Pediatria magazine vol 3 | num 1-2 | 2013 | ALLEGATO

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Poste Italiane spa – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, Aut. GIPA/C/RM/13/2011 – I.R.

Epilessia:

conoscerla meglio e gestirla

Cangurini

di

Magazine della Società Italiana di Pediatria


2

P

Epilessia: conoscerla meglio e gestirla

Bambini complessi

Parlare di epilessia e della terapia di questo quadro patologico significa affrontare un problema rilevante in termini di epidemiologia e di complessità di gestione. Si stima che da 19 a 70 nuove prime crisi e da 24 a 53 nuovi casi di epilessia vengano osservati ogni 100.000 persone, con una leggera prevalenza nel sesso maschile. L’interesse del pediatra per questa patologia è elevato perché l’incidenza è maggiore nel primo anno di vita. Se concentriamo la nostra attenzione sulle convulsioni febbrili, le dimensioni del problema sono ragguardevoli: queste riguardano circa il 5% dei bambini entro il terzo anno di vita. Che i bambini siano un gruppo di età per il quale l’attenzione verso le manifestazioni dell’epilessia sia elevata è naturale: le malattie genetiche e l’asfissia perinatale sono spesso associate a un danno neurologico che può esprimersi con l’epilessia. A seconda del tipo di sindrome, le epilessie possono avere diversa prognosi, ma spesso si tratta di malattie di lunga durata con un quadro non sempre prevedibile, che necessita di aggiustamenti della terapia. Il bambino con epilessia è frequentemente un bambino complesso, che ha bisogno di essere seguito attentamente. In termini generali l’epilessia è associata ad un aumento della mortalità non solo legata alle crisi convulsive, ma anche agli incidenti e ai traumi associati. Non a caso i genitori dei bambini affetti da questo tipo di patologia vengono sempre istruiti alla sorveglianza delle attività ludiche ed altre attività della vita di tutti i giorni che possono rappresentare un pericolo in caso di perdita di coscienza durante una crisi. Inoltre, le comorbilità osservate frequentemente in questa patologia e l’effetto della terapia possono essere associati a reali difficoltà di apprendimento per il bambino. Questo comporta una serie di misure di sostegno che non semSupplemento a “Pediatria” realizzato con il contributo incondizionato di ViroPharma SPRL

Pediatria

anno 3 | numero 1-2 gennaio-febbraio 2013

Magazine ufficiale della Società Italiana di Pediatria (SIP) via Gioberti 60, 00185 Roma Tel. 06 4454912 www.sip.it redazione@sip.it

Alberto E. Tozzi Coordinatore Area di Ricerca malattie multifattoriali e fenotipi complessi, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

pre vengono rese disponibili anche in ambiente scolastico. La famiglia dei bambini che soffrono di epilessia è inoltre naturalmente sottoposta allo stress che deriva dalla gestione di un bambino con una malattia cronica. Lo stesso bambino con epilessia può sviluppare problemi della sfera comportamentale ed emozionale, fino alla scarsa stima personale e alla depressione, specie quando la malattia rappresenta uno stigma nella comunità in cui vive il bambino: quella scolastica, per esempio. Oltre a rappresentare un problema sociale non indifferente per la possibile discriminazione, questa patologia è difficile da affrontare anche dal punto di vista della gestione medica e logistica. È per questo che l’impatto della malattia sui costi è rilevante anche nel nostro Paese: circa 2 miliardi di euro l’anno, inclusi 500 milioni di euro per sole spese mediche. È evidente quindi che la terapia farmacologica dell’epilessia si inserisce in un contesto più complesso rispetto ad altre malattie. Gi stessi genitori e la famiglia del bambino sono sottoposti ad una continua attenzione verso il controllo della posologia dei farmaci e alla regolarità nell’assunzione delle dosi. La terapia

Direttore Scientifico Giovanni Corsello Direttore Cinthia Caruso Board Editoriale Rino Agostiniani, Liviana Da Dalt, Domenico Minasi, Andrea Pession, Alberto Tozzi, Davide Vecchio Redazione David Frati, Sabrina Buonomo, Marina Macchiaiolo, Manuela Moncada

Pubblicità e promozione Tiziana Tucci Tel. 06 862 82 323 t.tucci@pensiero.it Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 586/2002 Abbonamenti 2013

Individuale E 40,00 Istituti, enti, biblioteche E 80,00 Estero E 120,00

dell’epilessia non è eziologica e ha lo scopo di prevenire la ricorrenza delle crisi. Talvolta la somministrazione di molecole e dosi opportune può avere effetti secondari come l’eccessiva sedazione o le reazioni allergiche. Inoltre, il trattamento dell’epilessia nel bambino presenta condizioni peculiari nelle quali la terapia deve essere programmata non solo in base alla sintomatologia clinica, ma anche rispetto alla accettabilità della terapia da parte del paziente e della famiglia per modalità di somministrazione e profilo di tollerabilità. Una terapia che abbia impatto sul controllo delle crisi croniche deve infatti essere assunta con regolarità per garantire costanti livelli ematici del farmaco. La discussione scientifica sull’approccio terapeutico più adeguato è rilevante proprio per la necessità di conciliare le caratteristiche farmacologiche del principio attivo con la possibilità di gestire la terapia con la massima maneggevolezza. In termini di impatto una terapia efficace dovrebbe garantire il controllo delle crisi, un minore ricorso ai servizi sanitari – soprattutto in urgenza – e una buona qualità di vita. Sono disponibili linee-guida sulla gestione e la terapia dell’epilessia del bambino. In particolare due documenti meritano attenzione: una linea-guida pubblicata dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) e una italiana pubblicata dal Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (SNLG). Questi documenti affrontano il problema della standardizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche del­ l’epilessia in modo puntuale. Come per altre patologie, la diffusione di informazioni che possono guidare la scelta del medico, del paziente e delle loro famiglie e che sono basate sul­l’evidenza è fondamentale per guidare scelte che possano conciliare le esigenze del singolo paziente con l’efficacia continuativa delle terapie. 

Allegato a cura di Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel. 06 862 821 Fax 06 862 82 250 www.pensiero.it www.facebook.com/ PensieroScientifico twitter.com/ilpensiero Direttore responsabile Giovanni Luca De Fiore

Progetto grafico e impaginazione Typo srl, Roma Immagini © 2013 Photos.com Stampa Arti Grafiche Tris, Roma febbraio 2013 I contenuti presentati in questo allegato riflettono le opinioni degli autori e non impegnano necessariamente la Società Italiana di Pediatria


Cangurini di

L’iniziativa PERFECT

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I

In una percentuale di pazienti pediatrici che può arrivare fino al 20% l’epilessia – seppur trattata farmacologicamente – non è ben controllata, con un rischio concreto di recidive. Alcuni di questi bambini vengono colpiti da crisi convulsive acute prolungate che, se non controllate, possono portare a stato di male epilettico (SE), una condizione associata ad una significativa morbilità e ad un tasso di mortalità compreso tra il 2,7% e l’8%. Le crisi convulsive acute prolungate hanno una probabilità nettamente più elevata di remissione se trattate in fase precoce con benzodiazepine, idealmente entro una finestra di 5-10 minuti dall’insorgenza. La maggior parte delle crisi insorge fuori da un ambito medico e i bambini colpiti sono in stato di incoscienza durante una crisi convulsiva acuta prolungata, quindi dipendono dalla presenza di un caregiver adeguatamente addestrato che possa somministrare loro un trattamento. L’iniziativa “Practices in Emergency and Rescue medication For Epilepsy managed with Community administered Therapy”

Wait S et al. The administration of rescue

medication to children with prolonged acute convulsive seizures in the community: what happens in practice? Eur J Paediatr Neurol 2013;14-23.

Ettore Beghi

Federico Vigevano

Dipartimento Neuroscienze, Laboratorio Malattie Neurologiche dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano

UO Neurologia Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

(PERFECT) è partita nel 2011 per contribuire a una più profonda comprensione della gestione medica delle crisi convulsive acute prolungate e del trattamento d’urgenza in ambiti non ospedalieri in sei Paesi d’Europa (Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia, Gran Bretagna). PERFECT è articolata in tre step: 1. Un’analisi sul campo delle linee-guida cliniche, delle policy e del contesto legale che regolano la somministrazione di trattamenti d’urgenza a pazienti pediatrici epilettici in ambito di comunità. 2. Una survey su un campione di operatori sanitari per indagare la loro percezione dell’assistenza fornita ai pazienti pediatrici con epilessia in strutture ambulatoriali. 3. Una survey su un campione di pazienti e caregiver per esplorare il loro punto di vista sulla qualità dell’assistenza medica ricevuta fuori dall’ambito ospedaliero. I dati PERFECT rivelano che linee-guida cliniche e raccomandazioni non cliniche esistono in qualche forma in gran parte dei Paesi presi in esame, ma che la loro implementazione e applicazione pratica è spesso a dir poco imperfetta. In particolare in Italia esistono linee-guida cliniche che offrono poche informazioni sulla gestione delle crisi convulsive acute prolungate insorte fuori dal contesto ospedaliero. Le indicazioni nazionali per la somministrazione di farmaci nelle scuole tendono a essere datate e l’implementazione delle intese a livello regionale è molto variabile. Il diritto dei bambini a ricevere un’educazione scolastica completa indipendentemente dal loro stato di salute è san-

cito solennemente dalla Legge 104/92; eppure l’applicazione pratica di questo principio tra i bambini epilettici che hanno bisogno di trattamento d’urgenza rimane vaga e aperta a diverse interpretazioni. Cosa ancora più importante, non esiste un obbligo legale per personale docente e non docente di somministrare tale trattamento a scuola, il che significa quasi sempre che la responsabilità legale ricade sui genitori, che dovrebbero abbandonare ogni attività lavorativa per essere a portata di intervento in caso d’emergenza. Gli insegnanti, dal canto loro, potrebbero astenersi dall’assumersi tale responsabilità per timore di responsabilità legali. Le crisi convulsive acute prolungate costituiscono una emergenza sanitaria; eppure la consapevolezza della loro gravità e la conoscenza della modalità di gestione delle crisi nei vari contesti non ospedalieri rimangono molto poco diffuse tra gli operatori sanitari e nel pubblico generale. Una informazione più chiara e approfondita è necessaria per aumentare la consapevolezza a tale riguardo. Idealmente, ogni bambino con una storia di crisi convulsive acute prolungate dovrebbe essere oggetto di un protocollo di assistenza sanitaria che stabilisca un chiaro link tra il medico curante e il personale scolastico. Un training specifico sul trattamento d’urgenza delle crisi dovrebbe essere offerto a tutti i caregiver coinvolti nella cura del bambino. Infine, sono necessarie ed urgenti linee-guida esaustive che assicurino che i bambini con crisi convulsive acute prolungate siano trattati il più tempestivamente possibile, indipendentemente dal luogo in cui le crisi insorgono. 


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Epilessia: conoscerla meglio e gestirla

Le crisi convulsive

nei bambini

L

Bernardo Dalla Bernardina Direttore UO Neuropsichiatria Infantile, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata Verona Policlinico “Giambattista Rossi”

Le crisi convulsive in età pediatrica costituiscono un evento frequente, in quanto – in particolare nei primi anni di vita – vi è un’elevata incidenza non solo delle epilessie ma delle Crisi Occasionali (CO) e delle Crisi (Convulsioni) Febbrili (CF). Le Crisi Occasionali, meglio definite come Crisi Acute Sintomatiche (Beghi et al, 2010), si definiscono come quelle che occorrono in occasione di un insulto sistemico o cerebrale acuto (metabolico, tossico, infiammatorio, anosso-ischemico etc.). Possono essere febbrili o afebbrili. Costituiscono il 34% di tutte crisi afebbrili (Hauser et al, 1996) e la percentuale sale al 55% di tutte le crisi se si considerano anche quelle febbrili. La loro incidenza relativa varia molto a seconda della fascia di età considerata. In una popolazione di età inferiore ai 7 anni sono meno frequenti delle CF (Ellenberg et al, 1984) ma predominano su queste nei primi mesi di vita. Nella maggioranza dei casi comunque sopravvengono entro il 3° anno di vita (Dalla Bernardina et al, 1983) in quanto è in questa fascia di età che si verificano più frequentemente molte delle condizioni di insulto sistemico o cerebrale (disordine elettrolitico, disidratazione acu-

ta, meningiti, traumi etc.). Si tratta perlopiù di crisi generalizzate o parziali con o senza generalizzazione secondaria di durata variabile, spesso ricorrenti nel corso dell’evento acuto. La prognosi è sostanzialmente condizionata dalla patologia di base e il trattamento antiepilettico può risultare inefficace se non viene trattata la causa scatenante. Va tenuto comunque presente che il trattamento antiepilettico risulta tanto più efficace quanto più precocemente è instaurato (Riviello, 2009). Nel caso l’evento acuto si sia risolto senza esiti le CO non sono destinate a ricorrere e pertanto il mantenimento nel tempo del trattamento non appare giustificato. Le Crisi Febbrili costituiscono la forma di crisi epilettica più comune dell’infanzia. La


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Cangurini di

34 % Percentuale di Crisi Occasionali (CO) tra le crisi afebbrili

3-5 % Prevalenza delle

Crisi Febbrili (CF) nella popolazione under 7

6,4 % Incidenza di Epilessia

nei soggetti che hanno avuto Crisi Febbrili

prevalenza nella popolazione di età inferiore ai 7 anni è compresa tra il 3 ed il 5% (Annegers et al, 1987,1990 – Sillanpää et al, 2008). Vengono suddivise in semplici e complesse (Nelson, Ellenberg 1978 – AAP 2008, 2011). Si definisce “semplice” la CF convulsiva generalizzata di durata inferiore ai 15 minuti che non ricorre nelle successive 24 ore e che insorge in corso di stato febbrile non sostenuto da una patologia cerebrale acuta in un bambino di età compresa tra i 6 mesi ed i 5 anni che presenti uno sviluppo psicomotorio normale e non abbia precedentemente presentato crisi afebbrili. Si definisce “complessa” la CF parziale o generalizzata di durata superiore a 15 minuti o che ricorre nelle 24 ore e/o associata a deficit postcritico o ancora ad una compromissione dello sviluppo. Anche nel caso la crisi sia stata di durata inferiore ai 15 minuti ma solo in quanto interrotta da un adeguato trattamento farmacologico (benzodiazepina) va comunque considerata complessa (Knudsen, 2000). Nella maggioranza dei casi la prognosi delle CF a lungo termine è eccellente. Il rischio maggiore a seguito di una prima CF è costituito dalla sua possibile ricorrenza, che si verifica in circa un terzo dei casi (Berg et al, 1992 – Knudsen, 2000). I più significativi fattori di rischio sono considerati l’esordio precoce (<15 mesi) e la familiarità per CF. Altri fattori sono la familiarità per epilessia, l’elevata ricorrenza di episodi febbrili e un rialzo termico poco elevato al momento della crisi. Con l’aumentare dei fattori di rischio la probabilità di ricorrenza supererebbe il 50%. Il rischio viceversa di presentare un’epilessia in un soggetto con pregresse CF è relativamente basso nel caso di CF semplici (1-1,5%) contro lo 0,5% approssimativo della popolazione generale, mentre è significativamente più elevato, compreso tra il 4 ed il 15%, nel caso di CF complesse (Sapir et al, 2000). Nel caso la crisi abbia una durata superiore ai 30 minuti o si realizzi la ricorrenza di crisi senza recupero della coscienza tra le medesime la condizione viene definita Stato Epilettico Febbrile (O’Donohoe, 1992 – Knudsen, 2000). Un recente studio prospettico (Neligan et al, 2012) riguardante una popolazione di 181 soggetti seguiti per più di 20 anni ha mostrato come solo il 6,4% presenti un’epilessia. Le epilessie che possono manifestarsi successivamente ad una o più CF sono di natura e tipo diverso: Epilessie Parziali Sintomatiche, Epilessie Idiopatiche Generalizzate (Epilessia Assenze Piccolo Male) e Parziali (in particolare Epilessia Parziale Benigna con Parossismi Rolandici). Particolare attenzione è stata dedicata nel tempo alle forme di epilessia parziale di natura sintoma-

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Epilessia: conoscerla meglio e gestirla tica, in particolare all’epilessia temporale da sclerosi ippocampale. L’ipotesi di un nesso causale è suffragata dall’elevata incidenza di pregresse CF in soggetti adulti con sclerosi ippocampale sottoposti a trattamento chirurgico (MacDonald et al, 1999) e dalla più recente osservazione di frequente riscontro di evidenza alla RMN di insulto ippocampale acuto nelle 72 ore successive ad uno stato epilettico febbrile (Nordli et al, 2012). Il rapporto tra CF e sclerosi ippocampale risulta a tutt’oggi complesso e non chiarito. L’eziologia della sclerosi ippocampale può essere diversa in diversi soggetti. Nei casi nei quali la causa sarebbe costituita dalle pregresse CF la prognosi a lungo termine sembrerebbe essere più favorevole (Thom et al, 2010). Un problema diagnostico complesso è costituito da quelle condizioni cliniche nelle quali le CF costituiscono l’esordio di un’epilessia caratterizzata tipicamente dalla ricorrenza di crisi febbrili e non febbrili. Il migliore esempio è costituito dalla Sindrome di Dravet, il cui esordio è tipicamente costituito dalla ricorrenza a partire dal 4°-8° mese di vita di crisi febbrili prolungate usualmente lateralizzate realizzanti sovente uno stato di male unilaterale (Dravet, 2005). Tale forma, frequentemente associata ad una mutazione del gene SCN1A, si caratterizza per la ricorrenza nel tempo di stati di male convulsivi e la comparsa di altri tipi di crisi farmacoresistenti. La diagnosi differenziale con le CF nella fase iniziale si basa sulla precocità di comparsa delle crisi , la loro elevata frequenza di ricorrenza in stato e la fenomenologia unilaterale delle medesime (Hattori, 2008 – Cross, 2012). Una condizione per alcuni aspetti simile è costituita dall’epilessia che si osserva nelle femmine portatrici di una mutazione del gene PCDH19 (Marini et al, 2010, 2012). Anche in questa forma ad esordio nel 1°-2° anno di vita vi è una elevata ricorrenza di eventi febbrili di crisi di tipo parziale complesso con marcata componente affettiva, ricorrenti in cluster, realizzando in alcuni casi uno stato di male febbrile con crisi subentranti

17-23 per 100.000 Incidenza dello Stato di Male Epilettico Convulsivo (SEC) in età pediatrica

20-30 % Rischio di epilessia a 2

anni dal primo episodio di Stato di Male Epilettico (SE)

3-8 % Tasso di mortalità

entro un mese dallo Stato di Male Epilettico (SE)


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Cangurini di

(Specchio et al, 2011). Nel caso in cui la crisi non termini in qualche minuto il rischio comune alle diverse condizioni descritte è che si realizzi uno Stato di Male Epilettico (SE), in particolare uno Stato di Male Epilettico Convulsivo (SEC). Lo SE febbrile e non febbrile è (Chin et al, 2006) la più frequente complicanza neurologica dell’età pediatrica con un’incidenza compresa tra 17 e 23 per 100.000 bambini per anno. È definita SEC (International League Against Epilepsy ILAE, 1993) la condizione caratterizzata dal ricorrere di una o più crisi non intercalate da recupero della coscienza (SEC Intermittente) o da occorrenza di una singola crisi di durata superiore a 30 minuti (SEC Continuo). Va comunque tenuto presente che una crisi convulsiva di durata superiore a 10’ ha poche probabilità di risolversi spontaneamente (Shinnar et al 2001, 2008, Lewena et al 2009). Circa il 15% dei pazienti pediatrici con precedente diagnosi di epilessia presenta almeno uno SE nel corso della sua storia (Sillanpää et al, 2002); nel 10-20% dei casi lo SE ne costituisce la modalità di esordio (Chin et al, 2006). Patologie neurologiche quali malformazioni corticali e malattie genetiche, associate ad epilessia, possono esordire più o meno precocemente con uno SE e recidivare nel corso dell’evoluzione con altri episodi di SE (circa il 16% entro i successivi 12 mesi), mentre il rischio di recidiva dopo un primo

episodio di SE in corso di febbre è stimato del 17% circa. Il rischio di sviluppare un’epilessia – generalmente focale – dopo due anni dal primo episodio di SE è stimato tra il 20 ed il 30% nei pazienti pediatrici (Metsaranta et al, 2004). Sequele neurologiche, prevalentemente deficit cognitivi correlati sia alla durata che alla eziologia dello SE sono presenti in percentuale variabile (Raspall-Chaure et al, 2006). La mortalità entro un mese dallo SE varia dal 3 all’8% ed è correlata all’eziologia piuttosto che alla durata dello SE (Prasad et al, 2007). Le convulsioni febbrili prolungate che realizzano uno SEC rappresentano circa 1/3 di tutti gli SEC in età pediatrica (Raspall-Chaure et al, 2006). Le SEC febbrili dovute a infezioni del SNC sono circa il 10%, mentre nei bambini con problemi neurologici preesistenti una malattia intercorrente febbrile può scatenare uno SEC nel 22% dei casi. Nei bambini di età compresa tra i 4 ed i 10 anni lo SE è associato più frequentemente ad un’Epilessia Idiopatica o Criptogenetica. L’occorrenza di crisi convulsive può verificarsi infine in molte epilessie e sindromi epilettiche dell’infanzia. In alcune tuttavia la crisi convulsiva parziale o generalizzata costituisce un evento particolarmente frequente. Oltre alle forme caratterizzate dalla ricorrenza di crisi febbrili ed afebbrili sopra ricordate si annoverano oltre alle forme parziali farmacoresistenti quali l’Epilessia dell’Infanzia con Crisi Parziali Migranti (Coppola, 2009 – Caraballo et al, 2008) anche forme idiopatiche quali le Crisi Infantili Famigliari Benigne (Vigevano, 2005) e l’Epilessia Benigna a Parossismi Rolandici (Dalla Bernardina et al, 2005) nelle quali possono verificarsi rispettivamente stati di crisi in cluster o crisi unilaterali di lunga durata. In tutte queste forme esiste un rischio più o meno elevato di veri e propri stati di male. Concludendo, le crisi convulsive in età pediatrica costituiscono un evento frequente che può verificarsi per condizioni diverse (Crisi Occasionali, Crisi Febbrili, Epilessia). Nel caso non si esauriscano spontaneamente in qualche minuto possono sfociare in uno stato epilettico. Quanto più dura la crisi, tanto più è improbabile che termini spontaneamente. Indipendentemente dalla causa lo stato epilettico può esitare nella comparsa di deficit neuropsichici di diverso tipo e grado e costituisce inoltre rischio di ricorrenza di stato di male. Risulta pertanto auspicabile che al bambino che presenta una crisi che non si esaurisca spontaneamente in pochi minuti venga garantito un adeguato trattamento (benzodiazepina) tempestivo. 

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Epilessia: conoscerla meglio e gestirla

Uso del midazolam: aspetti clinici

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Le crisi convulsive prolungate (>5’) o subentranti rappresentano una emergenza neurologica. In generale, gli episodi convulsivi prolungati sono gravati da una marcata morbilità e mortalità in relazione sia ai fattori causativi specifici sia alla possibilità di danno neurologico indotto dalla stessa manifestazione convulsiva (Guerrini, 2006). Ciò non si applica tuttavia a tutti i soggetti in quanto esistono quadri sindromici in cui non vi è alcuna evidenza di conseguenze neurologiche dopo manifestazioni convulsive prolungate. Vi è consenso internazionale sulla necessità di arrestare farmacologicamente le manifestazioni convulsive la cui durata eccede i 5 minuti e quelle che, anche se più brevi, preannunciano un cluster di crisi in ragione dello stato o delle caratteristiche di un determinato paziente (Wolf, 2011). In Italia, come in altri Paesi, si è da molti anni diffuso l’uso del diazepam rettale per interrompere le crisi convulsive in ambiente extraospedaliero o nei reparti di Pronto soccorso. L’emivita di eliminazione del diazepam varia da 21 a 70 ore, con conseguente sedazione prolungata che può ritardare il ritorno del paziente allo stato di normalità e compromettere la possibilità di effettuare una valutazione clinica accurata. Inoltre, in caso di reazione paradossale, con induzione di stato di agitazione da parte del diazepam, il bambino resterà ipercinetico e di difficile valutazione per molte ore. La somministrazione di diazepam per l’interruzione di crisi prolungate è pertanto gravata da effetti indesiderati le cui conseguenze possono prolungarsi nel tempo. La somministrazione rettale, garantendo un assorbimento abitualmente rapido ma talvolta incerto, implica una procedura che può creare disagio sia negli operatori che nel soggetto che la subisce, specialmente se di età non più infantile. Il midazolam buccale per assorbimento oromucoso è stato usato in tre studi clinici controllati in cui la sua efficacia è stata comparata con quella del diazepam rettale nel trattamento delle crisi convulsive prolungate in età evolutiva (Scott et al, 1999; McIntyre et al, 2005; Mpimbaza et al, 2008). L’efficacia clinica di midazolam buccale è anche stata oggetto di una meta-analisi (McMullan et al, 2010).

Lo studio di Scott et al ha valutato efficacia e sicurezza del midazolam per via oromucosa rispetto al diazepam rettale per il trattamento in acuto delle crisi convulsive, delle crisi parziali e di altre manifestazioni critiche. Questo studio ha considerato il numero di episodi interrotti entro 10 minuti dalla somministrazione, il tempo intercorso fra l’arrivo del personale infermieristico che ha somministrato il farmaco e la somministrazione (indice indiretto della durata dell’episodio) e il tempo intercorso tra somministrazione e cessazione della manifestazione convulsiva. Il 75% degli episodi trattati con midazolam e il 59% di quelli trattati con diazepam rettale si è risolto entro 10 minuti (P = 0,16) con un valore di mediana di latenza per la comparsa dell’effetto terapeutico di 6 minuti per midazolam e di 8 minuti per diazepam. In questo studio non vi è stata una differenza significativa nel numero delle reazioni avverse. Gli autori hanno concluso per una efficacia comparabile del midazolam per via oromucosa rispetto al diazepam rettale ma per una maggiore praticità della via di somministrazione oromucosa in ambito extraospedaliero. Dallo studio di McIntyre et al appare che elementi clinici molto rilevanti a favore di una maggiore efficacia del midazolam sono il tempo più breve fra la somministrazione del farmaco e l’arresto della manifestazione convulsiva, il numero maggiore di convulsioni arrestate entro i 10 minuti e il numero minore di episodi convulsivi ricorrenti dopo la somministrazione. Episodi di depressione respiratoria si sono verificati in modo eguale in entrambi i gruppi. Lo studio di Mpimbaza et al ha ancora comparato, in modo randomizzato, in singolo e in cieco, l’efficacia di midazolam per via oromucosa verso quella del diazepam rettale per il trattamento delle crisi prolungate. Sono stati valutati il controllo delle convulsioni entro 10 minuti e l’assenza di recidive nell’ora successiva alla somministrazione. In questo studio un’assenza di efficacia della singola somministrazione di farmaco è stata osservata in 71/165 pazienti trattati con diazepam rettale e in 50/165 di quelli trattati con midazolam per via oromucosa (P = 0,016). La differenza è risultata più evidente nel sottogruppo di pazienti in cui


9

Cangurini di

21 70 ore Emivita di eliminazione Da a

di diazepam

75% midazolam 59% diazepam rettale

Crisi convulsive e crisi parziali interrotte entro 10 minuti dalla somministrazione

17,5

% diazepam rettale % midazolam

8

Rischio di recidiva nella prima ora dopo la somministrazione

l’eziologia non era correlata alla malaria. Anche il rischio di recidive nella prima ora dopo la somministrazione è risultato significativamente più alto nei pazienti trattati con diazepam rettale (17,5% vs 8%, P = 0,026). Non vi è stata differenza nella distribuzione degli episodi di depressione respiratoria fra i due gruppi. Nel complesso pertanto nei tre studi controllati, condotti su un totale di 535 pazienti in età pediatrica di cui 271 trattati con midazolam per via oromucosa, questo farmaco si è dimostrato più efficace o di efficacia analoga, rispetto al diazepam rettale, con una maggiore facilità e accettabilità d’uso, confermata anche dall’opinione dei pazienti e dei genitori o del personale sanitario. Uno studio successivo (Nakken, Losius, 2011), condotto con modalità analoghe ai precedenti ma su pazienti adulti, ha confermato i dati rilevati dai tre studi in età pediatrica. Il profilo di sicurezza del midazolam è ben conosciuto in ragione dell’uso consolidato da tempo per via endovenosa e dei trial per via oromucosa. La somministrazione oromucosa appare ben tollerata. Non vi sono stati effetti avversi clinicamente rilevanti segnalati e l’incidenza di depressione repiratoria è apparsa comparabile a quella osservata con l’uso di diazepam rettale (McIntyre et al, 2005; Mpimbaza et al, 2008; Scott et al, 1999). Midazolam per via oromucosa è attualmente considerato il trattamento ‘pre-ospedaliero’ di elezione per le convulsioni prolungate e lo step iniziale raccomandato per ogni protocollo di approccio farmacologico al trattamento dello stato di male convulsive o delle crisi subentranti (Guerrini, 2006). Vi sono ulteriori vantaggi pratici che l’uso di un preparato somministrabile per via oromucosa offre rispetto ad altre vie di somministrazione, come la possibilità di uso rapido anche senza una via venosa disponibile, l’uso in soggetti immobilizzati e in quelli che presen-

Nakken KO, Lossius MI. Buccal midazolam

or rectal diazepam for treatment of residential adult patients with serial seizures or status epilepticus. Acta Neurol Scand 2011;124(2):99-103 doi: 10.1111/j.16000404.2010.01474.x.

tano crisi toniche; situazioni in cui l’accesso alla via rettale può essere particolarmente difficile. Un vantaggio di grande rilievo che il midazolam offre rispetto al diazepam è legato alla emivita più breve. La breve durata di azione del midazolam consente di evitare una sedazione prolungata, favorendo recupero più rapido dello stato vigile e una più corretta valutazione clinica post critica. Da settembre 2011 l’EMA (European Medicines Agency) ha deliberato l’autorizzazione alla commercializzazione del midazolam (Buccolam) per via oromucosa per il trattamento delle crisi acute prolungate in età pediatrica. Questo farmaco modificherà in tempi brevi la prassi di trattamento in acuto delle crisi convulsive prolungate nel bambino ed è auspicabile che gli operatori sanitari siano precocemente istruiti sui vantaggi clinici d’uso di questa molecola e sulle modalità di somministrazione. È anche prevedibile che il ricorso al trasporto in ambulanza e al ricovero dopo una crisi convulsiva si riducano rapidamente sia in ragione dell’efficacia e durata d’azione del farmaco che della maggiore facilità di somministrazione rispetto al diazepam rettale. La dose consigliata per interrompere le crisi prolungate varia da 2,5 a 10 mg, in relazione all’età e al peso corporeo. La disponibilità del farmaco in contenitori già pronti da 2,5, 5, 7,5 e 10 mg consente un adattamento alla taglia corporea, limitando il rischio di errori di dosaggio che possono derivare da una preparazione estemporanea in condizioni di criticità. 


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Epilessia: conoscerla meglio e gestirla

Aspetti economici ed epidemiologici

L

Le crisi convulsive prolungate rappresentano una delle emergenze neurologiche pediatriche più diffuse. Circa 50 milioni di persone nel mondo soffrono di epilessia, di cui 500.000 in Italia. I più recenti dati epidemiologici per la popolazione pediatrica riportano un tasso di incidenza pari a 57 casi su 100.000 soggetti/ anno e una prevalenza tra lo 0,5 e l’1%, pari a circa 50.000 bambini con epilessia in Italia. Circa la metà dei pazienti è libera da crisi e si può stimare che in media ogni soggetto abbia 4-5 eventi all’anno, il 65% dei quali di tipo acuto e prolungato. Gli attacchi epilettici possono durare da pochi secondi a diversi minuti e, se non adeguatamente e prontamente trattati, possono rendere necessaria l’ospedalizzazione e il ricorso alla terapia intensiva. Considerando poi che la mortalità in relazione diretta con l’epilessia o accidentale nel corso di una crisi è 2-3 volte superiore rispetto alla popolazione generale, non stupisce che l’epilessia e le crisi convulsive rappresentino una grave condizione patologica associata a notevole onere economico e a significativa compromissione della qualità di vita. I costi di questa malattia raggiungono 13,8 miliardi di € in Europa e sono molto variabili in funzione della gravità e della frequenza delle crisi. In particolare in Italia nella popolazione pediatrica controllata possono raggiungere livelli molto differenti rispetto a quelli di pazienti resistenti ai farmaci e con crisi frequenti, oscillando fra i 400 €/anno dei primi e i 3.400 €/anno dei secondi (con differenze principalmente legate all’aumento della probabilità di ricovero). Dal punto di vista fisico, psicologico, sociale e scolastico tutto ciò comporta una notevole compromissione della qualità della vita – in particolare nei bambini con crisi frequenti e invalidanti – soprattutto dovuta ad ansia, depressione, problemi di attenzione, disturbi somatici che influiscono negativamente anche sul rapporto di dipendenza dai genitori. A fronte di un quadro clinico, sociale ed economico così oneroso fa riscontro un armamentario terapeutico limitato. L’unico trattamento pediatrico autorizzato per interrompere le crisi prolungate sino ad oggi in Italia è infatti diazepam rettale, caratterizzato da una via di somministrazione con numerose limitazioni pratiche (ad esempio la rimozione

Andrea Belisari Managing Director Fondazione CHARTA Center for Health Associated Research and Technology Assessment, Milano

degli indumenti) che possono anche creare imbarazzo (in particolare nella popolazione adolescente), compromettendo la dignità personale del paziente e risultando in alcuni casi inaccettabile anche per le persone che prestano assistenza. Benché efficace nel 60%-80% dei pazienti, il diazepam è associato ad un rischio di recidiva precoce delle crisi (fino al 30%), a depressione respiratoria e a incertezza delle dinamiche di assorbimento. Nell’insieme, i limiti di questa opzione terapeutica possono comportare insuccesso o addirittura mancata somministrazione, con il rischio di Supplemento ordinario alla “Gazzetta

Ufficiale„ n. 199 del 27 agosto 2012 Serie generale

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esiti più gravi nel caso di intervento ritardato. Solo recentemente (agosto 2012) ed in via del tutto eccezionale (Legge 648/96) è stato permesso l’impiego di midazolam i.v., lorazepam e diazepam anche nell’epilessia pediatrica. Al fine di fornire una risposta terapeutica efficace, sicura ed efficiente a tali problematiche, recentemente la Commissione Europea ha approvato il midazolam oromucosale, primo prodotto autorizzato tramite l’iniziativa PUMA (Paediatric Use Marketing Authorisation, autorizzazione all’immissione in commercio che garantisce elevata qualità, efficacia e sicurezza di impiego dei medicinali nella popolazione pediatrica), che, promettendo di semplificare la procedura di somministrazione e rendendola facilmente praticabile anche in comunità (contesto in cui più frequentemente si manifestano le crisi), ha il potenziale di velocizzare la gestione del paziente con ripercussioni positive sul controllo della crisi e sulla qualità della vita. Già presente in diverse linee-guida (NICE-Inghilterra e Galles, Scozia, Olanda e Finlandia), secondo quanto emerge dalle prime valutazioni effettuate da alcuni enti governativi il midazolam oromucosale ha dimostrato di possedere vantaggi clinici tali da comportare anche un profilo economico favorevole, in virtù della riduzione della necessità di ricorso ad un’ambulanza, al pronto soccorso ed al ricovero (anche eventualmente in terapia intensiva).  Scottish Intercollegiate Guidelines Network.

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assessment 2012. http://goo.gl/cKQOo

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Cangurini di

Il disagio del paziente con l’attuale terapia disponibile

L

L’utilizzo delle benzodiazepine per il trattamento di emergenza delle crisi epilettiche è consolidato da decenni di esperienza clinica. L’elevata efficacia di questi farmaci, unitamente alla loro sicurezza, ne permette l’impiego anche da parte di personale non medico in ambito domiciliare e altri contesti extra-ospedalieri quali la scuola o il luogo di lavoro. La possibilità di tale uso, tuttavia, è subordinata alla praticabilità di vie di somministrazione diverse da quella iniettiva. Le benzodiazepine sono in genere assorbite rapidamente dopo assunzione orale, ma tale via di somministrazione non è praticabile in presenza di una crisi convulsiva in atto e non assicura sempre livelli plasmatici efficaci entro tempi adeguati in soggetti a rischio immediato di una crisi epilettica. Il reperto che l’applicazione rettale di diazepam in forma di soluzione, gel o capsule rettali produce livelli plasmatici efficaci di farmaco in tempi molto rapidi (<5 minuti) ha portato ad un utilizzo sempre più diffuso di questa forma di terapia per il trattamento extra-ospedaliero di crisi epilettiche in atto e per la profilassi intermittente delle crisi febbrili o delle crisi subentranti (Wolf, 2011). Nella valutazione delle potenzialità della somministrazione rettale, tuttavia, viene spesso trascurata l’accettabilità del paziente e del caregiver. L’impiego rettale, infatti, può essere motivo di disagio, soprattutto in situazioni che non permettono l’autosomministrazione e che possono verificarsi in luoghi pubblici, quali l’ambiente scolastico. Le limitate ricerche condotte a questo riguardo ben evidenziano queste problematiche. Un recente studio effettuato in Olanda (Timmerman et al, 2008), ha valutato gli effetti psicosociali dell’uso di diazepam rettale in 39 pazienti di età compresa tra 5 e 19 anni. Tra i soggetti di età superiore ai 7 anni, la maggior parte (1018) ha riferito di provare vergogna, con una incidenza più elevata nelle femmine (75%)

Emilio Perucca Istituto Neurologico Nazionale IRCCS Fondazione C. Mondino, Pavia Sezione di Farmacologia Clinica e Sperimentale, Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università degli Studi di Pavia Wolf P. Acute drug administration in epilepsy:

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11 che nei maschi (17%). La frequenza di somministrazione rettale era inoltre significativamente correlata al timore di essere oggetto di bullismo. Non è stata invece osservata alcuna correlazione tra senso di vergogna e le attitudini dei genitori o la gravità delle crisi. Studi con altre classi di farmaci confermano la non elevata accettabilità della via rettale: ad esempio, in una ricerca su farmaci analgesici che ha valutato 610 soggetti tra cui medici, paramedici e pazienti, la via endovenosa era preferita a quella rettale nel 74% dei casi e solo il 4% mostrava una preferenza per la via rettale (Colbert et al, 1998). La via endovenosa era preferita in particolare dai giovani sotto i 20 anni (98%), dal personale infermieristico (95%), dai medici (90%), dai soggetti di elevata classe sociale (90%) e dai soggetti di sesso femminile (79%). Tra le motivazioni a sfavore della via rettale venivano citate considerazioni di dignità personale, senso di violazione della persona e della privacy, umiliazione ed imbarazzo. È interessante come in uno studio sulle esperienze del personale infermieristico con l’utilizzo di diazepam rettale in ambiente scolastico, l’invasione della privacy fosse citata come l’ostacolo più frequente all’implementazione della terapia (O’Dell & O’Hara, 2007). Analogamente, in uno studio australiano condotto su genitori di bambini con crisi epilettiche, la possibilità di praticare il trattamento in luogo pubblico veniva citata tra le motivazioni per preferire l’uso intranasale di midazolam rispetto all’uso rettale di diazepam (Kyrkou et al, 2006). Esperienze emotive di tipo negativo sulle modalità di somministrazione potrebbero avere anche implicazioni psicopatologiche. In particolare, è stato riportato che la propensione a sentimenti di vergogna si correla all’incidenza di depressione e di disturbo ossessivo compulsivo (Lutwak et al, 2001; Tangney & Ficher, 1995). A questo riguardo risulta di interesse uno studio condotto da McCusker et al nel 2002 su 75 famiglie di bambini con epilessia farmacoresistente. In tale studio, la frequenza di somministrazione di diazepam per via rettale, e non la frequenza delle crisi, è risultata tra i maggiori fattori predittivi di scarso inserimento socio-familiare del bambino. Anche se gli autori interpretavano tale reperto come l’indicazione che una durata elevata delle crisi influisce negativamente sull’inserimento, non si può escludere che le esperienze emotive del bambino o dei genitori connesse alla via di somministrazione possano aver contribuito. Sulla base delle evidenze sopra discusse, appare ragionevole raccomandare che percezioni e accettabilità da parte del pazienti e del caregiver siano tenute in considerazione ai fini di una gestione clinica ottimale. 


I contributi raccolti in questo allegato alla rivista “Pediatria” hanno analizzato il problema delle crisi convulsive prolungate nel bambino – probabilmente l’emergenza neurologica pediatrica più comune – inquadrandolo in un contesto clinico allargato e approfondendone le implicazioni pratiche. L’avvento del midazolam per uso oromucoso nel trattamento in acuto di questa emergenza clinica colma una lacuna terapeutica di cui la comunità medica e le famiglie dei bambini con episodi convulsivi prolungati ricorrenti sono consapevoli da lungo tempo. L’uso del diazepam rettale ha rappresentato una soluzione di grande utilità pratica. Si tratta tuttavia di una soluzione assai perfettibile sia per ragioni pratiche che farmacocinetiche e farmacodinamiche. È pertanto prevedibile che il midazolam per via oromucosa sarà entro breve tempo largamente preferito al diazepam rettale per il trattamento in acuto delle crisi convulsive prolungate. È importante che i pediatri, gli specialisti d’area neurologica, le Società scientifiche e le autorità sanitarie si adoperino affinché abbia rapidamente luogo una adeguata informazione, finalizzata a ribadire con esattezza quando le convulsioni devono essere interrotte, senza incorrere nel rischio di trattare quando non è strettamente necessario, illustrando i vantaggi d’uso del midazolam e la corretta modalità di somministrazione. È indubbio che i pazienti e il Sistema Sanitario trarranno un vantaggio notevole dall’avvento di questa nuova modalità di somministrazione e dalla campagna di informazione che sarà possibile associare alla sua diffusione. Renzo Guerrini

Neurofisiologia Clinica Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer, Firenze


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