CT orale metronomica nel CA mammario avanzato

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a Journal of Experimental and Clinical Oncology OFFICIAL JOURNAL OF SOCIETÀ ITALIANA DI CANCEROLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ONCOLOGIA MEDICA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA ONCOLOGICA AND ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOTERAPIA ONCOLOGICA

EFFICACIA A LUNGO TERMINE DI UN TRATTAMENTO DI CHEMIOTERAPIA ORALE METRONOMICA IN PAZIENTE CON CARCINOMA MAMMARIO AVANZATO Reprint from Tumori, Volume 100, Number 6, November-December 2014


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In copertina: Giuseppe De Nittis, Che freddo!, 1874


OSSERVATORIO

Caso clinico

EFFICACIA A LUNGO TERMINE DI UN TRATTAMENTO DI CHEMIOTERAPIA ORALE METRONOMICA IN PAZIENTE CON CARCINOMA MAMMARIO AVANZATO Elena Collovà AO Ospedale Civile di Legnano, UO Oncologia

INTRODUZIONE La scelta del trattamento chemioterapico nel carcinoma mammario avanzato deve tenere conto delle caratteristiche biologiche, dell’evoluzione clinica della malattia e delle condizioni generali delle pazienti. Ad oggi l’obiettivo terapeutico principale nella malattia avanzata resta il controllo della malattia, mantenendo la qualità di vita delle pazienti il più a lungo possibile. La tossicità del trattamento e la qualità della vita, quindi, sono fattori importanti da prendere in considerazione al momento di decidere la pianificazione e la strategia di trattamento. È stato recentemente dimostrato che, in pazienti con malattia metastatica, la durata della terapia è associata a un aumento della sopravvivenza libera da progressione e della sopravvivenza globale1. Attualmente, regimi a base di taxani vengono spesso utilizzati in prima linea per le pazienti che hanno ricevuto terapia adiuvante a base di antracicline2. Tuttavia, il profilo di tossicità dei taxani determina tossicità cumulative che ne impediscono l’utilizzo per un tempo prolungato. Una modalità terapeutica alternativa che permette di prolungare la durata del trattamento e cronicizzare la malattia, riducendo al minimo gli effetti collaterali della chemioterapia a

dosi standard, è la chemioterapia me tro no mica 3,4 . Questo approccio terapeutico viene spesso adottato nella pratica clinica5 e si basa sulla somministrazione di dosi di farmaco al di sotto della dose massima tollerata (MDT) per ogni singola somministrazione, con una schedula di trattamento continuativa e senza interruzioni. La chemioterapia metronomica riduce il livello di tossicità e diminuisce, o addirittura elimina, la necessità di utilizzare fattori di crescita ematopoietici per accelerare il recupero della funzionalità midollare legato alla mielosoppressione3,6. In altri termini, la somministrazione metronomica della chemioterapia rispetto agli schemi classici fa sì che i farmaci non raggiungano concentrazioni tali da determinare l’effetto citotossico massivo a livello midollare. Inoltre, quando i farmaci antiblastici vengono somministrati con schedula metronomica intervengono meccanismi d’azione aggiuntivi che ne determinano l’attività antitumorale. Uno di questi meccanismi è l’inibizione dell’angiogenesi tumorale7,8. Infatti, a differenza dei regimi chemioterapici standard, la terapia metronomica aumenta gli effetti antivascolari bloccando il recupero di nuove cellule endoteliali per la formazione di nuovi vasi6. Inoltre, la terapia metronomica agisce anche sul sistema


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immunitario diminuendo i linfociti T regolatori (Tregs) e promuovendo la maturazione delle cellule dendritiche insieme a un’azione citotossica diretta verso cellule tumorali4. Questi effetti, combinati, si traducono in un controllo sulla crescita del tumore e in una ridotta tossicità, migliorando il beneficio clinico per il paziente. I farmaci antiblastici per via orale rappresentano la migliore modalità di somministrazione quando vengono utilizzati in regimi di chemioterapia metronomica8. Tale approccio terapeutico rappresenta inoltre una terapia cost-saving, senza compromettere l’efficacia e la sicurezza del trattamento9-10. Con riferimento alla Navelbine orale metronomica, è stata dimostrata la presenza di uno specifico meccanismo antiangiogenetico quando vengono somministrati farmaci inibitori dei microtubuli, attraverso un’azione sulle adesioni focali e sulle giunzioni di aderenza tra le cellule endoteliali, creando instabilità cellulare con conseguente inibizione della formazione dei nuovi vasi11. Su queste basi, si può ipotizzare che la chemioterapia metronomica possa essere offerta come un trattamento alternativo alla terapia convenzionale, sia durante la fase di induzione al fine di ridurre la massa tumorale o come terapia di mantenimento per ritardare la progressione di malattia12,13. Tra le varie opzioni terapeutiche utilizzate, l’associazione Navelbine orale più Capecitabine (full oral) rappresenta oggi uno dei trattamenti di scelta nella prima linea del carcinoma mammario metastatico, avendo dimostrato una buona efficacia, in grado di dare risposte obiettive anche superiori al 50%14. Inoltre tale combinazione risulta ben tollerata e spesso preferita dalle pazienti che vogliono evitare trattamenti alopecizzanti ed endovenosi.

In questo articolo si presenta un caso di una paziente in progressione in corso di ormonoterapia adiuvante, trattata in prima linea con la combinazione di Navelbine orale e Capecitabine in schedula metronomica, nell’ambito di un protocollo sperimentale.

CASE REPORT Paziente di 72 anni, al momento della diagnosi di carcinoma mammario non presentava familiarità per neoplasia. In anamnesi riferiva ipertensione arteriosa controllata farmacologicamente e vasculopatia agli arti inferiori. Nel 2011, in seguito a palpazione mammaria, si riscontrava un nodulo mammario sinistro. La paziente successivamente veniva sottoposta a varie indagini, comprendenti mammografia ed ecografia mammaria, che hanno documentato la presenza di addensamento al quadrante supero-esterno della mammella sinistra dalle dimensioni massime di 2,8 cm con caratteristiche sospette di malignità. L’agoaspirato confermava quadro citologico di cellule tumorali maligne. Dopo stadiazione preoperatoria che escludeva la presenza di secondarismi a distanza, la paziente veniva sottoposta, in data 20/11/2011, a intervento chirurgico di quadrantectomia mammaria supero-esterna sinistra e biopsia del linfonodo sentinella. L’esame istopatologico documentava il seguente esito: “carcinoma duttale infiltrante, grado 2, angioinvasivo”. Stadiazione postoperatoria: pT2 pN0. Stato recettoriale: recettori estrogeni 90%, recettori progesterone 80%, indice proliferativo MIB1 20%, HER2 assente. Sulla base delle caratteristiche istopatologiche e biologiche della neoplasia e delle buone condizioni generali della paziente, le veniva pro-


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posto il seguente trattamento: radioterapia complementare sulla mammella sinistra residua e ormonoterapia con inibitore dell’aromatasi. Da gennaio 2012 la paziente iniziava il trattamento con letrozolo 2,5 mg/die e veniva avviata a regolare follow-up oncologico. Da febbraio a marzo 2012 completava il programma di radioterapia complementare sulla mammella residua. Nel mese di aprile 2013, circa 14 mesi dopo l’inizio dell’ormonoterapia, la paziente eseguiva ecografia addome completo, nell’ambito di esami di follow-up, che documentava: “si apprezza comparsa in ambito epatico di almeno sei focalità ripetitive, ai lobi destrosinistro, quadrato (max 48 mm a tale ultimo livello) e caudato” (Figura 1). La TC torace addome con mdc confermava la presenza di secondarismi epatici, in assenza di ulteriori segni di progressione di malattia. La paziente al controllo clinico si presentava asintomatica e in discrete condizioni generali. Si decideva di effettuare una ritipizzazione citologica e biologica della neoplasia attraverso biopsia epatica. L’agoaspirato confermava: “quadro citologico compatibile con localizzazione secondaria coerente con primitività mammaria”. Assetto recet-

toriale sovrapponibile al primitivo. Si discuteva pertanto con la paziente circa le varie possibilità terapeutiche e si concordava di intraprendere un trattamento di prima linea metastatica secondo lo schema Navelbine orale 40 mg giorno 1,3,5 in associazione a Capecitabine 3 x 500 mg/die in continuo secondo schema metronomico, nell’ambito di uno studio clinico di fase II multicentrico attivo presso la nostra struttura. La scelta del trattamento, condivisa con la paziente, teneva conto di vari fattori: • • • •

Documentata progressione di malattia in corso di ormonoterapia Presenza di malattia viscerale asintomatica Età della paziente Preferenza della paziente verso un regime non alopecizzante e non somministrato per via endovenosa.

Dopo acquisizione del consenso informato scritto (maggio 2013) la paziente iniziava trattamento con Navelbine orale + Capecitabine, con controllo clinico ed esami bioumorali ogni 21 giorni. Dopo i primi cicli, nei quali la paziente riferiva nausea G1 in corrispondenza della sommi-

FIGURA 1 Ecografia addome completo al basale. Ref. aprile 2013

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nistrazione di Navelbine orale, tale tossicità risultava assente dopo circa 4 mesi dall’inizio del trattamento. Dopo 8 mesi la paziente iniziava a riferire parestesie alle mani di grado G1-G2, che si sono mantenute per tutta la durata della terapia. Nessuna tossicità ematologica veniva documentata. La rivalutazione di malattia effettuata dopo i primi 3 mesi di trattamento evidenziava: “Presenza di lesioni secondarie di 43 mm al secondo segmento, di 31 mm in corrispondenza del lobo caudato, di 20 mm al quarto segmento in sede sottoglissoniana, di 17 mm, sfumato all’VIII segmento”. Altra formazione ilare di 28 mm di diametro (Figura 2). La valutazione strumentale dopo circa 6 mesi di trattamento, effettuata a ottobre 2013, documentava la scomparsa delle lesioni epatiche: “Fegato volumetricamente nella norma, a struttura diffusamente disomogenea, non riconoscendosi, all’esame attuale, le lesioni nodulari rilevate precedentemente”(Figura 3). La paziente proseguiva quindi il trattamento, come da protocollo, e veniva sottoposta a rivalutazioni strumentali ogni 4 mesi. Nel mese di ottobre 2014, dopo 17 mesi di terapia, il controllo ecografico dell’addome documentava la comparsa di lesioni epatiche,

almeno due compatibili con secondarismi. Veniva eseguita TC addome con mdc che confermava il quadro di progressione epatica. Veniva pertanto sospeso il trattamento chemioterapico con Navelbine orale + Capecitabine e avviata terapia di II linea con Everolimus + Exemestane, tutt’ora in corso.

DISCUSSIONE L’approccio metronomico con Navelbine orale in combinazione con Capecitabine rappresenta un’alternativa terapeutica efficace e sicura in pazienti affetti da carcinoma mammario avanzato. I dosaggi utilizzati in questo caso clinico derivano dallo studio di fase I-II, condotto in pazienti affette da carcinoma mammario metastatico trattate con Navelbine orale e Capecitabine. La dose massima tollerata di Navelbine orale, in associazione alla Capecitabine 500 mg x 3/die continuativamente, è stata di 40 mg gg 1-3-515. L’obiettivo di questo studio era anche valutare l’efficacia terapeutica in termini di bene-

FIGURA 2 Ecografia addome completo, dopo i primi 3 mesi di trattamento. Ref. luglio 2013


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FIGURA 3 Ecografia addome completo, dopo i primi 6 mesi di trattamento. Ref. ottobre 2013

ficio clinico, dimostrando una percentuale di risposte obiettive associate a una stabilizzazione di malattia di almeno 24 settimane, di circa il 60%. Le tossicità ematologiche di grado 3-4 riscontrate sono state riportate in circa il 2% dei cicli somministrati. Questa scarsa mielotossicità associata a una buona attività ha permesso di prolungare il trattamento per oltre un anno in circa un terzo delle pazienti arruolate. Questo aspetto trova conferma nel caso clinico in discussione, in cui la risposta sulle metastasi si è mantenuta per oltre un anno e in cui la terapia metronomica è stata scelta come prima opzione di trattamento per la malattia metastatica. Il caso clinico proposto presenta ulteriori spunti di riflessione e considerazioni: la somministrazione di basse dosi continuative e regolari, senza interruzioni, di Navelbine orale e Capecitabine permette di mantenere un’intensità di dose adeguata e similare alle dosi tradizionali, migliorando la tollerabilità ai farmaci e per-

mettendo un trattamento prolungato1,15. La scelta del trattamento in presenza di malattia metastatica diventa sempre più personalizzata e tiene conto non soltanto delle caratteristiche biologiche della neoplasia, ma di una serie di altri fattori che possono influenzare l’efficacia del trattamento, come la compliance e la terapia condivisa consapevolmente con la paziente. Nel caso specifico, la decisione di iniziare un trattamento chemioterapico anziché ormonoterapico viene guidata dalla storia naturale della malattia, indicativa di ormonoresistenza e di neoplasia rapidamente evolutiva. Il regime scelto ha permesso alla paziente di ottenere una risposta completa, prolungata nel tempo, senza tossicità clinicamente rilevanti, che in termini di obiettivi terapeutici si traducono in beneficio clinico, cioè: risposta al trattamento, prolungamento dell’intervallo libero da progressione che può determinare un miglioramento in sopravvivenza, e mantenimento della qualità di vita della paziente1,2.

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Depositato presso AIFA in data 23/12/2014 - RCP allegata - cod. azle N20 014


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