One health 35
Cambiare prospettiva è il primo passo verso una vita moralmente accettabile per tutti e per una salute unica e molteplice
Cambiare prospettiva è il primo passo verso una vita moralmente accettabile per tutti e per una salute unica e molteplice
4 Una strategia globale per una proprietà globale MARIA FREGA 8 La lunga storia di One health LA
11 Cambiamenti climatici e salute
DE’ DONATO a colloquio con JAN C. SEMENZA
Le nostre azioni contro la natura ROBERTA VILLA a colloquio con DAVID QUAMMEN
16 Il problema dell’antimicrobico resistenza MASSIMO SARTELLI
Il punto di vista dei nostri
Le mosse del Ministero della salute e dell’Iss
25 La rete degli Istituti zooprofilattici sperimentali GIUSEPPE RU, PAOLA SCARAMOZZINO
Il Piano nazionale esiti
Ancora una volta il gruppo di lavoro Forward si è trovato costretto ad allargare lo sguardo. Era già capitato ogni volta che ci siamo impegnati a cercare una sintesi nei fenomeni che innegabilmente avranno un impatto sulla cura e medicina del futuro. A questo punto, mettere insieme l’ambiente, il mondo animale e l’uomo non poteva che portarci ad approfondire i dettagli di una strategia riassumibile nella locuzione “One health”.
La recente pandemia, insieme a un tema sempre più emergente nella sua rilevanza e pericolosità come l’antibiotico resistenza, o re esempi concreti per l’applicazione di un approccio globale allo studio di questi fenomeni, restituendo un quadro più attento alla complessità di ciò che accade. In tutto questo, il gruppo di lavoro si è trovato avvantaggiato dalla pratica già esercitata di cercare in ogni approfondimento il confronto tra competenze, anche molto diverse fra loro e proprio per questo indispensabili a completare la visione di una salute unica e molteplice.
Le pagine che seguono raccontano esperienze, progetti e visioni che provano a rendere concreta la proposta di questo nuovo paradigma di salute e cura, dove l’uomo, in quanto tale, non può più pensarsi come l’unico occupante dell’ecosistema che abita.
L’idea è quella di fare un passo in avanti rispetto alle generiche dichiarazioni di massima e di scendere più in concreto per cominciare a programmare, sulla base delle prime esperienze, un modo di fare salute per l’uomo, nel tentativo di coesistere piuttosto che occupare tutto lo spazio disponibile.
Antonio Addis
Dipartimento di epidemiologia
Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
“We are in an era of One world, One health”: è il 2004 e questa a ermazione chiude il documento con le dodici raccomandazioni note come “The Manhattan principles”. Formulate dagli esperti convocati dalla Wildlife conservation society (Wcs), hanno come scopo prevenire e a rontare malattie ed epidemie zoonotiche1.
Se fino ad allora infezioni come la febbre emorragica da ebola, il morbo della mucca pazza, l’influenza aviaria e la sars erano considerate controllabili, solo con il dilagare di covid-19 le infezioni trasmesse da animali diventano un’emergenza globale, collettiva, capace di incidere a lungo e profondamente nelle vite di ognuno. Si rafforza così anche quell’accenno vago che i dodici principi enunciavano: la salute degli esseri umani è legata a quella della fauna, della biodiversità della flora, di ogni risorsa e forma di vita dell’ecosistema planetario. Infiniti elementi si sostengono a vicenda e infinite possibili minacce potrebbero ripercuotersi più o meno ugualmente su ciascun elemento: una sola salute, dunque, in un unico pianeta. Pochi anni più tardi, nel 2008, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riprendeva quelle raccomandazioni per tentare di convogliarle nella pratica di ogni sistema sanitario. Un progetto proiettato verso un futuro ideale, forse difficile da afferrare senza una minaccia incombente. In ogni caso, risale ad allora la definizione tuttora valida del concetto di una salute unica, così come definita dalla stessa Oms: “One health è un approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e degli ecosistemi. Riconosce che la salute degli esseri umani, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (compresi gli ecosistemi) sono strettamente collegati e interdipendenti”2 Nell’ottobre 2023, l’Oms rilevava: “Circa il 60 per cento delle malattie infettive emergenti segnalate a livello globale
proviene da animali, sia selvatici che domestici. Negli ultimi tre decenni sono stati rilevati oltre 30 nuovi patogeni umani, il 75 per cento dei quali ha avuto origine negli animali”. Da qui, quelli che si potrebbero ritenere degli assiomi2
1. La salute degli esseri umani, degli animali e degli ecosistemi sono strettamente interconnesse. I cambiamenti in queste relazioni possono aumentare il rischio di sviluppo e diffusione di nuove malattie umane e animali.
2. Le attività umane e gli ecosistemi stressati (commercio di animali, sfruttamento dell’agricoltura, degli allevamenti, delle risorse naturali, cambiamenti climatici, la frammentazione dell’habitat e urbanizzazione) hanno creato nuove opportunità per l’insorgenza e la diffusione di malattie.
3. One health è un approccio volto a ottimizzare la salute degli esseri umani, degli animali e degli ecosistemi integrando questi ambiti anziché tenerli separati.
E infine, a corollario, la necessità di “una stretta collaborazione, comunicazione e coordinamento tra i settori interessati”.
In pratica, adottando la sintesi di un editoriale apparso su Lancet nel gennaio 2023: “Gli atteggiamenti moderni nei confronti della salute umana hanno una visione puramente antropocentrica, ovvero che l’essere umano è il centro dell’attenzione e della preoccupazione medica. One health ci pone in una relazione interconnessa e interdipendente con gli animali non umani e l’ambiente. Le conseguenze di questo pensiero comportano un cambiamento di prospettiva sottile ma piuttosto rivoluzionario: tutta la vita è uguale e di pari preoccupazione”3
Da concetto a strategia
C’è un momento specifico in cui i volenterosi concetti di One health cominciano a (voler) diventare strategia. E si tratta dell’inverno del 2020, quando il mondo intero è costretto a comprendere cosa sia una zoonosi: si diffonde covid-19.
Le infezioni trasmesse da animali domestici e selvatici causavano già oltre due milioni di morti all’anno nei Paesi più poveri, non tutte però diventano pandemie. A fine emergenza, cresce la consapevolezza e aumentano le conoscenze scientifiche, senza però tirare il fiato. Per dirla con le parole del direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, la pandemia ha dimostrato che One health “deve diventare più di un concetto, deve essere tradotto in sistemi che mantengano le persone più sicure” (18 gennaio 2021)4
Nel concetto di One health sono comprese anche le raccomandazioni sulla prevenzione. Se sono accertate le responsabilità umane nella diffusione delle zoonosi, e se non t
60% delle malattie infettive conosciute proviene da animali*
75% delle malattie infettive emergenti proviene da animali*
50% delle malattie zoonotiche emergenti è collegabile alla trasformazione di uso del suolo*
3x le zoonosi trasmesse dall’animale all’uomo negli ultimi 40 anni*
60% dei patogeni umani è multi-specie, in grado di infettare anche specie diverse dall’Homo sapiens (zoonosi inversa)**
Fonti: *Oms, 2023 | ** Plos ONE 2014
si innesca un cambiamento nel rapporto con l’ambiente e il resto dei suoi abitanti, nulla può proteggerci dall’eventualità di una nuova pandemia. Già nel febbraio di quel fatidico anno, Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, diffondeva il rapporto “Prevenire la prossima pandemia. Le malattie zoonotiche e come rompere la catena di trasmissione” e individuava i fattori umani responsabili. Sono sette: la crescente richiesta di proteine animali, l’intensificazione insostenibile dell’agricoltura, il crescente sfruttamento degli animali selvatici, l’uso incontrollato delle risorse naturali, i viaggi e trasporti, i cambiamenti nella filiera alimentare, i cambiamenti climatici. One health diventa allora “la soluzione ottimale per prevenire e rispondere alle future pandemie”, poiché unisce competenze in materia di sanità pubblica, veterinaria e ambientale e contribuisce allo stesso tempo allo sviluppo sostenibile5
La strategia delle Nazioni Unite è condensata in un documento di oltre ottanta pagine “One health Joint plan of action (Oh-Jpa)”6. Si tratta di indicazioni politiche, non vincolanti, sebbene composte consultando gli Stati membri. Il documento è elaborato dal cosiddetto “quadripartito” che coordina la governance globale One health: Food and agriculture organization of the United Nations (Fao), United Nations environment programme (Unep), World health organization (Who) e World organisation for animal health (Woah).
Lanciato nell’ottobre 2022, il piano d’azione congiunto ha durata quadriennale; entro il 2026, dunque, si punta a mettere in campo un sistema integrato per affrontare collettivamente le minacce per la salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e dell’ambiente. Prevenire, prevedere, individuare, rispondere: sono alcune delle parole chiave; lo sviluppo sostenibile è lo sfondo imprescindibile di ogni attività.
Sono sei le aree di azione:
1. miglioramento dei sistemi sanitari in ottica One health
2. riduzione dei rischi da zoonosi emergenti e riemergenti
3. controllo ed eliminazione delle zoonosi endemiche e delle malattie tropicali neglette e trasmesse da vettori
4. valutazione, gestione e comunicazione dei rischi per la sicurezza alimentare
5. lotta alla “pandemia silenziosa” dell’antibiotico resistenza
6. integrazione dell’ambiente in One health.
Il metodo per perseguire tali obiettivi comprende l’adozione di partenariati pubblico-privato, l’adeguamento dei quadri istituzionali e giuridici, la conoscenza delle realtà locali. Insomma: condivisione, consapevolezza, partecipazione, impegno a più livelli e visione olistica per sfidare (e, meglio, evitare) minacce diffuse come l’impoverimento della biodiversità, la vulnerabilità di alcune popolazioni, la scarsa qualità di certi sistemi alimentari.
L’alleanza quadripartita delle Nazioni Unite e le fasi di lavoro a livello nazionale
WHO
World health organization
Mobilità e trasporti
Crescita della popolazione
Sistemi sanitari
Con itti e disastri naturali
WOAH
World organisation for animal health
Commercio internazionale
Domanda alimentare
Pratiche agricole Tecnologia
United Nations environment programme
Food and agriculture organization of the United Nations
Produzione di massa
Urbanizzazione
Deforestazione
Viaggi e turismo
Lo scenario è noto
Che queste relazioni siano già abbastanza degradate è evidente e gli esempi per illustrarlo sono, purtroppo, innumerevoli. Lo erano già prima che la pandemia del 2020 e le successive ondate le rendessero evidenti e allarmanti per frequenza e diffusione.
Uno sviluppo economico e demografico che ha minato gli ecosistemi e la biodiversità; le risorse naturali della Terra consumate a ritmi sempre più veloci, l’urbanizzazione e i modelli di consumo insostenibili; la cattiva gestione dello smaltimento dei rifiuti; la contaminazione del cibo e dell’acqua (che causa quasi 2 milioni di decessi ogni anno in tutto il mondo); l’aumento sconsiderato di spostamenti di persone e merci. L’inquinamento, inoltre, e le crisi climatiche: cause ampiamente validate di morbilità e mortalità.
Sempre più rilevante è la questione dell’antibiotico resistenza. L’uso e l’abuso di antibiotici nei settori umano, animale e ambientale causa oltre 4,9 milioni di decessi a livello globale ogni anno.
Il fenomeno va affrontato in ottica One
health perché, secondo un’efficace sintesi del Ministero della salute, causa:
• nell’uomo e negli animali: difficoltà a curare le malattie infettive e aumento delle complicanze
• nell’ambiente: contaminazione di acqua, suolo e vegetazione con i residui di antibiotici a lungo attivi7
Contrastare l’antibiotico resistenza vuole dire assicurare la salute soprattutto alle popolazioni di Paesi a basso reddito e ridurre la pressione umana sull’ambiente3
Alla ricerca di soluzioni potenti e sostenibili
Interconnesse, olistiche, sostenibili, efficaci: la ricerca di tali soluzioni è ancora parte della strategia programmatica globale di One health, a partire dalla produzione e condivisione di conoscenze.
Secondo una recente analisi dei network di One health negli ultimi dieci anni, svolta da ricercatori keniani e britannici, risulta che le reti stiano crescendo ma che la loro distribuzione
I CINQUE STEP per adottare e adattare il Piano One health
1.
Analisi della situazione attuale dell’implementazione dell’approccio One health a livello Paese
2.
Istituzione/ra orzamento di un meccanismo di coordinamento multisettoriale One health
3.
Piani cazione dell’implementazione, inclusa la de nizione delle priorità delle attività e l’utilizzo delle risorse
4.
Attuazione dei piani d’azione nazionali in chiave One health
5. Revisione, condivisione e incorporazione delle lezioni apprese
I TRE PERCORSI
per il cambiamento verso “una salute”
1.
Governance, politica, legislazione, nanziamento e advocacy 2.
Sviluppo organizzativo e istituzionale, attuazione e integrazione settoriale 3.
Dati, evidenze, sistemi informativi e scambio di conoscenze
geografica sia concentrata soprattutto in Europa. L’auspicio è una più equa collaborazione, anche in termini di risorse finanziarie, per rafforzare database e repository in tutto il mondo e intervenire direttamente presso le comunità più a rischio8
Già nel rapporto Unep il ruolo dell’Africa era definito come centrale, sulla scorta di alcuni casi di successo nella gestione di epidemie zoonotiche locali. “I Paesi africani – sottolinea il rapporto – hanno l’opportunità di guidare gli sforzi di prevenzione della pandemia. (…) Con le loro esperienze con l’ebola e altre malattie emergenti, stanno dimostrando modi proattivi per gestire le epidemie. Stanno applicando, ad esempio, nuovi approcci basati sul rischio piuttosto che su regole per il controllo delle malattie, che sono più adatti a contesti con scarse risorse, e stanno unendo le competenze umane, animali e ambientali in iniziative proattive One health”5
In riferimento all’editoriale su Lancet già citato3, è opportuno condividerne l’appello che l’approccio One health sia efficace per l’equità ecologica, quanto quella sanitaria, e che sia implementato con sostenibilità. Un esempio fra
tutti: “Chiedere che i wet markets vengano chiusi per fermare una zoonosi emergente potrebbe essere tecnicamente corretto, ma se non tiene conto di coloro che traggono il loro sostentamento da tali mercati, One health peggiorerà solo la vita di coloro di cui afferma di prendersi cura”.
Verso una forza globale di governance della salute
La necessità di coordinare sia la produzione scientifica a livello globale sia le azioni locali è evidente. Una soluzione “semplice da capire” fa riferimento alla metodica adottata da tempo dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. E se si creasse un Intergovernmental panel for one health (Ipoh)? La domanda è stata lanciata da un team di ricercatori del francese Institut de Recherche pour le développement che ha esaminato pro e contro dell’ipotetico organismo9 “Poiché i meccanismi internazionali riconoscono sempre di più l’approccio One health, è necessario scegliere il modo più efficace e appropriato per rafforzare l’interfaccia scienzapolitica, sia progettando nuove istituzioni (ad esempio, un Ipoh) sia ampliando la portata delle istituzioni esistenti”.
Si tratterebbe di una forza globale di governance della salute, istituzionalizzando l’approccio definito dal quadripartito. Ipoh dovrebbe rispondere – spiegano gli autori dello studio – alla necessità di coordinare la produzione di conoscenza, guidare le istituzioni negli investimenti, creare un sistema globale coeso per affrontare le emergenze. Insomma, quasi una riforma sanitaria universale, orientata all’emergenza. Fin qui i vantaggi (idealistici?). Non mancano i potenziali rischi che sembrano di origine formale. Le domande aperte sono diverse. Sarà, per esempio, possibile comprendere ogni tipologia di pandemia non conoscendo le future origini? Si citano, a questo proposito, eventuali disastri legati a falle tecnologiche e della sicurezza. Come sarà recepita la conoscenza dai decisori politici? E se le risorse economiche si esaurissero nella ricerca senza sfociare in azioni concrete? Considerando le immense risorse dell’Ipcc (12mila esperti, provenienti da 195 Paesi) i costi del nuovo ente, secondo gli autori dell’articolo, dovrebbero essere compresi fra i cinque e i dieci milioni di dollari. Per stessa ammissione delle Nazioni Unite, come si legge nel plan of action, il concetto di One health “si è evoluto ampliando la sua portata” e rendendo l’implementazione sempre più complessa, globalmente. Ostacoli tecnici si sono aggiunti a quelli istituzionali e professionali, esistono ancora limiti dovuti al rispetto della sostenibilità, carenze di finanziamento ed emergenze multidimensionali impongono nuove priorità. Non bisogna perciò perdere di vista l’obiettivo di una “istituzionalizzazione continua” e del perseguimento del cambiamento trasformativo supportato dai valori ormai chiari. Quelli, appunto, di “One world, One health”.
Maria Frega
1. Wildlife conservation society. The Manhattan Principles. https:// oneworldonehealth. wcs.org/About-Us/ Mission/TheManhattan-Principles. aspx
2. World health organization. One health. Pubblicato il 23 ottobre 2023
3. Editorial. One health: a call for ecological equity. Lancet 2023;401:169.
4. World health organization. Who director-general’s opening remarks at 148th session of the Executive Board. Pubblicato il 18 gennaio 2021
5. UN environment programme. Preventing the next pandemic - Zoonotic diseases and how to break the chain of transmission. Pubblicato il 29 febbraio 2020
6. Fao, Unep, Who and Woah. 2022. One health joint plan of action (2022–2026). Working together for the health of humans, animals, plants and the environment. Rome https://doi. org/10.4060/cc2289en
7. Ministero della salute. Antibiotico-resistenza, strategia One health. Aggiornato il 17 novembre 2023
8. Mwatondo A, RahmanShepherd A, Hollmann L, et al. A global analysis of One health networks and the proliferation of One health collaborations. Lancet 2023;401:60516.
9. Institut de recherche pour le développement. For or against an Ipcc for “One health”? Pubblicato il 27 settembre 2023
2008
Durante la Conferenza ministeriale internazionale sull’in uenza aviaria e pandemica a Sharm el-Sheikh, viene approvata una nuova strategia che concentra il controllo delle malattie infettive nelle aree in cui animali, esseri umani ed ecosistemi si incontrano
1918 In uenza spagnola: di origine probabilmente aviaria, si di onde in tutto il mondo contemporaneamente agli spostamenti delle truppe sui fronti europei, si stimano tra i 20 e i 50 milioni di vittime.
2007 L’American medical association e l’American veterinary medical association approvano un appello per una maggiore collaborazione tra le comunità mediche umane e veterinarie
1944
L’esercito tedesco inonda l’Agro pontino creando acquitrini, habitat ideale per la proliferazione delle zanzare. I casi di malaria nei due anni successivi aumentano di dieci volte rispetto al periodo prebellico.
1947 Viene fondata la Veterinary public health division presso i Centri per il controllo delle malattie statunitensi, valorizzando l’importante ruolo degli animali nell’epidemiologia delle malattie zoonotiche.
2009
L’Agenzia degli Stati
Uniti per lo sviluppo internazionale lancia l’Emerging pandemic threats program, con lo scopo di garantire uno sforzo internazionale coordinato e completo per prevenire l’insorgenza di malattie di origine animale.
2012
L’autore di “Spillover. L’evoluzione delle pandemie”, David Quammen, spiega nel suo libro perché l’essere umano è il principale responsabile delle pandemie moderne.
Per la prima volta la popolazione mondiale che vive nelle città supera il 50 per cento, e questa percentuale continua a crescere.
2024
L’Oms dichiara per la seconda volta l’mpox, una malattia infettiva zoonotica, un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
2014 Il consumo medio di carne, secondo Science, è di 43 kg a persona all’anno, 20 kg in più rispetto agli anni ‘60.
2004
La Wildlife conservation society riunisce un gruppo di esperti di salute umana e animale in cui si discute il movimento delle malattie tra esseri umani, animali domestici e fauna selvatica
Secondo un importante studio i provvedimenti più e caci per la riduzione delle emissioni di CO2 sono quelli che hanno combinato tipologie diverse di intervento: su 1500 politiche analizzate, soltanto 63 hanno dato riduzioni signi cative
2015
Nei cinque anni precedenti, vi è stato un incremento del 65 per cento del consumo a livello globale di antibiotici.
Si svolge a Città del Capo l’ottavo congresso internazionale su One health con l’obiettivo di prevenire e mitigare le minacce per la salute globale che hanno origine nell'interfaccia animale-uomoambiente
1948 Alexander Fleming
mette in guardia dai rischi legati a un impiego sconsiderato degli antibiotici: “C’è il rischio che una persona ignorante possa somministrarsi una dose non su ciente a uccidere tutti i microbi, rendendo quest’ultimi resistenti”.
1964 Calvin Schwabe, padre dell’epidemiologia veterinaria, conia il termine “One medicine” e chiede un approccio uni cato contro le zoonosi.
1976
Viene descritta per la prima volta la malattia da virus ebola, nell’attuale Repubblica Democratica del Congo. Da allora, si sono veri cati cluster epidemici in diversi Paesi africani.
Nasce il primo network intersettoriale dedicato alle zoonosi nanziato dall’Unione europea e attualmente trasformato nella MedVet-Net association, comprendente istituti di sanità pubblica, veterinaria e sicurezza alimentare.
Vengono emanati i “Manhattan principles”, dodici priorità per combattere le minacce alla salute umana e animale che costituiscono la base del concetto “One health, one world”
Sono oltre 290mila i decessi a causa delle ondate di calore nel mondo, la maggior parte in Giappone, Cina orientale, India settentrionale ed Europa centrale (con oltre 100mila vittime).
Circa settecentomila persone muoiono ogni anno per colpa di batteri resistenti agli antibiotici
La crisi della sars (severe acute respiratory syndrome) mette in luce l’urgenza di un approccio integrato per prevenire malattie zoonotiche e migliorare la collaborazione tra medicina umana e veterinaria
1981 Virus dell’immunode cienza umana: di uso in tutto il mondo, i suoi e etti contemplano l’indebolimento del sistema immunitario. Si stimano 25 milioni di vittime.
1984 L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) riconosce formalmente il ruolo della salute animale nella prevenzione delle malattie zoonotiche
Secondo uno studio pubblicato su Nature, tra 80 anni, no al 40 per cento dell’Amazzonia e parte delle foreste pluviali del Congo e dell’Australia potrebbero andare perse.
Covid-19, originata probabilmente dai pipistrelli, con un possibile passaggio intermedio in altri animali, causa milioni di morti e impatti sanitari, economici e sociali ancora in corso.
Secondo l’Oms, il 60 per cento delle malattie infettive emergenti segnalate a livello globale provengono da animali, sia selvatici che domestici.
In base alle stime dell’Internal displacement monitoring centre, sono oltre 32 milioni i nuovi sfollati a causa di disastri, per lo più inondazioni, tempeste e siccità.
Ogni giorno vengono sprecati oltre 1 miliardo di pasti, mentre più di 780 milioni di persone so rono la fame e un terzo dell’umanità deve a rontare l’insicurezza alimentare.
Da un report del Wwf emerge che scompaiono specie animali e vegetali ad un ritmo 1000 volte superiore al tasso naturale Le cause: caccia, perdita dell’habitat, bracconaggio.
Sebbene il concetto sia entrato a far parte del dibattito internazionale solo negli ultimi decenni, è n dai tempi di Rudolf Virchow e William Osler, pionieri della medicina moderna di ne ‘800, che la somiglianza nei processi di malattia tra animali ed esseri umani viene approfondita. Tuttavia, la medicina umana, quella animale e la tutela dell’ambiente sono state a lungo praticate separatamente. Finché le crisi sanitarie hanno dimostrato che quando gli esseri umani alterano o distruggono gli ecosistemi si scatenano nuovi virus.
La crisi climatica in corso ha reso evidente l’assoluta necessità di considerare ambiente e salute come elementi interconnessi. L’interdipendenza tra salute umana, animale e ambientale è ormai ampiamente riconosciuta, come dimostrato dalla crescente presenza del concetto di One health in vari contesti, dalla letteratura scientifica e divulgativa ai bandi di ricerca e ai documenti governativi. Questo approccio viene declinato in diverse forme: salute integrata, salute globale, salute planetaria, approccio sanitario olistico, salute ecosistemica, sanità intersettoriale o transdisciplinare. Indipendentemente dalla terminologia utilizzata, il principio fondamentale è che persone, animali e ambiente costituiscono un unico sistema globale, e la salute di ciascun componente è strettamente legata a quella degli altri. Riconoscere che la salute è una rappresenta quindi un passaggio cruciale per l’efficacia delle politiche sanitarie.
Riconoscere che la salute è una, e rappresenta un passaggio cruciale per l’e cacia delle politiche sanitarie.
Carla Ancona
Dipartimento di epidemiologia Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
Circa il 60 per cento delle malattie infettive umane, come l’influenza aviaria o covid-19, sono di origine animale. Queste zoonosi si sviluppano e si diffondono quando esistono interazioni strette tra esseri umani, animali e ambiente. Fenomeni come la deforestazione, l’urbanizzazione incontrollata e il commercio illegale di fauna selvatica contribuiscono all’aumento di tali malattie, mentre l’aumento delle temperature, la distruzione degli ecosistemi e le catastrofi naturali favoriscono la diffusione di malattie trasmesse da vettori. Le strategie di mitigazione e adattamento del cambiamento climatico sono dunque fondamentali per ridurre l’impatto delle malattie legate ai cambiamenti ambientali e solo una stretta collaborazione tra sanità pubblica, veterinaria e ambientale può prevenire o controllare efficacemente queste patologie. La sorveglianza e la gestione integrata delle risorse agricole, pratiche agricole sostenibili e la prevenzione di malattie negli animali da allevamento sono cruciali per evitare contaminazioni alimentari che possono influire sulla salute umana. Il benessere animale è una componente chiave dell’approccio One health, poiché la salute animale influenza la salute umana e la sostenibilità ambientale. Migliorare le condizioni degli animali da allevamento, tutelare la biodiversità e proteggere le specie selvatiche contribuisce a ridurre il rischio di malattie e a migliorare l’equilibrio degli ecosistemi. L’uso eccessivo o inappropriato di antibiotici sia negli animali che negli esseri umani ha portato a un aumento della resistenza antimicrobica, una delle maggiori minacce alla
salute. I batteri resistenti possono diffondersi tra animali, persone e ambiente, rendendo essenziale un approccio coordinato tra settori. Crisi sanitarie complesse, come la pandemia di covid-19, hanno dimostrato che le risposte più efficaci sono quelle che coinvolgono esperti in virologia, epidemiologia, veterinaria, scienze ambientali e sanità pubblica.
Nel nostro Ssn esistono barriere organizzative e settoriali che ostacolano un cambiamento rapido e la cooperazione intersettoriale.
Sebbene questo approccio sia ormai da vent’anni (fu usato nel 2003 con la prima epidemia di sars) teoricamente ritenuto necessario, la sua traduzione in pratica e l’adozione di modelli operativi che traducano questa visione in realtà è, evidentemente, difficile da realizzare nonostante gli ingenti investimenti messi a disposizione dal Piano nazionale complementare al Pnrr.
L’approccio “Una salute” richiede una stretta collaborazione tra diverse discipline, ma nel nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) esistono barriere organizzative e settoriali che ostacolano un cambiamento rapido e la cooperazione intersettoriale. A livello centrale, le divisioni tra ministeri e agenzie governative (salute, agricoltura, ambiente) rendono difficile l’adozione di un approccio integrato. A livello regionale, è necessario definire con precisione ruoli e modalità di interazione per ottimizzare la gestione del patrimonio informativo e intellettuale necessario per le attività sanitarie e ambientali. Tuttavia, la principale criticità è rappresentata dall’eterogeneità degli assetti regionali, che varia non solo in termini di modelli organizzativi, ma anche nella disponibilità di dati, nel
livello di integrazione tra servizio sanitario e agenzie ambientali, e nelle limitazioni legate all’accesso e al trattamento dei dati sanitari. In particolare, le procedure di protezione dei dati personali sono interpretate in maniera diversa tra le regioni, creando disomogeneità che, in alcune realtà, impediscono la realizzazione di studi e ricerche.
È urgente agire concretamente per favorire la cooperazione tra diversi settori e tradurre la visione “Una salute” in azioni concrete, garantendo risposte più resilienti e sostenibili alle minacce globali alla salute.
Nonostante sia riconosciuto che l’implementazione di un approccio integrato tra ambiente e salute richieda competenze multidisciplinari, tali competenze non sono ancora adeguatamente diffuse tra gli operatori del Ssn e del Sistema delle agenzie ambientali. Di conseguenza, è urgente affrontare la questione della formazione e dello sviluppo o del potenziamento delle competenze, per garantire l’efficacia di questo approccio. Va anche ricordata l’importanza del coinvolgimento di decisori politici, comunità locali, settori produttivi e della società civile che sono i veri attori del cambiamento. Tuttavia, il coordinamento tra questi attori e il sistema sanitario non è sempre efficace, complicando ulteriormente l’attuazione di politiche coerenti. Il concetto di “Una salute” è essenziale per affrontare efficacemente le sfide sanitarie del nostro secolo. Ma è urgente agire concretamente per favorire la cooperazione tra diversi settori e tradurre questa visione in azioni concrete, garantendo risposte più resilienti e sostenibili alle minacce globali alla salute. F
Per fronteggiare i cambiamenti climatici si parla spesso dell’approccio One health che integra l’ambiente, l’uomo e il mondo animale in maniera olistica. In un recente articolo pubblicato su The Lancet Regional Health Europe, lei propone il framework integrato “One healthclimate risk”, nalizzato a colmare il divario tra conoscenza e azione, promuovendo interventi e politiche di adattamento e mitigazione a vari livelli. Quali sono le sinergie tra l’approccio One health e i cambiamenti climatici? In che modo possono supportarsi reciprocamente?
Il tallone d’Achille dell’approccio One health è il fatto che non riusciamo a collegare la salute umana, la salute animale e l’ambiente in maniera adeguata. Tendiamo a studiarle separatamente, a compartimenti stagni, ognuno segue una sola parte ed è difficile creare iniziative di ricerca continuative trasversali e multidisciplinari. Questa difficoltà la vediamo anche trattando i cambiamenti climatici, sia nello studio degli impatti che nelle politiche e misure di risposta molto settorializzate e poco trasversali.
Una possibile soluzione, che spesso cito trattando questo tema, è un approccio basato su un continuum della sorveglianza, simile a quanto viene fatto nella cura dell’hiv in cui una diagnosi tempestiva e accurata viene seguita da una terapia retrovirale e da un monitoraggio continuo che garantisce la piena aderenza alla terapia. Per i cambiamenti climatici dovremmo fare qualcosa di simile, ovvero garantire un continuum di sorveglianza e monitoraggio transdisciplinare degli impatti e dei rischi per la salute umana, animale e ambientale. Tuttavia, non è semplice. Solo considerando i dati necessari per la sorveglianza, ci imbattiamo in difficoltà – spesso difficili da risolvere – legate alla privacy e alla condivisione delle informazioni.
Se, invece, potessimo disporre di sistemi di sorveglianza paralleli per la salute umana e animale, in grado di fornire indicatori confrontabili e con tempistiche comuni, sarebbe più semplice affrontare situazioni emergenziali in un’ottica One health. Nell’articolo del Lancet da lei cita to, proponiamo proprio questo approccio olistico e globale per affron tare l’emergenza, la trasmissione e la diffusione delle malattie infettive sensibili al clima. Il framework coniuga il modello di rischio climatico dell’Intergovernmental panel on climate change (hazard-exposure-vul nerability) con la prospettiva One health per la sorveglianza integrata della salute animale, umana e ambientale.
Se potessimo disporre di sistemi di sorveglianza paralleli per la salute umana e animale, sarebbe più semplice a rontare situazioni emergenziali in un’ottica One health.
Jan C. Semenza
Department of sustainable health, Umeå university (Svezia)
Institute of global health, University of Heidelberg (Germania)
Intervista a di epidemiologia Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
La sanità pubblica ha nora avuto un ruolo marginale nella lotta ai cambiamenti climatici, soprattutto per la di coltà di inserirsi nella multidisciplinarità della tematica e delle politiche adottate. Partendo dal framework One health, come può la sanità pubblica assumere un ruolo di maggiore rilievo nella lotta ai cambiamenti climatici?
Come accennato in precedenza, l’approccio One health deve essere visto come un’opportunità per la sanità pubblica, a patto che si riesca ad adottare un approccio trasversale e multidisciplinare, evitando di lavorare in modo settoriale. Con il framework One health-climate risk, basato su una sorveglianza e un monitoraggio continui nei tre diversi domini, diventa possibile rilevare i segnali precoci molto più rapidamente, traducendoli poi in azioni tempestive di sanità pubblica per ridurne gli impatti. Il rischio sanitario associato ai cambiamenti climatici non può essere trattato come una tradizionale curva t
dose-risposta, da affrontare con metodologie classiche. I cambiamenti climatici sono caratterizzati da eventi estremi inattesi, che mutano nel tempo, e l’unico modo per minimizzare l’impatto sulla sanità pubblica è adottare un approccio integrato a partire dall’analisi dei dati, passando per la comunicazione del rischio, fino alla formulazione di politiche adeguate.
L’approccio One health applicato ai cambiamenti climatici deve coniugare prospettive su diverse scale, dal globale al locale. Nello specifico, se pensiamo alla sorveglianza delle malattie infettive sensibili al clima, da un lato possiamo sfruttare i dati e i modelli su scala globale per stimare gli impatti futuri, confrontare scenari di risposta e definire politiche. Dall’altro, i dati raccolti a livello locale possono informare i modelli di malattie infettive, a livello sia locale sia globale, e migliorare le valutazioni del rischio di malattia in ambiti di azione pubblica più ampi. Negli ultimi anni, a livello locale, i cittadini e le comunità hanno supportato questo processo attraverso attività di citizen science. Utilizzando metodologie di monitoraggio più semplici, i cittadini possono comunque cogliere i segnali dall’ambiente, come la presenza di una zanzara o di una zecca, e tradurre tali informazioni in sistemi di sorveglianza su scala geografica più ampia. Un esempio pratico è il sistema di allerta zanzare attivato in Spagna da un gruppo di cittadini e ricercatori nell’ambito di un progetto di citizen science: hanno scoperto la presenza della zanzara Aedes japonicus, e sulla base di questi dati è stato sviluppato un sistema di sorveglianza nazionale. Anche qui, vedo l’importanza di creare una sinergia tra un approccio dal basso verso l’alto (bottom-up) e politiche che, partendo da una scala globale, vengano poi declinate a livello locale (topdown).
Infine, un altro aspetto rilevante è la formazione e la consapevolezza in ambito sanitario, non solo riguardo ai cambiamenti climatici ma anche sull’approccio One health e sulla necessità di ampliare le nostre conoscenze e il campo d’azione.
Più riusciremo a evidenziare i co-bene ci per la salute delle misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici, maggiore sarà l’impegno e l’e cacia delle misure adottate per rispondere alla crisi climatica in corso.
Nel contesto attuale, come possono le nuove tecnologie e l’intelligenza arti ciale supportare l’intero quadro di risposta ai cambiamenti climatici?
L’intelligenza artificiale può essere uno strumento di estrema importanza in questo ambito. Nella nostra esperienza, abbiamo già utilizzato l’intelligenza artificiale e altre tecniche di machine learning per combinare variabili estremamente diverse, dall’ambito ambientale, economico, alla salute umana e animale, e attraverso modelli sofisticati siamo stati in grado di sviluppare algoritmi capaci di identificare i fattori alla base delle epidemie e diversi tipi di interazioni complesse. Questi nuovi strumenti ci permetteranno di fare cose prima impensabili, anche se, purtroppo, bisogna riconoscere che nella sanità pubblica il know-how per applicare tali metodologie è ancora marginale e il personale qualificato scarseggia, poiché molti professionisti preferiscono lavorare in settori più all’avanguardia e remunerativi.
L’approccio integrato
One health-climate risk. Basandosi sul quadro di riferimento dell’Ipcc per il rischio climatico e sulla prospettiva
One health per la sorveglianza integrata della salute animale, umana e ambientale, l’IDAlert Consortium descrive un approccio olistico per a rontare l’emergenza, la trasmissione e la di usione delle malattie infettive. Un “quadro
Come può l’approccio One health supportare la sanità pubblica nel de nire e guidare le politiche di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici?
È evidente la necessità di lavorare di più sul concetto dei co-benefici per la salute derivanti dalle misure di adattamento e mitigazione, anche e soprattutto da una prospettiva One health. Un esempio legato alla mitigazione riguarda il consumo e la produzione industriale di carne: le evidenze scientifiche sulle emissioni di gas serra associate a questo fenomeno sono ben conosciute, così come i rischi per la salute legati al consumo di carni rosse e processate. A ciò si aggiunge l’enorme quantità di antibiotici somministrati in modo inappropriato agli animali, generando antibiotico resistenza, che poi si trasferisce anche all’uomo. Inoltre, un terzo delle infezioni da Campylobacter in Europa è dovuto al consumo di pollame contaminato. Quindi, sembra logico, da più prospettive, ridurre il consumo di carne: meno antibiotico resistenza, meno malattie infettive e non trasmissibili, meno emissioni di gas serra. Purtroppo, siamo ancora lontani da questo traguardo, e questa è proprio la sfida che la sanità pubblica deve affrontare riguardo ai cambiamenti climatici. Dobbiamo assolutamente elaborare strategie migliori per diffondere l’uso dei servizi climatici nella comunità sanitaria: più riusciremo a evidenziare i co-benefici per la salute delle misure di adattamento e mitigazione ai cambiamenti climatici, maggiore sarà l’impegno e l’efficacia delle misure adottate per rispondere alla crisi climatica in corso. F
integrato di conoscenza-azione” transdisciplinare combina ussi di ricerca applicata per co-produrre strumenti e soluzioni di supporto decisionale basati sull’evidenza, in collaborazione con un insieme diversi cato di stakeholder politici. Come illustrato qui sotto, le carenze nell’adattamento e nella preparazione al cambiamento climatico aumentano l’esposizione e la vulnerabilità ai pericoli legati
al clima, creando rischi per la salute quando questi fattori si veri cano contemporaneamente. La mitigazione del cambiamento climatico può ridurre tali pericoli, mentre gli interventi di adattamento e preparazione possono limitare l’esposizione e la vulnerabilità.
Fonte: Rocklöv, JoacimRocklöv, Joacim et al. Lancet Reg Health Eur 2023;32:100701.
dei cambiamenti climatici
Adattamento e preparazione
Non è la prima volta che parlo con David Quammen, sia di persona che via Zoom, dal grande studio pieno di libri della sua casa in Montana, eppure mi sorprendo sempre di come sappia conciliare accuratezza e semplicità, sintesi e visione d’insieme. D’altra parte, non si diventa a caso uno dei più acclamati scrittori di scienza al mondo, grazie a saggi impeccabili dal punto di vista scienti co, ma godibili come romanzi. Il tutto senza avere un background accademico in una materia scienti ca, ma vantando una laurea a Yale e una specializzazione in letteratura americana a Oxford.
In queste settimane sta uscendo il suo nuovo libro, “Il cuore selvaggio della natura”, presentato anche al Festival della Letteratura di Mantova. Esce per Adelphi come il suo best-seller “Spillover”, grazie a cui questa parola, e il concetto di salto di specie dei virus, è oggi nota a tutti. Il libro, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2012, tornò in cima alle classi che di tutto il mondo allo scoppiare della pandemia da covid-19. Un testo antecedente la nuova emergenza, in cui si raccontavano tanti casi in cui virus animali erano riusciti a passare agli esseri umani, poteva essere il miglior antidoto contro chi escludeva l’origine naturale di sars-cov-2, ritenendola inverosimile. La narrazione che faceva riferimento all’ipotesi della fuga dal laboratorio di virologia di Wuhan era più avvincente, più cinematogra ca, e soprattutto individuava un colpevole, tutti elementi che istintivamente come esseri umani andiamo a cercare. “Spillover” sfruttava lo stesso potere delle storie – tuttavia, vere – per ribadire come la salute animale e quella del pianeta siano interconnesse tra loro e con quella umana. Che insomma, esista “una sola salute”, “one health”.
“Oggi questa espressione è diventata un’etichetta che usano tutti” ha esordito Quammen nella chiacchierata che abbiamo fatto a ne estate 2024, “ma è stata usata per la prima volta in un’intervista al Washington Post nel 2003, mentre il mondo tremava per la doppia minaccia di sars e in uenza aviaria.
Fu un veterinario, William Karesh, impegnato sul campo, in Africa, nello studio e nel controllo di ebola a utilizzarla, spiegando quanto contasse per l’emergere di questa malattia il ruolo degli esseri umani, che invadevano la foresta a spese di gorilla e scimpanzé.
Roberta Villa Giornalista laureata in medicina e chirurgia
David Quammen Saggista e divulgatore scienti co a colloquio con
Apiù di vent’anni da allora, e a quasi cinque dalla comparsa di sars-cov-2, possiamo dire che l’importanza di questo approccio integrato sia stata ben compresa e abbia cominciato a indirizzare le politiche nazionali e sovranazionali?
Purtroppo, non sembra di vedere molti progressi nelle politiche necessarie a evitare un’altra pandemia. Negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo centinaia di mandrie di vacche da latte che sono state colpite dal virus dell’influenza aviaria h5n1, nella variante che da qualche anno sta sterminando pollame, uccelli selvatici e – per la prima volta – anche mammiferi terrestri e marini, dalle otarie ai gatti domestici. Lasciare circolare con questa intensità il virus dell’influenza aviaria è molto pericoloso, perché più si replica, maggiori sono le probabilità che si realizzi la combinazione di mutazioni che può portarlo a diffondersi facilmente tra le persone. Eppure, assistiamo a uno scarso coordinamento tra le autorità sanitarie federali, come i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta, e quelle dei singoli Stati, che non sembrano disposti a rinunciare a parte della loro sovranità per il bene comune. Le importanti lezioni apprese durante la pandemia sono state dimenticate in fretta.
In piccolo, sembra lo stesso tipo di ostacolo che sta frenando a livello globale l’approvazione de nitiva del Trattato pandemico tra i diversi Paesi del mondo. Quanto incide l’imminenza delle prossime elezioni presidenziali sulle capacità di risposta degli Stati Uniti alle minacce pandemiche presenti e future?
L’inadeguatezza della preparedness va oltre la prospettiva elettorale, ma non c’è dubbio che i risultati delle elezioni presidenziali statunitensi incideranno molto sulla capacità che avremo di difendere la salute dell’umanità. Lo dico chiaramente: la prospettiva di un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump mi terrorizza, e dovrebbe terrorizzare chiunque abbia a cuore la scienza. Oggi siamo più pronti che nel 2020 a rispondere a un virus emergente, per esempio con nuovi vaccini, ma paghiamo un’importante perdita di fiducia nella scienza. Nonostante qualche segnale positivo nella consapevolezza del pubblico, ci sono ancora troppe persone che credono ai complotti, che attaccano scienziati come Anthony Fauci, che sono terrorizzate dai vaccini e convinte che sars-cov-2 sia stato creato in laboratorio. La speranza è che una vittoria di Kamala Harris, figlia di una scienziata, porti maggior attenzione alla ricerca e contrasto alla disinformazione in questo campo.
L’inadeguatezza
della preparedness va oltre la prospettiva elettorale, ma non c’è dubbio che i risultati delle elezioni presidenziali statunitensi incideranno molto sulla capacità che avremo di difendere la salute dell’umanità.
A metà agosto, l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato la nuova epidemia africana, provocata dal clado Ib di mpox, una emergenza di sanità pubblica internazionale (public health emergency of international concern). Dopo una prima ondata di paura, l’interesse per questa minaccia in Europa e negli Stati Uniti, dove, mentre scrivo, non si è ancora registrata una trasmissione autoctona del virus, si è già molto ridimensionato. Non crede che anche le diseguaglianze tra Paesi ad alto, medio e basso reddito cozzino contro il concetto di One health? Se la salute è una, non possiamo proteggere la nostra e distogliere lo sguardo da quel che accade in Asia, Africa o America Latina: è d’accordo?
Questo è un buon punto, e non solo perché la diffusione di un’infezione in Africa minaccia anche gli altri continenti, ma perché gli oltre 500 morti registrati nel 2024 per mpox non sarebbero accettabili qui e non dovrebbero esserlo nemmeno nella Repubblica democratica del Congo. Detto questo, è innegabile il legame tra le condizioni socioeconomiche, la crisi climatica e alimentare, le migrazioni, la deforestazione e l’aumento del rischio di nuovi spillover o che piccoli focolai epidemici oggi si diffondano più facilmente rispetto a un tempo, dati i maggiori spostamenti di merci e persone.
Anche la guerra potrebbe essere inserita tra i determinanti di cui tenere conto in un’ottica di salute globale?
La guerra compromette la salute già di per sé, per la morte, le ferite, le disabilità, i danni materiali che provoca direttamente alle persone. E in più può creare un terreno fertile per lo sviluppo di varie epidemie.
Certamente! La guerra compromette la salute già di per sé, per la morte, le ferite, le disabilità, i danni materiali che provoca direttamente alle persone, ma in più può creare un terreno fertile per lo sviluppo di varie epidemie: la distruzione può compromettere gli impianti che forniscono acqua potabile e le fognature, facilitando l’insorgenza di infezioni cutanee e a trasmissione orofecale. Lo vediamo nella guerra civile del Sudan, dove ai combattimenti si è aggiunta una gravissima carestia con epidemie di colera, o a Gaza, dove la situazione è tale che si è verificato addirittura un primo caso di poliomielite.
Insomma, le minacce per la salute a livello globale si moltiplicano e si intrecciano tra loro, e l’approccio One health è indispensabile per orientarsi tra resistenza agli antibiotici, rischio pandemico e crisi alimentare. Qual è il ruolo della crisi climatica in tutto questo?
La crisi climatica ha un grosso peso, ma non dobbiamo pensare che tutto dipenda da questo, come alcuni movimenti giovanili sembrano credere. Mi piace spiegare la situazione odierna con l’immagine di tre fiumi, che nascono da sorgenti differenti, sono collegati tra loro da canali trasversali e alla fine confluiscono nella realtà in cui ci troviamo. La crisi climatica, la perdita di biodiversità, l’aumento degli agenti infettivi emergenti sorgono infatti in maniera autonoma l’uno dall’altra. Per alcuni aspetti poi si potenziano reciprocamente e sono tutti alimentati dalla sovrappopolazione e dall’eccessivo consumo di risorse del pianeta che non bastano a soddisfare i desideri di tutti, soprattutto perché non sono distribuite equamente. Per agire in maniera efficace, tuttavia, occorre un’azione combinata. Non dobbiamo concentrarci su uno solo di questi, perché tutti contribuiscono a mettere un’ipoteca sul futuro dell’umanità.
La maggior parte degli interventi richiesti dagli scienziati per contrastare questi fenomeni però, dalla deforestazione alla crisi climatica, si scontrano con settori importanti dell’economia, dall’industria basata sui combustibili fossili a quella di produzione e trasformazione della carne. Penalizzare ciò che contribuisce al benessere a cui siamo abituati rischia inevitabilmente di creare disoccupazione e togliere il consenso ai decisori, che nei Paesi democratici non possono farne a meno. La crisi delle auto elettriche in Europa ne è un esempio recente. Come se ne esce?
Non ho, e non esiste, una bacchetta magica che possa risolvere problemi enormi come questi. Come ho scritto in un editoriale per il New York Times a giugno di quest’anno, la ricerca di cibo a basso prezzo da parte dei consumatori accentua il ricorso a pratiche potenzialmente rischiose. Abbiamo visto tutti le foto dei grattacieli che ospitano enormi allevamenti di maiali in Cina. D’altra parte so bene che la questione non si risolve accentuando i privilegi di chi può acquistare a caro prezzo verdure biologiche o carne di bovini che crescono liberi ai pascoli, invece che negli allevamenti intensivi. Né sarebbe etico impedire alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo di perseguire gli standard minimi di benessere cui siamo abituati noi, come la corrente elettrica in tutte le case o i mezzi di trasporto che ci consentono di viaggiare. Non penso quindi che si possano imporre dalla sera alla mattina provvedimenti drastici, che rischiano di scatenare una reazione opposta e contraria. Ciò non toglie che si debba almeno cominciare a dire le cose come stanno per aumentare la consapevolezza delle persone su come questi temi minaccino il futuro di tutti. Si potrebbe anche lavorare alla formazione di nuovi professionisti, specializzati in One health, che abbiano le competenze e gli strumenti per offrire consulenza ai molti livelli (locali, nazionali e sovranazionali) cui si manifesta la necessità di questo approccio. In ogni caso, occorre che nel frattempo il pubblico si renda conto della sua importanza, e accetti di modificare abitudini, aspettative, anche gusti alimentari. Più ne parliamo, maggiori sono le probabilità che questo cambiamento avvenga. F
Vedi anche
Per David Quammen de nire
“wildness” non è facile. La natura selvaggia è qualcosa di intangibile ma non è immaginaria: è un sistema che si basa sulla diversità biologica e i processi ecologici che interconnettono le diverse creature viventi. “Wildness” è la parola chiave del suo ultimo libro “Il cuore selvaggio della natura” che raccoglie i reportage sui progetti di conservazione realizzati dal 2000 al 2020 per il National Geographic Di pagina in pagina, Quammen racconta la ricchezza e la fragilità della biodiversità e degli ecosistemi, con particolare attenzione alla grande Africa, evidenziando come l’Homo sapiens ne rappresenti la principale minaccia ma, allo stesso tempo, anche la più grande speranza per la loro conservazione.
I reportage non si concentrano solo su piante e animali, ma anche sui membri della nostra specie: scienziati,
Occorre che il pubblico si renda conto della sua importanza, e accetti di modi care abitudini, aspettative, anche gusti alimentari. Più ne parliamo, maggiori sono le probabilità che questo cambiamento avvenga.
conservazionisti, funzionari pubblici e, soprattutto, le comunità locali, fondamentali per il successo della conservazione: è impossibile salvare le aree selvagge senza tenere conto delle esigenze delle persone che vivono in prossimità. Come in ogni negoziato di successo, la soluzione deve essere vantaggiosa per tutti. Ne è un esempio il con itto tra scimpanzé e comunità umane nell’Uganda occidentale, dove la deforestazione ha ridotto l’habitat
naturale dei primati, spingendoli a saccheggiare coltivazioni e, in alcuni casi, ad attaccare persone. Le ritorsioni contro gli scimpanzé sono state spesso illegali e mortali, ma il trasferimento degli animali è impraticabile poiché l’habitat disponibile è già occupato. Sono state quindi introdotte misure come la costruzione di pozzi, incentivi per il rimboschimento e programmi educativi per promuovere una fragile convivenza tra le due specie. Queste ed altre soluzioni innovative sono utili, ma restano parziali di fronte alla crescente perdita di habitat e ai cambiamenti climatici.
Quammen lascia però spazio alla speranza che azioni concrete possano ancora fare la di erenza: anche se è tardi, non è ancora troppo tardi per salvare le ultime grandi aree selvagge del pianeta. Il suo invito è ristabilire un legame con la natura e le sue forme di vita, iniziando dall’ascolto. •
L’antimicrobico resistenza (amr) è la capacità dei microrganismi di resistere ai trattamenti antimicrobici ed è una delle più grandi minacce per la salute pubblica del ventunesimo secolo. La sua prevalenza è aumentata in modo allarmante negli ultimi decenni1. Nel 2008, è stato proposto l’acronimo “eskape”, che si riferisce a Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa e Enterobacter, per evidenziare quei patogeni per i quali l’amr è di particolare preoccupazione e per sottolineare quali batteri “sfuggono” sempre di più agli effetti degli antibiotici 2
L’amr è un problema complesso e articolato che coinvolge non solo gli esseri umani, ma anche gli animali e l’ambiente. Il 17 marzo 2022, quattro agenzie internazionali – l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, l’Organizzazione mondiale per la salute animale, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e l’Organizzazione mondiale della sanità – hanno firmato un accordo per rafforzare la cooperazione e promuovere pratiche sostenibili che bilancino e ottimizzino la salute di esseri umani, animali, piante e ambiente, secondo l’approccio “One health”, il quale riconosce l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale 3
L’antibiotico resistenza è un problema articolato che coinvolge non solo gli esseri umani, ma anche gli animali e l’ambiente.
Global alliance for infections in surgery
La minaccia della Candida auris
Sebbene l’amr nelle infezioni batteriche sia una minaccia riconosciuta, si discute meno del suo impatto sulle infezioni fungine, che stanno aumentando. Ciò è dovuto in gran parte all’aumento della popolazione a rischio trattata nei nostri ospedali, che include pazienti oncologici o in attesa di trapianto, persone con infezione da virus dell’immunodeficienza umana o immunodepresse a causa di malattie o terapie, pazienti gravemente malati. Le infezioni fungine invasive sono associate a una notevole morbilità e mortalità. Di recente, la Candida auris è emersa in tutto il mondo come un patogeno multi-resistente: per l’alta trasmissibilità, le manifestazioni cliniche e la mortalità potenzialmente elevata i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Atlanta la classificano come uno dei cinque patogeni nella categoria “urgent threats”4. I dati pubblicati di recente dai Cdc evidenziano che la C. auris si sta diffondendo a un ritmo allarmante da quando è stata descritta per la prima volta nel 2009 come un’infezione invasiva. I casi di C. auris sono aumentati fino a tal punto da avere una prevalenza maggiore rispetto al comune patogeno fungino, la Candida albicans, in alcuni centri. La gestione della C. auris è particolarmente impegnativa a causa di cinque fattori:
1. elevata trasmissibilità, che porta a epidemie diffuse in numerosi ospedali in tutto il mondo,
2. un ampio spettro di manifestazioni cliniche associate a un tasso di mortalità pari al 7 per cento,
3. resistenza ambientale, inclusa la persistenza per settimane su superfici asciutte,
4. difficoltà nell’identificazione del patogeno da parte dei laboratori di microbiologia,
5. un alto tasso di batteri resistenti a multipli antibiotici e di fallimento terapeutico.
La persistenza nell’ambiente di C. auris è associata alla formazione di biofilm. Livelli allarmanti di amr sono stati segnalati in tutti i Paesi, indipendentemente dal loro livello di
50%
decessi per amr tra i bambini under5 dal 1991 al 2021 + 80% decessi per amr tra gli over70 dal 1991 al 2021
reddito. L’analisi pubblicata nel 2022 da Murray et al.5 ha rivelato che, nel 2019, l’amr è stata una delle principali cause di morte in tutto il mondo, con 4,95 milioni di decessi stimati associati all’amr batterica. Tra i 23 batteri studiati, sei (Escherichia coli, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Streptococcus pneumoniae, Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosa) sono stati ritenuti responsabili di 929.000 decessi dovuti all’amr e 3,57 milioni di decessi totali. In particolare, il solo S. aureus resistente alla meticillina ha causato oltre 100.000 decessi nel 2019.
Il problema della resistenza agli antibiotici
Lo sviluppo della amr è direttamente correlato all’uso degli antibiotici, i quali possono salvare vite quando vengono utilizzati per trattare pazienti con infezioni batteriche, ma spesso vengono usati in modo improprio, in particolare quando non necessari oppure somministrati per periodi eccessivi o senza considerare i principi farmacocinetici. La resistenza agli antibiotici è un fenomeno naturale che si verifica con l’evoluzione dei batteri. Tuttavia, l’uomo ha accelerato il ritmo con cui essi sviluppano e diffondono la resistenza1. L’uso inappropriato di antibiotici, così come le scarse pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni, contribuiscono allo sviluppo e alla diffusione dell’amr. Recentemente, la Global alliance for infections in surgery ha istituito il gruppo di lavoro Warning (Worldwide antimicrobial resistance national/international network group) coinvolgendo esperti da 115 Paesi del mondo e pubblicando una call to action sull’appropriato uso degli antibiotici nel setting ospedaliero identificando 10 regole d’oro (vedi p. 18) per ottimizzare il loro utilizzo 4
L’amr non è una malattia curabile, ma un fenomeno complesso che richiede un approccio multidisciplinare a livello locale, nazionale e globale. L’amr è qualcosa che mina il trattamento di molte malattie e quindi i sistemi sanitari, non è di facile interpretazione, come la malaria o l’hiv, fa parte di un fenomeno più ampio, pertanto non è suscettibile a semplici interventi tecnici.
Per preservare l’efficacia degli antibiotici e tutelare quindi la salute delle persone, degli
Scenari presenti e futuri.
animali e dell’ambiente è necessario il coinvolgimento di tutti i diversi attori in tutti i settori. Solo collaborando, infatti, si può provare a contrastare efficacemente lo sviluppo e la diffusione dell’amr.
Piani di azioni a livello locale e nazionale
Le azioni contro l’amr dovrebbero concentrarsi innanzitutto sulle esigenze locali e sui piani d’azione nazionali perché ogni Paese è diverso dagli altri. Tuttavia, l’amr è un problema che riguarda tutti, e tutti i Paesi nel mondo hanno un ruolo per risolverlo. Alcuni Paesi che hanno elaborato piani nazionali inclusivi hanno avuto successo nel controllo dell’amr. Questi approcci includono: il miglioramento della consapevolezza e la comprensione dell’amr attraverso una formazione efficace, il rafforzamento della conoscenza del problema attraverso la sorveglianza e la ricerca, la riduzione dell’incidenza delle infezioni attraverso misure efficaci di prevenzione e controllo delle infezioni, e l’ottimizzazione dell’uso degli antibiotici nella salute umana e animale. Queste strategie richiedono pazienza e tempo per essere assimilate ed applicate. Inoltre, è necessaria un’approvazione completa da parte delle autorità governative con ampi fondi.
L’Italia è tra i Paesi europei con i più alti tassi di amr e mortalità correlata6. Il quadro epidemiologico a livello italiano dei tassi di amr e di infezioni correlate all’assistenza strettamente correlate all’amr, rende necessari e urgenti interventi a tutti i livelli per contrastare questo fenomeno. Nel 2022 il Centro per la prevenzione ed il controllo delle malattie europeo ha stimato l’impatto sulla salute correlato alle infezioni da microrganismi antibiotico resistenti in Europa nel periodo 2016-2020
L’antibiotico resistenza non è una malattia curabile, ma un fenomeno complesso che richiede un approccio multidisciplinare a livello locale, nazionale e globale.
Il Global Research on Antimicrobial Resistance Project ha calcolato l’impatto della resistenza agli antibiotici (amr) nel tempo su scala globale. Lo studio pubblicato sul Lancet ha esaminato 22 agenti patogeni, 84 combinazioni tra patogeni e trattamenti, e 11 sindromi infettive utilizzando dati di oltre 520 milioni di persone di tutte le età provenienti da 204 Paesi e territori. Dal 1990 al 2021, oltre un milione di persone all’anno in tutto il mondo sono morte direttamente a causa dell’amr e 4,7 milioni per cause associate all’amr. Entro il 2050 potrebbero raggiungere gli 1,91 milioni i decessi per amr (+67 per cento rispetto al 2021) e 8,22 milioni associati all’amr (+74,5 per cento rispetto al 2021). Le regioni più colpite potrebbero essere l’Asia meridionale, l’America Latina e i Caraibi, con gli anziani sopra i 70 anni identi cati come i più vulnerabili. Nello scenario “cure migliori”, 92 milioni di decessi potrebbero essere evitati cumulativamente tra il 2025 e il 2050, grazie a una migliore cura delle infezioni gravi e a un migliore accesso agli antibiotici. Fonte: GBD 2021 Antimicrobial resistance collaborators. Lancet 2024;404:1199-26.
e l’Italia, nel 2020, era tra i Paesi con il numero più elevato di dalys (disability adjusted life years), ossia di anni di vita perduti per infezioni sostenute da batteri resistenti, spesso contratti durante l’assistenza sanitaria7
Nel 2017 il Ministero della salute italiano ha pubblicato il “Piano nazionale di contrasto alla resistenza antimicrobica 2017-2020”8, affrontando il peso dell’amr secondo la strategia generale One health e identificando strategie e azioni da implementare a diversi livelli: nazionale, regionale e locale. Nel 2020, il programma è stato prorogato di due anni a causa della pandemia di covid-19 ed è stato aggiornato con un nuovo piano valido per gli anni 2022-20259, articolato in quattro aree
1,14 milioni decessi annui per amr nel mondo oggi
1,91milioni decessi annui per amr nel mondo nel 2050
4,71milioni
decessi annui associati all’amr nel mondo oggi
8,22 milioni
decessi annui associati all’amr nel mondo nel 2050 t
di supporto: formazione; informazione, comunicazione e trasparenza; ricerca, innovazione e bioetica; cooperazione nazionale ed internazionale. Il Piano si articola su tre pilastri verticali dedicati ai principali interventi di prevenzione e controllo dall’Amr nel settore umano, animale e ambientale:
• sorveglianza e monitoraggio integrato dell’amr, dell’utilizzo di antibiotici, delle infezioni correlate all’assistenza e monitoraggio ambientale,
• prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza in ambito ospedaliero e comunitario e delle malattie infettive e zoonosi,
• uso appropriato degli antibiotici sia in ambito umano che veterinario e corretta gestione e smaltimento degli antibiotici e dei materiali contaminati.
Il Piano 2022-2025 rappresenta un’opportunità unica per contrastare il significativo impatto sulla salute che hanno le infezioni antibiotico-resistenti e le infezioni correlate all’assistenza in Italia. Per tale motivo è necessario che le istituzioni a livello nazionale e regionale assegnino alle azioni previste dal piano una priorità assoluta e che, a tutti i livelli, si prenda consapevolezza dell’urgenza del problema e si agisca per attuare le azioni necessarie.
Alla ricerca di soluzioni globali
Per quanto siano necessari sforzi a livello nazionale, l’amr pone una sfida globale. Nessun singolo Paese, per quanto efficace sia nel contenere la resistenza antimicrobica entro i propri confini, può proteggersi dalla sua importazione attraverso viaggi e commercio. Lavorare isolatamente non è sufficiente e le partnership internazionali per cercare soluzioni globali sono obbligatorie per affrontare l’amr. Collaborando, ci sono opportunità per diffondere i migliori approcci per la prevenzione e la gestione delle infezioni. La natura globale dell’amr richiede una risposta globale, sia dal punto di vista geografico che dei settori coinvolti. Nessuno è esente dal
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regole d’oro
1. Rinforza la prevenzione ed il controllo delle infezioni
2. Prescrivi gli antibiotici solo quando sono necessari
3. Somministra gli antibiotici appropriati nel corretto momento
4. Somministra gli antibiotici nelle appropriate dosi
5. Inizia al più presto una terapia mirata basata sui risultati degli esami microbiologici e dei test di suscettibilità
6. Usa la durata più corta degli antibiotici secondo le evidenze
7. Controlla l’infezione, identi cando ed eliminando la fonte di infezione e riducendo la carica batterica
8. Supporta la sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza e dell’Amr ed il monitoraggio del consumo degli antibiotici
9. Educa lo sta e aumenta la consapevolezza
10. Supporta i programmi multidisciplinari di antimicrobial stewardship e rinforza la collaborazione tra i sanitari
problema. L’amr è una sfida per lo sviluppo globale e tutto il mondo ha la responsabilità collettiva di preservarla al fine di evitare innumerevoli future vittime da infezioni multi-resistenti.
La pandemia di covid-19 ha dimostrato che, nonostante tutti i nostri progressi in campo medico, rimaniamo incredibilmente vulnerabili alle infezioni per le quali non abbiamo terapie, ma, allo stesso tempo, ha dimostrato che, se sufficientemente motivati, possiamo apportare enormi cambiamenti in
1. A global declaration on appropriate use of antimicrobial agents across the surgical pathway. Surg Infect (Larchmt) 2017;18:846-53.
2. Rice LB. Federal funding for the study of antimicrobial resistance in nosocomial pathogens: no ESKAPE. J Infect Dis 2008;197:1079-81.
3. One health high-level expert panel (Ohhlep); Adisasmito WB, Almuhairi S, Behravesh CB, et al. One health: a new de nition for a sustainable and healthy future. PLoS Pathog 2022;18:e1010537.
tempi brevi. Inoltre, ha evidenziato la necessità di sistemi sanitari resilienti e ha portato a un tasso di collaborazione senza precedenti a livello scientifico, medico, sociale e politico. Covid-19 ha anche creato una rinnovata consapevolezza dell’importanza delle malattie infettive ed è un punto di partenza sostanziale per riaccendere lo slancio verso il contenimento della pandemia silenziosa dell’amr che rappresenta uno dei grossi problemi della sanità di questo secolo. È il momento di agire. F
4. Worldwide antimicrobial resistance national/international network group (Warning) Collaborators. Ten golden rules for optimal antibiotic use in hospital settings: the Warning call to action. World J Emerg Surg 2023;18:50.
5. Antimicrobial Resistance collaborators. Global burden of bacterial antimicrobial resistance in 2019: a systematic analysis. Lancet 2022;399:629-55.
6. Cassini A, Högberg LD, Plachouras D, et al. Attributable deaths and disabilityadjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the Eu and the European economic area in 2015: a population-level modelling analysis. Lancet Infect Dis 2019;19:56-66.
7. Ecdc. Assessing the health burden of infections with antibiotic-resistant bacteria in the Eu/Eea, 2016-2020. Disponibile su: https://bit.ly/3ThXtCC [ultimo accesso 5 settembre 2024].
8. Ministero della salute. Piano nazionale di contrasto all’antibiotico resistenza (Pncar) 2017-2020. 2017. Disponibile su: https://bit.ly/4dRR21s [ultimo accesso 5 settembre 2024].
9. Ministero della salute. Piano nazionale di contrasto all’antibiotico resistenza (Pncar) 2012-2025. Disponibile su: https://bit.ly/4dSepIc [ultimo accesso 5 settembre 2024].
Per conoscere il significato della locuzione “One health” attraverso una ricerca su Internet, una fonte autorevole (forse la più autorevole) è la pagina dedicata a questo tema sul sito della Organizzazione mondiale della sanità. A quella pagina si legge: “One health è un approccio integrato e unificante che ambisce a bilanciare in modo sostenibile e ottimizzare la salute di persone, animali ed ecosistemi. (…) Nel connettere umani, animali e ambiente, l’approccio One health può aiutare nell’affrontare lo spettro completo del controllo delle malattie – dalla prevenzione all’individuazione, la preparazione, la risposta e la gestione – e contribuire alla sicurezza della salute globale”. Nel fare riferimento alla “salute globale” questa definizione mette in evidenza l’obiettivo di questo approccio, ovvero la salute degli esseri umani su scala planetaria.
Quando consideriamo la salute di animali ed ecosistemi funzionale al benessere umano, siamo all'interno di un paradigma antropocentrico.
Che lo scopo della nozione e della pratica dell’approccio One health sia la tutela e promozione della salute degli esseri umani è piuttosto evidente nella definizione appena menzionata e, soprattutto, nei modi in cui tale approccio viene generalmente inteso nel dibattito pubblico e nella stessa discussione specialistica. L’attenzione e la cura della salute degli animali non umani e dell’ambiente sarebbero quindi funzionali alla protezione e all’avanzamento della salute umana. In questo senso, animali ed ecosistemi, e la loro salute, sono di fatto strumentali al benessere umano. In questo mio breve intervento vorrei provare a mettere criticamente in discussione questa visione esclusivamente strumentale della salute di animali e ambienti. Vorrei cioè provare a ragionare sulla possibilità di una concezione più ampia e ricca di One health, vale a dire una concezione “non antropocentrica” di One health.
Nella misura in cui la salute di animali ed ecosistemi è concepita solo (o prevalentemente) come strumentale per gli esseri umani siamo, infatti, all’interno di un paradigma antropocentrico. Questo paradigma che per secoli ha dominato (e di fatto ancora domina) la nostra cultura colloca l’essere umano al centro della realtà. Questa centralità può essere tanto descrittiva (l’essere umano ha capacità del tutto uniche, che nessun altro vivente possiede) quanto normativa (l’essere umano ha un valore grandemente superiore a quello degli altri viventi, o anche, in modo più radicale, solo l’essere umano ha valore e il resto del vivente serve solo per gli scopi umani). Non si può qui rendere conto delle radici e articolazioni della visione antropocentrica, ma ci si può limitare a evidenziare come tale visione sia oggi ampiamente criticabile e, di fatto, insostenibile.
Un approccio One health più completo e “maturo” dovrebbe essere arricchito da una più solida dimensione morale, ovvero di critica verso l’antropocentrismo.
A partire dalla rivoluzione scientifica, grazie alla scienza moderna e alla filosofia, si sono gettate le basi di una nuova visione secolarizzata della realtà che mette in discussione la centralità dell’essere umano e i suoi presunti diritti di dominio su tutto ciò che lo circonda. Questa messa in discussione dell’antropocentrismo trova un momento fondamentale e un punto di non ritorno nella rivoluzione scientifica di Charles Darwin. La biologia darwiniana (che è l’unico quadro di spiegazione solido e attendibile del vivente di cui disponiamo) ci mostra un quadro di continuità fra l’Homo sapiens e tutto il resto del vivente, cui ci lega l’origine comune e dal quale differiamo solo per contingenze evolutive storiche e del tutto casuali. Dalla comprensione darwiniana del vivente e della natura umana, la riflessione filosofica ha preso spunto per mettere in discussione i modi di relazione fra umani e animali e fra umani e ambiente. L’etica animale e l’etica ambientale riflettono, infatti, sullo status morale, politico e giuridico di animali ed ecosistemi, negando che questi possano essere considerati semplici “cose” sempre disponibili agli umani e affermando un loro valore per sé
L’uso di animali e ambiente andrebbe criticato non solo per motivi legati alla salute umana, ma anche per riconoscere un valore morale della vita non umana e dell’ambiente.
Affermando la connessione della salute di umani, animali e ambienti, l’approccio One health si fonda, di fatto, su una delle principali trasformazioni di prospettiva prodotte dalla biologia darwiniana, ovvero la comprensione ecologica del vivente. Se l’idea di One health fa tesoro della “scoperta” di Darwin che tutti i viventi sono in relazione fra loro e con l’ambiente, questo approccio (almeno nella sua accezione più diffusa) non sembra avere fatto propria la conseguenza etico-politica della rivoluzione di Darwin, ovvero il riconoscimento di status e valore di animali, piante ed ecosistemi. Un approccio One health più completo e “maturo” dovrebbe quindi essere arricchito da una più solida dimensione morale, ovvero di critica verso l’antropocentrismo.
È ovviamente irrealistico pensare che nella concettualizzazione e nelle pratiche di One health si possa realizzare una forma di antiantropocentrismo forte, ovvero di radicale messa in discussione dei diversi usi che gli umani fanno di animali e ambiente. Può, invece, essere realistico immaginare che questa più ampia idea di One health critichi alcune forme di utilizzo degli animali e dell’ambiente non solo per ragioni strumentali alla salute umana, ma anche per il riconoscimento di uno status morale della vita non umana e dell’ambiente. Un caso esemplare in questo senso sono gli allevamenti intensivi. Questi non solo sono una minaccia per la salute umana, ma costituiscono una condizione di vita moralmente inaccettabile per tutti i miliardi di animali che sono condannati a trascorrere in essi la loro breve e miserevole esistenza. F
Dieci domande per comprendere quanto la nostra percezione della di usione delle zoonosi e delle conseguenze dell’antibiotico resistenza sia vicina o distante dalla realtà, per confrontare le nostre opinioni sulla necessità di un’azione congiunta a livello internazionale che vincoli i singoli Stati al ne di perseguire l’obiettivo di “One health” e sui nuovi potenziale strumenti da adottare per monitorare i programmi e gli obiettivi di salute da raggiungere. Non da ultimo – ma non per questo meno importante – per interrogarci sulla
Hai idea di quante delle malattie infettive conosciute provengano da animali?
necessità di un cambio di prospettiva non più antropocentrica. Alla survey hanno risposto online 458 lettori di Forward, con un’età media di 54 anni, provenienti principalmente dal Nord e Centro Italia (rispettivamente il 52% e il 37%) e in percentuale minore dal Sud (8%) e dalle Isole (3%). Per la maggior parte il campione è formato da medici, epidemiologi, dirigenti sanitari e infermieri, con una rappresentanza più contenuta di farmacisti, giornalisti, studenti e cittadini interessati ai temi della medicina e della sanità.
Delle malattie zoonotiche emergenti, quante sono connesse alla trasformazione dell’uso del suolo?
Delle infezioni da Campylobacter in Europa, sai che percentuale è dovuta al consumo di pollame contaminato?
Sai qual è il consumo annuo medio di carne a persona?
Nel 2019, quante persone morivano nel mondo per infezioni batteriche resistenti agli antibiotici?
Ogni anno, quanti decessi nel mondo sono associati (anche se non riconducibili direttamente) a resistenze batteriche?
Le indicazioni dell’Oms “One health joint plan of action” non sono vincolanti per gli Stati membri: qual è il tuo parere al riguardo?
91%
Dal momento che serve un’azione congiunta a livello internazionale, le strategie Oms dovrebbero impegnare i singoli Governi
“L’intelligenza artificiale rappresenta una risorsa inestimabile per l’approccio One health, con il potenziale di rivoluzionare il modo in cui affrontiamo le sfide sanitarie globali”. Sei d’accordo con questa affermazione?
66%
Sì, penso anche io che l’intelligenza arti ciale possa rivelarsi uno strumento molto utile per la conoscenza e il monitoraggio dello stato del pianeta in un’ottica One health
21%
Non saprei, non sono un esperto di intelligenza arti ciale
5% Sinceramente non saprei 4%
Credo sia opportuno che le decisioni politiche siano assunte dai singoli Stati
“Nell’approccio One health, l’attenzione e la cura della salute di animali non umani e ambiente sembra essere funzionale alla protezione e all’avanzamento della salute umana: invece, un approccio One health più completo e maturo dovrebbe essere arricchito da una più solida dimensione morale, ovvero di critica verso l’antropocentrismo”. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?
13%
No, credo che ci sia troppa enfasi sulle potenzialità dell’intelligenza arti ciale
88%
Sono d’accordo: sarebbe opportuno abbandonare la visione antropocentrica
12%
Non sono d’accordo: l’obiettivo prioritario non può che essere la salute umana
“Per promuovere realmente l’approccio One health, bisognerebbe adeguare i Lea integrandoli con considerazioni relative alla salute animale e ambientale nei servizi sanitari”. Sei d’accordo con questa affermazione?
90%
Sì, sono d’accordo: serve una visione strategica nuova che impegni realmente le istituzioni
10%
Non sono d’accordo: mi sembra un’impresa molto complessa
“L’obiettivo ora è creare un osservatorio One health. Da una parte per monitorare e promuovere le tante buone pratiche che già ci sono sul territorio, dall’altra per valutare gli aspetti da migliorare e implementare. Il principio che ci guida è che One health non sia solo uno slogan, ma un approccio metodologico che deve declinarsi su tutte le aree e a tutti i livelli, da quello internazionale a quello locale”. Dati, coordinamento e metodo sono i capisaldi che guidano l’azione del Ministero della salute in tema di One health.
Ad illustrarli è Giovanni Leonardi, che da qualche mese guida il Dipartimento della salute umana, della salute animale e dell’ecosistema – One health e dei rapporti internazionali del dicastero dopo esserne stato il Segretario generale.
Il Dipartimento è frutto della recente riorganizzazione del Ministero, ma l’attenzione a questi temi non è nuova.
Già quando ero direttore generale delle professioni sanitarie confrontandomi con altri Paesi europei, notavo che noi consideravamo la professione veterinaria come una professione sanitaria, mentre in molti altri Paesi non veniva considerata tale. Il fatto che il Ministero della salute regolasse in modo uniforme e vigilasse gli ordini professionali veterinari dava un’impronta chiaramente sanitaria alla professione e, di conseguenza, alle attività svolte dai veterinari. Eravamo avanti rispetto ad altri Paesi, e questo si è visto chiaramente con la crisi della “mucca pazza”, quando il valore aggiunto della veterinaria in Italia rispetto ad altri Paesi europei emerse in modo evidente. Inoltre, i temi della salute animale e quello della sicurezza alimentare sono stati storicamente molto legati nell’azione del Ministero. A questo va aggiunta la rete degli istituti zooprofilattici sperimentali che, in coordinamento con le direzioni tecniche della veterinaria, svolgevano azioni sul territorio. Anche se l’approccio One health era già presente da tempo, con la pandemia ha acquisito rilevanza politica. Questo ha portato alla creazione del Dipartimento One health che ricomprende le due direzioni generali preesistenti, quella della sanità animale e dei farmaci veterinari, e quella per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione, includendo anche una direzione generale dedicata alla salute umana e agli stili di vita, con focus su temi come l’invecchiamento, la tutela dei fragili e le questioni ambientali e i rapporti con l’ecosistema.
Intervista a
Giovanni Leonardi
Direttore
Dipartimento
One health
Ministero
della salute
Come sta evolvendo il programma One health delle Nazioni Unite e quali sovrapposizioni ci possono essere tra i ministeri di salute e ambiente?
Al Ministero della salute un ufficio si è sempre occupato di tutti gli aspetti che legavano ambiente e salute. Ora queste competenze sono confluite al Dipartimento One health e sono state rafforzate dal Piano nazionale complementare che affianca il Pnrr con cui sono stati stanziati 500 milioni di euro per il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici che mira a saldare queste competenze. L'obiettivo è far collaborare il settore della salute e quello ambientale, insieme a Ispra e le agenzie regionali per l’ambiente, e creare un sistema informativo che permetta di gestire meglio la salute umana in relazione ai fattori ambientali.
Questo bilanciamento di tematiche è forse l’aspetto più impegnativo?
La sfida più grande per il Dipartimento è proprio quella dell’equilibrio. Equilibrio tra le tante competenze su cui è chiamato a lavorare, sapendo che non sono tutte competenze presenti al suo interno e, in alcuni casi, nemmeno all’interno del Ministero, proprio perché l’approccio One health è un approccio che abbraccia tutte le politiche della salute e non solo. Dunque, è uno sforzo che deve coinvolgere anche gli altri dipartimenti e che richiede una stretta correlazione, un lavorare in squadra con gli altri in modo generoso. E lo stesso vale anche per tutti gli stakeholder esterni, innanzitutto per le altre amministrazioni. Parlavamo dell’ambiente, ma anche l’agricoltura, le politiche sociali, lo sviluppo economico e l’istruzione sono coinvolti in questo approccio. Pensiamo, ad esempio, agli stili di vita e al tema delle dipendenze che coinvolge tanto noi, quanto il dipartimento della Presidenza del Consiglio e le altre istituzioni. Quindi ci vuole una grossa capacità di mettersi al servizio e in sinergia con le altre amministrazioni, con le altre direzioni generali e gli altri dipartimenti del ministero.
Questi aspetti sono forse ancora più importanti a livello regionale, vista la competenza che hanno questi enti sulla sanità.
Un ruolo chiave è quello degli istituti zooprofilattici che ormai sono attratti nell’orbita regionale o interregionale: attualmente sono dieci in tutta Italia, alcuni con un ambito di azione regionale, altri, nella maggior parte, interregionale su due o più Regioni. Loro possono facilitare i contatti e il dialogo tra Ministero ed ente locale. Ma, chiaramente, l’altro importante interlocutore è rappresentato dai dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali che sono ancora più ramificati sul territorio e che hanno un ruolo di raccordo. Poi ci sono aspetti legati più propriamente alla salute umana, come gli stili di vita, l’invecchiamento attivo, la tutela della salute mentale, la sanità penitenziaria e molti altri. Insomma, sono tutti temi su cui il Dipartimento ha competenze e su cui deve ovviamente trovare, come già sta accadendo, momenti di dialogo con Regioni, perché poi sono le Regioni che portano avanti le politiche sul loro territorio.
Per i cittadini il tema One health e il legame stretto tra la nostra salute, quella degli animali e quella dell’ambiente è apparso molto chiaro con covid-19 e con le recenti zoonosi.
È un legame presente nella nostra vita quotidiana e con cui dobbiamo fare i conti. Questo non vuol dire, ovviamente, che dobbiamo essere allarmisti, ma semplicemente tenere alta la guardia. E anche qui, fondamentale è l’interazione tra i dipartimenti, in particolare quello della prevenzione, che gestisce le emergenze sanitarie e le malattie infettive. A livello territoriale, l’integrazione tra laboratori veterinari e di salute umana è essenziale per contribuire alla prevenzione e al contrasto delle emergenze, come già visto con covid-19. Un altro tema su cui siamo impegnati, anche nel G7 Salute, è l’antimicrobico resistenza, una seria minaccia alla salute pubblica, degli animali e dell’ambiente. Stiamo lavorando a strategie internazionali per ridurre l’uso di antibiotici e incentivare la ricerca di nuove molecole attraverso supporti finanziari. A cura di Cesare Buquicchio
Dalla pandemia di covid-19, il riferimento al valore dell’approccio One health è entrato (non sempre in maniera calzante) nella gran parte dei documenti strategici nazionali e internazionali in tema di salute. Chiarire la definizione di One health è quindi utile per comprenderne meglio l’applicazione. Il concetto è evoluto nel tempo con l’avanzamento delle conoscenze e la consapevolezza dell’impatto umano sull’ambiente. Secondo la definizione più recente, adottata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), dall’Organizzazione mondiale della sanità animale (Woah) e dal Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep), One health è un approccio integrato che punta a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Si è passati da una visione operativa incentrata sulla collaborazione interprofessionale a una più ambiziosa, in cui la collaborazione diventa strumento per raggiungere questi obiettivi.
L’evoluzione del concetto di One health
L’obiettivo di “bilanciare e ottimizzare in maniera sostenibile la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi” richiede un cambiamento culturale sostanziale e un ribaltamento della prospettiva. Dalla visione antropocentrica – e quindi egocentrica – che caratterizza il nostro pensarci come entità superiori ed esterne al contesto naturale, occorre passare a una visione ecocentrica, ovvero capace di esercitare il “pensiero ecologico”, quello che riconosce che “la salute degli esseri umani, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale sono strettamente collegati e interdipendenti”.
Una delle precedenti definizioni pubblicate dall’Oms recitava che “One health è un approccio alla progettazione e all’implementazione di programmi, politiche, norme e programmi di ricerca in cui più settori comunicano e lavorano insieme per ottenere migliori risultati di salute pubblica. L’approccio One health è fondamentale per affrontare le minacce alla salute nell’interfaccia tra animali, esseri umani e ambiente”. In quella definizione, il focus era puntato sulla salute pubblica.
Il fatto che l’attuale definizione di One health, adottata anche dall’Oms, ponga sullo stesso piano “la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi” segna un importante cambio di paradigma. Questo non significa tuttavia negare il primato all’essere umano ma ribadire che quel primato lo si può garantire solo in una dimensione unitaria della salute, che riconosce i costitutivi e ineludibili legami tra le tre dimensioni della One health.
Dalla visione antropocentrica – e quindi egocentrica –che caratterizza il nostro pensarci come entità superiori ed esterne al contesto naturale, occorre passare a una visione ecocentrica.
L’attuale definizione di One health introduce per la prima volta i concetti di sostenibilità e di ecosistemi. Entrambi hanno una forte valenza rispetto alla dimensione ambiente a sottolineare il fatto che la componente sinora negletta della One health si propone come quella emergente. In particolare, l’aver sostituito il termine generico di “ambiente” con quello di “ecosistemi” chiarisce che l’ambiente deve essere preservato nell’integrità dei suoi costituenti biotici e abiotici e delle relazioni che tra questi si sviluppano.
L’adozione di un approccio olistico
Umberto Agrimi
Direttore
L’evoluzione della locuzione procede di pari passo con le ragioni della sua rilevanza, anch’esse mutate nel tempo. A lungo la One health è stata declinata prevalentemente nei termini della collaborazione medico-veterinaria nell’ambito delle zoonosi. Oggi, è la dimensione globale delle grandi sfide, quali pandemie, cambiamento climatico e inquinamento ambientale, a rendere cruciale l’adozione di un approccio olistico che consideri la salute in tutte le sue dimensioni. È la salute della nostra specie, o almeno delle nostre società come oggi le conosciamo, ad essere messa in discussione.
L’introduzione del tema del bilanciamento e dell’ottimizzazione della salute nei suoi tre domini sollecita l’adozione di misure e iniziative capaci di produrre benefici per l’uomo e il Pianeta. Gli esempi non mancano.
Dipartimento di sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria Istituto superiore di sanità t
Con il Green deal, l’Europa ha avuto l’ambizione di proporsi come apripista di una nuova cultura per l’ambiente. Tra le tante misure previste, la riduzione del 50 per cento dell’utilizzo dei pesticidi in agricoltura e del pertinente rischio per l’uomo e l’ambiente entro il 2030, ovvero le misure di ripristino e conservazione degli ecosistemi degradati entro il 2050 previsti dalla Nature restauration law, sono iniziative legislative di fortissimo impatto One health, purtroppo messe in discussione dalla nuova Commissione europea.
La possibilità di azione a livello individuale e locale è grande e passa attraverso la collaborazione interdisciplinare.
La dimensione delle sfide che deve affrontare la One health sembra tale da rendere marginale la possibilità di azione e il ruolo del singolo, delle singole organizzazioni o, addirittura, dei singoli Paesi. In realtà, pur avendo chiara la dimensione delle sfide ed esercitando quello sguardo ampio nella comprensione delle relazioni tra salute dell’uomo e del Pianeta, la possibilità di azione a livello individuale e locale è grande e passa attraverso la collaborazione interdisciplinare. Infatti, il quadripartito Oms/Fao/Woah/ Unep specifica che l’approccio One health mobilita molteplici settori, discipline e comunità a vari livelli della società. Ecco allora che qualunque azione capace di rompere i silos disciplinari e integrare le conoscenze tra i tre domini della One health al fine di “promuovere il benessere e contrastare le minacce alla salute e agli ecosistemi, affrontando al contempo l’esigenza collettiva di cibo, acqua, energia e aria sani, intervenendo sul cambiamento climatico e contribuendo allo sviluppo sostenibile” è un contributo all’avanzamento della One health.
L’insicurezza alimentare
Il mondo è lontano dal raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile che mirano a porre ne alla fame, all'insicurezza alimentare e alla malnutrizione entro il 2030.
I con itti, i cambiamenti climatici, le di coltà economiche e le disuguaglianze persistenti continuano a generare crisi
ricerca, più sorveglianza
Presso l’Istituto superiore di sanità (Iss) sono attive numerose iniziative One health, soprattutto nell’ambito della ricerca e della sorveglianza sulle malattie infettive di natura zoonotica tra cui le malattie a trasmissione vettoriale e le malattie a trasmissione alimentare per le quali l’Iss svolge un ruolo di cerniera tra ambito veterinario e ambito umano. L’Istituto è infatti un unicum nel panorama nazionale e internazionale, prevedendo nella sua organizzazione, specifiche strutture nell’ambito della sanità pubblica, della medicina veterinaria e dell’ambiente. Con l’obiettivo di integrare la dimensione ambiente nella sorveglianza delle malattie infettive, è molto attivo nello sviluppo della sorveglianza ambientale sui reflui urbani, contesto privilegiato per il monitoraggio della circolazione dei patogeni nella popolazione umana.
L’integrazione dei dati provenienti dai tre domini è un tema cruciale della One health. A tale scopo, l’Iss ha sviluppato una piattaforma bioinformatica denominata IridaAries per la sorveglianza genomica delle malattie infettive con l’intento di fornire alle strutture del Servizio sanitario nazionale uno strumento per la raccolta, analisi automatica e condivisione delle informazioni di sequenziamento genomico in supporto alla sorveglianza. Gli obiettivi principali sono il rilevamento precoce di focolai epidemici e l’integrazione dei dati genomici provenienti da isolati umani e alimentari/ambientali/ animali per l’identificazione delle sorgenti di infezione. Su questa piattaforma operano la sorveglianza delle varianti di sars-cov-2, la sorveglianza di Escherichia coli produttore di shigatossina, oggi investita da forte interesse per via della contaminazione di formaggi freschi a latte crudo e la sorveglianza della listeriosi, malattia causata da un batterio tra-
alimentari. Secondo il Rapporto globale sulle crisi alimentari della Fao, 2,33 miliardi di persone hanno avuto di coltà ad accedere a cibo di qualità e 864 milioni di persone a rontano una grave insicurezza alimentare. L’Africa è la regione più colpita. I dati mostrano anche che l'insicurezza alimentare è più alta nelle aree rurali rispetto a quelle urbane,
smesso da alimenti salito recentemente alla ribalta delle cronache per via di una diffusa contaminazione delle insalate in busta.
Un’etica dell’alimentazione
Ma la One health non si limita alle malattie infettive. La vertiginosa crescita della popolazione umana e dei consumi alimentari a livello globale ha reso i sistemi alimentari insostenibili. Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 la popolazione umana del Pianeta si avvicinerà ai 10 miliardi e i consumi alimentari raddoppieranno. Questi fattori peseranno enormemente su un ambiente già sovrasfruttato. Infatti, la produzione alimentare a livello globale è la prima responsabile del consumo di suolo e di acqua ed è la prima causa della perdita di biodiversità. Inoltre, i sistemi alimentari sono i maggiori responsabili, assieme al settore della produzione energetica, della emissione di gas clima-alteranti. Ma, mentre ci affanniamo per cercare modi per incrementare le produzioni alimentari, a livello globale il numero di persone in sovrappeso o obese ha superato il miliardo, con tutto il carico di malattie che queste condizioni comportano (diabete, sindrome metabolica, forme tumorali, malattie cardiocircolatorie, ecc.).
Ecco allora che la crescente attenzione soprattutto delle giovani generazioni nei confronti del benessere animale, della riduzione del consumo di carne e, più in generale, di una alimentazione sana è il segnale dell’affermarsi di un’etica dell’alimentazione in linea con i principi della One health: mangiare meno e più sano fa bene alla persona e fa bene all’ambiente. Coerentemente con tutto ciò, l’Iss – attraverso la partecipazione a progetti europei – sta contribuendo alla definizione di policies nutrizionali volte a promuovere la salute del cittadino, in linea con le necessità di sostenibilità e tutela dell’ambiente. F
sebbene l'urbanizzazione porti con sé una maggiore disponibilità di cibo e servizi. Tuttavia, persistono forti disuguaglianze anche nelle città. Inoltre, le donne continuano a sperimentare livelli più elevati di insicurezza alimentare rispetto agli uomini. Sebbene questo divario si sia ridotto nel 2023 rispetto al 2020 quando, con la pandemia, si era accentuato. Il sistema alimentare
globale sta contribuendo in modo determinante alla crisi ambientale che compromette le condizioni di vita sul Pianeta e che a sua volta rende più deboli i sistemi agroalimentari, e sta fallendo nel suo obiettivo di garantire a tutti l’accesso al cibo sano. È urgente trasformare i sistemi agroalimentari in un’ottica One health. •
I dieci Istituti zooprofilattici sperimentali italiani (Izzss) rappresentano un elemento unico nel panorama della sanità pubblica e veterinaria in Europa. Fondati nella prima metà del Novecento come fondazioni private per supportare la zootecnia, la loro missione iniziale si è ampliata, e oggi sono riconosciuti come enti tecnico-scientifici con autonomia gestionale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Operano con competenza su una, due o tre Regioni e sono laboratori di riferimento per la salute animale, la salute pubblica e la sicurezza alimentare.
La loro collocazione nel Servizio sanitario nazionale ha anticipato le linee guida internazionali sulla salute unica, formalizzate nel documento “One health joint plan of action2022-2026” (vedi pp. 4-6), mirato a un’efficace azione preventiva sulle zoonosi emergenti e sulle patologie legate a problemi ambientali, inclusi i cambiamenti climatici. La competenza maturata nella diagnosi, nel controllo e nella prevenzione delle malattie infettive animali e delle zoonosi, con particolare attenzione alle malattie trasmesse da vettori, ha fatto sì che gli Istituti divenissero presto un riferimento importante per l’intero sistema della prevenzione non solo dal punto di vista laboratoristico, ma anche sul fronte epidemiologico, con la creazione degli osservatori epidemiologici veterinari. Tra le tematiche affrontate si annoverano, per esempio, le epidemie infettive, anche a carattere zoonosico, le malattie trasmesse da vettori o attraverso gli alimenti, le problematiche ambientali che comportano la contaminazione di alimenti e mangimi e l’antibiotico resistenza. Inoltre, dagli anni ‘70 in poi è stato sempre più evidente che anche le connessioni tra ambiente e salute si imponevano per importanza e complessità: i rischi chimici dovuti alle emissioni industriali di fondo o a incidenti industriali (si pensi a Seveso, a Bhopal o alla diffusione dell’asbesto) erano in grado di determinare emergenze non epidemiche,
Giuseppe Ru
Istituto zoopro lattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Paola Scaramozzino
Istituto zoopro lattico sperimentale del Lazio e della Toscana
cambiando la natura dei problemi di sanità pubblica e richiedendo nuove competenze e livelli di collaborazione intersettoriali. La rete degli Izzss ancora una volta si è dimostrata pronta a rispondere alle nuove sfide. Grazie alle competenze chimiche ed epidemiologiche, gli Istituti hanno affiancato e dato supporto ai servizi di prevenzione e alle autorità nazionali e regionali in molte emergenze ambientali: si pensi alla contaminazione da microinquinanti (diossine e policlorobifenili) a Taranto, nella Terra dei fuochi, e in Val di Susa, al beta-esaclorocicloesano nella Valle del Sacco e infine alle sostanze perfluoroalchiliche in Veneto e in Piemonte. L’obiettivo consiste sempre nel salvaguardare la salute pubblica e, nel contempo, aiutare il mondo agricolo (allevatori, agricoltori e trasformatori) a mantenere la sostenibilità delle produzioni.
Sfide affrontate: successi e limiti
Gli Iizzss collaborano con i servizi veterinari dei dipartimenti di prevenzione nella sorveglianza sanitaria e nella gestione delle emergenze epidemiche e non. Un’importante area di collaborazione riguarda le malattie infettive di origine alimentare, con Regioni che hanno adottato linee guida per coordinare indagini epidemiologiche e gestione dei campioni. I laboratori chimici degli Izzss supportano anche la sorveglianza della sicurezza alimentare e della salubrità ambientale in caso di incidenti industriali.
Un esempio di efficacia è la sorveglianza integrata sulle arbovirosi, gestita attraverso il Piano nazionale arbovirosi 2020-2025, che ha dimostrato reattività durante epidemie come quelle di chikungunya e West Nile. Negli anni ‘90, l’emergenza della mucca pazza (encefalopatia spongiforme bovina) ha sfidato gli Iizzss a implementare un sistema nazionale di sorveglianza per monitorare le epidemie in tempo reale. Inoltre, durante l’epidemia di influenza aviaria negli anni 2000, gli Iizzss hanno collaborato con i servizi veterinari per garantire una preparazione e una risposta adeguate.
In situazioni di emergenza come i terremoti dell’Aquila del 2009 e di Amatrice del 2016, gli Izzss hanno messo in atto approcci One health per gestire gli animali e garantire la sicurezza alimentare. Durante la recen-
te pandemia da sars-cov-2, hanno risposto prontamente, contribuendo alla diagnostica e alla sorveglianza. Attualmente sono in prima fila nell’affrontare la peste suina africana che rappresenta una grave minaccia per gli allevatori, con implicazioni sia per la salute animale sia per il benessere economico degli agricoltori.
Riflettendo sull’esperienze, i successi e i limiti delle attività degli Izzss dipendono da vari fattori. I punti di forza individuabili includono un solido sostegno istituzionale, efficaci sistemi di monitoraggio, forte impegno all’innovazione scientifica e meccanismi efficienti di risposta alle emergenze. Questi elementi forniscono una solida base al contributo della veterinaria pubblica. Tuttavia, esistono punti deboli come l’inerzia istituzionale, i ritardi nell’attuazione degli interventi, un approccio reattivo piuttosto che preventivo, le difficoltà nel costruire collaborazioni e problemi di comunicazione che nel loro insieme ostacolano l’efficacia di questi sforzi. Affrontare questi ostacoli interni è fondamentale per rendere più efficace l’approccio One health. Dal contesto in cui si opera le principali difficoltà derivano probabilmente da interessi che non considerano la prevalenza della salute. Tuttavia, la crescente sensibilità da parte della politica e dell’opinione pubblica nei confronti delle emergenze sanitarie e delle problematiche ambientali, le migliori competenze professionali, l’attitudine dei responsabili politici a utilizzare le prove scientifiche e il diffondersi della citizen science rappresentano un insieme di opportunità che possono contribuire rafforzare in modo significativo a diffondere l’approccio One Health rendendo più efficace la risposta alle sfide sanitarie.
I punti di forza degli Izzss includono il sostegno istituzionale, l’impegno all’innovazione scienti ca e i sistemi di monitoraggio. Ma ostacoli come l’inerzia istituzionale e i ritardi negli interventi limitano l’e cacia dell’approccio One health. t
A cosa ci dobbiamo preparare e come
La nostra attività, come molte altre, è soggetta a cambiamenti in funzione dei paralleli concomitanti cambiamenti economico-sociali. Sono molti i drivers dei nuovi rischi che dobbiamo considerare: cambiamenti climatici; globalizzazione; abuso di antibiotici in medicina umana e veterinaria; mutazioni e ricombinazioni genetiche di agenti virali; ulteriore sviluppo intensivo della zootecnia. L’antibiotico resistenza già costituisce una pandemia ben nota ai ricercatori e ai medici e veterinari clinici. Forse, però, non è ancora stato fatto, almeno nel nostro Paese, uno sforzo di comunicazione sufficiente a creare la necessaria consapevolezza nella popolazione generale, strategia che invece sta costituendo una chiave di volta nel controllo della problematica nei Paesi del Nordeuropa. Questa, come molte altre problematiche sanitarie nell’interfaccia uomo/animale/ambiente, può essere monitorata, per esempio, attraverso la ricerca del genoma di agenti eziologici resistenti nelle acque reflue, una metodica ampiamente sperimentata durante l’epidemia di covid-19. La progressiva industrializzazione della zootecnia risponde a un processo economico di sviluppo apparentemente imprescindibile per consentire la sopravvivenza di questo settore. Tuttavia, ciò confligge con la crescente richiesta da parte dei cittadini di un allevamento sempre più rispettoso dell’ambiente, del benessere animale e della qualità del prodotto
Aree disciplinari
Area A.
Il quadro delle competenze dell’epidemiologia applicata delle malattie infettive.
Le recenti epidemie e pandemie hanno evidenziato l’importanza di avere professionisti preparati, capaci di tradurre in azioni concrete le politiche e le evidenze scienti che. Nel 2021, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie ha aggiornato il documento fondamentale sulle competenze degli epidemiologi nella sorveglianza e risposta alle malattie trasmissibili nell’Ue, riconoscendo che queste competenze sono dinamiche e in continua evoluzione. Il documento ha prodotto un quadro di 157 competenze speci che, in 6 aree disciplinari e 23 ambiti. Gli argomenti o i temi a erenti a un determinato ambito possono essere più o meno collegati a quelli di un altro ambito. •
I cerchi rappresentano gli ambiti compresi nel quadro, organizzati per area disciplinare. I colori corrispondono alle 6 aree disciplinari del quadro delle competenze. Le dimensioni dei cerchi rispecchiano la densità dei collegamenti dell’ambito e dell’area disciplinare in questione: più grande è il cerchio, maggiore è il numero di collegamenti. I cerchi più piccoli sono privi di collegamenti. I numeri tra parentesi sono le competenze contenute in quel dominio di conoscenza. Le linee curve mostrano collegamenti speci ci tra gli ambiti.
finito. In questo contesto, inoltre, i dati disponibili spesso vengono da realtà geografiche ed economiche lontane dalle nostre. Noi operatori del settore dovremmo sforzarci per produrre evidenze scientifiche sull’impatto economico, sociale e ambientale degli allevamenti mediterranei, che consenta una visione meno manichea e più glocal dell’impatto delle produzioni animali.
I cittadini informati chiedono di essere coinvolti nella produzione e interpretazione dei dati per contribuire consapevolmente alle politiche sanitarie.
Tutto questo rende di estrema attualità la necessità di garantire da un lato un elevato grado di formazione e informazione di tutti gli operatori del settore e dall’altro una adeguata preparazione alle emergenze attraverso la redazione di protocolli dedicati e l’organizzazione di esercizi di simulazione. La formazione degli operatori sanitari non dovrà essere sulla One health ma con approccio One health, mantenendo le specificità professionali di ogni settore. L’obiettivo non deve essere quello di formare dei tuttologi, ma quello di promuovere l’interdisciplinarietà. Recentemente le associazioni scientifiche hanno compreso l’importanza della One health e incoraggiato le iniziative in questo senso: per esempio gruppi di lavoro dedicati alla One
health sono attivi sia nell’Associazione italiana di epidemiologia sia nell’Associazione italiana di sociologia. Ciò contribuirà ad ampliare la riflessione sulle basi teoriche dell’attività in One health ma anche di ampliare le competenze interdisciplinari a disposizione.
L’introduzione di modelli predittivi basati sull’intelligenza artificiale, lo sviluppo di tecnologie bioinformatiche e di epidemiologia molecolare, e l’avvio e consolidamento di collaborazioni scientifiche in campo ambientale e delle scienze sociali permetteranno ancora una volta agli Istituti di reagire prontamente alle nuove sfide. È fondamentale mantenere un collegamento tra policy e scienza, già sperimentato durante covid-19, per consentire decisioni informate e basate sulle evidenze.
Infine, la percezione del rischio e la comunicazione sono elementi critici, poiché i cittadini ora si informano attraverso canali diversi e chiedono di essere coinvolti nella produzione e interpretazione dei dati (citizen science) per contribuire consapevolmente alle politiche sanitarie. Da questo punto di vista è sempre più prezioso il contributo che può derivare dalla collaborazione tra scienze mediche, ambientali e scienze sociali. A fronte dei rischi, delle emergenze e dei conflitti di un pianeta in veloce evoluzione, gli Izzss e i servizi veterinari italiani, operando in modo che l’opinione pubblica ne riconosca l’eccellenza scientifica e l’autorevolezza, possono contribuire a costruire le alleanze necessarie per salvaguardare la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente che condividiamo. F
Ambiti
A1: Epidemiologia descrittiva (7)
Metodi essenziali per l’epidemiologia applicata alle malattie infettive
Area B. Preparazione, sorveglianza e risposta ai focolai di malattie infettive
Area C. Comunicazione e advocacy
Area D. Pratica dell’epidemiologia delle malattie infettive
Area E.
In ussi del contesto sulla gestione delle malattie infettive
Area F. Leadership e management
A2: Metodi di ricerca epidemiologica (10)
A3: Gestione dei dati e biostatistica (8)
A4: Modelli epidemiologici (5)
B1: Preparazione ai focolai di malattie infettive (7)
B2: Sorveglianza delle malattie infettive (7)
B3: Indagine epidemiologica e risposta alle malattie infettive (12)
C1: Comunicazione in materia di sanità pubblica (8)
C2: Infodemiologia e gestione dell’infodemia (5)
C3: Comunicazione e coinvolgimento della comunità (6)
C4: Comunicazione scienti ca e attività di sensibilizzazione per innescare cambiamenti di natura politica (6)
D1: Quadro d’insieme delle malattie infettive (6)
D2: Prevenzione, controllo e trattamento delle infezioni (0)
D3: Conoscenze e abilità speci che per malattia (6)
D4: Vaccinologia (6)
D5: Approccio One health, cambiamenti ambientali e climatici (8)
E1: Sistema politico (3)
E2: Organizzazione dell’assistenza sanitaria (7)
E3: Erogazione di assistenza sanitaria (6)
E4: Contesti socioeconomici e socioculturali (5)
F1: Leadership e pensiero sistemico (5)
F2: Deontologia e pratica professionale (5)
F3: Management organizzativo e piani cazione strategica (10)
L’emergenza climatica, così come altre s de del mondo di oggi tra cui l’antibiotico resistenza, ci impongono un cambio di passo. Cosa può fare a livello locale un’azienda sanitaria?
La prima cosa che stiamo facendo, come Asl Roma 1, è sensibilizzare l’opinione pubblica sull’emergenza climatica. Non si tratta solo di affrontare un problema ambientale, ma di mettere in atto nuove strategie per contrastare il surriscaldamento e gestire le piogge sempre più violente. La tropicalizzazione del nostro clima non è più solo una notizia che apprendiamo dai media, ma una realtà tangibile che ha un impatto diretto sulla salute, provocando un aumento delle malattie legate allo stress e favorendo l’insorgere di forme di depressione. Attraverso il Dipartimento di prevenzione, abbiamo quindi cercato di unire la prevenzione primaria con l’azione di tutti gli attori coinvolti, adottando un approccio One health.
Sapevamo già anni fa che il cambiamento climatico ci avrebbe portato a questo punto critico e, nonostante fosse possibile agire per prevenirlo, a livello globale si è fatto troppo poco. Il risultato è il rapido scioglimento dei ghiacciai, la desertificazione progressiva e gli incendi boschivi, che non danneggiano solo gli alberi o l’aria che respiriamo, ma distruggono interi ecosistemi. In questo contesto siamo chiamati a vigilare costantemente, nell’interesse non solo dell’ambiente e del bene pubblico, ma di tutti noi.
Prevenzione delle malattie trasmissibili, contrasto all’antibiotico resistenza, sorveglianza epidemiologica, ma anche educazione della cittadinanza: quali sono gli aspetti su cui la Asl Roma 1 sta lavorando maggiormente?
Qualche anno fa ci siamo trovati tutti in prima linea contro una pandemia che ha cambiato la vita di milioni di persone in Italia e nel mondo. Questo evento ha trasformato le nostre abitudini e messo in luce che, dopo il covid-19, potrebbero emergere altre epidemie che potrebbero influenzare o stravolgere il nostro quotidiano. Nel corso della crisi sanitaria globale, abbiamo organizzato massicce campagne di vaccinazione agendo in risposta alle emergenze. Ora però possiamo adottare strategie di prevenzione più mirate, per evitare che future epidemie impattino sulla salute pubblica in modo così rapido. Quando parliamo di malattie trasmissibili, la prevenzione primaria è fondamentale. Dobbiamo agire tempestivamente in base alla natura del microrganismo o del virus, isolando ceppi e implementando cure adeguate. Ma è
Intervista a
Giuseppe Quintavalle
Commissario straordinario
Asl Roma 1
altrettanto importante adottare azioni proattive e promuovere l’educazione alla salute, iniziando dalle scuole e coinvolgendo pediatri di libera scelta e medici di medicina generale. In Asl Roma 1, stiamo lavorando su un progetto per contrastare l’antibiotico resistenza, che rappresenta una sfida attuale e futura per la nostra popolazione.
Per anni, infatti, l’uso eccessivo diretto e indiretto di antibiotici – in adolescenza e, in molti casi, anche in età infantile – ha aggravato questo fenomeno. Inoltre, l’uso di antibiotici negli allevamenti e nei fertilizzanti, insieme ad altre sostanze chimiche, ha un impatto negativo diretto sul sistema immunitario umano.
La sfida è quindi quella di educare i cittadini a non utilizzare gli antibiotici quando non sono necessari, soprattutto contro le malattie virali. È essenziale inserire nei piani di prevenzione un capitolo specifico sull’antibiotico resistenza, che abbia una forte componente informativa e formativa rivolta ai cittadini, ai medici e alle scuole. Dobbiamo iniziare dai bambini, fornendo loro le conoscenze necessarie per diventare adulti consapevoli. Questa formazione, ovviamente, non riguarda solo la prevenzione delle malattie o l’antibiotico resistenza, ma anche questioni sociali più ampie come i femminicidi e le violenze di genere. Investire nell’educazione dei giovani è cruciale non solo per proteggere la salute della nostra comunità, ma anche per costruire una società migliore.
A proposito di educazione alla cittadinanza, secondo un recente sondaggio otto italiani su dieci non hanno mai sentito parlare di One health. Come può lavorare la Asl?
La Asl ha recentemente abbracciato il concetto di One health, grazie anche all’interesse della professoressa Rossana Berardi. Abbiamo lanciato un’iniziativa itinerante in Italia, utilizzando i camper per raggiungere la popolazione e informarla su One health, un approccio che riconosce l’insieme delle interazioni tra salute umana, animale e ambientale che influenzano l’uomo contemporaneo, e che mira a sviluppare strategie cruciali che includono anche la lotta all’inquinamento. Il problema dell’inquinamento globale è complesso: quando alcuni Paesi non rispettano gli accordi internazionali, le conseguenze si riflettono su tutti. Malattie trasmesse da altri Paesi possono diffondersi facilmente, come abbiamo visto in passato. È importante che finalmente si inizi a parlare di questi temi, perché anche la medicina e la genetica di precisione devono adottare un approccio sistemico piuttosto che organico. Se vogliamo migliorare lo stato immunitario della popolazione, dobbiamo puntare su strategie mirate come i vaccini. Il vaccino contro l’herpes zoster per gli anziani e il papilloma virus per i giovani, ad esempio, sono strumenti importantissimi. Tutte queste strategie sono essenziali per migliorare la salute pubblica nell’ambito del concetto di One health.
Preservare il bene salute e l’assistenza sanitaria basata sul valore
“Prevenire è meglio che curare” è ormai un concetto ampiamente accettato, ma quanto siamo e ettivamente sulla strada giusta? Quali passi concreti dobbiamo ancora fare per garantire maggiori investimenti e risorse nella prevenzione sanitaria?
La sfida della prevenzione è cruciale per garantire la sostenibilità della sanità pubblica. In Italia, l’attenzione alla prevenzione e alla promozione della salute rappresenta un elemento cardine del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sin dalla sua istituzione nel 1978. Il mandato istituzionale della prevenzione è stato recentemente rafforzato e in dettaglio declinato nel Dpcm del 2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza” che ha posto una maggiore attenzione alle attività di prevenzione rivolte alle collettività e ai singoli. L’altro grande input è venuto dai piani nazionali della prevenzione che ormai hanno raggiunto un’esperienza quasi ventennale: dal primo del 2007 all’attuale 2020-2025 sono notevolmente cresciuti. La sfida oggi è riuscire ad assicurare che tutte le attività preventive siano supportate da un adeguato impegno. È poi necessario allargare lo sguardo oltre l’ambito sanitario, coinvolgendo la società civile, le agenzie informative, la scuola, il terzo settore. Serve, dunque, uno sforzo collettivo di reclutamento e sensibilizzazione che coinvolga tutti gli attori della prevenzione. In quest’ottica i dipartimenti di prevenzione devono assumere e svolgere un ruolo di leadership culturale.
Perché sia e cace, però, un approccio One health deve essere adottato a livello globale. Come si concilia questo aspetto in un Paese come l’Italia in cui la sanità è governata a livello regionale? Come fare in modo che ci sia una collaborazione a diversi livelli?
Anche se le competenze specifiche sono suddivise tra le diverse Regioni, abbiamo creato un gruppo di lavoro con la Regione Marche e la professoressa Berardi per stabilire un parallelismo tra il concetto di One health e il miglioramento della salute. Le Regioni, pur nella loro autonomia, possono contribuire in vari modi. È vero che il servizio sanitario italiano può apparire disomogeneo, ma garantisce equità nei trattamenti e offre servizi gratuiti, distinguendosi da altri Paesi. Il livello centrale, rappresentato dal Ministero della salute, dall’Istituto superiore di sanità e da Agenas, svolge un ruolo cruciale. Questi enti lavorano alla definizione dei piani nazionali di prevenzione, che ora includono anche l’approccio One health. Questi piani vengono poi trasmessi ai tavoli regionali e adottati a livello locale: nella Regione Lazio, ad esempio, il direttore dell’area regionale si sta concentrando su One health attraverso i nuovi atti aziendali e le linee guida, prestando attenzione ai dipartimenti di prevenzione e al lavoro di formazione necessario.
Intervista a
Direttore Servizio di igiene e sanità pubblica, Asl Roma 1 Vicepresidente Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica
Oggi il concetto di prevenzione va di pari passo con quello di One health. Quali sono le s de principali che ci attendono?
Il concetto di One health ha radici lontane: la stessa legge 833/78 che istituì il Ssn si ispirava a principi di integrazione e di approccio globale ai problemi di salute. Oggi, la pandemia di covid-19 e il cambiamento climatico hanno riportato in primo piano l’importanza di un approccio unificato alla salute. Il cambiamento climatico è una delle emergenze planetarie attuali, che sta cambiando il modo di vedere, affrontare e contrastare le malattie infettive. In un mondo sempre più connesso, un problema sanitario che sorge in un Paese o continente può rapidamente diventare un problema di tutti. A questo proposito, trovo particolarmente significativa una frase di Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità: “La nostra forza è la forza del più debole”. Sono diversi gli aspetti su cui è necessario informare la cittadinanza, utilizzando una co -
Iniziare la formazione sin dalla tenera età può portare a risultati migliori, poiché l’educazione al rispetto della natura e dei parametri igienico-sanitari contribuisce a un miglioramento complessivo sul lungo termine. Il lavoro è vasto ma sono ottimista: vedo il bicchiere sempre mezzo pieno. Dobbiamo lavorare per migliorare la qualità della vita, specialmente considerando l’incremento della popolazione over 80. È fondamentale lavorare su un invecchiamento sano e attivo, non solo sull’allungamento degli anni di vita.
Quanto possono essere utili il digitale e l’intelligenza arti ciale?
L’intelligenza artificiale (Ia) ha un potenziale straordinario, ma deve essere integrata con l’intelligenza umana. L’intelligenza artificiale può facilitare diagnosi e trattamenti, accelerare i processi e migliorare l’efficienza, ma non può sostituire il giudizio umano. È fondamentale avere parametri rigorosi e norme stringenti, e una carta etica per l’Ia
è essenziale per garantirne un uso sicuro e responsabile. La telemedicina, invece, è una risorsa preziosa che però utilizziamo ancora poco. Sebbene ci siano stati progressi – come il Piano nazionale di ripresa e resilienza e le iniziative di Agenas – ci sono ancora diverse sfide da affrontare, come l’interconnessione tra i sistemi digitali e la protezione della privacy. È inoltre importante implementare norme stringenti sulla cyber security.
La telemedicina può migliorare l’accesso alle cure, come dimostra l’aumento del 23 per cento degli accessi per malattie rare grazie al teleconsulto. Tuttavia, siamo ancora lontani dall’integrare completamente questi strumenti nella pratica medica quotidiana. La telemedicina può ridurre visite inappropriate e semplificare il trattamento di condizioni come il diabete o l’uso di anticoagulanti, ma la visita diretta rimane essenziale. Il medico quindi deve scegliere come e quando utilizzare la telemedicina, integrandola con le visite in presenza per garantire un’assistenza completa e personalizzata.
Il dibattito è aperto. A cura di Giada Savini
municazione sobria e matura. Innanzitutto, la vaccinazione: l’esitazione vaccinale è un problema grave e rilevante, e non devono esserci incertezze o ambiguità nella posizione sui vaccini a tutti i livelli, poiché rappresentano il più potente strumento di sanità pubblica. Un altro tema cruciale è l’ambiente. L’emergenza attuale, che impegna tutti i dipartimenti di prevenzione, è quella delle arbovirosi. Qualche anno fa abbiamo forse sottovalutato il fenomeno dell’introduzione in Italia di nuove specie di vettori, come la massiccia diffusione della zanzara tigre, e oggi ci troviamo a fronteggiare patologie emergenti o riemergenti, con ripetuti episodi di trasmissione autoctona di dengue e chikungunya. Le arbovirosi costituiscono un rilevante problema di sanità pubblica a livello planetario: basti pensare a malattie come dengue, chikungunya, zika e, soprattutto, la malaria che causa centinaia di migliaia di decessi tra i bambini nel mondo e di cui, pertanto, non possiamo non occuparci. Un altro problema in costante crescita è l’antibiotico resistenza. Questi esempi ci fanno capire quanto sia fondamentale prestare attenzione agli ecosistemi, alla veterinaria e agli allevamenti, non solo a livello planetario, ma anche per le ricadute che possono avere a livello locale.
Anche il tema dell’alimentazione è strettamente legato non solo alla salute umana, ma anche a quella animale e ambientale. Quali azioni state intraprendendo per promuovere un approccio alimentare che integri il benessere di tutti questi aspetti?
Bisogna affrontare il tema dell’alimentazione su scala globale: metà del mondo soffre di problemi legati all’eccesso di alimentazione, mentre l’altra metà soffre di carenze alimentari. È un paradosso drammatico, ma evidente, che deve spingerci a intervenire su più fronti. Non basta agire solo sul piano della comunicazione, anche perché gli avversari sono agguerriti e dispongono di risorse significative. È necessario creare ambienti di vita – sociali, economici e culturali – che incentivino comportamenti virtuosi e scelte consapevoli. Anche in questo ambito, i dipartimenti di prevenzione non possono agire da soli: se da una parte abbiamo il dovere di fare advocacy e segnalare il problema, dall’altra è necessario intervenire a livello politico, educativo e informativo.
In tema di educazione alla salute, quale ruolo possono giocare le scuole? I dipartimenti di prevenzione delle asl dovrebbero promuovere progetti formativi mirati già dall’infanzia?
La scuola dovrebbe prestare sempre più attenzione ai temi della salute. È fondamentale crescere bambini e bambine capaci di fare scelte di vita consapevoli e adeguate, e questo è compito della scuola. Noi possiamo supportarla nella selezione dei migliori mes -
saggi da trasmettere. Il Piano nazionale della prevenzione collabora da alcuni anni con le scuole attraverso un progetto di educazione tra pari su tematiche come le tossicodipendenze e il fumo di tabacco, che andrebbe esteso anche all’alimentazione e all’attività fisica.
Perché un approccio One health sia e cace deve essere adottato a livello globale e a rontato da un punto di vista multidisciplinare. Come può contribuire un’azienda sanitaria locale?
L’azienda sanitaria locale rappresenta un nodo cruciale: deve garantire che le attività siano distribuite uniformemente ed equamente a tutta la popolazione. Un esempio lampante è la vaccinazione: a prescindere da chi prende le decisioni, i dipartimenti di prevenzione a livello locale devono fare in modo che sia garantita e implementata una rete di erogazione, con un’integrazione armonica e solidale di tutti i soggetti coinvolti, affinché l’offerta sia adeguata e accessibile a tutti. Lo stesso deve avvenire per gli screening oncologici. È essenziale garantire un’adeguata offerta di servizi legati alla promozione della salute, occupandosi anche delle barriere linguistiche, sociali ed economiche.
Come sta lavorando la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Siti) su questi aspetti?
La Siti è il punto di riferimento per chi opera nei dipartimenti di prevenzione e nelle cure primarie, quindi nel campo della sanità pubblica. Storicamente, c’è una forte tradizione di collaborazione con le istituzioni a livello nazionale e regionale, come dimostrano il Piano nazionale della prevenzione, il Piano nazionale di prevenzione vaccinale e le campagne di screening. Mi fa piacere sottolineare l’attenzione che il Ministero della salute ha dedicato al problema, evidenziato dalla Siti, della carenza di risorse e di personale nei dipartimenti di prevenzione, nonché della grande disomogeneità esistente tra le Regioni. Siamo diventati parte attiva di un gruppo di lavoro istituito dal Ministero della salute per definire gli standard di personale dei dipartimenti di prevenzione, che dovrebbe produrre un documento conclusivo nei prossimi mesi. Vogliamo garantire a tutti i cittadini un’offerta di prevenzione proattiva in modo adeguato.
A cura di Rebecca De Fiore
“Penso che il con ne è anche il punto dove si capisce che le cose sono legate, perché se c’è un con ne, c’è un con ne tra due cose che si legano, sono legate proprio dal con ne, sono una da un lato e l’altra dall’altro e sono fortemente legate.” La splendida intervista a Hanne Ørstavik , curata da Nicolò Saverio Centemero e pubblicata sul numero di Forward dedicato ai “Con ni”1, si so erma sulla relazione tra la scrittrice e il marito Luigi Spagnol e sul rapporto tra la vita e il morire, ma illumina sul signi cato e la potenzialità di qualsiasi limite: tra la salute umana e quella del pianeta, tra i nostri diritti e quelli degli animali la soglia è labile, forse è invisibile nella sostanza.
Superare i con ni che formano una prospettiva antropocentrica e rivolta su noi stessi mette nelle condizioni di guardare con occhio nuovo alle diversità e a ridurre progressivamente le disuguaglianze: pensiamo all’emergenza climatica, che – ricorda Sir Michael Marmot in un’intervista pubblicata sul numero “Clima” di Forward2 – non colpisce nella stessa misura l’intera popolazione e aumenta le disuguaglianze. “Altrettanto è evidente con le isole di calore e le ondate di freddo nelle città che rientrano tra gli e etti dei cambiamenti climatici. Le conseguenze sono disuguali e possono essere ancora più gravi tra i più poveri”. Potremmo cogliere le opportunità peculiari di cui gode il nostro Paese: “È uno dei pochi – ricordava Paola Scaramozzino3 – in cui le competenze di medicina veterinaria e di medicina umana sono governate dallo stesso ministero. Lo stesso Piano nazionale della prevenzione 20202025 riconosce l’interconnessione delle persone, degli animali e degli ecosistemi, promuovendo la collaborazione interdisciplinare nell’a rontare le s de sanitarie”.
Tornando a una parola chiave che noi di Forward amiamo molto –con ne – è indubbio che la pandemia ha rappresentato una cesura tra un prima e un dopo: non ne siamo usciti migliori, ma avevamo il sospetto che questo potesse accadere anche nei mesi più oscuri dell’epidemia di covid-19. Rileggendo oggi quel che scriveva il direttore del Lancet – Richard Horton – sul numero “Avviene” di Forward 4, l’impressione è quella di un’occasione perduta: “Ciò che esprime One health diventerà una nuova priorità. One health a erma che la salute dell’uomo e quella degli animali sono strettamente connesse. Gli operatori sanitari e le loro istituzioni avranno più voce nella società. Verranno assunti e formati più operatori sanitari, i sistemi di sanità pubblica saranno ra orzati e il benessere degli operatori sanitari sarà preso più seriamente. Rivolgeranno le loro richieste alla politica e chiederanno un maggiore coinvolgimento nel processo decisionale politico. Ci si prenderà cura con maggior attenzione della salute delle popolazioni chiave: persone anziane che vivono nelle case di cura, minoranze etniche e comunità nere, migranti, rifugiati e tutti coloro che vivono in condizioni di pervasiva povertà. I modelli di assistenza verranno rivoluzionati dalla tecnologia digitale, in particolare quelli di assistenza primaria. Saranno ra orzati gli investimenti nella scienza medica (in special modo nella sanità pubblica)”. Proprio perché le evidenze ci confermano ancora in un mondo fortemente imperfetto, dobbiamo continuare a sperare. Ad augurarci che un giorno il sentimento assoluto di prossimità riguardi ciascuna persona e l’ambiente, gli esseri viventi, il pianeta. Al punto di immaginare che la frase di Hanne Ørstavik possa non essere rivolta solo a un amante: “Vado verso te e ti prendo la mano e ti guardo e ti dico, anche io, ti amo”. •
1. Il con ne è dove capisci che le cose son legate. Intervista a Hanne Ørstavik. A cura di N. S. Centemero. Recenti Prog Med 2023; Suppl Forward 29;S43-S45
2. Quando il “clima” non è democratico. Nulla di ciò che riguarda le iniquità di salute è inevitabile. Intervista a Sir Michael Marmot. A cura di L. Tonon. Recenti Prog Med 2022; Suppl Forward 28;S4-S5.
3. Scaramozzino P. One health per salvaguardare la nostra salute. Recenti Prog Med 2022; Suppl Forward 28;S22-S23.
4. Horton R. Verso la prossima pandemia. Con nuove risposte. Recenti Prog Med 2020; Suppl Forward 20;S15-S18.
educazione alla città e promozione
territorio
Il Piano regionale della prevenzione della Regione Lazio si inserisce all’interno di una strategia nazionale volta a promuovere interventi di sanità pubblica, in termini di prevenzione e promozione della salute, in modo integrato e trasversale, capaci di tener conto dei molteplici fattori che in uenzano il benessere della popolazione.
La prevenzione coinvolge, infatti, aspetti più ampi e interconnessi, che spaziano dalla promozione di stili di vita salutari all’organizzazione degli spazi urbani e all’interazione sociale, in un’ottica di contrasto alle disuguaglianze sociali, nello specifico in materia di salute. Questo approccio è in linea, inoltre, con il concetto di One health, che riconosce la connessione inestricabile tra la salute umana, animale e ambientale, in un’ottica di integrazione di saperi e pratiche che superano i confini della stessa biomedicina. Il Piano regionale della prevenzione, inoltre, per la prima volta definisce come fondamentale l’approccio di Urban health, ossia quello centrato sui determinanti urbani di salute.
Uno dei possibili entry point di interventi centrati sulla promozione dell’Urban health riguarda la promozione dell’attività fisica, soprattutto attraverso studi e iniziative che possono incidere positivamente sulla camminabilità, un indicatore chiave del grado di vivibilità di un’area urbana. Promuovere la camminabilità significa incoraggiare la mobilità attiva, con effetti di miglioramento della qualità dell’aria e del benessere psicofisico della popolazione, ma significa anche mettere al centro lo spazio pubblico, incentivandone l’uso, aumentando le possibilità e le forme di fruizione e le occasioni di aggregazione, presupposto per la costituzione di capitale sociale. La combinazione di questi fattori si riverbera sulla salute di popolazione, da intendersi, quindi, non solo (ovviamente) in termini di assenza di malattia, ma come un complesso equilibrio che si riflette nelle relazioni sociali e nell’interazione con l’ambiente circostante. In questo contesto, il concetto di cura assume una valenza duplice: da un lato, la cura della salute attraverso la prevenzione e la formazione, dall’altro la cura del territorio e degli spazi in cui viviamo. La cura del territorio diventa così un atto collettivo che richiede partecipazione attiva e consapevolezza delle dinamiche che governano il nostro ambiente, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita, e quindi anche della salute, per tutte e tutti.
L’intervento nelle scuole
Nell’ambito delle attività di promozione della salute, la Asl Roma 1 ha promosso e poi realizzato un progetto nelle scuole primarie di tre diversi quartieri di Roma: Ottavia, Cinquina e Parioli/Villaggio Olimpico. Ogni scuola rappresenta un contesto urbano e sociale unico, offrendo un’ottima opportunità per esplorare come il territorio e l’ambiente circostante influenzino salute e benessere, tanto dal punto di vista della loro percezione, quanto come condizioni effettive. Il progetto, articolato in tre incontri per ciascuna scuola, ha avuto l’obiettivo di stimolare una riflessione multidisciplinare e condivisa sui tre temi cardine dell’approccio sopra brevemente descritto: la geografia del territorio, l’urbanistica e la promozione della salute.
Il primo incontro, condotto da ricercatori e ricercatrici della Società geografica italiana, ha introdotto alunne e alunni al concetto di territorio come un sistema complesso e interconnesso. Il territorio è stato descritto come un palinsesto di elementi naturali e antropici (tra cui assumono un rilievo specifico i fattori sociali), che si influenzano reciprocamente. Sono state esplorate le relazioni tra ambiente, città e popolazione, incoraggiando alunni e alunne a osservare con occhi nuovi il proprio quartiere e a riconoscere le diverse funzioni e usi degli spazi urbani. Questo approccio ha aiutato a capire che il territorio non è statico, ma è modellato dall’interazione continua tra le persone e l’ambiente circostante.
A cura del gruppo di lavoro di Sentieri
Metropolitani
Lorenzo Paglione,
Massimo Napoli, Laura Marigliani
Asl Roma 1
Giulia Oddi
Daniele Pasqualetti
Società geogra ca italiana
Barbara Pizzo
Sapienza università di Roma
Rebecca De Fiore
Celeste De Fiore
Norina Di Blasio
Il Pensiero Scienti co Editore
Il secondo incontro, condotto da una docente di urbanistica della Sapienza università di Roma, si è concentrato sui caratteri dell’ambiente costruito e sulla ragione degli specifici assetti e configurazioni. Attraverso l’uso di esempi legati al gioco, alunne e alunni hanno potuto comprendere le dinamiche economiche e anche le logiche individuali che influenzano lo sviluppo e la trasformazione delle città. Questo approccio ha permesso di spiegare concetti complessi come la competizione per gli usi del suolo e l’equilibrio necessario al fine di rendere funzionali e vivibili le città e i quartieri, quindi l’importanza dell’urbanistica e della pianificazione, la destinazione di uso dei suoli. Dopo una fase teorica ma non frontale, le classi si sono esercitate in un laboratorio pratico, in cui ciascun gruppo ha potuto toccare con mano le difficoltà del governo del territorio nel coordinare interessi individuali molteplici e anche conflittuali e, prima di tutto, nel provare a superare visioni parziali e poco lungimiranti. I risultati del laboratorio hanno mostrato interessanti differenze tra le scuole. Non potendo approfondire qui tali risultati come richiederebbero, diremo in estrema sintesi che le classi di Ottavia e Cinquina, tra le aree più periferiche di Roma, hanno rappresentato città frammentate, con un’attenzione particolare agli spazi verdi e alla distribuzione dei servizi. Questa caratteristica può essere ricondotta alla loro esperienza diretta di vivere in aree meno dense e più disperse, dove i luoghi di relazione sono ridotti (se non quasi assenti) e la mobilità privata su gomma a volte è una soluzione obbligata, per cui l’esperienza di spazio pubblico più consolidata è la strada. Diversamente, gli studenti di Parioli/Villaggio Olimpico, quartieri più centrali e compatti, hanno rappresentato città più dense e organizzate, con un minor numero di spazi verdi e una maggiore enfasi sulle infrastrutture e i servizi. Servizi pubblici e collettivi e spazi di relazione sono diversi e più distribuiti. Queste differenze riflettono non solo la diversità urbana di Roma, ma anche la percezione di bambini e bambine riguardo agli spazi in cui vivono quotidianamente.
Il terzo incontro, condotto da professionisti/e della salute della Asl Roma 1 e de Il Pensiero Scientifico Editore, ha affrontato i concetti di salute e benessere, di promozione della salute e di prevenzione. Attraverso un ampio confronto guidato, sono state le classi stesse ad arrivare a definire la differenza tra il concetto di cura in senso biomedico, focalizzato sulla malattia e la guarigione, e una visione più ampia della cura, che include la cura di sé, degli altri e del territorio. Questo incontro ha approfondito il concetto di One health, sottolineando come la salute umana sia strettamente legata alla salute degli animali e dell’ambiente. Sono stati affrontati i temi centrali legati alla prevenzione non solo come azione medica, ma come atto quotidiano che ciascuno di noi può compiere, a partire dal prendersi cura degli spazi in cui vive e dal rispetto per l’ambiente. Piccoli cambiamenti messi a fuoco con il contributo dei bambini coinvolti, per sottolineare ancora una volta l’efficacia di un approccio educativo costruttivo, positivo e partecipato piuttosto che negativo, addirittura “terroristico” (ad esempio, quando focalizzato sui pericoli), e calato dall’alto.
Un aspetto fondamentale di questo incontro è stato l’invito a riflettere sul ruolo attivo di ciascun individuo nella promozione della salute. Le classi hanno imparato come la loro salute dipenda anche dalla qualità dell’aria che respirano, dall’accessibilità degli spazi verdi e dalla possibilità di muoversi in sicurezza nel proprio quartiere. Questa consapevolezza è stata ulteriormente rafforzata dalle uscite esplorative nei quartieri di ciascuna scuola. Le classi di ciascuna scuola hanno infatti avuto modo di effettuare una passeggiata esplorativa nel proprio quartiere, accompagnati dalle insegnanti e dal gruppo di progetto, osservando gli spazi dedicati alla socialità, e potendo analizzare criticamente le dotazioni infrastrutturali dedicate ai pedoni, la cura dello spazio pubblico e la presenza di servizi, analizzando come la disposizione stessa dei pieni e dei vuoti urbani, frutto di dinamiche comprese nei precedenti incontri, possa influire in modo decisivo sulle occasioni di incontro, di svago o sulla possibilità di svolgere attività fisica, e in ultima analisi il loro stesso rapporto con il territorio. Lo scopo delle uscite era quello, inoltre, di interpretare come “speciale”, cioè “degno” di un’uscita scolastica, anche il quartiere intorno alla propria scuola, frutto di stratificazioni storiche e urbanistiche forse più limitate, ma non per questo meno importanti o interessanti da comprendere.
L’evento conclusivo: laboratorio di cittadinanza attiva
L’evento conclusivo del progetto si è svolto presso la sede della Società geografica italiana, un luogo simbolico per riflettere sul legame tra geografia, urbanistica e salute, e dove alunni e alunne hanno partecipato a una serie di laboratori pratici ed esperienziali. Tra questi, un’attività di orienteering nel parco di Villa Celimontana, che ha permesso alle classi di mettere in pratica le nozioni apprese nei precedenti incontri, esplorando il parco e orientandosi nello spazio utilizzando mappe e punti di riferimento.
Un altro momento chiave è stato il laboratorio di urbanistica, in cui gli studenti hanno esplorato gli elementi costitutivi delle città, come i servizi, gli spazi pubblici e le funzioni urbane. Questo laboratorio ha stimolato una riflessione su come la pianificazione urbana possa influenzare il benessere delle persone, incoraggiando gli studenti a pensare a soluzioni per migliorare la vivibilità del proprio quartiere. La visita al museo della Società geografica ha infine offerto un’opportunità per conoscere la storia e l’evoluzione delle città nel tempo, arricchendo ulteriormente il percorso educativo.
Formarsi alla salute e alla cura del territorio
Questo progetto pilota ha permesso di offrire alle classi una prospettiva nuova sulla città e sul territorio, e sul rapporto che questi hanno con la salute di popolazione, percepita infine non come frutto di scelte individuali più o meno salutari, ma come una responsabilità collettiva. L’approccio multidisciplinare ha permesso di integrare concetti complessi come la One health e l’urbanistica in un percorso educativo pratico e coinvolgente, in cui, nonostante la complessità dei temi, alunne e alunni sono sempre stati partecipi, attivi e propositivi. Le classi hanno imparato attraverso il confron-
to e l’esperienza che la promozione della salute non riguarda solo il proprio corpo, ma anche l’ambiente in cui vivono e la comunità di cui fanno parte, in una continuità di dinamiche della quale facciamo tutte e tutti parte.
Attraverso l’esplorazione del proprio quartiere e la partecipazione attiva ai laboratori, hanno acquisito una maggiore consapevolezza del loro ruolo nella cura del territorio, al contempo comprendendo come la qualità degli spazi urbani, l’accessibilità dei servizi, e finanche la possibilità di camminare in sicurezza siano non solo elementi connessi alla salute e al benessere, ma anche frutto di scelte e dinamiche spesso al di fuori del nostro controllo, ma sulle quali pesa una responsabilità collettiva che passa anche per la cura dei luoghi.
In un’epoca in cui le città stanno affrontando sfide legate alla sostenibilità e alla salute, e che investono gli stili di vita, la mobilità, e il modo stesso di vivere l’urbano, progetti come questo permettono di formare cittadini e cittadine più consapevoli e responsabili. Formare la popolazione a prendersi cura del proprio ambiente di vita, a comprendere le dinamiche che governano le città e a promuovere la salute è un passo fondamentale verso la costruzione di comunità più sane. F
In Italia sono riconosciuti oltre 40 Siti di interesse nazionale (Sin): si tratta di aree identi cate come particolarmente contaminate da attività industriali, ri uti, o altre fonti di inquinamento e soggette a interventi di boni ca per ridurre o eliminare il rischio per la salute pubblica e per l’ambiente. Nel Lazio, a marzo 2005, a seguito del rilevamento di livelli di un isomero dell’esaclorocicloesano signi cativamente superiori ai limiti di legge in campioni di latte crudo e foraggi prelevati in alcune aziende agricole del comprensorio di Colleferro, in Provincia di Roma, è stato dichiarato lo stato di emergenza nella Valle del Sacco. Successivamente, l’area è stata classi cata come Sito di interesse nazionale. Il ume Sacco ha agito come vettore per la contaminazione delle aree circostanti, sia attraverso le esondazioni che mediante l’irrigazione dei terreni con acque prelevate dal ume, o per una combinazione di entrambi i fenomeni.
Sorveglianza sanitaria e rischi ambientali
Matteo
Renzi
Dipartimento
di epidemiologia
Servizio sanitario
regionale del Lazio
Asl Roma 1
Nel 2006, nell’ambito del programma “Salute della popolazione nell’area della Valle del Sacco”, è stata condotta un’indagine trasversale sulla popolazione locale, con un focus sul livello di accumulo di contaminanti organici (biomonitoraggio). Lo studio ha evidenziato un aumento delle concentrazioni di β-HCH con l’età, particolarmente tra i residenti entro un raggio di 1 chilometro dal fiume, coloro che utilizzavano acqua di pozzo privato per bere, cucinare o lavarsi, e quelli che consumavano cibi di produzione propria.
Sulla base dei risultati di questa indagine, e vista la varietà di potenziali effetti tossici associati al β-HCH, sebbene le evidenze scientifiche siano ancora incerte, la Regione Lazio ha avviato nel 2009 un programma di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica per tutti i residen-
ti nell’area a rischio (entro 1 chilometro dal fiume Sacco). Il programma includeva il monitoraggio biologico delle concentrazioni di β-HCH nel sangue e controlli sanitari periodici (clinici e strumentali) per i residenti nelle vicinanze del fiume. Inoltre, sono state implementate campagne di monitoraggio continuo degli allevamenti, a cura dell’Istituto zooprofilattico. Recenti analisi condotte dal Dipartimento di epidemiologia del Lazio, nell’ambito del progetto Indaco3,4, hanno mostrato come i livelli di β-HCH nel sangue della popolazione residente nelle vicinanze del Sin siano diminuiti nel tempo, ma con un chiaro gradiente proporzionale alla vicinanza del fiume. Inoltre, il consumo di cibi di produzione locale/propria e l’uso dell’acqua dei pozzi privati risultano essere fattori di rischio solo nella popolazione dei vecchi comuni del Sin, evidenziando delle differenze nel livello di contaminazione da β-HCH tra questa popolazione rispetto a quella dei nuovi comuni inclusi nel nuovo Sin, dimostrando come queste due popolazioni siano state esposte a pressioni ambientali molto diverse. In tutta la popolazione del Sin si confermano come determinanti della concentrazione di β-HCH i fattori precedentemente identificati, quali il genere femminile, l’aumento dell’età, l’indice di massa corporea elevato e un basso livello di istruzione.
Nel bacino del fiume Sacco l’inquinamento delle diverse matrici ambientali (acqua, aria e suolo) si innesta a diversi livelli. E soltanto un approccio One health, con il contributo di professionisti di diversa natura, può fornire risposte solide e concrete.
Dai dati alle politiche di contrasto
Questi risultati accendono un riflettore importante anche sulle tematiche delle disuguaglianze sociali che, negli ultimi anni, vedono la loro forbice esistenziale allargarsi ulteriormente. Infatti, le popolazioni svantaggiate presentano un alto livello di vulnerabilità a fattori di rischio sociale e ambientale. Perciò, è essenziale che politiche di contrasto e mitigazione vengano adottate con la piena consapevolezza della situazione contestuale.
Il concetto di One health rappresenta un approccio integrato e multidisciplinare alla salute, che riconosce l’interconnessione tra la salute umana, animale e ambientale. Questo paradigma è particolarmente rilevante nei siti inquinati dove la contaminazione può interessare la catena alimentare, poiché gli alimenti che consumiamo hanno un impatto diretto non solo sulla nostra salute, ma anche su quella degli animali e sull’ambiente da cui provengono. L’esperienza nel Sin bacino del fiume Sacco, dove l’inquinamento delle diverse matrici ambientali (acqua, aria e suolo) si innesta a diversi livelli, racconta come soltanto un approccio One health, con il contributo di professionisti di diversa natura, possa fornire risposte solide e concrete. Per esempio, opere di bonifica del suolo, biomonitoraggio della popolazione umana e animale, salvaguardia della biodiversità e monitoraggio epidemiologico si rendono necessarie per una risposta globale al fine di tutelare la salute totale dell’area. F
1. Porta M, Gasull M, Puigdomènech E, et al. Environmental pollution and human health: Biomonitoring and human biomarkers. Environ Research 2010;110:797-810.
2. Culasso M, de Sario M, Zanni S, et al. Esposizione a esaclorocicloesano ed e etti sulla salute umana: una scoping review della letteratura. Recenti Progr Med 2023;114:549-51.
3. Badaloni C, Renzi M, De Fiore C, et al. Un sistema di consultazione on-line sullo stato di salute della popolazione residente in un’area a forte pressione ambientale. Recenti Progr Med 2023;114:552.
4. www.progettoindaco.it
Sistemi informativi, advocacy e indicatori: verso un modello di salute integrato e misurabile
IMarina Davoli
Dipartimento di epidemiologia, Servizio sanitario regionale del Lazio, Asl Roma 1
l Piano nazionale esiti (Pne) è uno strumento consolidato ed e cace per valutare gli esiti dell’assistenza ospedaliera. Avendo la possibilità di accedere ad altri sistemi informativi (prescrizioni farmaceutiche, specialistica, ecc.) sarebbe possibile estendere questa valutazione anche a livello territoriale, come viene fatto ad esempio nel Programma regionale di valutazione degli esiti del Lazio. Misurare gli esiti degli interventi di prevenzione, invece, risulta più complesso, in ragione dell’in uenza dei diversi determinanti di salute e delle loro relazioni reciproche, come, tra gli altri, i fattori socioeconomici e culturali, per citarne alcuni.
Monitorare non solo i processi ma anche gli obiettivi
Mentre per valutare l’assistenza ospedaliera e territoriale è possibile definire degli indicatori che misurano l’aderenza a pratiche cliniche di provata efficacia, grazie alla tracciabilità delle prestazioni sanitarie attraverso gli attuali sistemi informativi sanitari, e monitorando anche gli esiti delle cure, nel campo della prevenzione il percorso risulta più complesso, anche per l’assenza di sistemi di sorveglianza consolidati su diversi ambiti (come quelli relativi ai comportamenti individuali o alle condizioni di contesto) e per la mancanza di un sistema informativo unico della prevenzione. Il Nuovo sistema di garanzia, in vigore dal 2020, prevede 16 indicatori per la prevenzione, di cui sei “core”, utilizzati per certificare gli adempimenti delle Regioni. Tuttavia, questi indicatori si concentrano su aspetti gestionali e/o di processo: tutto quello che riguarda la prevenzione collettiva, soprattutto quella primaria, non solo non è valutato in termini di efficacia, ma neanche in termini di erogazione.
Lucia Bisceglia
Agenzia regionale per la salute e il sociale della Puglia
Uno degli aspetti di complessità è anche legato al fatto che le attività di prevenzione, con riferimento ai Livelli essenziali di assistenza (Lea), sono articolati in programmi/ attività, le cui componenti prestazionali, quando riferite alla salute collettiva, sembrano avere caratteristiche intrinsecamente non misurabili in termini di esiti, e spesso di tipo intersettoriale. A titolo di esempio, il programma “Tutela della salute dai fattori di rischio presenti in ambienti di vita” prevede la promozione di progetti per il miglioramento dell’ambiente e la valutazione dei possibili effetti sulla salute: le prestazioni associate, come la comunicazione dei rischi e il supporto ad altri enti nei programmi di miglioramento ambientale, non consentono una quantificazione immediata delle ricadute sulla salute in termini operativi.
Già nel 2018, subito dopo l’approvazione del Dpcm che aggiornava i Lea, la comunità italiana di epidemiologia ambientale, nell’ambito del progetto Ccm “Rete italiana ambiente e salute (Rias)”, ha sollevato questo tema per sottolineare l’importanza di associare ai programmi di prevenzione un sistema di valutazione che consenta il monitoraggio non solo dei processi, ma anche degli obiettivi di salute. La difficoltà principale risiede nell’individuare esiti di salute pubblica immediatamente e direttamente attribuibili a un intervento di prevenzione. D’altronde, anche per quanto riguarda la valutazione di esito in ambito clinico, non sempre è possibile collegare gli esiti alle attività di un singolo dipartimento. Ad esempio, la tempestività di accesso all’angioplastica primaria dipende dall’efficienza non solo del laboratorio t
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di emodinamica ma anche del pronto soccorso, che è a sua volta influenzata da fattori esterni all’ospedale. Per la prevenzione primaria, è ancora più complesso, se non impossibile, attribuire i risultati a un singolo dipartimento di prevenzione. Nel 2021, un gruppo di lavoro coordinato da Paolo Vineis ha proposto una lista di interventi per una strategia di prevenzione primaria delle malattie non trasmissibili, identificando anche i soggetti responsabili: in nessun caso è stato indicato un singolo dipartimento di prevenzione1. È comunque vero che, anche in questo ambito, alcune attività preventive – prima fra tutte la riduzione o cessazione del fumo di sigaretta – prevedono interventi basati su solide evidenze di efficacia che dovrebbero essere attuate da tutti i dipartimenti clinici.
Orientare le decisioni e l’allocazione delle risorse
Un intervento esclusivamente sanitario risulterebbe comunque insufficiente. Se, ad esempio, si definisce come target per la promozione della salute la riduzione del 20 per cento del contenuto di zuccheri nelle bevande gassate, quale reale margine d’azione ha un dipartimento di prevenzione? Qui entra in gioco il tema dell’advocacy, ovvero la capacità del sistema sanitario pubblico di orientare le decisioni e l’allocazione delle risorse verso la promozione della salute, un ambito non solo difficile da misurare ma spesso contraddetto dai fatti. Sebbene il principio di “salute in tutte le politiche” sia ormai acquisito da almeno un paio di decenni, continua a rimanere più un auspicio (interno al Servizio sanitario nazionale) che una pratica concretamente attuata, ad esempio nell’elaborazione di piani e programmi a livello nazionale, regionale e locale.
Questo significa che non è possibile individuare indicatori per i programmi di prevenzione collettiva? Non è del tutto vero. Sul tema ambiente e salute, per esempio, numerosi indicatori sono disponibili sui siti dell’Agenzia europea per l’ambiente, di Ispra e delle Arpa, e potrebbero, così come sono o riformulati ad hoc, essere utilizzati a fini valutativi, anche se non a livello di singolo dipartimento di prevenzione.
Individuare target come gli standard di qualità dell’aria e misurare la proporzione di persone esposte a livelli superiori a tali soglie consentirebbe di de nire obiettivi di riduzione e di monitorarne i progressi nel tempo.
Un cambiamento necessario per la salute collettiva
Dobbiamo immaginare un cambiamento di logica verso una prospettiva che non sia solo possibile ma addirittura obbligatoria, poiché questo Paese ha deciso di dotarsi di un Sistema nazionale per la prevenzione della salute dai rischi ambientali e climatici. Tra i compiti di questo sistema vi è lo sviluppo di criteri, metodi e sistemi di monitoraggio integrati, contribuendo alla definizione degli atti di programmazione in materia di prevenzione primaria, in collaborazione con il Sistema nazionale di protezione ambientale e le sue articolazioni regionali.
Servono programmi strutturati che interferiscano con le decisioni in tutti i contesti, che utilizzino le competenze che l’epidemiologia ha sviluppato e quindi gli indicatori già disponibili.
1. Vineis P, Beagley J, Bisceglia L, et al. Strategy for primary prevention of non-communicable diseases and mitigation of climate change in Italy. J Epidemiol Community Health 2021;75:917-24.
Come il Pne ha rappresentato un laboratorio per la sperimentazione di indicatori di volumi ed esiti dell’assistenza ospedaliera, alcuni dei quali sono stati integrati nel Nuovo sistema di garanzia, analogamente si potrebbe impostare un percorso per la misurazione degli indicatori della prevenzione collettiva, al fine di selezionarne un set utile per la certificazione degli adempimenti Lea. Ad esempio, individuare target come gli standard di qualità dell’aria proposti dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2021 e misurare la proporzione di persone esposte a livelli superiori a tali soglie consentirebbe di definire obiettivi di riduzione e di monitorarne i progressi nel tempo. L’inserimento di indicatori di questo tipo in un contesto certificativo come quello del Nuovo sistema di garanzia potrebbe senz’altro stimolare l’elaborazione di politiche nazionali e regionali orientate alla promozione della salute, similmente a quanto avviene per l’indicatore composito sugli stili di vita, nonostante i limiti nelle fonti di dati. Poiché, come è noto, il processo di verifica è associato, in caso di esito positivo, all’accesso alla quota premiale del Fondo sanitario, questo passaggio consentirebbe di uscire dalla logica che la salute sia un tema di esclusiva pertinenza della sanità: tutti i settori sarebbero responsabili nel raggiungimento degli obiettivi di salute. Potrebbe quindi diventare una leva per introdurre il tema della coprogettazione di interventi dotati di evidenze solide di provata efficacia per il miglioramento della salute.
In questo contesto, è certamente possibile realizzare una sperimentazione di indicatori legati alla promozione della salute, traendo impulso anche dalle impostazioni metodologiche di esperienze già avviate nel nostro Paese, come quella del Network italiano di prevenzione basata sulle evidenze, che ha messo a disposizione un ampio catalogo di raccomandazioni per azioni di provata efficacia, oltre a strumenti per la valutazione comparativa dell’efficacia e dei costi.
La comunità dell’epidemiologia e, in generale, della salute pubblica ha lavorato e continua a lavorare sui nessi causali, sulle valutazioni di impatto e sulle prove di efficacia. È fondamentale continuare a investire nei sistemi informativi e nella loro interconnessione, sfruttando tutte le opportunità offerte dai finanziamenti per la digitalizzazione. Tuttavia, cosa più importante, è necessario un ulteriore passo avanti: la valutazione degli interventi di prevenzione e promozione della salute non dovrebbe limitarsi a misurare le attività del singolo dipartimento di prevenzione, ma deve anche considerare gli impatti sulla salute derivanti dai piani e dalle attività complessive. L’esperienza del Pne ha dimostrato chiaramente come un sistema di valutazione fondato su metodi rigorosi, indicatori solidi e processi di audit possa produrre benefici misurabili nella qualità dell’assistenza: se non si implementano meccanismi valutativi e certificativi anche nel campo della prevenzione, sarà difficile che il ruolo di advocacy possa diventare operativo e superare la retorica, specialmente in un momento in cui si aspira a un approccio One health. Servono programmi strutturati che influenzino le decisioni in tutti i contesti, che si avvalgano delle competenze che l’epidemiologia ha sviluppato per le valutazioni di impatto e di costo-efficacia degli interventi e delle politiche, e che quindi utilizzino indicatori già disponibili per definire target misurabili che possano tradursi in miglioramenti concreti delle condizioni di salute per la comunità F
Fin da molto piccola, sapevo che in tutte le storie c’è un bosco; quando ne segue i misteriosi sentieri, il protagonista sempre si imbatte nella magia e finisce per trovarci qualche prodigio. Anch’io camminavo tra gli alberi, per mano a mio padre, nei lunghi pomeriggi di luglio. Eravamo soliti andare insieme in una minuscola biblioteca del parco, chiamato Parque Grande. Era una casetta che, per l’aspetto esterno e per il tetto, mi sembrava uscita da un racconto o forse da un villaggio alpino. (…) Le meraviglie di quel parco, promosso alla categoria di bosco dal mio sguardo di bambina, erano, com’è ovvio, frutto della fantasia: i libri e gli eroi che li abitavano, il mormorio dei pioppi, che con il loro bisbigliare sembrava promettessero un racconto; la biblioteca1
AL TERMINE DI QUEST’ANNO Forward avrà piantato trentasei alberi, quattro ogni dodici mesi dal 2016, anno di avvio del progetto. Trentasei alberi: uno per ciascuna delle parole – o delle locuzioni come nel caso di medicina di precisione, intelligenza artificiale, big data, spazi della cura e altre – che abbiamo scelto per raccontare come la medicina e la cura stanno cambiando davanti ai nostri occhi, così esigenti e così distratti. Le parole chiave che compongono la storia di Forward hanno riscosso un successo disuguale; alcune restano degli evergreen: basti pensare a valore/valori (2016), fake e postverità (2017) o sostenibilità (2019). Altre sembrano essere più legate a mode del momento, come nel caso di medicina di precisione (oggetto del primo approfondimento del progetto) o a ripresa/resilienza (2022). Per quanto tempo l’espressione One health riuscirà a catalizzare l’attenzione dei portatori di interesse nella sanità?
COME MOSTRA LA TIMELINE in questo numero (vedi p. 8-9), l’espressione “One health” è stata utilizzata nella sua forma moderna nel 1964. Calvin W. Schwabe, un veterinario americano, si schierò contro la suddivisione a compartimenti stagni della ricerca scientifica, utilizzando la locuzione “One medicine” per sintetizzare il significato del proprio punto di vista2. “I bisogni centrali dell’uomo comprendono la lotta alle malattie, la garanzia di cibo sufficiente, un’adeguata qualità ambientale e la creazione di una società in cui prevalgano i valori umani” ed è impensabile che la clinica medica da sola possa rispondere a queste sfide. Successivamente, l’espressione “One health” è diventata popolare nel 2004 con la pubblicazione dei dodici Principi di Manhattan promossi dalla Wildlife conservation society in occasione di una conferenza a New York, negli Stati Uniti3
I dodici punti del documento sollecitavano le comunità governative e scientifiche ad aspirare a un approccio più interdisciplinare, come necessità per risolvere i problemi pressanti e complessi che esistono alle intersezioni tra salute e società.
È A PARTIRE DAL 2010 che le ricerche sulla One health all’interno della banca dati del governo statunitense sono decollate (vedi grafico p. 36, in alto). Da un’osservazione rapida della letteratura, abbiamo la conferma che la locuzione è quasi sempre associata a un approccio antropocentrico alla soluzione dei problemi di salute. Gran parte degli studi richiamati da questa keyword composta si concentrano sulla trasmissione di agenti zoonotici tra l’uomo e gli animali, in genere animali domestici a stretto contatto con l’uomo. Anche il benessere degli animali da compagnia è stato considerato attraverso questa lente antropocentrica, guardando alla salute degli animali in funzione del benessere fisico e mentale e/o della felicità dei loro proprietari.
LA LETTERATURA sulla One health sta dunque aumentando e sempre più spesso tra gli autori degli articoli figurano ricercatori di nazioni a medio e basso reddito. Non può sorprendere, però, che a figurare come autori di riferimento per la corrispondenza siano perlopiù ricercatori del primo mondo, che t
lavorano in nazioni ad alto reddito. Nello studio di Brown, le affiliazioni dei corresponding author sono soprattutto di istituzioni degli Stati Uniti (21 per cento di tutte le affiliazioni); seguono Regno Unito (10 per cento), Australia (5 per cento), Canada (4 per cento) e Italia (3 per cento). È interessante notare che la Cina è responsabile solo del 2,5 per cento di tutte le affiliazioni degli autori corrispondenti (vedi grafico, in basso). Un’evidenza che lascia perplessi, se pensiamo che molte delle principali minacce alla salute pubblica globale (come la resistenza antimicrobica e le zoonosi emergenti) sono prevalenti nel Sud del mondo: è incoraggiante che le iniziative orientate alla one health avviate di recente, come lo One health high-level expert panel, abbiano incluso l’equità tra settori e discipline, la parità sociopolitica e multiculturale e l’equilibrio sociale ed ecologico tra i loro principi fondamentali. Senza questa parità e senza una collaborazione e una cooperazione veramente globali, è improbabile che i programmi one health possano raggiungere il loro pieno potenziale4
PIANTATO IL TRENTACINQUESIMO ALBERO nel bosco di Forward (e ormai abbastanza avanti nel lavoro intorno al successivo, dedicato alle “Abitudini”), continuiamo a chiederci come le riflessioni che suggeriamo sono accolte da chi segue il nostro progetto. A integrare il lavoro di ascolto che curiamo per ogni approfondimento – sintetizzato nei grafici al centro del fascicolo – abbiamo pensato che un indicatore potesse essere l’attività di ricerca bibliografica dei professionisti sanitari intorno ai temi che abbiamo esplorato. “Alcuni fattori come le innovazioni tecnologiche, che possono aprire campi di ricerca inediti, l’interesse per temi di rilevanza sociale come il cambiamento climatico o la salute pubblica, e la pressione delle riviste per l’impact factor, che comporta la ricerca di argomenti ‘caldi’ che attirino più citazioni, possono influenzare la varietà della ricerca pubblicata e determinare dei trend nei topic pubblicati nelle riviste scientifiche” dice Manuela Moncada, responsabile della biblioteca medica dell’Irccs Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Possono essere degli esempi la medicina personalizzata, la telemedicina, l’intelligenza artificiale e proprio l’approccio one health. Argomenti che vivono
Il trend delle pubblicazioni.
L’espressione “One health” è stata inserita tra i termini mesh per la ricerca su PubMed solo nel 2018. La National Library of Medicine speci ca che questa espressione indica “an integrative e ort of multiple disciplines working collaboratively and locally, nationally, and globally in all aspects of health care for humans, animals, and the environment”.
La geopolitica della ricerca.
Tra gli autori di articoli legati al tema “One health”, è alta la percentuale di rme di ricercatori provenienti da continenti solitamente poco rappresentati nella letteratura scienti ca (si veda il confronto con i dati del ranking della rivista Nature, aggiornato annualmente).
fasi di grande popolarità seguiti talvolta da una riduzione dell’interesse: in ambito biomedico è questo il caso degli studi sulle cellule staminali, che dopo un boom iniziale stanno diminuendo a favore di applicazioni più specifiche e alternative, come le cellule staminali pluripotenti indotte e le tecniche di editing genico come Crispr (nel 2019-20 in PubMed con l’espressione ‘stem cells’ troviamo circa 30mila articoli, mentre nel 2024 ad oggi sono circa 22mila). L’analisi dei termini del dizionario controllato della National library of medicine, utilizzato per la ricerca in PubMed (i famosi termini mesh – medical subject headings) può essere d’aiuto nell’individuare argomenti emergenti, dal momento che ogni anno vengono inseriti nella banca dati nuovi mesh che corrispondono ad argomenti che stanno diventando rilevanti. Il bibliotecario, grazie al suo lavoro costante di monitoraggio delle pubblicazioni e di aggiornamento continuo nella selezione delle informazioni e delle fonti informative, può essere di supporto ai ricercatori nell’individuare argomenti emergenti di ricerca”.
UN’ALTRA PAROLA CHIAVE di cui molto si discute è real world evidence. “A questo riguardo – commenta Patrizia Brigoni, documentalista biomedica e direttrice della Biblioteca virtuale per la salute del Piemonte – tra le più interessate ci sono le persone, clinici e ricercatori che ritengono non si possano sempre e solo disegnare trial clinici randomizzati, così che tante fonti diverse sono considerate utili per definire l’efficacia dei farmaci, soprattutto per indicazioni meno convenzionali. Va detto, però, che per quanto seducente la real world evidence può subire condizionamenti da fattori diversi. A proposito infine del concetto di one health, ho l’impressione che se ne parli in alcuni contesti particolari, per esempio negli ambienti frequentati da epidemiologi, ma è ancora considerata più un concetto politico che qualcosa realmente legata alla pratica clinica”.
IN DEFINITIVA, dobbiamo aspettarci che anche il bosco di Forward sia popolato – come spiega uno studio uscito su Science Advances5 –da cacciatori, ficcanaso-indaffarati e ballerini. I primi abituati a muoversi tra le diverse pagine di un sito, in modo logico e come se seguissero una traccia specifica per trovare risposte puntuali. I secondi alla ricerca di singole “chicche” di informazione utili per farsi un’idea. Infine, il terzo stile di curiosità, quella propria del ballerino che svolge una specie di danza in cui concetti disparati, tipicamente concepiti come non correlati, sono anche fugacemente messi tra loro in relazione, mentre l’utente avanza attraverso aree di conoscenza tradizionalmente isolate. Collegamenti rapidi che possono favorire la generazione o la creazione di nuove idee, suggestioni, pensieri. La condizione sociale e il genere sono fattori che hanno un ruolo per influenzare questi comportamenti di ricerca. In definitiva, tutti e tre i modi di “stare sul web” sono abbastanza Forward-like: servono per andare avanti, verso l’obiettivo di una conoscenza meno imperfetta.
Luca De Fiore
1. Vallejo I. Papyrus. L’in nito in un giunco. Milano: Bompiani, 2021.
2. Zinsstag J, Schelling E, Waltner-Toews D, Tanner M. From ‘one medicine’ to ‘one health’ and systemic approaches to health and wellbeing. Prev Vet Med 2011;101:148–56.
3. Karesh WB, Cook RA. One world – one health. Clin Med 2009;9:259–60.
4. Brown HL, Pursley IG, Horton DL et al. One health: a structured review and commentary on trends and themes. One Health Outlook 2024;6:17.
5. Zhou D, Patankar S, Lydon-Staley DM, et al. Architectural styles of curiosity in global Wikipedia mobile app readership. Sci Adv 2024;10, eadn3268.
Il concetto di One health rappresenta un approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi. Questo approccio evidenzia l’interconnessione profonda tra salute umana, animale e ambientale, promuovendo la collaborazione interdisciplinare per affrontare le sfide sanitarie più complesse1. Le radici storiche di One health risalgono a figure come Ippocrate e Rudolf Virchow, che già riconoscevano l’importanza del legame tra la salute umana e quella animale. Nel corso dei secoli, questa consapevolezza si è evoluta fino a diventare un vero e proprio quadro operativo, utilizzato oggi per affrontare sfide globali come le malattie zoonotiche, la resistenza antimicrobica e la sicurezza alimentare.
La pandemia di covid-19 rappresenta un esempio lampante di come fattori sanitari, sociali e ambientali siano profondamente interconnessi. La diffusione del virus è stata amplificata da una serie di circostanze che comprendono trasporti globali, comportamenti umani, pratiche alimentari e interazioni tra specie. Questi elementi, spesso trascurati nel contesto delle malattie trasmissibili, hanno evidenziato la necessità di un approccio integrato come quello di One health per prevenire future crisi sanitarie globali 2
Solo attraverso un impegno deciso da parte di governi, ricercatori e professionisti del settore sanitario potremo trasformare l’intelligenza arti ciale in una “unica intelligenza” al servizio della salute globale.
L’intelligenza artificiale gioca un ruolo cruciale nell’implementazione pratica di One health, superando molte delle attuali limitazioni e permettendo di analizzare dati provenienti da settori diversi per scoprire relazioni ancora inesplorate. I “foundational models” rappresentano una categoria di modelli di intelligenza artificiale che, addestrati su enormi volumi di dati non annotati, pos -
sono essere adattati a diversi compiti. Un esempio sono i grandi modelli di linguaggio, come ChatGpt, che integrano dati provenienti da banche diverse, offrendo nuove strategie di sviluppo3. Questi modelli fondazionali, grazie alla loro capacità di generalizzazione, vengono utilizzati in settori come visione artificiale, robotica, ragionamento e interazione umana, collegando discipline tradizionalmente separate. Ad esempio, l’intelligenza artificiale viene già impiegata per diagnosticare malattie, prevedere rischi di morbilità e mortalità, supportare la pianificazione sanitaria tramite analisi predittiva e prevenire la diffusione di malattie zoonotiche come la dengue, che sta raggiungendo aree precedentemente non colpite a causa dell’aumento delle temperature globali4,5
Un’altra area in cui l’intelligenza artificiale mostra grande potenziale è la lotta contro la resistenza antimicrobica, una delle maggiori minacce globali alla salute6. Molti fattori, come l’uso eccessivo di antibiotici nell’agricoltura e la diffusione di batteri resistenti nell’ambiente, contribuiscono a questo fenomeno. L’intelligenza artificiale si è rivelata uno strumento efficace nel monitorare e gestire la resistenza antimicrobica nei suoli agricoli, identificando fonti di contaminazione e suggerendo strategie per mitigarne gli effetti, contribuendo così a contrastare l’aumento di ceppi batterici antibiotico resistenti7
Un concetto emergente che promette di migliorare ulteriormente l’approccio One health è quello dei digital twin (gemelli digitali)8. Questi modelli virtuali replicano sistemi fisici e possono essere utilizzati per simulare interventi su scala globale, monitorando ecosistemi complessi e prevedendo l’insorgenza di problemi sanitari. Sebbene l’implementazione di questi modelli presenti ancora sfide, il loro potenziale è immenso. Per esempio, un gemello digitale di un ecosistema potrebbe integrare dati provenienti da fonti ambientali, umane e animali per testare scenari e strategie di intervento prima di applicarli nel mondo reale.
Guardando al futuro, l’approccio One health potrebbe assumere un ruolo centrale in contesti estremi come lo spazio. La gestione della salute umana in ambienti extraterrestri, come la Stazione spaziale internazionale, presenta sfide uniche, ma rappresenta anche un’opportunità per applicare i principi di salute integrata in nuovi scenari. L’intelligenza artificiale e la raccolta di dati in questi
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contesti altamente controllati potrebbero generare soluzioni innovative per sfide sanitarie sia nello spazio sia sulla Terra, migliorando l’efficienza e l’integrazione dei sistemi di intelligenza artificiale.
In conclusione, l’intelligenza artificiale rappresenta una risorsa inestimabile per l’approccio One health, con il potenziale di rivoluzionare il modo in cui affrontiamo le sfide sanitarie globali. Tuttavia, per sfruttare appieno queste tecnologie è necessaria una maggiore collaborazione interdisciplinare e investimenti significativi in infrastrutture tecnologiche, accessibilità dei dati e formazione di nuove competenze. Solo attraverso un impegno deciso da parte di governi, ricercatori e professionisti del settore sanitario potremo trasformare l’intelligenza artificiale in una “unica intelligenza” al servizio della salute globale, prevenendo crisi future e garantendo un futuro sostenibile per tutte le specie e gli ecosistemi F
1. Xie T, Liu W, Anderson B, et al. A system dynamics approach to understanding the One health concept. PLoS ONE 2017;12:e0184430.
2. Streichert L, Sepe L, Jokelainen P, et al. Participation in One health networks and involvement in the covid-19 pandemic response: a global study. Front Public Health 2022;10:830893.
3. Meskó B. The impact of multimodal large language models on health care’s future. J Med Internet Res 2023;25:e52865.
4. Pillai N, Ramkumar M, Nanduri B. Arti cial intelligence models for zoonotic pathogens: a survey. Microorganisms 2022;10:1911.
One health cosmos. Il modello grafico proposto nell’articolo “A system dynamics approach to understanding the One health concept”, pubblicato su Plos One1, rappresenta in modo olistico le interconnessioni tra i vari fattori che influenzano la salute globale. Utilizzando nodi (quadrati e cerchi) e legami causali (frecce), il modello distingue tra legami positivi (marroni, con un segno +) e legami negativi (blu, con un segno –). I cicli di rinforzo, che possono essere positivi (contrassegnati con una R e una freccia in senso orario) o negativi (contrassegnati con una B e una freccia in senso antiorario), mostrano come i cambiamenti in un fattore possano amplificare, limitare o stabilizzare gli effetti sugli altri. Ad esempio, un
5. Yang H, Nguyen TN, Chuang TW. An integrative explainable arti cial intelligence approach to analyze ne-scale land-cover and land-use factors associated with spatial distributions of place of residence of reported dengue cases. Trop Med Infect Dis 2023;8:238.
6. Singh K, Anand S, Dholpuria S, et al. Antimicrobial resistance dynamics and the one-health strategy: a review. Environ Chem Lett 2021;19:2995–3007.
miglioramento della salute umana può influenzare positivamente la salute animale e ambientale, creando un ciclo virtuoso. Il modello “One health cosmos” enfatizza anche il ruolo dei fattori sociali, economici e politici, mostrando come tali influenze siano profondamente interconnesse con le dinamiche biologiche e ambientali. Per esempio, una politica sanitaria che promuove la protezione della biodiversità può migliorare la salute degli ecosistemi e anche prevenire la diffusione di malattie zoonotiche. Questo approccio dinamico è fondamentale per affrontare sfide sanitarie globali, come pandemie, cambiamento climatico e sicurezza alimentare, evidenziando la necessità di cooperazione tra diverse discipline. •
7. Tran M, Nguyen N, Pham H. A new hope in the ght against antimicrobial resistance with arti cial intelligence. Infect Drug Resist 2022;15:2685-8.
8. Kamel Boulos MN, Zhang P. Digital twins: from personalised medicine to precision public health.
J Pers Med 2021 Jul 29;11:745.
L’intelligenza arti ciale sta trasformando molti settori, inclusa la sanità, promettendo cambiamenti signi cativi nelle pratiche sanitarie e nella gestione della salute pubblica. Se utilizzata in modo etico e responsabile, può o rire soluzioni innovative alle s de moderne e urgenti per il benessere e la salute del pianeta in un’ottica One health.
Le applicazioni promesse
La capacità di analizzare con sistemi di intelligenza artificiale dati non strutturati ed eterogenei – come lettere di dimissione, cartelle cliniche elettroniche, sistemi di sorveglianza sanitaria e monitoraggi ambientali – rappresenta un’opportunità unica per migliorare l’efficacia della strategia One health in diversi ambiti della salute pubblica. Per esempio, l’intelligenza artificiale applicata nella sorveglianza epidemiologica integrata delle malattie zoonotiche, emergenti e riemergenti, consente di velocizzare la rilevazione di infezioni e la previsione di focolai epidemici, e l’identificazione di rischi permettendo interventi tempestivi. In parallelo, l’uso di algoritmi avanzati consente una gestione più efficiente delle risorse e riduce le incertezze nel trattamento e nella prevenzione delle malattie infettive che coinvolgono la salute umana, animale e ambientale; i sistemi di supporto decisionale basati sull’intelligenza artificiale possono assistere i professionisti sanitari nel prendere decisioni cliniche basate su evidenze solide, migliorando così gli esiti terapeutici e allineandosi ai principi della strategia One health.
Inoltre, il machine learning si è affermato come una delle tecnologie più promettenti per la sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria e per l’antimicrobico resistenza, entrambe aree di grande rilevanza nel contesto della One health. La possibilità di analizzare rapidamente grandi dataset ecologici, epidemiologici e ospedalieri risulta particolarmente utile poiché molte tecniche di prevenzione e controllo delle infezioni negli ospedali si basano ancora su metodi manuali che richiedono un intenso lavoro di raccolta e analisi di grandi volumi di dati provenienti da cartelle cliniche (non sempre elettroniche), laboratori di microbiologia e virologia e altri dati clinici, per monitorare i tassi di infezione all’interno dell’ospedale. Il processo manuale è spesso lungo e impegnativo, con il rischio che l’identificazione di focolai o cluster di infezioni venga ritardata, compromettendo la rapidità degli interventi.
possono migliorare l’efficacia degli interventi, identificando le aree a rischio e consentendo risposte proattive da parte delle autorità sanitarie.
In generale, nonostante l’efficacia di questi algoritmi, la supervisione umana rimane essenziale: un approccio “human-in-the-loop” garantisce che i risultati ottenuti siano interpretati e convalidati da professionisti sanitari, per supportare decisioni informate. L’integrazione del machine learning con l’esperienza umana rende i sistemi di sorveglianza delle infezioni più efficienti ed efficaci nella gestione dei focolai e nel miglioramento della sicurezza dei pazienti. Inoltre, per sfruttare appieno le potenzialità di queste tecnologie, è essenziale che i professionisti sanitari, inclusi medici, infermieri, veterinari, esperti ambientali e altri specialisti, ricevano una formazione adeguata, con particolare attenzione agli aspetti tecnici, etici e legali, inclusa la gestione dei dati personali e la consapevolezza dei potenziali bias algoritmici.
L’intelligenza arti ciale rappresenta uno strumento potente e innovativo, ma richiede un’adeguata supervisione umana e un solido quadro etico che bilanci i bene ci con la protezione dei diritti e delle libertà individuali
Un’altra potenziale applicazione dell’intelligenza artificiale è l’analisi dei fattori ambientali e climatici per prevedere l’insorgenza di malattie trasmesse da vettori. In questo contesto, gli algoritmi
Nonostante le promesse, l’adozione dell’intelligenza artificiale presenta sfide che devono essere considerate con attenzione, come la sicurezza dei dati e la privacy dei pazienti che sono fondamentali e devono essere considerate rigorosamente, ad esempio, attraverso l’applicazione delle normative come il Regolamento generale sulla protezione dei dati. Tecniche come il federated learning e la privacy differenziale offrono soluzioni promettenti, consentendo l’analisi dei dati senza compromettere le informazioni personali. Le considerazioni etiche, come la prevenzione dei bias algoritmici e la garanzia di un’assistenza sanitaria equa, sottolineano l’importanza della trasparenza e dell’uso di modelli di intelligenza artificiale spiegabili. Inoltre, molti professionisti sanitari potrebbero non avere le competenze digitali necessarie. Questo divario digitale può generare resistenze all’adozione delle nuove tecnologie, dovute a una mancanza di familiarità, alla paura della sostituzione del lavoro o alla percezione di una complessità eccessiva. Superare queste sfide richiede iniziative di formazione mirata e sviluppo delle competenze, affinché i professionisti sanitari possano utilizzare e trarre pieno vantaggio da questi strumenti. In sintesi, l’intelligenza artificiale rappresenta un potente strumento innovativo, ma richiede un’adeguata supervisione umana per garantire un’applicazione equa e responsabile delle tecnologie. Ciò richiede non solo competenze e tecniche avanzate, ma anche un solido quadro etico che bilanci i benefici con la tutela dei diritti e delle libertà individuali. Gli sviluppi futuri dovranno tenere conto del consenso informato, della sicurezza dei dati e della formazione degli operatori sanitari, per rafforzare la fiducia della popolazione e garantire che tali tecnologie siano impiegate per la salute e il benessere di tutti. F
Dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in medicina e chirurgia Università di Pisa
2. Chen M, Decary M. Health Manage Forum 2020;33:10-8.
3. Arzilli G, et al. Antibiotics (Basel) 2024;13;13:77.
4. De Angelis L, et al. Front Public Health 2023;11:1166120.
One health è un approccio integrato e unificante che mira a bilanciare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Riconosce che la salute degli esseri umani, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (compresi gli ecosistemi) sono strettamente collegati e interdipendenti.