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ANNO 3, N.2 – 2015
In questo numero 3
Editor di questo numero Claudio Favre vanta una proficua attività professionale da sempre svolta nel campo della Oncoematologia pediatrica, comprendendo l’esperienza a capo del Laboratorio di manipolazione cellulare e quella nell’ambito del Trapianto di cellule staminali emopoietiche. 25 anni di impegno vissuto sul fronte della diagnostica e terapia delle leucemie acute e dei linfomi, del trattamento multidisciplinare dei sarcomi ossei (collaborazione con il Prof. Capanna CTO di Careggi) e delle diverse patologie ematologiche. Il Dott. Favre è coordinatore del Centro Regionale di Oncoematologia Pediatrica (CROP), ha realizzato la Banca regionale di conservazione di valvole cardiache e segmenti vascolari. Componente della maggiori società scientifiche internazionali ed europee, è autore di importanti pubblicazioni internazionali.
EDITORIALE
Ci prendiamo cura del bambino e della sua famiglia Alberto Zanobini
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COME FARLO MEYER
Stato dell’arte del trapianto allogenico oggi Veronica Tintori, Stefano Frenos, Eleonora Gambineri, Chiara Sanvito, Elena Sieni, Francesca Brugnolo, Mariacristina Menconi, Franco Bambi, Claudio Favre
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I sarcomi ossei: alta specializzazione e innovazione multidisciplinare Angela Tamburini, Giovanni Beltrami, Guido Scoccianti, Francesco Muratori, Stefania Cardellicchio, Cecilia Cecchi, Rodolfo Capanna, Claudio Favre
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GOVERNARE LA SALUTE
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Un modello per la cura dei tumori infantili Claudio Favre, Roberta Rezoalli
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ALL’AVANGUARDIA
Ruolo del sistema immunitario intestinale nel controllo dell’immuno-disregolazione Eleonora Gambineri, Sara Ciullini Mannurita, Marina Vignoli, Claudio Favre
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NOTIZIE DALLA RICERCA
— Al Meyer il test unico al mondo per la diagnosi precoce delle immunodeficienze primitive (IDP) — Premiato il progetto di ricerca sui progenitori renali del team di Nefrologia — Il Meyer a Expo con il nuovo sito dedicato alle famiglie e alla ricerca
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LA RICERCA SI FA DA GIOVANI
In prima linea contro le istiocitosi: il Meyer, centro di riferimento nazionale Elena Sieni
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IL TAMBURINO DIARIO DI UN MEDICO IN ONCOEMATOLOGIA
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Annalisa Tondo
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SGUARDO SUL MONDO
Il nuovo sito del Centro di Salute Globale a cura di Centro Salute Globale
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MUSICA E MEDICINA
Uno studente di medicina “sui generis” Lorenzo Genitori
Molto Meyer Il giornale di informazione scientifica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze Viale Pieraccini 24 50139 Firenze Centralino T 055 56 621 – F 055 56 624 00 Roberta Rezoalli Ufficio Stampa e Giornalismo Cel. 335 68 60 677 T 055 566 2302 www.meyer.it Anno 3 N. 2 - aprile-giugno 2015 Registrazione del Tribunale di Roma n. 181 del 12.04.2006 Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma T 06 862 82 335 – F 06 862 82 250 pensiero@pensiero.it www.pensiero.it Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Foto: le foto raffigurano luoghi, pazienti e utenti dell’Ospedale Meyer. Si ringraziano Giulia Righi e i fotografi Pino Bertelli e Dario Orlandi. Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma – settembre 2015 Tutti i contenuti della rivista sono coperti da copyright Ospedale Meyer. Abbonamenti 2015 Individuale Istituti, enti, biblioteche Estero Volume singolo
Nel sito www.meyer.it trovate l’edizione sfogliabile di Molto Meyer e i temi affrontati in questo numero. Oppure inquadrate il Quick Response code con il vostro smartphone e collegatevi direttamente a Meyer-online.
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E D I TO R I A L E
Ci prendiamo cura del bambino e della sua famiglia
A
nche se con una diffusione molto minore rispetto all’età adulta, le malattie tumorali rappresentano pur sempre una delle più frequenti cause di morte
dei bambini, dopo gli incidenti. Sono circa 1.400 i nuovi casi che ogni anno vengono registrati in Italia. Le forme principali di malattia neoplastica sono le leucemie, i tumori al sistema nervoso centrale e i linfomi. Patologie per le quali – proprio grazie ai più avanzati protocolli terapeutici – è aumentata la probabilità di guarigione. Basti pensare che
a fronte del 70% dei bambini malati che guariscono, il risultato degli adulti si ferma al 30%. Se da un lato i dati sono incoraggianti, dall’altro lato la malattia tumorale ha ancora un impatto enorme sulla vita del bambino che ne è affetto, sulla sua famiglia e sulle relazioni sociali che ruotano attorno a lui. Il suo ingresso in ospedale rappresenta una fase davvero critica. La malattia, le visite, il
per ogni ordine e grado ai bambini e agli adolescenti con
ricovero, le cure stravolgono completamente la vita del
tumore, oltre a momenti e spazi da riservare al gioco, alla
piccolo paziente e dei suoi genitori. È allora che l’ospedale
dimensione creativa e di relazione. Al Meyer lo sappiamo:
diviene il nuovo punto di riferimento del nucleo
per questo da anni accanto a un team multidisciplinare di
familiare la cui presa in carico sarà totale. Da qui la
elevato livello che si occupa di diagnosi, terapia e ricerca,
necessità di un approccio multidisciplinare, come appunto
abbiamo varato progetti speciali pensati per il bambino e
avviene presso il Centro di Oncologia pediatrica del Meyer,
per l’adolescente oncologici, capaci di offrire stimoli per
dove alle risorse della chirurgia, della chemioterapia, della
stare un po’ meglio con se stessi e con gli altri. Parliamo dei
radioterapia, vengono abbinati supporti fondamentali come
laboratori della ludoteca in oncologia, della musica e degli
quello delle dietiste che propongono un’alimentazione
strumenti a disposizione dei piccoli pazienti, del teatro che
mirata, delle farmaciste che mettono a punto una terapia
supera i confini per approdare in reparto e di quella
sempre più personalizzata in base alle indicazioni degli
capacità di accoglienza dei dottori, degli infermieri e di
oncologi, dei fisioterapisti per una corretta riabilitazione
tutto il personale che opera in ospedale. Questo (e molto
e il fondamentale intervento della psicologia ospedaliera a
altro) è la dimensione dell’Oncologia pediatrica, di cui
sostegno del bambino e della famiglia, indispensabile non
riportiamo alcune esperienze importanti nelle pagine
solo per affrontare la malattia e la sua cura ma soprattutto
centrali di Molto Meyer.
per prepararsi al rientro nella vita quotidiana. Non solo. È ormai irrinunciabile poter assicurare la continuità scolastica
Alberto Zanobini Direttore Generale, AOU Meyer, Firenze
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Stato dell’arte del trapianto allogenico oggi INTRODUZIONE
Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (CSE), ottenute da midollo osseo, sangue periferico o cordone ombelicale, ha contribuito enormemente negli ultimi anni a migliorare la prognosi di malattie emolinfoproliferative1, in particolare leucemie e linfomi ad alto rischio o ricaduti e ha permesso di curare in modo definitivo patologie non neoplastiche come le aplasie midollari, le immunodeficienze primitive, gli errori congeniti del metabolismo o le emoglobinopatie severe (figura 1). Nel primo caso l’effetto terapeutico del trapianto è principalmente attribuibile all’azione delle cellule linfocitarie del donatore che contribuiscono in maniera determinante all’eradicazione delle cellule tumorali del ricevente sopravvissute alla chemio/radioterapia effettuata in preparazione al trapianto (regime di condizionamento), il cosiddetto Graft versus Leukemia (GVL) . Nel secondo caso l’effetto terapeutico è essenzialmente dovuto alla sostituzione delle cellule staminali “malate”del ricevente con quelle “sane”del donatore. CENNI STORICI
Sono passati quasi 60 anni da quando nel 1957 a Seattle Donnall Thomas, Premio Nobel per la Medicina nel 1990, eseguì il primo pionieristico trapianto di midollo osseo da gemello identico in un paziente affetto da leucemia. Ci vollero però quasi 10 anni perché il francese Georges Mathè nel 1965 ottenesse il primo attecchimento duraturo in un trapianto da 4
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fratello, in quanto fino ad allora i pochi trapianti effettuati avevano dato risultati scoraggianti a causa del rigetto o del fenomeno opposto, la cosiddetta “Reazione del Trapianto” contro l’ospite, comunemente nota come Graft versus Host Disease, entrambe mediate da cellule immunocompetenti rispettivamente del ricevente o del donatore. Solo negli anni ‘70 l’identificazione del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), cioè quel complesso di geni che regola la compatibilità tessutale e che nell’uomo viene siglato come HLA, Human Leukocyte Antigen, ha permesso di selezionare più accuratamente i donatori, sia all’interno del nucleo familiare, sia al di fuori di esso e precisamente nell’ambito di Registri di Donatori Volontari di midollo osseo (BMDW, Bone Marrow Donor Worldwide), nati giustappunto in quegli anni allo scopo di allargare il pool dei potenziali donatori per quei pazienti che, privi di donatore Veronica Tintori, Stefano Frenos, Eleonora Gambineri, Chiara Sanvito, Elena Sieni, Francesca Brugnolo, Mariacristina Menconi, Franco Bambi, Claudio Favre Dipartimento di Oncoematologia, AOU Meyer, Firenze veronica.tintori@meyer.it
Il Dipartimento di Oncoematologia del Meyer comprende due strutture complesse, rispettivamente la SODC tumori pediatrici
e trapianto cellule staminali e quella di immunoematologia, medicina trasfusionale e laboratorio terapie cellulari.
© Thinkstock
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LEUCEMIE L. Mieloide acuta L. Linfoblastica acuta L. Mieloide cronica Sindromi emodisplastiche
familiare, non avrebbero potuto accedere alla procedura trapiantologica. Risale a quest’epoca il primo trapianto allogenico da donatore non consanguineo in un paziente con immunodeficienza eseguito nel 1968 da Robert Good in Minnesota. Ad oggi i Registri collegati in rete annoverano ben oltre 20.000.000 di donatori, a cui si aggiungono le oltre 600.000 unità di sangue cordonale, quale fonte alternativa di CSE, opportunamente tipizzate e criopreservate in apposite Banche, nate in seguito ai confortanti risultati ottenuti nel 1988 dalla francese Eliane Gluckman che eseguì, in un paziente affetto da Anemia di Fanconi, il primo trapianto di CSE provenienti dal sangue cordonale della sorellina compatibile. Gli anni successivi sono anni d’oro per la comunità scientifica trapiantologica, che nell’ottica di garantire l’accesso al trapianto a tutti i pazienti che ne hanno l’indicazione, compreso quel 30% di pazienti che non riesce a reperire un donatore compatibile nella fratria o nel Registro dei Donatori/Banche di Sangue Cordonale, si adopera per mettere a punto tecniche di manipolazione cellulare per superare le barriere dell’istocompatibilità. Inizia l’era del trapianto da donatore familiare semicompatibile, meglio noto come aploidentico, in cui il donatore condivide con il ricevente solo metà del corredo dei geni che regolano l’istocompatibilità. È un’intuizione anche italiana (prime esperienze del gruppo di Perugia), quella per cui, utilizzando da un lato un regime fortemente immunosoppressivo/mieloablativo e infondendo dall’altro un grosso quantitativo di cellule staminali prelevate da sangue periferico e selezionate ex-vivo attraverso Tdeplezione spinta, si possono contrastare da un lato la GvHD severa e dall’altro, proprio grazie alla “megadose” di CSE, il rigetto, conseguenza inevitabile della T-deplezione spinta cui l’inoculo deve essere sottoposto. Ma c’è di più. I pazienti sottoposti a questa opzione trapiantologica, nella quasi totalità dei casi pazienti “persi”, affetti cioè da leucemie plurirecidivate o chemio resistenti,13 riescono sorprendentemente ad ottenere una discreta percentuale di remissioni di malattia. Fatto questo che, di lì a poco, porta ad un’altra importante deduzione, cioè che l’effetto Graft versus Leukemia esercitato dal trapianto non sia imputabile solo alle cellule T, in questo caso rimosse dall’inoculo, ma attribuibile ad un’altra popolazione cellulare, capace a sua volta di lisare le cellule leucemiche sopravvissute al condizionamento, le Natural Killer. Negli anni successivi, grazie al perfezionamento delle tecniche di T-deplezione, i progressi in campo trapiantologico diventano a dir poco entusiasmanti e il numero di trapianti aploidentici inizia a crescere in modo esponenziale. I maggiori progressi si registrano quando rispettivamente il gruppo di Baltimora e il gruppo dei tedeschi di Tubingen riescono a mettere a punto due tecniche di T deplezione in vivo ed exvivo, che non solo consentono di ridurre i rischi di rigetto e
TUMORI SOLIDI Neuroblastoma Tumori cerebrali Sarcoma di Ewing Tumori rari
DISTURBI LINFOPROLIFERATIVI Linfoma di Hodgkin Linfoma non-Hodgkin
VARIE Sindromi da insufficienza midollare (A. aplastica, A. di Fanconi) Emoglobinopatie (es. Thalassemie, drepanocitosi) Immunodeficienze congenite Malattie autoimmuni
Figura 1. Trapianto di cellule staminali emopoietiche: le indicazioni.
GvHD, ma anche il rischio d’infezione grazie alla più rapida ricostituzione immunologica, fino ad allora grosso limite del trapianto aploidentico. Nel primo caso si utilizza come fonte di CSE il midollo osseo non manipolato (trapianto T-repleto) e la T deplezione in vivo altro non è che una profilassi della GvHD con ciclofosfamide ad alte dosi somministrata in un preciso periodo finestra dal trapianto, che consente di eliminare i linfociti T alloreattivi, risparmiando le cellule staminali e i linfociti T quiescenti (figura 2). Nel secondo caso si utilizza come fonte di CSE il sangue periferico del donatore (di solito la madre o il padre) stimolato con fattore di crescita (G-CSF) e T-depletato ex-vivo (trapianto T-depleto) con una tecnica molto sofisticata, frutto della tecnologia Miltenyi che consente l’eliminazione dei linfociti T α/β, fortemente alloreattivi (responsabili della GVHD), nonché dei linfociti B, dalla popolazione cellulare ottenuta, mantenendo nell’inoculo altre popolazioni cellulari (linfociti T γ/δ, cellule NK, ecc.) di importanza cruciale per avere un elevato indice di attecchimento, un effetto GvL, laddove richiesto, e soprattutto una rapida ed efficace ricostituzione del sistema immunitario (figura 3). Da qui in avanti il trapianto aploidentico, il cui outcome è divenuto sostanzialmente sovrapponibile a quello di altre strategie trapiantologiche, ha una progressione inarrestabile. L’ESPERIENZA DEL MEYER
Nel nostro Centro, accreditato da diversi anni all’eccellenza, in virtù del percorso JACIE, si eseguono attualmente tutte le opzioni trapiantologiche descritte. Dal 1996 ad oggi sono stati effettuati numerosi trapianti autologi, in tumori solidi ad alto rischio, e molti trapianti allogenici, in patologie maligne e non, sostanzialmente equidistribuiti tra donatore familiare compatibile (“sibling”), semicompatibile (aploidentici), non consanguineo (MUD, MAtched Unrelated Donor). La nostra mission è quella di garantire il trapianto di CSE, moltoMEYER | 2 – 2015
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Razionale In questi protocolli, i linfociti del donatore sono esposti agli antigeni del ricevente. Viene indotta la proliferazione di linfociti antigene-specifici.
T-cell activation
T-cell proliferation
CD30/CD06
che rappresenta il gold standard per molte emopatie maligne e patologie congenite non neoplastiche, a tutti i pazienti che ne necessitano, personalizzando laddove possibile, la strategia trapiantologica sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente, in termini di tipologia di donatore, fonte di CSE, regime di condizionamento, immunosoppressione dell’ospite, profilassi della GVHD. Tutto ciò vale sia per le malattie neoplastiche, in particolare per le ricadute leucemiche, sia per le malattie non neoplastiche, quali le immunodeficienze primitive e le emoglobinopatie severe, delle quali abbiamo un consistente bacino di utenza. Sebbene in assenza di familiare HLAidentico, il nostro algoritmo preveda sempre la ricerca di un donatore non correlato nel Registro Internazionale, in patologie non neoplastiche in cui si debba scongiurare il rischio di GvHD e non sia disponibile un donatore 10/10 matched o anche nei casi urgenti, in cui non si riesca a reperire il donatore in tempi adeguati, come spesso accade nelle leucemie recidive o chemioresistenti, il nostro orientamento è quello di ricorrere al trapianto aploidentico, procedura che il nostro Centro ha iniziato ad effettuare dal 2002 utilizzando la selezione positiva delle CD34+. Attualmente il trapianto aploidentico, fino a non molti anni fa considerato “l’ultima spiaggia”, dà risultati equiparabili a quelli ottenuti con altre tipologie di trapianto e ha potenzialità facilmente intuibili: donatore sempre disponibile, motivato, in particolare nei pazienti pediatrici dove coincide quasi sempre con un genitore, reperibile in tempi brevi e pertanto estremamente prezioso in condizioni di urgenza clinica del trapianto, selezionabile in base all’età, al sesso, alla sierologia e all’alloreattività delle cellule NK, riutilizzabile in caso di rigetto o utilizzabile anche per terapie cellulari post-trapianto. 6
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Peptide-MHC
CD28 TCR
Alloreactive T-cells
Receptor
Cy day +3
Activated effector T cell
T cell CD40 Dendritic cell
CD40L
IL-2
Non-alloreactive T-cells
Ipotesi L’esposizione opportuna post trapianto alla Cy, i linfociti proliferanti verrebbero uccisi, mentre gli altri sarebbero risparmiati.
Figura 2. Alte dosi di ciclofosmaide post-trapianto.
Strategy for depletion of αβ+ T-cells Chaleff S et al.: A large-scale method for the selective depletion of αβ T-lymphocytes from PBSC for allogeneic transplantation, Cytotherapy, 2007 1. biotin-anti-αβ mAb 2. microbeads with anti-biotin mAb
waste (αβ T-cells)
magnet
magnet
graft γδ T-cells CD34+ and CD34progenitors NK cells dendritic cells
Figura 3. Sistema di separazione immunomagnetica CliniMACS (Milteny Biotec).
La politica del nostro Centro è quella di riservare, in assenza di donatore familiare compatibile, il trapianto aploidentico con deplezione dei linfociti T α/β o il trapianto MUD per i pazienti affetti da patologia neoplastica o da immunodeficienze congenite, ricorrendo invece, sull’esperienza del gruppo del John Hopkins di Baltimora, al trapianto aploidentico con ciclofosfamide post-infusione (Cy/PT)17
per alcune selezionate emoglobinopatie severe. A questo proposito ci preme sottolineare che uno dei campi di maggiore interesse del nostro Centro è proprio il trapianto allogenico nei pazienti con emoglobinopatie severe, in primis talassemie e drepanocitosi, patologie notoriamente ad elevato rischio di rigetto. Negli ultimi anni abbiamo infatti avviato al trapianto
allogenico tutti i pazienti che disponevano di un donatore HLA identico nella fratria, utilizzando come fonte di CSE il midollo osseo o midollo osseo in associazione a sangue cordonale, e quelli che disponevano di un donatore MUD 10/10 nel Registro. I risultati sono stati estremamente confortanti con il 100% di attecchimenti, assenza di mortalità correlata al trapianto (TRM), nonché assenza di GvHD di grado severo. Convinti che l’emoglobinopatie severe, pur non essendo malattie rapidamente fatali, siano patologie che impattano pesantemente sulla qualità di vita dei pazienti, in casi selezionati, in cui era indisponibile un donatore compatibile, abbiamo utilizzato con successo la piattaforma di trapianto aploidentico T-
repleto utilizzando regimi di condizionamento a ridotta tossicità a base di treosulfano18 e profilassi con CY/PT, pur consapevoli dell’elevato rischio di rigetto, ma forti del poter dare una chance a questi pazienti, a fronte non solo di un bassissimo rischio di mortalità, ma anche di GvHD, che, in pazienti pediatrici con una lunga aspettativa di vita, può rivelarsi addirittura più invalidante della malattia di base (tabella). CONCLUSIONI
Il miglioramento delle tecniche di selezione del donatore, dei criteri di eleggibilità dei pazienti, della terapia supporto, della profilassi della GVHD e delle infezioni, la maggiore varietà e
Tabella. Punti di forza del trapianto al Meyer.
• Trapianto non compatibile (aploidentico) • Trapianto per ricadute leucemiche • Trapianto per immunodeficienze • Trapianto per emoglobinopatie
disponibilità dei donatori e di fonti di CSE, l’ottimizzazione dei tempi che portano ad eseguire un trapianto di CSE consentono di guarire oltre il 70% dei pazienti oncoematologici e oltre l’80% dei pazienti affetti da patologie non neoplastiche in età pediatrica. •
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
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I sarcomi ossei: alta specializzazione e innovazione multidisciplinare INTRODUZIONE
I tumori ossei sono considerati una patologia rara e costituiscono complessivamente lo 0,2-0,5% di tutte le neoplasie maligne. Essi hanno un’incidenza di 8-10 casi per milione di abitanti all’anno e colpiscono più frequentemente il bambino e il giovane adulto. Al nostro Centro Regionale di Oncoematologia Pediatrica (CROP) afferisce circa un terzo dei casi italiani, e gli istotipi comprendono gli osteosarcomi (con le relative varietà), i condrosarcomi (con le relative varietà), i tumori a piccole cellule (sarcoma di Ewing, di Askin, tumore neuroectodermico primitivo), l’istiocitoma fibroso maligno, i tumori vascolari, il fibrosarcoma, il cordoma e altre forme quali: l’adamantinoma, il leiomiosarcoma dell’osso, lo schwannoma. Tra questi, l’osteosarcoma costituisce l’istotipo più frequente (20-25%), seguito dal Sarcoma di Ewing, sia osseo che extra-osseo (7-8%). La rarità di queste neoplasie e la complessità della terapia rendono indispensabile il trattamento presso centri altamente specializzati, con competenze multispecialistiche. Queste competenze includono specialisti oncologi pediatrici, chirurghi ortopedici, esperti in oncologia ossea, chirurghi generali e toracici, chirurghi plastici, chirurghi vascolari, anatomopatologi esperti in sarcomi, radioterapisti, esperti in riabilitazione, psicologi, oltre a personale infermieristico dedicato ed altri specialisti in grado di garantire trattamento e riabilitazione ottimali, al fine di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti. 8
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AL MEYER
Presso il nostro Centro sono presenti tutte le competenze, grazie anche alla consolidata collaborazione con l’unità di Chirurgia Ortopedica Oncologica e Ricostruttiva diretta dal prof. Rodolfo Capanna (chirurgo ortopedico di fama internazionale per la patologia oncologica), che si avvale di altri esperti presenti nell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi (Firenze), attuando così una fattiva rete multidisciplinare di esperti. La chemioterapia, in associazione con la chirurgia, ha significativamente modificato la prognosi del sarcoma d’osso, raggiungendo attualmente elevate percentuali di guarigione nelle forme prive di evidenti metastasi all’esordio. Il trattamento locale (chirurgico e/o radioterapico) è generalmente preceduto da una chemioterapia. La finalità di tale approccio è quella di determinare una riduzione della massa tumorale, in modo da facilitare l’intervento chirurgico, così da ottenere una
Angela Tamburini, Giovanni Beltrami, Guido Scoccianti, Francesco Muratori, Stefania Cardellicchio, Cecilia Cecchi, Rodolfo Capanna, Claudio Favre Dipartimento di Oncoematologia, SODc Tumori Pediatrici e Trapianto di Cellule Staminali, AOU Meyer, Firenze angela.tamburini@meyer.it
Il Dipartimento di Oncoematologia del Meyer comprende due strutture complesse, rispettivamente la SODC tumori pediatrici
e trapianto cellule staminali e quella di immunoematologia, medicina trasfusionale e laboratorio terapie cellulari.
• Osteosarcoma localizzato delle estremità (PROTOCOLLO: ISG/OS-2) • Osteosarcoma metastatico all’esordio • Osteosarcoma alla ricaduta • Sarcoma di Ewing localizzato (PROTOCOLLO: ISG/AIEOP EW-1) • Sarcoma di Ewing metastatico all’esordio (PROTOCOLLO: ISG/AIEOP EW-2) • Ricaduta di malattia (PROTOCOLLO: ISG/AIEOP Ewing Rec) • Trapianto di cellule staminali per i casi ad alto rischio o poco responsivi alla chemio-neoadiuvante • Nuove molecole farmacologiche in sperimentazione clinica in fase II e in fase III Tabella I. Trial clinici attivi.
asportazione completa della neoplasia e, al tempo stesso, evitare mutilazioni. In questo ambito, nel nostro Centro è possibile valutare la sensibilità della neoplasia ai chemioterapici utilizzati mediante l’esame istologico effettuato sul pezzo di resezione (stima della percentuale di necrosi raggiunta con la prima chemioterapia neoadiuvante), così da poter personalizzare la terapia successiva (tabella I).
fondamentale importanza per i pazienti di piccola età). Vastissima è l’esperienza negli interventi di resezione oncologica su arti e bacino-sacro e nella ricostruzione delle conseguenti ampie perdite di sostanza, che a seconda delle caratteristiche del caso viene effettuata con diverse metodiche, spesso anche combinate: – trapianti di segmenti ossei autologhi vascolarizzati – trapianti di innesti massivi omologhi ossei e osteoarticolari – innesti ossei massivi omologhi + perone vascolarizzato – innesti ossei massivi + protesi – megaprotesi. Per quanto riguarda le megaprotesi, in particolare, è stato sviluppato uno specifico sistema protesico con caratteristiche di versatilità, che facilitano anche l’impianto di protesi composite (protesi + innesto osseo massivo). Infine le megaprotesi in accrescimento sono altri ausili che si utilizzano per quei casi selezionati, in cui le protesi sono capaci di allungarsi sotto l’influenza di un campo magnetico, senza la necessità di ulteriori procedure chirurgiche. • BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
RUOLO DELLA CHIRURGIA ORTOPEDICA ONCOLOGICA
Il trattamento chirurgico delle patologie oncologiche del sistema muscoloscheletrico e delle parti molli, sia per quanto concerne l’età pediatrica che nel giovane adulto, si è sempre caratterizzato, a Firenze, per un approccio multidisciplinare, di alta specializzazione e di innovazione. Quest’ultima si è avvalsa della collaborazione sia con le branche oncologiche mediche (Oncoematologia e Radioterapia) che con le altre branche chirurgiche (Microchirurgia, Chirurgia Generale, Urologia, Chirurgia Vascolare, Neurochirurgia, Chirurgia Toracica), in modo da poter affrontare e trattare con le migliori competenze anche le situazioni di particolare difficoltà per sede ed estensione. Per quanto riguarda la patologia oncologica ossea pediatrica, particolare attenzione è stata data allo sviluppo di metodiche di ricostruzione biologica dopo resezione del tumore. In questo settore l’Unità di Chirurgia Ortopedica Oncologica e Ricostruttiva ha sviluppato metodiche originali e innovative, che hanno avuto riconoscimento e applicazione internazionale da parte dei maggiori centri superspecialistici di settore. Un esempio è l’utilizzo combinato di innesti ossei massivi omologhi e trapianto di perone vascolarizzato autologo concentrico, di grandissima utilità nelle ricostruzioni in particolare dell’arto inferiore e il trapianto di perone vascolarizzato comprensivo della cartilagine di accrescimento prossimale, che consente al segmento trapiantato di mantenere una potenzialità di crescita anche nella sede di trapianto (elemento di
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C O M E FA R LO M E Y E R
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CASO 1. a. Tumore a cellule giganti del radio distale. b. Resecato in blocco. c. Ricostruzione con trapianto massivo da banca dell’osso: risultato radiografico dopo 14 anni dall’impianto. d. Risultato funzionale. d
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CASO 2. a. Osteosarcoma omero prossimale. Trapianto microchirurgico vascolarizzato del perone con cartilagine di accrescimento. Controllo a 3 anni con ipertrofia, allungamento e rimodellamento prossimale. b. Risultato funzionale.
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CASO 3. a. Osteosarcoma femore prossimale: pezzo di resezione. b. Ricostruzione con megaprotesi con reinserzione dei tendini e dei muscoli sulla protesi. c. Controllo radiografico. d. Controllo funzionale.
a CASO 5. a. Osteosarcoma femore prossimale resecato; a destra innesto di banca (giallo). b. Resezione dello stelo della protesi. c. Allograft + protesi tagliata. d. Ricostruzione con protesi composita (protesi + allograft) e placca.
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CASO 4. Resezione di femore totale e ricostruzione con protesi di femore totale allungabile.
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e CASO 6. a. RMN Sarcoma di Ewing. b. Ricostruzione intercalare con innesto da Banca Regionale dell’Osso + perone autologo vascolarizzato. c. Perone vascolarizzato all’interno dell’innesto. d. Ricostruzione chirurgica con placca. e. Controllo postoperatorio a 4 mesi. d
GOVERNARE LA SALUTE
Un modello per la cura dei tumori infantili Con il CROP, Firenze in rete con Siena, Pisa e la Toscana
I
l Centro Regionale di Oncoematologia Pediatrica (CROP) è divenuto una realtà. Dopo l’approvazione unanime della Commissione Pediatrica Regionale, con parere positivo dell’Istituto Toscano Tumori (ITT) e del Consiglio Sanitario Regionale, la delibera (n. 419 del 7 aprile 2015) approvata dalla giunta di Regione Toscana ha decretato la sua istituzione, ratificando di fatto la nascita della rete regionale di oncoematologia pediatrica così come prefigurata con la nuova direzione del Dipartimento oncoematologico del Meyer. QUANDO UN BAMBINO SI AMMALA DI TUMORE SI AMMALA ANCHE UNA FAMIGLIA
I tumori infantili sono una patologia rara, anche se è significativo il numero dei bambini e degli adolescenti che ne sono complessivamente colpiti: 1 su 650 entro i primi 15 anni di vita. Per quanto riguarda invece i nuovi casi, ogni anno ne vengono registrati 120140 per milione di soggetti in questa fascia di età: numeri che testimoniano come la diffusione del cancro in età pediatrica abbia forti ripercussioni a livello sociale. La diagnosi di tumore nel bambino e nell’adolescente, infatti, ha un effetto devastante sulla famiglia e su coloro che ruotano attorno al piccolo malato. Proprio per questo si rende più che mai necessario attivare sistemi di cura globale, che tengano conto non solo dei percorsi strettamente clinici, ma anche di percorsi assistenziali più ampi, che comprendano anche il supporto psicologico ed emotivo al bambino o all’adolescente e ai suoi genitori. Già le linee guida nazionali relative alla prevenzione, diagnostica e assistenza, approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2001, recepiscono questo orientamento e prevedono modalità organizzative coordinate e interdisciplinari, tali da garantire l’accompagnamento del paziente oncologico per tutto il suo percorso.
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Claudio Favre1, Roberta Rezoalli2 1. Direttore Dipartimento Attività Integrazione Oncoematologia Pediatrica claudio.favre@meyer.it 2. Responsabile Ufficio Stampa, AOU Meyer, Firenze
Il Dipartimento di Oncoematologia del Meyer comprende due strutture complesse, rispettivamente la SODC tumori pediatrici
e trapianto cellule staminali e quella di immunoematologia, medicina trasfusionale e laboratorio terapie cellulari.
DALLA REGIONE TOSCANA UN MODELLO DI RETE PER LA ONCOEMATOLOGIA PEDIATRICA
Negli ultimi atti programmatori (PSSIR 2010-2015) la Regione Toscana ha dato grande attenzione all’area pediatrica, mediante azioni che riqualificassero e sviluppassero la rete materno-infantile regionale e varando una organizzazione complessiva che ha previsto, dentro a ciascuna area vasta, un’articolazione in diversi livelli della rete con il coordinamento regionale affidato dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze. Pur ispirandosi a questo disegno, il CROP ha un ambito che va oltre quello di area vasta, configurandosi in una logica di integrazione regionale dei servizi sanitari già presenti.
Il CROP, attraverso una reale organizzazione ed un fattivo coordinamento di tutte le risorse strutturali e professionali multidisciplinari presenti in Regione Toscana, si pone l’obiettivo di raggiungere uno standard di trattamento delle leucemie e dei tumori pediatrici tale da diventare un modello unico per la qualità e per la concezione “di sistema regionale”. grigia: ovvero la presa in carico dei giovani adulti affetti da tumore pediatrico. Il CROP si occupa quindi a pieno titolo anche del follow-up dei ragazzi e dei giovani adulti trattati per tumore in età pediatrica, la cui sopravvivenza è ora stimata pari all’80% dei casi. Si tratta di pazienti guariti (lungo sopravviventi) che hanno un aumentato e maggiore rischio di sviluppare neoplasie secondarie o di sequele importanti. Per loro il CROP ha previsto un monitoraggio a lungo termine.
L’UNIONE FA LA FORZA
In effetti, in un campo specialistico quale è l’oncoematologia pediatrica, l’unione di tutte le componenti professionali multidisciplinari che operano in Toscana può assicurare una risposta altamente qualificata e completa alla cura del paziente pediatrico con tumore, oltre a costituire un modello di rete replicabile in altre specialità pediatriche (e non). Il CROP si configura quindi in modo territoriale e coordinato ed è composto da tre Unità che sono rispettivamente collocate nell’AOU Meyer, nell’AOU Pisana e nell’AOU Senese. All’interno di ognuna di queste Aziende possono essere presenti specifiche competenze di alta specialità che sono a disposizione di tutta l’utenza che afferisce al CROP. Il CROP si può inoltre avvalere di Unità funzionali di appoggio esterno allo stesso Centro e situate in Unità pediatriche ospedaliere periferiche per più semplici percorsi clinicoassistenziali, così da ridurre i disagi logistici dei pazienti e delle loro famiglie. TUMORI PEDIATRICI NEI GIOVANI
Il CROP ha ricompreso tra le sue attività, da svolgere in collaborazione con l’ITT, quella che sinora era considerata una zona
COMPOSIZIONE DEL CROP
Il CROP è costituito dalle strutture complesse e semplici che compongono il DAI di Oncoematologia Pediatrica dell’AOU Meyer, dalla UO di Oncoematologia Pediatrica dell’AOU Pisana e dalla Sezione Semplice di Oncoematologia della UO di Pediatria Universitaria dell’AOU Senese. Il CROP è una rete interaziendale ed inter-area-vasta, poiché coinvolge processi realizzati dalle strutture organizzative (complesse o semplici) delle Aziende partecipanti e comporta la definizione di processi assistenziali integrati delle varie strutture ad esso afferenti. Il CROP, attraverso una reale organizzazione ed un fattivo coordinamento di tutte le risorse strutturali e professionali multidisciplinari presenti in Regione Toscana, si pone l’obiettivo di raggiungere uno standard di trattamento delle leucemie e dei tumori pediatrici tale da diventare un modello unico per la qualità e per la concezione “di sistema regionale”. LE ATTIVITÀ DEL CROP
Il CROP svolge due tipologie di compiti: il coordinamento delle attività assistenziali e il coordinamento delle attività
scientifiche. Nel primo caso (figura) si occupa non solo dei percorsi diagnostici e clinici ospedalieri, ma si pone a raccordo con la rete regionale e con le strutture territoriali, per rispondere in modo coordinato e condiviso allo spettro completo di esigenze del piccolo paziente e della sua famiglia. Sotto l’aspetto scientifico, invece, il CROP si pone come vero e proprio “valore aggiunto” , per favorire gli studi collaborativi, le verifiche comparative per studi di rilievo nazionale e internazionale, oltre a supportare la ricerca di base, e a porsi come protagonista e volano per corsi, stage, seminari per la formazione e l’aggiornamento del personale del Centro e del territorio. IL RUOLO DEL MEYER
Nel CROP, l’AOU Meyer ha assunto il ruolo propositivo di tessitore di una rete specialistica la cui costituzione è fondamentale per la presa in carico complessiva del bambino e adolescente con tumore pediatrico e della sua famiglia. Solo con una visione davvero regionale (quindi al di là e al di sopra delle aziende, delle aree e dei territori), e con un approccio multidisciplinare, sarà possibile non solo dare risposta alla richiesta di salute del piccolo paziente con tumore, ma dialogare con il territorio e con i vari specialisti. Sarà inoltre fondamentale individuare in modo condiviso le soluzioni che tengano conto anche delle esigenze psicologiche ed emotive del paziente e dei genitori, della necessità di mantenere il collegamento con il proprio territorio e il proprio tessuto sociale. Una rete che sappia davvero organizzare attorno a lui e alla sua famiglia una continuità di cure a garanzia anche della salute futura. • moltoMEYER | 2 – 2015
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GOVERNARE LA SALUTE
Figura. I compiti del CROP in merito al coordinamento delle attività assistenziali.
Presa in carico di nuovi pazienti per la diagnosi, la stadiazione, la registrazione, la definizione del piano di trattamento da attuare, in rapporto alla complessità, presso una struttura del CROP o mediante collaborazione presso un’unità di appoggio territoriale.
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Adozione di protocolli diagnostici e terapeutici comuni seguendo i criteri della buona pratica clinica.
Garanzia dell’assistenza infermieristica ai pazienti oncoematologici attraverso il coordinamento e la formazione di competenze cognitive e relazionali specifiche.
Garanzia dell’assistenza psicologica attraverso la rete pediatrica territoriale.
Predisposizione della terapia del dolore e delle cure palliative negli ambiti territoriali ed ospedalieri specifici, tramite coordinamento del CROP, anche attraverso supporto telefonico h24 di consulenza medica e infermieristica.
Promozione di un approccio multidisciplinare attraverso il coinvolgimento di altri specialisti da individuare fra tutti i professionisti presenti in Regione Toscana, così da coordinare l’assistenza in casi di particolare complessità.
Identificazione di opportune risorse e consulenze territoriali, per interventi riabilitativi fisici, psicologici e sociali, come parte del trattamento globale.
Sviluppo e coordinamento a livello regionale della sorveglianza clinica del paziente lungo sopravvivente attraverso precisi percorsi diagnostici terapeutici relativi alle sequele tardive (ambulatori off-therapy).
Collaborazione con tutte le associazioni di volontariato per migliorare l’assistenza dei pazienti e delle loro famiglie.
Promozione delle attività di donazione di cellule staminali midollari, cordonali o periferiche e il trapianto di cellule staminali emopoietiche in ambito pediatrico.
Coinvolgimento dei servizi territoriali nella gestione domiciliare del paziente ematooncologico e nella sorveglianza degli effetti tardivi del trattamento e della malattia, promuovendo e tutelando l’inserimento scolastico e sociale, l’idoneità sportiva, l’avvio all’attività lavorativa.
Coordinamento del passaggio della sorveglianza clinica del paziente trattato in età pediatrica o adolescenziale alla medicina di base e ai servizi specialistici dell’adulto per mantenere il monitoraggio delle conseguenze tardive legate alle cure anche oltre l’età pediatrica.
Sviluppo di un’attiva e continua (24/24h) comunicazione tra il CROP e i medici dei presidi ospedalieri per una diagnosi precoce e coordinata.
Attuazione dell’assistenza domiciliare qualora prevista nei presidi sociosanitari delle AASSLL.
Sviluppo di un’attività clinica finalizzata al monitoraggio dei danni iatrogeni a distanza, in collaborazione con i medici dei presidi ospedalieri.
Promozione della formazione dei professionisti del CROP e delle Unità di appoggio.
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A L L ’ AVA N G U A R D I A
Ruolo del sistema immunitario intestinale nel controllo dell’immuno-disregolazione GvHD acuta intestinale e sindromi IPEX/IPEX-like come modelli di studio
L
a malattia del trapianto verso l’ospite (GvHD) è una delle complicanze principali del trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tale terapia è attualmente considerata come la miglior soluzione per molte patologie ematologiche tra cui alcune immunodeficienze primitive come la sindrome da Immunodisregolazione, Poliendocrinopatia, Enteropatia, X-linked (IPEX) e le patologie correlate. La Sindrome IPEX è una rara patologia autoimmune su base genetica causata da mutazioni nel gene FOXP3, codificante per un fattore di trascrizione fondamentale per lo sviluppo di cellule T regolatorie CD4+CD25+ (Tregs) e per il mantenimento della tolleranza immunologica periferica1,2. Lo studio delle patologie con manifestazioni intestinali, quali la sindrome IPEX, può aiutare a chiarire i meccanismi alla base delle enteropatie autoimmuni, delle malattie infiammatorie croniche intestinali e della GvHD. In quest’ultimo periodo, si sta diffondendo una crescente consapevolezza del ruolo del microambiente microbico intestinale nell’indirizzare e modulare le cellule del sistema immunitario, sia a livello dell’immunità innata che adattiva3,4. D’altra parte, il sistema immunitario ha un ruolo importante nel controllo e formazione della composizione della flora batterica. È pertanto possibile che alterazioni nello sviluppo e composizione del microbiota (disbiosi) modifichino l’equilibrio tra microbiota e sistema immunitario, portando un’alterazione della funzione e
Eleonora Gambineri, Sara Ciullini Mannurita, Marina Vignoli, Claudio Favre Dipartimento di Oncoemaotologia, AOU Meyer, Firenze e.gambineri@meyer.it
composizione del sistema intestinale, nonché delle risposte immunologiche alla base di varie patologie infiammatorie. Il gruppo di ricerca della Dr.ssa Eleonora Gambineri, ricercatore universitario afferente al Dipartimento di Oncoematologia, Unità di Trapianto di Midollo Osseo, si occupa da anni di studiare la Sindrome IPEX e le patologie correlate, dal punto di vista genetico e immunologico. “Recentemente abbiamo condotto uno studio, in collaborazione con la Children BMT Unit di Newcastle upon Tyne, UK, in merito alla ricostituzione immunitaria intestinale di un paziente affetto da IPEX che presentava diarrea grave e che è stato sottoposto a trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Il paziente non ha recuperato rapidamente la propria funzionalità intestinale dopo il trapianto, nonostante un prevalente chimerismo del donatore in periferia. Pertanto abbiamo analizzato le cellule FOXP3+ in biopsie intestinali ottenute in tempi diversi fino a un anno dopo il trapianto e abbiamo osservato un miglioramento della sua condizione clinica in conseguenza all’aumento delle cellule FOXP3+. Inoltre queste cellule erano principalmente del donatore (nonostante un chimerismo misto in periferia), indicando un homing preferenziale nell’intestino delle cellule Treg wild-type per FOXP3. Questi risultati, recentemente pubblicati nella prestigiosa rivista internazionale Journal of Allergy and Clinical Immunology, ci pongono di fronte a quesiti interessanti riguardo il possibile ruolo del microambiente intestinale come attore principale della ricostituzione immunitaria dopo trapianto nonché come responsabile dell’esito del trapianto (i.e. GvHD intestinale). Dati emergenti riportati in letteratura suggeriscono che
l’infiammazione intestinale, la composizione e diversità microbica, nonché componenti iatrogeni possono influenzarsi reciprocamente e condizionare la sopravvivenza post-trapianto5. Sulla base di questi dati stiamo sviluppando un progetto volto allo studio del ruolo assunto dal microbiota intestinale nel modulare la ricostituzione immunologica in pazienti con immunodisregolazione intestinale e/o sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tale valutazione viene condotta tramite tecniche di sequenziamento di nuova generazione (NGS) e analisi immunologiche mirate. La possibile identificazione di specie batteriche con potenziale patogenetico o tollerogenico implicate nell’educazione del sistema immunitario permetterà di comprendere la patogenesi delle malattie autoimmuni. Tale studio auspichiamo possa condurci alla scoperta di nuovi principi biologici che si basano sulle capacità immunomodulanti dei microrganismi simbionti, così da fornire specifiche conoscenze per la progettazione di terapie innovative volte al trattamento di malattie infiammatorie autoimmuni”. • Bibliografia
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N OT I Z I E D A L L A R I C E R C A
Al Meyer il test unico al mondo per la diagnosi precoce delle immunodeficienze primitive (IDP) Pietro è un bambino bellissimo e solo apparentemente sano. Pietro è affetto da immunodeficienza primitiva e se, alla nascita non si fosse scoperta, forse oggi avrebbe già fatto un brutto incontro con infezioni che da banali (per gli altri bambini) si sarebbero trasformate in qualcosa di più grave: otiti tramutate in setticemie, raffreddori in polmoniti. Pietro è venuto alla luce in Toscana e appena nato è stato sottoposto ai test di diagnosi precoce sviluppati, brevettati e utilizzati al Meyer. Grazie
a questi screening di massa da subito i medici sanno che è affetto da un difetto immunitario ed è stato immediatamente messo sotto terapia. Il suo organismo privo di difese immunitarie non ha sviluppato alcuna grave infezione e la sua qualità di vita è ottima. È per arrivare a questo obiettivo che da anni i ricercatori del Meyer lavorano, in modo multidisciplinare, alla messa a punto di test neonatali che non esistevano al mondo. Screening per la diagnosi precoce di malattie immunitarie quali il difetto di ADA (Adenosina-deaminasi), PNP (purina nucleoside fosforilasi) e altre rare forme, utilizzando le metodiche della spettrometria di massa e di biologia molecolare. Successi premiati con il riconoscimento internazionale da parte della Fondazione Jeffrey Modell del Centro di Immunologia pediatrico, unico in Italia, diretto dalla Prof.ssa Chiara Azzari. Il test precoce è importantissimo, perché consente di fare diagnosi prima che l’immunodeficienza primitiva faccia danni, ossia si manifesti con patologie correlate che assumono una particolare gravità proprio per il deficit immunitario di cui il bambino soffre. La diagnosi alla nascita infatti permette da subito la somministrazione di terapie che garantiscono una qualità di vita più che buona. Proprio per rispondere a questa
Premiato il progetto di ricerca sui progenitori renali del team di Nefrologia La ricerca sui progenitori renali fa centro in Europa. Sfiora i due milioni di euro il finanziamento complessivo ricevuto dalla Prof.ssa Paola Romagnani, nefrologa dell’Ospedale pediatrico Meyer e docente dell’Università di Firenze, per il progetto RENOIR (RENal prOgenItoRs as tools to understand kidney pathophysiology and treat renal disorders) che condurrà con il suo team nei prossimi cinque anni. Il progetto di grande rilevanza ha superato la severa selezione europea dello European Research Council (ERC) Consolidator Grant 2014. “Le malattie renali sono uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo – spiega la professoressa Romagnani. Infatti, oltre il 10% della popolazione soffre di una malattia renale. Occorrono, quindi, nuovi strumenti che 16
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esigenza, dalla collaborazione multidisciplinare fra i team di ricercatori, sono stati messi a punto e applicati test unici al mondo. In particolare da tre anni il Meyer sottopone tutti i bambini nati in Toscana (30 mila ogni anno) ai test eseguiti con spettrometria di massa presso il laboratorio diretto dal Dott. La Marca per il difetto di ADA-SCID e PNP. Come spiega Chiara Azzari, la gocciolina di sangue presa dal tallone del bambino alla nascita e messa sul cartoncino dello screening è utile anche per un altro esame. Si tratta di un test eseguito con metodo di biologia molecolare, anch’esso utilizzato per la prima volta al Meyer, per evidenziare molecole che evidenziano lo sviluppo delle cellule del sistema immunitario. È grazie a questo test che il team di immunologia pediatrica ha scoperto un bambino completamente privo di anticorpi e senza cellule B. Il piccolo, come prosegue la Azzari, in assenza di diagnosi avrebbe rischiato infezioni gravi quali polmoniti, meningiti, ma grazie alla diagnosi neonatale è stato subito sottoposto a terapia immediata, che nel caso specifico consiste in terapia sostitutiva con immunoglobuline. “Il bambino sta bene – conclude l’immunologa – e speriamo che il difetto immunitario sia transitorio”. •
consentano di comprendere meglio le patologie renali e di migliorare le opzioni terapeutiche. L’identificazione dei progenitori renali ha aperto nuove possibilità di progresso in vari settori della nefrologia. I progenitori renali svolgono, infatti, un ruolo chiave nella patogenesi delle nefropatie, e il loro studio sta notevolmente migliorando la nostra conoscenza dei meccanismi di risposta del rene al danno”. In cosa si sostanzia il progetto finanziato dalla UE? “Proponiamo una serie di nuove strategie e modelli per studiare il sistema dei progenitori renali – ribatte la ricercatrice – il loro ruolo nella progressione e risoluzione del danno glomerulare e tubulare e i meccanismi coinvolti in questi processi. Questo progetto sarà inoltre finalizzato a scoprire se un’anomala funzione dei progenitori renali possa essere alla base della patogenesi del carcinoma renale. Verrà inoltre
Il Meyer a Expo con il nuovo sito dedicato alle famiglie e alla ricerca Nel cuore di EXPO, luogo mondiale dell’innovazione, il nuovo sito del Meyer e quello della sua Fondazione hanno fatto il loro debutto online. Ad accenderli sono stati Alberto Zanobini, neo Direttore Generale del Meyer, e Gianpaolo Donzelli, Presidente della Fondazione Meyer. Il sito dell’ospedale pediatrico Meyer, nuovo per contenuti, grafica e caratteristiche tecniche di navigazione, vuole essere un agile strumento di servizio per le famiglie nell’orientamento alle svariate specialità di quello che è un vero e proprio policlinico per bambini. Il sito intende raggiungere un alto livello di accessibilità, dando la possibilità agli utenti, comprese le persone con disabilità, di accedere con successo alle informazioni presenti in rete. Tra le novità va segnalata la newsletter M@yer realizzata insieme ai pediatri di famiglia e dedicata ai genitori, per offrire pillole di salute per la vita quotidiana (basta iscriversi sul sito) e il nuovo canale dedicato alla ricerca scientifica in ambito pediatrico, Meyer Scienza. La sezione, che rappresenta un’autentica novità, nasce dalla volontà di far comprendere quanto sia importante investire in innovazione. Infatti come
avviene nei centri pediatrici più autorevoli, anche al Meyer ogni euro investito nella ricerca raddoppia in termini di maggiori prospettive diagnostiche e terapeutiche per i bambini che vi si rivolgono. Meyer Scienza racconta tutto questo e lo fa in modo rigoroso e divulgativo, così da avvicinare il grande pubblico a questi temi. Al Meyer la ricerca diventa cura. Anche la Fondazione Meyer ha puntato al cambiamento, realizzando un sito autonomo rispetto a quello dell’ospedale. Nuova per la grafica e l’organizzazione complessiva dei contenuti, la risorsa web della Onlus che sostiene i
progetti speciali del pediatrico fiorentino è orientata alla massima trasparenza e alla rendicontazione in modo puntale delle risorse raccolte e di come vengono impiegate. Una casa di vetro a disposizione di tutti i cittadini.Un doppio varo davvero importante perché avvenuto nel Padiglione Italia, visitato ogni giorno da migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. Qui nel palazzo dall’architettura avveniristica, tempio di quanto c’è di nuovo a livello internazionale, il Meyer è stato presente per una settimana con i laboratori didattici allestiti dalla sua Fondazione. •
studiato il loro ruolo nello sviluppo renale e durante l’invecchiamento. Infine, i progenitori renali saranno studiati come nuovo strumento diagnostico. L’isolamento e la coltura dei progenitori dal tessuto renale è limitata dalla loro inaccessibilità, tuttavia il recente sviluppo di un metodo per l’isolamento e la coltura di queste cellule dalle urine apre la prospettiva per una medicina personalizzata e lo sviluppo di strategie terapeutiche paziente-specifiche. I progenitori renali paziente-specifici potranno essere, inoltre, utilizzati per testare nuovi composti farmacologici e per valutare la tossicità dei farmaci con particolare riguardo alla nefrotossicità”. Lo studio dei progenitori renali rappresenta quindi un potenziale strumento per comprendere meglio le malattie renali e per promuovere strategie terapeutiche innovative. • Prof.ssa Paola Romagnani moltoMEYER | 2 – 2015
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L A R I C E R C A S I FA D A G I O VA N I
In prima linea contro le istiocitosi: il Meyer, centro di riferimento nazionale
L
e istiocitosi sono un gruppo molto eterogeneo di disordini caratterizzati dalla proliferazione e dall’accumulo tessutale di fagociti mononucleati. Si distinguono: i disordini che originano dalle cellule dendritiche, il cui capostipite è la istiocitosi a cellule di Langerhans (LCH), e i disordini correlati ai macrofagi, rappresentati dalla linfoistiocitosi emofagocitica (HLH). Si tratta di malattie rare, che possono colpire qualsiasi età, con manifestazioni cliniche e decorso variabili. La UO di Oncoematologia è da anni in prima linea nella cura e nella ricerca di queste malattie, per le quali rappresenta il centro di riferimento nazionale, riconosciuto dalla associazione italiana di Oncoematologia Pediatrica. È sotto la guida del Dott. Aricò che, nel 2009, ho iniziato ad occuparmi di istiocitosi, insieme alla biologa genetista, Valentina Cetica, successivamente affiancata da Benedetta Ciambotti, Maria Luisa Coniglio e Martina Da Ros. La crescente attività clinica e di laboratorio ci ha permesso di acquisire rapida esperienza, fino a raggiungere importanti riconoscimenti, come la selezione tra i giovani ricercatori del Meyer, che mi ha dato l’opportunità di effettuare, nel 2013, un periodo di formazione presso il Boston Children’s Hospital, e la vincita del premio Anna Meyer nel 2014 con un articolo apparso sul Journal of Allergy and Clinical Immunology1. Passione e determinazione, oltre al forte senso di responsabilità, sono gli elementi che ci hanno spinto, negli anni successivi, a portare avanti l’attività. Le collaborazioni internazionali avviate, a partire dal 2010 Elena Sieni Dirigente medico specialista, Dipartimento di Oncoematologia, SODc Tumori pediatrici e trapianto di cellule staminali, AOU Meyer, Firenze elena.sieni@meyer.it
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con la partecipazione al progetto “Cure HLH” finanziato dalla comunità europea e poi ai gruppi di lavoro della Histiocyte Society, sono state determinanti nel sostenere questo percorso che ha portato alla mia nomina come Coordinatore europeo dello studio EURO-HIT-HLH e Coordinatore nazionale dello studio LCH-IV, rispettivamente per la cura della HLH e della LCH. Grazie alla lungimiranza del Dott. Favre e alla collaborazione del Dott. Bambi, oggi, il laboratorio di istiocitosi è riconosciuto come sezione del laboratorio di genetica, sotto la responsabilità della Prof.ssa Giglio, e si appoggia al Servizio Trasfusionale per la citofluorimetria. La principale attività del laboratorio è rappresentata dalla diagnostica delle forme familiari di HLH (LEF), rara immunodeficienza causata da mutazioni in geni coinvolti nella citotossicità, che porta rapidamente a morte se non riconosciuta e trattata precocemente2. I risultati dello studio funzionale, disponibili entro 24-72 ore, permettono di confermare il sospetto di FHL e indirizzare l’analisi di mutazione portando alla diagnosi definitiva nella maggior parte dei casi. Quelli rimanenti vengono inseriti in un progetto di ricerca volto all’identificazione di nuovi genimalattia, tramite tecniche di sequenziamento massivo. Sempre per ricerca, i pazienti con sindrome da attivazione macrofagica associata a malattie reumatologiche3 e i pazienti con alcuni tipi di linfoma4 vengono studiati dal punto di vista funzionale e genetico nell’ipotesi che difetti parziali della citotossicità possano agire da fattori predisponenti. Da alcuni anni, insieme ai neurologi e ai radiologi del nostro Ospedale, ci occupiamo della complicanza neurodegenerativa della LCH, che colpisce una piccola percentuale di pazienti a rischio portando a
Elena Sieni deterioramento neurologico progressivo, e per la quale, ad oggi, metodi di valutazione e trattamento non sono codificati. I risultati di questo studio, recentemente pubblicato su PlosOne5, hanno portato alla definizione di un protocollo neuro-radiologico innovativo capace di identificare i pazienti nelle fasi precoci della malattia, potenzialmente suscettibile di trattamento, e di monitorizzarli nel tempo. La recente scoperta del ruolo di mutazioni somatiche attivanti di alcuni oncogeni nella eziopatogenesi della LCH ci ha spinto ad esplorare la presenza di tali mutazioni nella nostra casistica con metodiche di next generation. Il progetto è di estendere lo studio a tutti i pazienti italiani tramite centralizzazione di campioni bioptici ed ematici, allo scopo di porre le basi per l’impiego di terapie mirate in sottogruppi di pazienti ad alto rischio. Consapevoli che quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ci auguriamo che sempre più giovani si appassionino alla ricerca e possano provare lo stesso entusiasmo che ogni giorno ci guida verso nuovi e più ambiziosi orizzonti. • Bibliografia
1. Cetica V, et al. Patients with Griscelli syndrome and normal pigmentation identify RAB27A mutations that selectively disrupt MUNC13-4 binding. J Allergy Clin Immunol 2014; 135: 1310-8. 2. Sieni E, et al. Familial hemophagocytic lymphohistiocytosis: when rare diseases shed light on immune system functioning. Front Immunol 2014; 5: 167. 3. Ciambotti B, et al. Monoallelic Mutations of the Perforin Gene may Represent a Predisposing Factor to Childhood Anaplastic Large Cell Lymphoma. J Pediatr Hematol Oncol 2014; 36: 359-65. 4. Sieni E, et al. Monoallelic mutations of FHLrelated genes predispose to macrophage activation syndrome. Haematologica 2013; 98. 5. Sieni E, Barba C et al. Early diagnosis and monitoring of neurodegenerative Langerhans Cell Histiocytosis. PlosOne 2015; 10.
I L TA M B U R I N O
• Alleanza tra Pinocchio e il Meyer
Come Peter Pan, personaggio letterario creato dallo scrittore scozzese James Matthew Barrie, è da sempre legato al Great Ormond di Londra o Pippi Calzelunghe che occhieggia dagli ambienti del Karolinska Institutet di Stoccolma, così anche l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze sceglie di allearsi con Pinocchio, il burattino nato dalla mente di Carlo Lorenzini detto Collodi, così che diventi uno dei suoi simboli riconoscibili al mondo. È questo il frutto speciale dell’accordo di collaborazione che oggi è stato siglato tra la Fondazione Meyer e la Fondazione • Ecco la “Ludoattesa”,
spazio gioco del week hospital Al Meyer è stata giocosamente battezzata “La Ludoattesa”. È la nuova sala di attesa del Week Hospital, l’area dell’ospedale dedicata alle degenze brevi: ora le famiglie e i bambini hanno un nuovo spazio di gioco e di incontro, con nuovi arredi, libri, giocattoli e pannelli colorati alle pareti, rigorosamente a misura di bambino. Un allestimento di cui si sentiva la necessità, perché al Meyer il gioco fa parte della cura. Il progetto è stato ideato e sostenuto dalla Fondazione Meyer. •
Nazionale Carlo Collodi. Tra il Meyer e Pinocchio c’è molto di più di un’affinità geografica e di simpatia reciproca: l’intesa firmata dai vertici delle due Fondazioni – Pier Francesco Bernacchi della Fondazione Collodi e Gianpaolo Donzelli della Fondazione Meyer – si pone non solo l’obiettivo di “sviluppare al massimo il valore iconografico ed emblematico di Pinocchio, riconosciuto come figura non solo letteraria popolarissima in tutto il mondo, ma anche quello di essere anche il simbolo “esemplare da un punto di vista dell’educazione ai sentimenti e alla comprensione dei problemi esistenziali, all’apertura nella dimensione sociale, alla integrazione e alla civile convivenza, fornendo spunti interdisciplinari per una riflessione attuale sui problemi sociali e culturali oggi presenti nella nostra società
• Focus sull’Ambulatorio per la Terapia del dolore cronico nel bambino e adolescente Giovanna ha 10 anni e fa un’intensa attività fisica: 4 allenamenti alla settimana di pallacanestro. Il dolore ai talloni compare all’improvviso. La cura è tanto riposo, farmaci analgesici e anti-infiammatori. Malgrado questo, il dolore si diffonde ad altre parti del corpo senza spegnersi. Le visite e i controlli specialistici si infittiscono senza alcuna diagnosi. Iniziano quasi tutte così le storie dei bambini e dei ragazzi che soffrono di dolore cronico, patologia emergente e fortemente invalidante che priva di amici, scuola, cinema, sport, vita sociale. Ad occuparsi di loro dal 2012 è attivo l’Ambulatorio di Terapia del dolore cronico del Meyer. Si tratta di uno dei pochi centri esistenti in Italia che interviene sul dolore cronico non oncologico nel bambino e nell’adolescente, patologia di cui non c’è ancora una diffusa conoscenza, nemmeno tra il personale sanitario. “Gran parte della popolazione pediatrica – spiega Andrea Messeri, responsabile del Servizio – soffre di dolori cronici di varia natura. Nel bambino e nell’adolescente il dolore cronico compare dopo un evento stressante, un trauma, una malattia, una patologia virale o può essere inspiegabile, quindi senza un legame diretto
e sul nostro territorio, in particolare nei confronti dei soggetti più fragili o malati”. In virtù dell’accordo di collaborazione le due Fondazioni si impegnano a realizzare varie iniziative comuni. Tra queste, l’uso delle immagini di Pinocchio nell’impegno di umanizzazione del pediatrico fiorentino, la realizzazione di una biblioteca tematica su Pinocchio al Meyer, oltre all’utilizzo di messaggi culturali presenti nell’opera di Lorenzini per divulgare messaggi di educazione sanitaria a misura di bambino in ospedale e tanto altro ancora, nel segno dell’attenzione al bambino che vede in Pinocchio un simpatico e avventuroso coetaneo. •
con un danno o una malattia (dolore idiopatico o funzionale, ndr). Le più diffuse sindromi dolorose nella prima infanzia sono riconducibili ai dolori da accrescimento, quali cefalea e dolori addominali ricorrenti, mentre nei bambini e adolescenti le manifestazioni più diffuse sono emicrania, dolori a collo e schiena, dolore cronico e diffuso. Disturbi che si presentano in maniera isolata o in modo simultaneo e sequenziale, causando invalidità e scarsa qualità della vita”. È un dolore che erroneamente si attribuisce a cause psichiche. “Molto spesso nei dolori cronici non c’è una causa chiara, ma non per questo il dolore non è reale, anzi – prosegue Giuliana Rizzo, algologa specializzata in Canada sul dolore pediatrico – è sbagliato attribuirlo come sintomo ‘inventato’ dalla mente del bambino”. Per curarlo poco più di due anni fa al Meyer è nata una struttura che prende in carico questi bambini offrendo loro un iter diagnostico-terapeutico multidisciplinare che considera il dolore come malattia, sottoponendo il paziente a un trattamento personalizzato, diverso caso per caso. L’ambulatorio per il dolore cronico del Meyer ha preso in carico già 80 pazienti di età tra gli 8 e i 17 anni, tutti affetti da dolore cronico. Di questi ben il 60% ha registrato un miglioramento e la regressione dei sintomi dolorosi. •
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D I A R I O D I U N M E D I C O I N O N C O E M ATO LO G I A
“È un duro lavoro, ma qualcuno deve pur farlo...”: sono di questo tenore i commenti, quando dico che sono una
di commiserazione. Niente di più lontano dalla realtà del mio lavoro. Più vado avanti, e più mi convinco di essere una privilegiata. Prima di tutto, perché la stragrande maggioranza dei bambini che curo, pur attraverso un percorso più o meno duro (anche molto duro!), raggiunge tuttavia la guarigione, a differenza di quanto purtroppo accade agli adulti. Lungo questo cammino, in cui io e i miei colleghi accompagnamo il bambino e la sua famiglia, si stabiliscono dei rapporti umani che credo siano unici per profondità e intensità. Ogni bambino è diverso, ogni famiglia, su cui si abbatte un fulmine come una malattia potenzialmente mortale, lo affronta in maniera diversa. Ho imparato, in questi anni di professione (e sono già quasi venti!), che il rapportarsi a ciascuno in maniera franca, aperta, senza pregiudizi, senza maschere e senza presunzione è la modalità più efficace. Non: “Io sono il dottore, quindi so cosa è meglio per vostro figlio, voi dovete solo attenervi alle mie indicazioni e andremo d’accordo”, ma: “Questa è la malattia di vostro figlio, questo il trattamento che vi proponiamo, con queste probabilità di guarigione. Faremo un percorso insieme, in cui ognuno avrà una parte fondamentale: l’équipe curante, voi, e, in primo luogo, il bambino”. Stanotte Martina, una bambina di 5 anni con un grande tumore nell’addome, ha avuto una crisi respiratoria. Ero di guardia, le abbiamo dato una terapia d’urgenza, applicato la maschera con l’ossigeno. Sul comodino, una Barbie nuova, che parla e si illumina muovendole
un braccio: me l’aveva mostrata la mattina precedente. Mentre ancora respira a fatica, le dico che mi è molto piaciuta, che non l’avevo mai vista prima. E lei la prende e, con quel po’ di fiato che ha, si mette a giocare, con me e con le infermiere. Realmente i bambini che curiamo sono dei maestri di vita: capaci di godere di ogni piccola cosa, di adattarsi a condizioni di sofferenza, di isolamento, e di trovare in sé una forza vitale incredibile. È un lavoro, il mio, che richiede di sapersi mettere nei panni dei bambini e dei genitori. Già, come tutti i pediatri dobbiamo rapportarci non solo al paziente, ma all’intero nucleo familiare. Se questo succede per curare una tonsillite o un mal di pancia, figurarsi per un tumore. E l’oncologo pediatra deve imparare a gestire dinamiche familiari anche complicate, facendo ricorso a tutta la sua sensibilità e alle sue intuizioni di psicologia spicciola. Se questo vale in ogni caso, ancora di più vale quando la
malattia ha un esito infausto. Quanto si è costruito durante la strada percorsa insieme, dalla diagnosi in poi, lo ritroviamo alla fine. La condivisione del dolore è dura, pesante, un fardello che non ti abbandona mai. I nomi, le facce di chi non ce l’ha fatta sono impressi in maniera indelebile nella mia mente e nel mio cuore. Al contrario, i tantissimi (per fortuna!) che sono guariti, si confondono nella memoria… Gianni è un uomo robusto, sui trent’anni. Lo abbiamo curato per una leucemia diversi anni fa. Quasi non lo riconosco, ha la barba, un sorriso da un orecchio all’altro, e mi saluta con un forte abbraccio. È venuto a trovarci, perché dice che siamo sempre una parte di lui. È sposato, tira fuori dalla tasca una foto di due belle gemelline di quattro anni, ritratte in piscina insieme a lui, il loro babbo. Parliamo, sono veramente contenta di vederlo, e prima di andarsene mi lascia la foto: ”La faccia vedere a qualche ragazzo che ha la mia stessa malattia e che sta facendo la cura, per incoraggiamento!” Ecco, questo è il mio lavoro, e mi sento realmente una privilegiata a svolgerlo. • © Pino Bertelli
pediatra oncologa. In genere, alle parole si accompagna un sospiro
Annalisa Tondo Dipartimento di Oncoemaotologia, AOU Meyer, Firenze a.tondo@meyer.it
Annalisa Tondo 20
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SGUARDO SUL MONDO
a c u ra d i C e n t r o S a l u t e Gl o b a l e *
Il nuovo sito del Centro di Salute Globale Per informare, condividere e innovare La nostra idea di Sanità Toscana non è quella di un sistema chiuso che si autoalimenta, ma è quella di un sistema aperto, che vuole esportare le proprie competenze oltre i confini territoriali. Il nuovo sito del Centro di Salute Globale collegherà la Regione Toscana al mondo
ha commentato l’Assessore al Diritto alla salute, al welfare e all’integrazione sociosanitaria, Stefania Saccardi, nella giornata del 23 luglio – Aula Magna dell’Ospedale Meyer (foto). Il nuovo sito vuole rispondere a questa nuova dimensione della Sanità attraverso una piattaforma di partecipazione per tutti quelli che, a vario titolo, si occupano di salute globale. Uno strumento interattivo improntato ai valori di trasparenza accountability e informazione nei confronti dell’opinione pubblica. Navighiamo insieme www.centrosaluteglobale.eu per scoprine le diverse sezioni. In home page troviamo articoli scientifici e news, eventi ed iniziative e il video di presentazione del Centro. Ogni area tematica ha come elemento comune una mappa del mondo contraddistinta dai colori identificativi del Centro: Blu, Cooperazione Sanitaria Internazionale, Rosso, Salute dei Migranti, Verde, Politiche Sanitarie, Arancione, Malattie Tropicali dimenticate. COOPERAZIONE SANITARIA INTERNAZIONALE
Cliccando sulla mappa del mondo vengono evidenziati i paesi in cui negli anni sono stati attivati progetti di cooperazione, dei quali grafici e infografiche indicano nero su bianco: totale dei soldi impegnati, numero di * Maria José Caldés1, Leila Zoia2 1. Direttore; 2. Collaboratrice Centro Salute Globale Regione Toscana maria.caldes@meyer.it
finanziamenti erogati anno per anno, risorse impiegate e valore totale. Per ciascun progetto, oltre alla scheda paese, è indicato il luogo di implementazione, lo status, i soggetti proponenti, partner operativi e partner finanziatori, beneficiari, obiettivi e attività. Oltre che con i dati, è importante rendicontare per immagini, attraverso foto e video, allo scopo di documentare l’andamento delle attività. Il contributo dei cittadini toscani per la cooperazione sanitaria internazionale è 0,53 centesimi all’anno. SALUTE DEI MIGRANTI
La mappa iniziale ci offre il panorama della provenienza della popolazione residente presente nel territorio toscano. Più il colore è intenso, maggiore è la percentuale. Guidati dall’idea di salute come veicolo di inclusione sociale abbiamo deciso di inserire in questa sezione: uno sguardo alla normativa nazionale e regionale per favorire i percorsi di salute in condizione di equità; una serie di guide, anche multilingue, per far conoscere i progetti regionali dedicati, il progetto per la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle mutilazioni genitali femminili (MGF) e i corsi di formazione. Disponibile inoltre una mappa georeferenziata con i servizi rivolti all’utente migrante, e i contatti dei referenti regionali della rete per le migrazioni. La lente di ingrandimento sullo stato di salute dei “nuovi cittadini” ce la offrono invece i grafici dei dati ARS Toscana.
POLITICHE SANITARIE
In questa sezione, è interessante confrontare i dati paese per paese. Scorrendo il mouse sulla mappa compaiono le percentuali sulla spesa sanitaria procapite e numero di medici e infermieri dei paesi in cui sono attivi i progetti di cooperazione sanitaria della Regione Toscana. Importante, anche in questa sezione, l’aspetto della formazione. MALATTIE TROPICALI DIMENTICATE
Più di 400 milioni di persone al mondo sono a rischio a causa delle Malattie Tropicali dimenticate, quelle patologie che hanno nella povertà e nella fragilità sociale il loro marker. In questa sezione si possono trovare schede informative sulle 17 malattie neglette individuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una sezione è riservata al network di tutte le nostre ONG e collaborazioni, Aziende Sanitarie Toscane, Enti Pubblici, Associazioni del Terzo Settore, Università e centri di Ricerca, Organizzazioni internazionali, con l’intenzione di coinvolgere sempre di più i partner nel nostro lavoro. • moltoMEYER | 2 – 2015
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MUSICA E MEDICINA
d i L o re n z o Ge n i t o r i *
Uno studente di medicina “sui generis” Guida all’ascolto della “Sinfonia fantastica” di Hector Berlioz (1801-1869)
B
uona parte della critica musicale sostiene che Hector Berlioz non sia stato un grande compositore. Si dice suonasse malissimo il pianoforte. Eppure oggi, a più di 200 anni dalla morte, le sue opere fanno parte dei programmi dei più importanti teatri d’opera. Compositore abbastanza prolifico – 6 opere per teatro, oltre 10 opere sinfoniche e svariata musica vocale sacra e profana – come Robert Schumann egli fu soprattutto grandissimo critico musicale e scrittore di musica. La sua passione per la musica nasce prestissimo, ma non dall’ambiente familiare. Il padre, medico, lo instradò prestissimo alla carriera di dottore in medicina, inviandolo a Parigi a studiare alla Pitié-Salpêtrière. Un’esperienza di cui scrive (quasi in stile pulp) nelle sue “Memoires” del 1822: “Eravamo dunque all’Ospedale della Pitié, presso la sala settoria. Robert aveva comprato un ‘soggetto’ (un cadavere) per 18 franchi. L’aspetto dell’anfiteatro di dissezione era quello di un carnaio umano, queste membra sparse, queste teste smorfiose, questi crani parzialmente aperti, la sanguinosa cloaca sulla quale noi camminavamo, l’odore rivoltante che esalava, gli sciami di passerotti che si contendevano i pezzi di polmoni, i ratti che masticavano nei loro angoli le vertebre sanguinanti, tutto ciò mi riempì di una tale paura che saltai dalla finestra dell’anfiteatro e corsi a perdifiato fino a casa come se la morte, con il suo macabro corteo, fosse alle mia calcagna. Passai 24 ore sotto il peso di questa prima impressione, senza voler più sentir parlare di anatomia, né di
* Coordinatore attività scientifica e Direttore UOC di Neurochirurgia, AOU Meyer, Firenze l.genitori@meyer.it
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dissezione, né di medicina meditando mille follie pur di potermi sottrarre all’avvenire che mi si presentava”. Berlioz abbandonò questi studi per dedicarsi totalmente alla musica. Divenne frequentatore assiduo dell’Opera e si iscrisse al Conservatorio, diretto allora da Luigi Cherubini. Dopo cinque tentativi vinse il Prix de Rome nel 1830, molto prestigioso per i francesi (Maurice Ravel non lo ottenne mai). Il premio imponeva di passare un anno a Roma per studiare musica. Egli parte per la città eterna, ma non riesce a lasciarsi prendere dalla “romanità”, anzi inizia a detestarla e spesso viaggia per l’Italia. Durante uno di questi viaggi la madre della sua fidanzata gli scrive per annunciargli la rottura del fidanzamento. Furente di rabbia Berlioz medita di tornare in patria per uccidere gli amanti e la madre di lei. Prepara così un piano macchinoso che comprende l’acquisto di abiti per travestirsi da donna, due pistole a due colpi (uno per se stesso) e veleno (stricnina e laudano) nel caso le pistole non funzionassero. Fortunatamente cambia idea e rivede la partitura della “Symphonie fantastique”, componendone un sequel. Si apre per lui un decennio di grandi composizioni e notorietà. La “Grande Messe des morts (Requiem)” è del 1837 e “Romeo et Juliette” del 1839. Il 3
ottobre 1833 sposa Harriet Smithson. Liszt è uno dei testimoni. La vita insieme si rivelerà presto un disastro, con l’abuso di alcol da parte di lei, tanto che finiranno con il separarsi nel 1844. Presto la Francia diventerà molto critica nei confronti della sua musica e Berlioz inizierà a peregrinare in Europa e Russia, dove la sua opera è apprezzata e dove i suoi guadagni, di conseguenza, aumentano. Nell’ottobre 1852, sposa in seconde nozze Marie Recio. Sono gli anni dell’amicizia con Richard Wagner, che all’inizio apprezza la sua musica, sebbene con il passare del tempo il rapporto tra i due diventi burrascoso, fino a diventare quasi di odio reciproco. Inaspettatamente la moglie di Berlioz muore per un ictus cerebrale a 48 anni: è il 13 giugno 1862. Inizia a soffrire della malattia intestinale che lo accompagnerà tutta la vita, causandogli fastidi e dolori continui. Seguono anni di solitudine. Il figlio Louis, capitano di Marina mercantile, muore di febbre gialla a L’Avana. La malattia si aggrava progressivamente e i dolori addominali diventano spasmi furiosi che lo condannano spesso all’immobilità. Nell’agosto del 1868 Hector Berlioz scivola sugli scogli a Nizza. La sua vita diventa quella di un invalido. Muore nella sua casa di Parigi l’8 marzo 1869; riposa nel cimitero di Montmartre. •
COME RAGGIUNGERCI A FIRENZE • Fondazione dell’Ospedale • Azienda Ospedaliero Pediatrico Meyer ONLUS Universitaria Meyer Viale Pieraccini 24 Viale Pieraccini 24 50139 Firenze 50139 Firenze (Prima palazzina davanti al parcheggio) Automobile • Dall’Autostrada A1 uscire a Firenze Nord-Peretola e seguire le indicazioni per l’Ospedale Meyer. • Eventualmente impostare sul navigatore: Via Pieraccini 24, Firenze. Parcheggio Utilizzare il parcheggio di Firenze Parcheggi Pieraccini-Monnatessa, con entrata su Viale Pieraccini 24, a destra rispetto all’ingresso principale dell’Ospedale Meyer (tariffa giornaliera di € 3). Treno / Bus • Dalla Stazione Ferroviaria Santa Maria Novella prendere il bus numero 14 C (tempo di percorrenza 20 minuti circa). • Dalla Stazione Ferroviaria di Rifredi prendere il bus della linea R (tempo di percorrenza 10 minuti circa). • Da Piazza Dalmazia in Firenze c’è la linea R ed il bus numero 43. • Dalla Stazione Ferroviaria Santa Maria Novella ci sono numerose corse di treni che raggiungono direttamente la stazione di Rifredi dove prendere la linea R. Taxi • I taxi della rete urbana fiorentina sono prenotabili al numero telefonico 055 4242 - 055 4390. • Il ritorno può essere prenotato presso i punti informazioni nell’ospedale. Aereo • L’aeroporto di Firenze Amerigo Vespucci, situato nella zona di Peretola, dista circa 5 km dal centro ed è ben collegato con taxi, navette ed autobus. – Taxi dall’aeroporto verso il centro di Firenze: circa 15-20 €. – Shuttle Bus dall’aeroporto alla Stazione Ferroviaria di Santa Maria Novella: 3,00-4,00 € a persona. • Per raggiungere l’AOU Meyer è consigliato il taxi (circa 8 minuti). • Voli diretti da Cagliari, Catania, Roma Fiumicino.
COME CONTATTARCI TELEFONICAMENTE E VIA MAIL Centralino
Tel. 055 566 21 / Fax 055 566 2400 Direzione Aziendale
Tel. 055 566 2319-2322 Centro Ambulatoriale
Tel. 055 566 2303 / Fax 055 566 2916 Tel. 055 566 2944 / Fax 055 566 2379 CUP (Centro Unico Prenotazione Meyer)
Tel. 055 566 2900 (dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 16.00) Università di Firenze
Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino Tel. 055 43 47 10 URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico)
Tel. 055 566 2332 (dalle 8.30 alle 16.00) urp@meyer.it Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer ONLUS
Tel. 055 566 2316 / Fax. 055 566 2300 (Dalle 9.00 alle 16.30) fondazione@meyer.it
• L’aeroporto di Pisa Galileo Galilei, con il terminal ferroviario vicino all’aerostazione (meno di 40 metri collegati da un passaggio pedonale coperto). • Linee ferroviarie dirette collegano tutti i giorni l’aeroporto di Pisa con la stazione di Pisa Centrale e con la città di Firenze. Per raggiungere l’AOU Meyer si consiglia di scendere alla Stazione di Firenze Rifredi, e da qui, prendere il bus R. • Voli diretti da Alghero, Bari, Brindisi, Cagliari, Catania, Lamezia Terme, Palermo, Roma Fiumicino, Trapani.