I supplementi di Politiche sanitarie
Il ruolo del farmacista ospedaliero
nel management dell’aderenza nel percorso di cura Roma | 25 giugno 2019
I supplementi di Politiche sanitarie
Il ruolo del farmacista ospedaliero nel management dell’aderenza nel percorso di cura Roma | 25 giugno 2019 FACULTY Marina Davoli, Antonio Addis, Mirko Di Martino | Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio, ASL Roma 1 Federico Spandonaro | Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Presidente di C.R.E.A. Sanità
DISCUSSANT
Francesca Futura Bernardi | Centro Regionale Farmacovigilanza e Farmacoepidemiologia Regione Campania Massimo Boni | SC Farmacia, AOU Maggiore della Carità, Novara Arturo Cavaliere | UOC Farmacia aziendale, ASL Viterbo Luca De Fiore | Il Pensiero Scientifico Editore Roberta Di Turi | Dipartimento dei Servizi ASL Roma 3 Vincenzo Lolli | Direttore UOC Farmacia, Ospedale di Adria, AULSS5 Polesana Anna Marra | Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ferrara Alessandra Mecozzi | UOC Assistenza Farmaceutica, ASL di Latina Emanuela Omodeo Salè | Istituto Europeo di Oncologia, Milano Laura Paleari | A.Li.Sa. Azienda Sanitaria Liguria, Genova Marcello Pani | Direttore UOC Farmacia, Fondazione Policlinico universitario A. Gemelli, Roma Maurizio Pastorello | Dipartimento Farmaceutico, ASP Palermo Cataldo Procacci | Dipartimento farmaceutico, ASL Barletta-Andria-Trani Barbara Rebesco | A.Li.Sa. Azienda Sanitaria Liguria, Genova Adriano Vercellone | Farmacista Dirigente, Dipartimento farmaceutico ASL Napoli 3 sud
Introduzione L’aderenza terapeutica può essere considerata quasi un “tracciante” delle politiche sanitarie. Influenza la spesa sanitaria, lo shared decision making, quindi la decisione condivisa tra medico e malato – tra curante e cittadino. Ma riguarda anche la continuità ospedale-territorio o più in generale l’organizzazione del Servizio sanitario nazionale. L’aderenza terapeutica tira in ballo le distanze fra le linee guida e la pratica clinica, fra la medicina basata sulle prove e la mitica real word evidence di cui oggi molto si discute. Anche per questo, andrebbe studiata in maniera ancora più approfondita di come è stato fatto finora (arrivando a conclusioni del tutto provvisorie e frammentarie), perché in fondo parlando di aderenza si riflette anche sulla transizione possibile da un approccio tradizionale ad una sanità di iniziativa. L’aderenza è dunque uno degli aspetti fondanti del governo della salute, perché va a toccare il problema della fiducia tra il cittadino e il suo curante, tra il cittadino e lo staff ospedaliero.
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L’aderenza terapeutica può essere considerata quasi un “tracciante” delle politiche sanitarie. Riguarda la spesa sanitaria, lo shared decision making, quindi la decisione condivisa tra medico e malato – tra curante e cittadino. Ma riguarda anche la continuità ospedale-territorio o più in generale l’organizzazione del SSN.
Ciò premesso, potrebbe essere opportuno dunque cambiare approccio quando si guarda al tema dell’aderenza terapeutica. Finora infatti parlare di aderenza terapeutica voleva soprattutto dire, semplicemente, verificare il rispetto da parte del paziente delle indicazioni ricevute dal medico e verificare i farmaci as-
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I supplementi di Politiche sanitarie sunti nel tempo dal malato. Molte patologie nel frattempo si sono cronicizzate e anche in ambito oncologico si guarda con fiducia alla possibilità di lungo sopravvivenza. È sempre più urgente quindi valutare e implementare percorsi e strumenti di gestione e monitoraggio dell’aderenza: anche una lettera di dimissione standard non è più sufficiente e deve diventare uno strumento di dialogo con il territorio. Allo stesso modo, le soluzioni che sembravano a portata di mano si sono rivelate più complesse.1 Ancora: in pochi ambiti come quello della aderenza alle prescrizioni del medico curante appare ampia la distanza tra quanto oggetto di sperimentazione in setting in certa misura “protetti” e pratica clinica.2 La stessa raccomandazione alla condivisione delle scelte di salute tra il cittadino e i professionisti sanitari si scontra con la complessità della traduzione dei principi nel mondo reale.3 È anche necessario declinare l’aderenza non più solo come un fattore generale, identico in tutte le aree terapeutiche: stiamo parlando di fenomeni diversi a seconda delle patologie in cura e delle aree di intervento. I dati OsMED ci mostrano tutto sommato che l’utilizzo del farmaco – sia nel territorio sia nell’ospedale – descrive l’aderenza in una maniera molto diversa da come l’abbiamo raccontata fino ad oggi.
1 Patterson SM, et al. Interventions to improve the appropriate use of polypharmacy for older people. Cochrane Database of Systematic Reviews 201\4, Issue 10. Art. No.: CD008165. 2 Nieuwlaat R, et al. Interventions for enhancing medication adherence. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 11. Art. No.: CD000011.
Légaré F, et al. Interventions for improving the adoption of shared decision making by healthcare professionals. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 9. Art. No.: CD006732. 3
Rolfe A, et al. Interventions for improving patients’ trust in doctors and groups of doctors. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014, Issue 3. Art. No.: CD004134.
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E se il problema dell’aderenza alla prescrizione (quindi non solo alla “terapia” tout court ma anche a stili di vita più salubri e indicati per un migliore controllo delle condizioni o delle patologie sofferte dal paziente) è una questione che riguarda la continuità assistenziale, allora richiede il contributo di diverse figure professionali, oltre che di modelli organizzativi specifici. Più in generale, l’aderenza alla cura è un “tracciante” della credibilità del sistema sanitario nei suoi rapporti con i cittadini, che ad esso dovrebbero affidarsi consapevolmente, criticamente ma con fiducia.4 Che ruolo può svolgere in questa cornice il farmacista ospedaliero? Se lo sono chiesti alcuni dei più importanti esperti italiani del settore in un meeting organizzato utilizzando il metodo “Forward”, un progetto coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio d’intesa col Pensiero Scientifico Editore, che vede la collaborazione di diversi stakeholder del settore salute attraverso un’attività di confronto e horizon scanning la cui finalità è interrogare la realtà in modo critico, fornendo elementi per interpretarla. “Forward” non si propone di giungere a documenti di consenso sui temi affrontati, ma punta a descrivere la complessità degli argomenti di salute pubblica per comprenderla e non per ridurla. Il punto finale è mettere in fila delle domande, non tanto arrivare a delle risposte: ragionare insieme, studiare insieme, tenendo conto dei diversi punti di vista. Antonio Addis Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio – Asl Roma 1 Luca De Fiore Il Pensiero Scientifico Editore
Il ruolo del farmacista ospedaliero
Gli interventi Trade-off tra ospedale e territorio Un esempio di trade-off tra ospedale e territorio assolutamente emblematico è quello dell’aderenza alla poli-terapia cronica nella prevenzione secondaria dell’infarto, oggetto di uno studio multiregionale, condotto dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio.1 Le linee guida per la prevenzione secondaria dell’infarto miocardico acuto (IMA) raccomandano l’utilizzo congiunto e continuativo di quattro farmaci: antiaggreganti, betabloccanti, ACE-inibitori/sartani e statine. Tuttavia, gli studi osservazionali riportano una ridotta aderenza alla poli-terapia cronica. Dalle attuali evidenze scientifiche non è possibile quantificare quanta parte della distanza dalle linee guida sia attribuibile al comportamento del paziente, ai provider delle cure territoriali – medici di medicina generale (MMG), distretti sanitari, aziende sanitarie locali (ASL) – o all’ospedale che ha dimesso il paziente. Gli obiettivi dello studio erano misurare l’aderenza alla poli-terapia cronica nei pazienti con pregresso infarto nella reale pratica clinica e identificare gli assi prioritari di intervento per aumentare l’aderenza ai trattamenti evidence-based. Attraverso l’integrazione dei sistemi informativi sanitari regionali sono stati identificati, per ciascuna Regione coinvolta (Lazio, Toscana e Sicilia), i pazienti dimessi dall’ospedale tra il 01/01/2010 ed il 31/12/2014, con un primo episodio di IMA. I pazienti sono
stati seguiti per due anni a partire dalla data della dimissione, misurando l’aderenza al trattamento. L’aderenza alla poli-terapia cronica è stata definita come segue: medication possession ratio (MPR) ≥ 0.75 per almeno tre dei quattro “farmaci” evidence-based, in accordo alle dosi definite giornaliere. L’MPR misura quanta parte del periodo di followup è stata adeguatamente coperta dal trattamento farmacologico. Per identificare gli assi prioritari di intervento è stata effettuata un’analisi delle «componenti della varianza» atta a individuare con esattezza dove si trovano le perdite di efficienza e a quantificarne l’entità. Questa valutazione può essere di aiuto alle politiche sanitarie per identificare gli assi prioritari di intervento. Infatti, dove c’è variabilità tra provider assistenziali c’è margine di miglioramento e, quindi, di intervento. Le politiche sanitarie dovrebbero «schiacciare» questa variabilità verso l’alto, al fine di aumentare l’ordine medio di grandezza in termini di aderenza al trattamento e, contemporaneamente, aumentare l’equità del Sistema sanitario regionale. Le «componenti della varianza» sono state espresse attraverso una misura chiamata median odds ratio (MOR): questa misura quantifica la variabilità tra gruppi (MMG, Distretti, ASL, Ospedali). È sempre maggiore o uguale ad 1. Se il MOR è uguale ad 1, non c’è variabilità tra i gruppi. Se c’è variabilità tra i gruppi, il MOR sarà elevato. In questo contesto, i MOR costituiscono un sistema di pesi proporzionali all’impatto del
Lo studio è stato parzialmente finanziato dal Ministero della Salute, Ricerca finalizzata, bando 2011-2012.
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I supplementi di Politiche sanitarie corrispettivo livello assistenziale (MMG, distretti, ASL, ospedali) sull’aderenza alla poli-terapia cronica. In altre parole, stiamo cercando di rispondere alla domanda: dove «conviene» intervenire?
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La Regione Lazio è caratterizzata da una elevatissima variabilità geografica nell’aderenza alla poli-terapia post IMA. La proporzione di pazienti aderenti, calcolata per distretto sanitario, variava tra il 49% e il 74%. Una simile variabilità sul territorio non sembra compatibile con un Sistema sanitario che ambisce ad essere universalistico ed equo.
I dati disponibili in letteratura insegnano quanto sia difficile mantenere il paziente in trattamento. Infatti, a mano a mano che ci si allontana dall’evento acuto, il paziente evolve verso regimi di saltuarietà, occasioFigura 1. Aderenza alla poli-terapia cronica per distretto sanitario: la variabilità sul territorio (Fonte: DEP Lazio). Proporzioni (%)* 49.15–52.48 52.53–59.09 59.14–65.07 65.12–71.13 71.18–74.38
* Le proporzioni sono aggiustate per le caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei pazienti.
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nalità sino, in alcuni casi, all’interruzione definitiva della terapia. E questo accade anche nel caso della poli-terapia post IMA, nonostante la sua comprovata efficacia nella reale pratica clinica. Osserviamo il caso della Regione Lazio. Il Sistema sanitario regionale del Lazio nel momento dello studio era composto da: 17.553 pazienti; 4226 MMG; 46 distretti sanitari; 10 ASL; 82 ospedali di dimissione cross-classificati. Circa il 69% dei pazienti era di genere maschile, l’età media era pari a 67 ± 13 anni (uomini: 64 ± 12; donne: 73 ± 12). È emerso un fenomeno molto preoccupante (Figura 1). La Regione Lazio è caratterizzata da una elevatissima variabilità geografica nell’aderenza alla poli-terapia post IMA. La proporzione di pazienti aderenti, calcolata per distretto, variava tra il 49% e il 74%. Una simile variabilità sul territorio non sembra compatibile con un Sistema sanitario che ambisce ad essere universalistico ed equo. Ma dove è «più opportuno» intervenire per rendere il sistema più equo? Il paziente è appena stato dimesso dall’ospedale, quindi l’analisi più «istintiva» si dovrebbe rivolgere ai provider del territorio. Tra questi, la ASL è il livello che presenta il peso maggiore, seguita dal MMG e dal Distretto sanitario (Tabella 1). Le ASL presentano differenze sostanziali nella proporzione di pazienti aderenti al trattamento che dipendono probabilmente dall’eterogeneità: nei modelli organizzativi dell’assistenza territoriale; nella capillarità e qualità dell’offerta; nelle caratteristiche socio-economiche di cui non si è potuto tener conto nei processi di aggiustamento.
Il ruolo del farmacista ospedaliero Una parte sostanziale della variabilità osservata sul territorio è, in realtà, attribuibile all’ospedale che ha dimesso il paziente. Nel Lazio, inserendo il provider “ospedale” tutti i pesi legati agli altri provider del territorio diminuiscono mentre quello dell’ospedale risulta molto elevato e statisticamente significativo. Anche in Toscana la «reazione» del sistema di pesi all’introduzione dell’ospedale di dimissione sembra sovrapponibile. La Sicilia è caratterizzata da una maggiore variabilità (MOR più elevati), tuttavia il sistema di pesi, seppur con rapporti leggermente diversi, va nella medesima direzione del Lazio. Nelle tre Regioni partecipanti, a due anni dall’evento acuto (IMA), l’ospedale di dimissione è ancora il provider con il maggior impatto sull’aderenza al trattamento. Passando dall’analisi dei singoli provider all’analisi delle macro-aree (ospedale versus territorio) e valutando l’impatto percentuale delle due macro-aree sui livelli di aderenza alla poli-terapia cronica (Figura 2), nelle tre Regioni emerge chiaramente l’effetto sinergico tra ospedale e territorio nel determinare i livelli di aderenza al trattamento. Infatti, la «capacità di influenzare» l’aderenza alla poli-terapia cronica nella Regione Lazio è quasi perfettamente equi-ripartita tra le due macro-aree. Tuttavia, l’eterogeneità tra le Regioni è molto rilevante, i tre modelli organizzativi sono completamente differenti.
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L’eterogeneità tra le Regioni è molto rilevante, i tre modelli organizzativi sono completamente differenti.
Ma quali sono i possibili interventi per le politiche sanitarie volte al miglioramento dell’aderenza ai trattamenti cronici? Sul territorio: organizzare corsi di formazione in medicina generale, centrando la discussione sulle più recenti linee guida; promuovere una formazione specifica sulla relazione medico-paziente, sottolineando l’efficacia di un sistematico supporto motivazionale nell’assunzione cronica dei farmaci; Tabella 1. Il trade-off tra ospedale e territorio (Fonte: DEP Lazio). Modello gerarchico
“Livelli” del Sistema sanitario
Modello cross-classificato
MOR*
P-value
MOR*
P-value
MMG
1.172
0.144
1.154
0.175
Distretto
1.123
0.018
1.083
0.111
ASL
1.228
0.035
1.092
0.154
–
–
1.304
0.001
Ospedale
* MOR aggiustati per le caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei pazienti.
Figura 2. Il trade-off tra ospedale e territorio: tre Regioni a confronto (Fonte: DEP Lazio). Impatto (percentuale) del territorio e dell’ospedale nel determinare i livelli di aderenza alla poli-terapia cronica
52%
Lazio
48%
26%
Toscana
74%
63%
Sicilia
0
10
20
Territorio
30
40
37%
50
60
70
80
90
100
Ospedale
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I supplementi di Politiche sanitarie incentivare
le forme di associazionismo in medicina generale, al fine di migliorare la continuità dell’assistenza; ridurre l’eterogeneità tra ASL in termini di capillarità e qualità dell’offerta. In ospedale: migliorare i processi organizzativi all’interno degli ospedali, con l’obiettivo di dimettere il paziente da reparti specialistici; redigere una lettera di dimissione accurata e completa; programmare le visite di controllo per il monitoraggio del paziente al momento della dimissione dal ricovero per infarto. Sono gli interventi in ambito ospedaliero che, in base alle componenti della varianza, producono i maggiori benefici in termini di aderenza al trattamento. Un’elevata “qualità” della lettera di dimissione favorisce il processo di transizione dall’ospedale al territorio. Mirko Di Martino Dipartimento di Epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio – ASL Roma 1
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Letteratura scientifica e real life L’impatto dell’aderenza è duplice. Da un punto di vista strettamente clinico, può condurre all’inefficacia o alla minore efficacia della terapia. Da un punto di vista finanziario, porta a uno spreco dell’investimento sostenuto dal Sistema Sanitario Nazionale. Nella mancanza di aderenza è, dunque, presente anche un tratto di iniquità, perché lo spreco di risorse messe a disposizione di taluni soggetti, in un contesto universalistico, di fatto crea una perdita di benessere per la Società.
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Il problema dell’aderenza è un classico fenomeno multidimensionale e legato ai comportamenti: contano le caratteristiche del paziente, moltissimo anche la relazione medico-paziente, esiste inoltre il problema dell’inerzia terapeutica, come anche influiscono significativamente le caratteristiche del farmaco e, infine, non va sottovalutata la questione della comunicazione.
Il problema dell’aderenza è un classico fenomeno multidimensionale e legato ai comportamenti: contano le caratteristiche del paziente, moltissimo anche la relazione medico-paziente, esiste inoltre il problema dell’inerzia terapeutica, come anche influiscono significativamente le caratteristiche del farmaco e, infine, non va sottovalutata la questione della comunicazione. In letteratura possono essere identificati tre filoni di ricerca: innanzitutto quello dell’analisi delle modalità di assunzione rispetto al prescritto, poi c’è il tema del management del l’aderenza e infine lo studio delle cause della non aderenza e le sue conseguenze. Questo sforzo non ha però ancora avuto succes-
Il ruolo del farmacista ospedaliero so nel trovare soluzioni definitive al problema, ad iniziare dalla condivisione dei criteri di misurazione del fenomeno. L’aderenza, infatti, è misurata in modi assai diversi: come percentuale di farmaco assunto vs quello prescritto, oppure come proporzione di giorni con numero corretto di dosi assunte, o come proporzione di dosi prese nella corretta tempistica (intervallo di tempo definito tra dosi successive), ma anche come distribuzione degli intervalli inter-dose, numero o percentuale di giorni di mancata assunzione o intervallo di tempo maggiore o medio tra due dosi successive. Troviamo però convergenza sull’idea che si può definire adeguata un’aderenza almeno pari all’80% delle dosi prescritte, inadeguata tra 40 e 80% e sub-terapeutica un’aderenza inferiore al 40% delle dosi prescritte.
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Tutti gli studi dimostrano che tra lo strato di popolazione a maggiore e quello a minore aderenza esiste un evidente gradiente positivo di costi: la riduzione dei costi totali nella popolazione a maggiore aderenza è risultata del 46% nei pazienti affetti da diabete, del 25% nei pazienti affetti da ipertensione e del 38% nei pazienti affetti da ipercolesterolemia, compensando ampiamente l’incremento dei costi farmaceutici.
Sulle conseguenze finanziare della non aderenza l’evidenza è abbastanza solida. Tutti gli studi dimostrano che tra lo strato di popolazione a maggiore e quello a minore aderenza esiste un evidente gradiente positivo di costi: la riduzione dei costi totali nella popolazione a maggiore aderenza è risultata del 46% nei pazienti affetti da diabete, del 25% nei pazienti affetti da ipertensione e del
38% nei pazienti affetti da ipercolesterolemia, compensando ampiamente l’incremento dei costi farmaceutici. In Italia, i dati OsMED fotografano una realtà molto preoccupante per quanto riguarda le percentuali di non aderenza terapeutica (Figura 3). A questo quadro vanno aggiunti i dati sulle poli-terapie negli anziani: il 94% degli over 65 ha avuto almeno una prescrizione nel 2017, con una media di 9,7 sostanze per utilizzatore (oltre il 64% almeno 5) e una spesa farmaceutica media di 640-690 € a testa. Se la descrizione del fenomeno in letteratura è chiara, molto meno esaustiva è l’evidenza sull’efficacia delle politiche tese a contrastare il fenomeno. Volendo semplificare sono quattro gli ambiti di intervento che comunque emergono: il coinvolgimento attivo e consapevole del paziente nella scelta terapeutica (approccio più volte proposto dal NICE, per esempio), l’utilizzo delle nuove tecnologie come supporto,
Figura 3. Percentuali di non aderenza in Italia (Fonte: C.R.E.A. Sanità).
Non aderenza in Italia Ipertensione 43,1% ipertensione essenziale >30% + di 1 comorbilità 40,7% scompenso
Eventi CV ischemici (NAO) >50%
Dislipidemia 74,5% ipercolesterolemia
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I supplementi di Politiche sanitarie la
maggiore attivazione dei soggetti di prossimità la semplificazione della terapia. A fronte di questa evidenza, C.R.E.A. Sanità ha cercato di capire quali siano le valutazioni e le aspettative dei MMG (ritenuti in letteratura un elemento chiave delle politiche di contrasto alla scarsa aderenza) rispettivamente all’eziologia del problema e all’efficacia delle politiche tese a contrastarlo, realizzando in collaborazione con il Centro Studi della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) una survey nazionale che ha coinvolto 823 medici di famiglia distribuiti su tutto il territorio italiano. Il primo risultato è stato che circa la metà dei rispondenti dichiara di non essere a conoscenza dell’esistenza di obiettivi regionali in termini di aderenza. Peraltro, tali obiettivi, per la maggioranza del campione intervistato, sarebbero utili ma, paradossalmente, per solo il 36% di quelli che operano nelle Regioni che li hanno posti.
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Secondo i MMG interpellati, per migliorare l’aderenza si deve mirare nell’ordine: alla semplificazione del regime farmacologico, poi all’educazione terapeutica, quindi alla schematizzazione della terapia e, infine, al counselling dei pazienti.
Non stupisce che la sensibilità sul tema dell’aderenza sia più diffusa tra i MMG più giovani, come anche che tra gli elementi maggiormente in grado di condizionare l’aderenza, siano citati la presenza di disturbi cognitivi/psichiatrici, la complessità della terapia, seguiti da una scarsa consapevolezza della malattia, dalla presenza di comorbilità e dal livello culturale del paziente. Per
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i MMG, i software di gestione ambulatoriale sono considerati l’elemento chiave per addivenire ad un efficace monitoraggio dell’aderenza e, a seguire, la presenza di un infermiere di studio. Quanto alle nuove tecnologie, meno del 20% le ritiene inutili e, come era prevedibile, l’interesse sul tema è presente soprattutto fra i giovani medici. Secondo i MMG intervistati, per migliorare l’aderenza si deve mirare nell’ordine alla semplificazione del regime farmacologico, poi all’educazione terapeutica, quindi alla schematizzazione della terapia e, infine, al counselling dei pazienti. Federico Spandonaro Università degli Studi di Roma Tor Vergata Presidente del Consorzio per la Ricerca Economica Applicata in Sanità (C.R.E.A. Sanità)
Il ruolo del farmacista ospedaliero
La discussione Qual è il ruolo della politica? Vista la sua rilevanza clinica ed economica, il tema dell’aderenza dovrebbe essere affrontato innanzitutto a livello politico, con la stessa urgenza e determinazione con cui si è gestita la razionalizzazione delle spese nelle Regioni con piano di rientro. Ma al momento il tema non pare all’ordine del giorno, le Regioni sembrano interessate a mettere in atto misure per favorire l’appropriatezza delle terapie, non utilizzando l’aderenza come indicatore. Va dunque fatto arrivare al decisore politico con più chiarezza e convinzione il messaggio che l’innalzamento della spesa farmaceutica dovuto all’aumento dell’aderenza alle terapie viene comunque bilanciato con la netta diminuzione dei tassi di riacutizzazioni e re-ospedalizzazione garantiti dal rispetto, da parte del paziente, della prescrizione del medico.
È una questione di sistema? A livello gestionale, la chiave invece sembra essere l’incapacità dei farmacisti di creare una rete, un flusso di comunicazione standardizzato che garantirebbe – nella diversità dei ruoli – la continuità assistenziale. È una questione di sistema, che non può essere affidata alla buona volontà dei singoli operatori, pena l’impossibilità di creare processi strutturati. Uno snodo fondamentale nell’asse paziente-clinico è il farmaci-
sta del SSN, sia ospedaliero che dei servizi farmaceutici territoriali perché è in relazione trasversale con i clinici degli ospedali, con i MMG e i pediatri ma anche con i pazienti. La connessione diretta con i pazienti è importante per le attività di counseling, di riconciliazione terapeutica, di formazione ed empowerment del paziente e anche di umanizzazione delle cure. L’intervento del farmacista al fianco dei clinici nei percorsi decisionali sulla terapia (PDTA) e sull’ottimizzazione della stessa ha sempre maggiore rilevanza e va ad identificare un ruolo di farmacia clinica. Si rileva però un numero impressionante di PDTA sulle patologie croniche, che a volte sostengono cose discordanti tra loro. Spesso si tratta di documenti di grande qualità, ma la traslazione pratica sul territorio reale dei processi descritti dai PDTA è ancora incompleta. Per facilitare l’implementazione dei PDTA occorre creare una strutturazione tra ospedale e territorio ed uniformare i diversi PDTA disponibili.
Quale ruolo per il farmacista ospedaliero? Ma qual è e quale dovrebbe essere in effetti il ruolo del farmacista ospedaliero nel management dell’aderenza nel percorso di cura? Il livello base dell’interazione tra farmacista ospedaliero e medico specialista è stendere un prontuario di reparto, che non è cosa banale come sembra. È infatti questo un importantissimo strumento regolatorio e di standardizzazione di tutte le terapie prescritte in un reparto, nell’ottica dell’appropriatezza prescrittiva e di rispetto dei riferi-
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I supplementi di Politiche sanitarie menti normativi di legge. Altro ruolo chiave del farmacista è nel management della terapia, cioè nella informazione al paziente delle modalità di somministrazione, posologia, effetti collaterali e altro, utile anche per fornire informazioni alla dimissione. Per arrivare ad un prontuario di reparto si parte da un report dei consumi di reparto delle classi farmacologiche maggiormente prescritte, da un’analisi e revisione retrospettiva e condivisa dell’uso appropriato dei medicinali, dalle informazioni relative ai vari principi attivi quali interazioni, normative di legge sulla prescrivibilità, consigli sullo schema posologico.
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Il livello base dell’interazione tra farmacista ospedaliero e medico specialista è stendere un prontuario di reparto. Altro ruolo chiave del farmacista è nel management della terapia, cioè nella informazione al paziente delle modalità di somministrazione, posologia, effetti collaterali e altro, utile anche per fornire informazioni alla dimissione.
Ad un livello superiore avviene lo spostamento dell’attenzione dal farmaco al paziente, quindi il farmacista clinico collabora in modo più strutturato e profondo con il medico con l’obiettivo della patologia, dell’assistenza, del percorso di cura e della salute del paziente. È un’attività multidisciplinare con produzione di protocolli e percorsi di cura, farmacovigilanza e farmacoeconomia, per ottenere un uso efficace e sicuro del farmaco, appropriatezza e aderenza alla terapia, gestione delle risorse, diminuzione dei costi, riduzione del rischio clinico. Occorre un’integrazione delle competenze, non è possibile essere esperti in
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tutti i campi e quindi il farmacista necessita di formazione specifica per acquisire determinate competenze cliniche. L’esempio classico è il farmacista specializzato in oncologia, che collabora con medico ed infermiere alla costruzione di schemi terapeutici standard (prescrizioni) e provvede all’allestimento delle terapie. Ci sono responsabilità che rimangono esclusive di ogni figura professionale: il medico ha la responsabilità della diagnosi e della prescrizione (farmaco, dosaggio, via di somministrazione, posologia), il farmacista ha una responsabilità logistica (acquisizione, conservazione e dispensazione del farmaco), tecnica (allestimento preparazioni galeniche, capitolati di gara), culturale (redazione di prontuari, partecipazione alle commissioni sanitarie) e clinica-multidisciplinare (verifica della prescrizione, indicazione e dose non appropriate, interazioni pericolose, redazione di protocolli di uso e PDTA). Si può sintetizzare dicendo che la responsabilità logistica e tecnica è esclusiva del farmacista, mentre la responsabilità culturale e clinica-multidisciplinare è d’équipe. In seguito a tali considerazioni sembrerebbe che le responsabilità del farmacista non siano proporzionate alla sua collocazione attuale, al contrario sembrerebbero più assimilabili alla figura del farmacista di reparto. Di farmacista di reparto si parla da decenni, perché all’estero tale figura professionale esiste e dà ottimi risultati. Se non di reparto potrebbe essere di dipartimento, non è questo il punto. Il punto è se si intende o non si intende investire sul ruolo del farmacista.
Il ruolo del farmacista ospedaliero
La soluzione è in un farmacista di reparto? Negli USA e nel Regno Unito, in ogni reparto opera un farmacista (oncologico, cardiologico, infettivologico e così via) che partecipa, in collaborazione con il medico specialista, alla cura del paziente, valutando il corretto dosaggio, le possibili interazioni con altri farmaci e apportando i necessari correttivi alla somministrazione. Il farmacista in quei Paesi è componente essenziale del team terapeutico, spesso, in qualità di esperto del farmaco decide lui medesimo il farmaco e il dosaggio da somministrare. È il farmacista – per esempio – che si occupa di valutare il dosaggio in base alla funzionalità renale ed epatica. In Inghilterra il farmacista di reparto intervista i nuovi pazienti, analizza le cartelle cliniche, effettua l’analisi farmacologica del paziente. Durante il ricovero studia la storia clinica dei pazienti, analizza le terapie impostate dai medici (posologia), raccomanda i farmaci più indicati e l’applicazione delle linee guida. Prima della dimissione il farmacista di reparto può anche prescrivere (in accordo con il medico) farmaci che verranno dispensati al paziente dalla farmacia interna dell’ospedale (il primo ciclo di trattamento). È in questa fase che il farmacista può proseguire il rapporto di fiducia instaurato con il paziente, applicare le tecniche del counseling e migliorare l’aderenza alla terapia. Ma in Italia, dove non c’è un farmacista di reparto, come può avvenire la riconciliazione farmaceutica e la continuità terapeutica? Il farmacista ospedaliero dovrebbe recarsi in reparto entro 24-72 ore dal momento del ricovero del paziente ed effettuare una rico-
gnizione della terapia farmacologica, per poi operare una revisione della terapia in seguito alle problematiche farmaco-correlate riscontrate.
Add-on di terapie: un problema sottovalutato? Un problema spesso sottovalutato è l’add-on di terapie: quando il paziente cronico si reca da più specialisti, infatti, ognuno aggiunge una terapia, e molto spesso – per la fretta e la mancanza di tempo – non tiene conto con la dovuta attenzione delle terapie prescritte da altri specialisti. Si possono così determinare problemi seri a livello di interazione e tossicità soprattutto nella popolazione anziana, nella quale è praticamente sempre presente almeno una lieve insufficienza renale e potrebbero essere presenti problemi epatici. Molto spesso una scarsa aderenza a una terapia complessa e complicata può essere dovuta anche a fenomeni di intolleranze o effetti collaterali o modalità di assunzione complesse. E i farmacisti, se potessero avere il quadro del paziente, potrebbero dare il loro supporto.
Come misurare l’aderenza? In molti studi clinici l’aderenza viene misurata tramite pill diary, cioè è il paziente che riporta la sua assunzione della terapia. Sono strumenti chiaramente ricchi di bias, che non possono essere considerati per una misurazione corretta. Occorre quindi innanzitutto lavorare a un metodo di misurazione standardizzato e validato. Quanto alla ge-
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I supplementi di Politiche sanitarie stione dell’aderenza del paziente, sono sempre più numerose le esperienze di utilizzo di progetti di informatizzazione a supporto della cronicità. Il grande problema dei farmacisti è infatti la perdita di informazioni nel momento in cui il paziente passa dalla competenza ospedaliera al territorio e viene preso in carico dai MMG. Se in ospedale si ha infatti il controllo sia della patologia sia dell’erogazione del farmaco sia dell’aderenza
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e quindi un contatto stringente sia con il paziente sia con il clinico, nel momento in cui il paziente va sul territorio purtroppo viene sostanzialmente perso di vista. È fondamentale quindi mettere in rete tutte le informazioni sul paziente, solo così sarà possibile realmente prenderlo in carico e fare da front-office e da garanti mediando tra le esigenze del paziente e le prescrizioni degli specialisti.
SPS n. 4, 2019 Supplemento a Politiche sanitarie www.politichesanitarie.it © 2019 Il Pensiero Scientifico Editore Via San Giovanni Valdarno 8, 00138 Roma telefono: 06 862 821 - fax: 06 862 822 50 pensiero@pensiero.it - www.pensiero.it www.facebook.com/PensieroScientifico Tutti i diritti sono riservati per tutti i Paesi. Nessuna parte del presente fascicolo può essere riprodotta, tradotta o adattata con alcun mezzo (compresi i microfilm, le copie fotostatiche e le memorizzazioni elettroniche) senza il consenso scritto dell’Editore. La violazione di tali diritti è perseguibile a norma di legge. Finito di stampare nel mese di settembre 2019 da Ti Printing Via delle Case Rosse 23, 00131 Roma Progetto grafico e impaginazione: Typo85, Roma I contenuti, sottoposti a revisione critica e formale esterna a “Politiche sanitarie”, riflettono il punto di vista degli autori e non impegnano il Comitato Scientifico della rivista. Il progetto editoriale è stato realizzato grazie al supporto del Gruppo Servier in Italia.