a Journal of Experimental and Clinical Oncology OFFICIAL JOURNAL OF SOCIETÀ ITALIANA DI CANCEROLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ONCOLOGIA MEDICA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA ONCOLOGICA AND ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOTERAPIA ONCOLOGICA
ALGORITMI DI TRATTAMENTO NELL'IMMUNOTERAPIA DEL MELANOMA Reprint from Tumori, Volume 100, Number 6, November-December 2014
OSSERVATORIO
Report congressuali e notizie dalla ricerca aziendale
ALGORITMI DI TRATTAMENTO NELL’IMMUNOTERAPIA DEL MELANOMA Michele Maio e Riccardo Danielli UOC Immunoterapia Oncologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Istituto Toscano Tumori, Siena
INTRODUZIONE
ANTICORPI IMMUNOMODULANTI
Negli ultimi anni il trattamento del melanoma metastatico è stato caratterizzato dall’introduzione di molti nuovi farmaci. In particolare, la sempre più approfondita conoscenza dei meccanismi fisiologici che regolano l’attività del sistema immunitario ha portato allo sviluppo clinico e alla successiva approvazione da parte delle Agenzie regolatorie dell’anticorpo monoclonale ipilimumab (Ipi), diretto contro la molecola “cytotoxic T lymphocyte antigen-4” (CTLA-4) espressa sui linfociti T attivati. Ipi ha infatti dimostrato di aumentare significativamente la sopravvivenza dei pazienti affetti da melanoma metastatico in studi di fase III. Inoltre, durante l’ultimo meeting ASCO 2014, almeno due anticorpi monoclonali diretti contro “programmed-death-receptor-1” (PD-1), nivolumab (NIVO) e pembrolizumab (PEMBRO) hanno dimostrato un’importante attività clinica in pazienti affetti da melanoma avanzato. In aggiunta, l’avanzamento delle conoscenze sui meccanismi molecolari che regolano la proliferazione delle cellule di melanoma con particolare riguardo al pathway delle MAP kinasi, e l’identificazione dello status mutazionale di BRAF quale driver della proliferazione delle cellule neoplastiche del lineage melanocitario, ha determinato un ulteriore radicale cambiamento nella gestione del paziente affetto da melanoma metastatico con l’avvento di nuovi farmaci inibitori di BRAF ed inibitori di MEK.
Attraverso il blocco di segnali regolatori intracellulari negativi inviati dal legame di CTLA-4 al suo controrecettore B7, Ipi determina l’attivazione dei linfociti T che possono anche svolgere un’attività anti-tumorale. Ipi è stato il primo agente immunoterapico che ha dimostrato di incrementare la sopravvivenza nei pazienti affetti da melanoma metastatico. Lo studio di fase III che ha portato alla registrazione del farmaco ha dimostrato che il trattamento con Ipi, somministrato con la schedula 3 mg/kg ogni 21 giorni per 4 cicli induce un vantaggio in termini di sopravvivenza globale in pazienti affetti da melanoma metastatico rispetto ad un vaccino peptidico gp100. La mediana di sopravvivenza (OS) è stata di 10,1 mesi per il braccio con Ipi vs 6,4 mesi per il braccio con il vaccino peptidico 1. L’effetto di Ipi è risultato indipendente da età, sesso, livello di LDH iniziale e precedenti trattamenti. Inoltre, la sopravvivenza a due anni è stata rispettivamente del 25% con Ipi e 13,7% con il vaccino1. Eventi avversi immunocorrelati (IrAEs) di grado 3-4 sono stati riportati nel 10-15% dei pazienti trattati con Ipi. In seguito ai risultati di tale studio, nel marzo 2011 Ipi è stato approvato con questo dosaggio e schedula dalla Food and Drug Administration (FDA) - e nel luglio 2011 anche dall’European Medicines Agency (EMA) e quindi dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) - per il trattamento del melanoma metastatico o localmente avanzato non
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resecabile resistente ad un precedente trattamento1. Al meeting ESMO 2012 sono stati presentati i risultati relativi ai pazienti trattati in Italia all’interno di un programma di “expanded access” (EAP) che prevedeva la somministrazione di Ipi al dosaggio di 3 mg/kg con schedula classica. È stato riportato un tasso di risposte, valutato secondo criteri “immunocorrelati” (irRC), del 12,3% e un controllo di malattia secondo irRC del 38%, confermando l’attività di Ipi anche in questo setting di pazienti che certamente identifica più fedelmente, rispetto agli studi registrativi, i soggetti trattati nella pratica clinica2. In tale casistica circa il 33,5% dei pazienti ha sviluppato un evento avverso relato al trattamento, il 6,5% di grado ≥32. Inoltre è stato riportato un “disease control rate” (DCR) valutato con irRC del 26,5% in pazienti con metastasi cerebrali3. In tale sottogruppo di soggetti Margolin et al. hanno riportato un DCR del 18% e 5% in pazienti che necessitavano o meno di terapia steroidea al basale, e che erano stati sottoposti a trattamento con Ipi4. In aggiunta, risultati interessanti sono emersi da uno studio condotto in Italia dal Network Italiano per la Bio-Immunoterapia dei Tumori (NIBIT), che prevedeva l’associazione di Ipi e fotemustina in pazienti affetti da melanoma metastatico (NIBIT-M1); 20/86 dei pazienti arruolati presentavano anche metastasi cerebrali al basale. In questo sottogruppo è stato riportato un tasso di DCR del 50% e un tasso di sopravvivenza a 3 anni del 28,5%5,6. Un’analisi retrospettiva, condotta sullo studio di fase II CA184004 in pazienti affetti da melanoma metastatico che ricevevano Ipi al dosaggio di 3 o 10 mg/kg ogni 3 settimane, seguito dalla fase di mantenimento, ha verificato il ruolo dello status mutazionale di BRAF. In questa casistica la presenza o meno della mutazione di BRAF non ha determinato una differenza statisticamente significativa tra i due gruppi di pazienti in termini di controllo della malattia a lungo termine (DDC)6,7. Ipi è stato inoltre testato in uno studio di fase III randomizzato, in combinazione o meno a DTIC, in pazienti affetti da melanoma metastatico che non
avevano ricevuto una prima linea di terapia per la malattia avanzata8. È stato riportato che la OS era significativamente superiore nei pazienti trattati con l’associazione Ipi e DTIC (11,2 vs 9,1 mesi). Inoltre, il vantaggio in OS nei soggetti che hanno ricevuto Ipi e DTIC si è mantenuto a 1 anno (47,3% vs 36,3%), 2 anni (28,5% vs 17,9%) e 3 anni (20,8% vs 12,2%). Eventi avversi di grado 3-4 relati al trattamento si sono verificati nel 56,3% dei pazienti trattati con Ipi/DTIC vs 27,5% dei pazienti trattati con DTIC/placebo8. I risultati di questo studio, in associazione ad altri, hanno recentemente portato all’estensione dell’indicazione di Ipi anche nei pazienti affetti da melanoma metastatico “treatment naive”. Gli anticorpi monoclonali diretti contro il recettore PD-1, rappresentano anticorpi di tipo immunomodulante di “2a generazione”. PEMBRO è un anticorpo monoclonale umanizzato di tipo IgG4-kappa recentemente approvato da FDA per il trattamento del melanoma metastatico in progressione di malattia dopo Ipi e/o BRAF-MEK inibitori nel caso dei BRAF mutati. Lo studio che ha portato all’approvazione del farmaco ha analizzato la somministrazione di PEMBRO al dosaggio di 2 mg/kg o 10 mg/kg ogni 3 settimane9. Sono stati trattati 173 pazienti e il tasso di risposte osservato è stato del 26% in entrambi i gruppi di pazienti. Il tempo mediano alla risposta è stato di 12 settimane sia con 2 mg/kg che con 10 mg/kg. La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è stata di 22 settimane per il dosaggio 2 mg/kg e 14 settimane per il gruppo a 10 mg/kg. Le risposte osservate nel sottogruppo BRAF wild type (WT) sono state superiori rispetto a quelle osservate nel sottogruppo BRAF mutati: 28% vs 19% rispettivamente. Il trattamento è stato ben tollerato, gli effetti collaterali più comuni osservati sono stati astenia (33-37%), prurito (26-19%), rash (18-18%). È stata riportata una tossicità di grado 3 (astenia) relata al farmaco9. NIVO è un anticorpo monoclonale di tipo IgG4 diretto anch’esso contro PD-1. Uno studio di fase III in pazienti affetti da melanoma metastatico in progressione dopo Ipi e BRAF inibitori nei BRAF mutati ha comparato NIVO vs chemioterapia
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(DTIC o carboplatino e paclitaxel)10. Sono stati trattati 268 pazienti. Obiettivi co-primari dello studio sono stati la percentuale di risposte obiettive (ORR) e la sopravvivenza globale (OS). Un’analisi prepianificata di ORR su 120 pazienti ha mostrato un tasso di risposte del 32% vs 11% per NIVO e chemioterapia rispettivamente. Il tempo mediano alla risposta è stato di 2,1 vs 3,5 mesi rispettivamente per NIVO e chemioterapia10. Il tempo mediano della durata della risposta in corso di NIVO non era ancora stato raggiunto al momento dell’analisi, mentre è stato di 3,6 mesi per il braccio chemioterapia. Le risposte cliniche osservate sono state indipendenti rispetto all’espressione di PD-L1 da parte delle cellule neoplastiche, dallo stato mutazionale di BRAF, e dal beneficio dal precedente trattamento con Ipi. La tossicità osservata di grado 3-4 relata al farmaco è stata del 9% e del 31% nel braccio NIVO e chemioterapia rispettivamente10. Recentemente sono stati inoltre riportati i risultati di uno studio di fase III randomizzato in doppio cieco che ha confrontato la somministrazione in prima linea di NIVO vs DTIC in pazienti BRAF non mutati. Obiettivo primario dello studio era la OS11. L’analisi ad un anno ha mostrato una OS del 72,9% e 42,1% con NIVO e DTIC, rispettivamente, con un tasso di risposte del 40% con NIVO vs 13,9% con DTIC. Anche in questo caso il beneficio clinico ottenuto con NIVO si è dimostrato indipendente dall’espressione di PD-L1 sul tumore11. In aggiunta a quanto sopra detto, nell’ambito delle terapie di combinazione Sznol et al hanno riportato durante l’ultimo congresso ASCO 2014 i risultati preliminari di uno studio di fase I di combinazione IPI/NIVO, dove emergono entusiasmanti tassi di sopravvivenza del 94% ed 88% rispettivamente ad 1 e 2 anni, con profili di tossicità sostenibili12.
TERAPIE TARGET La presenza delle mutazioni del gene di BRAF nelle cellule neoplastiche ha ulteriormente rivolu-
zionato il trattamento del melanoma. Sono state riportate inizialmente nel 2002, ed oggi sono disponibili farmaci che inibiscono selettivamente l’attività della proteina BRAF mutata. In particolare vemurafenib (Vemu) inibisce il “pathway” di proliferazione cellulare B-RAF/MEK/ERK nei pazienti recanti la mutazione V600 di BRAF. Lo studio BRIM3, che ha portato alla registrazione del farmaco, ha comparato la somministrazione di Vemu al dosaggio di 960 mg due volte al giorno per os vs DTIC al dosaggio di 1000 mg/m2 ev ogni 21 giorni in pazienti affetti da melanoma metastatico recanti la mutazione V600E di BRAF, non precedentemente trattati13. Il tasso di risposte è stato del 48% nel braccio con Vemu vs 5% nel braccio con DTIC, con una mediana di PFS di 5,3 e 1,6 mesi rispettivamente. Un recente aggiornamento ad un followup mediano di 12,5 mesi per i pazienti in trattamento con Vemu e 9,5 mesi per pazienti in trattamento con DTIC ha mostrato una sopravvivenza mediana di 13,6 mesi vs 9,7 nei pazienti trattati con Vemu e DTIC13. Un’analisi “post hoc” ha inoltre dimostrato che il beneficio relativo di Vemu vs DTIC era maggiore nei pazienti in stadio M1c con elevati livelli di LDH. I più comuni effetti collaterali di grado II riportati con il trattamento sono stati artralgia (21%), rash (18%), astenia (13%), alopecia (8%), fotosensibilità (12%), nausea (8%) e diarrea (8%). Inoltre nel 18% dei pazienti sono comparse lesioni cutanee di tipo squamoso che hanno richiesto l’escissione chirurgica13. L’attività di Vemu in pazienti affetti da melanoma metastatico con localizzazioni cerebrali è stata analizzata inizialmente in uno studio monocentrico. Sono stati trattati 24 pazienti con Vemu al dosaggio di 960 mg due volte al giorno per os. La PFS mediana è stata di 3,9 mesi, con una OS di 5,3 mesi. È stata riportata una regressione >30% nei pazienti con lesioni misurabili. Ulteriori segnali di attività sono stati la riduzione del dosaggio di steroidi a scopo antiedemigeno e il miglioramento del PS14. Un altro farmaco recentemente approvato per il trattamento dei pazienti affetti da melanoma me-
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tastatico anche dall’AIFA è il dabrafenib (Dabra), un inibitore selettivo reversibile del “pathway” della MAP chinasi. Lo studio registrativo BREAK-3 ha portato alla commercializzazione di Dabra15. Tale studio ha analizzato la somministrazione in soggetti recanti la mutazione V600E di Dabra al dosaggio di 150 mg per os due volte al giorno vs DTIC al dosaggio di 1000 mg/m2 ev ogni 21 giorni, in pazienti affetti da melanoma in stadio III o IV non operabile, non precedentemente trattati. Dabra ha dimostrato un incremento della PFS rispetto a DTIC (5,1 vs 2,7 mesi)15. Le percentuali di risposte obiettive sono state del 53% vs 19% con Dabra e DTIC rispettivamente. Gli effetti collaterali di grado 2 più osservati con Dabra sono stati ipercheratosi (12%), cefalea (5%), febbre (11%), artralgie ( 5%) e papillomi cutanei (24%)15. Uno studio di fase II ha verificato l’attività di Dabra in pazienti con localizzazioni cerebrali, in cui è stato riportato un tasso di risposte del 31% nei pazienti che avevano ricevuto un precedente trattamento per la malattia cerebrale, mentre nei pazienti “treatment naive” il tasso di risposte è stato del 39%16. Trametinib (Trame) è un inibitore selettivo di MEK1-2. Lo studio registrativo che ne ha portato all’approvazione da parte di FDA è una sperimentazione di fase III in pazienti affetti da melanoma metastatico recanti la mutazione di BRAF17. I pazienti sono stati randomizzati in rapporto 2 : 1 a ricevere Trame al dosaggio di 2 mg per os oppure DTIC al dosaggio di 1000 mg/m2 ev ogni 21 giorni. La PFS mediana è stata di 4,8 mesi nel gruppo che ha ricevuto Trame vs 1,5 mesi nel gruppo DTIC. OS a 6 mesi è stato di 81% vs 67% nel gruppo Trame e DTIC rispettivamente. Gli effetti collaterali di grado 2 maggiormente riportati sono stati rash (27%), astenia (9%), diarrea (6%) ed edema periferico. È stata anche riportata tossicità oculare nel 9% dei pazienti e una riduzione della frazione di eiezione cardiaca nel 7% dei pazienti17. Recentemente sono stati presentati i risultati di uno studio di fase III in doppio cieco, che comparava, in pazienti affetti da melanoma metastatico
non pretrattati e recanti la mutazione V600, il trattamento con Vemu e un inibitore di MEK (cobimetinib) vs Vemu e placebo. Sono stati randomizzati 495 pazienti, l’endpoint primario dello studio era la PFS18. È stata riportata una PFS mediana di 9,9 mesi nel braccio di combinazione vs 6,2 mesi nel gruppo in monoterapia con Vemu. Inoltre, il tasso di risposte obiettive è risultato del 68% nel gruppo di combinazione vs 45% nel gruppo di controllo. Il trattamento di combinazione è risultato associato ad una maggiore incidenza di eventi di grado 3, peraltro non statisticamente significativa, con riduzione di tumori secondari squamosi cutanei18. Un altro studio di fase III ha analizzato l’efficacia della combinazione di Dabra e Trame vs Dabra in pazienti affetti da melanoma metastatico non pretrattati19. Obiettivo primario dello studio era la PFS. Sono stati randomizzati 423 pazienti a ricevere Dabra al dosaggio di 150 mg per os due volte al giorno in associazione a Trame 2 mg per os una volta al giorno oppure Dabra in monoterapia. La PFS mediana è stata di 9,3 mesi nel gruppo di combinazione vs 8,8 mesi nel braccio con Dabra in monoterapia19. Il tasso di risposte è stato del 67% vs 51% nel braccio di combinazione e monoterapia rispettivamente. Il tasso di eventi avversi è stato simile nei due gruppi di pazienti, anche se nel gruppo di soggetti che ha ricevuto il trattamento di associazione si è assistito ad un maggior numero di riduzioni di dose. L’insorgenza di tumori squamosi cutanei è stata minore nel braccio di combinazione, mentre l’iperpiressia si è dimostrata di grado più elevato (grado 3: 6% vs 2%) e più comune (51% vs 28%) nel braccio di combinazione19. La combinazione di Dabra e Trame è attualmente approvata da FDA, come trattamento di I linea in pazienti affetti da melanoma metastatico.
QUALI EVIDENZE SULLE SEQUENZE Al momento non esistono evidenze prospettiche su questo argomento, ma solamente piccole casistiche retrospettive. Un primo studio ha analizzato
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pazienti BRAF mutati trattati in modo sequenziale con Vemu ed immunoterapia. Sono stati valutati complessivamente 47 pazienti di cui 16 avevano ricevuto immunoterapia prima di Vemu20. Il 75% di questo sottogruppo ha risposto al trattamento con Vemu e la mediana di sopravvivenza è stata di 31,2 mesi. Dieci pazienti, invece, hanno ricevuto Ipi a progressione dopo Vemu. Di questi, 5/10 sono deceduti entro 3 mesi dall’ultima dose di Vemu, e comunque tutti hanno avuto una progressione di malattia entro 6 mesi20. Un ulteriore studio retrospettivo ha riportato l’analisi di 34 pazienti, che hanno ricevuto in maniera sequenziale immunoterapia e terapia target. Fra questi, 6 hanno ricevuto Ipi seguito da inibitore di BRAF a progressione e 28 inibitore di BRAF e quindi Ipi. Di questi 28 pazienti, il 43% non ha completato il trattamento con Ipi per rapida progressione di malattia, mentre nessuno dei 6 che avevano ricevuto Ipi “first” ha avuto rapida progressione della malattia21. Recentemente è stata riportata un’ulteriore evidenza retrospettiva riguardante l’argomento che deriva dall’analisi di un sottogruppo di pazienti che hanno ricevuto Ipi all’interno del programma “expanded access” (EAP) in Italia22. In particolare sono stati analizzati 93 pazienti che hanno ricevuto in maniera sequenziale Ipi/BRAF inibitore o BRAF inibitore/Ipi; i pazienti trattati con Ipi e poi inibitori di BRAF hanno avuto una OS mediana di 14,5 mesi, i pazienti trattati con la sequenza inversa 9,9 mesi; è stata osservata una sopravvivenza mediana di 1,2 mesi nei pazienti trattati prima con inibitore di BRAF che non hanno completato il trattamento con Ipi. Al contrario, i pazienti che hanno completato il trattamento con Ipi hanno avuto una sopravvivenza mediana di 12,7 mesi22.
OTTIMIZZARE LA SEQUENZA NEI BRAF MUTATI E NON MUTATI Per i pazienti BRAF mutati sono al momento disponibili due categorie di farmaci (immunotera-
pia e BRAF inhibitor) molto efficaci, ma con caratteristiche diverse. La scelta di una sequenza ottimale permetterebbe al paziente di ottenere il massimo beneficio in termini di sopravvivenza. L’utilizzo nei pazienti affetti da melanoma metastatico di un inibitore di BRAF ha il chiaro vantaggio dell’alto tasso di risposte obiettive di malattia, circa il 50% sia con Vemu che con Dabra13,15. In entrambi i casi, gli studi registrativi riportano una PFS di 6,9 mesi e le risposte cliniche si ottengono in tempi molto rapidi13,15. Nello studio BRIM-3 la sopravvivenza mediana di 13,6 mesi ottenuta con Vemu è stata significativamente superiore rispetto a quella ottenuta con DTIC. Lo studio BREAK-3 ha riportato una mediana di 18,2 mesi di sopravvivenza nei pazienti trattati con Dabra, anche se il campione di pazienti per questo studio non era stato previsto per la valutazione della sopravvivenza13,15. Risulta quindi difficile la comparazione tra i due farmaci e la scelta clinica, basata solamente sugli endpoint degli studi clinici sopra-citati, ma il diverso profilo di tossicità può essere un dato su cui riflettere sulla base delle caratteristiche del paziente in esame. Lo studio BRIM-2 ha riportato una sopravvivenza mediana di 15,9 mesi in pazienti affetti da melanoma metastatico precedentemente trattati e sottoposti a terapia con Vemu con la schedula e dosaggio classici13. In tale studio si è sottolineata l’attività del farmaco non solo in prima linea, ma anche nei pazienti precedentemente trattati. Nell’ambito quindi della scelta terapeutica deve essere considerato che gli inibitori di BRAF possono essere attivi in qualsiasi linea terapeutica vengano utilizzati23. L’insorgenza di tumori cutanei squamosi in corso di terapia con inibitore di BRAF e l’insorgenza di resistenza in corso di trattamento con inibitori di BRAF rappresentano però fattori da considerare nel caso di tali trattamenti. Risultati derivanti dagli studi con Vemu in pazienti pretrattati e non mostrano che circa il 50% dei pazienti in progressione dopo BRAF inibitore ha un decorso sfavorevole in tempi molto rapidi13,21,23. Al contrario della somministrazione di BRAF inibitore “upfront”, il vantaggio del trattamento con
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Ipi “upfront” è rappresentato dalla durata della risposta, anche se il tasso di risposte obiettive, rispetto al trattamento con “target therapies”, sia notevolmente inferiore, attestandosi intorno al 10-15%. In una recente “pooled analysis” di 12 studi è stata riportata una sopravvivenza a 3 anni del 64% quando Ipi veniva utilizzato “upfront”24. Dalla medesima analisi erano presenti anche dei pazienti con un follow-up fino a 10 anni. Tra gli aspetti da valutare nell’utilizzo in prima linea di Ipi bisogna considerare il tempo necessario al farmaco per attivare il sistema immunitario, che sembrerebbe di circa 3 mesi. Per tale motivo sembrerebbe preferibile utilizzare Ipi ‘upfront’ in pazienti con aspettativa di vita adeguata e con una cinetica di progressione della malattia non troppo veloce (figura 1). Tra gli aspetti da considerare nell’applicazione in prima linea di Ipi vi sono la PFS mediana e gli effetti collaterali IrAEs. Questi ultimi attualmente risultano facilmente gestibili attraverso l’impiego delle apposite linee guida. In considerazione del limitato tasso di risposte cliniche obiettive in corso di Ipi, e del tempo necessario ad ottenerle a differenza degli inibitori di BRAF, sembrerebbe preferibile utilizzare Ipi “upfront” in pazienti con aspettativa di vita adeguata e con una cinetica di progressione della malattia non troppo veloce (figura 1)24.
Queste considerazioni determinanti andranno ridiscusse nel momento in cui saranno disponibili anticorpi anti-PD-1, in quanto i tassi di risposta obiettiva di malattia sono più elevati e i tempi necessari per ottenerla sono notevolmente più brevi rispetto al trattamento con Ipi9,10. Nel caso dei pazienti con malattia BRAF WT, i dati disponibili in letteratura sono ancora più limitati. In questi casi, compatibilmente con le condizioni cliniche generali del soggetto, la valutazione di protocollo clinico con agenti target (NRAS e CKit mutati), se disponibili, è mandatoria. Inoltre, le opzioni attualmente disponibili sono il trattamento con Ipi in prima linea o trattamento chemioterapico in considerazione del carico delle condizioni cliniche generali del paziente, del carico di malattia, della presenza o meno di metastasi cerebrali, e della velocità di progressione della malattia (figura 1).
CONCLUSIONI I recenti progressi nella cura del melanoma hanno radicalmente cambiato lo scenario delle opzioni terapeutiche disponibili per questi pazienti. I risultati di studi “ongoing” di immunoterapia in associazione/sequenza a terapia “target” potranno aggiungere informazioni sulla migliore strategia
FIGURA 1 Algoritmo terapeutico del melanoma metastatico. Modificata da Jang e Atkins 201325
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terapeutica sia nei soggetti BRAF mutati che non. Inoltre, l’imminente disponibilità di anticorpi antiPD1 contribuirà indubbiamente a modificare ulteriormente l’attuale algoritmo terapeutico del mela-
noma metastatico. Infine, ulteriori aggiustamenti nella sequenza/somministrazione concomitante di agenti innovativi potrà derivare dai risultati degli studi traslazionali in corso.
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