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INVERNO 2013
In questo numero 3
EDITORIALE
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COME FARLO MEYER
Editor di questo numero Dr. Lorenzo Genitori. Coordinatore dell’attività scientifica e Direttore dell’unità operativa complessa di Neurochirurgia all’AOU Meyer di Firenze. Nato nel 1957, si è laureato all’Università di Messina, dove si è specializzato in Neurochirurgia. In Francia si è specializzato in Neurochirurgia Pediatrica e Microchirurgia. È Coordinatore regionale di Neurochirurgia pediatrica intensiva e neonatale della Regione Toscana.
Tommaso Langiano
Un caso di “banale” faringotonsillite Elena Chiappini, Sara Sollai, Silvia Ricci, Francesca Bonsignori, Massimo Resti, Chiara Azzari, Luisa Galli, Maurizio de Martino
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Epilessia grave nel bambino: il ruolo del trattamento chirurgico Carmen Barba, Flavio Giordano, Lorenzo Genitori, Renzo Guerrini
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GOVERNARE LA SALUTE
Le specificità delle cure pediatriche Tommaso Langiano
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NOTIZIE DALLA RICERCA
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IL TAMBURINO
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— Ricercatori del Meyer scoprono il gene di una forma di epilessia infantile — Il Comitato internazionale promuove la ricerca del Pediatrico fiorentino — Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute: due progetti vincenti — Deficit di Ada, un test internazionale — Al Meyer primo Jeffrey Modell Center pediatrico in Italia 18
ALL’AVANGUARDIA
Alfred 60 AST: abbattere i tempi di un’urinocoltura Serena Lillo, Stefano Masi, Maria Salvadori, Roberto Schiatti
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DIARIO DI UN INFERMIERE
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OLTRE IL CAMICE
Paola Tonietti
L’emancipazione della pediatria Gianpaolo Donzelli
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MUSICA E MEDICINA
Il Canto dell’Aurora (Gesänge der Frühe) Lorenzo Genitori
Molto Meyer Il giornale di informazione scientifica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze Viale Pieraccini 24 50139 Firenze Centralino T 055 56 621 – F 055 56 624 00 Roberta Rezoalli Ufficio Stampa e Giornalismo Cel. 335 68 60 677 T 055 566 2302 www.meyer.it Anno 1 N.1 - gennaio-marzo 2013 Registrazione del Tribunale di Roma n. 181 del 12.04.2006 Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma T 06 862 82 335 – F 06 862 82 250 pensiero@pensiero.it www.pensiero.it Direttore responsabile: Giovanni Luca De Fiore Redazione: Manuela Baroncini Progetto grafico: Antonella Mion Foto: le foto raffigurano luoghi, pazienti e utenti dell’Ospedale Meyer. Si ringraziano i fotografi Dario Orlandi, Stefano Lupi, Alessandro Genitori. Stampa: Arti Grafiche Tris, Roma – febbraio 2013 Tutti i contenuti della rivista sono coperti da copyright Ospedale Meyer. Abbonamenti 2013 Individuale Istituti, enti, biblioteche Estero Volume singolo
Nel sito www.meyer.it trovate l’edizione sfogliabile di Molto Meyer e i temi affrontati in questo numero. Oppure inquadrate il Quick Response code con il vostro smartphone e collegatevi direttamente a Meyer-online.
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E D I TO R I A L E
C’è del buono nella crisi: ha accelerato il cambiamento e catapultato il mondo nel futuro.
Questo titolo di un recente saggio di Martin Wolf segnala un evidente paradosso: le sfide che stiamo affrontando non le abbiamo scelte, eppure non possiamo, né dobbiamo ignorarle. Senza alcuna pretesa di esaustività, citerò quelle che a me sembrano le principali. • La sostenibilità economica del Servizio Sanitario Nazionale (SSN): i confronti internazionali evidenziano che l’Italia spende nettamente meno di altri paesi europei per la sanità ed anche in termini di efficacia, la performance del SSN è decisamente competitiva con gli altri paesi; eppure, negli ultimi anni le risorse effettivamente disponibili per il finanziamento del SSN si sono progressivamente ridotte. • La difesa e la valorizzazione della specificità delle cure pediatriche: la specificità dei bisogni del bambino e delle sue malattie insieme al necessario coinvolgimento della famiglia nella relazione di cura rendono unico il paradigma assistenziale pediatrico e non assimilabile a quello dell’adulto. Questa consapevolezza non è pienamente riconosciuta negli ambiti extra-pediatrici e persiste, quindi, il rischio che gli assetti organizzativi e l’individuazione delle priorità aziendali trascurino la difesa e la valorizzazione della specificità delle cure pediatriche. • La transizione verso un modello assistenziale fondato sul lavoro in team indispensabile per il prevalere dei quadri clinici cronici e ad alta complessità.
• La consapevolezza della rilevanza e della complessità delle sfide che la realtà sanitaria ed in particolare pediatrica sta affrontando ha esercitato un peso notevole nella decisione assunta dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer e dalla Fondazione di dare vita a questa nuova rivista. Siamo consapevoli del rischio di aggravare l’inflazione di informazioni (e di carta) che oggi affligge tutti ed i medici in particolare. Ha prevalso, tuttavia, l’esigenza di creare uno spazio aperto per contribuire all’elaborazione culturale e professionale necessaria per affrontare le nuove sfide. Il miglioramento delle cure pediatriche richiede lo scambio e il confronto fra diverse esperienze, soprattutto per favorire la diffusione delle soluzioni e delle pratiche migliori. E poiché siamo convinti che il mondo pediatrico italiano ha la statura e la dignità per confrontarsi con il contesto internazionale, la valutazione critica dei modelli e dei paradigmi assistenziali che stanno emergendo a livello internazionale costituiranno una dimensione non occasionale dei nostri sforzi. L’Ospedale Pediatrico Meyer cresce in qualità e in quantità: l’elevato valore della complessità della casistica trattata (espresso dal peso medio pari a 1,44), l’incremento della attrazione extra-regionale (che è aumentata dell’otto per cento nell’ultimo triennio) e della produzione scientifica (l’impact factor è aumentato del 9 per cento nell’ultimo triennio) testimoniano come e quanto la pediatria italiana possa ulteriormente crescere e migliorare. Ci sentiamo parte di un’azione e di un pensiero collettivi e questa rivista intende essere una delle sedi di questo incontro. Tommaso Langiano Direttore Generale, AOU Meyer, Firenze
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Un caso di “banale” faringotonsillite
IL CASO CLINICO
Marco è un adolescente di 16 anni, immunocompetente, con anamnesi remota negativa per episodi infettivi rilevanti o altra patologia degna di nota, che è giunto alla nostra osservazione per un grave quadro di shock settico. La settimana antecedente al ricovero il ragazzo aveva presentato un “banale” episodio di faringotonsillite purulenta febbrile (box 1). Non erano state eseguite ulteriori indagini, ma era stata consigliata una terapia antibiotica per via orale con azitromicina per tre giorni. Nei giorni seguenti il ragazzo aveva presentato un rapido peggioramento delle condizioni generali, con comparsa di dispnea, mialgie a carico principalmente dell’arto inferiore sinistro, dolori addominali crampiformi diffusi, marcata contrazione della diuresi. I genitori lo avevano quindi condotto presso il pronto soccorso del nostro Ospedale. All’esame obiettivo il ragazzo si presentava in condizioni generali scadenti, Elena Chiappini, Sara Sollai, Silvia Ricci, Francesca Bonsignori, Massimo Resti, Chiara Azzari, Luisa Galli, Maurizio de Martino Dipartimento di Scienze per la Salute della Donna e del Bambino, Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer, Università di Firenze
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Il reparto di Degenza del Dipartimento di Pediatria Internistica.
Il Dipartimento di Attività Integrate (DAI) di Pediatria Internistica è composto dalle due Cliniche Pediatriche, dalle Strutture Complesse di Pediatria medica, Cardiologia, Nefrologia e
Dialisi, e dalle Strutture semplici di Malattie Infettive, Reumatologia, Diabetologia, Fibrosi Cistica, Gastroenterologia, Auxoendocrinologia, Broncopneumologia, Allergologia.
il faringe era iperemico con tonsille ipertrofiche ed era presente abbondante essudato purulento, Marco presentava inoltre un quadro di insufficienza respiratoria acuta e riduzione del murmure vescicolare a livello delle basi bilateralmente. Gli esami ematochimici mostravano leucocitosi neutrofila, piastrinopenia (globuli bianchi 22.750 cellule/μL; neutrofili: 90%, piastrine 22.000/μL), marcato incremento degli indici di flogosi (proteina C reattiva: 30,24 mg/dL) e insufficienza renale acuta (azotemia: 206 mg/dL, creatinina: 6,5 mg/dL). La radiografia del torace mostrava versamento pleurico bilaterale; reperto confermato alla tomografia computerizzata (TC) del torace, che evidenziava inoltre atelectasia consensuale delle piramidi basali e la presenza di multiple formazioni nodulari parenchimali bilaterali da probabile diffusione ematogena (figura 1). La TC dell’addome segnalava a carico del pavimento pelvico numerose bolle aeree nel contesto dei pilastri muscolari ed aspetto rarefatto ed alterato della struttura ossea dell’osso pubico di sinistra, in prossimità della sinfisi. Data la gravità delle condizioni cliniche è stato
disposto il ricovero del ragazzo presso il reparto di rianimazione, dove è stato intubato e posto in ventilazione assistita. È stata tempestivamente impostata una terapia antibiotica per via endovenosa ad ampio spettro con meropenem e metronidazolo. Sono stati somministrati farmaci inotropi per il sostegno cardiocircolatorio ed effettuata emofiltrazione per l’insufficienza renale acuta. Data la persistenza di empiema pleurico bilaterale, è stata effettuata una toracentesi con posizionamento di drenaggio toracico bilaterale. Gli accertamenti infettivologici eseguiti, includenti ripetute urinocolture ed emococolture, indagini sierologiche per virus di Epstein Barr e Cytomegalovirus, sono risultati tutti negativi, così come le colture su liquido pleurico e da broncoaspirato per germi comuni e miceti e per micobatteri. La ricerca di DNA batterico tramite metodica di amplificazione polimerase chain Reaction 16 S (PCR) (box 2), eseguita su materiale di drenaggio toracico, ha invece permesso l’identificazione di Fusobacterium necrophorum, suggerendo l’ipotesi diagnostica di una Sindrome di Lemierre (box 3). Per il
BOX 1. Le linee guida italiane per la gestione della faringotonsillite in età pediatrica sono disponibili al sito web dell’Istituto Superiore di Sanità. La faringotonsillite acuta rappresenta una patologia di quotidiano riscontro in età pediatrica, ma che talora può presentare nella pratica clinica importanti difficoltà diagnostiche e gestionali. Poiché i segni e sintomi di faringotonsillite streptococcica si sovrappongono in modo estensivo con altre cause
infettive, non è possibile formulare una diagnosi eziologica basata esclusivamente sui dati clinici. Inoltre nessuno dei sistemi a punteggio è sufficiente ad identificare con ragionevole sicurezza le infezioni da Streptococco β-emolitico di gruppo A. Un punteggio basso (zero o 1) del sistema a punteggio di McIsaac puo essere considerato valido, in situazioni di bassa prevalenza di malattia reumatica, per escludere un’infezione streptococcica e quindi non
procedere ad ulteriori indagini o terapie. Nelle altre situazioni, in assenza di segni e sintomi suggestivi di infezione virale, deve essere eseguito un test rapido e qualora questo sia positivo deve essere instaurata una terapia antibiotica con amoxicillina per 10 giorni. Considerando che i test rapidi attualmente in uso hanno un’elevata sensibilità, in caso di test rapido negativo non è raccomandata l’esecuzione di un test colturale di conferma. •
Figura 1. Immagine della TC toracica del ragazzo: si notano multiple e bilaterali formazioni nodulari parenchimali da probabile diffusione ematogena associate a falde di versamento pleurico bilaterale con atelectasia consensuale delle piramidi basali.
www.snlg-iss.it/cms/files/LG_faringotonsillite.pdf
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I laboratori dell’Ospedale pediatrico Meyer.
persistere della febbre e dell’insufficienza respiratoria e un ulteriore peggioramento delle condizioni generali, sono state ripetute TC toraco-addominale e del bacino che hanno mostrato la presenza di emboli settici polmonari, persistenza di empiema pleurico sinistro, interessamento settico del tetto acetabolare e del ramo pubico superiore sinistro, presenza di multipli ascessi muscolari a livello dei muscoli otturatori e pettineo. È stata quindi associata clindamicina alla terapia antibiotica in atto (box 4), è stata ripetuta toracentesi con nuovo posizionamento di drenaggio toracico. È stata effettuata toilette chirurgica dell’articolazione coxofemorale sinistra. Anche le PCR eseguite su liquido di drenaggio pelvico e liquido pleurico sono risultate positive per Fusobacterium necrophorum, confermando quindi la diagnosi.
Nei giorni seguenti il ragazzo non ha più presentato febbre. Si è assistito a normalizzazione degli indici di flogosi e a
BOX 2. Cosa è la PCR 16S? Per ovviare al problema della scarsa sensibilità dei metodi colturali, negli ultimi anni la ricerca si è indirizzata verso metodiche molecolari che possano affiancare i metodi colturali con una simile specificità ed una sensibilità non influenzata dalla vitalità del germe. La PCR o Polymerase Chain Reaction – reazione a catena della DNA polimerasi – è una di queste metodiche molecolari applicabili direttamente sul campione biologico, non richiede la vitalità del germe permettendo quindi di superare il limite della scarsa sensibilità proprio delle tecniche colturali, che richiedono la presenza del batterio vivo. Inoltre, offre risultati in tempi rapidi. La PCR è una tecnica che permette di amplificare il
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DNA di una regione selezionata di un genoma anche un miliardo di volte, purché si conosca almeno una parte della sua sequenza nucleotidica. Nel caso della PCR 16S la sequenza utilizzata è quella di un gene, il 16S (subunità ribosomiale 16S, dell’rRNA batterico) comune alla maggior parte dei batteri in grado di causare infezioni invasive. L’amplificazione del gene 16S permette quindi di discriminare davanti ad un quadro clinico importante se questo sia associato ad un’infezione batterica o da altra causa, ma non è molto specifica. In pratica questa metodica indica che esiste “un assassino”, un batterio, ma non ci dice il suo “nome e cognome”. Tuttavia in seguito alla amplificazione del gene è possibile
effettuare la sequenza di tutto il frammento 16S, permettendo, nella maggior parte dei casi, di individuare in maniera non equivoca il tipo di batterio in causa, che nel nostro caso, era il Fusobacterium necrophorum. Si tratta quindi di una metodica che viene utilizzata in caso di un quadro che clinicamente ponga il dubbio di infezione batterica, ma il cui agente responsabile non possa essere ricondotto a nessuno dei più comuni agenti patogeni di cui si conoscono quindi le sequenze geniche specifiche. Il test di sequenza è molto complesso e richiede del tempo, questo lo confina a casi selezionati e a laboratori super specialistici, come appunto il Laboratorio di Immunologia dell’Ospedale Meyer. •
graduale, seppur lento, miglioramento delle condizioni cliniche generali e della dinamica respiratoria. Grazie alla riabilitazione funzionale associata a terapia iperbarica il ragazzo ha progressivamente ripreso la funzionalità degli arti inferiori. • BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
• Azzari C, Moriondo M, Indolfi G, et al. Realtime PCR is more sensitive than multiplex PCR for diagnosis and serotyping in children with culture negative pneumococcal invasive disease. PLoS One 2010; 5: e9282. • Chiappini E, Principi N, Mansi N, et al.; Italian Panel on the Management of Pharyngitis in Children. Management of acute pharyngitis in children: summary of the Italian National Institute of Health guidelines. Clin Ther 2012; 34: 1442-58. • Chirinos JA, Lichtstein DM, Garcia J, Tamariz LJ. The evolution of Lemierre syndrome: report of 2 cases and review of the literature. Medicine 2002; 81: 45865. • Mitchell MS, Sorrentino A, Centor RM. Adolescent pharyngitis: a review of bacterial causes. Clin Pediatr (Phila) 2011; 50: 1091-5.
Courtesy of the U.S. National Library of Medicine
BOX 3. Cosa è la sindrome di Lemierre? Nel 1918 il Dott. Scottmuller fu il primo a descrivere un grave quadro di sepsi postfaringotonsillite, ma il nome di questa sindrome deriva dal microbiologo francese André Lemierre che a Londra nel 1936 ne descrisse 20 casi dei quali 18 deceduti. Questa malattia è nota anche con il nome di “sepsi post-angina” o “necrobacillosi umana”. Era infatti una patologia comune nel secolo scorso, che è stata quasi dimenticata in era antibiotica, in quanto divenuta molto rara. Si stima un’incidenza di 0,6-2,3 casi per milione di individui per anno e spesso viene oggi citata come “la malattia dimenticata”. È proprio per questo motivo che oggi è poco conosciuta e
André-Alfred Lemierre (1875-1956)
spesso viene sospettata, e diagnosticata, con ritardo. Tuttavia è importante ricordare che sebbene si tratti oggi di una patologia rara rimane importantissima per l’elevata mortalità che attualmente è riportata variare dal 6 al 20%. Questa patologia è più frequente nei maschi e colpisce prevalentemente gli adolescenti e giovani adulti con un picco fra i 16 e i 30 anni di età. Solitamente si tratta di ragazzi precedentemente sani. Nella maggioranza dei casi è dovuta
all’infezione da parte di germi anaerobi e in particolare al Fusobacterium necrophorum in oltre l’80% dei casi. Più raramente la sindrome è sostenuta dall’infezione da parte di Bacteroides spp., streptococco, stafilococco, enterococco o Proteus mirabilis. Fusobacterium necrophorum è un bacillo anaerobio obbligato, è un comune commensale dell’orofaringe e usualmente non causa patologia. Tuttavia, in seguito ad una comune infezione del faringe, anche di origine strepococcica o da virus di Epstein Barr, si può determinare una rottura della integrità mucosale che permette l’invasione del Fusobacterium necrophorum nel torrente circolatorio causando un’infezione
sistemica. Il batterio è in grado di produrre numerosi fattori di virulenza, quali endotossine, leucocidina, emolisina ed emoagglutinina che favoriscono l’aggregazione piastrinica, l’attivazione della cascata della coagulazione e la formazione di emboli settici. Tipico è lo sviluppo di una trombosi della vena giugulare interna e lo sviluppo di emboli settici multipli a livello polmonare, cerebrale, osseo e articolare, ai muscoli paravertebrali, milza e altre sedi (figura 2, tabella I). Un segno clinico caratteristico è la presenza di una tumefazione monolaterale, longitudinale, nella zona laterale del collo, che decorre parallela al muscolo sternocleidomastoideo e che riflette la tromboflebite settica della vena giugulare interna. •
Tabella I. Dati clinici suggestivi per sindrome di Lemierre. • Adolescenti o giovani adulti precedentemente sani Infezione primaria: faringotonsillite
• Storia di angina nei precedenti sette giorni, linfoadenomegalia Invasione dello spazio faringotonsillare laterale
Tromboflebite vena giugulare interna
Emboli settici metastatici complicazioni sistemiche
Figura 2. Patogenesi della sindrome di Lemierre. BOX 4. E come si cura? La terapia delle infezioni da anaerobi, come il Fusobacterium necrophorum, si basa sull’uso di terapia antibiotica mirata, eventualmente associata a
• Insorgenza improvvisa di febbre alta persistente, associata a compromissione delle condizioni generali e/o shock settico • Segni di trombo-flebite monolaterale della vena giugulare interna (30-40% dei casi) • Emocoltura positive e/o Polymerase Chain Reaction positive per batteri anaerobi • Tosse secca, dolore pleurico, versamento pleurico bilaterale, aree addensanti nodulari multiple • Trombosi in sedi inconsuete come seno cavernoso, vena porta
rimozione chirurgica delle raccolte purulente. La terapia antibiotica deve includere molecole attive contro i batteri anaerobi quali il metronidazolo e la clindamicina. •
• Altri segni di ascessi metastatici come artriti settiche, osteomieliti o ascessi del sottocutaneo • Odore fetido proveniente dalle raccolte purulente • Possibile insufficienza multi-organo
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Epilessia grave nel bambino: il ruolo del trattamento chirurgico INTRODUZIONE
Si calcola che nel mondo, circa 10,5 milioni di bambini di età inferiore ai 14 anni presentino una epilessia attiva, pari al 24% dell’intera popolazione mondiale con epilessia1. Il trattamento di prima scelta è rappresentato dai farmaci antiepilettici che, tuttavia, sono inefficaci in una percentuale di bambini con epilessia di nuova insorgenza variabile dal 9 al 24%2. In questi bambini e in quelli in cui una riduzione o un controllo delle crisi si ottengono solo al costo di una politerapia con gravosi effetti collaterali, un’opzione terapeutica alternativa può essere rappresentata dalla chirurgia dell’epilessia. L’intervento chirurgico ha come scopo la rimozione della “zona epilettogena” ossia la zona del cervello necessaria e sufficiente a generare le crisi epilettiche. La chirurgia dell’epilessia determina la scomparsa delle crisi in una percentuale di bambini che varia dal 60% all’80% nelle varie casistiche3,4. I fattori prognostici positivi e negativi in termini di scomparsa delle crisi sono indicati nella tabella I. Anche se nella maggioranza dei candidati alla chirurgia l’età di esordio delle crisi è inferiore ai 2 anni, si calcola che solo il 29% dei bambini potenzialmente trattabili con chirurgia vengano operati entro 2 anni dall’esordio delle crisi4. Le cause di tale ritardo sono molteplici: tendenza da parte del medico a usare tutti i farmaci antiepilettici disponibili; prolungati periodi di remissione che inducono a rimandare il momento dell’intervento; timore di possibili deficit aggiuntivi secondari all’intervento stesso; mancanza di dati certi circa la possibilità di un miglioramento cognitivo dopo la chirurgia. Carmen Barba1, Flavio Giordano2, Lorenzo Genitori2, Renzo Guerrini1 1. Neurologia Pediatrica; 2. Neurochirurgia Pediatrica – Dipartimento di Neuroscienze, AOU Meyer, Firenze
Il Dipartimento di Attività Integrate (DAI) di Neuroscienze è composto dalle Strutture Complesse di Neurologia Pediatrica, Neurochirurgia, Otorinolaringoiatria e Oftalmologia Pediatrica
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e dalle Strutture Semplici Dipartimentali di Malattie metaboliche e Muscolari Ereditarie e di Odontoiatria. Il DAI rappresenta un polo integrato per la diagnosi e la terapia di numerose malattie rare.
SELEZIONE DEI CANDIDATI ALLA CHIRURGIA DELL’EPILESSIA
Le indicazioni alla chirurgia dell’epilessia sono: a. la farmacoresistenza delle crisi, b. la gravità dell’epilessia e il suo impatto sulle funzioni cognitive e sul comportamento, c. la possibilità di caratterizzare una zona epilettogena unica, ben delimitata e aggredibile chirurgicamente. Non esiste una definizione universalmente accettata di farmacoresistenza. Recentemente l’International League Against Epilepsy (ILAE) ha proposto che l’epilessia sia definita farmacoresistente sulla base dell’inefficacia terapeutica di due farmaci antiepilettici ben tollerati, scelti e utilizzati in modo appropriato5. In ambito pediatrico non sono stati identificati né una durata minima dell’epilessia né l’età minima per definire un paziente farmacoresistente6. In caso di inefficacia di due farmaci scelti ed usati in modo adeguato il bambino dovrebbe essere indirizzato ad un centro specializzato per iniziare un bilancio pre-chirugico3. La valutazione della gravità dell’epilessia deve tenere conto di vari aspetti: frequenza delle crisi; durata delle crisi e della fase post-critica; eventuale generalizzazione secondaria; presenza di crisi in grappoli o stati di male; rischio di cadute con conseguenti traumatismi; livello globale di disabilità prodotto dallo stato di malattia. Un ulteriore fattore che può condizionare la scelta dell’opzione chirurgica è il rischio di deterioramento cognitivo associato all’epilessia farmacoresistente, specialmente se l’esordio è precoce6,7. Lo sviluppo cognitivo del bambino può essere compromesso tanto dalla persistenza delle crisi di per sé quanto dalla necessità di una politerapia3. Infine, è fondamentale formulare un bilancio costi-benefici
Nella sala operatoria del Dipartimento di Neuroscienze.
Tabella I. Indicatori e fattori prognostici della chirurgia dell’epilessia in età pediatrica. Indicazioni alla chirurgia dell’epilessia in età pediatrica3
Possibili fattori predittivi di outcome chirurgico favorevole3
Possibili fattori predittivi di outcome chirurgico sfavorevole3
1. Farmacoresistenza 2. Gravità dell’epilessia 3. Identificazione di una zona epilettogena unica, ben delimitata ed aggredibile chirurgicamente 4. Possibile deterioramento cognitivo conseguente alle crisi farmacoresistenti
1. Chirurgia del lobo temporale 2. Presenza di una lesione unica alla RM cerebrale 3. Assenza di crisi tonico-cloniche generalizzate prima dell’intervento chirurgico
1. Resezione incompleta della lesione e della zona epilettogena 2. Assenza di lesioni evidenziabili alla RMN 3. Dati anatomo-elettroclinici non congruenti
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che tenga in considerazione la gravità dell’epilessia e il carico farmacologico in relazione all’eventuale danno che la chirurgia potrebbe produrre7. Chiaramente, il rischio di deficit postoperatorio sarà più elevato in caso di coinvolgimento di aree depositarie di funzioni corticali superiori come quelle motorie o del linguaggio e di resezioni estese che coinvolgano più di un lobo. Il cervello del bambino, tuttavia, ha una notevole potenzialità di riorganizzazione delle funzioni corticali dopo un danno o dopo chirurgia. Il trattamento chirurgico precoce dell’epilessia si associa a un recupero più rapido e completo di un eventuale deficit post-chirurgico poiché nel bambino piccolo la plasticità cerebrale è maggiore7. BILANCIO PRE-CHIRURGICO
Il bilancio pre-chirurgico ha lo scopo di definire indicazione, tempi e modalità di un eventuale intervento e include: storia clinica, esame clinico, valutazione neuropsicologica, esame video-EEG, RM encefalo ad alto campo, eventuale RM funzionale. La storia clinica deve definire la semeiologia delle crisi e documentare l’evoluzione della malattia. L’esame clinico evidenzia eventuali deficit neurologici. La valutazione neuropsicologica definisce il livello cognitivo ed eventuali deficit specifici che possano orientare verso l’area di origine delle crisi. L’esame video-EEG ha come obiettivo principale la registrazione delle crisi epilettiche e lo studio delle correlazioni elettrocliniche per la definizione della zona epilettogena. La RM encefalo evidenzia eventuali lesioni cerebrali e può dare anche indicazioni sulla loro natura. Nel caso in cui la zona epilettogena sia prospiciente alle aree eloquenti, la RM funzionale può fornire indicazioni sui rapporti topografici fra lesione e zone corticali sede di importanti funzioni, ma è realizzabile solo nei bambini più grandi e collaboranti. Nei pazienti in cui il bilancio prechirurgico non invasivo non è sufficiente a identificare la zona epilettogena oppure 10
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in cui non vi è una lesione chiaramente evidenziabile, si può ricorrere a metodiche invasive di registrazione EEG con elettrodi subdurali o di profondità che consentono di esplorare direttamente le strutture cerebrali che si ritiene implicate nella genesi delle crisi sulla base dei dati elettroclinici e di neuroimaging. EZIOLOGIE E SINDROMI SUSCETTIBILI DI TRATTAMENTO CHIRURGICO
Le epilessie gravi del bambino hanno eziologie eterogenee ma alcune cause sono chiaramente prevalenti fra i soggetti suscettibili di trattamento chirurgico, in ragione della gravità del quadro associato e delle loro caratteristiche anatomiche che le rendono ben visibili alla RM e più facilmente operabili. Le eziologie e sindromi più frequentemente osservate nelle serie chirurgiche pediatriche sono riassunte nella tabella II. PROCEDURE CHIRURGICHE
Le procedure chirurgiche utilizzate sono in parte condizionate dal substrato eziologico3,4. Le lobectomie temporali sono più spesso praticate per tumori, displasie corticali e sclerosi
dell’ippocampo mentre lobectomie frontali, emisferectomie e resezioni multilobari sono più spesso utilizzate in soggetti con displasie corticali3,4. Le eziologie di più frequente riscontro nei bambini di età inferiore ai 4 anni sono le displasie corticali multilobari, le emimegalencefalie e la sclerosi tuberosa3,4,6. Per queste forme l’unico approccio proponibile può essere rappresentato dalla resezione multilobare o l’emisferectomia/ emisferotomia. Nei casi non suscettibili di chirurgia ablativa, si può ricorrere a quella palliativa che ha come obiettivo il solo miglioramento del quadro clinico. La procedura più utilizzata è la callosotomia, ossia la disconnessione della parte anteriore del corpo calloso. Questa procedura può essere efficace in alcuni tipi di crisi con caduta. CASO ILLUSTRATIVO
D.B. è un bambino di 7 anni con familiarità per epilessia in linea materna. La gestazione e il parto si sono svolti regolarmente. All’età di 7 giorni il bambino ha presentato un primo episodio critico di breve durata, caratterizzato da iporeattività e clonie palpebrali. Le crisi si sono rapidamente
Tabella II. Le eziologie e sindromi più frequentemente osservate nelle serie chirurgiche pediatriche. Eziologia
% pazienti operati nelle serie più numerose
% pazienti liberi da crisi dopo chirurgia
Displasie corticali focali3,4
32,4%
60-75%,
19,1%
62-86%
5,1%
57-75%
6,5%
58-78%
10,0%
57% dopo emisferectomia
3,6%
52-66%
2,9%
50-100%
Sindrome di Rasmussen3,4
2,7%
62-85% dopo emisferotomia/emisferectomia
Trauma/stroke3,4,9
6,5%
Fino a 75% dopo emisferotomia
3,4
Tumori
Sclerosi tuberosa
8
Sclerosi temporale mesiale Emimegalencefalia
3,4
9 10
Amartoma ipotalamico
Sindrome di Sturge-Weber
3,4
intensificate in frequenza diventando pluriquotidiane e farmacoresistenti. All’età di 6 mesi sono comparsi anche spasmi. Alla prima osservazione presso il nostro reparto, all’età di 3 anni, il bambino era in politerapia e presentava crisi pluriquotidiane caratterizzate da grido, irrigidimento di tutto il corpo prevalente a destra, quindi ipotonia e aresponsività. Il bambino è stato sottoposto a bilancio pre-chirurgico presso la nostra Clinica. a. Esame clinico: linguaggio povero e preferenziale utilizzo degli arti di sinistra. b. Monitoraggio video-EEG: punte e punta-onde subcontinue sulle regioni temporali di sinistra (figura 1); registrata una crisi con esordio temporale sinistro. c. RM encefalo: alterazione di segnale e perdita del contrasto fra sostanza bianca e sostanza grigia a livello del lobo temporale di sinistra (figura 1). d. Valutazione neuropsicologica: grave ritardo cognitivo, disturbo dell’attenzione. Data la concordanza tra la zona di origine delle crisi e la lesione evidenziata alla RM in regione temporale sinistra, il bambino è stato sottoposto a lobectomia temporale sinistra. L’esame istologico ha evidenziato una displasia corticale focale tipo IIB, con perdita della laminazione corticale e presenza di neuroni dismorfici e aberranti. Il paziente è libero da crisi a distanza di 3 anni dall’intervento; è
1.
Le indicazioni al trattamento chirurgico dell’epilessia nel bambino sono: la farmacoresistenza, la gravità dell’epilessia e il suo impatto sulla funzione cognitiva, la possibilità di identificare una zona epilettogena unica, ben limitata ed aggredibile chirurgicamente.
2.
Figura 1. A sinistra: RM encefalo, sequenza FLAIR: si evidenzia un’alterazione di segnale a livello del lobo temporale di sinistra con ispessimento della sostanza grigia, riduzione della bianca e perdita del normale contrasto nel margine fra sostanza bianca e sostanza grigia (vedi freccia rossa). A destra: EEG intercritico: in addormentamento si evidenziano punte sulle regioni temporali di sinistra, in opposizione di fase sull’elettrodo F7 ed equipotenzialità in T3 (vedi freccia rossa).
migliorato sul piano cognitivo e comportamentale. Persiste un disturbo di attenzione. È stata semplificata la terapia farmacologica, con passaggio in monoterapia. Questa osservazione dimostra come una chirurgia effettuata in età infantile, se efficace nel controllo delle crisi, può determinare un miglioramento anche sul piano cognitivo e comportamentale. • BIBLIOGRAFIA
1. Guerrini R. Epilepsy in children. Lancet 2006; 367: 499-524. 2. Berg AT, Vickrey BG, Testa FM, et al. How long does it take for epilepsy to become intractable? A prospective investigation. Ann Neurol 2006; 60: 73-9. 3. Obeid M, Wyllie E, Rahi AC, Mikati MA. Approach to pediatric epilepsy surgery: State of the art, Part I: General principles and presurgical workup. Eur J Paediatr Neurol 2009; 13: 102-14. 4. Harvey AS, Cross JH, Shinnar S, Mathern BW; ILAE Pediatric Epilepsy Surgery Survey Task force. Defining the spectrum of international practice in pediatric epilepsy surgery patients. Epilepsia 2008; 49: 146-44.
La chirurgia dell’epilessia determina la scomparsa delle crisi in una percentuale di bambini che varia dal 60% all’80%.
3.
La definizione della zona epilettogena richiede un bilancio pre-chirurgico che includa: storia clinica, monitoraggio video-EEG, RMN encefalo, valutazione neuropsicologica ed eventuale RMN funzionale. Metodiche invasive di registrazione EEG possono essere necessarie in casi più complessi.
4.
5. Kwan P, Arzimanoglou A, Berg AT, et al. Definition of drug resistant epilepsy: consensus proposal by the ad hoc Task Force of the ILAE Commission on Therapeutic Strategies. Epilepsia 2010; 41: 1069-77. 6. Cross JH, Jayakar P, Nordli D, et al.; International League against Epilepsy, Subcommission for Paediatric Epilepsy Surgery; Commissions of Neurosurgery and Paediatrics. Proposed criteria for referral and evaluation of children for epilepsy surgery: recommendations of the Subcommission for Pediatric Epilepsy Surgery. Epilepsia 2006; 47: 942-9. 7. Freitag H, Tuxhorn I. Cognitive function in preschool children after epilepsy surgery: rationale for early intervention. Epilepsia 2004; 46: 461-7. 8. Jansen FE, van Huffelen AC, Algra A, van Nieuwenhuizen O. Epilepsy surgery in tuberous sclerosis: a systematic review. Epilepsia 2007; 48: 1477-84. 9. Jonas R, Asarnow RF, LoPresti C, et al. Surgery for symptomatic infant-onset epileptic encephalopathy with and without infantile spasms. Neurology 2004; 64: 746-50. 10.Rosenfeld JV. The evolution of treatment for hypothalamic hamartoma: a personal odyssey. Neurosurg Focus 2011; 30: E1.
Le eziologie più frequenti nelle serie chirurgiche pediatriche sono le displasie corticali focali e i tumori; seguono le emimegaloencefalie, la sclerosi temporale mesiale, la sclerosi tuberosa.
5.
La chirurgia effettuata precocemente si associa a una morbilità minore e a un recupero più rapido e completo di un eventuale deficit post-operatorio anche in caso di resezioni estese.
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GOVERNARE LA SALUTE
Le specificità delle cure pediatriche
S
i può affermare che la nascita stessa della Pediatria – come disciplina autonoma – ha avuto luogo in Italia: infatti, nell’aprile del 1802 fu conferita al prof. Gaetano Palloni la prima cattedra al mondo di Pediatria presso l’Università di Pisa: al prof. Palloni fu affidato il ruolo di lettore per le “malattie degli infanti” con responsabilità assistenziali e cliniche nell’ambito dello “Spedale degli Innocenti” di Firenze1. Tuttavia, ancora mezzo secolo dopo, gli organismi di sorveglianza sanitaria nella Lombardia austriaca dovevano prendere atto “con vera dispiacenza che in non piccola parte della popolazione si smette di ricorrere ai soccorsi medici nei casi di malattia de’ ragazzi, per la falsa opinione che nulla possa per essi l’arte salutare”2. Del resto, anche il primo testo pediatrico dell’Occidente è stato composto e pubblicato in Italia (a Padova nel 1472) da un medico italiano: Paolo Bagellardo. Il suo “De infantium aegritudinis et remediis” si articola in una prima parte dedicata alla puericultura ed una seconda alla pediatria. Queste fondamenta storico-culturali, proprie della pediatria italiana, si sono progressivamente arricchite con elementi tecnico-professionali, spesso condivisi a livello internazionale, per cui si è progressivamente sviluppato un paradigma assistenziale che, in sostanza, ha anticipato alcuni fra i principi, i temi e le risposte che oggi sono sempre più affermati a livello internazionale attraverso il “patient-centered care model”3-5. Una significativa enfasi su questi temi si è espressa nella prima Conferenza europea sull’empowerment del paziente, che ha avuto luogo a Copenaghen nell’aprile 2012, e ha evidenziato il ruolo del paziente nella relazione di cura, nonché quante prove già siano disponibili in merito all’efficacia e all’efficienza della
Tommaso Langiano Direttore generale, AOU Meyer, Firenze
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partecipazione del paziente nel processo decisionale clinico. La naturale evoluzione di questo pieno coinvolgimento del paziente (e della sua famiglia) nel processo decisionale clinico è rappresentata dallo sviluppo di misure di esito fondate sull’esperienza dei pazienti6.
• la valorizzazione dei fattori non direttamente curativi nel rapporto fra il team di cura e il bambino: cura per gli spazi di gioco in ospedale, spazi per la socializzazione, scuola in ospedale ed altro; • il rispetto della necessità che la famiglia sia presente accanto al bambino durante tutta la degenza e durante l’esecuzione delle procedure, IL PARADIGMA PEDIATRICO soprattutto perché la costanza della vicinanza Il paradigma assistenziale pediatrico si è sviluppato reciproca costituisce un diritto per il bambino e soprattutto intorno a due elementi fondamentali: per la famiglia, ma anche perché produce la specificità dei bisogni del bambino e delle sue risultati assistenziali positivi. malattie; e il pieno coinvolgimento della famiglia nella relazione di cura. Un recente editoriale del JAMA7 ha affermato È comune nel mondo pediatrico declinare la che “at its best” la ricerca pediatrica costituisce un specificità dei bisogni e delle malattie del bambino modello per l’avanzamento delle conoscenze al attraverso ”quattro D”: fine di migliorare la salute e l’assistenza sanitaria. Per supportare questa importante affermazione, • development (sviluppo): la crescita progressiva lo stesso editoriale cita alcuni esempi, fra i quali la del bambino e le correlate modificazioni psicorete Chidren’s Oncology Groups, che ha coinvolto fisiche influenzano la storia clinica della malattia più di 200 ospedali in Nord America, Europa, e le modalità di reazione alla stessa; Australia e Nuova Zelanda: i miglioramenti nel • dependance (dipendenza): i livelli di trattamento del cancro pediatrico sono stati molto autonomia del bambino variano nelle diverse più veloci che nell’adulto. Lo stesso editoriale cita fasi del suo sviluppo; la cura del bambino è anche il più vasto studio a lungo termine mai anche cura della sua famiglia; realizzato fra i bambini (National Children’s Study), • differential epidemiology: epidemiologia che si propone di valutare gli effetti dei fattori differente da quella dell’adulto; ambientali e genetici; coinvolge più di centomila • demographics: fattori demografici e anche bambini, seguiti dal momento del concepimento sociali. all’età di 21 anni.
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Le principali caratteristiche dell’assistenza al bambino, come si è evoluta nel nostro Paese, possono essere sintetizzate come di seguito: • la consapevolezza che il bambino non è un piccolo adulto, ma è portatore di bisogni specifici che richiedono comportamenti e risposte fortemente personalizzate; • l’attenzione al bambino nella molteplicità delle sue dimensioni non soltanto fisiopatologiche, ma anche psicologiche, relazionali e sociali; • la ricerca di una relazione pienamente collaborativa con la famiglia e con il bambino in tutti gli aspetti e nelle diverse fasi del percorso assistenziale; • l’orientamento a tenere conto delle preferenze del bambino e della sua famiglia nella modulazione del piano di cura; • l’esigenza di condividere con il bambino e la famiglia le informazioni cliniche con continuità ed anche in modo fruibile, soprattutto per favorire la condivisione delle decisioni cliniche;
UN MODELLO FONDATO SULLA RELAZIONE
L’assistenza pediatrica centrata sul paziente e sulla famiglia si manifesta, “at its best”, attraverso una vera partnership, mutuamente vantaggiosa, fra pazienti, famiglie e professionisti: la famiglia è la fonte primaria di supporto per il bambino; pertanto, le preferenze e le informazioni della famiglia sono importanti nel processo decisionale clinico. Nella relazione fra la famiglia e gli operatori sanitari, le esperienze positive possono migliorare la fiducia dei genitori nel loro ruolo, nonché la capacità dei bambini e degli adolescenti di assumere responsabilità nei riguardi della propria salute, soprattutto nella prospettiva della transizione verso i servizi dell’adulto. Gli elementi maggiormente caratterizzanti la relazione di cura nell’assistenza pediatrica sono stati così descritti in un recente documento dell’Institute for patient- and family-centered care8: MEYER | INVERNO 2013
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GOVERNARE LA SALUTE
1. l’ascolto e il rispetto di ciascun bambino e della sua famiglia; 2. la flessibilità nelle procedure e nelle pratiche assistenziali, in modo che i servizi siano conformi ai bisogni, alle convinzioni e ai valori culturali di ciascun bambino e della sua famiglia; 3. la condivisione con i pazienti e con le loro famiglie di informazioni complete, oneste e flessibili, in modo che essi possano partecipare al processo decisionale clinico; 4. la collaborazione con il paziente e con la sua famiglia nell’erogazione delle cure e nella progettazione dei luoghi di cura; 5. il riconoscimento dei punti di forza di ciascun bambino e della sua famiglia per coinvolgerli nelle scelte riguardanti la sua salute.
L’Ospedale pediatrico Meyer è fortemente incentrato sul lavoro multidisciplinare dei diversi Dipartimenti ed équipes specialistiche per la totale presa in carico del bambino e della sua famiglia.
Questi elementi si sono progressivamente sviluppati, nell’ambito dell’assistenza pediatrica, parallelamente alla crescita della consapevolezza dell’importanza dello sviluppo psico-sociale del bambino e del ruolo della famiglia nella promozione della salute del bambino. Gli esempi più concreti e visibili di questa evoluzione sono costituiti dall’incoraggiamento della presenza dei genitori accanto al bambino durante la degenza, l’apertura ai genitori per gran parte della giornata delle terapie intensive pediatriche e neonatali, l’accompagnamento dei bambini da parte dei genitori nel blocco operatorio e durante le procedure invasive. Diversi studi hanno dimostrato che i bambini sottoposti a procedure piangono di meno e richiedono minore ricorso ai farmaci quando i loro genitori sono presenti e partecipano alla gestione del dolore8. L’attenzione alla specificità del bambino e il naturale coinvolgimento della famiglia nella relazione di cura hanno, quindi, fortemente e positivamente influenzato le cure pediatriche. L’INTEGRAZIONE NECESSARIA
L’attenzione alla specificità del bambino e il naturale coinvolgimento della famiglia nella relazione di cura hanno fortemente e positivamente influenzato le cure pediatriche. 14
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Probabilmente, questi elementi si sono particolarmente espressi in tutte le loro potenzialità negli ospedali pediatrici che sono, infatti, nati per distinguere e valorizzare l’unicità del bambino e dei suoi bisogni, a cominciare dal suo diritto primario: avere sempre accanto la sua famiglia. Una statistica del 1894 informa che esistevano ospedali pediatrici specifici a Torino, Cremona, Roma, Palermo, Genova, Napoli, Firenze, Alessandria, Como e Livorno9. Lo stesso autore sottolinea che la rivoluzione culturale denominata umanizzazione dell’assistenza negli ospedali “prendeva avvio proprio dagli ospedali pediatrici, dove, meglio che in altre strutture ospedaliere, era evidente la contraddizione fra una medicina che doveva essere al servizio del malato e un’istituzione incentrata più sui sanitari che sui pazienti”9. Del resto, Roberto Burgio nel 2000 affermava: “saremmo motivatamente tentati di far coincidere l’inizio di un’assistenza pediatrica – già ‘qualificata’ per i tempi in cui veniva praticata – con l’istituzione dei primi Ospedali per bambini”10. Lo stesso Burgio sottolineava che sin dalla fine degli anni Settanta, la Società Italiana di Pediatria aveva elaborato il concetto di “area pediatrica”, con questo termine intendendo “l’intero ambito dell’assistenza clinico-universitaria, ospedaliera ed extraospedaliera (consultoriale, ambulatoriale, domiciliare e, in primo luogo, quella dei pediatri di famiglia) di cui i bambini e gli adolescenti hanno bisogno. I campi di assistenza dell’area pediatrica comprendono: la pediatria generale (comprese le prevenzioni, ad esempio, dagli screening neonatali alle vaccinazioni), l’assistenza al neonato (anche per questo, prevenzioni comprese), la terapia intensiva neonatale, la chirurgia pediatrica, la neuropsichiatria infantile e, dove esistono, i reparti di subspecialità pediatriche”10.
Tabella I. Le linee di azione della Rete Pediatrica Regionale Toscana.
1. Integrazione dei nodi della rete nell’ambito dell’Area Vasta. 2. Valorizzazione del ruolo e della specificità dei singoli nodi. 3. Portare a compimento il nuovo modello di rete neonatologica.
Questa forte tendenza della pediatria alla integrazione fra le diverse professionalità e specialità che operano intorno al bambino è una conseguenza della consapevolezza dell’unicità del bambino ed è stata anch’essa anticipatrice di tendenze assistenziali che, almeno a livello internazionale, sempre più tendono a generalizzarsi e diffondersi a tutta l’organizzazione sanitaria. È da questo orientamento all’integrazione anzitutto professionale, e quindi anche organizzativa, che nasce la tradizione pediatrica verso la costituzione delle reti. La tendenza a mantenere una sostanziale connessione fra le diverse specialità che compongono e costituiscono l’area pediatrica si esprime e si concretizza nella disponibilità a costituire e mantenere reti collaborative. L’esempio più recente è la riorganizzazione della rete pediatrica toscana (DGR 298 del 16/4/2012 – tabelle I e II): “una rete collaborativa orientata a promuovere e valorizzare le competenze dei singoli nodi che la compongono, costruita intorno ai percorsi assistenziali”. • BIBLIOGRAFIA
1. Farnetani I. Storia della pediatria italiana. Ed. speciale, 90 anniversario della Società Italiana di Pediatria, 2008. 2. Cosmacini G. Introduzione. In: Sironi V, Taccone F (a cura di). I bambini e la cura. Storia dell’Ospedale dei bambini di Milano. Bari: Ed. Laterza, 1997. 3. Kuehn BK. Patient-centered care model demands better physicianpatient communication. JAMA 2012; 307: 441-2. 4. Guilland A. Welcome to the century of the patient. BMJ 2011; 342: d 2057. 5. Eaton S, Collins A, Coulter A, Elwyn G, Grazin N, Roberts S. Putting patient first. BMJ 2012; 344: e 2006. 6. Ahmed S, Berzon R, Revicki D, et al. The use of Patient-Reported Outcomes (PRO) within comparative effectiveness research: implications for clinical practice and health care policy. Med Care 2012; 50: 1060-70.
4. Miglioramento dell’efficienza, dell’appropriatezza e dell’efficacia della rete pediatrica attraverso i percorsi diagnostici e terapeutici condivisi. 5. Meccanismi e percorsi preferenziali per l’accesso alle prestazioni richieste dai pediatri di famiglia. 6. Prioritizzazione: modulare la risposta in funzione dei livelli di gravità e urgenza clinica. 7. Le reti specialistiche. 8. Il dipartimento pediatrico metropolitano. 9. La continuità assistenziale e l’assistenza domiciliare: consolidare gli esiti di trattamenti, migliorare l’appropriatezza organizzativa. 10. Lotta all’obesità in età pediatrica. 11.Governare clinicamente la transizione dall’età pediatrica all’età adulta per i pazienti cronici. 12.La formazione nella rete. Fonte: Delibera 298 del 16 aprile 2012 della Giunta Regionale Toscana.
7. Zilke JW, Privara F, Bauchner H. Challenger to excellence in child health research. JAMA 2012; 308: 1040-1. 8. Committee on hospital care and Institute for patient- and familycentered care. Patient- and family-centered care and the pediatrician’s role. Pediatrics 2012; 119: 394-404. 9. Sironi V. Bambini e Ospedali: nascita e sviluppo degli Ospedali pediatrici in Italia. In: Sironi V, Napoli C (a cura di). I piccoli malati del Gianicolo. Bari: Ed. Laterza, 2000. 10.Burgio R. La pediatria in Italia: passato e presente. In: Sironi V, Napoli C, (a cura di). I piccoli malati del Gianicolo. Bari: Ed. Laterza, 2000.
L’articolo è uscito sulla rivista Janus n. 7 autunno 2012, edita da Zadig Editore.
Tabella II. L’attività pediatrica in Italia e in Toscana - anno 2010.
Attività ricovero ordinario
Erogatori nazionali età 0-18
Erogatori toscani età 0-18
Dimessi
1.219.639
66.746
Peso medio (*)
0,55
0,59
Degenza media
4,3
4,4
177,770
11.793
1.041.869
54.953
% ricoveri chirurgici sul totale
14,6
17,7
Degenza media dimessi con Drg medico
4,3
4,4
Degenza media dimessi con Drg chirurgico
4,4
4,3
Peso medio dimessi con Drg medico (*)
0,46
0,46
Peso medio dimessi con Drg chirurgico (*)
1,09
1,21
Dimessi con Drg chirurgico Dimessi con Drg medico
(*) Pesi Relativi Drg specifici TUC 2011 (D.M. 18/12/2008).
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N OT I Z I E D A L L A R I C E R C A
Ricercatori del Meyer scoprono il gene di una forma di epilessia infantile Da 15 anni i neurologi di tutto il mondo stavano indagando su una forma di epilessia che colpisce i bambini. Il team di ricercatori dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer e dell’Università di Firenze ha individuato il gene mutato (si chiama Prrt2) che ne è responsabile. Lo studio, che permette una diagnosi precoce e una terapia più mirata, è stato pubblicato su Neurology e il suo coordinatore, Renzo Guerrini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Meyer e responsabile del team, ha ricevuto il Premio dall’American Epilepsy Society. “È una forma di epilessia che compare in tenera età ma termina nel giro di pochi mesi. Nelle sue manifestazioni, tuttavia, non si distingue dalle altre”, spiega Guerrini. Di fronte a importanti episodi convulsivi di un bambino di pochi mesi, medici e famiglia non avevano possibilità di capire
se erano espressione di una forma “benigna”, destinata a risolversi in breve, o di una forma più severa e duratura. Ma il team è andato oltre, scoprendo che lo stesso gene è all’origine di altre manifestazioni neurologiche: discinesie parossistiche e movimenti incontrollati ed emicrania emiplegica. Al Meyer ora è possibile diagnosticarle e curarle. •
Il Prof. Renato Guerrini (terzo da ds) e lo staff di Neurologia che ha effettuato l’importante scoperta medico-scientifica internazionale.
Il Comitato internazionale promuove la ricerca del Pediatrico fiorentino Il Meyer è l’unico Pediatrico italiano la cui ricerca viene valutata da un organo esterno e indipendente; il Comitato scientifico internazionale (CSI) presieduto dal prof. Lorenzo Moretta e composto da tre autorevoli ricercatori (Boston, Philadelphia, Losanna). Nella recente visita il CSI ha valutato positivamente la qualità della ricerca del Meyer, sottolineando il “costante miglioramento nella qualità delle attività scientifiche” e ha promosso a pieni voti l’investimento pressoché unico in Italia a sostegno dei suoi giovani ricercatori, selezionati per merito. •
Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute: due progetti vincenti Due progetti di ricerca clinica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer sono risultati tra i 144 vincitori della Sezione Ricerca Finalizzata Ordinaria del Bando del Ministero della Salute. I due studi hanno superato ogni fase dell’articolato processo di valutazione che si è svolto secondo le regole previste dalla Peer Review 16
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che ha coinvolto – per l’intero bando – circa 430 scienziati valutatori dell’NIH-CSR (Usa). I progetti vincitori sono quello della neurologa Carmen Barba: “Reorganization of cortical function after surgery for lesional epilepsy in children” e di Giovanni Taccetti del Centro Fibrosi Cistica: “Molecular epidemiology of Methicillin-resistant Staphylococcus Aureus in a third-level paediatric university hospital”. •
Il laboratorio di Spettrometria di Massa diretto dal dr. Giancarlo la Marca.
Deficit di Ada, un test internazionale È veloce, poco costoso e si è rivelato il più efficace al mondo. Parliamo del test precoce che permette, a sole 48 ore di vita, di diagnosticare il difetto di adenosina-deaminasi (ADA), una delle più gravi immunodeficienze congenite. Il test, sviluppato da tre ricercatori dell’AOU Meyer e dell’Università di Firenze, si è rilevato nel tempo unico Al Meyer primo Jeffrey Modell Center pediatrico in Italia Il Centro di Immunologia Pediatrica dell’AOU Meyer fa parte della rete dei Centri Jeffrey Modell, il network per la diagnosi, la cura e la ricerca delle immunodeficienze primitive (IDP) che raccoglie i Centri di eccellenza per l’Immunologia in tutto il mondo. L’accesso alla rete Jeffrey Modell è molto selettivo e limitato. In Italia appartiene a questa rete solo un centro di immunologia dell’adulto e quello del Meyer è il primo Centro Pediatrico italiano. Il riconoscimento dell’Organizzazione
nello scenario internazionale per l’elevata precisione di diagnosi. Il test, un brevetto registrato in tutti i Paesi del mondo, ha rivoluzionanto a tal punto la diagnostica da essersi guadagnato diverse pubblicazioni su una delle più prestigiose riviste di immunologia internazionali, il Journal of Allergy and Clinical Immunology a firma di Chiara Azzari, Giancarlo la Marca e Massimo Resti. Di recente la
internazionale consente alla struttura del Meyer di centrare un triplice obiettivo. Il Centro fiorentino non solo può sviluppare ulteriormente la cura e la gestione delle IDP, ma forte dell’esperienza accumulata negli anni, si pone come fulcro nazionale per lo screening neonatale delle immunodeficienze, fornendo consulenze alle strutture pediatriche che ne hanno necessità. Inoltre consente al Centro di intensificare la ricerca per estendere il test precoce a uno spettro più ampio di immunodeficienze e di malattie rare. •
Harvard University, la scuola medica della celebre università americana, e ricercatori di altri dieci centri specialistici dislocati in diversi altri paesi europei e Usa, ha chiamato i tre ricercatori del Meyer per collaborare alla definizione di nuovi programmi di screening neonatale. Richiesta motivata proprio dai vantaggi del test fiorentino, più affidabile ed efficace di quelli statunitensi. •
Da sinistra: la Prof. Chiara Azzari, i coniugi Jeffrey Modell e il dr. Tommaso Langiano, Direttore Generale del Meyer.
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I L TA M B U R I N O
• Una Struttura di Dimissione protetta per i pazienti del Meyer. Una struttura protetta fuori dall’Ospedale Pediatrico, che consente di dare continuità assistenziale ai bambini che non hanno bisogno del ricovero ma devono proseguire le cure in Ospedale. Parliamo della Casa di Accoglienza Giovanni Paolo I (ex Casa Benelli), situata a poca distanza dall’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, che, grazie alla convenzione con la Fondazione Meyer e alla gestione della Caritas Firenze, consente un monitoraggio sanitario dei piccoli ospiti. I bambini accolti hanno patologie subacute che richiedono prolungata terapia endovenosa (osteomieliti, artriti settiche, ecc.), pazienti in attesa di presidi necessari per l’assistenza presso il proprio domicilio (bambini con tracheostomia, peg, ecc.) e tutti quei pazienti per i quali non è indispensabile la permanenza in un regime di ricovero ordinario ma le varie prestazioni possono essere dilazionate in differenti accessi in DH resi possibili dal pernottamento in ambiente esterno e vicino alla struttura ospedaliera. La struttura è organizzata in 12 stanze doppie con uso esclusivo del bagno e spazi comuni (cucina, lavanderia). L’assistenza infermieristica è messa a disposizione dal Meyer.
I volontari dell’Associazione Amici del Meyer animano i laboratori creativi per i piccoli ospiti e i loro genitori (corsi di chitarra per i bambini e corsi di cucina per la famiglia). L’accesso alla struttura di dimissione protetta avviene su indicazione dei singoli reparti del Meyer. •
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• Accogliere, voce del verbo Meyer. L’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, tramite la Fondazione Meyer, è fortemente impegnata a sostenere l’ospitalità delle famiglie che hanno il figlio ricoverato presso l’Ospedale Pediatrico. Con questo obiettivo la Fondazione ha stipulato convenzioni ed accordi economici con enti ed associazioni, creando una vera e propria rete di accoglienza riservata ai familiari dei bambini ricoverati per garantire l’ospitalità gratuita per i nuclei più bisognosi. Chi arriva a Firenze per la prima volta può telefonare al Servizio di Ospitalità delle famiglie che darà informazioni sulle possibilità di accoglienza, comprese anche le soluzioni alberghiere esistenti nelle vicinanze, che si possono rendere necessarie. Questo in attesa che venga trovata la soluzione più idonea e rispondente alle esigenze della famiglia per la sistemazione
nelle strutture del Meyer. Le modalità di accesso e inserimento sono a cura dei servizi preposti dell’Ospedale, che tengono conto della durata delle degenza e delle indicazioni terapeutiche, nel caso dei degenti dimessi che devono trattenersi a Firenze negli intervalli di cura. Le soluzioni possibili sono di due tipi: 1. le Case accoglienza sono organizzate in forma di camere indipendenti con bagno che possono usufruire di cucina e altri spazi in comune. 2. I miniappartamenti, mono/bilocali indipendenti, vengono riservati per i casi delle degenze più lunghe (l’assegnazione degli appartamenti è a cura dell’Assistente Sociale dell’ospedale). • Per informazioni Tel. 055 56 627 56 dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 12.30 servizioalloggi@meyer.it
A L L ’ AVA N G U A R D I A
Alfred 60 AST: abbattere i tempi di un’urinocoltura LO STUDIO
Confronto del TAT dell’antibiogramma delle urinocolture con il sistema standard (Kirby Bauer) e quello con una nuova tecnologia (Alfred 60 AST): ripercussioni sulla gestione clinica dei pazienti. Lo studio è stato realizzato con un gruppo di pazienti afferenti al dipartimento emergenza accettazione (DEA) dell’ospedale Meyer. INTRODUZIONE. In seguito allo studio “Rapid Antimicrobial Susceptibility Test (AST) on Pediatric Urine Culture” eseguito presso il nostro laboratorio nell’anno 2010, nel quale è stata appurata la concordanza dei risultati ottenuti dell’antibiogramma clinico AST rispetto al metodo di riferimento Kirby Bauer, è stato deciso di valutare come l’introduzione in routine dello strumento Alfred 60 AST, che permette di automatizzare le fasi del processo, consenta di ridurre i tempi di risposta (TAT) e le conseguenze che da tale riduzione si potrebbero avere a livello clinico/organizzativo. MATERIALI E METODI. Sono stati esaminati 204 campioni provenienti dal Pronto Soccorso e dai reparti di nefrologia e pediatrie mediche dell’Ospedale Pediatrico Meyer nel periodo agosto-novembre 2012. Lo screening urocolturale è stato eseguito con lo strumento Alfred 60 AST (Alifax, Padova) e – per i campioni positivi al raggiungimento dello 0,5 McFarland – dopo colorazione di Gram per identificazione preliminare, è stato eseguito l’antibiogramma clinico testando pannelli di antibiotici personalizzati. Per i batteri Gram negativi: meropenem, fosfomicina, ceftriaxone, amikacina, levofloxacina, cefatazidime, per i Gram
positivi:cotrimoxazolo, vancomicina, levofloxacina, gentamicina, ampicillina e cefoxitina. I risultati ottenuti sono stati confrontati con lo strumento VITEK 2 (Biomerièux, France). RISULTATI. Le urinocolture risultate
positive sono state 50: 42 per batteri Gram negativi e 8 per i Gram positivi. La concordanza ottenuta per il pannello Gram negativi è stata: meropenem 100%, fosfomicina 98%, ceftriaxone 96%, amikacina 100%, levofloxacina 100%, cefatazidime 97%; e per i gram positivi: cotrimoxazolo 85%, vancomicina 100%, levofloxacina 100%, gentamicina 100%, ampicillina 100% e cefoxitina 100%. La riduzione dei tempi di refertazione dell’antibiogramma rispetto al metodo utilizzato in laboratorio è stata di 24h nel 53% dei casi, di 48h nel 31%,
72h nel 8% e 96h nel 8%. Dai dati ottenuti nell’82% dei casi sarebbe stata possibile una terapia anticipata che nel 32% avrebbe permesso una dimissione anticipata e nel 14% evitato il ricovero del paziente. CONCLUSIONI. L’utilizzo dello strumento Alfred 60 AST consente di fornire una risposta per l’esame colturale e l’antibiogramma in 4-8h dall’arrivo del campione in laboratorio rispetto alle 36-72h delle metodiche tradizionali. Una riduzione di tale entità nei tempi di risposta, oltre a consentire l’anticipo della somministrazione di una molecola efficace e quindi un vantaggio per il paziente, renderebbe possibile, in numerosi casi, la dimissione anticipata con risparmio economico da parte della struttura ospedaliera. •
TAT (time around time), indicatore delle performance di un laboratorio relativo ai tempi che intercorrono tra la richiesta e i risultati di un test, le cui conseguenze si ripercuotono positivamente sulla terapia, il ricovero e la dimissione.
Il laboratorio diretto dalla dr.ssa Maria Salvadori.
Serena Lillo1, Stefano Masi2, Maria Salvadori1, Roberto Schiatti1 1. Laboratorio Centrale; 2. Pronto Soccorso; AOU Meyer, Firenze.
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DIARIO DI UN INFERMIERE
Ore 14,30 sono nella stanza 26 degli ambulatori ovali dell’Ospedale Pediatrico Meyer di cui, da tempo, sono coordinatrice infermieristica. Accanto a me c’è la collega Cinzia Neri. È la prima volta che mi trovo in un ambulatorio non per assistere i chirurghi neonatali e pediatrici, ma per ricevere i bambini prenotati che ho assistito durante il loro ricovero. Sento la responsabilità di questo momento, ma avverto anche la consapevolezza di essere – come tutti gli infermieri – protagonista delle cure. Con la collega che mi affianca in questa nuova sfida, abbiamo lavorato sodo per arrivare ad aprire il primo ambulatorio italiano a gestione infermieristica che, per effetto della legge regionale 506, da oggi è Centro di Riferimento toscano per i piccoli pazienti stomizzati. Ma non solo. Il progetto ha come obiettivo quello di seguire il bambino, consigliare e affiancare la famiglia anche dopo il ricovero e l’intervento chirurgico, garantendo un percorso assistenziale completo non solo sotto il profilo medico, ma soprattutto infermieristico. Vogliamo che questo ambulatorio possa rispondere alla preoccupazione di tanti genitori, ovvero quella di non sentirsi abbandonati dopo le dimissioni dall’ospedale. Siamo sicure della nostra professionalità e siamo certe che autonomamente potremo prenderci carico dei pazienti che a noi si rivolgeranno. Siamo le persone giuste, al momento giusto, nel posto giusto. Nella stanza 26 è tutto a posto. Abbiamo controllato e ricontrollato. È il momento. Non ho alcun timore, solo mi sembra un po’ strano essere qui con Cinzia. Sento nelle mani e nella testa la
capacità professionale e umana per affrontare questa esperienza. Vedo entrare un bambino, lo conosco, è con sua mamma. Sicuramente adesso chiederanno del medico. Forse rinunceranno alla prestazione, non è comune rivolgersi a due infermiere. “Buongiorno, prego”, le parlo, attendo. La mamma spiega le problematiche del figlio. Non fa obiezioni e non chiede del medico che fa ambulatorio proprio vicino al nostro. Non batte ciglio sul fatto di avere di fronte due infermiere professionali. Vuole proseguire con noi il percorso iniziato in reparto. Va tutto bene, facciamo al meglio quanto ci viene richiesto, anche le
parole che accompagnano la prestazione sono quelle che confermano il nostro ruolo di infermiere che, nei confini delle nostre competenze, sanno prendersi cura del bambino. Abbiamo rotto il ghiaccio. Solo più tardi, quando mi confronterò con il dottor Bruno Noccioli, il chirurgo neonatale che ha spinto me e Cinzia ad avviare questo progetto, mi renderò conto che questo ambulatorio ne farà di strada. Dai piccoli pazienti stomizzati, l’ambulatorio allargherà la sua attività ai bambini cui garantire tutto il percorso assistenziale post-intervento, provenienti dalla Chirurgia Pediatrica e Neonatale, dal Centro Ustioni e dalla Neurochirurgia. E la pagina di diario che leggete è quella del 10 novembre 2008, data di avvio del primo ambulatorio a totale gestione infermieristica in Italia. •
Paola Tonietti
Paola Tonietti Coordinatore infermieristico, Dipartimento di Neuroscienze, AOU Meyer, Firenze.
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Ambulatori ovali
O LT R E I L C A M I C E
di Gianpaolo Donzelli*
L’emancipazione della pediatria
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a parola emancipazione vuol dire “liberarsi da una subalternità”, trovare o ritrovare strumenti e modalità di autonomia nel proprio agire. Si deve emancipare la pediatria? Da che cosa si dovrebbe affrancare per potersi emancipare? Da quale prigionia si deve liberare? A mio modo di vedere le scienze pediatriche, come tutto il resto delle scienze mediche, dovrebbero confrontarsi con il richiamo di Albert Einstein: “Appare evidente che ormai la tecnologia ha preso il sopravvento sulla nostra umanità…”. Così lasciò scritto il premio Nobel per la fisica e filosofo della scienza, poco tempo prima di morire. La medicina tecnologica domina, come assoluto, imperatore, sulla medicina umanistica. Per quest’ultima, la centralità è attribuita alla persona e non alla malattia, evitando la cartesiana scissione tra corpo, mente, tra emozioni, sentimenti e comportamenti. Sono questi ultimi aspetti più che mai preziosi della persona, la cui rivalutazione è necessaria per uscire dalla crisi, sempre più evidente del modello biomedico, meccanicistico e riduzionistico. Per questo sono nate all’Università di Boston, all’Harvard Medical School, le Medical Humanities. Ma che cosa sono le Medical Humanities e a quale territorio dei saperi della cura appartengono? Occorre chiarire, sin da subito, che parlare di Medical Humanities non significa parlare riduttivamente di “umanizzazione” della medicina (nel senso di “compassionevole”), bensì di percezione, da parte della medicina, dell’uomo nella sua complessità. Le Medical Humanities possono perciò essere generalmente definite come ciò che riguarda la comprensione dell’uomo attraverso le “scienze umane”, nel cui * Professore Ordinario di Pediatria, Direttore del Dipartimento Feto-Neonatale, Presidente del Comitato Etico, AOU Meyer, Firenze.
ambito rientrano discipline, come pedagogia, antropologia, filosofia, sociologia, storia, letteratura, poesia, arti visive, la cui epistemologia è di tipo storico-narrativo. In sintesi, qualsiasi forma sistematica di studio umanistico atta a controbilanciare una medicina che, a causa del suo enorme sviluppo scientifico e tecnologico, ha perso il contatto con l’uomo. Fra tutte le specializzazioni mediche, la pediatria certamente potrà avvantaggiarsi da questo approccio. La pediatria è una scienza che si basa su pratiche comunicative e narrative. La pratica clinica può essere intesa come un’attività di conoscenza personale che richiede competenze sia razionali che relazionali: ascoltare una storia di malattia di un bambino (vuoi da questi o da suoi genitori) non è solo un atto professionale ma è dare dignità a quella voce e onorarla1. L’atto del narrare, del raccontare qualcosa, è un aspetto pregnante della quotidianità della vita professionale del pediatra. L’ascolto partecipato della narrazione è sempre stato parte integrante della pratica pediatrica, tuttavia oggi riveste un ruolo marginale. La pediatria perciò va ripensata e riattualizzata, ricostruendola sull’individualità del bambino, avvalendosi di un processo di sintesi tra discipline mediche e discipline umanistiche, definite medical arts2. Pediatria e Medical Humanities, private di contrapposizioni artificiose, possono diventare una prospettiva attraverso la quale praticare, ma anche insegnare, la pediatria nelle diverse articolazioni specialistiche. Si tratta di una prospettiva nella quale viene enfatizzata la dimensione di relazione e comunicazione della clinica. Una pediatria che accetta di “autocomprendersi”, anche a partire dalle sue dimensioni narrative senza però dimenticare le sue componenti scientifiche. In questo senso
le Medical Humanities sono un approccio al rapporto paziente-malattia-medico realmente olistico, che consente di imparare prima, ed esercitare poi, la pediatria in una nuova prospettiva e con un nuovo stile professionale3. Ma quale è lo stile di cui parlo? La malattia espone il bambino e la sua famiglia ad una condizione di fragilità, ad una crisi esistenziale, psicologica, sociale che esige un sovrappiù di presenza, anzi un diverso tipo di presenza, più qualitativa che quantitativa. Questo “stile nuovo” non consiste nell’acquisizione di tecniche aggiuntive, ma nell’essere attore, reale protagonista della cura, attribuendo all’empatia una valenza indispensabile che si esprime in uno stile capace di sentire lo sguardo, le parole, il gesto e salvarli dalla morte certa del dominio della sola medicina tecnicistica, tecno-scientifica e tecno-burocratica. Uno stile che riconosce la fragilità più profonda e la sua irriducibile umanità nel legame con il bambino malato e i suoi genitori4,5. Le Medical Humanities applicate alla pediatria possono perciò diventare pratiche di frontiera, trasformandola in una pediatria esperienziale, nomade e meticcia; in una pediatra critica e non ancillare; in una pediatra trasformativa, in una pediatria della mediazione e della negoziazione, in una pediatria della pratica dell’ospitalità, in una pediatria valoriale. • BIBLIOGRAFIA
1. Charon R. Narrative and medicine. N Engl J Med 2004; 350: 862-4. 2. Charon R, Wyer P; NEBM Working Group. Narrative evidence based medicine. Lancet 2008; 371: 296-7. 3. Charon R. The reciprocity of recognition: what medicine exposes about self and other. N Engl J Med 2012; 367: 1878-81. 4. Lapum JL. The diagnosis: a poem. Med Humanit 2012; 38: 126-8. 5. Martignoni G. Le Medical Humanities: uno stile per “pensare in altra luce”. Atti di Europa in versi, Como 2012.
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MUSICA E MEDICINA
d i L o re n z o Ge n i t o r i *
Il Canto dell’Aurora (Gesänge der Frühe)
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el primo pomeriggio del 27 febbraio 1854, lunedì grasso, Robert Schumann esce di casa di soppiatto, in pantofole, raggiunge il ponte sul Reno a Düsseldorf e si getta nell’acqua. Alcuni pescatori accorgendosi del fatto lo traggono in salvo, nonostante il musicista tenti
ripetutamente di gettarsi di nuovo nelle acque gelide. Viene ricondotto a casa da otto uomini, alcuni ubriachi. La moglie Clara, incinta di 5 mesi, sembra venga lasciata all’oscuro di tutto. Quattro giorni dopo, Schumann viene accompagnato dal Dr. Hasenclever e da due robusti infermieri al manicomio di * Coordinatore attività scientifica e Direttore UOC di Neurochirurgia, AOU Meyer, Firenze.
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Robert Schumann Zwickau,1810 – Endenich,1856
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Endenich, da dove non uscirà mai più. Clara lo andrà a trovare per la prima volta soltanto due anni dopo, qualche giorno prima della morte. Un ultimo incontro, messo in dubbio da alcuni storiografi, che getta una luce romantica nella vita di questo splendido compositore. Robert e Clara Shuman si erano trasferiti a Düsseldorf nel 1850. Clara non sopporta la città e per Robert, dal punto di vista professionale, diventano manifeste le sue lacune strutturali come Direttore del teatro e l’incompatibilità con il suo assistente di direzione, Julius Tausch. Come riportato dal biografo Alfred Colling, sono gli anni in cui Schumann scopre il fascino delle sedute spiritiche. Il piccolo tavolo vibra, rivelandogli i segreti di geni scomparsi. Appaiono i primi disturbi acustici: sente voci che cercano di spiegargli l’incommensurabilità di Dio, angeli che gli provocano “meravigliose sofferenze”. Allucinazioni uditive, musica suggerita da musicisti scomparsi (ad es. un tema in mi bemolle maggiore dettatogli da Mendelsshon in persona). Un periodo torbido nella mente di Schumann, durante il quale compone il Gesänge der Frühe (Canto dell’Aurora). Nel mese di dicembre 1853 Clara, rimasta incinta per l’ottava volta, viene accolta con sfrenato entusiasmo durante una serie di concerti in Olanda mentre Robert fa progetti maestosi ed inconcludenti. Ritorna alla composizione per piano, che era stata fonte di grande soddisfazione negli anni Trenta, quando, inebriato
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dall’amore, componeva per l’allora adolescente Clara pagine di immensa purezza armonica che ella suonava con perizia e passione. Nel 1853 il concetto di “doppelgänger” tanto caro alla coppia si sfalda. In quel fatidico anno compare nella loro vita un personaggio significativo: il ventenne Johannes Brahms. Schumann scrive su di lui parole di enorme apprezzamento nell’articolo intitolato “Vie Nuove”. L’amicizia fra i due, separati da 23 anni di età, è oggetto di discussione. Brahms appare nella vita di Schumann nel suo momento peggiore. Rimarrà vicino a Clara, vivendo nella loro casa anche dopo l’internamento del marito. Molto si è scritto sull’ipotetica malattia mentale di Schumann: disturbo bipolare, schizofrenia, alcolismo con delirium tremens, ”tinnitus aurium”. Dall’analisi medica del 1853 si delinea un soggetto dotato di una intelligenza fuori dal comune con componenti bipolari. Il talento della moglie come concertista finisce per offuscarlo. Gli anni di Düsseldorf hanno portato al decadimento della sua autostima. Il tentativo di suicidio del 1854 e la morte per rifiuto dell’alimentazione due anni dopo sono le estreme conseguenze di tutto ciò. •
COME RAGGIUNGERCI A FIRENZE • Fondazione dell’Ospedale • Azienda Ospedaliero Pediatrico Meyer ONLUS Universitaria Meyer Viale Pieraccini 24 Viale Pieraccini 24 50139 Firenze 50139 Firenze (Prima palazzina davanti al parcheggio) Automobile • Dall’Autostrada A1 uscire a Firenze Nord-Peretola e seguire le indicazioni per l’Ospedale Meyer. • Eventualmente impostare sul navigatore: Via Pieraccini 24, Firenze. Parcheggio Utilizzare il parcheggio di Firenze Parcheggi Pieraccini-Monnatessa, con entrata su Viale Pieraccini 24, a destra rispetto all’ingresso principale dell’Ospedale Meyer (tariffa giornaliera di € 3). Treno / Bus • Dalla Stazione Ferroviaria Santa Maria Novella prendere il bus numero 14 C (tempo di percorrenza 20 minuti circa). • Dalla Stazione Ferroviaria di Rifredi prendere il bus della linea R (tempo di percorrenza 10 minuti circa). • Da Piazza Dalmazia in Firenze c’è la linea R ed il bus numero 43. • Dalla Stazione Ferroviaria Santa Maria Novella ci sono numerose corse di treni che raggiungono direttamente la stazione di Rifredi dove prendere la linea R. Taxi • I taxi della rete urbana fiorentina sono prenotabili al numero telefonico 055 4242 - 055 4390. • Il ritorno può essere prenotato presso i punti informazioni nell’ospedale. Aereo • L’aeroporto di Firenze Amerigo Vespucci, situato nella zona di Peretola, dista circa 5 km dal centro ed è ben collegato con taxi, navette ed autobus. – Taxi dall’aeroporto verso il centro di Firenze: circa 15-20 €. – Shuttle Bus dall’aeroporto alla Stazione Ferroviaria di Santa Maria Novella: 3,00-4,00 € a persona. • Per raggiungere l’AOU Meyer è consigliato il taxi (circa 8 minuti). • Voli diretti da Cagliari, Catania, Roma Fiumicino.
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Sabato 2 Marzo 2013 Dalle ore 9:30 alle 18:30 - PORTE APERTE AL MEYER
Torna la grande festa “Il Meyer per Amico” e l’occasione è davvero speciale: festeggeremo tutti insieme il compleanno del Meyer.. Una festa aperta a tutte le famiglie e a tutti i bambini per sorridere insieme a noi con laboratori, giochi, spuntini e tante sorprese! Scopri il Meyer, durante tutto il giorno
con “Meyer tour”: visite guidate per conoscere i progetti di eccellenza sanitaria e di ricerca scientifica e le attività di accoglienza per genitori e bambini.
Ci saranno anche personaggi famosi del mondo dello sport e dello spettacolo.
INGRESSO GRATUITO E REGALI PER TUTTI I BAMBINI. Ospite d’Onore
Andrea Bocelli
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