Pediatria magazine vol 3 | num 9 | 2013

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Fresche di stampa La rubrica che presenta le ultimissime novità in arrivo dalla Letteratura scientifica internazionale: gli studi “da non mancare” in Pediatria selezionati per voi. pagina4

Farmaci e allattamento, l’AAP aggiorna le linee-guida Tranne che con alcuni analgesici, psicofarmaci e fitofarmaci i rischi di contaminazione del latte materno sarebbero minimi.

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www.sip.it

Mensile - Poste italiane spa - Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/13/2011 - Un fascicolo e 25

Magazine della Società Italiana di Pediatria

volume 3 | numero 9 | settembre 2013

Il fine vita è ancora vita Questo numero di “Pediatria” è un po’ diverso dagli altri. È un numero quasi monografico, prevalentemente dedicato al tema delle cure palliative e del fine vita che, con il contributo di autorevoli esperti, abbiamo cercato di affrontare da diverse angolature: cosa abbiamo fatto e cosa ci resta da fare per la piena realizzazione della legge 38/2010 sulle cure palliative e terapia del dolore a tre anni dalla sua emanazione? Con quali strumenti dovrebbe essere applicata in Neonatologia? Quali sono invece i bisogni specifici degli adolescenti? Sfogliando la rivista troverete poi alcune testimonianze e punti di vista: il bioeticista, la psicologa, il pediatra. Ed ancora, un approfondimento sulla formazione degli operatori sanitari e le esperienze pilota di alcune Regioni come l’Emilia-Romagna. C’è un filo conduttore che lega tutto questo: è garantire il massimo di qualità della vita sino alla fine, aggiungere vita agli anni, non anni alla vita. Un obiettivo che richiede un importante sforzo organizzativo, culturale, formativo, etico affinché non resti solo sulla carta. servizi alle pagine 10-21

Messaggi da Melbourne È stato dedicato in gran parte al neonato e agli adolescenti il Congresso Internazionale di Pediatria svoltosi in Australia dal 24 al 29 agosto. pagina8

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Formazione e didattica tutoriale in Pediatria di famiglia nelle Scuole di Specialità I risultati di un’indagine dell’ONSP in collaborazione con SICuPP. pagina26

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In questo numero News

Le cure palliative nell’adolescente Momcilo Jankovic

Fresche di stampa Pediatria

anno 3 | numero 9 settembre 2013

Magazine ufficiale della Società Italiana di Pediatria (SIP) via Gioberti 60 00185 Roma Tel. 06 4454912 www.sip.it Direttore Scientifico Giovanni Corsello

Il punto di vista del bioeticista

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A cura di Alberto E. Tozzi

Sandro Spinsanti

Riconoscimento e apprendimento dei suoni già in gravidanza 6

Un nuovo approccio per cataratta pediatrica e ambliopia? 7

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Board Editoriale Rino Agostiniani Liviana Da Dalt Domenico Minasi Andrea Pession Alberto Tozzi Davide Vecchio Redazione David Frati Sabrina Buonomo Marina Macchiaiolo Manuela Moncada Pubblicità e promozione Tiziana Tucci Tel. 06 862 82 323 t.tucci@pensiero.it Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 586/2002 Abbonamenti 2013 Individuale E 40,00 Istituti, enti, biblioteche E 80,00 Estero E 120,00 Presidente Giovanni Corsello Consiglio Direttivo Alberto G. Ugazio (Past President), Alberto Villani (Vicepresidente), Luigi Greco (Vicepresidente), Rino Agostiniani (Tesoriere), Fabio Cardinale, Antonio Correra, Liviana Da Dalt, Domenico Minasi, Andrea Pession, Massimo Barbagallo, Elvira Verduci (Consiglieri), Valerio Flacco (Delegato Sezioni Regionali SIP), Costantino Romagnoli (Delegato Società Affiliate SIP), Gian Paolo Salvioli (Delegato Conferenza Gruppi di studio) Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8 00138 Roma Tel. 06 862 821 Fax 06 862 82 250 www.pensiero.it www.facebook.com/ PensieroScientifico twitter.com/ilpensiero Direttore responsabile Giovanni Luca De Fiore Progetto grafico e impaginazione Typo srl, Roma Immagini © 2013 Photos.com Stampa Arti Grafiche Tris, Via delle Case Rosse, Roma settembre 2013 ISSN 2240-3183

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Il punto di vista della psicologa Intervista a Marisa Pugliese

Il punto di vista del pediatra

Farmaci e allattamento, l’AAP aggiorna le linee-guida

Tommaso Montini

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Antibiotici: una campagna italiana A cura di David Frati

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Messaggi da Melbourne

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Fumo passivo: lotta all’ultimo fischio

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Buono da morire? Tutta la verità sul botulino

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Il ruolo della formazione: l’esperienza dell’Emilia-Romagna Andrea Pession

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La clinica Epilessia pediatrica: una nuova opportunità

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28 Pediatri inFormazione Formazione e didattica tutoriale in Pediatria di famiglia nelle Scuole di Specialità 26

Primo piano / Speciale cure palliative Le cure palliative pediatriche a 3 anni dalla Legge 38/2010

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Marcello Orzalesi

Il ruolo delle Società scientifiche Giorgio Trizzino

Le cure palliative nel neonato Gianpaolo Donzelli

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Teorie “complottiste” sui vaccini? La salute dei bambini è a rischio 6

Direttore Cinthia Caruso

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Alimentazione “Nutrire il futuro”: elementi per una corretta alimentazione in età pediatrica

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Alert farmaci

Seguici su

A cura di Marina Macchiaiolo

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facebook.com/societaitalianadipediatria

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ella pratica medica quotidiana il rispetto della persona è oggi considerato uno degli elementi di maggior rilievo anche sul piano assistenziale. “Umanizzazione dell’assistenza”, veniva definito alcuni anni orsono quell’insieme di interventi finalizzati ad una degenza in ospedale meno invasiva; includeva il rispetto dell’ambiente in termini di inquinamento acustico e visivo e di ritmi sonnoveglia, la gestione e il trattamento del dolore, la scuola e il gioco per i bambini degenti affetti da malattie croniche e con necessità di lungodegenza. Gradualmente, sempre meglio e di più, si è cominciato ad affrontare anche in Pediatria il tema delle cure palliative e dell’accompagnamento alla fine, quando le patologie non consentono un recupero clinico o diventa necessario evitare l’accanimento terapeutico. Tutto ciò è avvenuto anche per il lungimirante supporto di associazioni e fondazioni che hanno impegnato tempo e risorse per promuovere questa cultura nelle istituzioni, tra gli operatori sanitari e nella società intera.

Giovanni Corsello Presidente Società Italiana di Pediatria

Editoriali

I pediatri e la sfida della Bioetica

Oggi agli aspetti assistenziali si legano in modo indissolubile quelli della ricerca. Sono infatti sempre di più le opportunità di intervento in condizioni o patologie ritenute un tempo senza possibilità di trattamento. Terapie geniche, trapianti di midollo o tissutali, trattamenti con cellule staminali hanno in alcuni casi almeno superato la fase della sperimentazione e si preparano a rappresentare delle opzioni terapeutiche efficaci in cui l’approccio bioetico assume un grande valore. È proprio per questo che la formazione dei medici e degli infermieri, e quindi anche del pediatra, deve prevedere un training indirizzato alla acquisizione di conoscenze e competenze di ordine etico e bioetico. Il rispetto della persona e della sua famiglia non più solo come un approccio di counseling, ma come strumento per garantire la presa in carico globale di un bambino con una malattia cronica, grave, a volte curabile senza la certezza della guarigione. Le Società scientifiche, le istituzioni universitarie e ospedaliere devono raccogliere questo testimone e contribuire con gli strumenti in loro possesso ad una diffusione sempre più estesa e capillare di comportamenti dettati dal profondo rispetto della dignità umana, quando la malattia rende più fragile sul piano fisico e psichico la vita e nel caso di un bambino  anche la sua crescita e il suo sviluppo.

Quando la scuola insegna a respirare

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Cinthia Caruso

Direttore di “Pediatria”

egli anni Settanta lo psicologo Walter Mischel fece un esperimento. Chiese ad alcuni bambini di un asilo di scegliere tra mangiare subito un biscotto, un leccalecca o un pasticcino oppure aspettare un po’ e avere due dolci invece di uno solo. Ebbene, Mischel scoprì che i bambini che erano riusciti ad aspettare, una volta diventati adolescenti, andavano meglio a scuola, avevano maggiori capacità di attenzione e migliori relazioni sociali rispetto a quelli che avevano voluto mangiare subito il dolcetto. Lo psicologo seguì il gruppo fino ai 30 anni, e osservò che i bambini pazienti, da adulti, erano più magri, riuscivano a resistere meglio alle tentazioni ed erano meno inclini alle droghe rispetto a quelli dell’altro gruppo. Affascinata da questo e da altri studi sull’autocontrollo che sono seguiti negli anni a venire, l’attrice Goldie Hawn ha pensato che servisse introdurre nei programmi scolastici corsi per sviluppare l’attenzione, l’autocontrollo e gestire l’emotività. E attorno a questa idea ha radunato neurologi, psicologi e insegnanti per elaborare un piano di studi che prevedesse l’apprendimento sociale ed emotivo. È nato così MindUP, un metodo sperimentato qualche anno fa in una scuola di Vancouver che oggi si sta diffondendo negli Stati Uniti e in altri

Paesi. Come funziona MindUP lo spiega in maniera approfondita un articolo pubblicato sulla rivista “Le Scienze - Mente e Cervello”, che dedica un ampio dossier allo sviluppo cognitivo del bambino. Il programma include esercizi di respirazione, tecniche per incoraggiare l’ottimismo, meditazione e lezioni di anatomia cerebrale. Il presupposto è che la scuola non deve solo insegnare a memorizzare e analizzare informazioni, ma anche migliorare alcune caratteristiche psicologiche, come la capacità di autoregolamentarsi e di gestire le emozioni, tutte qualità che hanno effetti positivi a lungo termine. Così i bambini di Vancouver, invece di imparare le tabelline, si esercitano a concentrarsi sul proprio respiro, a regolare il soffio in modo da spostare un batuffolo di cotone sulla mano di un compagno, oppure a sentire il respiro di un compagno e a sincronizzarlo con il proprio. Perché così miglioreranno il loro rendimento scolastico e affronteranno meglio la vita. Sebbene su queste teorie vi sia ancora un controverso dibattito tra gli addetti ai lavori, non sono pochi a credere che questa sia la ricetta perfetta per formare gli adulti di domani. Tanto che 75 scuole negli Stati Uniti, 2 in Australia e 1 in Venezuela hanno adottato il metodo MindUP.  E da noi?

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News

La scienza medica sta facendo dei progressi talmente incredibili che molto presto più nessuno starà bene.

Allen Frances

Fresche di stampa Troppa tv per i genitori = troppa tv per i bambini Bleakley A, Jordan AB, Hennessy M. The Relationship Between Parents’ and Children’s Television Viewing. Pediatrics 2013;132(2):e364-71 DOI: 10.1542/peds.2012-3415

Sarà anche uno studio americano, ma come se ce ne fosse stato bisogno la ricerca sottolinea che sono i genitori che condizionano le cattive abitudini dei figli. Un utilizzo massiccio della tv da parte dei genitori è più associato alla visione della tv da parte dei figli dell’avere la televisione in camera da letto. La conclusione del lavoro è una raccomandazione ad aumentare l’attenzione sul comportamento dei genitori, che dovrebbero dare il buon esempio.

Hai il colesterolo basso? Rischi la stenosi ipertrofica del piloro Feenstra B, Geller F, Carstensen L, Romitti PA, Körberg IB, Bedell B, Krogh C, Fan R, Svenningsson A, Caggana M, Nordenskjöld A, Mills JL, Murray JC, Melbye M. Plasma lipids, genetic variants near APOA1, and the risk of infantile hypertrophic pyloric stenosis. JAMA 2013;310(7):714-21 DOI: 10.1001/jama.2013.242978

È un locus che si trova sul cromosoma 11q23.3. Il polimorfismo più associato a questa malattia aumenta di circa una volta e mezza la probabilità di avere una stenosi ipertrofica del piloro. Inoltre, questo polimorfismo è associato con altri che sono correlati a bassi livelli di colesterolo circolante. Rimane da stabilire se la misura di bassi livelli di colesterolo sia sufficiente a sospettare il quadro clinico.

Cattivi comportamenti e aggressività: colpa delle bollicine? Suglia SF, Solnick S, Hemenway D. Soft Drinks Consumption Is Associated with Behavior Problems in 5-Year-Olds. J Pediatr 2013;S0022-3476(13)00736-1 DOI: 10.1016/j.jpeds.2013.06.023

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I bambini che consumano elevate quantità di bevande gassate hanno una maggiore probabilità di mostrare comportamenti aggressivi e negativi. Lo studio non spiega se il contenuto delle bevande possa causare l’effetto sul comportamento. Gli autori aprono una discussione su un argomento che è soprattutto importante Oltreoceano, ma che anche nel nostro Paese non è indifferente.

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Ma tu lo prescrivi l’esame delle urine? Copp HL, Yiee JH, Smith A, Hanley J, Saigal CS on behalf of the Urologic Diseases in America Project. Use of Urine Testing in Outpatients Treated for Urinary Tract Infection. Pediatrics 2013;132(3):437-444 DOI: 10.1542/peds.2012-3135

In presenza di una sospetta infezione delle vie urinarie, prima di prescrivere una terapia antibiotica dovrebbe essere effettuato un esame delle urine. Invece in questo studio americano di quasi 40.000 episodi di infezione delle vie urinarie trattati, solo il 76% aveva effettuato un esame delle urine e solo il 57% una urinocoltura. Sotto i 2 anni la percentuale degli esami delle urine prescritti scende al 32%. L’impatto di questo comportamento è tutto da studiare.


Bambini fra i 6 e i 10 anni che lamentano dolori alla schiena. Una percentuale quasi doppia rispetto a quella riscontrata tra i loro genitori alla stessa età, e un numero che continua a crescere. L’allarme arriva dall’Associazione Italiana Fisioterapisti (AIFI).

Il futuro del mondo

Signora, suo figlio ha l’asilite

Kim JY, Chan M. Poverty, Health, and Societies of the Future. JAMA 2013;310(9):901902 DOI:10.1001/jama.2013.276910

Bailey P. Daycaritis. Clinical Pediatric Emergency Medicine 2013;14(2):79-87.

È “solo” un editoriale firmato dalla World Bank e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma tocca argomenti che riguardano il futuro, e quindi direttamente i bambini di oggi. Una profonda riflessione sulla accessibilità, sulla qualità e la sostenibilità delle risorse di salute. È un pezzo che ci costringe a pensare quale sarà il ruolo globale della Pediatria nel determinare gli investimenti necessari per garantire una maggiore equità delle cure.

Finalmente dignità per una diagnosi frequente. In realtà in inglese dovrebbe essere “daycaritis”, ma il concetto è chiaro: infezioni respiratorie ricorrenti, infezioni gastrointestinali, otiti – quando frequenti – vanno tutte classificate in questa categoria. La ricaduta non è indifferente, perché il raggruppamento in una unica categoria permette di valutarne più accuratamente il burden e di indirizzare specificamente misure preventive.

News

50%

A cosa serve la vaccinazione contro l’epatite B Chiang CJ, Yang YW, You SL, Lai MS, Chen CJ. Thirty-year outcomes of the national hepatitis B immunization program in Taiwan. JAMA 2013;310(9):974-6 DOI: 10.1001/ jama.2013.276701

Quelli che stanno a Taiwan se ne intendono di epatite B. L’articolo passa in rassegna le conseguenze a breve e a lungo termine che sono state osservate in questo Paese in trenta anni di programma vaccinale. È bene non dimenticare che i benefici della vaccinazione vanno ben oltre la prevenzione della malattia acuta, ma hanno una ricaduta diretta perfino sulla mortalità generale.

Pediatria tascabile World Health Organization. Pocket Book of Hospital Care for Children, 2nd edition. Ginevra, 2013. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/ NBK154447

Se qualcuno dei lettori è mai stato a lavorare in un Paese povero ne capirà l’utilità. È una guida tascabile per il trattamento delle condizioni pediatriche più comuni in ambito ospedaliero curata dall’OMS. Il bello è che è liberamente accessibile e che rappresenta un eccellente riferimento per chiunque lavori in una struttura di primo livello. Appena aggiornata.

La Genomica è uno strumento della Pediatria primaria CDC Podcast on Integrating Genomics into Pediatric Primary Care: A Public Health Perspective. CDC – Centers for Disease Control and prevention 2013 http://www. cdc.gov/genomics/resources/video/MKhoury/pediatric.htm

Non è un articolo scientifico ma una riflessione dei CDC in un video registrato (disponibile la trascrizione) che testimonia come la Genomica debba essere considerata a tutti gli effetti una disciplina nelle mani del pediatra e della Sanità pubblica. Una visione che ricorda e rinforza il concetto che le informazioni che derivano dalla Genomica sono la base degli interventi che il pediatra deve mettere in atto.

Cattivi comportamenti e depressione: trattate con rispetto i vostri figli Wang MT, Kenny S. Longitudinal Links Between Fathers’ and Mothers’ Harsh Verbal Discipline and Adolescents’ Conduct Problems and Depressive Symptoms. Child Development 2013; DOI: 10.1111/cdev.12143

Uno studio sull’effetto della violenza verbale dei genitori sul profilo dell’adolescente. Anche in presenza di un buon rapporto tra genitori e figli, l’uso di termini verbali “forti” indirizzati alla disciplina durante il periodo tra 13 e 14 anni è associato a comportamenti aggressivi con i coetanei, scarso rendimento scolastico e sintomi di depressione. Avviso ai genitori: non dite “Sei uno stupido” ai tuoi figli, anche se siete arrabbiati.

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News

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Su proposta della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII) viene istituita la Giornata Nazionale della Medicina del Lavoro, che si terrà ogni anno.

Adolescenti italiani che hanno il primo rapporto sessuale completo prima dei 14 anni: cifra quasi raddoppiata rispetto al 2012.

Riconoscimento e apprendimento dei suoni già in gravidanza L’apprendimento in generale è basato su modifiche plastiche delle reti neurali, riflesse dalla modulazione dell’attività elettrica cerebrale. L’apprendimento dei suoni durante l’infanzia implica la formazione di tracce neurali di memoria a lungo termine e l’implementazione della capacità di discriminazione sensoriale, in particolare quella propedeutica alla percezione del linguaggio e alla comprensione. Le esperienze prenatali hanno un impatto su questo complesso processo neurofisiologico? Uno studio pubblicato su “PNAS – Proceedings of the National Academy of Sciences” dimostrerebbe di sì. I ricercatori coordinati da Eino Partanen della Helsingin Yliopisto (Università di Helsinki) hanno randomizzato 33 donne in gravidanza (e quindi i loro feti) all’esposizione ripetuta – dalla 29esima settimana di gestazione alla nascita – alla parola “tatata” (il termine non ha alcun significato in lingua finlandese; è una cosiddetta “pseudoparola” coniata appositamente per questo studio ma che ricorda in qualche modo parole finlandesi) o a varianti della stessa o a un gruppo di controllo non esposto ad alcun suono in particolare. I neonati partecipanti allo studio sono stati poi sottoposti a neuroima-

ging funzionale: quelli esposti durante lo sviluppo fetale alla parola “tatata” mostravano evidenti reazioni cerebrali se sentivano ancora il termine in questione, e si mostravano anche più veloci ed efficienti nel percepire eventuali cambiamenti. Commenta Patricia Kuhl dell’NSF Science of Learning Center dell’University of Washington: “Il fatto che l’apprendimento di suoni ricorrenti avvenga mentre i bambini sono ancora nel grembo materno implica che anche l’apprendimento del linguaggio non parte alla nascita ma durante la gestazione. È incredibile che il cervello fetale riesca in un simile compito”. “Credo che questi dati dimostrino quale capacità a quell’età abbia il cervello di adattarsi ai suoni, una forma molto precoce di apprendimento del linguaggio”, spiega la ricercatrice del team di Helsinki Minna Huotilainen. “Un neonato quindi non è una tavolozza vuota, ha già imparato come sua madre e altri membri della famiglia parlano. C’è evidenza che i neonati ricordino canzoni o brevi comunicazioni verbali apprese quando erano solo feti”. Si tratta di una scoperta che potrà avere in futuro significative implicazioni cliniche: se è possibile supportare l’apprendimento del linguaggio in una fase così pre-

Teorie “complottiste” sui vaccini? La salute dei bambini è a rischio

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Le teorie della cospirazione che vengono veicolate dai media e dai social network hanno un profondo impatto negativo sulla determinazione dei genitori a sottoporre i figli alle vaccinazioni. Lo dimostrano nuovi dati presentati alla conferenza annuale della Social Psychology Section della British Psychological Society, tenutasi nelle scorse settimane a Exeter. Daniel Jolley e Karen Douglas della School of Psychology dell’University of Kent hanno effettuato due distinti studi sull’argomento. Nell’ambito del primo hanno intervistato 89 genitori riguardo alle teorie “complottiste” sui vaccini

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coce, un programma in tal senso potrebbe bilanciare l’effetto di mutazioni genetiche che causano disturbi del linguaggio come  la dislessia. ^^   Partanen E, Kujala T, Näätänen R, Liitola A, Sambeth A, Huotilainen M. Learning-induced neural plasticity of speech processing before birth. PNAS 2013; 110(37):15145-15150 DOI:10.1073/ pnas.1302159110

e sulle loro intenzioni riguardo alle vaccinazioni di un nuovo figlio: è emersa una forte associazione tra credenza in teorie della cospirazione e scarsa adesione ai programmi di vaccinazione infantile. In un secondo studio i ricercatori hanno randomizzato 188 persone non al corrente della questione a una session di informazioni riguardo teorie “complottiste” sui vaccini, oppure a informazioni rassicuranti sull’argomento oppure a un gruppo di controllo: è emerso che la conoscenza di queste teorie è direttamente correlata alla diminuzione dell’intenzione di sottoporre a vaccinazione un ipotetico figlio. Spiega Jolley: “Il recente focolaio epidemico di morbillo in Gran Bretagna dimostra la grande importanza della vaccinazione infantile. E la diffusione di teorie “complottiste” sui vaccini rappresenta un grave ostacolo all’implementazione corretta  delle politiche vaccinali”. ^^   Conspiracy theories may put children’s health at risk.

The British Psychological Society news release 28/08/2013.


Casi di tumore in Italia causati da un’alimentazione errata secondo i dati dell’AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica).

Italiani e brand farmaceutici Blog, social network, forum, search sui motori di ricerca: gli italiani sul web parlano poco e male delle aziende farmaceutiche, rispetto ad altri comparti industriali. Lo dimostra una ricerca AboutPharma and Medical Devices-Netscreening.

News

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Un nuovo approccio per cataratta pediatrica e ambliopia? Le esperienze sensoriali nella primissima infanzia guidano la maturazione delle reti neurali nella corteccia visiva primaria, come dimostra il fenomeno della plasticità di dominanza oculare (ODP). A mediare questo processo è l’inibizione corticale, ma il ruolo delle specifiche classi di neuroni inibitori nella ODP è tuttora controverso. Un pionieristico studio pubblicato da “Nature” chiarisce questo aspetto e potrebbe inaugurare un nuovo approccio alla correzione di difetti visivi quali la cataratta pediatrica e l’ambliopia. Un team di ricercatori coordinato da Sandra J. Kuhlman della David Geffen School of Medicine dell’University of California di Los Angeles e Xiangmin Xu del Depart-

ment of Biomedical Engineering dell’University of California di Irvine ha verificato in laboratorio che i livelli di neurotrasmettitori eccitatori implicati nella visione binoculare si dimezzano in pochi istanti se la visione è ristretta a un solo occhio, ma gradualmente tornano alla normalità in circa 24 ore anche se la visione resta monoculare, e ha identificato i neuroni implicati prima nella fase di sviluppo della corteccia visiva primaria e successivamente in questo processo di compensazione, che nei casi di cataratta pediatrica e ambliopia non funziona a dovere. L’utilizzo di farmaci specifici permetterebbe – secondo lo studio – la riapertura di questa “finestra di tempo” nei bambini con questi difetti visi-

Farmaci e allattamento, l’AAP aggiorna le linee-guida Fortemente ridimensionati i timori per l’assunzione di farmaci da parte di donne in allattamento. Tranne alcuni analgesici, psicofarmaci e fitofarmaci infatti i rischi di contaminazione del latte materno sarebbero minimi, sostiene il recentissimo aggiornamento alle linee-guida in materia effettuato dall’American Academy of Pediatrics (AAP) dopo 12 anni e pubblicato sulla rivista “Pediatrics”. Spiega Hari Cheryl Sachs, professoressa di Pediatria alla George Washington University e al Children’s National Medical Center e consulente della Food and Drug Administration, che ha coordinato l’aggior-

namento: “È l’affermazione del pensiero più attuale in materia, e deriva dalle informazioni più approfondite disponibili oggi rispetto al 2001, quando le linee-guida AAP sui farmaci in allattamento sono state pubblicate. Il messaggio è: prima di far interrompere l’allattamento al seno alle pazienti bisogna valutare bene la questione”. Secondo l’AAP infatti la maggior parte dei farmaci non si concentra nel latte materno in livelli clinicamente significativi. L’assunzione di alcuni narcotici (codeina, idrocodone, ossicodone) è invece incompatibile con l’allattamento al seno. Nel caso di terapia con alcuni antidepressivi, antipsicotici e farmaci per l’abuso di sostanze l’allattamento deve suscitare preoccupazione, mentre in altri casi è definito “accettabile”. Capitolo a parte per alcuni prodotti erboristici: l’utilizzo dell’afrodisiaco Yohimbe può causare eventi gravi e persino letali, mentre l’iperico o erba di San Giovanni causa coliche, sonnolenza e letargia nei neonati allattati al seno. “È una pubblicazione che attendevamo da lungo tempo”, spiega Ruth Lawrence, esperta di allattamento al seno presso

vi anche dopo l’età critica dei 7 anni, permettendo il riavvio del processo di plasti cità di dominanza oculare. ^^   Kuhlman SJ, Olivas ND, Tring E, Ikrar T, Xu X, Trachtenberg JT. A disinhibitory microcircuit initiates critical-period plasticity in the visual cortex. Nature 2013; DOI:10.1038/nature12485

l’University of Rochester Medical Center di Rochester, che non ha lavorato all’aggiornamento targato AAP. “La tendenza più diffusa tra i pediatri finora è stata: non sapendo se è pericoloso, per sicurezza sospendiamo l’allattamento al seno, mentre invece i farmaci che debbono indurre una scelta così importante sono molto pochi”. Negli Stati Uniti si stima che circa l’80% delle neo-mamme dimesse dopo il parto allatti al seno, ma dopo 3 mesi questa percentuale si riduce al 30%, e una delle cause principali di questo calo è proprio la preoccupazione per i danni potenziali al bambino di farmaci assunti dalla madre. L’AAP raccomanda ai pediatri di chiedere informazioni dettagliate alle madri in allattamento sull’assunzione di eventuali farmaci o prodotti erboristici e ricorda che è disponibile per ogni informazione il database LactMed (http://goo.gl/naoth) dei National Insti tutes of Health. ^^   Sachs HC and COMMITTEE ON DRUGS. The Transfer of Drugs and Therapeutics Into Human Breast Milk: An Update on Selected Topics. Pediatrics 2013; DOI: 10.1542/peds.2013-1985 ^^   Winslow R. Many Drugs Found Safe for Breast-Feeding Mothers. The Wall Street Journal 26/08/2013.

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News

Il fumo è giovane Tra i 18 e 30 anni i fumatori italiani sono il 12,2% mentre gli over 60 che ancora fumano sono il 9,7%.

+17%

Il 67% delle donne incinte che ha già un figlio assume integratori in gravidanza, invece tra chi ancora non ha figli soltanto il 50% afferma di avere intenzione di assumerli.

Antibiotici: una campagna italiana

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Sono stati pubblicati sul “British Medical Journal” i risultati di un progetto di ricerca che valuta i risultati di una campagna informativa sull’uso degli antibiotici realizzata in due Aziende sanitarie del­l’Emilia-Romagna. La ricerca ha mostrato che una campagna informativa stagionale rivolta alla popolazione con l’uso di media locali (radio, TV, quotidiani, siti web) e con il coinvolgimento attivo dei medici può determinare una riduzione lieve ma potenzialmente rilevante nella prescrizione degli antibiotici. La ricerca è stata coordinata dal­l’Agenzia Sanitaria e Sociale del­l’Emilia-Romagna (in particolare, dal­l’attuale Area Valutazione del Farmaco e dall’Area Rischio Infettivo), ha visto la collaborazione delle Aziende Sanitarie Locali di Modena e Parma ed è stata finanziata dal Bando 2008 per la ricerca indipendente sui farmaci dell’AIFA. In questo bando le proposte sono selezionate attraverso un processo di peer review con la partecipazione di esperti stranieri, per favorire la selezione dei progetti da finanziare in base alla loro qualità scientifica, sia rispetto agli aspetti metodologici sia rispetto al potenziale valore aggiunto. Spiega l’epidemiologo Giulio Formoso: “Credo che questo progetto rappresenti un buon esempio di come si possa fare ricerca sul territorio con fondi pubblici gestiti in modo trasparente (visto il supporto attraverso un bando AIFA e la peer review di esperti stranieri), coinvolgendo strutture del Servizio Sanitario Nazionale, medici, farmacisti e specialisti nella comunicazione. Credo anche che la collaborazione di questi professionisti in un progetto centrato su di-

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sponibilità di informazioni e comunicazione sia una cosa positiva, su cui investire anche in futuro. I risultati sembrano suggerire che questi due elementi, collaborazione tra professionisti e disponibilità di informazioni, producono cambiamenti magari modesti (comunque in linea rispetto ai risultati di altre campagne), ma di potenziale rilevanza per la Sanità pubblica soprattutto se gli sforzi in tal senso andassero al di là di una campa gna stagionale”. ^^   Formoso G, Paltrinieri B, Marata AM

et al. Feasibility and effectiveness of a low cost campaign on antibiotic prescribing in Italy: community level, controlled, non-randomised trial. BMJ 2013; 347: f5391

Messaggi da Melbourne È stato dedicato in gran parte al neonato e agli adolescenti il Congresso Internazionale di Pediatria svoltosi a Melbourne dal 24 al 29 agosto. Le età di frontiera della Pediatria sono quelle in cui si concentrano spesso i maggiori rischi in termini clinici e sociali. L’accento è stato posto sulle esigenze di salute nei Paesi a più alta natalità e con situazioni socioeconomiche a rischio, con alta incidenza di povertà. In un contesto planetario sono stati messi a confronto i regimi nutrizionali e i tassi di morbilità e di mortalità nei vari Paesi del mondo. Ne è nato un appello alle istituzioni statali e sovranazionali perché si intensifichino gli interventi di salute pubblica in tema di salute primaria: vaccinazioni, nutrizione, farmaci salvavita, problemi che ancora oggi in quei Paesi rappresentano le cause principali di mortalità e di esiti invalidanti. In simposi e sessioni plenarie sono stati affrontati tutti gli aspetti che ruotano intorno alla salute degli adolescenti, da quelli clinici e biologici a quelli sociali, psicologici e relazionali. Grande spazio si è dato alla necessità di una vera integrazione sociale dell’adolescente. Il pediatra deve essere in grado di rispondere alle domande di salute fisica e psichica dell’adolescente e della sua famiglia, spesso sola e inadeguata a cogliere segnali di allarme e stati di disagio, di rischio e di pericolo. Una analisi della struttura sociale nei diversi Paesi diventa necessaria e prioritaria, anche alla luce dei forti cambiamenti in atto nella società globalizzata  di oggi. (Giovanni Corsello)


Decessi annuali nei 28 Paesi della UE per patologie respiratorie (12,5% di 661.000 decessi). Vanno imputati a patologie respiratorie anche 6 milioni di ricoveri ospedalieri, e oltre 43 milioni di giorni di ricovero.

Fumo passivo: lotta all’ultimo fischio

Il fumo fa male, questo lo abbiamo imparato. Fa male a chi fuma, fa male a chi involontariamente lo respira. L’ultimo decennio è stato caratterizzato da una quantità di campagne informative capillari in tutto il mondo. E le leggi antifumo hanno fatto il resto. Coscienze mondiali a posto, il più è fatto: è l’ora di tirare le prime somme. Dati alla mano, l’ultimo “WHO report on the global tobacco epidemic, 2013” (http://goo.gl/P9YmT0) e il “Rapporto Italiano sul fumo” dell’Istituto Superiore di Sanità (http://goo.gl/ lNlhKT) sembrano a prima vista positivi. Il trend di vendita delle sigarette è in netto calo: dal 2005, anno in cui sono state varate le prime leggi antifumo, si attesta a circa il 14% in meno. Ma non è che siano poche le sigarette fumate: giusto per capire l’entità del quadro, in Italia parliamo di 86 miliardi di sigarette all’anno. Secondi in Europa solo alla Germania, con 103 miliardi. Un esercito di circa 10 milioni di fumatori. Ma cambiamo prospettiva: cosa è cambiato se guardiamo il mondo del fumo dalla parte dei bambini? Gli studi ci hanno insegnato che il fumo passivo, tra gli altri danni, peggiora l’asma. Quindi, meno fumo=meno asma. Non è precisamente così, secondo quanto emerge da

questo recentissimo studio pubblicato sul bollettino di agosto del National Center for Health Statistics dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Perché se è vero che le campagne educative hanno cambiato i numeri dei fumatori anche negli Stati Uniti, i dati lasciano molte domande aperte. In un momento in cui molti americani sono riusciti a liberarsi dal vizio, infatti, dal

6 milioni

Casi di sepsi neonatale nel mondo. Oltre 100.000 i casi di sepsi materna: la mortalità per sepsi è la seconda causa di decesso post partum dopo l’emorragia.

News

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rapporto del governo emerge sorprendentemente che i bambini asmatici hanno le stesse probabilità di essere esposti al fumo passivo di un decennio fa, soprattutto se provengono da famiglie povere. Tra i bambini con asma, insomma, l’esposizione al fumo passivo non è diminuita per niente. Gli autori hanno esaminato le informazioni sanitarie raccolte su 12.000 bambini di età compresa tra 3 e 19 anni, che sono stati testati per la presenza nel siero di nicotina come marker di esposizione al fumo passivo. Nel periodo 1999-2010 la percentuale di bambini esposti al fumo passivo risultava scesa dal 57 al 44%. A fronte di ciò, tuttavia, analizzando il sottogruppo dei bambini affetti da asma il calo appare appena percettibile: dal 58 al 54%. Le più grandi disparità sono correlate al reddito: più basso è, più è alta la percentuale di esposizione al fumo passivo. A dimostrazione del fatto che ancora molto c’è da fare per raggiungere una coscienza antifumo passivo globale e condivisa da tutti gli strati sociali. E non mandare… in fumo il progetto di una vera preven zione. (Sabrina Buonuomo) ^^   Quinto KB, Kit BK, Lukacs SL. Environmental Tobacco Smoke Exposure in Children Aged 3-19 Years With and Without Asthma in the United States, 19992010. NCHS Data Brief 2013; 126 http:// www.cdc.gov/nchs/data/databriefs/ db126.htm

Buono da morire? Tutta la verità sul botulino Non è (solo) il segreto di bellezza dei divi cinematografici e televisivi. La tossina bolulinica in realtà è tra le sostanze più tossiche prodotte in natura. Una proteina neurofilica prodotta da un fastidioso batterio noto come Clostridium botulinum, che mira dritta alle funzioni nervose. E picchia duro: paralisi flaccida, debolezza muscolare, visione doppia, difficoltà di movimento, scoordinazione dei muscoli, e – nei casi mortali – paralisi dei muscoli respiratori. Le conserve alimentari (soprattutto i sott’olio casalinghi) sono le fonti più frequenti. Nel dubbio di contaminazione, conviene non mangiarle. Semmai, i più audaci suggeriscono di utilizzarle sulle rughe:  avrete letteralmente salva la pelle! (s.b.) ^^   Botulism Associated with Home-Fermented Tofu in Two Chinese Immigrants –

New York City, March-April 2012. Morbidity and Mortality Weekly Report (MMWR) 2013;62(26);529-532

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Le cure palliative pediatriche a 3 anni dalla Legge 38/2010

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u uno dei primi numeri di “Pediatria” del 2010, ho scritto un breve articolo dal titolo: “Le cure palliative al neonato, al bambino e all’adolescente: una nuova sfida per il pediatra”. Facevo riferimento alla Legge 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”, approvata il 15 marzo di quell’anno, e all’impatto che sarebbe derivato dalla sua applicazione, non solo per il Ministero della Salute e per le Regioni e le Province Autonome, ma soprattutto per noi pediatri e per la SIP che ci rappresenta. Tale Legge, infatti, oltre a sancire il diritto di ogni cittadino ad accedere alle Cure Palliative (CP) e alla Terapia del Dolore (TD), contiene vari articoli, commi e commenti dedicati specificatamente al bambino, per il quale è prevista una rete regionale unica, territoriale e domiciliare, separata da quella dell’adulto e specificatamente dedicata alle Cure Palliative Pediatriche (CPP) e alla Terapia del Dolore Pediatrica (TDP) per i soggetti in età evolutiva affetti da malattie inguaribili (life-limiting o life-threatening). La Legge riconosce quindi al bambino alcune specificità ed esigenze particolari, diverse e spesso più complesse rispetto a quelle dell’adulto, e che sono ben esplicitate nella definizione di CPP, intese come approccio attivo e globale all’assistenza che includa aspetti fisici, emozionali, sociali e spirituali; si focalizzano sul miglioramento della qualità di vita del bambino e sul supporto alla famiglia e comprendono il controllo dei sintomi e del dolore, la garanzia di tranquillità e di riposo e l’assistenza ai genitori dopo la morte del bambino e durante l’elaborazione del lutto. Pertanto essa implica il coinvolgimento di tutti i pediatri – ospedalieri, ambulatoriali e di libera scelta – coordinati da una équipe specialistica multidisciplinare,

Dalla relazione al Parlamento sull’attuazione della legge emerge che solo metà delle Regioni ha deliberato l’istituzione della rete pediatrica e solo in quattro è attiva: ma cresce la sensibilità sul tema

Marcello Orzalesi

Presidente del Comitato di Bioetica della SIP. Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio Onlus, Roma

nonché la necessità di una loro formazione specifica, congiuntamente a quella di altri operatori sociosanitari, la creazione di hospice pediatrici separati da quelli dell’adulto e un forte impegno a livello ministeriale – ma soprattutto regionale – per la sua completa realizzazione su tutto il territorio nazionale. È quindi lecito chiedersi oggi, a più di 3 anni dall’emanazione della Legge 38, quanto sia stato fatto e quanto resti ancora da fare per realizzarla pienamente. Dal punto di vista normativo-costitutivo, il Ministero della Salute ha premuto molto sulle Regioni, sia mettendo a disposizione finanziamenti ad hoc, sia minacciando sanzioni. Tuttavia attualmente solo 11 Regioni hanno effettivamente deliberato formalmente l’istituzione della Rete Pediatrica di CPP+TDP, ma solo 4 di esse (Basilicata, Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) hanno realmente attivato la rete e soltanto in Veneto è presente un hospice pediatrico; 4 Regioni (Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto) hanno attivato solo un’équipe multidisciplinare dedicata alle CPP e TDP. Dal punto di vista della formazione il Ministero, oltre a pubblicare un manuale sul dolo-

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tuazione di quanto previsto dalla Legge 38, per quanto riguarda l’età pediatrica, si sta dimostrando un processo complesso e non sempre facile, certamente non realizzabile in tempi brevissimi, ma che obbliga noi pediatri ad una importante assunzione di responsabilità a tutti i livelli: organizzativo, assistenziale, formativo e di ricerca. Dovremo tutti impegnarci per garantire ai nostri piccoli pazienti affetti da malattie inguaribili risposte assistenziali adeguate, atte a migliorarne la qualità di vita, a salvaguardare la loro dignità ed ad alleviare la loro sofferenza e quella delle loro famiglie. 

Primo piano / Speciale cure palliative

re pediatrico, ha fornito il materiale didattico necessario per la realizzazione di corsi ECM, già attuati in 8 Regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Province Autonome di Trento e Bolzano); in altre Regioni è stata garantita l’informazione agli operatori sulla istituzione della rete e sulle modalità di accesso, nonché l’informazione rivolta alla cittadinanza sugli stessi temi. Ulteriori dettagli sulle tematiche di cui sopra sono reperibili nella Relazione al Parlamento sull’attuazione della Legge 38/2010, pubblicata nello scorso mese di luglio. La situazione appena descritta potrebbe apparire non troppo confortante o persino deludente. Va tuttavia sottolineato che, dopo non poche difficoltà di avviamento (la cosiddetta “inerzia di decollo”), si denota una maggiore sensibilità verso questa problematica e che il processo di realizzazione sta subendo una progressiva accelerazione. Molte Regioni, tuttora ritardatarie, si stanno mettendo al passo con le altre e di fatto un sempre maggior numero di bambini inguaribili del nostro Paese ha potuto e può usufruire di CPP e TDP. La piena at-

Il ruolo delle Società scientifiche Un impegno sempre maggiore nella realizzazione di iniziative formative

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Giorgio Trizzino

Direttore Sanitario Ospedale Pediatrico G. Di Cristina, Palermo. Componente Commissione Nazionale Cure Palliative e Terapia del Dolore

n Italia almeno un bambino su 10.000 muore ogni anno per malattie “life-threatening” (con possibilità di guarigione, ma quando le cure falliscono può sopraggiungere precocemente la morte) o “life-limiting” (che determinano morte precoce certa). Con la stesura della Legge 38/2010 e la sua attivazione molto si è fatto per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore per gli adulti, ma molta strada resta ancora da fare per i bambini. La SIP sta svolgendo un ruolo attivo collaborando sia con il Ministero della Salute con la partecipazione al tavolo tecnico dedicato alle cure palliative pediatriche, sia con la Fondazione Maruzza Lefebvre (dalla cui collaborazione è scaturito anche il 1° Congresso Europeo di Cure palliative pediatriche nel 2012) con cui ha stipulato un protocollo d’intesa per la realizzazione di iniziative formative. Nel 2013 sono previsti 4 incontri interregionali distribuiti su tutto il territorio nazionale, nei quali esperti nella prevenzione e il controllo del dolore nel bambino, identificati congiuntamente dalla SIP e dalla Fondazione Maruzza Lefebvre,

svilupperanno un programma formativo di base con il patrocinio del Ministero della Salute. Sono inoltre previsti 3 incontri avanzati per creare un ristretto numero di pediatri formatori in grado di offrire autonomamente nel loro territorio il programma formativo di base ai loro colleghi. Inoltre la SIP, unitamente alla Conferenza dei Direttori delle Scuole di specializzazione di Pediatria, ha stabilito di introdurre nell’ambito del Corso di specializzazione in Pediatria (come peraltro già attivato da due anni presso la Scuola di specializzazione di Pediatria di Palermo) un Credito Formativo dedicato alle cure palliative pediatriche e alla terapia del dolore. Sempre di più e sempre meglio occorrerà occuparsi dei bambini malati, specie quando sono alla fine della loro vita. È un impegno oltre che un dovere da parte delle istituzioni, della comunità scientifica, degli operatori nell’ambito delle reti, della società civile al fine di assicurare una buona qualità di vita e di morte a chi non può ancora difendersi perché non è già adulto e perché di sicuro mai lo  diventerà.

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Onorare le storie di sofferenza è parte integrante della nostra esperienza quotidiana di neonatologi

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Gianpaolo Donzelli Presidente SIMP (Società Italiana di Medicina Perinatale). Professore ordinario di Pediatria all’Università di Firenze. Membro del Comitato per la Bioetica della SIP

n hospice in ogni reparto di Patologia e Terapia Intensiva neonatale. Questo potrebbe essere, in sintesi, lo strumento di applicazione al neonato della Legge 15 marzo 2010 n. 38. Un hospice neonatale inteso sia come spazio mentale (una cornice spirituale e sociale che consenta al neonato di vivere l’esperienza di morire con dignità, senza dolore, avendo accanto l’amore dei genitori e la cura del personale di assistenza) sia come spazio fisico (un “angolo” del reparto che permetta di vivere con intimità e riservatezza questo momento cosi drammatico). Lo scopo delle cura palliative neonatali è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per il neonato e la sua famiglia, nei casi in cui la malattia non risponde più a trattamenti specifici e la cui prevedibile evoluzione è la morte. Varie sono le condizioni che si possono venire a creare in un’area di assistenza del neonato critico: la morte sopraggiunge immediatamente dopo il ^^ parto e/o nelle fasi iniziali del ricovero; la morte avviene per deterioramento delle condi^^ zioni cliniche generali, dopo un periodo di degenza più o meno lungo; la morte si verifica per sospensione delle cure ^^ intensive e si passa a quelle palliative. Questa condizione, condivisa con i genitori, si viene a creare quando appare evidente che le procedure assistenziali invasive non determinano alcun vantaggio per il paziente. Per ognuna di queste condizioni dovranno essere adottate delle procedure generalmente delineate nella tabella, che andranno personalizzate e contestualizzate.

Hospice neonatale Relazione di aiuto al neonato e accompagnamento alla morte Terapia farmacologica e non farmacologia del dolore Contatto con i genitori (prendere in braccio, alimentare, consolare) Presenza dei genitori al momento della morte del figlio Comunicazione diretta della diagnosi di morte qualora i genitori non fossero

stati presenti Comunicazione empatica: comprensione e ascolto attivi Consegna degli “oggetti personali” del neonato Garanzia di un luogo dignitoso in attesa della sepoltura Rispetto della cultura e dei convincimenti religiosi Incontri successivi con i genitori

La morte di un neonato è concettualmente difficile da accettare: morire appena nati! Spesso la morte è seguita da poche, frammentarie parole da parte sia del personale di assistenza che dei genitori. Un dolore a cui non si dà voce è un dolore destinato a restare solitario e anonimo: sono mancate le parole per poterlo definire, pensare, condividere. Diventare genitori è un processo che si estende lungo un arco temporale ampio, che non si riduce ad un evento preciso, sancito dalla nascita del figlio. La genitorialità tende a realizzarsi nella mente dei genitori in un piano esclusivamente ideativo e immaginifico molto tempo prima che avvenga il concepimento. Quando si realizza la gravidanza, il bambino è reale e presente nel ventre materno: prende così forma un primo legame di attaccamento, che è specifico di quella relazione con quel bambino, in quel preciso momento. Queste premesse sono necessarie per comprendere il lutto neonatale e per comprendere pienamente i vissuti psichici dei genitori. La morte di un figlio appena nato causa una ferita indelebile nell’esistenza più profonda di una madre e di un padre. Gli studi sulla resilienza e sull’elaborazione del lutto dimostrano che i requisiti necessari per una buona risoluzione sono il tempo, il ricordo, la parola, l’ascolto. Di fronte ad un genitore che ha perso un figlio, il neonatologo riveste il ruolo difficile di dover comunicare la notizia della morte e di dover offrire contemporaneamente sostegno. La comunicazione della morte è dolorosa per chi la riceve, ma anche per chi la dà e può diventare un momento profondo di vita se si cerca un contatto partecipe e compassionevole. Il proverbio popolare “un lutto di cui non si parla è un lutto che non guarisce” conferma che la narrazione e l’ascolto del dolore della perdita di un figlio costituiscono un momento significativo delle cure palliative. Onorare le storie di sofferenza è parte integrante della nostra esperienza quotidiana di neonatologi e se mi venisse chiesto di chiudere l’articolo con un detto, scriverei: nessun neonato deve  più morire da solo.

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Le cure palliative nel neonato

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Le cure palliative nell’adolescente

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ella nostra cultura la morte di un giovane è percepita come qualcosa di profondamente ingiusto e l’informazione in merito è scarsa e spesso negata. Tale condizione risulta un fattore che ha limitato lo sviluppo delle cure palliative pediatriche (CPP). Il progresso medico e tecnologico ha permesso di aumentare ed allungare la sopravvivenza di neonati, bambini e adolescenti affetti da malattie altrimenti letali, senza tuttavia consentirne sempre la guarigione, incrementando progressivamente il numero di pazienti eleggibili a CPP e creando la necessità di una nuova tipologia di assistenza con bisogni specifici ed interventi di tipo multispecialistico. La definizione dei criteri di eleggibilità è per il minore più complessa rispetto all’adulto, sia per la specificità delle patologie, sia per il differente approccio in relazione all’accrescimento e per le difficoltà nel determinare l’eleggibilità temporale. In particolare sono stati identificati quattro diversi modelli di assistenza: ^^patologie per le quali le cure palliative intervengono quando il trattamento causale fallisce (neoplasie, insufficienza d’organo irreversibile); ^^patologie in cui la morte precoce è inevitabile nelle quali le cure appropriate possono prolungare ed assicurare una buona qualità di vita (HIV, fibrosi cistica); ^^malattie progressive dove il trattamento è unicamente palliativo e può essere esteso per tempi prolungati (malattie neurologiche, genetiche); ^^patologie irreversibili, non progressive con morte prematura (paralisi cerebrali, danni cerebrali/midollari).

L’attenzione del medico non deve essere rivolta al prolungamento della vita (to cure) ma all’ottimizzazione della sua qualità (to care)

Momcilo Jankovic

Clinica Pediatrica Università Milano-Bicocca. Fondazione MBBM, AO S. Gerardo, Monza. Membro del Comitato per la Bioetica della SIP

“La morte non è la più grande perdita della vita. La più grande perdita della vita è morire dentro mentre viviamo”. Marina Neri, da: Un punto nero nell’immenso azzurro del mare (Ur Editore, 2011)

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Uno degli obiettivi principali dell’assistenza prevede la permanenza al domicilio, luogo scelto e richiesto dal giovane e dalla famiglia, prevedendo – in base alle condizioni cliniche o al contesto familiare – la residenza in luogo dedicato e protetto o eventualmente, ove possibile, in un Centro Residenziale di CPP. Un simile modello organizzativo permette di affrontare in modo competente e concreto le problematiche legate alla rarità delle patologie, all’ampia distribuzione territoriale, nonché alla complessità della gestione con alti livelli di assistenza e molteplicità dei bisogni, con l’obiettivo principale di rispettare la qualità di vita del minore e della famiglia. Si pongono alcuni interrogativi sulle conseguenti scelte dell’accompagnare o dell’insistere che evocano spesso il dilemma o di fare eutanasia o di fare accanimento terapeutico, perdendo di vista l’obiettivo primario delle cure nella difficile fase che precede la morte; proprio in questa fase più che in altre occorre garantire al malato, anche se giovane, la miglior qualità di vita per il tempo che gli rimane. In quest’ottica ogni intervento medico che abbia come esito un accorciamento della vita non deve essere necessariamente considerato eutanasia: un bambino/giovane in fase terminale con una notevole componente dolorosa fisica necessita la somministrazione di un’adeguata terapia analgesica anche se in questo modo la sua vita potrebbe essere abbreviata, così come con la sospensione di cure ritenute sproporzionate nel rispetto della dignità della persona. Inoltre, se da un lato il progresso scientifico ha consentito di sconfiggere numerose malattie e di curarne meglio altre, le più sofisticate tecniche rianimatorie spesso producono situazioni nelle quali i minori, attaccati alle macchine in reparti di Terapia intensiva, rischiano di trascorrere gli ultimi momenti della loro vita lontani dai propri cari. Quello che un giovane chiede è invece di vivere la sua vita sociale (scuola), sportiva, di relazione (amici). Uno dei padri delle cure palliative, Vittorio Ventafridda, le definisce come “il trattamento del paziente affetto da patologie

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Flow-chart da poter seguire per impostare un programma ben definito L’équipe ospedaliera valuta l’opportunità di attivare un percorso di assistenza domiciliare e coinvolge la famiglia, il pediatra/medico famiglia e il Distretto di riferimento

Condivisione di un Piano di Assistenza Individualizzato tra Centro specialistico di riferimento e pediatra/medico di famiglia-Distretto

Attivazione e presa in carico domiciliare

Mantenimento in carico da parte dell’équipe del Centro specialistico di riferimento con la collaborazione del pediatra di famiglia (Modello Ospedalizzazione domiciliare)

Presa in carico da parte dell’équipe territoriale di cure domiciliari con la responsabilità clinica del pediatra di famiglia e la supervisione/consulenza del Centro specialistico di riferimento (Modello ADI-Cure primarie)

Rivalutazione periodica del Piano di assistenza con possibili cambiamenti dei livelli di cura (ospedale, domicilio) e dei livelli di presa in carico (Ospedalizzazione domiciliare/Cure primarie)

evolutive e irreversibili, attraverso il controllo dei suoi sintomi e delle alterazioni psicofisiche, più che della patologia che ne è la causa”. Dalla letteratura emerge un consenso unanime sulla necessità di condividere sempre le decisioni di fine vita con la famiglia e quando possibile, pur trattandosi di un minore, e nel rispetto dell’età e delle condizioni cliniche, anche con il paziente stesso. Perché ciò sia possibile, occorre stabilire e condividere un percorso da seguire durante tutta la progressione della malattia, basato su alcuni passaggi chiave: ^^identificazione di coloro che “prenderanno le decisioni” e loro inserimento nel processo di decisione; ^^identificazione delle fasi evolutive della malattia ed informazione alla famiglia in modo chiaro e comprensibile; ^^individuazione degli scopi della cura: quelli curativi da quelli di dubbio/non provato valore terapeutico e quelli esclusivamente palliativi. È necessario che tutta l’equipe curante ne sia a conoscenza; ^^condivisione delle scelte di fine vita con definizione di uso o sospensione delle cosiddette procedure estreme (es. ventilazione meccanica, nutrizione artificiale ecc.). Occorre anche avere ben presente una guida che stabilisca con chiarezza chi chiamare o da chi far trattare i sintomi nella fase premorte del giovane. (Fig.1) L’attenzione del medico non deve essere rivolta al prolungamento della vita (to cure) ma all’ottimizzazione della sua qualità (to care). Quindi, i principali aspetti che dovrebbero caratterizzare l’assistenza in tale fase sono:

^^l’approccio multiprofessionale: è richiesto un intenso lavoro di èquipe che coinvolge medici, infermiere, psicologi e altre figure professionali che provvedono al sollievo del dolore e degli altri sintomi di disagio del giovane; ^^globalità e personalizzazione: la persona viene considerata nella sua totalità e la terapia è impostata in funzione della sua storia clinica e delle sue attuali esigenze; ^^centralità della famiglia: le cure non riguardano esclusivamente l’adolescente terminale ma anche l’intero nucleo famigliare; ^^comunicazione: mantenere un buon livello di comunicazione tra i vari componenti del­l’equipe curante e con la famiglia al fine di consolidare e sviluppare ulteriormente l’alleanza terapeutica; ^^rifiuto dell’accanimento diagnostico-terapeutico: l’intervento attivo del medico dovrebbe solo assicurare la qualità di vita del giovane. (Fig.2) Veronica (13 anni) poco prima di morire ha scritto questi versi: È importante “Quello che conta nella vita non è saperla apprezzare. Quello che conta è saper accogliere il momento in cui finisce”. ... e chi meglio di chi (medici e non solo) assiste gli adolescenti in fase terminale può aiutare loro ad  accogliere questo momento? Fig. 2 Cure Palliative Pediatriche per il giovane con tumore Esempio di percorso, condiviso a livello di equipe multidisciplinare, del percorso per un giovane con tumore L’équipe curante concorda il programma di assistenza futura del giovane

Condivisione del programma di assistenza con la famiglia

Decisione: cure palliative

Si rende partecipe e si coinvolge nella progettualità il pediatra/medico di famiglia

Presa in carico da parte dell’équipe di cure palliative (1 responsabile medico + altri medici di supporto + infermieri + assistenti sociali + psicologi + volontari + insegnanti)

Obiettivo dell’assistenza: domicilio con eventuale accesso in day-hospital

Rivalutazione periodica del programma fino all’exitus, se possibile a domicilio o, eventualmente, in letti dedicati in centri altamente qualificati (in base alla gravità dei sintomi, così come della tipologia della famiglia e dei desiderata del paziente e dei familiari)

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Fig. 1 Cure Palliative Pediatriche Percorso di presa in carico domiciliare

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Il punto di vista

del bioeticista Quando muore un bambino: decisioni cliniche a confronto con l’etica

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l terreno più infido per la Medicina è quello che si apre tra un “già” e un “non ancora”: il “già” della morte annunciata e prevista, perché la guarigione non è più possibile e si sta avvicinando la fine, e il “non ancora” del processo del morire non concluso. Le decisioni in questo ambito hanno spesso un carattere tragico e sono gravate da alta conflittualità dal punto di vista etico. Sono decisioni inevitabili, peraltro: perché il contesto medico comporta necessariamente la responsabilità dei professionisti di monitorare e guidare il decorso. I medici possono e devono prendere decisioni circa le cure, la loro eventuale intensificazione o interruzione. Per non dire che già il fatto stesso di lasciare che una vita si chiuda in ospedale piuttosto che a casa – o in un luogo non medicalizzato – presuppone una decisione carica di valori: che cosa è meglio fare? E meglio per chi? Chi ha titolo per stabilire qual è la decisione giusta? Queste considerazioni valgono per ogni vita che si spegne, compresi i grandi anziani. Quando entriamo nella regione delle cure palliative, la Medicina deve cambiare passo: semplicemente intensificare ciò che si è fatto fino a quel momento può essere inappropriato e produrre più malessere che benefici. È questa la causa più frequente di tante brutte morSandro Spinsanti ti, che possono essere etichettate come “distanasia”. Fondatore e direttore dell’Istituto Giano Le cure palliative sono il correttivo a questa triste deriva. Non siamo in grado di proclamare l’esistenza di un’etica particolare per le cure palliative pediatriche. Ma quando a morire è un bambino, la vicenda assume – per dirla con Henry James – “un giro di vite”. È il titolo di un racconto in cui si parla di fantasmi; ma siccome i protagonisti sono dei bambini, secondo lo scrittore l’angoscia stringe maggiormente, appunto con un “giro di vite”. Ecco: la morte dei bambini eleva al quadrato anche tutti gli interrogativi riconducibili alle domande che si aggrumano intorno al comportamento eticamente giustificabile. I giri di vite nelle cure palliative pediatriche sono più d’uno. C’è anzitutto un tratto culturale che riguarda il morire nella nostra società, e la morte dei bambini in particolare. In passato la morte dei bambini era frequente e pubblica, ora è diventata rara e segreta. Il cambiamento non può che rallegrarci: la rarefazione

della morte dei bambini è uno dei frutti più belli del progresso sanitario e dell’aumento delle capacità terapeutiche della Medicina. Contemporaneamente, però, non possiamo ignorare il “giro di vite” che subiscono i problemi etici. Al posto del fatalismo con cui la cultura del passato faceva fronte alla falcidia dei bambini è subentrata una mobilitazione esasperata: i bambini non possono, non devono morire! Per contrastare la loro morte non c’è misura terapeutica che risulti eccessiva. In questo contesto il problema della giusta misura – non fare troppo poco, ma neppure eccedere in senso contrario – diventa ingovernabile. Quando poi i dilemmi che straziano clinici e genitori nelle decisioni relative alle cure da offrire a bambini che stanno andando verso la morte vengono travasati nel dibattito pubblico, il giro di vite si traduce in una drastica riduzione della complessità in formule caricaturali. Ruvidi predicatori, che si autopromuovono come “partito della vita”, accusano i fautori della limitazione di essere il “partito della morte”. Come illustrazione della difficoltà di confrontarsi in un dibattito sereno su questi temi possiamo riferirci alle violente reazioni che ha suscitato il cosiddetto “Protocollo di Groningen” relativo alla rianimazione di neonati in condizioni cliniche incompatibili con la vita. L’ipotesi di poter accompagnare attivamente i neonati alla morte, in casi estremi, è stata semplicemente squalificata come una impraticabile eutanasia. Non si è voluto considerare che quelle linee-guida rimandano a un comune sentire proprio dell’Olanda, in un ambiente di relativa fiducia nei confronti dei professionisti, in un contesto in cui si privilegia la trasparenza delle decisioni. Piuttosto che esportare linee-guida a cui attribuire un valore universale, sarebbe opportuno che in ogni ambito culturale si facesse uno sforzo analogo di ripensare il problema del limite alle cure. Né può essere esaustiva la proposta di tagliare il nodo gordiano delle complesse decisioni di fine vita con la formula della “morte naturale”, quasi che la saggezza consista nel “lasciar fare la natura”… Se la morte è una conseguenza della natura, la nostra è però una natura umanizzata, e quindi rivestita di valori, di etica e di libere decisioni. La formula: “né eutanasia, né accanimento terapeutico” è poco più che una dichiarazione velleitaria, se

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non si trova il consenso su chi debba prendere le decisioni, e in base a quali principi etici. Includendo il ruolo che si attribuisce al minore stesso. Proprio le difficoltà che si frappongono sul fronte della libertà e dell’autonomia personale costituiscono l’ulteriore giro di vite etico della morte in età pediatrica. Tra i grandi cambiamenti culturali che hanno caratterizzato la nostra società, compreso il passaggio dall’etica medica alla bioetica, dobbiamo iscrivere anche la rimessa in discussione del silenzio con cui veniva nascosta la morte agli occhi del morente. Lentamente le regole etiche che strutturano il rapporto tra sanitari e cittadini si stanno riscri-

vendo. Oggi sottrarre le informazioni a un malato che voglia conoscere ciò che lo aspetta è considerato cattiva Medicina. Anche qualora il nascondimento fosse inteso “a fin di bene”. E non solo gli adulti hanno diritto all’informazione necessaria per dare il consenso ai trattamento: anche i minori devono essere trattati con rispetto; quindi senza menzogne. Il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica: “Informazione e consenso all’atto medico” sottolinea che “il consenso è in qualche modo concepibile tra i 7 e 10-12 anni, ma sempre non del tutto autonomo e da considerare con quello dei genitori. Solo entrando nell’età adolescenziale si può pensare che il consenso diventi progressivamente autonomo”. Quindi oggi l’obbligo morale della verità vale anche per i bambini e i minori in genere, considerando che la minore età giuridica non è sinonimo di minorità morale. Anzi. “Aiutami a non aver paura”: è l’invocazione che Cristina Voglino ha raccolto da una figlia gravemente malata e ha posto come titolo al libro che ha dedicato all’accompagnamento dei piccoli malati (ed. Claudiana, Torino 2009). La “pedagogia del coraggio” è la risorsa prima per far fronte alla tragica realtà della malattia e della morte dei bambini, figli o pazienti. Siamo consapevoli che la fuga dalla verità spesso non è dettata dall’etica, ma dalla man canza di coraggio.

Intervista a Marisa Pugliese

Il punto di vista della psicologa

A

nche quando non è più possibile guarire è possibile prenderci cura del bambino e della sua famiglia”: Marisa Pugliese, psicologa dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria del Policlinico di Modena, prova a spiegarla con poche parole la missione di chi sceglie di stare accanto ai bambini durante la malattia e nel fine vita. “Garantire il massimo di qualità della vita sino alla fine è possibile, ma occorre prendersi cura del bambino totalmente – corpo, mente e spirito – e della sua famiglia”, spiega. “

Procedure invasive ripetute e stress ad esse associato possono costituire esperienze traumatiche. Come aiutare il bambino ad affrontarle al meglio? La gestione del dolore è di primaria importanza, è un imperativo categorico. Molte paure dei bambini, infatti, sono prodotte e intensificate da una non adeguata gestione

del dolore fisico. L’esperienza del dolore, associata alla paura e al mancato dialogo, sono fonte di grande sofferenza per il bambino. Oltre alle terapie farmacologiche possono essere utilizzate tecniche non farmacologiche per il controllo del dolore. Nel bambino in età prescolare le più utilizzate sono quelle di distrazione: le bolle di sapone, il guanto

magico oppure stimolare la curiosità con libri illustrati, giocattoli musicali, racconti di storie, videogiochi. Altre tecniche, quali quelle psicodinamiche, vengono usate in bambini più grandi e adolescenti: il training autogeno, tecniche di visualizzazione, suggestione e psicoterapiche. Non esiste solo il dolore fisico, ma anche quello collegato agli aspetti psicologici della malattia: l’ospedale, l’isolamento... È di fondamentale importanza accogliere le paure e le ansie, dare la possibilità al bambino di poterle esprimere, di poterne parlare liberamente,

“È di fondamentale

importanza accogliere le paure e le ansie, dare la possibilità al bambino di poterle esprimere, di poterne parlare liberamente”

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Primo piano / Speciale cure palliative

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orire in casa? Un tempo la norma. Oggi l’eccezione. Alessio, una malattia rarissima e terribile, la Progeria. A 13 anni pesava circa 15 kg, ma il suo corpo era quello di un novantenne. La diagnosi: stenosi aortica serrata con cardiomiopatia ischemica gravissima. Nessuna speranza, più nessuna terapia possibile. Paziente terminale. Insieme alla mamma avevamo deciso di lasciarlo a casa, tra i suoi cari, fino alla fine. Giorno dopo giorno l’inutilità delle mie visite era sempre più evidente e il mio intervento solo emotivo: “Alessio tifi per la Juventus? E non ti metti scuorno!? (E non ti vergogni!?, ndr) La prossima volta ti porto un poster di Cavani!”. Una mattina, ennesima chiamata... ci siamo. Ho comprato della morfina come mi aveva consigliato un collega esperto, qualche farmaco sedativo e sono andato. Alessio mi aveva chiamato tutta la notte, ma quando sono arrivato aveva perso conoscenza. Ormai in acidosi, respirava affannosamente con una mascherina di ossigeno. C’erano tutti, proprio tutti i familiari. La mamma e la zia lo tenevano per mano, tutti piangevano quando: “Zitti zitti, è arrivato il dottore!”. Eccomi. Un senso di profonda commozione e frustrazione mi ha stretto in una morsa. Tutti gli occhi su di me, e i miei improvvisamente pieni di lacrime. Non potevo fare niente e tutti lo sapevano, ma tutti mi attendevano

in modo che egli possa manifestare i propri timori e le proprie emozioni. Esistono, infatti, paure che possono strutturarsi e che possono essere generate da una non adeguata comunicazione nel corso della malattia e del processo di cura. La rappresentazione che il bambino ha della sua malattia fa riferimento, infatti, a schemi correlati alla fase di sviluppo cognitivo raggiunto. Per esempio bambini in età prescolare hanno difficoltà a differenziare le sensazione dolorose dovute alla malattia dalla sofferenza causata dalle cure. Lo sviluppo del bambino è caratterizzato a quest’età da

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Il punto di vista

del pediatra

Quando il confine della vita è perso è difficile restare vicino a chi soffre: l’importante però è esserci

un pensiero concreto. Le procedure mediche possono essere, pertanto, viste come una punizione o una forma di maltrattamento messa in atto dagli adulti. La malattia secondo la spiegazione dei bambini può essere causata da comportamenti, di solito “cattive azioni” come uscire senza cappotto, avere fatto arrabbiare la mamma o avere disobbedito. La malattia può infatti, in questa fase dello sviluppo, essere vissuta come una colpa. Porsi in una dimensione di ascolto è fondamentale, anche per poter modulare la nostra comunicazione: spiegare al bambino con parole che egli possa comprendere, permettendogli di fare domande rispetto alla sua malattia. Le abilità del bambino a fronteggiare la malattia sono diverse a seconda dell’età, dello sviluppo cognitivo ed emotivo, delle caratteristiche della malattia, del percorso diagnosticoterapeutico, dell’ambiente familiare, sociale e culturale. È

importante, pertanto, tenerne conto e individualizzare l’intervento sui bisogni specifici del bambino e della sua famiglia, garantendo la sua rete sociale, affettiva e relazionale. Anche quando il bambino è in un contesto non pediatrico dovrebbe essere creato un ambiente a misura di bambino, in cui possano essere presenti anche i fratelli, familiari e amici, rispettando le sue richieste, i suoi desideri permettendogli e garantendogli una “progettualità per il futuro”, anche nella fase del fine vita. I bambini, rispetto agli adulti, hanno un modo diverso di rapportarsi con l’idea della morte? Il fenomeno della morte coinvolge i bambini a tutte le età, è necessario pertanto affrontarlo in maniera adeguata a livello di sviluppo raggiunto. Va tenuto in considerazione che anche tra bambini della stessa età possono esistere differenze determinate da esperienze

personali e dall’ambiente familiare. La malattia, inoltre, può indurre una regressione portando il bambino a utilizzare schemi di sviluppo precedenti. A 3 anni il concetto di morte è presente, ma è verso i 4-5 anni che si struttura il concetto di irreversibilità e universalità della morte. In alcuni casi i bambini sono consapevoli molto precocemente della gravità della malattia. La cosa importante è non lasciarli mai da soli con le loro ansie e paure, rispondere nel modo più onesto possibile alle loro domande, creare un ambiente in cui si sentono liberi di esprimere le proprie angosce, ma senza forzare il processo comunicativo che va tarato su quello che il bambino in quel momento ci sta chiedendo. L’interazione tra la famiglia e l’equipe medica aiuta a conoscere meglio il bambino e ad arrivare al momento del fine vita in condizioni tali da poter accogliere nel miglior modo possibile la sofferenza dei genitori. 

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Tommaso Montini

Pediatra di famiglia, Napoli tom.montini@libero.it

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patia sono infatti reciproci tra operatore e paziente e, in situazioni critiche, chi soffre può rivedere la sua esperienza proiettata nell’operatore in una dimensione tollerabile. Una restituzione che può aiutare a ritrovare un equilibrio altrimenti irrimediabilmente perso. Quando la corteccia è esclusa, i centri subcorti^^ cali arcaici e profondi continuano ad essere attivi e rappresentano l’ultimo confine della vita. Le carezze, il contatto fisico, il canto e la musica sono tutti linguaggi mediati da meccanismi neuroendocrini che dalla periferia raggiungono il cervello e non richiedono una decodifica cognitiva. Abbiamo imparato a conoscerli nello sviluppo del bambino piccolo. “Nati per la Musica” (progetto promosso dal­ l’ACP), il contatto pelle a pelle, i massaggi al lattante, sono tutti strumenti acquisiti nelle competenze di tutti i pediatri. Il contatto fisico, le carezze, il canto e la musica, alzano i livelli di ossitocina e di serotonina; queste stimolano la produzione di endorfine cerebrali e mitigano l’azione dell’amigdala, la centralina attiva in tutte le situazioni di stress. Pensavo a questo quando ho proposto la ninna nanna per Alessio e ho spinto la mamma ad accarezzarlo tenendolo vicino al suo corpo. ^^La morte fa paura e chi muore ha paura. Per un bambino piccolo la paura è la perdita del contatto con la mamma e per questo la presenza e il contatto della mamma tranquillizza. In momenti così drammatici mi è sembrato importante ripetere e ripetere più volte “Non aver paura, c’è la tua mamma, siamo qui!”. Quando il confine della vita è perso è difficile restare vicino a chi soffre, perché la nostra emotività richiede una risposta, un sorriso che ritorna. È un nostro bisogno. Tenere una mano o accarezzare una fronte però ha un effetto potente, perché la memoria profonda delle sensazioni e delle emozioni è l’ultima a morire. Il camice bianco deve “fare” un qualcosa, certo, ma in alcuni momenti il “fare” può anche diventare una fuga. In alcuni momenti la parola-chiave importante da imparare è, semplicemente, “esserci”. 

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con ansia. Ho somministrato della morfina probabilmente del tutto inutile, e poi? Il mio ruolo era quello del “fare”, ma dopo pochi minuti, esaurito il “fare”, non sapevo più che senso avesse la mia presenza. Mi sono ritrovato dentro un unico desiderio: fuggire. Ho resistito, e ho sentito invece con forza che il mio compito era uno solo: esserci. Esserci fino alla fine. Ho cercato di mantenermi sereno e calmo, poi ho detto con dolcezza: “Coraggio! Alessio, non aver paura. Ci siamo, siamo tutti qui. C’è la mamma. È vicino a te”. Ho iniziato ad accarezzarlo, ho detto alla mamma di fare lo stesso e di abbracciarlo, ho intonato una ninna nanna cercando di coinvolgere la signora. È trascorso del tempo così. Era molto difficile mantenere il controllo della tensione, mi veniva da piangere e in silenzio pregavo. Di tanto in tanto il controllo emotivo si perdeva e qualcuno correva fuori, ma posso dire che gli ultimi momenti di Alessio sono stati un abbraccio, tra i suoi cari. Ha smesso di respirare e gli ho chiuso gli occhi. La disperazione è venuta dopo. Non sono riuscito a contenerla e ho perso il controllo della situazione. Sono andato via appena ho sentito di essere di troppo. In silenzio, senza salutare nessuno... finalmente sono fuggito. Alessio non c’era più e la famiglia doveva stringersi nel suo dolore, senza intrusi. Dopo qualche giorno sono andato a trovare la mamma. Poche parole, un abbraccio, un legame profondo, bello! Una storia semplice. Poco di medico, molto di umano. Ho ripensato a quei momenti. Ero preparato ad affrontarli? Me lo hanno insegnato alla Scuola di specializzazione? Più volte in reparto avevo partecipato a eventi simili, ma lì c’erano tanti medici, infermieri, infusioni, ossigeno, cartelle da aggiornare di minuto in minuto, al massimo due genitori. La frenesia del “fare” fino all’ultimo istante occupava la scena, e forse permetteva anche una fuga da quel letto accanto al quale la mamma piangeva, spesso sommessamente, davanti a tante persone estranee. La serenità era demandata ad una frase da dire ai familiari e a noi stessi: “Abbiamo fatto tutto il possibile”. Ho sentito l’esigenza di studiare e di mettermi in discussione. Racconto in breve i concetti che sono diventati le mie linee guida. Nei momenti di forte tensione il linguaggio del ^^ corpo prevale su quello della parola, si viene contagiati dalle emozioni a una velocità straordinaria. In situazioni critiche, l’espressione del viso e l’atteggiamento emotivo di chi assume un ruolo di leader si trasmette immediatamente a tutto il gruppo e ne condiziona le percezioni e i comportamenti. Nella stanza di Alessio, in quel momento, avevo una posizione emotivamente forte e la mia capacità di comunicare serenità con il mio viso e il mio corpo era determinante. La sofferenza è alleviata dalla condivisione. È ^^ una cosa che ho imparato in chiesa da bambino, ma da medico l’ho studiata. Si chiama “empatia”: la capacità di “vivere” dentro se stessi le emozioni dell’altro, senza lasciare però che questo si trasformi in contagio emotivo. Un’empatia equilibrata può diventare un supporto importante per chi soffre. Una maniglia cui aggrapparsi in momenti assolutamente difficili. I meccanismi specchio alla base dell’em-

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Il ruolo della formazione: l’esperienza dell’Emilia-Romagna

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a legge 38 del 15 marzo 2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” ha sancito l’avvio di una progettazione nazionale delle reti di cure palliative dedicate al bambino e alla famiglia. Oggi il diritto alle Cure Palliative Pediatriche (CPP) si scontra a livello nazionale – e per certi versi anche internazionale – con la mancata diffusione di una cultura della palliazione e del trattamento tempestivo del dolore e dei sintomi della malattia per garantire una migliore qualità di vita al paziente e a tutta la sua famiglia. La Regione Emilia Romagna, riferimento nazionale per le buone pratiche e l’avvio di politiche socio-sanitarie a tutto tondo, ha recentemente deliberato il documento che definisce e approva la “Rete delle Cure Palliative Pediatriche Regionale”, frutto di un tavolo di lavoro a cui hanno preso parte professionisti delle più importanti strutture e hub di riferimento regionale. Il progetto di definizione della Rete regionale ha individuato percorsi specialistici di assistenza (e presa in carico palliativista) ai pazienti pediatrici e alle loro famiglie che affrontano ogni giorno le problematiche e le elevate criticità di una patologia grave ad alta intensità assistenziale. Ora la Regione sta operando affinché la Rete sia operativa quanto prima in tutto il territorio regionale nel pieno coinvolgimento delle Aziende, dei reparti ospedalieri e di tutti i professionisti che operano costantemente con i pazienti pediatrici in tutte le fasi della malattia. Le iniziative di sviluppo della Rete che la Regione Emilia-Romagna sta mettendo in atto dedicano ampio spazio alla formazione universitaria e continua dei professionisti, riconoscendo l’evidente bisogno e l’importanza di formare le risorse con percorsi multidisciplinari sin dalla fase di avvio dell’erogazione dei servizi. Grazie al riconoscimento della Regione Emilia-Romagna, dell’Azienda Usl di Bologna e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico Sant’Orsola, l’Accademia delle Scienze di Medicina Palliativa di Bentivoglio – ASMEPA, centro di formazione e ricerca impegnato dal 2007 nella diffusione della cultura delle cure palliative con programmi di for-

mazione universitaria e continua e mediante progetti di ricerca, implementerà l’offerta con percorsi di formazione in cure palliative pediatriche ad ampio spettro disciplinare. In quest’ottica ASMEPA intende promuovere una cultura delle cure palliative pediatriche in tutti i setting di cura e di assistenza (ospedaliero, domiciliare e hospice pediatrico), al fine di favorire percorsi di presa in carico globale in tutte le fasi della malattia verso una umanizzazione della Medicina. A partire dai primi mesi del 2014 verranno attivati due master universitari di I e II livello, rivolti rispettivamente a tutte le figure sanitarie e a medici, con particolare riferimento a pediatri e anestesisti. I master sono volti a mettere in pratica un modello efficace di una formazione che metta in essere un’interazione multiprofessionale, in adeguamento ai dettami della Legge 38 e dei decreti ministeriali ad essa correlati. Si rivolgeranno a professionisti di tutto il territorio nazionale e saranno caratterizzati da moduli integrati multiprofessionali e da percorsi internazionali, sia teorici sia pratici, volti alla conoscenza e all’approfondimento dell’esperienza presso le più prestigiose strutture di cure palliative di riferimento internazionale, fra cui il Canuck Place di Vancouver, il Children Cancer Hospital dell’Università del Texas e il Vrije Universiteit Medisch Centrum di Amsterdam. Una

Andrea Pession

Università Alma Mater Studiorum, Bologna

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zione in cure palliative pediatriche attivata da ASMEPA e Università di Bologna negli ultimi anni,

in particolare del corso di formazione universitaria in Cure Palliative Pediatriche. Il corso, progettato in uniformità con le linee guida del core curriculum internazionale sulle CPP, ha rappresentato una esperienza unica in Italia di formazione secondo un programma uniforme e coerente con le temati che internazionali in materia.

faculty internazionale si alternerà a docenti universitari e professionisti clinici, provenienti dalle migliori università e strutture del territorio nazionale, per una formazione sinergica, integrata e dettagliata sui protocolli e le procedure di cura, al fine di garantire un percorso specialistico completo. L’obiettivo è quello di creare all’interno dei master le dinamiche professionali integrate grazie ad una classe composta da tutte le figure del team multidisciplinare necessario: dirigenti medici, medici pediatri, anestesisti, neuropsichiatri infantili, infermieri, psicologi ed educatori che inizino a lavorare sinergicamente a partire dal progetto fondamentale di una formazione specialistica. I due master rappresentano un’evoluzione della forma-

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La Rete delle Cure Palliative Pediatriche Regionale è frutto di un tavolo di lavoro a cui hanno preso parte professionisti delle più importanti strutture

La collaborazione pubblico-privato in Emilia-Romagna per un hospice pediatrico regionale

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ure palliative: cresce il ruolo del no profit, come si evince anche dal Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione delle legge 210/38 che dedica all’impegno del Terzo Settore un intero capitolo, con una vasta panoramica dei più importanti soggetti che operano in partnership con la Sanità pubblica. Un virtuoso esempio di collaborazione pubblicoprivato si registra in Emilia-Romagna, dove la lunga esperienza nell’ambito delle cure palliative per adulti maturata dalla Fondazione Isabella Seràgnoli, tramite l’attività della Fondazione Hospice MT. C. Seràgnoli Onlus, ha portato al riconoscimento istituzionale dello studio di un hospice pediatrico, deliberato a dicembre 2012 dalla Regione. Sin dalla fase iniziale, il progetto è stato portato avanti in piena concertazione con le Istituzioni locali e regionali al fine di renderlo l’elemento chiave per lo sviluppo da parte della Regione Emilia-Romagna di una Rete di cure palliative pedia-

triche. Per lo sviluppo della Rete, la Regione Emilia-Romagna ha istituito un tavolo di lavoro composto dai rappresentanti dei presidi e delle strutture socio-sanitarie di riferimento di tutto il territorio regionale e ha coinvolto, sin dall’inizio, i referenti della Fondazione Isabella Seràgnoli. Lo studio di un hospice pediatrico ha interessato ampia parte dell’attività svolta dal tavolo di lavoro che ha condiviso il modello assistenziale e i setting di cura proposti dalla Fondazione, in relazione al ruolo che ricopriranno gli altri nodi della Rete, quello ospedaliero e quello territoriale dell’assistenza a domicilio in cui dovranno avere un ruolo centrale i PLS (pediatri di libera scelta) e MMG (medici di Medicina generale). L’hospice è stato riconosciuto come centro regionale specializzato, che, grazie soprattutto al setting ambulatoriale e alla consulenza specialistica agli altri nodi della Rete, potrebbe seguire pazienti e professionisti  senza soluzione di continuità.

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La clinica

Epilessia pediatrica: una nuova opportunità

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on una prevalenza di 5 soggetti su 1000 nella popolazione pediatrica in Europa, l’epilessia si conferma la patologia neurologica più comune nell’infanzia: in Italia si stima ci siano circa 50.000 bambini e adolescenti affetti da epilessia. Le crisi convulsive acute prolungate richiedono un intervento immediato per evitare conseguenze sullo sviluppo cognitivo e sociale del bambino. La somministrazione del trattamento di emergenza è ora più semplice grazie alla disponibilità in Italia di midazolam soluzione oromucosale, approvato per il trattamento delle crisi convulsive acute prolungate in bambini e adolescenti da 3 mesi a meno di 18 anni. Qual è oggi il trattamento standard delle crisi convulsive acute prolungate in bambini e adolescenti in ambiente extraospedaliero? E quali criticità presenta? Spiega Emilio Perucca, Presidente International League Against Epilepsy, Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino e Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università degli Studi di Pavia: “L’utilizzo delle benzodiazepine per il trattamento di emergenza delle crisi epilettiche è consolidato da decenni di esperienza clinica. In particolare la capacità dell’applicazione rettale di diazepam di produrre livelli plasmatici efficaci di farmaco in tempi molto rapidi (<5 minuti) ha portato ad un utilizzo sempre più diffuso di questa forma di terapia per il trattamento extra-ospedaliero di crisi epilettiche in atto e per la profilassi intermittente delle crisi febbrili o delle crisi subentranti. Nella valutazione delle potenzialità della somministrazione rettale, tuttavia, viene spesso trascurata la percezione da parte del paziente e del caregiver. La problematica connessa all’impiego di questa via di somministrazione è infatti la scarsa accettabilità sociale

Articolo realizzato con il grant educazionale di ViroPharma

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soprattutto in una situazione che sia al di fuori del contesto domestico, perché come è facilmente immaginabile la somministrazione per via rettale crea notevole imbarazzo per esempio in ambiente scolastico e ovviamente incontra delle resistenze da parte di chi eventualmente sia chiamato ad attuarla. Un recente studio effettuato in Olanda (Timmerman et al, 2008), ha valutato gli effetti psicosociali dell’uso di diazepam rettale in 39 pazienti di età compresa tra 5 e 19 anni. Tra i soggetti di età superiore ai 7 anni, la maggior parte (10-18) ha riferito di provare vergogna, con una incidenza più elevata nelle femmine (75%) che nei maschi (17%). La frequenza di somministrazione rettale era inoltre significativamente correlata al timore di essere oggetto di bullismo”. In che modo l’avvento della terapia con midazolam oromucosale può migliorare la qualità di vita dei pazienti, la loro compliance? Spiega Federico Vigevano, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: “Questo farmaco ha il vantaggio di essere somministrato per bocca, attraverso una siringa senza ago, nello spazio tra la guancia e la gengiva dove avviene l’assorbimento tramite la mucosa orale. Quindi il farmaco non viene deglutito. Viene utilizzato per interrompere crisi convulsive acute prolungate

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che attualmente invece vengono trattate, in ambito extraospedaliero, con un farmaco che può essere somministrato solo per via rettale. È dimostrato che questo approccio terapeutico – una nuova formulazione di un farmaco peraltro ben conosciuto, perché già in commercio da alcuni anni – è apprezzata da pazienti e caregiver proprio perché c’è un maggiore rispetto della dignità del paziente. Questa percezione positiva fa anche sì che l’intervento da parte di genitori e caregiver sia più tempestivo, più precoce: un fattore di grande importanza, perché tanto più tardi si interviene tanto più è difficile riuscire a raggiungere il controllo delle crisi”. Compliance a parte, abbiamo dei dati clinici aggiornati sull’efficacia clinica di questo approccio terapeutico? “Midazolam oromucosale è stato confrontato con diazepam rettale, e i dati paiono mostrare tempi di assorbimento più rapidi e una percentuale di successo nel controllo delle crisi uguale o superiore di midazolam rispetto a diazepam”, continua Vigevano. “Midazolam inoltre dal punto di vista della farmacocinetica ha un altro vantaggio, e cioè un’emivita più rapida, per cui nella fase successiva alle crisi i pazienti che assumono midazolam oromucosale non hanno un’eccessiva sonnolenza e quindi la loro ripresa è più rapida”. A questo punto viene da chiedersi se le linee-guida sul tema delle crisi convulsive acute prolungate in bambini e adolescenti sono aggiornate. Fa notare ancora Vigevano: “Va sottolineato che stiamo parlando di un intervento terapeutico che viene effettuato in casa o in comunità, in ambiente extraospedaliero insomma, dove non è possibile somministrare farmaci per via endovenosa o avere un’assistenza medica. Devo dire che la maggior parte delle linee-guida dei Paesi UE non

Una tavola rotonda di esperti analizza gli scenari terapeutici che si aprono oggi nel trattamento di emergenza in ambito extraospedaliero

danno istruzioni specifiche per il setting extraospedaliero, salvo le linee-guida della Gran Bretagna – che sono infatti quelle più all’avanguardia – alle quali secondo me noi italiani dovremmo al più presto adeguarci”. Come vengono gestite attualmente – organizzativamente e farmacologicamente – le crisi convulsive acute prolungate in Emergenza? Spiega Liviana Da Dalt, Professore Associato di Pediatria, Università di Padova e Direttore UOC di Pediatria di Treviso: “Un bambino che arriva in Pronto Soccorso con una crisi convulsiva in atto, che dura quindi da molti minuti, o con crisi che si ripetono a brevi intervalli rappresenta una vera emergenza, la più comune tra quelle di natura neurologica e tra le più comuni in Pronto Soccorso pediatrico: un codice rosso, insomma. Gli interventi sono di carattere generale e di carattere specifico: ci si accerta che i parametri vitali del bambino siano stabili e se non lo sono si procede a stabilizzarli, poi si eseguono accertamenti per individuare la causa della crisi e se il paziente è già in terapia antiepilettica si effettua un prelievo per il dosaggio dei farmaci al fine di tarare meglio la


sua successiva terapia. Contestualmente si procede con il trattamento farmacologico finalizzato a far cessare lo stato di male epilettico più rapidamente possibile. La terapia può essere molto articolata, ma i farmaci universalmente utilizzati in prima linea sono le benzodiazepine: quella che viene considerata col miglior profilo beneficio/rischio e quindi di prima scelta è lorazepam 0,05-0,1 mg/kg per via endovenosa. Il paziente viene attentamente monitorato per intervenire in caso di depressione respiratoria – possibile effetto collaterale della terapia – con il supporto delle funzioni vitali, se necessario. Se la crisi non passa dopo 10-15 minuti si somministrano i farmaci di seconda linea, ovvero difenilidantoina 18-20 mg/kg (dopo l’età neonatale). In caso di ulteriore persistenza della crisi si passa ai farmaci di terza linea, quali fenobarbital 15 mg/kg o midazolam con un carico di 0,2 mg/kg e poi infusione continua di 0,06 mg/kg ora. È ovviamente necessario un approccio multidisciplinare che coinvolge personale medico e infermieristico, e questo prevede un modello organizzativo specifico”. Quali sono i punti critici e come e dove si dovrebbe intervenire

per migliorare la risposta dei team ospedalieri a questi eventi patologici? “Vedo due ordini di problemi”, sottolinea la Da Dalt. “Innanzitutto il fatto che questi farmaci sono a volte sottodosati, un grave errore che genera il rischio che il bambino non risponda o risponda solo parzialmente al trattamento, con la necessità di ripetere lo stesso farmaco o passare alla seconda e terza linea molto precocemente. Se sottodosiamo i farmaci non abbiamo l’efficacia e in compenso accumuliamo effetti collaterali: vediamo spesso pazienti che arrivano ad essere intubati e trasferiti in Terapia Intensiva per un errore di approccio terapeutico in prima linea. È essenziale quindi che ci siano linee-guida esaurienti a disposizione del medico di Pronto Soccorso. In secondo luogo c’è la difficoltà di accesso vascolare. Malgrado in ambito ospedaliero si proceda fino a prova contraria per via endovenosa, può succedere che soprattutto nei lattanti sia difficile in Urgenza assicurare un accesso vascolare: in questo caso tradizionalmente si utilizzava diazepam rettale, ma ormai ci sono molte evidenze che dimostrano che midazolam oromucosale è più efficace e ha minori effetti collaterali e deve

La consapevolezza della gravità e la conoscenza della modalità di gestione delle crisi convulsive acute prolungate nei vari contesti non ospedalieri sono abbastanza diffuse tra gli operatori sanitari e nel pubblico generale? Cosa fare al riguardo? Cosa può fare il pediatra per affiancare le famiglie e le istituzioni scolastiche per gestire al meglio questi pazienti? Risponde Alberto Villani, Direttore dell’UOC di Pediatria Generale e Malattie Infettive all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: “Le convulsioni sono una delle manifestazioni cliniche che ingenera maggiore preoccupazione e ansia in chi ne è testimone. Non solo quindi i genitori dei bambini, ma anche i medici vivono con preoccupazione la gestione delle crisi convulsive, specie se protratte, anche all’interno delle strutture ospedaliere. Chi assiste a una crisi convulsiva ne resta particolarmente provato, avverte una sensazione di pericolo imminente di vita per il soggetto che le manifesta, se ne ricorda anche a distanza di tempo. Purtroppo, nonostante la presenza di linee-guida ormai da anni e conoscenze consolidate, la gestione delle convulsioni è ancora poco standardizzata e presenta una variabilità di gestione molto ampia. È quindi importante divulgare quanto più possibile le linee-guida non solo tra neurologi pediatrici, pediatri, neuropsichiatri ma anche tra tutti gli altri medici. È anche molto importante divulgare e veicolare le informazioni presso tutti coloro che interagiscono con soggetti in età evolutiva (scuola, attività sportive, ecc.) in modo da garantire la gestione dell’episodio che può verificarsi nel bambino affetto da epilessia già conosciuto, che nell’identificare una crisi convulsiva in un soggetto che non ne aveva mai sofferto in precedenza. Saper gestire bambini con diagnosi nota in ambito scolastico e sportivo eviterebbe un numero significativo di interventi in urgenza e di accessi negli ospedali per situazioni che possono e devono essere gestite senza creare al soggetto e alla società

stravolgimenti. La Società Italiana di Pediatria, in collaborazione con altre Società scientifiche, sta elaborando delle campagne di educazione sanitaria in molti ambiti, compreso quello delle convulsioni”. Ultime ma non meno importanti, le considerazioni di natura farmacoeconomica: qual è l’impatto economico dell’epilessia pediatrica in Italia? Quali potrebbero essere le ricadute positive dal punto di vista finanziario di un utilizzo standard della terapia con midazolam oromucosale? Riflette Ettore Beghi del Dipartimento Neuroscienze, Laboratorio Malattie Neurologiche dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano: “Senza dubbio esiste un significativo impatto economico dell’epilessia pediatrica sul SSN, stratificato in base a come l’epilessia si presenta. Stimiamo che la maggior parte dei costi si abbia al momento della diagnosi, in un secondo momento l’impatto economico si diversifica a seconda che il paziente soffra di una epilessia controllata o presenti ancora crisi. In questo secondo caso ovviamente il costo è maggiore sia in termini di possibili ricoveri ospedalieri che di consumo di farmaci. Le crisi convulsive acute prolungate poi possono fare la differenza dal punto di vista farmacoeconomico, nel senso che non è escluso che i pazienti vengano portati in ospedale, con tutti i costi che ne derivano. Per tale motivo, di particolare interesse sono i risultati di uno studio recentemente presentato al convegno di Bruxelles della European Paediatric Neurology Society. L’indagine, effettuata confrontando il midazolam oromucosale con il diazepam rettale impiegando un modello di utilità-costo, ha stabilito che il più elevato costo del midazolam è compensato da un più consistente risparmio in termini di trasporto e di ricovero ospedaliero. Questi dati sono un’utile premessa per l’esecuzione di studi sul campo volti a confermare l’impatto economico favorevole del midazolam oromucosale rispetto ai trattamenti convenzionali delle crisi epilettiche prolungate”. 

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essere considerato la prima scelta quando la somministrazione endovenosa non è praticabile”.

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Frutta e verdura: scoprila, gustala,

sceglila

Un programma triennale, co-finanziato dall’Unione Europea e dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e ideato da Alimos e Interfel per promuovere sane abitudini alimentari tra bambini e adolescenti La frutta e la verdura sono indispensabili per l’organismo, specialmente durante gli anni della crescita. Non dovrebbero perciò mai mancare sulla tavola e soprattutto nell’alimentazione dei bambini. Grazie a questi alimenti il pieno di vitamine, fibre e sali minerali è assicurato. Spesso però la tematica “frutta e verdura-bambini” è un argomento piuttosto difficile da affrontare ed è a volte complicato convincere i più piccoli ad assumere la giusta quantità quotidiana di frutta e di verdura. È quindi necessario spingere nel modo corretto i più giovani a un consumo abituale e sereno di questi eccezionali alimenti. Con il progetto franco-italiano “Frutta e verdura: scoprila, gustala, sce-

glila”, Alimos, società cooperativa da oltre 40 anni al servizio del settore agro-alimentare, attraverso l’organizzazione di programmi per la salute dei consumatori (www.alimos.it) e Interfel, Interprofessione francese della frutta e della verdura (www. interfel.com), affrontano la tematica sfruttando gli elementi del gioco, del divertimento e dell’esperienza. Questi sono, infatti, gli ingredienti principali del programma triennale promosso da queste due realtà consortili con l’obiettivo di consolidare il consumo di frutta e verdura nelle abitudini alimentari quotidiane di bambini e adolescenti dai 3 ai 18 anni, facendogli compiere un percorso di scoperta con la stretta collaborazione di educatori e genitori. La scelta migliore per il benessere dei bambini e degli adolescenti, senza tuttavia dover rinunciare al gusto, è sicuramente quella di prediligere prodotti leggeri con i giusti elementi nutrizionali quali frutta e verdura fresca. Grazie a “Frutta e verdura: scoprila, gustala, sceglila” i bambini e gli adolescenti sono invogliati al consumo della frutta e della verdura fresca attraverso un insieme di attività che hanno lo scopo comune di accrescere l’attenzione verso le qualità dei due alimenti valorizzando la scoperta sensoriale e il gesto della preparazione, rito importante nelle diverse fasi di sviluppo del bambino, soprattutto nella fascia 3-5 anni. Le attività previste nella campagna sono perciò declinate per seguire questi valori: gite in fattoria con le famiglie per stimolare la curiosità lungo tutta la filiera produttiva, kit pedagogico per migliorare la conoscenza della frutta e della verdura attraverso momenti di divertimento e apprendimento, sezione dedicata del sito www.frutti-veggi.eu completa di giochi divertenti e golose ricette.

Insieme a fare la spesa

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Il rito della spesa, molto spesso vissuto di fretta da genitori sempre di corsa, è molto importante per il bambino, che se coinvolto attivamente può apprezzare il valore di un’alimentazione sana ed equilibrata, frutto anche di scelte d’acquisto ponderate. È necessario soffermarsi su questo momento e dedicargli la giusta attenzione coinvolgendo i bambini nella spesa, insegnando loro come scegliere la frutta e la verdura migliore, privilegiando prodotti di stagione e la provenienza sicura e certificata. E sarà così che il frutto scelto dal bambino avrà un sapore diverso, quasi un po’ “magico”. Acquisite le nozioni di base, di volta in volta i bambini potranno essere responsabilizzati dando loro una propria lista della spesa, con prodotti che metteranno autonomamente nel carrello.

Il sito internet Il programma prevede un sito internet declinato in tre sezioni a seconda del target da sensibilizzare: in particolare sono in italiano la sezione per i bambini dai 3 ai 5 anni in cui è possibile scaricare e stampare disegni e giochi interattivi; e la sezione dedicata agli adolescenti dai 12 ai 18 anni che rimanda anche ad una pagina Facebook, pensata appositamente per attirare l’attenzione dei ragazzi su alimenti più sani e sfiziosi come la frutta e la verdura allontanandoli da prodotti junk food.

Il kit pedagogico - Azione Scuola Il programma prevede la creazione e la distribuzione nelle scuole italiane dell’infanzia di un kit

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Informazione pubblicitaria pedagogico che ha lo scopo di migliorare la conoscenza della frutta e della verdura attraverso momenti ludico – educativi. Il kit è composto da DVD informativo, poster, schede pedagogiche, giochi e guida di utilizzo. È possibile richiedere il kit fino al prossimo settembre direttamente sul sito www.frutti-veggi-bambini.it

Le visite presso le strutture agricole Durante tutto il mese di luglio numerosi ragazzi si sono recati in visita presso le strutture agricole del centro nord, mentre nei prossimi due anni è previsto il coinvolgimento delle realtà del centro e del sud d’Italia. Alla fine di settembre l’educazione al consumo consapevole di frutta e verdura fresca di qualità è protagonista dell’operazione di promozione nelle strutture agricole italiane con l’organizzazione della “Giornata strutture agricole aperte”, che permette ai bambini e ai loro genitori di sviluppare la conoscenza del territorio, della produzione e della vita rurale imparando così le dinamiche globali che animano la filiera. Durante queste giornate i materiali ludico pedagogici vengono messi a disposizione degli ospiti.

I Saloni Alla fine dell’anno il progetto si sposta nei principali saloni agricoli e dedicati al consumatore finale durante i quali i bambini e i loro genitori potranno scoprire, divertendosi, i benefici della frutta e verdura. Dal 25 al 27 settembre “Frutta e verdura: sco-

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Frutta e verdura: energia per lo sport Un’alimentazione equilibrata e una giusta dose di esercizio fisico sono gli ingredienti fondamentali per sentirsi in forma, belli e in salute! Sono davvero molti i vantaggi che si possono ottenere seguendo uno stile di vita equilibrato, abbinando allo sport la giusta alimentazione, sempre ricca di frutta e verdura. Queste ultime forniscono infatti all’organismo la giusta idratazione essendo composte prevalentemente di acqua.

prila, gustala, sceglila” partecipa al salone professionale “Macfrut”, con la realizzazione di laboratori didattici. Educazione alimentare, sensoriale e degustazione saranno le principali tappe che i bambini e ragazzi percorreranno all’interno delle diverse sessioni di apprendimento che avranno come oggetto principale la frutta e la verdura in tutte le sue forme. I piccoli partecipanti impareranno infatti ad apprezzare in modo nuovo il rito della merenda preparando stuzzicanti snack oppure si divertiranno a ricreare golosi stampi colorati con la frutta oppure a pigiare l’uva come si faceva una volta, con i piedi. Divertimento ed educazione alimentare si incontrano nuovamente all’interno di un contenitore tutto dedicato al gioco: “G! Come giocare”, il salone internazionale del giocattolo che si svolgerà dal 22 al 24 novembre.

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Pediatri inFormazione

Più di 2 miliardi

Persone infettate dal Mycobacterium tuberculosis, ma solo 1 su 10 sviluppa la malattia attiva nel corso della propria vita. Comprendere le cause di questa diversa reazione consentirebbe di aprire nuove strade per la prevenzione e la terapia di una malattia che provoca 9 milioni di nuovi casi ogni anno, 1 milione e mezzo dei quali con conseguenze fatali.

Formazione e didattica tutoriale in Pediatria di famiglia nelle Scuole di Specialità

a cura di Davide Vecchio

I risultati di un’indagine conoscitiva condotta dall’ONSP in collaborazione con la Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche Un vero e proprio “riassetto” delle Scuole di Specializzazione in area sanitaria è quello che si profila al Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica. La notizia, ancora non ufficiale, circola però con insistenza e nei mesi scorsi molteplici segnali sono pervenuti in tal senso, a partire dall’insediamento ed ampliamento delle commissioni di studio dedicate del MIUR. Inoltre, possono essere considerate vere e proprie “prove tecniche” quelle ad oggi in discussione nel D.L. “Omnibus” con l’inserimento di stralci in materia di formazione specialistica provenienti dal primo

testo di quella “riforma Fazio” che per vicende alterne non ha mai visto completamente la luce. Presto quindi saremo chiamati a dare il nostro contributo per un adeguamento e miglioramento del vigente D.M. dell’1 agosto 2005 che, dopo neanche un decennio, merita un ripensamento strutturale profondo e prospettico alla luce delle mutate esigenze del fabbisogno assistenziale e delle risorse del nostro Sistema Sanitario Nazionale. Ciò presuppone, ai vari livelli decisionali, la messa in campo di convergenze e sinergie come quelle mostrate in tema di Specialità pe-

Fig. 1 È presente un’esperienza

Milano ano San Raf Raffaele ffa aele

M ilano o Milano

Novara No ov vara Torino Torin no

Udine Udi Udin U ne

M Milano Bicocca

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Pavia P avia

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Parma Parm m ma Genova enova nova

di collaborazione della Scuola di Specializzazione con la Pediatria di famiglia?

Trieste Tri este e

Verona

diatriche dalla Conferenza Permanente dei Direttori delle Scuole di Specializzazione in Pediatria al 69° Congresso Nazionale SIP e già illustrate dal Prof. G. Saggese nel numero di giugno di questo magazine. Ma anche per l’Osservatorio Specializzandi in Pediatria il 69° Congresso è stato un momento di incontro e confronto, in cui i giovani specialisti in formazione hanno voluto dare il proprio contributoraccogliendo l’invito della Dott.ssa M. Picca, attuale Presidente SICuPP, a “fotografare” la realtà della didattica tutoriale nelle Scuole di Specializzazione in un settore da considerare oggi più che mai “strategico”, quello delle cure primarie. Sono stati infatti presentati i risultati dell’indagine conoscitiva “Formazione e Didattica Tutoriale in Pediatria di Fami-

M Mode Modena ena

Bologna Bologn Bolog gn na

Firenze Fir Fi renze Pisa sa

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A Ancona

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Roma Sapien nza a Sapienza Roma UCSC

56,76%

L’Aquila

Roma Tor V Vergata

12

Chieti Chi ie eti

Roma R om ma S.. A Andrea n ndrea

32,43%

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Sassari Napoli Federico II

10,81%

Bari

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4

Cagliari

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M Messina

Sì No Attualmente no, Attualme e ma vi è s stata negli anni passati

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In Italia i malati di tumore vivono più a lungo rispetto alla media europea. A 5 anni dalla diagnosi sopravvive il 52,3% degli uomini italiani, rispetto al 46,5% del resto dell’UE. Per le donne la forbice è più stretta, ma sempre rilevante: 60,6% nel nostro Paese, contro il 58,2% UE.

glia” condotta dall’ONSP sul panorama nazionale in collaborazione con la SICuPP e con il patrocinio SIP. Per ogni scuola sono stati invitati a rispondere congiuntamente il Direttore ed il Referente locale ONSP, per un totale di 37 questionari compilati sulle 38 sedi di riferimento. Al quesito: “È presente un’esperienza di collaborazione della Scuola di Specializzazione con la Pediatria di famiglia?” hanno risposto positivamente il 56,7% delle sedi (Fig. 1), dato che è apparso subito in lieve miglioramento rispetto un’analoga indagine condotta nel 2010 allorquando tale percentuale si attestava appena al 51%. Ancora, alla domanda: “Quale coinvolgimento della Pediatria di famiglia è previsto?” è apparso confortante che in oltre il 47% delle scuole i pediatri di famiglia siano direttamente coinvolti tanto nell’attività tutoriale (mediante la frequenza degli specializzandi negli ambulatori), quanto nella didattica con seminari e/o insegnamenti dedicati (Fig. 2) che si svolgono prevalentemente tra il 3° ed il 4° anno di corso. Tuttavia, se nelle scuole con ordinamenti e programmi specifici in tema di cure primarie (57% del campione) la frequenza dell’ambulatorio del pediatra di famiglia per gli specializzandi risulta obbligatoria in oltre l’80% delle sedi (venendo pertanto considerata a pieno titolo attività dell’iter formativo e quindi non opzionabile), solo nel 47% di queste viene fornita una valutazione finale del tutor ed in meno del 29% è contemplato un feedback dello specializzando al Direttore.Tali dati sono in aperta controtendenza con i requisiti indicati dall’Osservatorio Nazionale della Formazione Specialistica del MIUR e saranno peraltro oggetto di verifica delle cosiddette “site visits”, vere e proprie “ispezioni” tese a monitorare costantemente un’adeguata e corretta attività delle scuole. Ancora, bisognerebbe riflettere sulla necessità della formazione stessa dei pediatri di famiglia per l’espletamento dell’attività tutoriale. Formazione che in atto non viene offerta dalle Università ma che in circa il 24% dei casi è organizzata autonomamente dai pediatri di famiglia designati dai consigli di scuola a ricoprire questo ruolo.Questo è forse il sintomo di un reale bisogno che non è stato ancora colto o su cui non ci si è soffermati.

Fig. 2 Quale tipologia di coinvolgimento

della Pediatria di famiglia è prevista?

Frequenza in ambulatorio + attività didattica Frequenza in ambulatorio Attività didattica

47,62% 42,86% 9,52%

Inoltre, in base a quanto richiesto anche dal D.M. del 29/03/2006 che reca le disposizioni in materia di standard e requisiti minimi della formazione specialistica, abbiamo voluto monitorare tanto l’attività di ricerca espletata durante la tutoria in collaborazione con le Università e non solo, quanto l’opportuna vigilanza dei diritti degli specializzandi che le Scuole devono fornire durante l’afferenza presso strutture ambulatoriali che rientrano nella rete formativa. Anche in questo caso i risultati di entrambi i punti meritano un’attenta valutazione. Difatti, circa il 50% delle sedi dichiara di non sapere se è prevista una specifica copertura assicurativa e globalmente il 62% non conosce per quale categoria di rischio sia eventualmente assicurato lo specializzando durante l’afferenza a strutture non universitarie. Infine, in oltre il 70% delle sedi non sono state prodotte negli ultimi 5 anni tesi di specializzazione con dati provenienti (esclusivamente o in parte) da casistiche di ambulatori di pediatri di famiglia ed in meno del 20% dei casi è stato prodotto del materiale scientifico/didattico durante la tutoria e destinato agli insegnamenti. Sebbene i dati dell’indagine consegnino una realtà della formazione in cure primarie ancora proteiforme sul panorama nazionale e di certo meritoria di ulteriori approfondimenti nonché di importanti modifiche strutturali, al termine della

presentazione piena soddisfazione per qualità e la quantità delle informazioni raccolte è stata manifestata dal Presidente della SIP Giovanni Corsello, dal Presidente della SICuPP Marina Picca e dal Presidente della Conferenza dei Direttori delle Scuole Giuseppe Saggese. “Siamo contenti del buon esito dell’indagine condotta il cui interesse sul panorama nazionale è confermato dall’elevato numero di risposte pervenuteci” afferma il Presidente ONSP Salvatore Aversa che continua: “con queste iniziative cerchiamo infatti di monitorare costantemente la qualità della formazione specialistica in Pediatria fornendo al contempo strumenti attuali e validi per un suo miglioramento, cosa che l’ONSP si sforza di fare sin dalla sua fondazione”. In vista dunque di quello che pare un ormai imminente riassetto degli ordinamenti delle Scuole, sarà necessario sempre più delineare e perseguire comuni obiettivi. A questo “appuntamento” infatti bisognerà farsi trovare pronti e la Pediatria, che ricordiamo essere l’unica disciplina nella classe di Medicina clinica dell’età evolutiva, dovrà svolgere un ruolo cruciale per continuare a garantire alle future generazioni di pediatri strumenti formativi adeguati e conformi alle sfide dei prossimi anni. Invitiamo tutti coloro che fossero interessati a visionare i dati completi dell’indagine sul sito ONSP  (www.onsp.it). (Il Direttivo ONSP)

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Italians do it better?

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Alimentazione

È online la quarta sessione del programma di aggiornamento realizzato con il Barilla Center for Food and Nutrition e la Società Italiana di Pediatria

“Nutrire il futuro”: elementi per una corretta alimentazione in età pediatrica

L

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e raccomandazioni nutrizionali del pediatra ai genitori rientrano a pieno titolo tra le strategie preventive delineate dalle principali Società scientifiche italiane e internazionali. In questo senso, “motivare il bambino e la famiglia, non soltanto in termini di alimentazione, ma anche di stile di vita salutare nella sua globalità è un vero e proprio atto medico”, raccomanda il Prof. Giovanni Corsello, Presidente SIP. Il pediatra, prima e più di altri, può identificare condizioni e comportamenti a rischio e ha, dunque, un ruolo importante nella prevenzione. Ma quali aspetti devono comprendere tali raccomandazioni? In particolare, vi sono elementi per i quali sussistano evidenze di una correlazione con l’attività metabolica e lo sviluppo psico-fisico del bambino, o con il rischio di sviluppare obesità o altre patologie in età adulta? Numerosi studi mostrano che l’adozione di alcuni comportamenti è associata a benefici prospettici per la salute del bambino e dell’adulto: consumo regolare della prima colazione; composizione/suddivisione giornaliera dei pasti; aumento del consumo di cereali integrali; controllo/riduzione dell’apporto di sodio. Su questi temi è online su www.nutritionhealth.it una nuova sessione di “Nutrire il futuro”, il Programma di aggiornamento a distanza in sette tappe riservato ai pediatri, per l’educazione alimentare del bambino, una speciale iniziativa realizzata in collaborazione con il Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) e i cui contenuti sono condivisi con la Società Italiana di Pediatria (SIP). Il pediatra può dunque essere un importante attore nella prevenzione oltre che

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nella cura dell’obesità in età evolutiva. Ma quali strumenti ha a sua disposizione, nella difficile attività di promuovere l’adozione di comportamenti alimentari non obesogeni da parte del bambino (e di tutta la famiglia)? Stando a studi recenti, l’immagine sociale positiva associata al rispetto dell’ambiente è uno di questi strumenti. Il suo impiego potrebbe avere successo dove le raccomandazioni per il benessere futuro del bambino falliscono. I messaggi sulla sostenibilità ambientale possono, cioè, aiutare a educare e motivare i bambini a compiere scelte di vita e dunque anche alimentari sane. “Tra gli strumenti comunicativi per interagire con il suo piccolo paziente vi sono, senza dubbio, quelli del rispetto e dell’amore per l’ambiente”, afferma il Prof. Marcello Lanari, Direttore di Struttura Unità Operativa Complessa di Pediatria e Neonatologia dell’Ospedale di Imola. “Spiegare che gli alimenti più sani e utili alla nutrizione sono anche quelli meno nocivi per l’ambiente può aiutare a scoprire un motivo valido per modificare i propri stili di vita e quello dei bambini e dei ragazzi che

spesso vedono come un sacrificio l’adottare una dieta più sana, ricca di fibre, frutta e verdura, forse perché non gli è stata fornita una motivazione sufficiente (sia pure estetica o di gusto) a nutrirsi di quei cibi”, aggiunge il Prof. Riccardo Valentini, membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, BCFN Advisor. A questo proposito, “un semplice modello grafico, quello della ‘Doppia Piramide alimentare/ambientale per chi cresce’ può aiutare a schematizzare gli indirizzi nutrizionali in età pediatrica, in modo facilmente comprensibile e applicabile nel quotidiano, tanto dai medici quanto dai genitori”, conclude il Prof. Claudio Maffeis, Professore Associato di Pediatria, Università di Verona. La Doppia Piramide alimentare/ambientale per chi cresce, elaborata dagli esperti del Barilla Center for Food & Nutrition sulla base della ben nota piramide alimentare, è uno strumento grafico che si è rivelato efficace nella comunicazione sia verso gli adulti, sia verso i bambini. Essa permette di evidenziare alla prima occhiata che gli alimenti per i quali è raccomandato un consumo più frequente (frutta, verdura, cereali, soprattutto integrali) sono anche quelli che “risparmiano” maggiormente l’ambiente e, al contrario, gli alimenti che hanno un impatto maggiore sull’ambiente sono anche quelli per i quali viene raccomandato un consumo meno frequente. Il rapporto tra alimentazione e impatto sull’ambiente e la Doppia Piramide come bussola per una corretta alimentazione in chiave sostenibile, saranno oggetto della prossima sessione del Programma di aggiornamento online “Nutrire il futuro”. Vai su www.nutritionhealth.it per accede re al programma.


Bayer HealthCare ha avviato l’arruolamento di pazienti pediatrici nello studio multicentrico, multinazionale, in parte randomizzato, open label di Fase III “PROTECT VIII Kids”. Scopo del trial valutare la sicurezza e l’efficacia di BAY 94-9027 (un fattore VIII umano ricombinante) nel trattamento di eventi emorragici. I soggetti saranno 50 bambini fino ai 12 anni di età, con emofilia A grave (FVIIIc <1%) e una storia documentata di almeno 50 giorni di esposizione (ED) a qualsiasi prodotto di FVIII.

Alert farmaci

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Emofilia A, parte lo studio PROTECT VIII Kids

Le segnalazioni più importanti per i pediatri tra tutte quelle emesse dagli organismi di controllo italiani e internazionali Divieto di utilizzo e ritiro dei medicinali contenenti codeina nei bambini al di sotto dei 12 anni di età A seguito delle segnalazioni di eventi avversi fatali dopo interventi chirurgici di adenotonsillectomia associate all’uso di antidolorifici a base di paracetamolo e codeina, in base alla disposizione dell’EMA, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha disposto il ritiro delle seguenti confezioni di medicinali antidolorifici contenenti codeina ad esclusivo uso nei bambini al di sotto dei 12 anni: Tachidol bambini 125 mg/5 ml + 7,5 ^^ mg/5ml sciroppo, flacone da 120 ml – AIC 031825019; Tachidol bambini 125 mg/7,5 mg gra^^ nulato effervescente, 10 bustine – AIC 031825033; Lonarid bambini 200 mg + 5mg sup^^ poste, 6 supposte – AIC 020204119; Paracetamolo+codeina angenerico 125 ^^ mg + 7,5 mg granulato effervescente, 10 bustine – AIC 034370027; Paracetamolo+codeina angenerico 2,5 ^^ g + 0,150 g sciroppo, flacone da 120 ml – AIC 034370039. L’AIFA ha inoltre disposto il divieto di utilizzo nei bambini al di sotto dei 12 anni di tutti i medicinali antidolorifici contenenti codeina, da sola o in associazione.

EMA: metoclopramide, restrizioni all’uso Il Committee for Medicinal Products for Human Use (CHMP) dell’European Medicines Agency (EMA) ha raccomandato modifiche nell’uso dei medicinali a base di metoclopramide nell’Unione Europea. Le raccomandazioni dell’Agenzia si basano su una rivalutazione del profilo beneficio-rischio dei medicinali a base di metoclopramide, per tutte le indicazioni e le popolazioni di pazienti. Ciò ha incluso studi pub-

blicati e meta-analisi sull’efficacia di metoclopramide e analisi delle segnalazioni di sospette reazioni avverse. In particolare EMA stabilisce che: al fine di minimizzare i rischi di reazio^^ ni avverse neurologiche e di altre reazioni avverse, la metoclopramide deve essere prescritta solo per l’uso a breve termine (fino a 5 giorni) e non deve più essere utilizzata in condizioni croniche come gastroparesi, dispepsia e malattia da reflusso gastroesofageo, né come coadiuvante nelle procedure chirurgiche e radiologiche; negli adulti, metoclopramide continua ^^ ad essere indicata per la prevenzione di nausea e vomito post-operatori (PONV), nausea e vomito indotti da radioterapia, nausea e vomito ritardati (ma non acuti) indotti da chemioterapia, e per il trattamento sintomatico di nausea e vomito inclusi i casi in cui sono associati con emicrania acuta (dove può essere impiegata anche per migliorare l’assorbimento di analgesici orali); nei bambini metoclopramide deve esse^^ re utilizzata solo come trattamento di seconda linea per la prevenzione di nausea e vomito ritardati indotti da chemioterapia e nel trattamento della PONV accertata: l’uso è controindicato nei bambini al di sotto di 1 anno di età; per adulti e bambini la massima dose ^^ nelle 24 ore è di 0,5 mg per kg di peso corporeo; negli adulti la dose abituale nelle formulazioni convenzionali (tutte le vie di somministrazione) è di 10 mg fino a 3 volte al giorno, mentre nei bambini la dose raccomandata è da 0,1 a 0,15 mg per kg di peso corporeo, ripetuta fino a tre volte al giorno: una tabella di dosaggio per i bambini verrà inclusa nelle informazioni del prodotto; le formulazioni liquide orali in partico^^ lare sono state associate a sovradosaggio nei bambini, quindi quelle contenenti più di 1 mg/ml saranno ritirate dal mercato, mentre le dosi orali delle altre formulazioni devono essere somministrate utilizzando un’appropriata siringa graduata per somministrazioni orali, in modo da garantire la precisione;

Marina Macchiaiolo UOC Malattie Rare Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma

anche le formulazioni endovenose con ^^ concentrazioni superiori a 5 mg/ml e le supposte da 20 mg saranno ritirate dal mercato; le dosi per via endovenosa devono esse^^ re somministrate lentamente in bolo per almeno 3 minuti, per ridurre il rischio di effetti avversi; viste le segnalazioni molto rare di gravi ^^ reazioni cardiovascolari associate a metoclopramide, in particolare per la somministrazione endovenosa, si deve osservare speciale attenzione in popolazioni che potrebbero essere a maggior rischio, compresi gli anziani, i pazienti con disturbi della conduzione cardiaca, con squilibrio elettrolitico non compensato o bradicardia e in quelli trattati con altri farmaci noti per prolungare l’intervallo QT.

AIFA, stop alla produzione per Geymonat L’Agenzia Italiana del Farmaco ha sospeso l’autorizzazione alla Geymonat Spa per la produzione di medicinali presso l’officina di Anagni. I prodotti dell’azienda sono stati già ritirati dal mercato. Nei mesi scorsi alcuni farmaci erano stati bloccati per difetti di produzione. L’autorizzazione alla produzione della Geymonat è quindi sospesa finché l’AIFA non avrà verificato l’effettiva rimozione delle violazioni riscontrate e la conformità del processo produttivo agli standard di Buona Fabbricazione. Alcune visite ispettive fra il 4 e il 6 settembre 2013 sono state condotte dall’Agenzia e dal N.A.S. Carabinieri di Latina. Il precedente divieto di utilizzo dei prodotti Geymonat del 5 settembre era motivato dalla presenza di quantitativi di principio attivo  inferiore a quelli indicato.

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