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Esiti
La tentazione di fermarsi alle classifiche è molto alta. Ma perderemmo molto del potenziale offerto dalla valutazione degli esiti in sanità.
Il Pensiero Scientifico Editore
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forward #32 — ESITI — 4 / 2023
In questo numero
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Uno strumento aperto al cambiamento e all’innovazione: DOMENICO MANTOAN
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Un osservatorio permanente sulla qualità: GIOVANNI BAGLIO
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Cara azienda ospedaliera, non ti giudico ma ti valuto: MARINA DAVOLI
Il Programma nazionale es 10
Un filo da un gomitolo: LA TIMELINE
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Cittadini attivi per migliorare le prospettive di cura: VALERIA FAVA
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La certificazione che fa la differenza: CORRADO TINTERRI
Dagli esiti alle azioni per 22
I patient reported outcomes in oncologia: MASSIMO DI MAIO, FRANCESCO PERRONE
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Il valore dell’ascolto del paziente: STEFANIA ANGELINI, LUISA DE STEFANO
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Dai benefici clinici agli esiti attesi: FEDERICO VILLA
Cosa ne pensano i pazienti? 30
Una ricerca più inclusiva: RITA BANZI
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Perché uno studio andato male conta: GIADA SAVINI
Ricerca clinica,
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La bussola che indica la via maestra: TIZIANA FRITTELLI
iti tra luci e ombre 17
Centralità della persona e sostenibilità del sistema: ANTONIO GIULIO DE BELVIS
un’offerta di qualità 28
Esiti e sfide nella gestione del fine vita: VALERIA BELLEUDI
E cosa chiedono? 33
Un hazard ratio non si nega mai a nessuno: PAOLO BRUZZI
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L’esito della Cop28: PAOLA MICHELOZZI
salute e ambiente
Esiti e orizzonti Una medicina moderna non nasconde un desiderio inesauribile di misurarsi, non per autocelebrarsi ma per permettere di correggersi, migliorarsi ed evolvere. Trovandoci d’accordo su ciò, è stato facile per il nostro gruppo di lavoro individuare la tematica per l’ultimo numero dell’anno di Forward. In questo contesto, l’esperienza dei ricercatori del Dipartimento di epidemiologia è stata molto utile per descrivere strumenti capaci di osservare, monitorare e mettere a servizio dati essenziali nel permettere di valutare l’impatto dei nuovi e vecchi interventi di cura. Solo un sistema con osservatori strutturati come quelli offerti, ad esempio dal Programma nazionale esiti, può pensare di programmare e governare l’innovazione in sanità. La tentazione di fermarsi alle classifiche è molto alta; ma se si trattasse solo di questo, perderemmo molto del potenziale offerto dal commentare e analizzare in modo contino questi dati. La sfida oggi è portare questo tipo di attività ad un pubblico più ampio di operatori sanitari e di cittadini con l’obiettivo di aumentare la massa critica. Per fare questo occorrerà investire risorse importanti per sviluppare competenze adeguate, oltre che far dialogare sui dati raccolti quelle già esistenti, favorendo per chi sta nei tavoli decisionali l’uso di questi strumenti per orientarsi e saper programmare. I nuovi strumenti di raccolta e condivisione dovrebbero infine permettere la crescita della qualità del dato. Senza quest’ultima a poco valgono gli sforzi per costruire piattaforme o osservatori che rischierebbero di aumentare solo la confusione. In ultima analisi, vale la pena richiamare la necessità di un rigore e di uno sguardo indipendente sulla valutazione degli esiti. Questo renderebbe la figura di chi ci lavora meno affabile e accattivante, ma proprio per questo più affidabile nell'osservare l’orizzonte e nell’aiutarci a interpretare la linea.
Antonio Addis
Dipartimento di epidemiologia Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
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Queste pagine sono dedicate a
Giovanni Bissoni L A B I C I C L E T TA , L’A R T E , I L B E L LO E L A R O M AG N A
erano le passioni più personali di Giovanni Bissoni, che ci ha lasciato all’inizio dello scorso mese di ottobre. Ma è stata certamente la Politica la passione a cui ha dedicato gran parte della sua vita. La Politica come cosa seria, come impegno per un mondo migliore e più giusto. Ha avuto la fortuna di nascere e fare politica in una Regione, l’Emilia-Romagna, dove la cultura, il senso civico, il senso di responsabilità e la laboriosità rappresentano un patrimonio genetico molto radicato. Non appena nominato presidente di Agenas, ha subito sostenuto le attività del Programma nazionale esiti come strumento di governo trasparente, sulla base del quale riorientare e migliorare il sistema sanitario. Insieme a lui abbiamo girato per tutte le regioni d’Italia per far conoscere il Programma e promuoverne l’utilizzo. Il tempo passato con lui è sempre stato un tempo ricco: fatto di dialogo, di discussione, di condivisione di letture, del piacere di visitare delle mostre insieme. Tempo di riso e di scherzi, grazie alla sua spiccata ironia. Si è fatto accompagnare nei pochi e drammatici mesi di malattia senza nascondere mai le proprie condizioni di salute. Ha accolto nella sua amatissima casa di Bertinoro gli amici che hanno voluto salutarlo. Ha condiviso e scelto consapevolmente il livello di cure compatibile con quella che lui riteneva una qualità di vita accettabile e l’ha fatto grazie a quel sistema sanitario regionale che ha contribuito a costruire. Abbiamo perso molto, ma abbiamo imparato tanto. Marina Davoli
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Pne,
uno strumento aperto al cambiamento e all’innovazione Dalla raccolta dei dati sanitari alla valutazione degli esiti, dall’unione delle competenze al prodotto salute
Q
uali elementi possono contribuire al raggiungimento dei migliori esiti dell’assistenza sanitaria, considerando le opportunità legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)?
Il Programma nazionale esiti (Pne) è figlio di una stretta interrelazione con il cosiddetto dm 70, ovvero il decreto ministeriale del 2015 che ha riorganizzato il sistema ospedaliero italiano introducendo il concetto di “hub & spoke” con una classificazione degli ospedali in base al livello di attività. Proprio dalla definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi alle strutture ospedaliere è nato il concetto “maggiori i volumi, migliori gli esiti”, sottolineando l’importanza della correlazione tra i due elementi. Il Pne rappresenta un’evoluzione di questa visione dell’organizzazione ospedaliera. Nonostante non abbia conseguenze vincolanti, il Pne è un punto di riferimento per tutti i direttori generali di ospedali pubblici e privati accreditati, nonché una spinta a migliorare le cure da erogare laddove necessario attraverso puntuali strategie condivise. Ora la Missione 6 “Salute” del Pnrr introduce due elementi cruciali: un’organizzazione territoriale più strutturata attraverso il dm 77, in continuità con il dm 70, e un forte investimento nello sviluppo della sanità digitale, implementando e interconnettendo la Piattaforma nazionale di telemedicina e il fascicolo sanitario elettronico. Questi elementi arricchiranno il Pne, permettendo la definizione di indicatori non solo nell’ambito dell’assistenza ospedaliera ma anche di quella territoriale. L’Italia sta diventando il primo Paese in Europa delle nostre dimensioni a implementare un sistema in cui ogni singolo
Intervista a
Domenico Mantoan Direttore generale Agenas
dato sanitario viene Due elementi cruciali integrato in tempo reintrodotti con il Pnrr ale nella Piattaforma nazionale di telemearricchiranno il Pne, dicina e nel fascicolo spingendolo a valutare sanitario elettronico. Ciò porterà a un nomeglio gli esiti non solo tevole arricchimento ospedalieri ma anche del patrimonio dell’ecosistema dei dati territoriali: un’organizzazione sanitari. La sfida di territoriale più strutturata Agenas sarà dunque effettuare sempre più attraverso il dm 77 puntuali monitoraggi e un forte investimento e analisi delle cure effettuate sia in ambito nella sanità digitale. ospedaliero che territoriale. Per altro, già nell’ultima edizione del Pne, riferita ai dati del 2022, sono presenti complessivamente 195 indicatori: 170 relativi all’assistenza ospedaliera e 25 all’assistenza territoriale a cui se ne aggiungono 12 in fase di sperimentazione.
In che modo l’evoluzione del Pne con l’integrazione degli elementi introdotti dal Pnrr influenzerà la valutazione dei modelli organizzativi, dell’uso dei farmaci e della fornitura complessiva di cure nel contesto sanitario italiano? In particolare, il Pne potrà diventare uno strumento chiave per l’health technology assessment (hta)? Il raggiungimento di quanto indicato dal Pnrr consentirà di valutare in maniera più appropriata i modelli organizzativi, l’uso di farmaci e l’erogazione di cure. E dunque diversi saranno gli ambiti del nostro sistema t
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t sanitario nazionale che potranno giovarsene a partire dall’analisi di hta, sia dei dispositivi medici che dei farmaci, oltre che combinando questi ultimi con i dati Pne. Avremo così la possibilità di confrontare i dati sugli effetti stimati a seguito della presentazione di questi beni sul mercato con quelli realmente osservati a seguito del loro utilizzo. Con l’introduzione della telemedicina e gli investimenti del Pnrr si creeranno tutte le condizioni per valutare l’innovazione e per far sì che il nostro Paese diventi un luogo in cui il sistema sanitario si evolve in modo molto raffinato.
In un’ottica di valutazione della storia clinica del singolo paziente gli indicatori del Pne andrebbero integrati con i patient reported outcome? Pensa che sia fattibile? Quando ho menzionato l’innovatività, sottolineavo l’importanza dell’impatto di quest’ultima sulla storia clinica di una malattia che diCon l’introduzione pende anche dalla perceziodella telemedicina ne del paziente sulla propria condizione. Esistono malate gli investimenti tie acute che possono guaridel Pnrr si creeranno re, mentre altre sono malattie incurabili e croniche con tutte le condizioni per cui il paziente deve imparare valutare l’innovazione a convivere. Alcuni farmaci e/o dispositivi possono mie per far sì che il nostro gliorare la qualità della vita Paese diventi un luogo del paziente, aiutandolo a gestire meglio la sua malatin cui il sistema tia e a conviverci. Pertanto, sanitario si evolve in ritengo che durante la valutazione degli esiti di cura, modo molto raffinato. sia importante considerare anche i risultati percepiti dal cittadino. Alla fine, è importante anche il confronto con il paziente stesso al fine di meglio valutare come si sente, se la terapia ha apportato sollievo. In passato, negli ospedali si affermava: “Se non posso curarti, posso darti sollievo”. Quindi, anche se non sempre posso guarirti, posso comunque cercare di alleviare i tuoi sintomi.
Si prospetta quindi un programma di valutazione dinamico e aperto al cambiamento. Come integrare la valutazione degli esiti del Pne con quella delle tecnologie sanitarie? Oggi stiamo presentando un modello organizzativo di hta che andrà sperimentato per valutarne l’efficacia o eventuali modifiche necessarie per farlo funzionare. Il modello mette in rete Ministero, Agenas, Istituto superiore di sanità, Aifa e Regioni, ognuno con le proprie competenze: Aifa valuterà i farmaci, Agenas i dispositivi medici, mentre l’Istituto superiore di sanità sarà coinvolto nella ricerca, nelle linee guida e nelle raccomandazioni. Tutto ciò si tradurrà nel cosiddetto “prodotto salute”, cioè l’esito, e tutto quanto ruota intorno alle dinamiche di erogazione delle prestazioni. Tutti questi dati verranno raccolti dalla Piattaforma nazionale di telemedicina e saranno accessibili a tutti, compreso il Pne che diventerà un programma nazionale molto più detOgnuno deve contribuire tagliato. Ognuno deve al patrimonio conoscitivo contribuire al patrimonio conoscitivo comune comune in termini di in termini di condivicondivisione di esperienze sione di esperienze per il prodotto salute che è per il prodotto salute. Servono realizzabile solo unenregole e collaborazione, do più competenze. Servono regole e collaboracompetenze ben definite zione, competenze ben e verticalizzazioni definite e verticalizzadi professionalità. zioni di professionalità. La valutazione del Pne potrebbe influenzare la creazione di criteri di accreditamento per migliorare il sistema sanitario. Spesso però il Pne viene letto come una mera classifica. Gli strumenti attuali sono sufficienti per correggere le inefficienze? Da oltre dieci anni Agenas, tramite il Pne, realizza un attento lavoro di monitoraggio e analisi delle cure erogate. A mio avviso il giudizio su questo strumento dovrebbe concentrarsi su questi aspetti e dunque, per intenderci, sui miglioramenti reali delle prestazioni. Il Pne non vuole fare le classifiche ma fornire dei dati; e la trasparenza degli esiti raggiunti è essenziale per guidare il cambiamento coinvolgendo i diversi attori coinvolti. Con questo sistema puntiamo a individuare chi ha lavorato bene e si è impegnato, e chi, al contrario, non ha raggiunto determinati standard di qualità, dando gli strumenti necessari sia al clinico che al decisore (management aziendale e
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Vedi anche
La sanità digitale è alle porte? responsabile regionale) Il Pne non vuole fare per una corretta prole classifiche ma fornire grammazione sanitaria. La struttura con livelli di dei dati. E la trasparenza prestazioni molto bassi degli esiti è essenziale per sarà spinta a migliorarsi se la scarsa qualità è doguidare il cambiamento vuta a un problema clicoinvolgendo i diversi nico e di organizzazione interna, diverso invece attori coinvolti. se è conseguenza della programmazione regionale. Prendiamo come esempio il cancro del pancreas. Ogni Regione avrebbe dovuto identificare i centri specializzati in questa malattia oncologica per una corretta presa in carico del paziente, dalla chirurgia alla riabilitazione passando anche per l’alimentazione e altro ancora. Ma nella realtà invece abbiamo ancora dei centri che fanno uno, due e tre interventi al cancro del pancreas in un anno. In questo caso il problema della scarsa qualità del servizio deve porsela il programmatore regionale e se non lui il programmatore nazionale.
Queste segnalazioni sono delle leve effettive per correggere inefficienze e migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie? In Italia potrebbe essere utile adottare approcci simili a quelli di altri Paesi. Per esempio, in Francia l’Istituto nazionale di oncologia ha il potere di revocare l’accreditamento a strutture ospedaliere che non soddisfano determinati standard basati su volumi ed esiti. Mentre in Italia si arriva solo alla fase di Potrebbe essere necessario segnalazione. Questa differenza indica che rivedere e potenziare c’è lo spazio per adotgli strumenti a disposizione tare strumenti più incisivi. La proposta di tradelle istituzioni, non solo sferire le informazioni per segnalare inefficienze, dell’hta in criteri di accreditamento rapprema anche per promuovere senta un passo avanti attivamente miglioramenti significativo. Tuttavia, l’implementazione di nel sistema sanitario tali criteri è essenziale italiano. per garantire che il riconoscimento di eccellenza sia seguito da un impegno per il miglioramento continuo. In sintesi, potrebbe essere necessario rivedere e potenziare gli strumenti a disposizione delle istituzioni, non solo per segnalare inefficienze, ma anche per promuovere attivamente miglioramenti nel sistema sanitario italiano. A cura di Luca De Fiore
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza nella sua Missione 6 “Salute” mira a modernizzare e digitalizzare le strutture sanitarie italiane attraverso lo sviluppo della sanità digitale. I due pilastri principali sono il nuovo fascicolo sanitario elettronico e la piattaforma nazionale di telemedicina. Il fascicolo sanitario elettronico nazionale sarà un punto unico di accesso per i servizi sanitari online, trasformandosi da un archivio di documenti a un ecosistema completo di dati e servizi. La piattaforma di telemedicina favorirà la diffusione dei percorsi di telemedicina su tutto il territorio nazionale, agevolando la presa in carico da parte delle cure territoriali e potenziando la qualità delle cure di prossimità. Il fascicolo sanitario elettronico e la piattaforma di telemedicina saranno interconnessi,
basati su un’architettura condivisa e su strutture cloud e logiche a microservizi. Ciò consentirà il riuso di servizi comuni e facilità nella gestione dei nuovi servizi. Entro novembre è previsto il primo rilascio della piattaforma, seguito da un periodo di collaudo, con l’operatività iniziale prevista dal primo gennaio successivo. La piattaforma sarà un fondamentale mezzo di trasmissione dei dati, simile a un’autostrada delle informazioni. Attualmente, si sta svolgendo una gara per i verticali, e successivamente si procederà con una gara dedicata ai dispositivi medici. L’obiettivo è far circolare i primi dati nell’autostrada entro il 2024 e raggiungere la piena operatività nel 2025. • Fonte: Agenas
Valutare gli esiti: l’indagine di Forward continua a p.39 Il Programma nazionale esiti nasce come strumento in continua evoluzione per riorientare e migliorare il sistema sanitario, che deve quindi rispondere alle sollecitazioni derivanti dalle richieste di cittadini e pazienti e dagli elementi introdotti con il Pnrr. I risultati della survey a cui hanno risposto i lettori di Forward. Comunicare ai cittadini il Pne come “classifica” degli ospedali italiani potrebbe essere fuorviante?
30%
No, sarebbe un modo molto chiaro per responsabilizzare i decisori sanitari e i direttori generali
21%
In linea teorica non si tratta di classifiche, ma in realtà di questo si tratta
49%
Sì, bisogna spiegare che non si tratta di “classifiche”
“Due elementi cruciali introdotti con il Pnrr arricchiranno il Pne, spingendolo a valutare gli esiti non solo ospedalieri ma anche territoriali: un’organizzazione territoriale più strutturata attraverso il dm 77 e un forte investimento nella sanità digitale”. Quanto la trova d’accordo questa affermazione?
1%
Per niente
14% Poco
33%
Molto
52%
Abbastanza
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IL PROGRAMMA NAZIONALE ESITI: U N O S S E R V AT O R I O P E R M A N E N T E S U L L A
Q UA L I TÀ
Fotografare la performance e la variabilità dei processi per fare buona sanità
I
l Programma nazionale esiti (Pne), con i suoi 195 indicatori attuali, offre una panoramica nazionale sulla variabilità dei processi e degli esiti assistenziali tra soggetti erogatori e tra gruppi di popolazione. Vengono presidiati aspetti importanti dell’assistenza ospedaliera, in particolare i volumi per struttura e per singolo operatore, la tempestività di accesso a procedure chirurgiche essenziali, l’appropriatezza clinico-organizzativa e gli esiti in termini di mortalità e riammissioni in ospedale per complicanze. Il Pne permette altresì di apprezzare, seppur indirettamente, la qualità dell’assistenza territoriale, mediante indicatori relativi all’ospedalizzazione evitabile e agli esiti a lungo termine (mortalità e complicanze a 1 anno), e di monitorare le disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni per genere e cittadinanza. L’analisi presentata nell’edizione 2023 (su dati di attività 2022) ha fatto emergere, accanto a processi virtuosi e punti di forza del sistema, anche alcune criticità su cui è possibile orientare specifiche iniziative di audit volte al miglioramento della qualità.
Giovanni Baglio
Direttore Uoc Ricerca, Pne, Rapporti internazionali Agenas, Roma
VO LU M I . Complessivamente, nel 2022 il sistema ospedaliero ha fatto registrare una significativa ripresa delle attività, dopo la battuta d’arresto determinata da covid-19, con 328mila ricoveri in più rispetto al 2021. Persiste, comunque, una riduzione del 10 per cento se si prendono a riferimento i volumi del 2019. Rispetto alla necessità di concentrare gli interventi a maggiore complessità in strutture qualificate e nelle mani di operatori esperti, si evidenziano situazioni problematiche
in alcune aree cliniche. Ad esempio, per Rispetto alla necessità di concentrare quanto riguarda il bypass aorto-coronarico gli interventi a maggiore complessità isolato, a fronte di un’importante contrazione nel numero di interventi (-10 per cento in strutture qualificate e nelle mani rispetto al trend prepandemico, pari a circa di operatori esperti, si evidenziano 1.350 ricoveri in meno), persiste la difficoltà di concentrare la casistica in strutture che sisituazioni problematiche in alcune ano in grado di raggiungere la soglia di 200 aree cliniche. interventi/anno fissata dal dm 70/2015: nel 2022 solo 11 cardiochirurgie si sono collocate oltre tale soglia, con un valore corrispondente di casistica pari al 24 per cento del volume complessivo (era 33 per cento nel 2021, 23 per cento nel 2020 e 37 per cento nel 2019). Inoltre, la metà circa delle strutture (51) non ha superato i 100 interventi l’anno. Criticità rispetto ai volumi sono emerse anche in ambito oncologico. Con riferimento al carcinoma del colon (secondo tumore maligno per numero di ricoveri), nel 2022 le strutture che hanno superato i 45 interventi/anno (indicazione desunta dalla letteratura) sono risultate 199, con una quota corrispondente di casistica pari al 69 per cento. Anche in questo caso, si segnala un numero molto consistente di strutture (176) con un numero di interventi inferiori a 10. Ben più critica appare la situazione relativa al carcinoma del pancreas: solo 20 strutture si sono collocate al di sopra dei 30 interventi/ anno, con una quota corrispondente di casistica pari al 56 per cento; si segnala, anche in questo caso, un numero molto elevato di strutture (163, pari al 16 per cento della casistica complessiva) al di sotto dei 10 interventi l’anno. Una situazione migliore si è evidenziata, Emerge la necessità di rafforzare invece, per il carcinoma mammario, su cui da anni si concentrano le attività di monile iniziative di formazione volte toraggio e gli sforzi organizzativi a livello a sensibilizzare i professionisti nazionale e regionale con risultati divenuti progressivamente apprezzabili: nel 2022, sanitari rispetto all’importanza 156 reparti hanno superato la soglia dei 150 di avere dati affidabili interventi/anno, con un valore corrispondente di casistica pari al 77 per cento, in aua sostegno delle buone pratiche mento rispetto al 74 per cento del 2021 e al assistenziali. 67 per cento del 2020.
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TE M PE STI V ITÀ . Relativamente al tema della tempestività di accesso a procedure salvavita, nell’ambito dell’emergenza cardiologica la proporzione di pazienti infartuati trattati con Ptca entro 90’ dall’accesso in struttura è rimasta costante nel triennio 2020-2022 intorno al 57 per cento, di poco al di sotto della soglia del 60 per cento fissata dal dm 70/2015. Inoltre, nell’ambito della gestione dell’emergenza ortopedica, si rileva come la proporzione di pazienti di età inferiore o uguale a 65 anni avviati tempestivamente al trattamento sia leggermente aumentata rispetto all’anno precedente (valore mediano pari al 53 per cento, contro il 48 per cento del 2021), ma sia rimasta per molte strutture ben al di sotto della soglia del dm 70/2015 (fissata anche in questo caso al 60 per cento).
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APPRO PR I ATE Z Z A C LI N I C A . Il tema dell’inappropriatezza clinica appare particolarmente cogente soprattutto in relazione all’area perinatale. In tale area, infatti, nel 2022 si è registrato un peggioramento della qualità dell’assistenza, con la criticità principale rappresentata dall’eccessivo ricorso al taglio cesareo: la proporzione della pratica chirurgica è risalita al 23 per cento (rispetto al valore atteso di 20,6 per cento), tornando di fatto ai livelli del 2017. Il tema dell’inappropriatezza assume aspetti ancor più rilevanti se si analizza il taglio cesareo in relazione ad altri due indicatori: la proporzione di parti vaginali in donne con pregresso taglio cesareo e le episiotomie. È emerso infatti un gradiente nord-sud con gran parte delle regioni meridionali che hanno presentato un alto ricorso al taglio cesareo primario (sopra la mediana nazionale del 21 per cento), una bassa proporzione di parti vaginali dopo taglio cesareo (sotto la mediana del 6,5 per cento), e alte proporzioni di episiotomie (sopra la mediana dell’8,8 per cento).
+328.000
S I CU R E Z Z A E APPRO PR I ATE Z Z A O RG AN I Z Z ATI VA .
Rispetto alla sicurezza, il Pne utilizza come procedura tracciante per la chirurgia a bassa complessità la colecistectomia laparoscopica, misurando la durata della degenza post-operatoria che, laddove si prolunghi più del necessario, comporta un aumentato rischio per il paziente (si pensi alle infezioni ospedaliere). Negli anni si è osservato un progressivo innalzamento della proporzione di ricoveri con degenza inferiore a 3 giorni, ben oltre la soglia del 70 per cento indicata dal dm 70/2015; ma soprattutto si è evidenziato come, all’aumentare della proporzione di tali ricoveri, si sia ridotta la variabilità tra strutture intorno ai valori mediani, segno di un miglioramento diffuso del livello di sicurezza nelle strutture italiane. La riduzione della degenza, tuttavia, si è verificata solo a carico dei ricoveri ordinari. Se si considera la quota di ricoveri in day-surgery (inclusi quelli con un pernottamento), in forte ascesa nel quinquennio 2015-2019, notiamo come nel 2020 vi sia stato un drastico ridimensionamento (-42 per cento), seguito da un recupero solo parziale nel 2021 e nel 2022 (-31 per cento e -16 per cento rispetto al trend), comunque modesto se confrontato con quello relativo ai volumi totali. Questo è il segno di una difficoltà a riorientare la gestione post-pandemica verso quelle modalità alternative al ricovero ordinario (chirurgia a ciclo breve/day-surgery) che in epoca precedente avevano contrassegnato lo sforzo di miglioramento dell’appropriatezza organizzativa, e che andrebbero ora ulteriormente rilanciate nella prospettiva di un più rapido smaltimento delle liste d’attesa. Nei prossimi anni, il Pne dovrà essere ulteriormente potenziato rispetto alla capacità di lettura delle dinamiche assistenziali, attraverso un ulteriore ampliamento del set di indicatori e l’estensione del numero di ambiti nosologici coperti dalla valutazione sistematica. Un aspetto da attenzionare riguarda la qualità della codifica delle variabili cliniche, nonché di informazioni rilevanti come il titolo di studio per l’analisi delle disuguaglianze su base socioeconomica. A tale riguardo, emerge la necessità di rafforzare le iniziative di formazione volte a sensibilizzare i professionisti sanitari rispetto all’importanza di avere dati affidabili a sostegno delle buone pratiche assistenziali. F
MONITORAGGIO
indicatori di cui 170 per assistenza ospedaliera (volumi, tempestività/appropriatezza, esiti) e 25 per assistenza territoriale (ospedalizzazione evitabile, esiti a lungo termine/Macce) ASSISTENZA OSPEDALIERA
ricoveri nel 2022 rispetto al 2021. Ma persiste una riduzione rispetto al periodo prepandemico. Nel triennio 2020-2022, riduzione complessiva pari a 3 milioni e 800mila ricoveri
1/3 VOLUMI
dei punti nascita non supera la soglia minima dei 500 parti/anno: 131 punti nascita a fronte dei 140 con volume > 1000 parti/anno e 163 con un volume 500-999 parti/anno
57% TEMPESTIVITÀ
di infarti Stemi trattati con Ptca entro 90 minuti dall’accesso in struttura di ricovero. Oltre la metà delle strutture italiane sotto la soglia del DM 70/2015
23%
APPROPRIATEZZA CLINICA
parti primari con taglio cesareo rispetto al valore atteso di rispetto di 20,6%, in leggera risalita rispetto al trend prepandemico della decrescita dei cesarei iniziato nel 2015. Si è tornati ai livelli del 2017
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1926
1931
Janet Lane-Claypon pubblica il primo studio caso-controllo moderno sul cancro al seno. Il disegno di studio trova scarso utilizzo fino al 1950, quando quattro studi caso-controllo dimostrano una relazione tra fumo e cancro ai polmoni.
Lo studio clinico su sanocrysin nella tubercolosi polmonare è il primo a utilizzare un sistema formale di randomizzazione in gruppi di trattamento e non. Probabilmente è stato anche il primo a utilizzare placebo in un gruppo di controllo.
2010
2009
2014
2015
Il Ministero della salute affida ad Agenas l’elaborazione del Programma nazionale esiti (Pne) con l’obiettivo di introdurre la valutazione sistematica degli esiti per monitorare la qualità delle prestazioni sanitarie.
Individuare gli esiti essenziali richiede una discussione che coinvolga il personale sanitario, i pazienti e i caregiver: su Plos One una revisione sistematica sui set di esiti essenziali disponibili evidenzia che solo il 16 per cento degli studi aveva coinvolto i pazienti.
Un fi o da un gomitolo: gli esiti
Disparità di genere: un’analisi degli studi che hanno portato all’approvazione di 34 nuovi farmaci da parte della Fda conclude che un terzo degli studi clinici di fase I ha arruolato solo volontari di sesso maschile.
Un comunicato dell’Oms reclama una maggiore trasparenza nella ricerca: devono essere accessibili tutti i risultati degli studi clinici, anche quelli non pubblicati, quelli nulli o negativi.
L’esito è ciò che risulta, ciò che è possibile valutare, letteralmente ciò che esce fuori. Gli esiti di un intervento o di una strategia. I risultati di uno studio clinico, i rapporti sullo stato di salute riferiti dai pazienti, senza il filtro o l’interpretazione degli operatori sanitari. Gli esiti sulla salute delle persone quando parliamo di cambiamento climatico.
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1967
Daniel Schwartz e Joseph Lellouch introducono il concetto di pragmatic trial come strumento per valutare l’intervento nella real life, in un setting che massimizzi l’applicabilità e la generalizzazione.
1978
La scala della qualità della vita (Qols), sviluppata da John Flanagan negli anni ’70, viene adattata per l’uso in gruppi di persone affette da malattie croniche.
1987
Endpoint compositi: vengono pubblicati i risultati dell’UK prospective diabetes study, il più importante trial randomizzato multicentrico sulle terapie glicemiche, in 5102 pazienti con diabete di tipo 2 arruolati in 23 centri e seguiti per 20 anni.
Gli endpoint surrogati vengono utilizzati negli studi clinici come sostituti degli effetti del trattamento di un intervento sull’esito (o sugli esiti) di interesse finale.
2007
2006
2005
2000
L’Ema pubblica un report sui disegni adattivi che consentono di modificare lo studio e/o le procedure statistiche dello studio dopo il suo inizio senza comprometterne validità e integrità. Lo scopo è rendere i trial clinici più flessibili, efficienti e veloci.
Il dm 70/2015, individua “standard quantitativi, strutturali, tecnologici e qualitativi relativi all’assistenza ospedaliera” da applicare per valutare le performance, in termini di volumi di attività e loro associazione con gli esiti delle cure.
Nasce PReValE, il programma regionale curato dal Dep Lazio che valuta qualità delle cure erogate dalle strutture sanitarie del Lazio, monitorando 70 indicatori di esito, raggruppati in 9 aree cliniche.
2016
Trial clinici decentralizzati: gli Stati Uniti pubblicano il 21st Century cure act, che diventerà legge nel 2020, per includere la prospettiva dei pazienti nello sviluppo di farmaci e di dispositivi digitali con l’uso appropriato di tecnologie digitali.
2021
2020
2022
2023
“Mitigazione del cambiamento climatico e prevenzione sanitaria in Italia: la politica dei co-benefici”: il rapporto stima l’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute attraverso gli indicatori del Lancet Countdown adattati al contesto nazionale.
La settima edizione di Report of the Lancet Countdown on health and climate change sottolinea che gli impatti sulla salute dei cambiamenti climatici continuano a peggiorare.
L’Esmo pubblica le prime linee guida sull’uso dei Pro in oncologia. Gli esiti riferiti dai pazienti potrebbero essere utilizzati per generare i Prom per misurare gli esiti di salute dal punto di vista del paziente.
Il Pne consta di 195 indicatori, di cui 10 aggiuntivi rispetto all’edizione precedente: 170 si riferiscono all’assistenza ospedaliera e 25 all’assistenza territoriale.
1989
L’Oms istituisce la Piattaforma internazionale delle sperimentazioni cliniche, un database che importa i dati dai principali registri di tutti i continenti.
Viene introdotto il termine patient reported outcome (Pro) nella proposta della Fda di processo di ricognizione e revisione delle varie misure di esito riferito direttamente dal paziente.
Il Pne introduce il treemap, un nuovo strumento per una valutazione sintetica delle strutture ospedaliere per area clinica, che tiene conto della validità e del peso differente di ciascun indicatore.
Agenas costituisce il comitato nazionale Pne, in cui entrano a far parte oltre alle maggiori istituzioni sanitarie anche Aifa e Cittadinanzattiva.
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Adnan Amin, ceo di Cop28, ha annunciato l’inclusione di una “Giornata della salute” come parte integrante dell’agenda della conferenza di quest’anno.
Traversa scale sintetizza la complessità della ricerca e, in generale, del contesto che caratterizza i gradi di difficoltà del trovare una soluzione ai principali punti critici della sanità italiana: complicato, molto complicato, complicato assai.
Viene istituito il Nuovo sistema di garanzia per verificare l’erogazione dei Lea da parte delle Regioni, secondo le dimensioni di equità, efficienza, appropriatezza, sicurezza delle cure.
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L’oncologo Ethan Basch presenta i risultati dello studio sui patient reported outcomes per il monitoraggio dei sintomi durante il trattamento di routine del cancro.
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Cara azienda ospedaliera, non ti giudico ma ti valuto
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ome responsabile tecnico-scientifico del Programma nazionale di valutazione esiti (Pne), potrebbe spiegarci come il Pne valuta la qualità dei servizi erogati dalle strutture pubbliche e da quelle private accreditate. Quali criteri e indicatori vengono utilizzati?
Il Pne valuta la qualità delle cure dal punto di vista sia della erogazione delle prestazioni sia della loro accessibilità e tutela dell’equità. Gli stessi indicatori di esito sono infatti declinati anche per popolazione residente. In questo modo riusciamo a valutare se tutta la popolazione residente in una determinata azienda sanitaria e in una determinata Provincia raggiunge dei livelli di qualità omogenei indipendentemente dalla struttura di ricovero. Gli indicatori del Pne sono costruiti a partire dalla disponibilità di evidenze scientifiche solide sull’efficacia di un determinato intervento. Quando dalle linee guida o revisioni sistematiche della letteratura è possibile individuare standard di qualità derivati da raccomandazioni cliniche forti, si cerca di sviluppare un indicatore che misuri la effettiva aderenza a questa raccomandazione. Per esempio, esistono raccomandazioni forti sull’importanza di trattare gli infarti del miocardio con sovraslivel-
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Intervista a
Marina Davoli
Direttrice Dipartimento di epidemiologia Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1 Responsabile tecnico-scientifico Programma nazionale di valutazione esiti Agenas
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lamento del tratto ST (Stemi) entro 90 minuti dall’accesso in ospedale. Il corrispondente indicatore Pne misura la proporzione di Stemi sottoposti ad angioplastica primaria; attraverso questa misura possiamo valutare se effettivamente la maggior parte della popolazione accede a questo intervento di provata efficacia in maniera omogenea nelle diverse strutture italiane. Si parte quindi dalle evidenze, ma poi bisogna fare i conti con i dati che abbiamo a disposizione. Ad oggi l’unico sistema di raccolta di dati clinici disponibile per tutte le strutture, sia pubbliche che private, è il sistema informativo delle dimissioni ospedaliere. Negli anni è stato fatto lo sforzo di sviluppare una metodologia che rendesse gli indicatori Pne confrontabili tra strutture diverse e gruppi di popolazioni dissimili per caratteristiche cliniche e sociodemografiche, in modo tale che le differenze osservate siano attribuibili agli aspetti di tipo organizzativo. Tutti gli indicatori sono infatti standardizzati per tutte le caratteristiche cliniche e demografiche misurate dai sistemi sanitari. Il Pne, quindi, valuta se e in che misura gli ospedali italiani garantiscono ai propri assistiti interventi di provata efficacia e sicurezza. Si tratta quindi di valutazioni relative a prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza da garantire a tutti, e non di prestazioni di “eccellenza”.
Il Pne, quindi, valuta se e in che misura 90 gli ospedali italiani garantiscono ai propri assistiti interventi di provata efficacia e sicurezza. 80
Quali sono i limiti nell’effettuare una valutazione completa della qualità assistenziale negli ospedali italiani? Esistono aspetti che la valutazione degli esiti non copre completamente?
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Come precedentemente accennato, uno dei limiti rilevanti riguarda i sistemi informativi in uso. Le schede di dimissione ospedaliera sono esaustive ma fanno affidamento su una versione della Classificazione internazionale delle malattie (Icd) risalente a circa quindici anni fa, quando l’offerta di interventi e la nosologia era molto diversa rispetto alla situazione attuale. Sarebbe essenziale adottare le edizioni più recenti, come l’Icd-10 o preferibilmente l’Icd-11, e, soprattutto, utilizzare codifiche aggiornate delle procedure di intervento. Negli ultimi decenni, sono state introdotte numerose nuove procedure che attualmente non sono valutabili. Ad esempio, un aspetto
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critico è la mancanza di distinzione a livello nazionale tra gli interventi di sostituzione valvolare o di valvuloplastica effettuati per via transcatetere e quelli eseguiti attraverso un intervento “a cuore aperto”, nonostante la prevalenza ormai consolidata della prima tecnica. Questo non consente né di valutarne gli esiti né di valutarne l’appropriatezza clinica. Un ulteriore problema risiede nelle aree cliniche in cui è complesso identificare esiti misurabili attraverso i sistemi informativi correnti. Molti degli esiti che prendiamo in considerazione riguardano la tempestività di determinate procedure – come l’angioplastica primaria e le fratture di femore trattate entro le 48 ore che rappresentano indica-
Il problema principale che ha fatto emergere il Pne è la presenza di una disparità non solo tra le Regioni, ma soprattutto all’interno di ciascuna Regione. tori di processo da considerare come proxy dell’esito – oppure la mortalità a breve termine. Ci sono alcune aree cliniche, come ad esempio l’ambito delle malattie infettive, in cui è più complicato individuare indicatori di processo validi che siano proxy di esito e per le quali l’esito mortalità non è appropriato. Inoltre, ci sono settori come la pediatria, in cui la popolazione è limitata, le strutture sono poche e anche gli esiti sono scarsamente numerosi: di conseguenza, abbiamo difficoltà intrinseche nel condurre una valutazione comparativa di esito.
Quanto pesa il fatto di avere un Servizio sanitario nazionale sostanzialmente gestito a livello regionale con disparità di costi ed efficacia? Il problema principale che ha fatto emergere il Pne è la presenza di una disparità non solo tra le Regioni, ma soprattutto all’interno di ciascuna Regione. In alcune aree cliniche, come quella della gravidanza e del parto, si osserva una chiara divisione tra il nord e il centro-sud del Paese. Fino alla Toscana, il nord mostra un miglioramento su tutti e tre gli indicatori che utilizziamo (taglio cesareo primario, parto vaginale dopo cesareo, ricorso all’episiotomia), dimostrando una maggiore qualità rispetto al centro-sud. D’altra parte, ci sono aree, come quella cardiovascolare, in cui risultati simili si raggiungono in tutto il territorio nazionale e non a livello regionale: per esempio, si osserva una notevole omogeneità tra le Regioni nell’accesso all’angioplastica primaria, ma al contempo una marcata eterogeneità all’interno delle stesse Regioni. 10
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Qual è l’utilità principale del Pne e dei programmi regionali di valutazione di esito come per esempio PReVaLe?
Nel rapporto Pne gli ospedali esaminati vengono classificati con un punteggio di alta, media o bassa qualità delle cure. Comunicare ai cittadini il Pne come “classifica” degli ospedali italiani potrebbe essere complesso e fuorviante? Come suggerirebbe di spiegare il Pne in modo chiaro ed equilibrato, evitando fraintendimenti o allarmismi?
Il Pne ha compiuto 11 anni, il PReValE ne ha compiuti 15. Nel corso degli anni, abbiamo assistito a un miglioramento medio a livello regionale nella qualità delle prestazioni, soprattutto dopo che gli indicatori del Pne sono stati inclusi nel dm 70 del 2015. Da allora, le Regioni hanno iniziato a utilizzarli come strumenti di valutazione per i direttori generali. Tuttavia, nonostante questi progressi, molte strutture non riescono ancora a raggiungere gli standard minimi di qualità previsti. Prendiamo ad esempio la frattura del femore: la proporzione di interventi entro le 48 ore è notevolmente aumentata in quasi tutte le Regioni, ma il livello medio italiano negli ultimi cinque anni si è stabilizzato a un livello significativamente inferiore rispetto alla media europea. All’interno delle Regioni, persiste un’eterogeneità considerevole, con numerose strutture al di sotto degli standard minimi fissati dal dm 70 che non dovrebbero essere accreditate. L’altro aspetto messo in evidenza dal Pne è la capacità del sistema di garantire un volume di attività per alcuni interventi, soprattutto chirurgici, tale da assicurare la maggiore efficacia e sicurezza dell’intervento. Ciò suggerisce la necessità di una centralizzazione di alcune specialità. Tuttavia, sorge la domanda se limitare alcuni centri a eseguire specifici interventi non penalizzi le aree interne. Ma è importante ricor-
Innanzitutto, è importante spiegare che il Pne non classifica le strutture con un punteggio di alta, media o bassa qualità, perché sarebbe troppo semplicistico. Il Pne ha sviluppato uno strumento, il treemap, che consente alle strutture ospedaliere di orientarsi tra i 170 indicatori di qualità e concentrarsi sui 20 indicatori più significativi, raggruppati per aree cliniche, che devono guidare i percorsi di audit clinico-organizzativo finalizzati al miglioramento della qualità. Il Pne, infatti, non identifica i migliori e i peggiori ospedali né propone una valutazione globale per struttura bensì una valutazione sintetica per area clinica. Nella presentazione dei dati e nel rapporto accessibile dal sito di Agenas si evidenzia chiaramente come nella stragrande maggioranza delle strutture ospedaliere convivano aree cliniche di alta qualità insieme ad aree cliniche di qualità più bassa. Dal punto di vista della comunicazione, quindi, le “classifiche” non dovrebbero rappresentare l’unica modalità di presentazione del rapporto, il cui impatto peraltro si esaurisce nel giro di pochi giorni. La stampa potrebbe avere un ruolo importante nel rafforzare la conoscenza della popolazione su ciò che dovrebbe essere garantito dai servizi sanitari sulla base delle evidenze. Comunicare come “eccellenza” ciò che dovrebbe essere garantito a tutti da un servizio
Comunicare come “eccellenza” ciò che dovrebbe essere garantito a tutti da un servizio sanitario universalistico è una distorsione, una interpretazione semplicistica del Pne. dare che le misurazioni del volume riguardano solo gli interventi per i quali esistono evidenze scientifiche che dimostrano una correlazione tra un maggior volume di attività ed esiti migliori. Quindi, faremmo un torto alle persone che vivono nelle zone più remote o disagiate se gli permettessimo di sottoporsi a interventi delicati, come quelli di chirurgia oncologica, in un piccolo centro vicino casa. Ciò che, invece, potrebbe e dovrebbe essere più accessibile e prossimale riguarda tutto quello che precede e segue l’intervento e non richiede una particolare specializzazione. Affinché i programmi di valutazione degli esiti contribuiscano al miglioramento della qualità delle cure è necessario un impegno su diversi livelli. Sia il Pne sia il PReValE dovrebbero essere utilizzati anche a livello regionale per il monitoraggio delle performance, per l’attribuzione del budget, l’accreditamento, e così via. Tuttavia, questo non esonera le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere, insieme alle direzioni aziendali e ai singoli professionisti, dall’utilizzo di questi dati per migliorare la propria performance.
sanitario universalistico è una distorsione, una interpretazione semplicistica del Pne. Inoltre, è preoccupante notare che ancora oggi i risultati della valutazione esiti non siano ancora pienamente utilizzati dai destinatari naturali per i quali è stato sviluppato il Pne, ovvero i professionisti e il management a livello locale, regionale e nazionale. I professionisti, in particolare, tendono ad adottate atteggiamenti difensivi, attribuendo la responsabilità dei risultati alla qualità dei dati; peccato però che la qualità dei dati stessi è a sua volta un indicatore dell’attenzione che una struttura dedica all’utilizzo dei dati per il governo clinico, e quindi una misura della qualità della struttura stessa a cui il management dovrebbe essere particolarmente attento. In conclusione, a più di dieci anni dalla pubblicazione dei dati del Pne e otto anni dal decreto ministeriale sugli standard qualitativi e quantitativi delle strutture ospedaliere, c’è ancora molta strada da percorrere per garantire in maniera omogenea a tutta la popolazione i livelli essenziali di assistenza. A cura di Rebecca De Fiore
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Cittadini Cittadini attivi attivi
per migliorare le prospettive di cura
NUOVE MISURE PER UNA NUOVA SANITÀ AL SERVIZIO DELL A QUALITÀ DELL A VITA
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Intervista a
Valeria Fava
Responsabile coordinamento politiche per la salute Cittadinanzattiva
ome andrebbe interpretato il Programma nazionale esiti (Pne) per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini?
Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) si sta progettando una riorganizzazione del nostro Servizio sanitario nazionale, sempre più orientato verso una medicina territoriale e di prossimità nella gestione della cronicità. In questa evoluzione, come dovrebbe adattarsi il Pne?
Senz’altro, Agenas sta compiendo uno È fondamentale che sforzo eccellente da anni, definendo il Pne questo strumento sia messo come uno strumento dinamico. La sua capacità di migliorarsi nel mostrare lo stato delle Le rispondo con dei numeri: il Pne conta 195 a disposizione delle Regioni nostre strutture, la qualità dei ricoveri e i voindicatori, di cui 170 riguardano la rete ospelumi è la sua più grande qualità. È uno sfordaliera e 25 quella territoriale. L’evoluzione per fornire spunti importanti, zo notevole anche in termini di trasparenza, della nostra assistenza territoriale, grazie alla al fine di attuare nuove azioni per riforma del Pnrr, richiede un adeguamento a cui Cittadinanzattiva è particolarmente legata: è cruciale che le amministrazioni degli indicatori utilizzati per monitorare quacambiare in meglio e progredire. rendano conto ai cittadini di ciò che fanno lità ed efficienza dei servizi. È indubbio che e come lo fanno. Tuttavia, come è stato più gli indicatori dovrebbero riflettere la coerente volte sottolineato, il Pne tende a essere interpretato come una clas- implementazione del Pnrr sui territori. È essenziale favorire il dialogo sifica, quando invece vuole e deve essere un incentivo a correggersi tra il mondo ospedaliero e territoriale, utilizzando strumenti digitali e e progredire sulla base dei livelli di efficienza e qualità raggiunti. È promuovendo sinergie tra le competenze delle persone che lavorano in fondamentale che questo strumento sia messo a disposizione delle entrambi i contesti. Inoltre, per garantire percorsi di cura efficienti tra Regioni per fornire spunti importanti, al fine di attuare nuove azioni ospedale e territorio, diventa prioritario analizzare gli esiti non solo in per cambiare in meglio e progredire. Il messaggio chiave è cogliere termini di qualità e volumi, ma anche di qualità di vita. Monitorare la l’opportunità offerta dal Pne per un monitoraggio efficace e il con- qualità di vita del paziente è difficile ma è utile in un’ottica di qualità dell’assistenza che si sviluppa lungo diversi setting, dall’ospedale al seguente miglioramento. territorio fino al domicilio del paziente. Dovrebbe esserci una sorta di passaggio del testimone fluido da un setting a un altro, e senza inciampi. Nuovi indicatori che, per esempio, misurano la semplificazione dei Cittadinanzattiva ha partecipato alla presentazione del Programma percorsi di cura e i tempi di percorrenza da un luogo all’altro, i quali nazionale esiti 2023 con i dati riferiti al 2022. Possiamo parlare di impattano sulla qualità di vita del paziente e anche dei familiari, doun miglioramento dell’efficienza delle nostre strutture sanitarie in vrebbero entrare in una logica di monitoraggio di una assistenza non un’ottica di equità? solo ospedaliera ma anche e sempre più territoriale. Purtroppo, i numeri del nuovo Pne riferiti al 2022 mostrano alcune lacune che destano preoccupazioni e che devono rappresentare delle priorità in un’ottica appunto di miglioramento dell’offerta Essere cittadini attivi può servire per migliorare dei servizi. Sebbene i numeri evidenzino positivamente un aumento le prospettive di cura? degli accessi e dei ricoveri programmati che si avvicinano alle prestazioni pre-pandemiche, c’è ancora una notevole difficoltà nell’afInnanzitutto come Cittadinanzattiva ci impegniamo a far conoscere frontare l’emergenza e l’urgenza. Rimane un gap significativo di circa l’esistenza del Pne ai cittadini, per consentire loro di orientarsi e sce900.000 ricoveri rispetto al 2019, con una perdita di quasi 4 milioni gliere il luogo di cura. Promuoviamo anche la consulenza del medico di ricoveri. La forbice tra eccellenza e fragilità è divaricata: la qualità di riferimento per la scelta più adatta della struttura a cui rivolgersi, continua ad essere prevalentemente al nord del Paese, soprattutto in perché l’eccellenza non si misura solo con i volumi. Inoltre, in un’otaree come quella materno-infantile che, invece, è molto precaria nel tica di miglioramento dell’offerta di salute, i nostri sforzi sono rivolti sud dove è maggiore il ricorso al taglio cesareo e fatica a prendere pie- ad avere un ruolo attivo non solo nella fase consultiva dell’analisi degli de il parto vaginale dopo pregresso taglio cesareo. A questo si aggiun- indicatori, finalizzata a misurare gli esiti, ma anche – e ancor di più – gono situazioni di marginalità sociale nei confronti dei migranti, per nelle fasi decisionali delle politiche. Per esempio, nell’ambito del Pnrr, esempio abbiamo un alto ricorso al taglio cesareo tra le donne stra- Cittadinanzattiva si è proposta come soggetto nella co-progettazione niere che sono più a rischio di complicanze. di servizi rispondenti ai bisogni delle persone: L’accoglienza di un Paese nei confronti dei ragionare sull’assistenza territoriale significa Occorrono provvedimenti migranti dovrebbe includere anche politiche restringere il fuoco dai grandi centri urbani di educazione e di accompagnamento verso fino alle aree interne del Paese per centrare la seri per recuperare terreno le migliori prospettive di cura. Questo quadomanda di salute che cambia da un luogo a e raggiungere un buon livello dro è allarmante: occorrono provvedimenti un altro. Il nostro obiettivo è portare i diritti e seri per recuperare terreno e raggiungere un i bisogni specifici delle comunità locali nelle di qualità nell’offerta di cura buon livello di qualità nell’offerta di cura e fasi decisionali. nell’equità di accesso alle cure. A cura di Laura Tonon e nell’equità di accesso alle cure.
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LA CERTIFICAZIONE
che fa la differenza L’ E C C E L L E N Z A M U LT I D I S C I P L A R E D I H U M A N I TA S
Intervista a
Corrado Tinterri
Direttore Breast unit Humanitas university, Rozzano
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econdo il Programma nazionale esiti 2023 l’Irccs istituto clinico Humanitas è tra i migliori ospedali italiani. Può dirci quali sono secondo lei i principali punti di forza di Humanitas?
I principali punti di forza sono la gestione multidisciplinare di tutte le patologie e una partnership molto attenta, veloce e rapida tra la gestione operativa e la clinica. Questo accade a tutti i livelli, sia nei reparti ospedalieri sia nei laboratori, riducendo al minimo i tempi morti e i ritardi. Inoltre, ciò consente una pronta identificazione degli eventi sentinella. Un altro aspetto rilevante è la nostra costante attenzione agli indicatori di performance di qualità, sia a livello clinico che operativo. Mi auguro che il Programma nazionale esiti (Pne) diventi sempre più orientativo rispetto agli ospedali italiani aumentando quelli che sono gli indicatori di qualità di performance. Questo porterebbe da una parte a una migliore formazione del personale che lavora all’interno degli ospedali, dall’altro rappresenterebbe sempre di più un marchio di tranquillità e di buona pratica clinica nella struttura che diventa per le pazienti e i pazienti un punto di riferimento.
Quali indicatori determinano la qualità delle cure in senologia? Dal 2011 la nostra breast unit ha ottenuto la certificazione europea Eusoma, che viene conferita nel rispetto di diversi indicatori di performance che riguardano la qualità della chirurgia, l’anatomia patologica, la radiologia, l’oncologia e le altre discipline specialistiche coinvolte, e la quantità per numero di pazienti curate. È stata una grande soddisfazione, perché ha sancito il successo delle prestazioni di Humanitas, dalla diagnosi alla terapia passando per la chirurgia del tumore al seno, per migliorare i percorsi diagnostico-terapeutici del tumore al seno, dalla prevenzione al trattamento in fase avanzata. Il perno centrale del nostro modello assistenziale è proprio la multidisciplinarietà tra tutte le altre figure che ruotano intorno a questa patologia oncologica.
Se dovesse spiegarlo a una paziente, quali sono i vantaggi di rivolgersi a un centro multidisciplinare specializzato nel tumore della mammella? Spiegherei che rivolgersi a questi centri significa aver accesso al miglior percorso praticabile per la diagnosi e cura della malattia oncologica. La breast unit rappresenta l’eccellenza nel percorso di diagnosi, cura e assistenza per il tumore al seno; è un certificato di garanzia per le pazienti e i pazienti che viene assegnato ai reparti organizzati per offrire la migliore assistenza possibile, riducendo al minimo gli inconvenienti dovuti a una bassa qualità delle cure e l’insieme delle complicanze cliniche e tecniche che possono verificarsi all’interno di un ospedale per questa patologia.
Il modello di cura della breast unit si potrebbe esportare anche per altre tipologie di tumore o in altri ambiti per offrire migliori percorsi di cura? Il Piano oncologico nazionale 2022-2027 – paradigma dei percorsi in oncologia – si è ispirato proprio agli esiti ottenuti dalla nostra rete nazionale dei centri di senologia. Secondo i dati di Agenas e Senonetwork, il 94 per cento della patologia oncologica incidente viene trattato nei centri ad alto volume identificati secondo le modalità richieste dai livelli essenziali di assistenza. Questo ha suscitato l’interesse di Stella Kyriakides, commissaria europea per la salute e la sicurezza alimentare. La nostra nazione è considerata un modello a livello europeo nella gestione del tumore al seno.
Il coinvolgimento delle associazioni di pazienti può aiutare a ottenere risultati di eccellenza? Assolutamente sì. La collaborazione con le associazioni di pazienti è un elemento fondamentale tanto nello sviluppo del Pdta, cioè il percorso diagnostico terapeutico assistenziale, quanto nella governance dei centri di senologia. Il coinvolgimento avviene sia attraverso la partecipazione delle pazienti all’interno degli ospedali che nella gestione e distribuzione dei Pdta. In diverse Regioni, queste associazioni svolgono un ruolo cruciale nel verificare che i Pdta condivisi siano adeguati, conformi e rispondenti alle esigenze delle donne che ricevono una diagnosi di tumore al seno.
In periodi di particolare stress del sistema sanitario, come durante la pandemia, è possibile che gli esiti della cura peggiorino? Qual è la vostra esperienza in proposito? La pandemia covid-19 ha rappresentato un disastro per la gestione delle patologie oncologiche per diverse ragioni, a partire dalla prevenzione con l’arresto dei programmi di screening mammografico e delle attività radiologiche. Questo ha portato, come evidenziano i dati del Pne di Agenas, a una riduzione di quasi il 20 per cento delle performance oncologiche in Italia. La gestione dell’emergenza covid-19 ha determinato ritardi nelle diagnosi e nell’inizio dei trattamenti. Oggi constatiamo diagnosi di tumori al seno molto più avanzate, direttamente correlate al ritardo nell’esecuzione dei programmi di prevenzione. A cura di Rebecca De Fiore
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breast unit ogni 250.000 abitanti
150 nuovi casi trattati in un anno
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professionisti specialistici dedicati Le breast unit in Italia. L’intesa Stato-Regioni siglata il 18 dicembre 2014 ha stabilito l’istituzione in tutto il territorio di centri di senologia. Secondo le “Linee di indirizzo sulle modalità organizzative ed assistenziali della rete dei centri di senologia” ciascuna Regione deve dotarsi di una breast unit ogni 250.000 abitanti. Il centro deve soddisfare due requisiti: essere multidisciplinare con un core team polispecialistico (formato da almeno un radiologo, un chirurgo oncologo, un oncologo medico, un patologo, un radioterapista e un data manager) e raggiungere un volume di attività di almeno 150 nuovi casi in un anno. Quasi tutte le Regioni italiane hanno già adottato misure legislative o approvato decisioni della giunta in relazione alle breast unit, seguendo il documento ministeriale. Ad oggi si contano 154 centri di senologia riconosciuti dalla propria Regione. Di questi 20 hanno ricevuto certificazione Eusoma dopo la verifica che tutti i 15 indicatori performance in patologia senologica. (Fonti: Senonetwork, Eusoma)
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Centralità CENTRALITÀ della persona DELLA PERSONA e sostenibilità E SOSTENIBILITÀ DEL del SISTEMA sistema Undici anni di clinical governance al Gemelli
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n anniversario sta passando sotto silenzio in questo 2023 così cruciale per il nostro sistema sanitario: i 25 anni da quando Scally e Donaldson definivano la clinical governance come un sistema di responsabilizzazione e di miglioramento continuo della qualità (clinical excellence), grazie alla creazione di un favorevole ambiente organizzativo (operational excellence)1. Nel 2012 venni chiamato, credo tra i primi in Italia, ad applicare al Gemelli la clinical governance progettando un modello organizzativo centrato sulla persona assistita, che ribaltava di novanta gradi i silos tradizionali dei dipartimenti assistenziali verso un approccio “a filiera” attorno alle fasi del processo di cura, grazie ai percorsi clinico assistenziali (Pdta/Pca). In undici anni abbiamo prodotto oltre sessanta Pdta/Pca, alcuni realizzati e rivisti con le associazioni di pazienti, integrati nelle nascenti reti di patologia, per supportare le decisioni dei team multidisciplinari sulle linee guida e introdurre regole di accountability sulle performance. Tra mille difficoltà, come dicevano Scally e Donaldson, abbiamo provato a creare un “ambiente organizzativo che facesse fiorire l’eccellenza clinica”. Questo sforzo organizzativo conta oggi su una squadra di oltre sessanta champions, autorevoli, e preferibilmente giovani, coordinatori clinici di percorso che sempre più lavorano fianco a fianco con i care managers, facilitatori nella realizzazione integrata ed evidence based dei processi assistenziali. Tutto facile? Undici anni fa mi sentivo un regista del cambiamento organizzativo dalle armi un po’ spuntate, poiché scarsi o deboli erano allora gli strumenti utili a rendere responsabili, accountable, i team assistenziali e il management aziendale su: qualità dell’assistenza; centralità logistica, informativa e relazionale del paziente; sostenibilità organizzativa ed economica. Ed oggi? Dobbiamo ad alcuni provvidenziali “segnali di sistema” se la clinical governance non è più solo uno sforzo culturale di cambiamento promosso da clinici e manager illuminati. E se il suo destino è ormai positivamente ineludibile, non solo, auspicabilmente, al Gemelli.
I cinque segnali di sistema provvidenziali 1. Il dm 70/2015 prescrive che le strutture ospedaliere, per essere accreditate, debbano “promuovere e attivare standard organizzativi secondo il modello di governo clinico” (traduzione inesatta e culturalmente fuorviante di clinical governance) con una documentata e formalizzata presenza di sistemi o attività di: implementazione di linee guida e definizione di protocolli diagnostico-terapeutici specifici; valutazione Antonio Giulio e miglioramento continuo delle attività cliniche; misurazione della de Belvis performance clinica e degli esiti; audit clinico, percorsi clinico assiDirettore Uoc Percorsi stenziali. Strumenti che sono anche il collante organizzativo delle reti e valutazione assistenziali, rilanciate proprio dal dm 70/2015. outcome clinici, Fondazione Policlinico 2. La legge 208/2015 (legge di stabilità 2016) ha disposto che tutte le Agostino Gemelli – Irccs strutture che erogano prestazioni sanitarie si debbano dotare di perResponsabile corsi di: audit o altri processi finalizzati allo studio dei processi interni GovgValue Lab, e delle criticità più frequenti; rilevazione del rischio di inappropriaFacoltà di economia tezza nei Pdta/Pca, fino a prevedere la messa in Piano di rientro delle Università Cattolica del Sacro Cuore organizzazioni sanitarie pubbliche che non rispettino oltre criteri di Direttore comitato buona gestione economica, anche standard di qualità adeguati. scientifico – Asiquas 3. La legge Bianco-Gelli 24/2017 sulla responsabilità medica e la sicurezza delle cure tutela in sede di giudizio l’operatore sanitario che abbia rispettato linee guida o buone pratiche assistenziali. Quindi, se ha applicato lo strumento cardine della clinical governance, i Pdta/Pca. Fluidificare con 4. E soprattutto, in piena epidemia covid-19 – era il marzo 2021 – l’efle regole dei Pdta/Pca fetto dirompente di un atto di democrazia e trasparenza: aver reso di libero accesso – public reporting – a tutti, cittadini, erogatori, progli snodi delle reti fessionisti, regolatori, mass-media i dati del Programma nazionale esiti (Pne) di Agenas, cosa che il PReValE del Lazio, in verità, aveassistenziali serve va già realizzato mesi prima. Sebbene l’uso delle informazioni rese a ridurre il rischio pubbliche da parte dei pazienti sia (ancora) relativamente basso, il public reporting, in quanto sistema di rendicontazione pubblica, di insostenibilità ha dimostrato di ottimizzare la qualità dell’assistenza incentivando organizzativa e strutture e professionisti a migliorare la loro pratica, anche se, per finanziaria della essere efficaci, le informazioni devono essere facilmente accessibili e 2 gestione di problemi basate su indicatori validi e affidabili . Il nostro Paese, leader in questo in Europa, ha costruito negli anni intorno all’esperienza del Pne di salute complessi uno strumento formidabile di miglioramento della qualità perché è diventato metro di reputazione di manager e professionisti, inoltre e non innescare/ condiziona i comportamenti di decisori e regolatori e responsabilizingigantire za le singole aziende ospedaliere e territoriali promuovendo con la le diseguaglianze. pubblicazione dei dati percorsi interni di audit. t
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t Le basi per una clinical governance Che cosa serve ora perché tutte le strutture sanitarie possano sistematizzare in “cassette degli attrezzi”3 buone pratiche, linee guida, Pdta/Pca, metodologie di audit & feedback per i team assistenziali? Perché siano superate le resistenze al cambiamento, i vincoli burocratici, le autoreferenzialità e quella medicina difensiva che sono il vero nemico di un’assistenza di qualità realmente centrata sulla persona e per svincolare il singolo medico che creda nella qualità dalla discrezionalità e dall’isolamento? La mia esperienza sul versante dell’assistenza e della ricerca dimostra come lo sforzo organizzativo potrà essere sostenibile se saremo anche capaci di: • fluidificare con le regole dei Pdta/Pca gli snodi delle reti assistenziali. Questo, nel beneficio di sistema, serve anche a ridurre il rischio di insostenibilità organizzativa e finanziaria della gestione di problemi di salute complessi e non innescare/ingigantire diseguaglianze nell’accesso e negli esiti delle cure nei macrolivelli della governance (prevenzione, territorio, ospedale) o tra le Regioni; • combinare la patient centerdness con la personalized care, grazie alla profilazione genomica, che arricchisce l’efficacia decisionale del team multidisciplinare nell’integrazione con il molecular board; • nella continuità territorio-ospedale, applicare la stratificazione del rischio di popolazione/progetto di salute nelle nuove modalità di presa in carico, da una medicina di attesa ad una medicina di iniziativa; • sul versante delle risorse umane, supportare i (sempre più ridotti e demotivati) organici medici ed infermieristici con esperti di informatica e Ict, logistica/operations, case manager, risk manager, economisti sanitari; • sviluppare i sistemi informativi e con essi la digitalizzazione dei percorsi e delle reti; • nell’ottica value based, includere la prospettiva del paziente tra le dimensioni da monitorare nella qualità dell’assistenza. Questo vuol dire arricchire nel monitoraggio dei Pdta/Pca gli indicatori di processo ed esito con i Prems (Patient reported experience measures) e i Proms (Patient reported outcome measures). Per il nostro sistema sanitario, centrare ancora di più sulla prospettiva della persona i sistemi di tariffazione e rimborso – ormai inadeguati – può favorire il perseguimento sostenibile della clinical governance in tutte le organizzazioni sanitarie, a partire dal Gemelli. F
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ome viene vissuto il Programma nazionale esiti (Pne) da un’azienda sanitaria: come una spinta a migliorare l’offerta e la qualità dei servizi per i cittadini e a superare le criticità, oppure c’è il rischio che sia percepito come un “esame da superare”?
Intervista a
1. Scally G, Donaldson LJ. Clinical governance and the drive for quality improvement in the new Nhs in England. BMJ. 1998;317:61-5. 2. Cacace M, Geraedts M, Berger E. Public reporting as a quality strategy. In: Busse R, Klazinga N, Panteli D et al. (Editors). Improving healthcare quality in Europe: characteristics, effectiveness and implementation of different strategies. Copenhagen: European Observatory on Health Systems and Policies, 2019. 3. de Belvis AG, Bucci S. Come organizzare l’assistenza del paziente per percorsi di cura. L’esperienza presso la Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli. Milano: Casa Editrice Vita e Pensiero, 2018.
Tiziana Frittelli
Presidente Federsanità Direttrice generale Azienza ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma
Il Pne è uno degli strumenti più potenti a disposizione dei professionisti e delle aziende. Lo definirei una misura di grande civiltà sanitaria perché induce il management a veicolare una spinta verso tutto il mondo professionale che, devo dire, negli anni è diventato sempre più consapevole della potenza di questo strumento verso soluzioni organizzative che migliorano le performance aziendali, ma anche la vita dei pazienti. Due sono gli esempi a sostegno che forse possono sembrare banali, ma che in realtà hanno avuto un impatto nel mondo sanitario incredibile. Personalmente ritengo che una delle più efficaci indicazioni inserite all’interno del Dm 70 sia stato il modello trasferito dalle linee guida della European society of breast cancer specialists in materia di breast unit. Lo ritengo un dato fondante perché è proprio sul modello della breast unit che si stanno impostando le modalità di presa in carico dei pazienti oncologici e non solo. Il fatto che si tratti di un tipo di approccio multidisciplinare con specialisti dedicati rispetto a un fattor comune – che è il volume del numero di patologie neoplastiche prese in carico per poter sviluppare una expertise specifica e anche di alcuni indicatori di qualità relativi alla performance – ha contribuito sì al calo in Italia della mortalità per cancro al seno del 20 per cento ma anche, per l’appunto, alla messa a punto di un modello organizzativo. Un altro esempio è quello relativo alla frattura del collo del femore nell’anziano ultrasessantacinquenne entro le 48 ore. Chi sta sul campo sa bene che questa è una misura organizzativa dove occorre allineare una serie di professionisti: innanzitutto l’anestesista, unitamente al cardiologo, al chirurgo, al personale di sala. Questi sono i due esempi più eclatanti per mostrare quanto il Pne governi l’organizzazione aziendale. Il Pne è la nostra bussola ma è anche un sistema di ingaggio dei nostri professionisti, tanto più che oggi noi siamo in grado di monitorare gli indicatori del Pne per i singoli professionisti. Occorre però fare un salto di qualità e di appropriatezza organizzativa.
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CHE INDICA
la via maestra G L I E S I T I C O M E G U I D A A L M A N A G E M E N T S A N I TA R I O
situazioni di criticità. Un altro esempio riguarda la separazione rispetto agli esiti delle valvole cardiache, sia tradizionali che transcateterali. In questo caso il Pne è in grado di darci gli esiti rispetto all’utilizzo delle innovazioni tecnologiche su una certa popolazione.
Qual è invece l’impatto del nuovo sistema di garanzia che il Ministero della salute utilizza per monitorare l’adesione da parte delle Regioni all’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea)?
In riferimento al ruolo cruciale che ha delineato del Pne, cosa serve per poter fare questo salto di qualità nell’organizzazione e programmazione sanitaria? Innanzitutto, le Regioni devono iniziare a utilizzare questi indicatori per orientare l’intera programmazione delle reti ospedaliere e fare scelte allocate illuminate per garantire eguale accesso alle cure. Un secondo elemento di cruciale importanza riguarda la necessità di affrontare risultati non brillanti attraverso audit clinici e risk management: l’intera nostra attività deve orientarsi verso l’individuazione e la prevenzione dei rischi. Quando vediamo, ad esempio, che in un determinato contesto la mortalità supera i 30 giorni ed è superiore alla media regionale e nazionale, è essenziale capire le cause sottostanti dei problemi. L’altra funzione importante del Pne è quella di aiutarci a capire quale sia l’andamento di settori come quello delle innovazioni tecnologiche. Per esempio, è utile monitorare il livello di trattamento del cancro del colon attraverso la laparoscopia, che Il Pne è la nostra bussola prevede minor invasività e una convalescenza ma è anche un sistema più veloce. In Italia, la percentuale di interventi eseguiti con questa modalità si attesta intordi ingaggio dei nostri no al 50 per cento. Il Paese più avanzato è la professionisti, tanto più che Gran Bretagna, con una percentuale pari al 70 per cento – il restante 30 per cento è riservato oggi noi siamo in grado di agli interventi in urgenza che presumibilmente monitorare gli indicatori del si effettuano in open anche per ragioni legate al paziente, che spesso non è adeguatamente Pne per i singoli professionisti. preparato. In realtà, la Gran Bretagna è arriOccorre però fare un salto vata a questo risultato grazie a un’intensa attività di formazione. Sapere che c’è una grossa di qualità e di appropriatezza quota, soprattutto in alcune Regioni, in cui il organizzativa. cancro del colon viene trattato open anziché in laparoscopia ci dice molto sugli interventi organizzativi e formativi da mettere in campo e sul tipo di competenze professionali carenti. È qui che comincia ad emergere il doppio ruolo della valutazione del Pne: il primo legato al management aziendale, il secondo al professionista. In questa ottica occorre agganciare il sistema di valutazione Pne a quello di valutazione sia del singolo professionista sia dell’azienda che, tuttavia, non ha strumenti di transizione della valutazione Pne a quella individuale che possano incidere su vere scelte di cambiamento di sistema. Infatti, i sistemi di valutazione individuale dei professionisti sono lunghi e farraginosi e mal si conciliano con scelte tempestive di qualità assistenziale, da assicurare non appena emergano
Credo che sia un po’ limitativo che dei 22 indicatori core del nuovo sistema di garanzia per il monitoraggio dei Lea solo quattro riguardino il Pne; trovo, altresì, sconveniente che rispetto al nuovo sistema di garanzia solo l’1 per cento del fondo sanitario nazionale sia vincolato a quegli esiti – perché il Pne dovrebbe avere sull’ospedaliero un peso molto maggiore, anche in termini di finanziamento. Infine, ritengo che uno dei motivi per i quali non si è sviluppato il territorio è anche il sistema di finanziamento per quota capitaria che, a mio avviso, non spinge verso situazioni performanti, almeno laddove non ci siano i sistemi di valutazione adeguati sul territorio. Quindi è urgente che il Pne si sviluppi rispetto ad indicatori di performance e di qualità del territorio.
Come evolve, o dovrebbe evolvere, la misurazione degli esiti di un’azienda sanitaria in un’ottica di medicina territoriale e di gestione delle cronicità? Accanto ad alcuni indicatori già presenti, per esempio il ricorso alle acuzie rispetto a chi è paziente cronico, in realtà dovremmo individuare altri indicatori che ci dicano assolutamente qual è il livello di presa in carico visti i problemi di sostenibilità del sistema in generale e visti i problemi di presa in carico della cronicità. Sarà, quindi, fondamentale agganciare una serie di indicatori a quella che è la presa in carico attraverso l’assistenza domiciliare, visto che una delle direttrici fondamentali del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è proprio quello della casa come principale luogo di cura. Anche sull’aspetto prevenzione vanno sviluppati alcuni indicatori, soprattutto per la promozione di sani stili di vita. Se devo fare un raffronto col nuovo sistema di garanzia, sull’aspetto della sanità distrettuale ci sono indicatori rispetto alle vaccinazioni obbligatorie e agli screening oncologici; in realtà ci dovremmo inoltrare su indicatori che ci dicano quanto i dipartimenti di prevenzione stiano lavorando sui sani stili di vita e sulla salute one health. Occorrerebbe sviluppare tanto l’aspetto della prevenzione, al di là degli indicatori già contenuti all’interno del nuovo sistema di garanzia, quanto quello della presa in carico territoriale. Esistono già strumenti innovativi molto importanti del Pnrr sul territorio: le centrali operative territoriali, il 116 117 come coordinamento delle cure non urgenti, la valutazione multidimensionale che viene fatta per il paziente cronico presso i punti unici di accesso delle case di comunità, il potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata. A questi strumenti noi dovremmo connettere degli indicatori che siano in grado di dirci come si comporta il territorio, compreso qualche indicatore che ci dica quale aggancio c’è tra i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta e gli specialisti presenti sul territorio. Occorre, con urgenza, progettare un set di indicatori che monitori lo sviluppo della sanità territoriale, come prevista dal Pnrr e che ci dia più strumenti per correlare le liste di attesa con l’appropriatezza prescrittiva, augurandoci, poi, che le Regioni facciano le loro scelte allocative e programmatorie sulla base di questi strumenti. A cura di Giada Savini
Fotografare un’attesa, immaginarla. Aspettare l’immagine e cogliere il momento decisivo. Documentare un risultato. Di uno studio, di un lavoro o di una scelta. Raccontare ciò che viene fuori, tutto quello che si svela e svela. Foto di Lorenzo De Simone
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M A
COSA
N E
PE N SA
IL PAZIENTE? I patient reported outcomes in oncologia
Interviste a
Massimo Di Maio
Direttore Sc Oncologia medica, Ospedale Molinette – Aou Città della salute e della scienza, Torino
Francesco Perrone
Direttore Unità sperimentazioni cliniche Istituto nazionale tumori – Irccs Fondazione Pascale, Napoli Presidente Aiom
I
n quale contesto dovremmo inserire la ricerca sui Patient reported outcomes (Pros)?
FR AN CE SCO PE R RO N E . Da molti anni sappiamo che se lasciamo solo ai medici la valutazione degli effetti dei trattamenti, perdiamo informazioni importanti, come ad esempio indicazioni sulla qualità della vita o su effetti collaterali fortemente soggettivi riferiti dai pazienti. Questa consapevolezza ha portato allo sviluppo di strumenti che consentono ai pazienti di fornire informazioni dirette, non filtrate dagli operatori sanitari, riguardo all’impatto del trattamento sulla loro qualità di vita e alla tossicità finanziaria. I Pros sono nati come strumento per valutare gli esiti della sperimentazione clinica, migliorando così l’informazione da dare ai pazienti futuri grazie a una comprensione più completa degli esiti rispetto a quella derivante solo dall’interpretazione dei medici.
Gli esiti riportati dai pazienti differiscono spesso da quelli riconosciuti dai medici curanti. Queste discrepanze riguardano gli esiti reali delle terapie, quantità e gravità degli effetti collaterali della cura, o altri parametri? M A SS I M O D I M AI O. Da un lato, si riferiscono agli eventuali effetti collaterali delle terapie che, purtroppo, in ambito oncologico, possono essere significativi, compresi gli effetti soggettivi che sono particolarmente esposti al rischio di sottostima da parte di medici e operatori sanitari. Dall’altro lato, coinvolgono anche i sintomi della malattia. Dal momento che l’obiettivo è curare il paziente e non la malattia, è essenziale fotografare tutti i sintomi della malattia e gli esiti dei trattamenti, indipendentemente dalla loro causa: questo è il presupposto per garantire la migliore cura possibile. Esiste una consistente letteratura, sia a livello internazionale che italiano, che evidenzia come gli oncologi abbiano la tendenza a sottostimare i sintomi e gli effetti collaterali. Anche per questo motivo, è fondamentale dare voce ai pazienti.
I Pros nascono come uno strumento di valutazione degli esiti della sperimentazione clinica, per una migliore informazione ai pazienti grazie a una conoscenza più completa di quella che deriva solo dall’interpretazione dei medici. — Francesco Perrone
A cosa sono attribuibili le diverse valutazioni dei sintomi e degli esiti delle terapie? M D M . Le ragioni sono state oggetto di studio e risultano diverse. Certamente, emerge un problema di comunicazione durante le visite tradizionali, spesso affrettate e basate su domande improvvisate. L’utilizzo di strumenti che raccolgono le informazioni in modo sistematico può ridurre il rischio di sottostima da parte degli oncologi e, al contempo, agevolare il paziente che talvolta potrebbe dimenticare di riportare determinati aspetti. Ad esempio, la letteratura scientifica evidenzia che alcuni pazienti temono che la segnalazione di troppi effetti collaterali possa portare a interruzioni nel trattamento, comportando così un rischio aggiuntivo.
Una consistente letteratura, internazionale e italiana, evidenzia la tendenza degli oncologi a sottostimare i sintomi e gli effetti collaterali. Anche per questo motivo, è fondamentale dare voce ai pazienti. — Massimo Di Maio La natura spesso soggettiva della rilevazione dei Pros può condizionare il loro uso nella valutazione rigorosa degli effetti delle terapie? M D M . Questa è un’obiezione che ho riscontrato anche tra alcuni colleghi autorevoli. Tuttavia, personalmente, ritengo che sia un punto positivo il fatto che i Pros siano soggettivi: catturare il punto di vista del paziente è proprio il loro obiettivo principale. Questo potrebbe riflettere una prospettiva un po’ datata, che relegava tali endpoint a un ruolo secondario, marginale, perché ritenuti di scarsa affidabilità e qualità rispetto agli esiti misurati direttamente dagli sperimentatori. La visione moderna, al contrario, tende a considerare i Pros come endpoint e obiettivi di grande valore, perché contribuiscono alla reale definizione del valore del trattamento. Anche le agenzie regolatorie hanno esplicitamente riconosciuto l’importanza di questi endpoint, tant’è vero che raccomandano la produzione di evidenze in questo ambito.
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Strumenti di rilevazione digitale possono rivelarsi utili nel monitoraggio degli esiti vissuti e riferiti dai pazienti? M D M . Certamente. Inizialmente, sono stati impiegati principalmente strumenti cartacei, i quali contribuiscono comunque a ottimizzare lo svolgimento delle visite, garantendo una struttura predefinita e sistematica nella valutazione dei sintomi attraverso una lista predefinita. I vantaggi significativi degli strumenti digitali risiedono nella possibilità di comunicare e scambiare informazioni non solo durante le visite, ma anche nel periodo intercorrente tra una visita e l’altra. Ciò consente all’oncologo, all’infermiere e ad altri professionisti sanitari di ricevere informazioni dal paziente, che si trova a casa, tra una somministrazione di terapia e un’altra, e di poter intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni di problemi, evitando così un peggioramento che potrebbe influire sulla qualità della vita del paziente. Diversi studi, compresi quelli randomizzati, hanno documentato l’impatto positivo di tali strumenti digitali, evidenziando una riduzione degli accessi al pronto soccorso e delle ospedalizzazioni nonché dei miglioramenti nella soddisfazione del paziente, nei sintomi, nella qualità di vita e aspettativa di vita. È quindi fondamentale considerare queste evidenze, tanto che l’European society of medical oncology (Esmo) ha pubblicato lo scorso anno le prime linee guida sul monitoraggio dei sintomi, sottolineando in particolare l’adozione di strumenti digitali nella gestione dei pazienti oncologici in trattamento attivo.
Ora che abbiamo le evidenze scientifiche e che una società scientifica come l’Esmo ha prodotto delle linee guida quali sono le sfide? M D M . La principale sfida consiste nell’implementare questo modello operativo nelle nostre realtà quotidiane. È essenziale fornire strumenti sia ai pazienti che agli operatori sanitari, creando soprattutto le condizioni affinché questo sistema funzioni. Una parte del tempo del personale sanitario deve essere dedicata alla lettura delle segnalazioni ricevute dai pazienti e alla reazione proattiva per la gestione dei problemi riferiti. Tutto ciò richiede tempo e organizzazione, oltre a personale sanitario dedicato che deve essere formato sulla necessità di sfruttare questo approccio. C’è molto entusiasmo nella comunità scientifica, ma sono necessarie risorse, non solo economiche, affinché questo si traduca concretamente nella nostra pratica clinica e nel sistema sanitario italiano.
I vantaggi significativi degli strumenti digitali risiedono nella possibilità di comunicare e scambiare informazioni non solo durante le visite, ma anche nel periodo intercorrente tra una visita e l’altra. — Massimo Di Maio La tossicità finanziaria potrebbe diventare un indicatore del Programma nazionale esiti per valutare il miglioramento della qualità dell’assistenza? FP. La tossicità finanziaria è uno degli esiti che dovrebbero essere misurati attraverso l’uso di questionari compilati dai pazienti, quindi nell’ambito dei Pros. Essa è un indicatore sia di una condizione che può prescindere dalla terapia in corso, ma anche di una condizione strettamente legata alla malattia oncologica. Abbiamo dati che indicano che la tossicità finanziaria può cambiare a causa del trattamento: se i trattamenti risultano efficaci e consentono, ad esempio, a un commerciante di riprendere la sua attività lavorativa grazie al controllo dei sintomi, si può osservare un miglioramento del disagio economico che il cancro può causare limitando le capacità lavorative e produttive del paziente. Tuttavia, per certi versi, la tossicità finanziaria è anche un indicatore del funzionamento del Servizio sanitario nazionale, poiché molte dei fattori che la determinano risalgono a dinamiche organizzative. E in questo senso, riuscire a dimostrare che il Servizio sanitario nazionale è in grado di contenere e non di aumentare la tossicità finanziaria potrebbe essere un modo per valutare la sua qualità ed efficienza.
Dimostrare che il Servizio sanitario nazionale è in grado di contenere e non di aumentare la tossicità finanziaria potrebbe essere un modo per valutare la sua qualità ed efficienza. — Francesco Perrone
t
In un Paese con un’assistenza sanitaria universale come si manifesta la tossicità finanziaria? FP. Siamo rimasti sorpresi nello scoprire che la tossicità finanziaria è presente anche in Italia, un Paese con uno dei migliori servizi sanitari nazionali del mondo. Il nostro servizio sanitario garantisce le cure del cancro a tutti i cittadini, ma la cura dei pazienti non riguarda solo farmaci, interventi chirurgici o radioterapia; coinvolge anche l’organizzazione. Il nostro questionario Proffit, che misura il grado di tossicità finanziaria e fornisce indicazioni sui suoi determinanti, ha evidenziato tre principali fattori. Uno riguarda i trasporti: il questionario ha rivelato che la distanza media tra la casa e l’ospedale degli oltre 500 pazienti partecipanti è di circa 25 chilometri, spesso con un passaggio dalla periferia al centro della città, dove generalmente si concentrano i centri oncologici. Un altro tema è la qualità della presa in carico dei pazienti: i pazienti oncologici necessitano di essere presi in carico da un sistema multidisciplinare che includa un oncologo, un chirurgo, un radioterapista, un genetista e uno psicologo. Se queste figure collaborano tra di loro, la tossicità finanziaria può essere ridotta. Tutto ciò evidenzia l’importanza delle reti oncologiche per garantire una presa in carico tempestiva ed efficiente. L’ultimo aspetto riguarda ciò che il Servizio sanitario nazionale non copre. Se da un canto, il servizio sanitario fa bene a non pagare farmaci o presunti farmaci la cui efficacia non è dimostrata, e noi medici dobbiamo fare attenzione a non prescrivere supporti che devono essere pagati direttamente dai pazienti, dall’altro ci sono servizi che il sistema dovrebbe garantire maggiormente rispetto a quanto faccia attualmente. Tra questi, per esempio, la diagnostica in molte Regioni, su cui è necessario prestare maggiore attenzione, così come alcune cure di supporto, come la fisioterapia o la psicoterapia, che possono fare molto per la qualità della vita dei pazienti.
A cura di Rebecca De Fiore
Valutare gli esiti continua a p. 39
“Una consistente letteratura evidenzia la tendenza degli oncologi a sottostimare i sintomi e gli effetti collaterali. Anche per questo motivo, è fondamentale dare voce ai pazienti”. Quanto la trova d’accordo questa affermazione?
La natura spesso soggettiva della rilevazione degli esiti riferiti dal paziente (Pros) può condizionare il loro uso nella valutazione rigorosa degli effetti delle terapie?
64%
Concordo pienamente, la voce dei pazienti deve sempre essere presa in considerazione
35%
Abbastanza, bisogna trovare il giusto equilibrio
1%
No, quella che conta è l’opinione del medico
76%
Ritengo che sia un punto di forza il fatto che i Pros siano soggettivi
24%
Tali endpoint devono avere un ruolo secondario
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IL VALORE
dell’ascolto del paziente U N ’A L L E A N Z A T R A C L I N I C I , R I C E R C AT O R I , PA Z I E N T I E I N D U S T R I A P E R D A R E VA L O R E A G L I E S I T I R I F E R I T I D A L PA Z I E N T E AT T R AV E R S O L A L O R O R A C C O LTA S I S T E M AT I C A E L A S TA N D A R D I Z Z A Z I O N E DEGLI STRUMENTI DI MISURAZIONE.
Intervista a
Stefania Angelini Pipeline Lead, Roche Italia
Luisa De Stefano Patient Partnership Lead, Roche Italia
A
genzie regolatorie ed esiti riferiti dal paziente: a che punto siamo?
Prima la Food and drug administration (Fda) e poi la European medicines agency (Ema) hanno rilasciato linee di indirizzo sull’importanza e modalità di raccolta degli esiti riferiti dai pazienti (patient reported outcomes –Pro). È però evidente che, anche a livello internazionale, il valore dei Pro ancora non è ben chiaro e condiviso. Sicuramente c'è attenzione, ma questi aspetti così importanti non riescono ancora a contribuire al processo dell’autorizzazione regolatoria. Anche in Italia l’attenzione dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nei confronti dei Pro sta aumentando, ma la mancanza di criteri e ambiti di utilizzo chiari di questi parametri vanifica gran parte del potenziale che gli esiti autoriferiti dai pazienti potrebbero avere nella valutazione di una terapia.
Qual è invece la prospettiva delle industrie farmaceutiche sui Pro? Per le grandi aziende farmaceutiche il valore degli esiti riferiti dai pazienti risulta rilevante, tanto che da tempo la maggioranza di esse inserisce nei propri protocolli di sviluppo clinico i Pro come endopoint. Roche è convinta che ascoltare la voce del paziente e raccoglierne le istanze, mediante misurazioni condivise e validate, può portare ingenti benefici nelle decisioni di politica sanitaria. Il dato riferito dal paziente presenta infatti diversi vantaggi: permette di considerare gli aspetti soggettivi relativi al benessere della persona, compresa la sua qualità della vita, le scale funzionali e i sintomi; monitora l’an-
Ascoltare la voce del paziente e raccoglierne le istanze, mediante misurazioni condivise e validate, può portare ingenti benefici nelle decisioni di politica sanitaria.
damento di un trattamento, potenzialmente migliorando l’aderenza del paziente; fornisce input importanti per la definizione del valore di una terapia; contribuisce alla personalizzazione delle terapie in base alle esigenze del paziente; facilita l’interpretazione dei risultati degli studi clinici; e misura la qualità dei servizi sanitari in un determinato contesto, indirizzandone entro certi limiti l’utilizzo. L’ascolto della voce del paziente può contribuire quindi a rendere il sistema sanitario più sostenibile. Per raggiungere questi obiettivi è fondamentale pervenire a una chiara disciplina sulla raccolta e l’impiego dei Pro. La misurazione dei Pro avviene attraverso strumenti, scale e questionari, nell’insieme chiamati patient reported outcome measures (Prom) che, combinati con i dati clinici, forniscono un quadro più completo dello stato di salute del paziente. La raccolta di questi dati consente di ottenere la prospettiva della persona che vive la malattia riguardo a un determinato trattamento, andando aldilà del dato clinico di sicurezza ed efficacia tradizionalmente misurato dagli sperimentatori, e raccogliendo quindi le istanze riferite agli aspetti intangibili del benessere della persona: funzionamento fisico e cognitivo, burden sociale e benessere psichico ed emotivo.
Dunque il vostro impegno va nella direzione di rendere più sistematico l’utilizzo dei Pro nell’attività clinica e regolatoria? Come premessa, desideriamo dire che Roche è stata una delle prime aziende a comprendere l'importanza del coinvolgimento delle associazioni dei pazienti nelle proprie
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Migliore definizione del profilo costi-benefici degli interventi sanitari
Informazioni più complete alle autorità regolatorie
ESITI RIFERITI DAL PAZIENTE
Migliore assessment degli “intangible symptoms” • fatigue • disturbi dell’umore • insonnia • ecc.
Indicazioni più precise per i panel di linee guida e Pdta
Migliore monitoraggio degli effetti delle terapie
Migliore follow-up
Maggiore aderenza
strategie aziendali, tanto che ha creato una funzione specifica, la Patient Partnership, indipendente dall’attività di altre funzioni come la comunicazione e l’istituzionale, ma focalizzata esclusivamente ad includere il punto di vista del paziente facendo sì che lo stesso sia presente lungo tutto il ciclo di vita del farmaco e non solo in alcune fasi di esso. Questa è la cornice in cui si inquadrano le attività legate al progetto PRO4all che ha come obiettivi: • valorizzare la voce del paziente, attraverso una raccolta strutturata, omogenea e metodologicamente riconosciuta, così che possa contribuire al percorso regolatorio. Questo è un punto cruciale perché l'autorità regolatoria al momento non riesce ancora a definire quale possa essere il processo più corretto per la misurazione dei Pro: in assenza di una standardizzazione almeno all’interno di una stessa patologia è più difficile dare agli esiti riferiti dai pazienti quel peso che meritano; • prevedere la presenza e la partecipazione attiva di rappresentanti delle associazioni di pazienti ai tavoli istituzionali, compresa Aifa; • sensibilizzare il mondo della ricerca clinica, la comunità scientifica e le istituzioni sull’importanza di dare la massima diffusione agli esiti riferiti dai pazienti.
Per questa attività avete stretto delle collaborazioni? Sì, per raggiungere questo obiettivo, lavoriamo con un board trasversale a diverse aree terapeutiche, dall’oncologia alla neurologia, collaborando con società scientifiche che rappresentano questi ambiti come l’Associazione
In assenza di una standardizzazione almeno all’interno di una stessa patologia è più difficile dare agli esiti riferiti dai pazienti quel peso che meritano.
italiana di oncologia medica (Aiom), la Società italiana di neurologia (Sin), la Federazione italiana dei gruppi cooperativi in oncologia (Figog) e Associazione italiana di miologia (Aim). Oltre a questi partner, ci affiancano associazioni pazienti rappresentative di queste aree come Favo per l'oncologia, l’Associazione italiana per la sclerosi multipla (Aism) e Uniamo, per le malattie rare. Inoltre, in questo lavoro ci siamo fatti accompagnare da un team di ricercatori di SDA Bocconi school of management.
Oltre ai dati di Ema1, le vostre ricerche hanno anche portato informazioni sul nostro Paese? Sì. Un secondo studio – pubblicato su Global & Regional Health Technology Assessment – si è concentrato sull’attività di Aifa tra il 2017 e il 20212. L’analisi statistica ha rivelato un’associazione non significativa tra l’uso dei Pro e il riconoscimento della rimborsabilità, ma significativa rispetto all’innovatività. In altre parole, gli studi sui farmaci innovativi presentano una frequenza di utilizzo dei Pro significativamente più elevata rispetto ai non innovativi (71,7 per cento vs 43,7 per cento). Tuttavia, dei 46 farmaci innovativi, soltanto 9 riportavano espressamente l’utilizzo di Pro nelle schede di innovatività analizzate individualmente, di cui 4 si limitavano esclusivamente alla valutazione della qualità di vita.
Tornando al tema della specificità dello sguardo di un’azienda sugli esiti riferiti dai pazienti, perché ritenete che dal loro sistematico reporting possa trarre beneficio l’assistenza sanitaria nel suo complesso? Perché in molti casi i Pro possono evidenziare un diverso profilo di tollerabilità dei diversi trattamenti per una stessa patologia. Oppure possono fornire informazioni sulla disponibilità di trattamenti che promettono maggiore aderenza da parte del paziente. Sono tutti temi che concorrono a dare un valore anche economico al sistema, e quindi in prospettiva a contribuire alla sostenibilità del costo delle terapie all'interno della più complessiva spesa necessaria per la presa in carico del paziente da parte del sistema sanitario. A cura della Redazione
1. Meregaglia M, Malandrini F, Angelini S, Ciani O. The assessment of patient-reported outcomes for the authorisation of medicines in Europe: a review of European Public Assessment Reports from 2017 to 2022. Appl Health Econ Health Policy 2023;21:925-35. 2. Malandrini F, Borroni C, Meregaglia M, Sarra M, Ciani O. Il ruolo degli esiti riferiti dal paziente nelle decisioni di rimborso e innovatività dei farmaci in Italia. Glob Reg Health Technol Assess 2023;10:12-7.
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Dai benefici clinici agli esiti attesi dai pazienti. La chiave per l’accesso all’innovazione
I
l coinvolgimento delle associazioni di pazienti nel processo di valutazione dei clinical benefit e nei processi di sperimentazione clinica: quali sono gli esiti
attesi da un paziente? Cosa il paziente si aspetta da una determinata terapia a seguito di un bisogno terapeutico ancora parzialmente o totalmente non soddisfatto?
Federico Villa
Ass. Vice President Corporate Affairs & Patient Access, Eli Lilly Italia General Manager Lilly Foundation
Nel processo di definizione di prezzo e rimborso di un nuovo farmaco vengono utilizzati principalmente due criteri: uno strettamente tecnicoscientifico basato sui dati generati dagli studi clinici per la misurazione del valore terapeutico e un altro di valutazione economico-sanitaria della costo-efficacia e dell’impatto sul budget ai fini della definizione del prezzo e rimborsaUna terapia con minori effetti bilità del medicinale. In questo processo manca però la valutazione dell’impatto del nuovo indesiderati può già di per farmaco sulla qualità di vita di chi beneficerà sé soddisfare un importante di quella nuova terapia: a partire dalla modalità di somministrazione, fino all’eliminaziobisogno insoddisfatto, ne di sintomi non considerati però rilevanti così come un farmaco con un come outcome clinici nella valutazione del beneficio. Aspetti spesso sottovalutati che pometodo di somministrazione trebbero invece garantire un significativo miche agevoli il paziente glioramento della vita del paziente, andando a limitare l’impatto della malattia e della cura nel convivere con la terapia nella quotidianità e supportando l’aderenza e, quindi, dimenticare alla terapia stessa con conseguenti migliori esiti terapeutici. Se si pensa, ad esempio, ai il suo stato patologico.
pazienti affetti da una malattia cronica costretti ogni giorno a convivere, anche psicologicamente, con la ripetuta necessità di cura (che genera, in molti casi, l’impossibilità di vivere una vita considerata “normale”), l’impatto risulta ancora maggiore. Una valutazione di questo genere va però oltre l’aspetto tecnico-scientifico ed economico, preso attualmente in esame dal pagatore, e dovrebbe invece essere inclusa attraverso il coinvolgimento attivo dei pazienti nel processo istruttorio o decisionale, così da considerare anche gli esiti attesi dalla cura dai pazienti stessi. Cosa si aspetta il paziente dall’introduzione di una nuova terapia in termini di benefici attesi, riduzione degli effetti avversi, migliori modalità di somministrazione o minore frequenza della somministrazione? Quali sono i bisogni terapeutici ancora non soddisfatti? Cosa potrebbe effettivamente migliorare la sua aderenza alla terapia, un elemento fondamentale per il successo complessivo del trattamento? Una terapia con minori effetti indesiderati può già di per sé soddisfare un importante bisogno insoddisfatto, così come un farmaco con un metodo di somministrazione che agevoli il paziente nel convivere con la terapia e quindi dimenticare il suo stato patologico. Aspetti rilevanti che, offrendo al paziente l’opportunità di vivere una vita con minori disagi e aumentando la compliance alla terapia, possono generare una riduzione di successive complicazioni (e, ad esempio, conseguenti ospedalizzazioni), ma anche perdita di pro-
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duttività e altri costi indiretti per il sistema sociosanitario portando, di conseguenza, anche ad un risparmio economico complessivo per il sistema. Il valore finale si riflette quindi anche sulle due dimensioni già precedentemente tracciate.
Un coinvolgimento integrato del paziente: dall’R&D fino alla definizione di P&R Attualmente, il confronto tra le associazioni e il sistema pubblico avviene prevalentemente in ambito politico, con l’obiettivo di evidenziare necessità relative a specifiche patologie, promuovendo azioni che diano accesso all’assistenza e alle migliori terapie in un tempo rapido e in modo uniforme sul territorio nazionale. Tuttavia, prima ancora della sfera politica, l’interlocutore delle associazioni dovrebbe essere l’istituzione che si occupa di horizon scanning su nuovi medicinali e terapie in arrivo, cioè l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Tale confronto potrebbe dare ai pazienti informazioni chiare e trasparenti e settare le aspettative in modo corretto, trasferendo all’Agenzia allo stesso tempo le esigenze e le aspettative di salute del paziente in fase precoce e colmare il divario tra determinazione rigorosa dei risultati ottenuti da una terapia e rilevazione degli esiti riferiti dal paziente trattato con un’alternativa. Negli anni si è parlato molto del coinvolgimento delle associazioni di pazienti nei processi decisionali e diverse iniziative sono state introdotte per promuovere un dialogo attivo con le organizzazioni. Spesso, però, questi sforzi sono stati considerati più come un’apertura all’ascolto di portatori di interesse piuttosto che come un effettivo coinvolgimento del beneficiario finale della terapia all’interno del processo valutativo. E, nella maggior parte dei casi, queste stesse attività sono state portate avanti su un binario parallelo rispetto a quello dell’health technology assesment, limitando il contributo fattivo dei pazienti nel processo di definizione di rimborsabilità e prezzo. Anche in merito all’accesso a potenziali innovazioni terapeutiche in fase molto precoce all’interno degli studi clinici sul territorio nazionale, le associazioni potrebbero
svolgere un ruolo fondamentale come ponte tra i pazienti, le istituzioni regolatorie e la comunità scientifica, garantendo un più rapido e corretto trasferimento di informazioni e attivando una rete virtuosa di collegamento tra opportunità di cura, ricerca scientifica e generazioni di dati. Il tutto creando un ritorno per il sistema in termini di trasferimento di conoscenze per i soggetti coinvolti e risparmio economico (grazie agli investimenti delle aziende farmaceutiche), promuovendo inoltre una maggiore attrattività del Paese per la ricerca clinica attraverso un più rapido arruolamento nei trial dei pazienti stessi.
Le associazioni di pazienti potrebbero svolgere un ruolo fondamentale come ponte tra pazienti, istituzioni regolatorie e comunità scientifica, attivando una rete virtuosa di collegamento tra opportunità di cura, ricerca e generazioni di dati.
Criteri, trasparenza e riproducibilità dei processi Le associazioni, per l’accreditamento finalizzato alla partecipazione ai processi decisionali, dovrebbero chiaramente essere riconosciute sulla base di criteri rigorosi per assicurare obiettività degli esiti riferiti e, così come avviene ad esempio per la scelta dei membri delle Commissioni consultive dell’Aifa, la selezione per il coinvolgimento dovrebbe avvenire secondo criteri qualitativi ben definiti, certificati da una specifica formazione ex-ante al fine di evitare bias cognitivi, e quantitativi per garantire l’effettiva rappresentatività dell’associazione stessa. Inoltre, così come avviene ad esempio per la valutazione dell’innovatività di un farmaco, il parere reso dai pazienti dovrebbe seguire una metodologia robusta, riproducibile e trasparente, per garantire che tale coinvolgimento sia effettivamente finalizzato al miglioramento degli esiti di salute, aggiunCosì come avviene per gendo al processo istruttorio informazioni importanti come sintomi non controllati dalla valutazione dell’innovatività le terapie esistenti, limiti delle modalità di di un farmaco, il parere somministrazione e/o canali di distribuzione prodotti in commercio, migliorando qualità reso dai pazienti dovrebbe ed efficienza dei processi e, conseguentemenseguire una metodologia te, la valutazione di prezzo, rimborso e accessibilità alla cura. robusta, riproducibile In conclusione, l’innovazione terapeutie trasparente, per garantire ca deve essere accessibile per contribuire a migliorare la qualità di vita dei pazienti, miche tale coinvolgimento gliorare la salute pubblica e aumentare di sia effettivamente finalizzato conseguenza la sostenibilità del servizio sanitario nel suo complesso. Il coinvolgimento al miglioramento dei pazienti nel processo di health technology degli esiti di salute. assesment e di definizione di rimborsabilità e prezzo di un farmaco, attraverso l’evoluzione dell’attuale framework regolatorio, potrebbe contribuire a migliorare la qualità dei processi decisionali. Inoltre, un ruolo attivo delle associazioni di pazienti anche per quanto riguarda l’arruolamento negli studi clinici potrebbe generare valore trasversale per pazienti, clinici, aziende del farmaco e, quindi, per il sistema nel suo complesso. F
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ESITI e SFIDE
nella gestione del fine vita PROGRESSI,
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egli ultimi decenni, i notevoli progressi nella comprensione della biologia molecolare del cancro hanno portato a una migliore definizione delle vie di segnalazione coinvolte nella crescita tumorale. Questa comprensione approfondita ha favorito lo sviluppo di terapie innovative, come le terapie mirate, l’immunoterapia e le terapie geniche, le quali si sono dimostrate efficaci in diversi tipi di cancro, offrendo risultati promettenti. Nonostante questi notevoli sviluppi, è importante riconoscere che la cura del cancro rimane una sfida aperta, complessa e in continua evoluzione: alcuni tumori mostrano resistenza alle terapie convenzionali e ai trattamenti innovativi, e la ricerca è in corso per superare questi limiti. In questo cammino tortuoso, la gestione del fine vita nei pazienti oncologici emerge come una tappa cruciale, suscitando riflessioni profonde sulla qualità della vita e il rispetto della dignità umana. Il fine vita nei pazienti oncologici è una realtà ineludibile che richiede una riflessione etica e medica approfondita. Troppo spesso infatti la nostra società evita di confrontarsi con la fragilità della vita, preferendo ignorare, piuttosto che affrontare, la cruda verità di questo percorso. La gestione del fine vita comporta decisioni difficili per i pazienti, familiari e operatori sanitari coinvolti. Nella transizione dalla cura al comfort, si aprono scenari complessi che richiedono una comunicazione aperta e un supporto psicologico. In questo contesto, la medicina palliativa si configura come una prospettiva positiva, focalizzandosi sulla riduzione della sofferenza fisica e psicologica, nel rispetto della dignità del paziente1. In questo ambito, il tema della qualità della vita diventa l’esito prioritario: il successo del trattamento del cancro non può limitarsi alla sola sopravvivenza fisica, ma deve estendersi alla sfera emotiva, sociale e spirituale. La definizione di “cura” si amplia, incorporando il benessere, il supporto psicologico e la possibilità di creare momenti significativi nelle fasi finali della vita.
DILEMMI e PROSPETTIVE
per i PA Z I E N T I O N CO LO G I C I La comunicazione aperta diventa pertanto un pilastro fondamentale: pazienti, familiari e operatori sanitari devono essere in grado di esprimere le loro preoccupazioni, ascoltare le speranze e affrontare le paure. Questo dialogo onesto è essenziale per prendere decisioni informate, rispettando le volontà del paziente e garantendo che ogni passo nel percorso finale rifletta il desiderio di vivere con dignità. Nonostante i progressi nell’accesso a cure palliative di alta qualità che consentono ai pazienti di vivere in modo più confortevole durante le fasi terminali della malattia, persistono sfide legate alla disponibilità delle risorse, all’accesso equo alle cure e alla formazione degli operatori sanitari2. Per migliorare l’assistenza alla fine della vita e ridurre il numero di ospedalizzazioni evitabili, un primo passo importante è avere una visione concreta del reale ricorso all’assistenza stessa. Dopotutto, l’assistenza medica giustificabile per i pazienti con una buona prognosi può trasformarsi in assistenza inappropriata vicino alla fine della vita, poiché i benefici non superano più i possibili effetti negativi.
Lo studio pilota Il Dipartimento di epidemiologia del Lazio ha recentemente condotto, per conto della Regione, delle analisi pilota su questo tema da cui
è emerso che tra i pazienti deceduti per tumore tra il 2015 e il 2019 la proporzione di ricoveri e accessi in pronto soccorso negli ultimi 30 giorni di vita è stata del 50 per cento e 38 per cento, rispettivamente. In particolare, per i pazienti ricoverati nelle ultime due settimane di vita (41 per cento) la media di giorni trascorsi in ospedale risultava pari a 8,5 giorni, ovvero più di metà dei loro ultimi giorni di vita avveniva in regime di ricovero. Riguardo alle terapie farmacologiche nell’ultimo mese di vita è stato osservato, da un lato, una proporzione non trascurabile di ricorso alla chemioterapia (10,8 per cento), che nel 30 per cento dei casi risultava essere un nuovo ciclo di terapia (nessuna erogazione di chemioterapia nei 90 giorni precedenti), e dall’altro una buona presa in carico della sintomatologia con un aumento dell’uso di farmaci impiegati per contrastare il dolore (il 29 per cento faceva uso di oppioidi), la fatigue e i problemi respiratori e gastrointestinali.
Valeria Belleudi
Dipartimento di epidemiologia Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
La gestione del fine vita richiede un approccio olistico che miri a migliorare gli esiti dei pazienti oncologici, offrendo loro un viaggio finale di qualità. Per quasi 30.000 pazienti, pari al 35 per cento della coorte, il decesso è avvenuto in una struttura ospedaliera, dato in forte contrasto con quelli che sembrano essere i desideri dei pazienti che nel 90 per cento dei casi preferirebbero la morte in casa3. Dai dati preliminari si evince da un lato come vi siano ampie aree di miglioramento per il trattamento dei pazienti oncologici in una fase così delicata, dall’altro quanto sia importante attuare degli interventi in grado di ridurre i trattamenti aggressivi, sia chirurgici che farmaceutici, che non portano benefici. La gestione del fine vita richiede un approccio olistico che miri a migliorare gli esiti dei pazienti oncologici, offrendo loro un viaggio finale di qualità. F
3. Beccaro M. Actual and preferred 2. Peruselli C, Manfredini L, 1. Gomes B, Calanzani N, Curiale place of death of cancer Piccione T, Moroni L, Orsi L. V, McCrone P, Higginson patients. Results from the Italian Il bisogno di cure palliative. IJ. Effectiveness and costsurvey of the dying of cancer Riv It Cure Palliat 2019;21:67-74. effectiveness of home palliative (Isdoc). J Epidemiol Community care services for adults with Health 2006;60:412-6. advanced illness and their caregivers. Cochrane Database Syst Rev 2013;2013:CD007760.
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Una ricerca clinica più inclusiva P E R E S C L U D E R E D I F F E R E N Z E D I G E N E R E C L I N I C A M E N T E R I L E VA N T I
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rmai è indubbio che sesso e genere influenzino la prevalenza, la gravità e la manifestazione delle malattie, così come l’accesso e la risposta a trattamenti sanitari, siano essi farmaci, dispositivi medici o altre tecnologie. È complesso studiare questi meccanismi a causa dell’intricata relazione tra genetica, espressione epigenetica e sistemi ormonali, a cui si aggiunge l’effetto di svariati e importanti fattori socioculturali. Ancora più complesso è utilizzare queste conoscenze nello sviluppo e autorizzazione di trattamenti efficaci e sicuri per uomini e donne. La ricerca scientifica, da quella di base agli studi clinici, tende a studiare preferenzialmente modelli maschili e uomini, penalizzando le donne. Sebbene in questi anni stiamo assistendo a una crescente presa di coscienza delle disparità di genere nella ricerca, questa consapevolezza deve essere tradotta in pratica per promuovere il passaggio dal “paradigma di una norma maschile” all’idea di ricerca e medicina genere-specifica. Nell’ambito della ricerca clinica questa discussione sfocia quasi sempre nella “semplice” richiesta di promuovere una maggiore inclusività delle donne negli studi. Numerose analisi condotte a livello internazionale e su una varietà di condizioni cliniche hanno infatti mostrato come frequentemente il numero delle donne negli studi sia inferiore rispetto alla prevalenza della condizione nella popolazione di riferimento1. L’inclusione di una quota rappresentativa di donne negli studi è importante, ma probabilmente è una misura insufficiente – da sola – per rispondere alle domande più importanti che davvero ci interessano. Questo farmaco (o procedura chirurgica, test diagnostico, algoritmo prognostico, ecc.) funziona nello stesso modo negli uomini e nelle donne? Ha la stessa efficacia e sicurezza o ci sono differenze importanti che influenzano le decisioni cliniche? Ciò di cui abbiamo bisogno sono analisi stratificate per sesso o genere (o entrambi) che confermino o escludano differenze clinicamente rilevanti. Facile a dirsi, più difficile e costoso da realizzare. Indispensabile se vogliamo almeno avvicinarci alla pratica della medicina di genere, che poi significa medicina dell’equità.
Analisi stratificate per sesso e genere: lo status quo Quando leggiamo uno studio clinico, il primo incontro con l’informazione sesso/genere avviene nella descrizione dei criteri di eleggibilità. Per malattie comuni ai due sessi dovremmo aspettarci l’inclusione di entrambe le popolazioni. Tuttavia, non è sempre vero, soprattutto nelle fasi precoci dello sviluppo clinico. Un’analisi degli studi che hanno portato all’approvazione di 34 nuovi farmaci da parte della Food and drug administration ha mostrato che circa un terzo degli studi clinici di fase I prevedeva soltanto l’inclusione di uomini2. Passando ai risultati, la tipica “Tabella 1” delle pubblicazioni scientifiche di studi clinici riporta il numero di uomini e donne inclusi nel campione in studio. Tuttavia, raramente illustra le variabili
Rita Banzi
Centro politiche regolatorie in sanità, Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, Milano
descrittive della popolazione in studio suddivise per sesso o genere. Quest’ultime potrebbero migliorare la comprensione dei fattori prognostici che possono influenzare gli esiti del trattamento, ma anche l’aderenza alle cure e al protocollo dello studio. Spesso poi il sesso (quasi mai il genere) è incluso come variabile di aggiustamento delle analisi statistiche. In pratica, invece di studiare le differenze, consideriamo il sesso come un fattore confondente, da eliminare per poter fornire un risultato “medio” tra i due gruppi. Scorrendo l’articolo arriviamo alle analisi di sottogruppo e spesso troviamo quella per sesso (quasi mai per genere). Le analisi di sottogruppo sono informative, ma vanno maneggiate con grande cautela. Sono descrittive e quindi possono solo suggerire potenziali differenze di effetto negli uomini e nelle donne. Il lettore tende poi ad interpretarle in maniera errata. Se le donne sono sottorappresentate nei campioni in studio, come spesso accade, il risultato potrebbe essere statisticamente significativo negli uomini, ma non nelle donne, a causa di una maggiore precisione della stima negli uomini, e non a causa di una reale differenza. Servono test statistici specifici che analizzino le interazioni (differenze) negli effetti del trattamento tra i sottogruppi ed è importante che le analisi siano pre-specificate e limitate nel loro numero per evitare di incappare in errori per cui si trovano differenze soltanto per effetto del caso3. Riportare gli esiti in uomini e donne – sia che si evidenzino differenze o meno – è comunque estremamente importante perché questi dati possono essere combinati con altri studi in metanalisi che, aumentando la precisione delle stime, possono diventare confermatorie.
Analisi stratificate per sesso e genere: un passo avanti L’attuale concezione delle analisi stratificate per sesso e genere difficilmente potrà contribuire alla produzione di evidenze scientifiche che orientino le scelte cliniche in donne e uomini, laddove necessario. Serve un cambio di passo, per arrivare ad analisi disaggregate per sesso e genere davvero utili. E occorre partire dall’inizio, ad esempio nel caso dei farmaci, dalle fasi di sviluppo preclinico su cellule, tessuti, modelli animali ecc. Quest’ultime dovrebbero essere impostate per evidenziare eventuali Non dobbiamo sottovalutare differenze rilevanti, suggerendo meccanismi esplicativi che possano orientare lo studio delle i rischi che si rincorrano differenze differenze nello sviluppo clinico. Spesso la rifallaci, ad esempio, per un’errata cerca sui modelli sperimentali ignora l’importanza di includere negli esperimenti organismi osservazione e confondimenti maschili e femminili, anche se sta crescendo dovuti ad altre variabili l’attenzione sull’effetto del sesso come variabile biologica nella ricerca preclinica4. socio-culturali, pregiudizi Le fasi precoci della sperimentazione clinica o strumenti sviluppati da anni dovrebbero essere impostate per raccogliere informazioni sulle differenze in termini di rispodi medicina androcentrica. sta e tossicità in uomini e donne. L’esclusione delle donne, soprattutto quelle in età fertile, da questi studi è spesso legata a motivi etici e di salvaguardia loro e dei potenziali nascituri. Si pone un dilemma etico complesso, superabile soltanto con una corretta informazione e discussione, in cui i rischi della partecipazione delle donne sono soppesati ai benefici di un’aumentata conoscenza su efficacia e sicurezza di trattamenti che verranno poi utilizzati anche nelle donne nella pratica clinica.
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In alcune situazioni sarà necessario condurre studi specifici in uomini e donne per pianificare al meglio gli studi clinici confermativi. Se si dimostra che la frequenza dell’effetto in studio è molto diversa tra uomini e donne servirà probabilmente una stima della numerosità campionaria diversa tra uomini e donne5. Se la manifestazione della malattia è diversa o lo sono gli effetti avversi di un trattamento, sarà necessario sviluppare strumenti ad hoc per raccogliere gli esiti in uomini e donne. Solo così sarà possibile definire al meglio il profilo-beneficio nelle due popolazioni e, quindi, fornire davvero le migliori prove scientifiche ai decisori. Si potrebbe pensare che questo approccio inevitabilmente porterà alla necessità di raddoppiare il numero dei partecipanti negli studi e, conseguentemente, i costi della ricerca. È una sfida per la metodologia della ricerca, che è chiamata a proporre soluzioni più efficienti per studiare le differenze di genere e, in generale, le persone nelle loro diversità. Non è un percorso semplice ed è particolarmente difficile identificare quelle aree dove le differenze hanno un significato clinico più rilevante e quindi è più urgente intervenire. Oltre alla documentazione delle differenze, è infatti fondamentale cercare di spiegare i motivi che le determinano. Possono essere motivi biologici dovuti alle tante differenze tra uomini e donne in anatomia, fisiologia, metabolismo, sviluppo delle patologie, ecc. Ma possono essere anche motivi legati alle abitudini di vita, all’interazione e accesso ai servizi sanitari e, quindi, probabilmente influenzate maggiormente dal genere che dal sesso biologico. Purtroppo, le analisi stratificate per genere sono molto rare, per la mancanza di una definizione condivisa e di una raccolta specifica di questa variabile negli studi clinici6. Infine, non dobbiamo sottovalutare i rischi che si rincorrano differenze fallaci, ad esempio per un’errata osservazione, e confondimenti dovuti ad altre variabili socio-culturali, pregiudizi o strumenti sviluppati da anni di medicina androcentrica7. F 4. Miller LR, Marks 1. Turner BE, Weeks C, Becker JB, et al. BT, et al. Analysis of Considering sex as a Female Enrollment biological variable in and Participant Sex preclinical research. by Burden of Disease FASEB J 2017;31:29-34. in US Clinical Trials Between 2000 and 5. Meessen JMTA & 2020. JAMA Netw Open Garattini S. The role 2021;4:e2113749. of sex in sample 2. Brankovic M, Kardys I, Steyerberg EW, et al. Understanding of interaction (subgroup) analysis in clinical trials. Eur J Clin Invest 2019;49:e13145.
size determination. Medicine & Science Journal 2023;1(1):e202332.
6. Clayton JA & Tannenbaum C. Reporting Sex, Gender, or Both in Clinical 3. Pinnow E, Sharma P, Research? JAMA. Parekh A, Gevorkian 2016;316(18):1863– N, Uhl K. Increasing 1864. participation of women in early phase clinical 7. Forward 2021 Genere trials approved by the https://forward. Fda. Women Health recentiprogressi.it/ Issues 2009;19:89-93. it/rivista/numero-23genere/ Note dell’autrice: al fine di rendere più semplice la lettura di questo articolo, si è scelto di riferirsi a una categorizzazione binaria di sesso e genere, pur consapevoli che non rappresenti tutte le identità di genere. Si ringraziano Cinzia Colombo e Silvio Garattini per gli utili suggerimenti.
PERCHÉ UNO STUDIO A N D AT O MALE CO N TA Il valore dei risultati neutri o negativi
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on tutte le ciambelle escono con il buco e non tutti gli studi clinici si concludono con i risultati attesi. Quando uno studio clinico dà risultati positivi, mostrando un beneficio che può essere trasferito nella pratica clinica, la speranza di ricercatori, medici e pazienti viene soddisfatta perché quei risultati hanno il potenziale per migliorare una cura, un trattamento, un metodo di prevenzione e così via. Tuttavia, uno studio, anche se ben progettato, può non raggiungere il suo endpoint primario e concludersi con risultati neutri o negativi: nel primo caso non emergono differenze significative tra il trattamento sperimentale e la terapia standard, nel secondo, e nel peggiore dei casi, l’intervento ha causato fenomeni sgradevoli imprevisti. È un passo avanti nella conoscenza del farmaco studiato, non è uno spreco di risorse. Anche se gli studi negativi non sempre vengono accolti dall’udienza internazionale, chiariscono quali terapie è opportuno non mettere in atto, quali funzionano in alcuni sottogruppi o non funzionano come si era ipotizzato; aiutano a correggere possibili errori in studi futuri, chiariscono infine che una data linea di ricerca non è conveniente in termini di tempo e risorse. Prima di trarre conclusioni definitive circa l’efficacia del trattamento è fondamentale però distinguere gli studi che denotano una mancanza di efficacia da quelli in cui vi sono chiari problemi nel disegno. In una recente rassegna1 pubblicata sul Giornale Italiano di Cardiologia, Alberto Aimo, Scuola Superiore Sant’Anna, e colleghi hanno proposto un approccio organizzato in dieci passaggi – con ampi esempi tratti dalla letteratura – attraverso cui interpretare gli studi neutri e negativi “al fine di escludere importanti questioni metodologiche prima di concludere che il trattamento non funzioni realmente”.
1. Aimo A, Castiglione V, Fabiani I, et al. Approccio critico all’interpretazione dei trial cardiovascolari con risultati neutri o negativi. G Ital Cardiol 2023:10:818-26.
Dieci ipotesi interpretative Interruzione prematura motivata. Uno studio può essere interrotto per vari motivi: evidenza di superiorità o chiara inefficacia del trattamento sperimentale; aumentato rischio di eventi avversi più alto del previsto nei pazienti che assumono il trattamento; difficoltà di reclutamento (avversità contingenti, tipo covid-19); nuove informazioni sulla sicurezza e l’efficacia del trattamento sperimentale o decisione strategica del finanziatore. Potenza statistica insufficiente. Gli eventi osservati nel corso dello studio o l’entità dell’effetto sono risultati nettamente diversi dalle assunzioni iniziali. Ciò può essere evidente a prescindere dal gruppo di trattamento (ignoto se lo studio è randomizzato). Problemi nella conduzione dello studio. Problemi logistici legati alla popolazione reclutata o alla conduzione dello studio possono avere un’importanza cruciale. L’affidabilità degli sperimentatori è fondamentale per avere dati attendibili. Al di là delle vere e proprie frodi scientifiche, l’arruolamento non corretto dei pazienti, l’attribuzione errata o la mancata segnalazione degli eventi, insieme all’inerzia complessiva dello sperimentatore, la scarsa aderenza del paziente, la non attenta vigilanza del centro di coordinamento o l’ingerenza eccessiva degli osservatori esterni possono portare a dati non attendibili o difficilmente interpretabili. Problemi nella scelta, definizione o interpretazione degli endpoint. Anche un endpoint apparentemente ben definito risente molto della soggettività dello sperimentatore e dell’oggettività dell’osservatore esterno, tanto più quando l’endpoint in questione è dipendente da una decisione del ricercatore (trattamenti interventistici o chirurgici cardiovascolari). t
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t Selezione subottimale di endpoint compositi. Il numero di eventi determina la potenza dello studio. Raggiungere una potenza adeguata è più facile quando l’endpoint primario include molteplici elementi, anche con una fisiopatologia in parte indipendente, più o meno sensibile agli effetti del trattamento. Un endpoint composito dovrebbe però avere rilevanza clinica e includere solamente elementi coerenti con le caratteristiche del trattamento e la cui riduzione sia complementare alle altre componenti dell’endpoint. Quest’ultimo requisito spesso non è soddisfatto. Trappola nosografica. Ovvero tutti quei casi in cui la popolazione studiata è eterogenea, e include situazioni cliniche sfumate o maldefinibili accomunate in definizioni diagnostiche approssimative (per lo più sindromi), e il trattamento non ha la stessa efficacia in tutta la popolazione. Assenza di prerequisiti fisiopatologici per l’efficacia del trattamento. I risultati neutri o negativi di alcuni studi potrebbero essere attribuiti, almeno in parte, alla scelta del campione, rappresentato da popolazioni in cui l’efficacia del trattamento è improbabile. Cancellazione algebrica. In pratica è un esempio estremo della categoria precedente, caratterizzata dall’eterogeneità della popolazione studiata. Si verifica quando i risultati di uno studio sono positivi in alcuni pazienti e negativi in altri, oltre i confini della probabilità casuale, e i valori di segno opposto si elidono. Trappola della p. In alcuni casi è possibile che il valore di p per l’endpoint primario si avvicini molto alla soglia di significatività statistica (p ≤0.05), rendendo difficile l’interpretazione dello studio e la riproducibilità dei risultati. Il trattamento non funziona davvero. Quando uno studio con una potenza statistica adeguata e senza significativi problemi metodologici presenta un valore di p relativo all’endpoint primario lontano dalla significatività statistica, la conclusione ragionevole è che il trattamento non è più efficace del suo controllo in quello specifico contesto clinico.
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Quindi, cosa ci dobbiamo chiedere quando siamo di fronte a uno studio neutro o negativo? La prima domanda ovvia: lo studio è realmente neutro o negativo? Come detto finora, la metodologia di uno studio deve essere attentamente valutata prima di trarre conclusioni definitive. Infatti, quando vengono rilevati problemi metodologici, lo studio dovrebbe essere considerato non conclusivo, anziché neutro o negativo. Alcuni esempi: quegli studi con una potenza statistica insufficiente; quelli in cui, scrivono Aimo e colleghi, “l’endpoint primario è una combinazione di eventi diversi e solo alcuni di essi sono associati all’effetto del trattamento, mentre gli altri, distribuiti in entrambi i gruppi, determinano semplicemente un rumore di fondo che diluisce l’effetto reale del trattamento”. Anche gli studi in cui la popolazione è molto eterogenea e il trattamento sembra funzionare soltanto in sottogruppi potrebbero essere etichettati come non conclusivi. In alcuni casi, “l’evidenza delle analisi esplorative, al di là del risultato primario, potrebbe essere considerata così forte che gli autori potrebbero affermare che uno studio neutro o negativo secondo i criteri convenzionali possa, almeno in attesa di verifiche ulteriori meglio orientate, essere considerato positivo. Questa è un’evidenza non rara per i farmaci antineoplastici e può avere un profondo impatto sulla ricezione dello studio da parte del pubblico e, in casi eccezionali, anche influenzare le linee guida e le agenzie di regolamentazione”.
Cosa possiamo imparare da uno studio realmente neutro o negativo? Gli studi neutri o negativi sono importanti quanto lo sono gli studi positivi. Orientano la ricerca scientifica clinica e la cura del paziente. Secondo quanto riportano gli autori della rassegna, “alcuni studi hanno rivoluzionato la nostra comprensione dei meccanismi fisiopatologici alla base di alcune malattie”. In sintesi, un’analisi approfondita dei risultati di uno studio neutro o negativo può fornire strumenti essenziali per investigatori e sponsor, per migliorare la progettazione di studi futuri. Uno studio negativo può offrire informazioni sulla sicurezza e l’efficacia di un trattamento, può servire come base per un calcolo più realistico della potenza statistica per studi futuri. Infine, gli studi negativi hanno l’importante compito di bloccare ulteriori indagini su terapie dannose o inefficaci. Per concludere gli autori scrivono che “nonostante i grandi progressi nella progettazione degli studi clinici, si possono ancora incontrare diversi problemi metodologici quando si analizzano gli studi di superiorità pubblicati anche su riviste di assoluto prestigio. La capacità di riconoscere possibili problematiche metodologiche è importante per interpretare correttamente gli studi neutri o negativi e per decidere se e come proseguire la ricerca su specifiche strategie di trattamento”. A cura di Giada Savini
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Un hazard ratio non si nega mai a nessuno Riflessioni aperte sulla lettura della statistica dei benefici clinici
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no dei principi fondamentali della pratica clinica è l’evidenza empirica. Questa si basa sull’utilizzo di prove scientifiche provenienti da studi clinici e ricerche precliniche. La raccolta e l’analisi statistica dei dati sono cruciali per trarre conclusioni affidabili e supportare decisioni cliniche informate. Tuttavia l’interpretazione dei risultati che si basano su principi statistici non è sempre di facile comprensione. Questo, nella decisione clinica, vale tanto per la prognosi, che è strettamente legata alle scelte terapeutiche, quanto per la diagnosi. Ad esempio, durante la pandemia covid abbiamo avuto prova di come l’interpretazione dei risultati di un test si debba basare su calcoli statistici abbastanza complicati, perché la probabilità che un certo paziente con un test positivo (o negativo) sia realmente malato (o non malato) – che è il valore predittivo del test – dipende sia dall’accuratezza del test (sensibilità e specificità) che dalla probabilità a priori che il soggetto sia malato (sintomi, rischio di malattia, ecc.). Come dico spesso agli oncologi e anche alle associazioni di pazienti, oggi, se uno vuol fare il paziente deve conoscere la statistica, perché i ragionamenti che portano alla decisione clinica si basano su principi e misure statistiche: si afferma, giustamente, che il paziente dovrebbe sempre partecipare consapevolmente alla decisione clinica, ma questo presuppone la sua comprensione di questi principi e del significato di queste misure, il che è spesso del tutto utopico (anche perché qualche volta neppure il medico che prescrive un certo comportamento ha questa comprensione). In quest’ottica, l’errore storico della comunità clinica è stato quello di privilegiare la significatività statistica del risultato come strumento per comunicare, al suo interno e all’esterno, l’efficacia di un trattamento: un trattamento è significativamente efficace in funzione del valore della p, che esprime un concetto poco intuitivo, e soprattutto non è una misura dell’entità di efficacia di un trattamento. Il p-value è una probabilità che ci dice quanto le evidenze fornite dallo studio clinico siano compatibili con l’ipotesi di una totale inefficacia del trattamento (detta ipotesi nulla). Questo è curioso, perché in genere il trial non viene condotto partendo a priori dall’ipotesi che il trattamento sia totalmente inefficace ma, piuttosto, che sia superiore al placebo o al trattamento di riferimento in misura tale da giustificarne l’uso clinico.
Misure di efficacia in oncologia Le industrie farmaceutiche puntano molto sul p-value come dimostrazione di efficacia, anche perché è ciò che le agenzie regolatorie stesse richiedono: la dimostrazione che il trattamento abbia un impatto, a prescindere da quanto sia rilevante. Tuttavia, la decisione clinica deve basarsi su quanto effettivamente il trattamento beneficia il paziente. Negli ultimi anni, l’attenzione dei ricercatori e clinici e delle stesse società scientifiche di oncologia ha iniziato a orientarsi verso una valutazione “quantitativa” degli effetti di un trattamento, e si è quindi concentrata su due problemi: la scelta dell’endpoint, cioè della variabile
Paolo Bruzzi Epidemiologo clinico
di risposta da utilizzare per valutare l’efficacia di un trattamento antitumorale, e la scelta degli appropriati indicatori riassuntivi per misurare questa efficacia in termini quantitativi. Riguardo al primo punto, è in corso da decenni un dibattito sull’opportunità di utilizzare come endpoint negli studi di efficacia in oncologia la sopravvivenza oppure altre variabili quali la risposta tumorale o il tempo a progressione (o a recidiva). Si tratta di un problema ancora aperto e oggetto di continue discussioni nei congressi, nei rapporti con le agenzie regolatorie e nella stesura delle linee guida cliniche.
Come dico spesso agli oncologi e anche alle associazioni di pazienti, oggi, se uno vuol fare il paziente deve conoscere la statistica, perché i ragionamenti che portano alla decisione clinica si basano su principi e misure statistiche. Meno sviluppato è il dibattito sugli indicatori riassuntivi da utilizzare per fornire una misura sintetica degli effetti di un trattamento: i tre più utilizzati sono l’incremento nella sopravvivenza mediana o media, l’hazard ratio e la percentuale di pazienti vivi a lungo termine. Questi indicatori dicono “quanto fa” il trattamento. Non sono però intercambiabili, nel senso che a seconda dei meccanismi d’azione del trattamento e dei suoi effetti è più opportuno fare riferimento ad uno piuttosto che agli altri; e – soprattutto – le implicazioni per il paziente sono molto diverse.
Incremento nella sopravvivenza mediana o media La distinzione tra l’incremento nella sopravvivenza mediana e media è importante nel contesto della valutazione dell’efficacia di un trattamento medico. La sopravvivenza mediana rappresenta il tempo oltre il quale il 50 per cento dei pazienti ha la probabilità di sopravvivere; ma l’incremento nella sopravvivenza mediana osservato con un trattamento è spesso interpretato, erroneamente, come l’incremento medio nella sopravvivenza, di cui beneficerebbero tutti i pazienti che ricevono quel trattamento (questo incremento è più difficile da calcolare ed è quindi poco utilizzato). Infatti, quando si parla di incremento nella sopravvivenza mediana si assume che il beneficio del trattamento sia distribuito in modo abbastanza uniforme tra tutti i pazienti. Invece, in molti casi (specie con i vecchi trattamenti chemioterapici), l’incremento nella sopravvivenza mediana fornisce una sovrastima del beneficio medio per la maggioranza dei pazienti, come nel caso delle curve che inizialmente si divaricano per poi riavvicinarsi (curve a banana). In generale, in queste analisi si possono osservare risultati statisticamente significativi anche se l’effetto individuale del trattamento t
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t non è eccezionale. Ad esempio, un incremento di tre mesi nella sopravvivenza mediana può essere statisticamente significativo e portare il trattamento all’approvazione, ma potrebbe non rappresentare un beneficio clinicamente rilevante per molti pazienti. In passato c’è stata preoccupazione riguardo l’approvazione di farmaci associati con incrementi modesti nella sopravvivenza, come per esempio, nel caso di un trattamento per il carcinoma pancreatico che prolungava la sopravvivenza di 15 giorni.
Hazard ratio: uno strumento complesso nella valutazione degli effetti del trattamento L’hazard ratio è una misura ampiamente utilizzata per riassumere gli effetti del trattamento, specialmente in ambito oncologico. Con il termine “hazard” si intende una velocità istantanea di trasformazione, di cambiamento di stato negli individui di una popolazione (come per esempio accade con l’incidenza di eventi quali il decesso o la progressione). È un concetto matematicamente complesso, ma ancora più complesso e difficile da rappresentare è l’hazard ratio, che è “la media dei rapporti istantanei tra le velocità di trasformazione” (hazard) di due gruppi di soggetti. L’hazard ratio fornisce un’indicazione relativa di quanto un gruppo sia a rischio rispetto all’altro, nei risultati della ricerca compare con l’acronimo HR. Banalmente si dice che un HR di 1 indica che non c’è differenza tra i gruppi, mentre un HR inferiore a 1 suggerisce un minor rischio nel gruppo trattato rispetto al gruppo di controllo. Ma bisogna fare attenzione alle semplificazioni nell’interpretazione di questo indicatore che può essere fuorviante, specie quando utilizzato a sproposito: va infatti chiarito che il suo utilizzo presuppone che gli hazard ratio istantanei, di cui è la media, siano (relativamente) costanti: se non lo sono, come accade quando il rischio dell’evento è prima superiore in uno dei due gruppi a confronto e poi nell’altro, l’hazard ratio non ha alcun senso e non dovrebbe essere utilizzato. Questo accade, ad esempio, con i trapianti di midollo nelle neoplasie ematologiche, che comportano un iniziale incremento del rischio di morte, prima dei benefici a lungo termine. Bisogna però ricordare che anche quando può essere utilizzato, l’hazard ratio non tiene conto dell’andamento delle due curve di sopravvivenza nel tempo ma solo dell’ordine con cui avvengono gli eventi nei due gruppi a confronto: per cui benefici modesti sul piano quantitativo possono produrre hazard ratio apparentemente molto forti. Infine, hazard e rischio sono due indici statistici diversi (l’hazard non è una probabilità)1: quando si afferma che un HR di 0,5 indica una riduzione del 50 per cento della mortalità, bisogna chiarire che questo indica una riduzione
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del tasso di mortalità e non della probabilità di morte ad un certo tempo. Questo non fa molta differenza finché la mortalità cumulativa è bassa (fino al 20-30 per cento), ma cambia nettamente la prospettiva sull’efficacia del trattamento per mortalità cumulative superiori. Inoltre va spiegato che con l’hazard ratio non si prevede la possibilità di una guarigione, ma si misura di quanto è ridotta, con un trattamento, l’incidenza di un evento negativo – incidenza che può essere variabile nel tempo, ma che si assume non arrivare mai a 0. Ha quindi senso parlare di HR quanto le due curve (di sopravvivenza, o di sopravvivenza libera da un evento) si divaricano progressivamente nel tempo, come classicamente vediamo con le terapie adiuvanti nel tumore della mammella operato e ora anche nei tumori avanzati con molte terapie oncologiche a bersaglio molecolare. Un altro modo per interpretare l’hazard ratio è quello di considerare il suo inverso (1/ HR) che indica, sia pur molto approssimativamente, l’allungamento proporzionale del tempo all’evento: in questa prospettiva HR di 0,5 suggerisce che con il trattamento in studio il tempo di sopravvivenza mediamente raddoppia, con un HR di 0,66 aumenta del 50 per cento e così via. Questa rappresentazione, anche se grossolana, aiuta a comunicare l’effetto del trattamento in termini più comprensibili.
Nella valutazione dell’efficacia dei nuovi trattamenti si tende a privilegiare la significatività statistica e gli effetti precoci, e a preoccuparsi molto meno degli effetti complessivi di una terapia, in una prospettiva che rifletta le priorità del paziente e non solo quelle degli altri cosiddetti “stakeholders”.
L’immunoterapia e il cambio di paradigma Sia la rappresentazione di un effetto del trattamento con l’incremento della sopravvivenza mediana o media, che l’utilizzo della hazard ratio presuppongono un effetto che coinvolge la maggioranza dei pazienti, che hanno lo stesso beneficio, assoluto o relativo. Ragionando su questo aspetto con l’oncologo Alberto Sobrero, li abbiamo inquadrati in una tipologia di effetti classificabili come “small for many”, per cui la maggior parte dei pazienti ha un beneficio dal trattamento, ma questo effetto è spesso modesto/moderato. Con l’immunoterapia, al contrario, osserviamo l’opposto. Nei primi studi di immunoterapia, nel melanoma metastatico, solo una piccola percentuale dei pazienti, circa il 10-15 per cento, mostrava un beneficio che però era molto importante perché si traduceva in una lunga sopravvivenza, fino a cinque o addirit1. In realtà, sul piano statistico, l’hazard rappresenta il limite della probabilità quando il tempo in cui viene calcolata tende a 0. 2. Nei moderni trial oncologici la pianificazione statistica, riportata in voluminosi “Statistical analysis plan” e in decine di pagine del protocollo, è diventata molto complessa e raffinata. Tuttavia è interamente concentrata sulla
salvaguardia della validità dei vari test di significatività (analisi intermedie e per sottogruppi, endpoint multipli) attraverso appropriate correzioni e procedure gerarchiche che però non salvaguardano le stime di efficacia, che non sembrano interessare, e che invece restano esposte al rischio di gravi distorsioni dovute alla molteplicità di analisi.
tura dieci anni. Da notare che né l’hazard ratio né l’incremento nella sopravvivenza mediana coglievano tale beneficio. Questo tipo di effetti rappresenta un cambiamento fondamentale nel paradigma terapeutico nei tumori metastatici, perché si passa da una lotta contro il tempo, con l’inevitabile sconfitta, a una probabilità, seppur ridotta, di un successo completo con la guarigione, o almeno una remissione per un periodo molto prolungato. Questa prospettiva è stata definita da noi come “large for few” e la sua presenza può essere rilevante per le decisioni terapeutiche. Se da un lato una terapia convenzionale può offrire alla maggioranza dei pazienti benefici mediamente modesti, dall’altro l’immunoterapia apre uno spiraglio di opportunità, con la possibilità di risultati eccezionali. Un paziente potrebbe razionalmente scegliere la seconda opzione che gli dà una probabilità – seppur bassa – di guarigione. In qualche modo questa scelta ricorda la filosofia delle lotterie, dove si compra un biglietto per avere una piccola probabilità di un grosso guadagno, se il costo del biglietto non è eccessivo. Per il paziente il “costo” è un periodo (es. un anno) di terapia, e quindi la possibilità di guarire, che è un’alternativa più attraente rispetto a un effetto più probabile ma temporaneo, può spingere un paziente ad accettare un trattamento anche molto tossico. È da notare che con la seconda generazione di farmaci immunoterapici, e soprattutto con i regimi di associazione, questa probabilità di beneficio è molto cresciuta, ma il tipo di beneficio si è modificato. Per cui oggi, nel valutare gli effetti di un trattamento chemio-immunoterapico, sarebbe opportuno cercare di valutare entrambi i tipi di effetto, lo “small for many” e il “large for few” (operazione molto complessa sul piano statistico).
Una interpretazione critica del beneficio clinico Queste due prospettive sono fondamentali per una decisione clinica condivisa con il paziente, ma dovrebbero essere considerate anche in ambito regolatorio. Un trattamento che induce un prolungamento modesto della sopravvivenza, anche se nella maggioranza dei pazienti, e quindi è considerato non t
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L’esito della Cop28: greenwashing o veri passi avanti? Dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai si è svolta la Cop28, con lo scopo di affrontare questioni cruciali riguardo all’emergenza climatica
L
a guerra in medio oriente, il conflitto tra Russia e Ucraina, il rischio di pandemie stanno cambiando la pro-
spettiva di riuscire a intraprendere azioni immediate per contrastare la crisi climatica: la multi-crisi che stiamo vivendo influenza, oltre le scelte dei governi, la percezione del-
Paola Michelozzi Dipartimento di epidemiologia, Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
le persone sulle priorità e sulle prospettive future del mondo, con conseguenze forse irreversibili sulle mancate azioni per la sostenibilità ambientale. Secondo Il capo delle Nazioni unite per il clima “siamo sull’orlo di un precipizio”, dobbiamo agire subito. Le azioni per contenere l’aumento della temperatura, necessarie e urgenti, sembrano invece sempre più lontane.
t essenziale, non può essere equiparato a un trattamento che può risultare inutile nella maggioranza dei pazienti, ma che, in quei pochi pazienti in cui è utile, può indurre la guarigione o una sopravvivenza prolungata. Altrimenti, per lo stesso motivo sarebbero da proscrivere tutta una serie di azioni cliniche a bassa probabilità di successo, come molti interventi chirurgici, ad esempio in emergenza, o attività rianimatorie, che invece vengono (giustamente) eseguite se esiste una probabilità non nulla di “salvare la vita del paziente”. Nonostante questi ragionamenti siano abbastanza scontati, nei congressi si osserva ancora un uso indiscriminato e talora fuorviante dei tre indicatori riassuntivi di cui abbiamo discusso. In particolare, l’hazard ratio non è mai negato a nessuno, anche in situazioni in cui non ha senso dal punto di vista statistico e, di conseguenza, dal punto di vista clinico. Questo accade anche nelle riviste
biomediche, comprese quelle più prestigiose, per cui in ogni trial oncologico si presentano la curva di sopravvivenza e quella di progression-free survival, ognuna accompagnata dai tre indicatori riassuntivi, senza alcuna discussione della loro validità e del significato nello specifico contesto. Questo atteggiamento è favorito dal fatto che per molti trial la prima pubblicazione avviene quando i dati sono ancora largamente immaturi, con tempi di follow-up così brevi da rendere impossibile capire il tipo e soprattutto la rilevanza dei benefici derivanti dal trattamento sperimentale: basta che si sia ottenuta una p significativa!2. I motivi sono vari: da un lato, le aziende del farmaco hanno fretta di pubblicare i risultati per accelerare i tempi della autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco; dall’altro, le riviste fanno a gara per pubblicare i trial più innovativi, con risultati più promettenti, che sono quelli che più interessano clinici e ricer-
In questo nuovo contesto si è svolta dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai la Cop28 (Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici), con lo scopo di affrontare questioni cruciali riguardo all’emergenza climatica. Hanno partecipato capi di Stato, ministri e negoziatori, organizzazioni accreditate, attivisti, rappresentanti della società civile. Quest’anno la Conferenza è stata presieduta da Ahmed Al Jaber ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti e amministratore delegato della compagnia petrolifera Abu Dhabi National Oil Corporation, uno dei principali esportatori di idrocarburi al mondo. Immediate sono state le reazioni e le prese di posizione di dissenso su questa designazione ritenuta dai movimenti ambientalisti “un oltraggioso conflitto di interessi” che scredita la Conferenza e indebolisce gli esiti che si potrebbero raggiungere nella lotta al riscaldamento globale. Durante la Conferenza le polemiche si sono inasprite grazie alle affermazioni di Al Jaber secondo il quale “non esiste alcuna scienza” che indichi la necessità dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. L’incremento di 1,5°C come obiettivo target e i 2°C come limite superiore per il riscaldamento globale rispetto ai valori pre-industriali sono ritenuti i valori di riferimento, e i t
catori. In quest’ottica, l’hazard ratio è molto utile, perché spesso sovrastima l’efficacia del trattamento quando il follow-up è breve: infatti, nei primi mesi dopo la randomizzazione le curve (soprattutto di progression-free survival) possono divergere in modo promettente, ma questo non permette di prevedere quali saranno i benefici del trattamento sperimentale a medio/lungo termine, perché questi effetti iniziali potrebbero consolidarsi o incrementare, ma potrebbero invece esaurirsi in pochi mesi (come è spesso accaduto in passato). In conclusione, nel mondo della ricerca clinica sopravvive la tendenza a privilegiare, nella valutazione dell’efficacia dei nuovi trattamenti, la significatività statistica e gli effetti precoci, e a preoccuparsi molto meno di valutare e descrivere gli effetti complessivi di una terapia, in una prospettiva che rifletta gli interessi e le priorità del paziente, e non solo quelli degli altri cosiddetti “stakeholders”. F
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t 2°C la soglia critica al di sopra della quale si verificheranno effetti a cascata con rischi drammatici per la salute umana. Molte aree (come l’area del mediterraneo e il nostro Paese) sono più vulnerabili di altre; con un incremento di solo mezzo grado in più i rischi di ondate di calore, siccità, stress idrico ed altri eventi estremi sarebbero più elevati in molte zone della Terra. Ma mantenere l’innalzamento della temperatura globale al di sotto di 2°C è un obiettivo ancora perseguibile? Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato e, secondo il Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine, il 17 novembre 2023 è stata la prima volta in cui la temperatura globale ha superato i 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Diversi studi indicano che il riscaldamento globale raggiungerà 1,5 °C gradi nel 2030, indipendentemente dalla quantità di gas serra emessi e dal fatto che le emissioni aumentino o diminuiscano nel prossimo decennio.
L’Unione europea e i suoi Stati membri avevano firmato e ratificato l’accordo e presentato la strategia a lungo termine per la riduzione delle emissioni e i piani aggiornati in materia di clima, impegnandosi a ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 con l’obiettivo zero emissioni entro il 2050. Il tema principale in agenda alla Cop28 di Dubai è il primo bilancio globale delle emissioni di gas serra. L’Accordo di Parigi prevedeva, infatti, la revisione ogni
“Abbandonare le fonti fossili nei sistemi energetici in modo giusto, equo e ordinato, accelerando l’azione in questo decennio così da raggiungere la neutralità climatica al 2050, in linea con la scienza”. — Global Stocktake, Cop28 – 13 dicembre 2023. cinque anni degli impegni presi dalle nazioni aderenti all’accordo per la riduzione delle proprie emissioni con il fine di spingere ogni nazione a mettere in atto azioni sempre più ambiziose e vincolanti. I risultati del rapporto tecnico dello stocktake globale pubblicato a settembre di quest’anno ribadisce l’urgenza di interventi e sono un nuovo appello all’azione.
Dall’energia nucleare alla giustizia climatica A otto anni dall’Accordo di Parigi – il trattato internazionale sul cambiamento climatico adottato da 196 Paesi alla Cop21 svoltasi nel 2015 – non sono stati fatti molti progressi.
Petrolio, gas e carbone continuano a rappresentare a livello globale circa l’82 per cento delle fonti energetiche e sono la causa di circa 3/4 delle emissioni globali di gas serra. La riduzione delle emissioni e gli impegni vincolanti dei governi rimangono l’obiettivo centrale della conferenza di Dubai che dovrebbe arrivare a un nuovo accordo, ancora lontano, visto che sulla carta le opzioni vanno da un’accelerazione del processo di eliminazione dei combustibili fossili, a un’eliminazione graduale, fino a un’opzione (sostenuta dall’Arabia Saudita) che non contempla l’eliminazione dei combustibili fossili. A Dubai la presidente della Commissione europea ha lanciato il “Global pledge on renewables and energy efficiency” che mira a triplicare la capacità di energia rinnovabile e migliorare l’efficienza energetica globale entro il 2030. Contemporaneamente oltre 20 nazioni, inclusi gli Emirati Arabi, si sono impegnate a triplicare la capacità di produrre energia atomica entro questo decennio per contrastare il cambiamento climatico. L’energia nucleare non può essere inclusa tra le fonti rinnovabili visto che i reattori sono alimentati a uranio (la cui estrazione e raffinazione peraltro sono processi ad alta intensità energetica); attraverso la fissione nucleare vengono prodotte inoltre scorie radioattive che devono essere stoccate,
C R O N I S T O R I A D E L L E C O P : Q U A N T O È S TAT O F AT T O ? L’Ipcc avverte che “le emissioni derivanti dalle attività umane stanno aumentando sostanzialmente le concentrazioni atmosferiche di gas serra”.
1990
Cop 3.
Kyoto, Giappone. Viene approvato il Protocollo di Kyoto dopo due anni di negoziati. I primi obiettivi riguardano la riduzione dei gas serra per i Paesi industrializzati.
1995
Cop 1.
Berlino, Germania. Primo incontro della Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici.
1997
2005
Cop 28.
Dubai, Emirati Arabi Uniti. Viene reso operativo il Loss & damage found. Una giornata è dedicata agli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute.
Cop 15.
Copenaghen, Danimarca. Le parti non raggiungono un accordo sul protocollo che aggiornerà quello di Kyoto.
2009
Il Protocollo di Kyoto entra in vigore. Dall’Accordo di Doha del 2012 viene esteso fino al 2020.
2015
Cop 21.
Entra in vigore l’Accordo di Parigi
2020
Parigi, Francia. Viene trovato un accordo successivo al Protocollo di Kyoto. L’Accordo di Parigi fissa l’obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C, idealmente non superando gli 1,5°.
2022
Cop 27.
2023
Sharm el-Sheik, Egitto. Viene annunciata l’istituzione del Loss & damage found, per affrontare l’adattamento ai cambiamenti climatici da parte dei Paesi in via di sviluppo.
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e rimangono potenzialmente pericolose per migliaia di anni. Tempi e costi per la realizzazione di reattori di nuova generazione, la loro efficienza, sostenibilità, sicurezza, oltre all’impatto ambientale dello smaltimento di rifiuti radioattivi, rimangono le questioni centrali che generano molte perplessità su tale scelta. A livello globale, nel 2021 il 10 per cento dei Paesi maggiori emettitori è stato responsabile di quasi la metà delle emissioni globali di Co2, mentre il 10 per cento più povero solo dello 0,2 per cento; in termini di tonnellate di Co2 pro capite il 10 per cento più ricco ha prodotto in media oltre 200 volte di più rispetto alla media del 10 per cento più povero. Tuttavia sono i Paesi poveri che subiscono gli impatti maggiori della crisi climatica perché hanno meno risorse tecnologiche e minore disponibilità economica per interventi efficaci di adattamento e mitigazione. Le conseguenze dell’innalzamento della temperatura globale stanno esacerbando le disuguaglianze sociali esistenti, sia tra nazioni che all’interno dello stesso Paese aumentando i differenziali socioeconomici. Il tema della giustizia climatica riguarda la sicurezza e i diritti di tutti i paesi e implica combattere l’ingiustizia sociale, economica, di genere e intergenerazionale. A questo proposito, alla Cop28 è stato reso operativo il fondo Loss & damage, dopo la sua istituzione avvenuta un anno fa, destinato ai Paesi in via di sviluppo per il risarcimento dei danni causati dai cambiamenti climatici. Sul fondo sono stati sollevati però numerosi interrogativi relativi al suo funzionamento e all’entità dei fondi annuali che sarebbero necessari per l’adattamento dei paesi in via di sviluppo.
Crisi climatica ed esiti di salute Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) gli impatti catastrofici del riscaldamento globale sono già evidenti con l’aumento della frequenza e gravità degli eventi meteorologici estremi e le conseguenze devastanti per la salute in tutto il mondo. Sempre secondo l’Oms un decesso su quattro è attribuibile a cause ambientali prevenibili e oltre 250.000 persone muoiono ogni anno a causa dei cambiamenti climatici (ma si tratta sicuramente di una sottostima). La Banca mondiale e l’Istituto per l’economia e la pace stimano che fino a 132 milioni di persone cadranno in povertà entro il 2030 a causa degli impatti diretti dei cambiamenti climatici sulla salute e circa 1,2 miliardi di persone saranno sfollate entro il 2050. Il 3 dicembre alla Cop28 è stata dedicata una giornata alla salute e i ministri della Sanità, assieme a quelli dell’Ambiente, hanno presentato una dichiarazione congiunta “Cop28 Declaration on climate and health” per sottolineare le priorità in materia di cambiamento climatico e salute. La dichiarazione sostiene la necessità di integrare la salute nell’agenda sul clima, identificando tra le priorità quella di sistemi sanitari più resilienti,
di rafforzare la collaborazione intersettoriale per ridurre le emissioni, di massimizzare i benefici per la salute derivanti dalle azioni per il clima, di aumentare i finanziamenti per clima e salute. Tra gli obiettivi generali il documento sottolinea anche l’importanza di contenere le emissioni e ridurre gli sprechi nel settore sanitario (che si stima sia responsabile del 5 per cento delle emissioni a livello globale), promuovendo piani d’azione a livello nazionale di decarbonizzazione.
Secondo l’Oms un decesso su quattro è attribuibile a cause ambientali prevenibili e oltre 250.000 persone muoiono ogni anno a causa dei cambiamenti climatici. Gli operatori sanitari, le istituzioni sanitarie pubbliche, ma anche le aziende che operano nel settore sanitario e farmaceutico devono essere partner attivi nel processo decisionale sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e sulle azioni di adattamento. Il compito della ricerca e della sanità pubblica è di: • documentare come la crisi climatica stia già avendo ed avrà in futuro un impatto sempre maggiore sulla salute pubblica; • valutare gli effetti sulla salute di interventi di adattamento e mitigazione; • identificare le aree e i sottogruppi più vulnerabili; • rafforzare e adattare i sistemi sanitari per rispondere all’emergenza climatica e sanitaria; • promuovere iniziative di sanità pubblica, per informare, motivare e coinvolgere la cittadinanza sulle azioni per il clima.
Uno degli obiettivi della ricerca deve essere documentare i co-benefici di salute che derivano dalle politiche per l’eliminazione dei combustibili fossili. Le malattie croniche in Italia potrebbero essere ridotte del 30-40 per cento attraverso interventi in settori diversi da quello sanitario diretti a mitigare i cambiamenti climatici. Uno degli obiettivi della ricerca deve essere documentare i co-benefici di salute che derivano dalle politiche per l’eliminazione dei combustibili fossili, ad esempio evidenziando gli effetti di azioni che promuovono scelte alimentari più sane e modalità di spostamenti più attivi. I sistemi sanitari producono circa il 5 per cento delle emissioni nazionali di gas serra con il conseguente impatto negativo sulla salute umana: fissare obiettivi rigorosi per ridurre le emissioni di gas serra dal Servizio sanitario nazionale, con il sostegno dei fornitori del sistema sanitario, come le aziende farmaceutiche, è un obiettivo obbligato del prossimo decennio. Dipenderà anche da noi. Come operatori della sanità possiamo impegnarci per contrastare gli impatti sulla salute dei cambiamenti climatici, per ridurre le diseguaglianze di salute che tale crisi sta amplificando, per chiedere azioni immediate ai governi per la transizione ecologica. Siamo ancora in tempo per evitare esiti drammatici sull’ambiente, sulla perdita di biodiversità, sulla salute umana, ancora in tempo per salvaguardare il benessere nostro e delle generazioni future. F
La bibliografia è disponibile su
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Valutare gli esiti In ambito sanitario, gli indicatori di esito/processo valutati attraverso il Programma nazionale esiti ci dicono se e in che misura gli ospedali garantiscono ai pazienti interventi di provata efficacia e sicurezza. Considerando però i cambiamenti in atto, questi indicatori potrebbero essere integrati e aggiornati per migliorare le prospettive di cura e la qualità dell’assistenza. Il punto di vista dei lettori di Forward.
Il Programma nazionale esiti è …
Essere cittadini attivi può servire per migliorare le prospettive di cura?
32%
12%
Non saprei
Uno strumento sufficientemente completo per migliorare la qualità dei servizi
56%
Una forma di valutazione che ha bisogno di essere perfezionata
3%
34%
Connessione tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti
38%
Assistenza domiciliare
25%
Promozione di sani stili di vita
1%
21%
Nella ricerca è importante riportare gli esiti a seconda del sesso e del genere, sia che si evidenzino differenze o meno?
1%
Per niente
3%
Poco
56%
Certo, la capacità del Ssn di supportare il paziente e la sua famiglia è uno degli esiti da misurare
Molto
30%
Spesso gli studi clinici che ottengono risultati negativi non vengono pubblicati e questo alimenta il problema del bias di pubblicazione. Ritiene che “tutto” vada pubblicato o, in certi casi, è accettabile che alcuni studi di importanza secondaria siano disponibili in forma diversa dalla classica pubblicazione accademica?
3%
Non sono d’accordo: un conto sono gli esiti clinici, altro è invece l’impatto sulla vita del paziente
66%
Abbastanza
38%
6%
15%
Sì, andrebbero formati in questo senso i medici di medicina generale
Teoricamente sì, ma penso sia difficile
La tossicità finanziaria potrebbe diventare un indicatore del Programma nazionale esiti per valutare il miglioramento della qualità dell’assistenza?
Non so esattamente cosa si intenda per “tossicità finanziaria”
Assolutamente sì, sarebbe fondamentale che il Ssn traesse beneficio da una cittadinanza attiva
No, sono decisioni che devono riguardare gli addetti ai lavori
Gli indicatori usati dal Pne aumentano ad ogni aggiornamento. Verso quali ambiti, a suo parere, dovrebbe evolvere la misurazione degli esiti?
Non saprei
62%
1%
Non so farmi un’idea
No, gli studi negativi o neutri non dovrebbero essere pubblicati
12%
Non saprei, il rischio di essere sommersi da un numero di articoli ancora maggiore mi preoccupa
39%
Tutto deve essere pubblicato
46%
È importante avere accesso ai dati di una ricerca nelle sue diverse fasi, il metodo di pubblicazione è poco rilevante
Il questionario è stato inviato tramite newsletter. Hanno risposto 378 persone, medici, epidemiologi, infermieri e ricercatori. Età media 54 anni. Leggi tutti i risultati della survey su: www.forward.recentiprogressi.it
L’ULTIMA PAROLA Con il termine esito si intende il cambiamento (desiderabile o indesiderato), negli individui e nelle popolazioni, che può essere attribuito all’assistenza sanitaria. Gli esiti includono: 1.
Cambiamenti nello stato di salute.
2.
Cambiamenti nelle conoscenze acquisite dai pazienti, e dai componenti delle loro famiglie, che possono influenzare le cure future.
3.
Cambiamenti nel comportamento di pazienti, o componenti delle loro
Insieme al Dipartimento di epidemiologia del Ssr Lazio, Asl Roma 1 e al Pensiero Scientifico Editore partecipano al progetto Forward
famiglie, che possono influenzare le cure future. 4.
Soddisfazione di pazienti e delle loro famiglie rispetto all’assistenza ricevuta e ai suoi risultati.
Propongo le seguenti linee-guida sul modo migliore di usarli: 1.
L’outcome selezionato deve essere rilevante per gli obiettivi dell’assistenza: rappresenta ciò a cui i clinici tendono.
2.
L’outcome deve essere raggiungibile con un’assistenza di buona qualità. Questo significa che i metodi per realizzarlo sono disponibili e sotto il controllo del sistema sanitario.
3.
L’outcome, buono o cattivo che sia, deve essere attribuibile in prima battuta all’assistenza sanitaria e, in secondo luogo, ai professionisti (o ad altre persone) di cui si voglia valutare la performance.
4.
La durata dell’outcome, così come la sua importanza, dovrebbe essere tenuta in considerazione.
5.
Come corollario, deve essere considerato il trade-off tra entità e durata di diversi outcome alternativi. Per esempio, una vita più breve con un più elevato livello di funzionalità può dover essere soppesata a paragone di una vita più lunga con maggior grado di disabilità.
6.
Come ulteriore corollario, le informazioni sui risultati rilevanti devono essere disponibili, cosa tutt’altro che facile, soprattutto quando l’acquisizione delle informazioni richiede un follow-up per lunghi periodi di tempo.
7.
Per ottenere un quadro completo della performance, è necessario tracciare non solo le conseguenze dell’agire ma anche quelle del non agire.
8.
Infine, l’outcome da solo non basta. Devono anche essere considerati i mezzi necessari per raggiungerlo, a meno che non si presuma che le risorse siano illimitate, cosa quasi sempre non vera. Avedis Donabedian An introduction to quality assurance in health care. Oxford: Oxford UP, 2003. In: Il Maestro e le margherite. La qualità dell’assistenza sanitaria secondo Avedis Donabedian. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2010.
Supplemento a Recenti Progressi in Medicina — Vol. 114, numero 12, dicembre 2023 — © 2023 Il Pensiero Scientifico Editore Advisory Board Antonio Addis Camilla Alderighi Laura Amato Massimo Andreoni Giancarlo Bausano
La policy di Forward è descritta in dettaglio sul sito del progetto.
Davide Bennato Maurizio Bonati Stefano Cagliano Mike Clarke Giampaolo Collecchia
Giuseppe Curigliano Marina Davoli Silvio Garattini Simona Giampaoli Raffaele Giusti
Giuseppe Gristina Tom Jefferson Maurizio Koch Elisa Liberati Nicola Magrini
Federico Marchetti Nello Martini Luigi Naldi Francesco Perrone Luigi Presenti
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I componenti dell’Advisory Board, il Direttore responsabile e l’Associate Editor non percepiscono compensi per le attività svolte nell’ambito del progetto Forward. Le opinioni espresse dagli autori e dalle persone intervistate sono personali e non impegnano gli enti e le aziende di appartenenza.
Associate Direttore Editor responsabile Luca De Fiore Antonio Addis
Redazione Marialidia Rossi Rebecca De Fiore Giada Savini Laura Tonon
Relazioni esterne Luciano De Fiore Maria Nardoianni
Grafica Antonella Mion
Fotografie Lorenzo De Simone
Stampa Ti Printing Via delle Case Rosse 23 00131 Roma dicembre 2023
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