un punto di forza del regime 7+7, essendo combinata probabilmente con delle aplasie meno profonde e più gestibili dal punto vista clinico, visto il significativamente ridotto tasso di trasfusioni di piastrine durante il ciclo 1 (62% contro 77%, p=0,01), e la ridotta mortalità precoce ad 8 settimane (6% contro 17%, p=0,02) nel gruppo 7+7. Infine, il 29% della popolazione del regime 7+7 aveva comorbidità definite come criteri di esclusione nello studio VIALE-A; anche questo dato conferma la maggiore maneggevolezza del regime 7+7 rispetto allo standard HMA+VEN.

Concetti chiave

L’aderenza alla schedula di trattamento con venetoclax per 28 giorni diventa problematica per i pazienti più anziani e con comorbidità rilevanti per l’aumentato rischio di citopenie tossiche, intolleranza al trattamento, e, in definitiva, morti in aplasia. Conseguentemente, il numero di pazienti che può effetti-

vamente beneficiare di questa terapia si riduce sensibilmente. Lo studio di Willekens et al dimostra che la somministrazione di VEN per appena 7 giorni garantisce risultati analoghi a quelli della schedula classica, ma con una tollerabilità decisamente maggiore. Ovviamente, essendo questa posologia diversa da quella registrata nello studio VIALE-A, e in assenza di una validazione prospettica, non potrà essere utilizzata come terapia di prima linea nel paziente anziano.

Tuttavia, essendo prevista dalla schedula e dalla pratica clinica corrente, la riduzione del farmaco in caso di intolleranza e/o ritardato recupero ematologico, questo studio fornisce per la prima volta evidenza di un numero minimo di giorni a cui poter ridurre l’esposizione al venetoclax, senza inficiarne l’efficacia clinica. Inoltre, la schedula 7+7 potrà in futuro rappresentare la base di partenza per terapie di combinazione con un “terzo” agente mirato, senza aumentare la tossicità ematologica in regimi multifarmaco.

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

HMA VEN

Figura 1. Outcomes di overall survival mediana e a due anni
Other

Neoplasia blastica a cellule plasmocitoidi dendritiche (BPCDN)

Real-world study of patients with relapsed or refractory blastic plasmacytoid dendritic cell neoplasm treated with tagraxofusp

Herling M, Angelucci E, Manteigas D, et al.

Abstract P553

Introduzione. La neoplasia blastica a cellule plasmocitoidi dendritiche (BPDCN) è caratterizzata dall’espansione clonale di cellule dendritiche plasmocitoidi neoplastiche esprimenti il CD123 e altri marcatori di superficie. Il tagraxofusp (TAG), una terapia diretta al CD123, è l’unico farmaco innovativo attualmente approvato per il trattamento di prima linea della BPDCN negli Stati Uniti e in UE. Nell’agosto 2019 è stato avviato lo European Named Patient Program (NPP) per garantire l’accesso dei pazienti a terapia con TAG.

Obiettivi. Sono stati analizzati retrospettivamente i dati dei pazienti arruolati nel NPP al fine di valutare efficacia e sicurezza del trattamento con TAG nella BPDCN recidivante/refrattaria in un contesto di real-life, in una popolazione a prognosi molto sfavorevole,

Metodi. I pazienti con BPDCN R/R inseriti nel programma NPP ricevevano il TAG alla dose di 12 mcg/ kg al giorno nei giorni 1-5 (o entro il giorno 10) di ciascun ciclo di 21 giorni. Il primo ciclo di TAG è stato somministrato in regime ospedaliero, dopodiché

è stato consentito che il trattamento venisse proseguito in regime ambulatoriale. I medici che hanno somministrato il TAG hanno ricevuto una formazione specifica sulle linee guida per il monitoraggio e la gestione terapeutica della capillary-leak syndrome (CLS). Gli endpoint primari erano la risposta completa dopo 2-3 cicli di trattamento e l’incidenza e grado di CLS osservati nei pazienti trattati. Gli endpoint secondari includevano: il numero di pazienti destinati al trapianto di cellule staminali, la sopravvivenza libera da progressione, la sopravvivenza globale, il miglior tasso di risposta globale, la durata della risposta e il profilo di sicurezza del TAG.

Risultati. Dei 18 pazienti con BPDCN R/R inseriti nello studio (età mediana 66 [29-83 anni]; 89% maschi), il 67% aveva ricevuto 1 precedente linea di terapia e il 28% aveva ricevuto almeno 2 linee precedenti. Alla diagnosi iniziale, i pazienti presentavano localizzazione di malattia a livello del midollo osseo (89%), della cute (67%) e dei linfonodi (61%). Il tempo mediano dalla diagnosi iniziale al trattamento con TAG è stato di 7,4 mesi (1-27). Ad un follow-up mediano di 8 mesi, i pazienti avevano ricevuto una media di 2 (1-5) cicli TAG. In 15 pazienti con una rivalutazione di malattia ≥1, l’ORR è stata del 67% (40% CR e 27% di risposta parziale [PR]) con una DOR mediana di 5 mesi (IC al 95%, 3,0-non stimabile [NE]). Per tutti i 18 pazienti, la PFS mediana è stata di 4,3 mesi (IC al 95%, 1,4-12,9) e l’OS mediana è stata di 8,6 mesi (IC al 95%, 3,6-NE) (Figura 1).

Dei 15 pazienti con una rivalutazione di malattia ≥1, 6 (40%) pazienti sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali e hanno conseguito risposte posttrapianto durature (CR 83%; PR 17%) con DOR, PFS e OS mediane non raggiunte. La CLS osservata era per lo più di severità da lieve a moderata; il 61% dei pazienti ha avuto CLS solo nel ciclo 1, e solo 1 paziente ha avuto un evento di CLS nel ciclo 2. Il tempo mediano per la risoluzione della CLS è stato di 4 giorni. Altri eventi avversi non ematologici di grado 3-4 correlati al TAG ed AE gravi (SAE) si sono verificati nel 44% dei pazienti, tutti durante il ciclo 1, con citolisi epatica, polmonite e sindrome da lisi tumorale segnalate in 2 (11%) pazienti ciascuno. In 2 pazienti (11%) ciascuno sono state segnalate trombo -

citopenia e pancitopenia di grado 3-4. Il tempo mediano per la risoluzione dei EA/SAE di grado 3-4 non ematologici è stato di 5 giorni e di 18 giorni per la trombocitopenia. In due pazienti (11%) sono state osservate infezioni di grado 3-4/SAE. Non si sono verificati decessi correlati al trattamento. Conclusioni. Il TAG ha indotto risposte rapide e durature e un alto tasso di risposta nei pazienti con BPDCN R/R, con una sopravvivenza prolungata in una popolazione a prognosi sfavorevole, nella quale i trattamenti già disponibili hanno mostrato un’efficacia limitata. Non ci sono state nuove segnalazioni riguardo al profilo di sicurezza. Con la corretta selezione, il monitoraggio e il puntuale intervento, la CLS è gestibile, solitamente lieve, limitata al primo ciclo e non tende a ripresentarsi. Questi risultati di real-life supportano l’utilizzo del TAG nei pazienti con BPDCN R/R.

Quadro di insieme

Nonostante il trattamento della neoplasia blastica a cellule plasmocitoidi dendritiche (BPDCN) possa og-

gi avvalersi del tagraxofusp, un agente innovativo registrato per la terapia di prima linea, la gestione dei pazienti r/r resta complessa per la propensione della malattia a recidivare e per l’assenza di una seconda linea standardizzata. Tuttavia, data la sua buona efficacia in prima linea, il TAG potrebbe essere utilizzato anche nel setting r/r. A questo scopo gli autori presentano i dati di efficacia e sicurezza del trattamento con TAG nella patologia recidivata/refrattaria raccolti dal programma NPP avviato nel 2019.

Analisi dei risultati

I risultati dello studio sono incoraggianti, dal momento che il tasso di risposta globale del 67% non è molto distante da quello inizialmente riportato nello studio registrativo del farmaco (Pemmaraju et al, NEJM 2019). Questo dato di ORR conferma come, per la BPDCN, un approccio immunoterapico sia decisamente più valido rispetto alla chemioterapia convenzionale. Inoltre, il profilo di sicurezza si conferma accettabile, con un’incidenza di CLS limitata prevalentemente al primo ciclo, e, in ogni caso, di

Overall (n=18): Median = 8,8 (95% CI 3,6,–) Censored

Transplant (n=6): Median = NR (95% CI –,–) Censored

Overall survival is defined as time from start of TAG to death. NR, not reached.

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

Figura 1. Sopravvivenza globale e in base al trapianto in pazienti trattati con tagraxofusp

grado non severo e con un tempo mediano di risoluzione molto rapido (4 giorni).

Di grande interesse i dati riportati nella coorte di pazienti trapiantati, appena 6 (40%), ma con risposte post-trapianto durature (CR 83%; PR 17%) e con DOR, PFS e OS mediane non raggiunte.

Concetti chiave

L’arrivo di un nuovo farmaco nella pratica clinica spesso si confronta con la distanza esistente tra la popolazione di uno studio clinico e i pazienti visti nella real-life, che spesso presentano caratteristiche di maggiore difficoltà e complessità clinica. Lo studio di Herling et al, pur se condotto su una popolazione di appena 18 pazienti, conferma invece che il tagraxofusp mantiene le attese anche in un contesto di real-life e dimostra un discreto livello di attività clinica in una popolazione difficile come quella costituita dalle BPDCN R/R. Anche il profilo di sicurezza osservato è in linea con quanto già descritto negli studi clinici, identificando la CLS come una criticità prevalentemente del primo ciclo ed evidenziando come gli altri eventi avversi, ematologici e non, siano facilmente gestibili nella pratica clinica.

Il dato più interessante rimane quello del piccolo gruppo di pazienti trapiantati. Come tutte le neoplasie aggressive la BPDCN tende alla recidiva, ma il fatto che i pazienti che riescono a consolidare la risposta con un trapianto allogenico mantengano una sopravvivenza libera da malattia a plateau conferma, da un lato, la qualità delle risposte cliniche pre-trapianto e, dall’altro, la validità del bridging con TAG a terapia cellulare anche per i pazienti r/r.

Dai dati presentati emerge, tuttavia, un 30% di pazienti che non risponde al TAG nella malattia r/r e, per chi non può consolidare con trapianto, la durata della risposta rimane relativamente breve. La sfida del prossimo futuro sarà, in questo setting, quella di combinare il TAG con altri farmaci a bersaglio molecolare che possano, da un lato, recuperare una risposta clinica nei pazienti non responsivi, e, dall’altro, mantenerla nei soggetti in cui per età, o assenza di donatore, il trapianto allogenico non sia un’opzione praticabile.

Long term outcomes of consolidative allogeneic hematopoietic stem cell transplantation for blastic plasmacytoid dendritic cell neoplasm (BPDCN)

Qazilbash MH, Khan HN, Milton DR, et al.

Abstract P1317

Introduzione. La neoplasia blastica a cellule plasmocitoidi dendritiche (BPDCN) è una neoplasia ematologica rara che rappresenta circa lo 0,4% di tutti i tumori ematologici ed è associata a prognosi infausta. Si sviluppa dall’espansione clonale dei precursori delle cellule dendritiche plasmocitoidi e si manifesta più comunemente con lesioni cutanee, ma può localizzarsi anche al midollo osseo, ai linfonodi, al sistema nervoso centrale o presentarsi con un coinvolgimento sistemico. Le opzioni di trattamento risultano molto limitate con la chemioterapia convenzionale e il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche che è stato segnalato come possibile terapia di consolidamento.

Tuttavia, pochi studi retrospettivi hanno evidenziato remissioni durature dopo allo-HSCT.

Obiettivi. Scopo dello studio è quello di descrivere i dati di follow-up a lungo termine dopo allo-HSCT quando utilizzato come terapia di consolidamento in pazienti affetti da BPDCN trattati presso il Centro promotore.

Metodi. In questa analisi retrospettiva monocentrica sono stati analizzati gli outcome di pazienti con BPDCN trattati con allo-HSCT tra settembre 2000 e febbraio 2024.

Risultati. Sono stati identificati 31 pazienti con BPDCN trattati con allo-HSCT. L’età media era di 52

anni (range, 16-76). Sei pazienti (19%) avevano una malattia confinata alla pelle e 4 pazienti (13%) presentavano un coinvolgimento del sistema nervoso centrale o del liquido spinale centrale (CSF) alla diagnosi. Quattro pazienti (13%) avevano una storia di precedenti tumori ematologici e in 9 pazienti (29%) era stata identificata un’anomalia citogenetica alla diagnosi. Il 42% dei pazienti (n=13) presentava una mutazione di TET2 identificata nel pannello NGS correntemente utilizzato per la leucemia acuta. Otto pazienti (26%) ricevevano il tagraxofusp come induzione mentre 17 (55%) venivano trattati con chemioterapia citotossica convenzionale. Il tempo mediano dalla diagnosi all’allo-HSCT è stato di 6,2 (3,2-42,4) mesi. Il tipo di donatore più comune era il donatore MUD (39%) e il regime a base di fludarabina e busulfano era il regime di condizionamento più utilizzato (55%). Il

Figura 1a. PFS: confronto tra pazienti sottoposti ad allo-HSCT in prima remissione vs trapianto dopo recidiva di malattia

Figura 1b. OS: confronto tra pazienti sottoposti ad allo-HSCT in prima remissione vs trapianto dopo recidiva di malattia

Probability of

Modificato da: EHA Annual Meeting, 2024

74% dei pazienti (n=23) ha ricevuto ciclofosfamide post-trapianto (PTCy) per la profilassi della GVHD. Il follow-up mediano è stato di 29,5 (0,9-119,9) mesi. La mortalità senza recidiva a cento giorni e a 1 anno è stata, rispettivamente, del 9,7% e del 23,1%.

Nove (29%) pazienti sono andati incontro a GVHD acuta di grado 2. Sinora nessuno dei pazienti ha sviluppato GVHD acuta di grado 3-4. Sei (21%) su 28 pazienti valutabili hanno sviluppato una GVHD cronica limitata o estesa. Solo 7 dei 31 (23%) pazienti con BPDCN sono andati in progressione dopo il consolidamento con allo-HSCT. La PFS e la OS stimate a 3 anni erano rispettivamente del 49% e del 59%.

I pazienti trattati con allo-HSCT in prima remissione avevano una PFS mediana (non raggiunta vs 11,3 mesi; p=0,03) e una OS (non raggiunta vs 12,6 mesi; p=0,02) significativamente migliori (Figure 1a e 1b).

Other (n=7)

First remission (n=24) p = 0,031

Months post allo-HCT

(n=7) First remission (n=24)

Months post allo-HCT

Conclusioni. I risultati dello studio dimostrano la sicurezza e l’efficacia a lungo termine dell’allo-HSCT nella BPDCN con il raggiungimento di risposte durevoli, in particolare se utilizzato come terapia di consolidamento in prima remissione completa (CR1). Questi dati evidenziano l’importanza di mettere a punto strategie d’induzione più efficaci e la necessità di sviluppare nuovi farmaci per il trattamento della BPDCN.

Quadro d’insieme

Sebbene il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche sia correntemente utilizzato come terapia di consolidamento per le neoplasie ematologiche ad alto rischio, quali, ad esempio, le leucemie mieloidi acute, i dati disponibili sull’attività di questo trattamento nella BPDCN sono ancora molto frammentari e per lo più di natura retrospettiva, come atteso del resto in una patologia così rara.

Gli autori dello studio presentano una discreta casistica monocentrica per analizzare l’impatto dell’alloHSCT su una popolazione con BPDCN abbastanza omogenea analizzandone gli outcome in termini di sopravvivenza globale e di profilo di sicurezza.

Analisi dei risultati

Nello studio sono stati inclusi 31 pazienti con BPDCN trattati con allo-HSCT, prevalentemente di sesso maschile e con età mediana di 52 anni, come atteso dalla patologia.

Ad un follow-up mediano di 29,5 (0,9-119,9) mesi, i dati di mortalità e GVHD si sono dimostrati più che accettabili (mortalità senza recidiva a 100 giorni del 9,7%, tasso di GvHD acuta del 29% e tasso di GvHD cronica del 21%).

La PFS e la OS stimate a 3 anni sono state, rispettivamente, del 49% e del 59%, con tassi di sopravvivenza decisamente migliori per chi effettuava il trapianto in prima linea, e con appena 7 recidive osservate dopo trapianto. Questi dati sono in linea con quanto disponibile in letteratura per patologie più comuni, come la leucemia mieloide acuta, e dimostrano come il consolidamento con il trapianto allogenico rappresenti uno strumento sicuro, efficace e con un buon profilo di sicurezza per il trattamento di questa patologia rara.

Concetti chiave

Il trapianto allogenico rappresenta un’efficace terapia di consolidamento per numerose neoplasie ematologiche e i dati di questo studio confermano che, anche nella BPDCN, dovrebbe essere offerto come consolidamento nei pazienti trattati.

I risultati emersi i suggeriscono, inoltre, come il trapianto debba essere proposto in prima linea, dal momento che nei pazienti in CR1 si raggiungono risultati di lungo-sopravvivenza decisamente migliori rispetto a quelli dei pazienti in recidiva di malattia, come peraltro accade in altre neoplasie del sangue. Sebbene nello studio un piccolo gruppo di pazienti presentasse coinvolgimento del CNS alla diagnosi e la maggior parte di essi sia giunta al trapianto dopo un regime di chemioterapia convenzionale, non sono, tuttavia, disponibili dati sull’impatto del coinvolgimento dei diversi siti di malattia sul tasso di recidiva post trapianto e sul ruolo della terapia pretrapianto come bridging all’allo-HSCT.

Nel prossimo futuro la sempre maggiore disponibilità del tagraxofusp, in monoterapia o in combinazione con altri nuovi farmaci, probabilmente migliorerà ulteriormente la performance dell’allo-HSCT portando una proporzione maggiore di pazienti al trapianto con risposte di buona qualità.

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