i supplementi di
a Journal of Experimental and Clinical Oncology OFFICIAL JOURNAL OF SOCIETÀ ITALIANA DI CANCEROLOGIA ASSOCIAZIONE ITALIANA DI ONCOLOGIA MEDICA SOCIETÀ ITALIANA DI CHIRURGIA ONCOLOGICA AND ASSOCIAZIONE ITALIANA DI RADIOTERAPIA ONCOLOGICA
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LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON STRAVASO DA ANTRACICLINE Approfondimenti, casi clinici e profili di responsabilità
Volume 13, Number 2 July 2012
i supplementi di TUMORI, a Journal of Experimental and Clinical Oncology Volume 13, Number 2, July 2012
CONTENTS (indexed in Current Contents/Life Sciences, EMBASE/Excerpta Medica, Elsevier BIOBASE/Current Awareness in Biological Sciences)
LA GESTIONE DEL PAZIENTE CON STRAVASO DA ANTRACICLINE
Approfondimenti, casi clinici e profili di responsabilità S1
Introduzione
S3
Incidenza degli stravasi con particolare riferimento allo stravaso da antracicline: la realtà italiana Paolo Mariani e Rosa Falotico
S6
Stravaso da antracicline: il punto di vista dell’oncologo Caso clinico, Antonella Mecozzi Caso clinico, Katia Cannita, Gemma Bruera, Lucia Rinaldi, Enrico Ricevuto, Corrado Ficorella Caso clinico, Emanuele Naglieri
S12
Stravaso da antracicline: il punto di vista dell’infermiere di Dipartimento Oncologico. Gestione pratica Fabiana Marcucci
S16
Stravaso da antracicline: il punto di vista del farmacista ospedaliero di Dipartimento Oncologico. Gestione degli antidoti Stefano Federici e Giuseppe Caravella
S22
Aspetti legali: le figure professionali coinvolte e la catena delle responsabilità Paolo Vinci
i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S1, 2012
Introduzione Le antracicline sono farmaci antitumorali appartenenti alla categoria degli antibiotici citotossici, ovvero un gruppo di farmaci, isolati per lo più da fonti naturali, la cui azione antineoplastica è dovuta ad interazione con il DNA, con conseguenti danni all’acido nucleico che innescano l’apoptosi. I primi derivati antraciclinici ad essere scoperti, ed utilizzati in terapia, sono stati la daunorubicina (o daunomicina) e la doxorubicina (o adriamicina) che, nei primi anni Sessanta, vennero isolati da ceppi di Streptomyces peucetius. Mentre in passato si riteneva che il meccanismo con cui le antracicline esplicano la loro attività citotossica fosse dovuto alla sola intercalazione di tali molecole nella struttura del DNA, con conseguente inibizione delle normali attività dell’acido nucleico, attualmente la tendenza è quella di ritenere l’intercalazione sì necessaria, ma non sufficiente all’azione antitumorale. Risultati recenti hanno infatti indicato nella topoisomerasi II eucariotica un bersaglio dell’azione citotossica delle antracicline. L’uso sistemico endovenoso di questa tipologia di agenti può causare diverse situazioni di emergenza, tra le quali lo stravaso è la più devastante. Il National Extravasation Information Service definisce lo stravaso come la fuoriuscita di farmaci, somministrati per via endovenosa, nel tessuto circostante. Le conseguenze di uno stravaso possono essere di varia entità, dall’arrossamento locale alla necrosi, e possono estendersi a derma, tendini e legamenti, con conseguenti gravi danni tissutali e funzionali. Fatta salva la professionalità degli operatori sanitari, la diffusione di apposite linee guida e gli sforzi dei team di dipartimento oncologico, la somministrazione attenta dei chemioterapici per via endovenosa continua ad essere la migliore prevenzione per evitare gli stravasi. Questo spiacevole evento avverso può comunque avvenire per un movimento inconsulto del paziente, per l’indebolimento delle pareti venose o per un malfunzionamento dei dispositivi medici. Per avere una più chiara fotografia degli stravasi da antraciclina si è voluta approfondire con diversi specialisti la situazione italiana, coinvolgendo la Facoltà di Statistica dell’Università di Milano per quanto riguarda la parte di analisi dei dati, alcuni oncologi, l’infermiere e il farmacista di dipartimento oncologico per la gestio-
ne pratica di questo possibile incidente. Da ultimo abbiamo chiesto il parere di uno studio legale sulla catena delle responsabilità che coinvolgono i membri del dipartimento e della struttura sanitaria nell’uso appropriato del trattamento terapeutico. Oggi in Italia vengono effettuate più di 450.000 infusioni di antracicline presso i dipartimenti oncologici, dove la loro somministrazione avviene generalmente in condizione di day hospital. Anche in questo caso lo stravaso è un evento raro, che comunque si è verificato almeno una volta in quasi un quarto dei centri contattati. Dal punto di vista medico si sono raccolte le testimonianze di alcuni degli operatori presenti in questi dipartimenti, che hanno documentato, anche con fotografie, come il seguire con attenzione delle precise linee guida, l’utilizzo di trattamenti autorizzati ed efficaci e la corretta gestione dello stravaso abbiano consentito di risolvere l’incidente senza conseguenze per la salute del paziente e senza strascichi professionali e/o giudiziari nei confronti del dipartimento e dell’ospedale. Il diretto contatto con il paziente è di competenza dell’infermiere di dipartimento, che è responsabile di una corretta gestione dello stravaso. Attraverso il riconoscimento precoce dei sintomi e dei segni, l’operatore ha il compito di ridurre il danno tissutale agendo in modo tempestivo ed efficace. Ecco perché la continua formazione del personale al riconoscimento, alla prevenzione e al trattamento dello stravaso, oltre alla disponibilità all’interno della farmacia ospedaliera dei trattamenti prescritti, costituiscono gli importanti argomenti di base di questo supplemento. La farmacia ospedaliera ha un ruolo fondamentale nell’approvvigionamento di antidoti e nel loro adeguato rifornimento ai servizi d’urgenza. Alcuni farmaci utilizzati a scopo antidotico, per esempio, non sono facilmente reperibili, oppure non vengono commercializzati in Italia nella formulazione adeguata. D’altra parte si tratta, nella maggior parte dei casi, di farmaci la cui immediata disponibilità sul luogo del trattamento è determinante al fine di poter trattare correttamente alcuni casi di intossicazione grave con conseguente beneficio sulla qualità di vita sia del paziente sia dell’operatore sanitario. La catena delle responsabilità, trasversale alle diverse strutture ospedaliere coinvolte nella corretta gestione dello stravaso, completa in maniera originale questo innovativo approccio al problema ‘evento avverso’.
i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S3-S5, 2012
Incidenza degli stravasi con particolare riferimento allo stravaso da antracicline: la realtà italiana Paolo Mariani e Rosa Falotico B-ASC, Università degli Studi di Milano Bicocca
Lo stravaso viene definito come la fuoriuscita di farmaci somministrati per via endovenosa nel tessuto circostante e, anche le antracicline, considerate tra i più efficaci farmaci antitumorali, vedono nello stravaso una delle possibili complicanze legate alla somministrazione endovenosa. Al fine di indagare tale fenomeno è stata condotta una indagine telefonica su 314 centri oncologici italiani con l’obiettivo di collezionare informazioni inerenti ad aspetti come: il numero di infusioni di chemioterapici effettuate, la dimensione di quelle effettuate con antracicline, la quantificazione del numero di stravasi avvenuti negli ultimi due anni, la loro estensione, entità, trattamento e risoluzione. L’indagine è stata realizzata da ASM-Ricerche attraverso una rilevazione con metodo CATI nel periodo che va dal 9 gennaio 2012 al 3 febbraio 2012. L’universo di riferimento era costituito dai reparti dei centri oncologici e il questionario è stato somministrato agli operatori sanitari (medici o caposala) operanti all’interno degli stessi. Le informazioni sono riferite agli anni 2010 e 2011. Il campione, con estensione territoriale nazionale, ha visto come contatti totali i 314 centri oncologici considerati, con un numero di interviste effettuate pari a 235 (74,8% su totale contatti) di cui 9 (2,9% su totale contatti) non effettuano i trattamenti in esame. I rifiuti alla collaborazione sono stati 79 (25,2% su totale contatti). Il margine d’errore, calcolato sulla variabile di ancoraggio “Presso il vostro centro vengono effettuati trattamenti chemioterapici per via endovenosa?” è pari a +/- 3,2% con un livello di confidenza posto al 95%. L’elaborazione dei dati è stata effettuata con il software SPSS. L’analisi statistica è stata realizzata attraverso l’uso di tecniche di tipo descrittivo e t-test.
Evidenze Nei 226 centri che hanno effettuato trattamenti chemioterapici nei due anni in esame si possono ricostruire1 2.528.240 azioni. Tra i centri che hanno aderito all’indagine, il 3,8% non effettua trattamenti chemioterapici per via endovenosa. In media sono state effettuate più di 21 infusioni al giorno per ogni reparto. Tra le 2.528.240 infusioni, 452.182 sono state a base di antracicline, pari a 3,9 infusioni al giorno. Il 22,6% dei 1 Il calcolo è stato effettuato ponendo 5 giorni settimanali nelle 52 settimane nei 2 anni.
centri che effettuano infusioni di chemioterapici ha segnalato almeno uno stravaso da antracicline, per un totale di 86 eventi, e quindi di circa uno stravaso medio annuo per centro. La quota degli stravasi da antracicline sul totale dei trattamenti a base dello stesso principio è pari allo 0,02%. L’assenza di stravasi di antracicline in diversi casi è dovuta al fatto che in molti centri viene utilizzato come protocollo il catetere venoso centrale che, come noto in letteratura, riduce l’incidenza dell’evento avverso. L’entità dello stravaso ha visto il valore massimo nella classe compresa tra i valori 0 ml e 1,5 ml con il 66,7% dei casi, seguita dagli eventi con dimensioni di valori compresi tra 1,5 ml e 5 ml (23,5% dei casi). Il 2,0% dei casi è invece relativo a stravasi con volume superiore ai 5 ml. Nell’86,3% dei casi lo stravaso è stato trattato farmacologicamente, nel 9,8% chirurgicamente, mentre nel 13,7% dei casi lo stravaso è stato gestito ricorrendo ad “altro” come la lasermagnetoterapia o trattamenti locali (per esempio, il ‘lavaggio’). Lo stravaso è stato risolto nel 91,8% dei casi a fronte di un ‘non risolto’ per il 3,9% e di una fase di valutazione del 2,0%. La quasi totalità dei centri (98,2%) dichiara l’esistenza nei reparti di linee guida per l’emergenza stravaso. La documentazione dello stravaso attraverso report comprensivi di foto è prassi nel 44,7% dei centri, senza foto nel 33,2%. Il 19,9% dei centri invece non è solito documentare lo stravaso. I valori indicati sono riportati nella Tabella 1. L’esistenza di linee guida e la contemporaneità di report comprensivi di foto è presente nel 45,5% dei casi. Sotto l’ipotesi che i rispondenti alla domanda dell’entità dello stravaso abbiano indicato il valore modale se non esclusivo del volume in ml dello stesso, la figura 1 ne riporta la quota sul totale delle infusioni. Dalla lettura si evince che lo 0,0004% dei trattamenti chemioterapici a base di antracicline ha avuto come conseguenza uno stravaso superiore ai 5 ml, mentre gli stravasi di entità compresa tra 1,5 e 5 ml si sono verificati con una frequenza pari allo 0,0060%. La tipologia di stravaso più frequente è stata invece quella per valori inferiori a 1,5 ml, verificatasi nello 0,0117% dei casi trattati con antracicline. In base alle risposte ottenute sono state effettuate analisi per evidenziare una possibile relazione tra il numero degli stravasi e quello dei trattamenti di chemioterapia endovenosa effettuati, a base di antracicline o meno. In primo luogo è stato eseguito un t-test sulle medie su campioni indipendenti, atto a verificare se la media
MARIANI P, FALOTICO R
S4 Tabella 1 - Domande utilizzate nell’indagine e principali risultati ottenuti Domande
Modalità/media
Valori
Presso il vostro centro vengono effettuati trattamenti chemioterapici per via endovenosa? (Filtro sulla modalità Sì)
Sì No Non risponde
96,2% 3,8% 0,0%
Quante infusioni di chemioterapia vengono effettuate mediamente ogni giorno nel suo reparto?
Media Non risponde
21,6 0,4%
Tra queste, quante infusioni sono a base di antracicline? (mediamente ogni giorno nel suo reparto)
Media Non risponde
3,9 2,2%
Negli ultimi due anni (2010-2011), si sono verificati stravasi da antracicline? (Filtro sulla modalità Sì)
Sì No Non risponde
22,6% 77,4% 0,0%
Se si, quanti?
Media Non risponde
1,8 0,4%
Fino a 1,5 ml Da 1,5 ml a 5 ml Oltre 5 ml Non so Non risponde
66,7% 23,5% 2,0% 7,8% 0,0%
Come è stato trattato lo stravaso? (più risposte possibili)
Farmacologicamente Chirurgicamente Altro - Specificare Non risponde
86,3% 9,8% 13,7% 0,0%
Quali sono stati i risultati?
Risolto Non risolto Attualmente in fase di valutazione Non risponde
92,1% 3,9% 2,0%
Sì No Non risponde
98,2% 1,8% 0,0%
Sì Sì, ma senza fotografie No Non risponde
44,7% 33,2% 19,9% 2,2%
Di che entità era lo stravaso?
Esistono linee guida per l’emergenza stravaso nel vostro reparto?
Siete soliti documentare lo stravaso con un report comprensivo di fotografie?
2,0%
Base rispondenti: 235; elaborazioni con SPSS. Rispondenti: 235. Fonte: elaborazioni B-ASC su dati ASM-Ricerche; software impiegato: SPSS.
Figura 1 - Distribuzione dei casi di stravaso sulla popolazione dei casi trattati con terapie a base di antracicline: valori percentuali
Oltre 5 ml
Da 1,5 a 5 ml
0,0004%
0,0060%
Da 0 a 1,5 ml
Fonte: elaborazioni B-ASC su dati ASM-ricerche.
0,0117%
del numero dei trattamenti chemioterapici endovenosi effettuati nel periodo in analisi sia significativamente differente all’interno dei due gruppi determinati dal verificarsi o meno di stravasi. Il p-value è pari a 0,188 per cui non si rilevano differenze significative fra le due medie. La stessa procedura viene poi eseguita per verificare se sussistano differenze significative fra il numero medio di trattamenti chemioterapici a base di antracicline all’interno dei due gruppi determinati dal verificarsi o meno di stravasi. Anche in quest’ultimo caso il valore del p-value pari a 0,239 permette di escludere la possibilità di differenze significative fra il numero medio di trattamenti a base di antracicline all’interno dei due gruppi. Da ciò sembra possibile concludere che il verificarsi di stravasi non appare in relazione con la numerosità dei trattamenti chemioterapici effettuati ed in particolare con la numerosità dei trattamenti a base di antracicline.
INDAGINE SUGLI STRAVASI DA ANTRACICLINE NEI CENTRI ITALIANI
Considerazioni Sulla base delle 235 interviste effettuate si segnala che in Italia negli ultimi due anni si sono effettuate oltre 450.000 infusioni di antracicline, con una media di 4 infusioni al giorno per centro. L’evento stravaso non risulta legato al numero delle infusioni effettuate e si è verificato nel 22,6% dei centri. Lo stravaso da antracicline, pur essendo un evento raro, considerata sia la professionalità e preparazione del
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personale sia le linee guida presenti nei vari dipartimenti oncologici, può tuttavia verificarsi per diversi motivi quali, per esempio, un movimento incauto del paziente, l’indebolimento delle pareti venose o un non perfetto funzionamento dei dispositivi medici. Avere a disposizione l’antidoto specifico, autorizzato dall’AIFA, per un intervento pronto ed efficace che tuteli la salute del paziente e permetta di svolgere con maggiore serenità il proprio lavoro potrebbe aumentare l’indice di buona sanità e di tutela, anche legale, della struttura sanitaria.
i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S6-S11, 2012
Stravaso da antracicline: il punto di vista dell’oncologo I farmaci chemioterapici vengono spesso somministrati per via endovenosa, sia per mezzo di vie periferiche, sia attraverso catetere venoso centrale. Un gran numero di case report ha dimostrato che molti chemioterapici possono stravasare (e hanno stravasato) con fuoriuscita accidentale del farmaco dalla vena nel tessuto sottostante: le conseguenze dipendono dal farmaco stravasato e dalla sua possibile tossicità per l’area coinvolta. Gli stravasi gravi sono caratterizzati da forte dolore, rossore, eritema e dalla presenza di vesciche. Le antracicline sono agenti che “bloccano il DNA” e sono classificate tra i farmaci vescicanti, che provocano cioè distruzione dei tessuti colpiti dallo stravaso e profonde ulcerazioni che possono progredire lentamente per diverse settimane. Le lesioni, difficili e lunghe da curare, a volte richiedono trapianti ed innesti di pelle e prolungato trattamento delle ferite fino alla progressiva perdita della funzionalità dell’arto. L’approccio al trattamento dello stravaso da antracicline è significativamente migliorato con l’introduzione di Savene® (dexrazoxano), un nuovo antidoto ideato per il trattamento degli stravasi nell’adulto. Riportiamo di seguito l’esperienza clinica in Italia sull’utilizzo di Savene® (dexrazoxano), in pazienti che hanno subito uno stravaso di antracicline.
Caso clinico: data stravaso 2 dicembre 2011 Unità Operativa Oncologica, Ospedale San Giovanni Calibita, Fatebenefratelli, Roma Antonella Mecozzi Paziente di sesso femminile, anni 58. Anamnesi fisiologica: crescita e sviluppo regolari. Ha fumato circa 15 sigarette al giorno per 30 anni; ha smesso di fumare nel 2000. Non beve alcolici e assume regolarmente 2 tazzine di caffè al dì. Abitudini alimentari regolari. Nessuna apparente esposizione a fattori di rischio. Familiarità neoplastica aspecifica con una zia deceduta per neoplasia del colon. Anamnesi patologica remota: asportazione di fibroma uterino all’età di 26 anni e colecistectomia per litiasi nel 2010. Anamnesi patologica: agosto 2011 veniva posta diagnosi di sarcoma di alto grado della regione ipogastrica con localizzazioni secondarie a livello toracico, in sede parailare sinistra e surrenaliche. All’esordio la paziente si presentava in condizioni generali buone, nonostante astenia persistente da circa 2 mesi, associata a saltuarie algie nei quadranti superiori dell’addome, ad iporessia e calo ponderale di 3 kg nello stesso periodo. Per il persistere di tale sintomatologia nel mese di luglio 2011 si recava presso il Pronto Soccorso del nostro nosocomio,
dove una radiografia del torace evidenziava una radiopacità di 7 cm in sede ilare sinistra, mentre un’ecografia addominale mostrava una neoformazione di 8 cm di diametro di verosimile pertinenza del colon destro che contrae rapporti con il lobo epatico sinistro. La paziente veniva quindi ricoverata per approfondimento diagnostico nel reparto di oncologia. Nel corso del ricovero venivano effettuati una TC total body con evidenza a livello polmonare di due grossolane formazioni solide (3,4 x 3 cm e 1,7 x 2,3 cm) in sede ilare sinistra senza piano di clivaggio con l’arteria polmonare omolaterale; una formazione solida in ipocondrio sinistro del diametro di 8,5 x 7 cm e due formazioni a carico dei surreni bilateralmente di 5,7 x 3,7 cm a sinistra e 2,3 x 5,2 a destra. La paziente veniva quindi sottoposta a colonscopia con reperto di adenoma tubulare con displasia di basso grado a 20 cm dal margine anale, ad esofagogastroduodenoscopia con diagnosi di gastrite cronica attiva microerosiva associata ad iperplasia rigenerativa del bulbo duodenale e a broncoscopia con evidenza di stenosi da compressione estrinseca del bronco lobare sinistro e mucosa indenne su tutto l’albero bronchiale. In data 19 luglio 2011 veniva praticata un’agobiopsia percutanea della neoformazione ipogastrica e, in attesa dell’esame istologico, una PET/TC che confermava il quadro TC, mostrando localizzazioni di malattia ad elevato metabolismo glicolitico, a livello ilare peribronchiale di sinistra, dell’ipocondrio sinistro nonché a livello surrenalico bilaterale. L’esame istologico permetteva di giungere alla diagnosi di sarcoma di alto grado con differenziazione muscolare, indice proliferativo valutato con Ki-67 >50% e profilo immunoistochimico caratterizzato da: actina ML +, desmina +/-, vimentina +/-, pancitocheratina -, S-100 +, c. Kit +/-. Per tale motivo, previo ecocardiogramma che mostrava ventricolo destro lievemente dilatato, ipertensione polmonare sistolica lieve e FEVs 70% si iniziava chemioterapia secondo lo schema con epirubicina 60 mg/m2 gg 1-2 + ifosfamide 3000 mg/m2 gg 1-3 q 21 gg. Veniva utilizzato un accesso venoso periferico. La superficie corporea della paziente era di 1,86 m2 con un’altezza di 170 cm ed un peso di 75 kg. Al primo ciclo, dopo premedicazione con aprepitant 125 mg per os, desametasone 12 mg in soluzione fisiologica 100 ml e palonosetron in bolo, epirubicina è stata diluita alla dose totale di 108 mg in 50 ml di soluzione fisiologica e somministrata in bolo lento in modo tale da verificare il corretto posizionamento dell’ago in vena durante tutta la somministrazione; ifosfamide alla dose di 5400 mg in 500 ml di soluzione fisiologica somministrata in un’ora, immediatamente preceduta da un bolo di Mesna 1800 mg in 50 ml di soluzione fisiologica, mentre le successive dosi di Mesna venivano somministrate, sempre alla stessa dose, 4 e 8 ore dopo
IL PUNTO DI VISTA DELL’ONCOLOGO
l’inizio della somministrazione di ifosfamide. Al termine della somministrazione di ifosfamide veniva innestata una soluzione glucosalina da 2000 ml per 23 ore, che aveva termine prima dell’inizio della chemioterapia del giorno successivo. Il primo ciclo di chemioterapia è stato gravato da tossicità midollare con neutropenia febbrile G4, nonostante la somministrazione profilattica di G-CSF, piastrinopenia G1 e anemia G2 per la quale è stata trasfusa un’unità di emazie concentrate. Dopo terapia antibiotica mirata per infezione bronchiale da Enterococcus Faecium, si è assistito ad un progressivo miglioramento delle condizioni generali e ad una completa regressione del quadro febbrile. Al secondo ciclo di chemioterapia, in considerazione della precedente tossicità, sono state ridotte del 20% le dosi sia di epirubicina sia di ifosfamide con conseguente netta riduzione della tossicità che non è andata oltre il grado 1. In data 22 novembre 2011 veniva effettuata una TC total body con mdc, allo scopo di rivalutare lo stato di malattia, che evidenziava una risposta parziale del 50% circa sia sulla localizzazione primitiva in regione ipogastrica sia sulle localizzazioni surrenali e toraciche. La paziente giungeva alla quarta somministrazione di chemioterapia in buone condizioni generali; i sintomi presenti all’esordio della malattia erano completamente regrediti. Il sistema venoso periferico si manteneva in discrete condizioni con una scarsa visibilità delle vene del braccio, che è sempre stata una caratteristica del sistema venoso della paziente, ma apparentemente normoconformato. Il 2 dicembre 2011 veniva intrapreso il quarto dei sei cicli di chemioterapia previsti da accesso venoso periferico. La venipuntura veniva praticata sulla faccia volare dell’avambraccio destro, 6-8 cm a valle della piega antecubitale. Durante il primo giorno di terapia, in corso di somministrazione in bolo lento di farmorubicina 88 mg, diluita in 50 ml di soluzione fisiologica, la paziente ha presentato dolore e bruciore nella sede di inserzione dell’ago. L’infermiera che stava praticando il push ha prontamente interrotto la somministrazione, verificando il corretto posizionamento dello stesso. Una volta accertatasi che l’ago era correttamente posizionato in vena per reflusso di sangue, dopo aver interrogato la pazien-
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te sui sintomi – che sembravano regrediti –, riprendeva lentamente la somministrazione di farmorubicina, al termine della quale la cute adiacente al sito dell’ago appariva iperemica. Si innestava, quindi, una soluzione fisiologica da 100 ml per lavaggio della vena e si manifestava, nell’area immediatamente a monte del sito della venipuntura, un piccolo ponfo minimamente rilevato del diametro di 3 cm circa, ricoperto da cute iperemica; l’iperemia si estendeva anche nell’area circostante. La paziente lamentava dolenzia nella zona del ponfo. L’ago, a questo punto, veniva rimosso. Il medico verificava che l’area sopradescritta era dolente alla palpazione e presentava una consistenza aumentata rispetto alla cute circostante (Figure 1-3). L’ipotesi più verosimile, alla luce del dettagliato resoconto della paziente e dell’infermiera, e del corretto comportamento della stessa, è apparsa quella di una piccola fissurazione della vena a monte del punto di inserzione dell’ago, che ha permesso lo stravaso di una piccola quantità di farmaco. In ogni caso, dopo attento esame dell’accaduto, della sintomatologia riferita dalla paziente e della presenza del ponfo, si decideva di procedere alla somministrazione di Savene® (dexrazoxano). La prima dose è stata infusa entro un’ora dallo stravaso alla dose di 1800 mg in 2 ore, con accesso venoso periferico nel braccio controlaterale, così come il secondo giorno; il terzo giorno è stata somministrata la dose di 900 mg totali, sempre in infusione di due ore. La paziente ha continuato la chemioterapia come da programma, omettendo la dose di farmorubicina del secondo giorno. Unico sintomo riferito dalla paziente è stata la nausea G2 al secondo giorno di Savene® (dexrazoxano), che era anche il secondo giorno di chemioterapia. A livello del braccio, nei giorni successivi allo stravaso si osservava solo un’area edematosa e dolente con cute integra, ma lievemente iperemica (Figura 4). A distanza di una settimana dallo stravaso il quadro cutaneo locale appariva invariato con edema e dolenzia. A distanza di 3 settimane il dolore era completamente regredito, ma permaneva una zona minimamente edematosa e aumentata di consistenza. Nei mesi successivi entrambi questi segni andavano progressiva-
Figure 1-3 - Presenza di piccolo ponfo minimamente rilevato (diametro 3 cm circa), ricoperto da cute iperemica, che si estende anche nell’area circostante.
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STRAVASO DA ANTRACICLINE
A venti minuti dall’inizio della somministrazione di epirubicina la paziente, dopo alcuni movimenti incauti del braccio recandosi in bagno, avvertiva dolore urente sulla piega del gomito ed allertava il personale infermieristico. Le procedure seguite dal personale medico ed infermieristico sono state le seguenti: • sospensione dell’infusione di antraciclina; • mantenimento dell’ago in sede e aspirazione del farmaco e di sangue per cercare di ridurre il danno locale; • posizionamento di ghiaccio.
Katia Cannita, Gemma Bruera, Lucia Rinaldi, Enrico Ricevuto, Corrado Ficorella
La regione si presentava lievemente rilevata in superficie ed eritematosa (Figura 1); la paziente continuava a riferire dolore urente nella sede dello stravaso. Si delimitava con un pennarello la zona eritematosa e si effettuava report fotografico. Si contattava la farmacista ospedaliera e si richiamava l’attenzione sulla necessità di reperire rapidamente l’antidoto Savene® (dexrazoxano) che l’ospedale non aveva ancora in dotazione. Il contatto con l’Ospedale di Teramo, provincia abruzzese logisticamente più vicina e già dotata del farmaco, consentiva alla paziente di poter iniziare trattamento con Savene® (dexrazoxano) con un intervallo dallo stravaso inferiore alle 3 ore. Giorno 1: si somministravano 1000 mg/m2 pari a 1740 mg totali diluiti in 500 cc di fisiologica in 2 ore. Dopo l’infusione la paziente non presentava effetti collaterali acuti. Giorno 2: la paziente si recava in reparto senza riferire sintomi peggiorativi rispetto al giorno precedente; la lesione si presenta clinicamente più eritematosa ed estesa (Figura 2). Seconda somministrazione di Savene® (dexrazoxano) 1000 mg/m2. Giorno 3: la paziente presentava eritema della piega del gomito. Riferiva astenia moderata (Figura 3).
Una paziente di 66 anni affetta da carcinoma della mammella si recava presso il nostro reparto per effettuare il secondo ciclo di chemioterapia adiuvante secondo lo schema epirubicina/ciclofosfamide g1 q21 gg ev. Le condizioni del sistema venoso della paziente non erano ottimali; le vene risultavano, come segnalato dal personale infermieristico, non visibili e profonde. Non avendo ottenuto dalla paziente il consenso all’impianto di un port a cath e avendola informata sul rischio di stravaso da antracicline, veniva utilizzata come sede di accesso venoso periferico la piega del gomito. L’infusione veniva garantita mediante pompa. Lo schema chemioterapico prevedeva la somministrazione iniziale di una fisiologica da 500 cc medicata con ranitidina e successiva infusione di desametasone e palonosetron. La somministrazione di antraciclina, diluita in 100 cc di fisiologica ed infusa in 30 minuti schermata dalla luce precedeva la successiva infusione di ciclofosfamide.
Figura 1 - Giorno 1: immagine a 30 minuti dallo stravaso.
Figura 4 - Giorni successivi allo stravaso: area edematosa e dolente con cute integra, ma lievemente iperemica.
mente scomparendo, fino al controllo a distanza di 3 mesi quando l’area cutanea appariva normale, persistendo solo una minima dolenzia alla palpazione a livello della piega antecubitale. Il quadro cutaneo e sottocutaneo relativo allo stravaso si è completamente risolto senza reliquati.
Caso clinico: data stravaso 4 ottobre 2011 UOC Oncologia Medica, Ospedale San Salvatore, Università degli Studi dell’Aquila
IL PUNTO DI VISTA DELL’ONCOLOGO
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Giorno 7: all’emocromo si evidenziava leuconeutropenia G2 e piastrinopenia G3 con 47.000 PLT totali. Astenia G2-3. La lesione appariva più addensata nei piani profondi e dolente alla palpazione superficiale (Figura 4). Giorno 10: piastrinopenia G2. Lesione invariata. Giorno 12: la paziente presentava valori ematochimici nella norma. Giorno 21: lieve peggioramento della lesione locale. La paziente riferiva astenia G2. Si rinviava la chemioterapia di una settimana. Giorno 25: lo stravaso si presentava come lesione eritematosa di 4 x 2,5 cm con ispessimento fibroso del sottocutaneo che si estendeva per circa 2 cm oltre l’area eritematosa; l’area era dolente alla digitopressione ma non spontaneamente. La paziente effettuava il terzo ciclo di chemioterapia con 7 giorni di ritardo utilizzando un accesso venoso
posto a monte della lesione. La lesione cutanea sede dello stravaso risultava invariata. La paziente accettava il posizionamento del port a cath, che veniva inserito prima del quarto ciclo di chemioterapia. La paziente ha completato la terapia adiuvante e non ha avuto esiti funzionali dallo stravaso da antraciclina. Persiste, a 7 mesi dall’evento, una lieve fibrosi dei piani più profondi della piega del gomito, che non evoca più dolore nemmeno alla palpazione profonda (Figura 5).
Figura 2 - Giorno 2 dallo stravaso: la lesione si presenta clinicamente più eritematosa ed estesa.
Figura 3 - Giorno 3 dallo stravaso: la paziente presenta eritema della piega del gomito.
Figura 4 - Giorno 7 dallo stravaso: la lesione appare più addensata nei piani profondi e dolente alla palpazione superficiale.
Figura 5 - Controllo a sette mesi dallo stravaso: persistenza di una lieve fibrosi dei piani più profondi della piega del gomito, che non evoca più dolore nemmeno alla palpazione profonda.
Discussione La somministrazione della chemioterapia ha insito un rischio assai temuto, che è quello dello stravaso. Per
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stravaso si intende la fuoriuscita accidentale da un vaso nel tessuto cutaneo e/o sottocutaneo di qualunque soluzione endovenosa. In particolare lo stravaso di agenti antineoplastici può essere particolarmente dannoso perché può provocare, in alcuni casi, necrosi dei tessuti, gravi danni cellulari, infezioni. Tra gli stravasi da chemioterapici quello da antracicline è sicuramente uno dei più paventati in oncologia per le complicanze spesso permanenti e invalidanti. Le antracicline sono farmaci che si legano tenacemente e stabilmente al DNA e, in caso di stravaso, si legano alle cellule sane dei tessuti interessati, che muoiono in poco tempo. Dopo la morte cellulare il complesso DNA-farmaco viene a danneggiare le cellule sane limitrofe, determinando nelle settimane successive un’estensione del danno tissutale. Ciò spiega perché in questi casi il danno tissutale non è solo immediato, ma può amplificarsi a lungo termine. Per tale motivo le antracicline sono definite farmaci vescicanti/necrotizzanti, ossia che determinano danno cellulare e/o la necrosi dei tessuti in caso di stravaso sottocutaneo. Si ipotizza, inoltre, che lo stravaso di tali farmaci determini anche il rilascio di radicali liberi con conseguenze gravi sui piccoli vasi (perdita dell’integrità della parete dei vasi, aumento del rischio di trombosi, necrosi vascolare). Numerose sono le procedure messe in atto negli anni al fine di ridurre l’incidenza degli stravasi nonché ottenere il contenimento delle conseguenze correlate agli stravasi stessi. Savene® (dexrazoxano) ha due meccanismi di azione: chelazione del ferro nonché inibizione della topoisomerasi II. Non è ancora perfettamente chiaro quanto i due meccanismi contribuiscano al contenimento del danno tissutale da antraciclina, ma due studi hanno dimostrato che Savene® (dexrazoxano) è riuscito a prevenire lo sviluppo di necrosi tissutale ed ha consentito di proseguire il programma terapeutico chemioterapico senza significative riduzioni di dose nel 70,4% dei pazienti riducendo l’incidenza dei postumi. Savene® (dexrazoxano) può potenziare la tossicità indotta dalla chemioterapia somministrata durante lo stravaso. Tale evenienza può spiegare la piastrinopenia G3 e l’astenia G2-3 che si sono verificate nella paziente da noi trattata e che non si erano evidenziate al ciclo precedente. L’attento monitoraggio dei parametri ematochimici della paziente e l’attivazione del servizio di assistenza domiciliare oncologica ci hanno consentito di gestire la paziente senza alterarne la qualità di vita, elemento cardine dei trattamenti adiuvanti. L’utilizzo tempestivo di Savene® (dexrazoxano) ci ha permesso di mantenere invariata la dose-intensity della chemioterapia adiuvante somministrata e di scongiurare danni funzionali ad una paziente potenzialmente guarita.
STRAVASO DA ANTRACICLINE
Bibliografia di riferimento 1. Schulmeister L: Totect: a new agent for treating anthracycline extravasation. Clin J Oncol Nurs 2007; 11 (3): 387-395. 2. Mouridsen HT, Langer SW, Buter J et al: Treatment of anthracycline extravasation with Savene (dexrazoxane): results from two prospective clinical multicentre studies. Ann Oncol 2007; 18 (3): 546-550. 3. Wickham R, Engelking C, Sauerland C, Corbi D: Vescicant extravasation part I: mechanisms, pathogenesis and nursing care to reduce risk. Oncol NursForum 2006; 33 (6): 1134-1141. 4. Wickham R, Engelking C, Sauerland C, Corbi D: Vescicant extravasation part II: evidence-based management and continuing controversies. Oncol Nurs Forum 2006; 33 (6): 1143-1150. 5. Viale PH: Chemotherapy and cutaneous toxicities: implication for oncology nurses. Semin Oncol Nurs 2006; 22 (3): 144-151. 6. Jones L, Coe P: Extravasation. Eur J Oncol Nurs 2004; 8 (4): 355-358. 7. Ener RA, Meglathery SB, Styler M: Extravasation of systemic hematooncological therapies. Ann Oncol 2004; 15 (6): 858-862. 8. Stanford BL, Hardwicke F: A review of clinical experience with paclitaxel extravasations. Support Care Cancer 2003; 11 (5): 270-277. 9. Langer SW: Dexrazoxane for anthracycline extravasation. Expert Rev Anticancer Ther 2007; 13 (16): 1081-1088. 10. Langer SW, Jensen PB, Sehested M: Other uses of dexrazoxane: Savene, the first proven antidote against anthracycline extravasation injuries. Cardiovasc Toxicol 2007; 7 (2): 151-153. 11. Hasinoff BB, Herman EH: Dexrazoxane: how it works in cardiac and tumor cells. Is it a prodrug or is it a drug? Cardiovasc Toxicol 2007; 7 (2): 140-144. 12. Hasinoff BB: Dexrazoxane use in the prevention of anthracycline extravasation injury. Future Oncol 2006; 2 (1): 15-20. 13. El Saghir N, OtrockZ, Mufarrij A: Dexrazoxane for anthracycline extravasation and GM-CSF for skin ulceration and wound healing. Lancet Oncol 2004; 5 (5): 320-321. 14. European Oncology Nursing Society. Extravasation guidelines 2007. 15. Bernagozzi F, Rocchi G, Rostagno E: Prevenzione e trattamento (non chirurgico) degli stravasi dei farmaci antineoplastici, 2003. Revisione Centro EvidencebasednursingBologna. Disponibile online al seguente indirizzo: http://www.evidencebasednursing.it/homepage1.htm.
Caso clinico: data stravaso 23 marzo 2012 IRCCA Ospedale Oncologico di Bari Emanuele Naglieri Una donna di 45 anni con cancro alla mammella ha subito uno stravaso di epirubicina in occasione del suo primo ciclo di chemioterapia (che includeva anche ciclofosfamide). Lo stravaso è stato diagnosticato 30 minuti dopo l’inizio dell’infusione di epirubicina (da ingresso periferico in braccio sinistro) ed è stato causato dalla rottura del catetere con conseguente fuoriuscita dalla parete venosa. La quantità di farmaco stravasato è stata di circa 5 ml ed ha generato nella paziente do-
IL PUNTO DI VISTA DELL’ONCOLOGO
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tà del braccio. Non si sono verificati ritardi nell’infusione dei cicli di chemioterapia.
Stravaso non trattato con Savene® Le Figure 2 e 3 si riferiscono a uno stravaso non trattato con l’antidoto Savene® (dexrazoxano). Al controllo a tre settimane la paziente mostrava molto evidenti i segni e i sintomi dell’evento avverso. Riferiva ancora della sua impossibilità ad articolare il braccio.
Figura 1 - Paziente trattata con Savene®. Controllo a tre settimane dallo stravaso: persiste un modestissimo indurimento della parte con lieve eritema cutaneo. Nessuna alterazione della funzionalità del braccio. La paziente ha mostrato un pieno recupero. I segni ed i sintomi dello stravaso risultano notevolmente ridotti.
lore immediato associato a bruciore, indurimento, edema, eritema e arrossamento in un’area di circa 25 cm2. Sia la paziente sia l’infermiera addetta all’infusione apparivano profondamente scosse. Si è deciso così di attivare il protocollo di emergenza stravaso tramite l’utilizzo dell’antidoto Savene® (dexrazoxano). Poiché per raffreddare la zona erano stati applicati impacchi di ghiaccio, gli stessi sono stati rimossi almeno 15 minuti prima della somministazione di Savene® (dexrazoxano). È stata praticata un’infiltrazione di idrocortisone nell’area dello stravaso e non si è utilizzato DMSO (cfr “Procedure per il trattamento dello stravaso, 2011, pag. 7 – Gruppo SIFO Lombardia”). Dopo aver calcolato, come da linee guida, la superficie corporea della paziente (1,74 m2), è iniziata l’infusione di Savene® (dexrazoxano), a circa 30 minuti dalla diagnosi di stravaso. Il trattamento con l’antidoto è stato ripetuto con le modalità prescritte dopo 24 e 48 ore. La paziente ha mostrato un pieno recupero. I segni ed i sintomi dello stravaso risultavano notevolmente ridotti. Ai successivi controlli, avvenuti a distanza di circa tre settimane, persisteva un indurimento della parte con lieve eritema cutaneo. Nessuna alterazione della funzionali-
Figure 2 e 3 - Paziente non trattata con Savene®. Controllo a tre settimane dall’evento.
i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S12-S15, 2012
Stravaso da antracicline: il punto di vista dell’infermiere di Dipartimento Oncologico. Gestione pratica Fabiana Marcucci Clinica di Oncologia, Dipartimento Oncoematologico, Ospedali Riuniti di Ancona; Componente del Consiglio Direttivo Associazione Italiana Infermieri di Area Oncologica (AIIAO)
Introduzione Lo stravaso, considerato come la fuoriuscita di un farmaco dal sito di inserzione nel tessuto circostante¹ (National Extravasation Information Service, 2000-2007), da farmaci citotossici o antiblastici rappresenta attualmente un evento abbastanza raro in oncologia, ma importante dal punto di vista del danno eventualmente provocato². Questo fenomeno viene stimato con una percentuale compresa tra lo 0,1% e il 6,5%³: il dato suggerisce che lo stravaso sia un incidente spesso sottostimato, frequentemente non riconosciuto, quindi non trattato né segnalato4. La mancanza di dati precisi e accurati sulla prevalenza dei casi di stravaso non trattati rende difficile stabilire l’efficacia dei trattamenti adottati. Un grosso problema è la mancanza di studi clinici controllati per poter stabilire quale sia, per ogni farmaco, l’approccio terapeutico più efficace5. La gravità di uno stravaso dipende dal tipo di farmaco, dalla quantità e dalla concentrazione6; inoltre il danno è correlabile ad altri fattori, quali l’infusione in aree prossime ad articolazioni, tendini e fasci neurovascolari (come il polso e la fossa antecubitale) o il tempo intercorso tra il verificarsi dello stravaso e il trattamento dello stesso. Il danno tissutale può variare da un semplice eritema localizzato a una necrosi estesa, che può determinare la perdita della funzione di un arto o compromettere il proseguimento della terapia stessa7. La classificazione degli antiblastici in base alla tossicità tissutale è riportata nella Tabella 1.
I professionisti sanitari che in primo luogo sono responsabili di una corretta gestione dello stravaso sono proprio gli infermieri11, che rivestono un ruolo chiave nella prevenzione di questa complicazione e, attraverso il riconoscimento precoce dei sintomi e dei segni, sono in grado di agire in maniera tempestiva ed efficace al fine di ridurre il danno tissutale. Anche per questo evento avverso la formazione continua dell’infermiere oncologico diviene un obiettivo specifico5.
Prevenzione dello stravaso Il miglior approccio per minimizzare il danno provocato dallo stravaso è rappresentato dalla prevenzione, di competenza strettamente infermieristica, attraverso: • la formazione continua, • l’implementazione di protocolli operativi che guidino tutti i professionisti sia all’identificazione precoce sia al trattamento12.
Trattamento dello stravaso Il trattamento dello stravaso va effettuato solo in caso di farmaci antiblastici necrotizzanti o vescicanti. Nel caso di farmaci irritanti si applica nella zona lesionata una crema antinfiammatoria16. Nel caso di farmaci neutrali non verrà adottato alcun trattamento.
Tabella 1 - Classificazione degli antiblastici in base alla tossicità tissutale Necrotizzanti: sono farmaci che producono un danno immediato e, legandosi al DNA, rimangono a lungo nei tessuti provocando un danno tissutale progressivo con ulcerazione; spesso richiedono un intervento chirurgico e possono determinare sintomatologia dolorosa ed esiti molto gravi da un punto di vista funzionale8
• Antracicline: farmorubicina, doxorubicina, adriamicina, doxorubicina, liposomiale, idarubicina, daunoblastina • Alcaloidi della vinca: vincristina, vinblastina, vindesina, vinorelbina, vinflunina • Mitomicina C • Trabectedina
Vescicanti: sono farmaci che vengono rapidamente metabolizzati, provocano un danno immediato seguito da riparazione dei tessuti9
• Mitoxantrone, carmustina, dacarbazina, taxani, cisplatino, etoposide, oxaliplatino
Irritanti: causano soltanto infiammazione ed irritazione; l’azione lesiva dipende soltanto dal volume stravasato10
• Bleomicina, carboplatino, ciclofosfamide, ifosfamide, fluorouracile, melphalan, streptozotocina, tiotepa
Neutrali: non provocano reazioni locali10
• Gemcitabina, irinotecan, methotrexate, raltitrexed, topotecan, pemetrexed, fludarabina
Nota bene: nessuna tossicità tissutale è stata fino ad oggi rilevata in seguito a stravasi di farmaci target: anticorpi monoclonali.
STRAVASI DA ANTRACICLINE: IL PUNTO DI VISTA DELL’INFERMIERE
Il trattamento dello stravaso va assolutamente effettuato entro un massimo di dieci minuti dall’evento: solo in questo caso sarà curativo11. Importante è avere sempre a disposizione un kit di intervento urgente, comprendente gli antidoti, i farmaci e tutto il materiale per il trattamento13. Intervenendo con ritardo si possono soltanto arginare i danni relativi alle lesioni, ma l’intervento non sarà affatto curativo: in pochissimo tempo (qualche minuto) il farmaco raggiunge i tessuti sottostanti, provocando danni spesso irreversibili per il paziente: necrosi, vesciche, dolore, perdita della funzionalità dell’arto colpito dalla lesione, retrazione dei nervi e dei tendini; nel caso di farmaci necrotizzanti si può arrivare fino alla ricostruzione chirurgica di ampie zone di arto; sono state osservate nel tempo amputazioni di arti, eventi rari ma possibili11.
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Il trattamento dello stravaso prevede norme generali e particolari relative a ogni farmaco interessato. Trattamento generale17 • In tutti gli stravasi l’ago di infusione non va rimosso, ma va aspirato più sangue e farmaco possibile. • L’area stravasata può essere chiaramente disegnata per definirne i margini. • Dove possibile, sarebbe utile poter fotografare la zona al fine di monitorare la lesione nel tempo. • Rimuovere l’ago. • Applicare l’antidoto relativo al farmaco. • Applicare caldo o ghiaccio secondo il tipo di farmaco stravasato (ad eccezione delle antracicline). • Somministrare farmaci per via sistemica se prescritti dal medico informato dell’evento (antistaminici, antidolorifici).
Tabella 2 - Procedura da seguire per evitare i rischi di stravaso Informare il paziente13
• sui possibili rischi dovuti allo stravaso (evitare di provocare ansia o agitazione nel paziente) • sulla necessità di rispettare l’immobilità dell’arto durante l’infusione dell’antiblastico • dell’eventuale segnalazione immediata in caso di: – sensazione di bruciore, fastidio, dolore, formicolio, – gonfiore (edema), rossore, calore in sede di infusione, – reflusso di sangue nel set di infusione.
Scelta del sito di somministrazione (infusione)14
• Ispezionare ambedue le braccia: il vaso venoso deve presentarsi morbido, elastico e di dimensioni adeguate a contenere l’ago scelto in base alla terapia. • Preferire nell’ordine questi siti di infusione: a. vene mediane dell’avambraccio, b. vene cefalica e basilica, c. vene dorsali della mano. Evitare: • la piega antecubitale, • le aree di flessione del polso e della mano, • gli arti inferiori, • le vene fragili, di piccolo calibro, sclerotiche o infiammate, varici venose, • vene precedentemente sottoposte a chemioterapia. • Non infondere terapia se l’arto presenta circolo linfatico compromesso o interessato da processi neoplastici. • Non utilizzare lo stesso sito di infusione per altre terapie o aghi-cannula posizionati da più di 12 ore15.
Scelta dei dispositivi di infusione e posizionamento ago14
Utilizzare accesso venoso centrale, se presente. Se non presente: • utilizzare cannula flessibile in teflon o in silicone (ago-cannula), • utilizzare ago di medio calibro (20 Gauge o 22 Gauge), • utilizzare medicazione in poliuretano trasparente, • utilizzare raccordi a Y e rubinetti a 3 vie, • utilizzare dispositivi dotati di raccordi luer-lock.
Test di integrità della parete venosa Infusione della chemioterapia
• • • • • • •
Rivalutazione periodica dell’integrità venosa
• Controllare periodicamente l’integrità della vena. • Se il paziente non è collaborante (esiti di ictus, compromissione del sensorio, età avanzata o altro) o rimane asintomatico nel corso della terapia, effettuare controlli ogni 5-20 minuti in relazione al tipo di chemioterapico infuso. • Distinguere lo stravaso da altre reazioni dovute ai farmaci15.
Infondere 100 ml o 250 ml di soluzione fisiologica a goccia veloce. Non valutare mai la linea di infusione con il farmaco chemioterapico. Le infusioni dei farmaci necrotizzanti e vescicanti vanno eseguite a caduta e non mediante pompa infusionale. Rispettare rigorosamente le velocità di infusione relative ad ogni farmaco. In caso di somministrazione sequenziale, infondere per primi i farmaci necrotizzanti o vescicanti. Se tutti i farmaci sono necrotizzanti o vescicanti iniettare per primo quello più concentrato. Dopo l’infusione di farmaci praticare abbondante lavaggio della vena con soluzione neutra (per esempio, soluzione fisiologica).
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MARCUCCI F
• Monitorare il paziente per tutto il follow-up: controllare attentamente l’evoluzione della lesione per almeno 1-2 settimane; nel caso di ulcerazione chiedere la consulenza del chirurgo plastico. • Nel caso di necrosi contattare immediatamente il chirurgo plastico per i trattamenti specifici. • Documentare l’evento in cartella clinica integrata. Trattamenti particolari: antidoti Accanto al trattamento generale, riveste particolare importanza l’utilizzo degli antidoti, anche se a tutt’oggi vi sono evidenze scientifiche contrastanti rispetto al loro uso nello stravaso16: antidoti ed interventi chirurgici precoci in questo evento avverso restano dibattuti nel mondo scientifico in quanto empirici. L’unica eccezione è rappresentata da Savene® (dexrazoxano)18, in quanto l’efficacia di questo trattamento è stata valutata attraverso studi clinici: gli studi TT01 e TT0219, multicentrici a braccio singolo, introducono questa molecola cardioprotettrice tra gli antidoti nel trattamento degli stravasi da antracicline20.
In seguito a queste sperimentazioni, Savene® (dexrazoxano) ha ottenuto l’approvazione dall’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) e dalla FDA (Food and Drug Administration)21 come trattamento d’elezione nello stravaso da antracicline. Il meccanismo di azione consta di due fasi: • agisce come inibitore catalitico dell’enzima DNA topoisomerasi II, target delle antracicline; • agisce come chelante del ferro prevenendo la formazione del complesso ferro-antracicline e lo stress ossidativo dei radicali liberi ferro-dipendenti22. Oltre ad evitare la formazione di necrosi tissutale, la somministrazione di Savene® (dexrazoxano) per il trattamento dello stravaso da antracicline evita sospensioni e/o ritardi dei successivi cicli di chemioterapia (biopsy-proven)23. Effetti collaterali più comuni conseguenti alla somministrazione di Savene® (dexrazoxano) sono: pancitopenia, aumento delle transaminasi, aumento della bilirubina.
Tabella 3 - Trattamento dello stravaso da antracicline Praticare lavaggio antisettico delle mani, quindi indossare dispositivi di protezione individuale. Aspirare dall’ago di infusione dello stravaso più farmaco e sangue possibile (fino a 5 ml). Avvisare medico: prescrizione del farmaco Savene® (dexrazoxano) (per 3 giorni). Inviare prescrizione in farmacia per preparazione o preparare l’infusione sotto cappa aspirante. Reperire accesso venoso periferico nel braccio controlaterale allo stravaso o comunque lontano dalla zona di stravaso. Se lo stravaso è avvenuto durante infusione attraverso un accesso venoso centrale, somministrare farmaco Savene® (dexrazoxano) in vena periferica. Infondere soluzione di Savene® (dexrazoxano) 1000 mg/m2 prima possibile dall’evento stravaso e comunque entro 6 ore. Infondere il farmaco in 60 minuti. Ripetere la stessa somministrazione dopo 24 ore (1000 mg/m2). Ripetere la stessa somministrazione dopo 48 ore (500 mg/m2). Non utilizzare cortisonici, ghiaccio nella zona colpita o dimetilsulfossido in associazione al farmaco Savene® (dexrazoxano). Documentare l’evento in cartella clinica integrata. Monitorare il paziente ogni 3 giorni: controllare evoluzione o risoluzione della lesione. Documentare l’evento in cartella clinica integrata. Valutare: • formazione di vesciche, • necrosi, • dolore persistente, • retrazione della zona lesionata, Eventualmente contattare chirurgo plastico per debridamento necrosi. EONS 200713.
Tabella 4 - Livelli di evidenza degli antidoti utilizzati in caso di stravaso Farmaco stravasato
Antidoto suggerito
Livello di evidenza
Antracicline Mitomicina C
Savene® (dexrazoxano) DMSO topico
Alcaloidi della vinca
Jaluronidasi
L’efficacia verificata nei rilievi bioptici dello stravaso è stata confermata dai trial clinici Suggerito come possibile antidoto nella letteratura. A causa della mancanza di evidenze è consigliabile approfondire lo studio Suggerito come possibile antidoto nella letteratura. A causa della mancanza di evidenze è consigliabile approfondire lo studio
STRAVASI DA ANTRACICLINE: IL PUNTO DI VISTA DELL’INFERMIERE
Savene® (dexrazoxano) è disponibile in fiale da 500 mg, va somministrato per infusione endovenosa diluito in 500 ml di soluzione diluente. Per la preparazione adottare le consuete procedure per la corretta manipolazione dei medicinali citotossici. Altri antidoti attualmente utilizzati sono rappresentati dal dimetilsulfossido (DMSO)24, dall’enzima jaluronidasi10, dal sodio tiosolfato1, dall’applicazione di ghiaccio o caldo nella zona colpita17, ma il loro utilizzo non è supportato da evidenze scientifiche (Tabella 4). Si consiglia quindi l’implementazione in ogni reparto o servizio oncologico di protocolli di gestione/trattamento stravaso in collaborazione con i farmacisti responsabili e gli oncologi medici. Bibliografia 1. National Extravasation Information Service, 2000-2007. Disponibile online al seguente indirizzo: www.extravasation.org.uk. 2. Royal College of Nurses for Intravenous Infusion: RCN standards, 2005. Disponibile online al seguente indirizzo: www.evanetwork.info. 3. Schulmeister L, Camp Sorrell D: Chemotherapy extravasation from implant-ted ports. Oncology Nursing Forum 2000; 27 (3): 531-538 4. Yildizeli B, Lacin T, Batirel HF et al: Complication and management of long-term central venous access catheters and ports. J Vasc Access 2004; 5 (4): 174-178. 5. Wengstrom Y, Margulies A: European Oncology Nursing Society extravasation guidelines. Eur J Oncol Nurs 2008, 12: 357-361. 6. Clamon GH: Extravasation. In: Perry MC (Ed), The chemotherapy source book, Philadelphia, Lippincott Williams & Wilkins, 2001 (3rd ed), pp 432-436. 7. Ener RA, Meglathery SB, Styler M: Extravasation of systemic hemato-oncological therapies. Ann Oncol 2004; 15: 858-862. 8. Boyle DM, Engelking C: Vescicant extravasation: myths and realities. Oncology Nursing Forum 1995; 22 (1): 57-67. 9. Luke E: Mitoxantrone-induced extravasation. Oncology Nursing Forum 2005; 32: 27-29. 10. Schulmeister L: Management vescicant extravasations. Oncologist 2008; 13: 284-288.
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i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S16-S21, 2012
Stravaso da antracicline: il punto di vista del farmacista ospedaliero di Dipartimento Oncologico. Gestione degli antidoti Stefano Federici1 e Giuseppe Caravella2 1Responsabile
SC Farmacia Ospedaliera Aziendale, 2Responsabile AS Galenica Clinica, Farmacia Ospedaliera Aziendale, Azienda Ospedaliera di Melegnano (Mi)
Introduzione
Campi di interesse specifici del farmacista ospedaliero in oncologia Nella Figura 1 vengono riportate le aree in cui il farmacista ospedaliero si può interfacciare con le altre professionalità impegnate nella cura del malato oncologico. Galenica clinica e tecnica farmaceutica È stato il motore di partenza da cui è scaturito tutto l’interesse dell’oncologia verso il farmacista ospedaliero, dettato per lo più da un’esigenza di aspetti protezionistici in quanto trattasi di farmaci istolesivi, mutageni e cancerogeni, e quindi potenzialmente tossici per gli operatori che manipolano tali sostanze. Pertanto il settore della galenica clinica è, più di ogni altro, esplicativo delle caratteristiche di duttilità della farmacia clinica nel venire incontro ai bisogni terapeutici dei singoli pazienti, coniugando qualità, sicurezza, maggiore certezza dell’outcome con l’economicità degli interventi. Dosaggi personalizzati significano: • in termini di sicurezza formulazioni controllate per quanto riguarda dosaggio, compatibilità e stabilità dei 1 2 3 4 5 6
• Responsabilità nell’allestimento Galenica clinica sicuro delle terapie oncologiche e tecnica farmaceutica • Appropriatezza prescrittiva Prescrizione e delle terapie oncologiche consulenza legislativa • Consulenza legislativa su argomentazioni che influenzano l’organizzazione del reparto onco-ematologico (File F & Legislazione sugli Off Label) • Gestione organizzativa e Organizzazione centralizzata delle terapie oncologiche e logistica • Collaborazione interattiva tecnico-scientifica Consulenza con il clinico su argomentazioni tecnico-scientifica farmacologiche e tossicologiche • Collaborazione nella elaborazione Gestione economica intra e extraospedaliera dei budget di reparto onco-ematologici • Interazione nell’ambito di commissioni di Partecipazione farmaco-terapeutica e nei comitati etici a Commissioni
Formazione e aggiornamento continuo
La sconfitta della malattia tumorale è da anni uno degli obiettivi più importanti della ricerca farmaceutica e clinica. Nell’ultimo decennio stiamo assistendo ad un sostanziale cambiamento della strategia terapeutica, passando dal trattamento del tumore secondo protocolli stabiliti e rigidi, con efficacia variabile da individuo ad individuo, ad una forma ‘tailorizzata’, su misura, di terapia antitumorale, che considera sì il cancro e la sua stadiazione, ma anche le patologie concomitanti, le aspettative e la qualità di vita a medio e lungo termine, le condizioni di socialità. La personalizzazione della terapia ha determinato un considerevole aumento della gamma di farmaci utilizzati nella cura del cancro, imponendo una particolare attenzione sul rischio di interazioni, sulla valutazione dei dosaggi, sulle schedule di somministrazione più idonee, sulla tossicità del trattamento. Di conseguenza la scelta terapeutica e il monitoraggio del paziente oncologico non sono più prerogativa unica ed esclusiva del clinico, ma sempre più un terreno in cui l’accordo tra i professionisti (oncologi medici, ematologi, chirurghi, radioterapisti, patologi clinici, laboratoristi, infermieri, farmacisti ospedalieri, etc.) deputati a garantire le cure all’interno dell’ospedale e sul territorio, rappresenta sempre di più un fattore strategico fondamentale. L’esigenza di porre una figura professionale sanitaria a cavallo tra le competenze cliniche e quelle legislative e tecnico-gestionali si sta affermando con sempre maggiore forza, alla luce del continuo aumento della spesa sanitaria dei farmaci oncologici in ambiente ospedaliero. In tal senso, pare ovvio che il farmacista ospedaliero venga sempre più coinvolto nei processi decisionali aziendali. Il rapporto continuo che il farmacista ospedaliero assume oggi nei confronti delle istituzioni è più che mai di vitale importanza per il lavoro di monitoraggio e controllo nella gestione dei prodotti di area sanitaria in ambito ospedaliero ed extraospedaliero. I rapporti che il farmacista ospedaliero, insieme all’oncologo medico e all’ematologo clinico, condivide con l’AIFA diventano fondamentali per una maggiore oculatezza nell’appropriata prescrizione al fine di garantire a tutti i pazienti la miglior cura attualmente possibile. Infatti le ‘schede’ di monitoraggio AlFA rappresentano un importante passo avanti nei rapporti di collaborazione e di interazione con
le istituzioni e un potenziamento del rapporto già in corso con gli oncologi e gli ematologi, facendo sì che il farmacista ospedaliero abbia un coinvolgimento maggiore nel percorso di cura del paziente oncoematologico.
Secondo la filosofia dell’Health Technology Assessment
Figura 1 - Argomenti di interesse del farmacista ospedaliero in oncologia.
STRAVASI DA ANTRACICLINE: IL PUNTO DI VISTA DEL FARMACISTA OSPEDALIERO
componenti. Confezionamenti idonei a garantire l’integrità del prodotto e l’individuazione del paziente. Maggior controllo microbiologico; • in termini terapeutici la garanzia di avere prodotti ad hoc per ogni singolo paziente anche laddove l’industria non è in grado di fornire il dosaggio ottimale. Essendo il farmacista coinvolto direttamente nella gestione delle terapie, ha maggiormente l’opportunità di dare un concreto contributo nella razionalizzazione e nelle scelte dei prodotti utilizzati; • in termini economici dose unitaria significa azzeramento delle scorte di reparto (il maggior fattore nell’onere economico dei farmaci), nessuno spreco di prodotto in quanto, avvenendo le lavorazioni in ambienti microbiologicamente controllati e sotto il controllo tecnico del farmacista, è possibile per noi utilizzare completamente gli avanzi di produzione. Quanto detto deve essere effettuato in relazione alle problematiche legate alla stabilità chimico-fisica dei prodotti allestiti. Tale caratteristica conferisce al prodotto la possibilità di essere allestito per lotti, cioè nei quantitativi utili per essere usati nei tempi dettati dalla stabilità stessa, garantendo la possibilità di avere già a disposizione il prodotto con dosaggio standard pronto per essere somministrato, cioè indipendentemente dai tempi conferiti dall’organizzazione di reparto/day hospital/ambulatorio. Pertanto la stabilità dei prodotti oncologici diventa una caratteristica fondamentale nell’ambito di un’organizzazione di allestimento di terapie centralizzate che tenga conto e si interfacci completamente con l’attività di somministrazione dei prodotti stessi e nella gestione completa del malato oncologico. In altre parole, chi gestisce l’allestimento delle terapie oncologiche (responsabile dell’UMaCA) ed è a perfetta conoscenza delle stabilità dei prodotti, non deve prescindere dalla realtà organizzativa nella fase di somministrazione (organizzazione del reparto/day hospital/ambulatori), venendo incontro in modo costruttivo a tutte le esigenze pratiche dell’UO Oncologia Medica e/o Ematologia Clinica. Di qui lo stretto contatto che esiste tra i concetti basilari della galenica clinica e tecnica farmaceutica e gli argomenti che riguardano l’organizzazione e la logistica. Prescrizione e consulenza legislativa Alla luce delle ultime normative regionali e nazionali e per un appropriato ed economico utilizzo delle risorse, la consulenza legislativa del farmacista ospedaliero diventa di fondamentale importanza sia nella fase prescrittiva che nella gestione totale dei beni sanitari utili al paziente oncologico. Infatti la gestione del File F, unita ad una corretta allocazione organizzativa del paziente, rappresenta oggi un modo razionale e concreto nel gestire appropriatamente risorse che per definizione sono finite e concordate nell’ambito di riunioni di budget interdisciplinari. Tali riunioni prevedono sempre la presenza dei Responsabili di UO,
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ma anche dei referenti del Controllo di Gestione, uniti a componenti della Direzione Sanitaria Aziendale, del SITRA, del Provveditorato e della Farmacia Ospedaliera. L’intervento del farmacista nell’ambito legislativo si estende alla problematica on/off label dei farmaci oncologici. La consultazione di una figura professionale orientata agli aspetti squisitamente normativi è fondamentale per una corretta prescrizione alla luce di un rimborso di prestazione da parte della ASL di competenza. Il rispetto dell’indicazione (prescrizione on label) diventa una prerogativa fondamentale tra farmacista e oncologo medico. Organizzazione e logistica La centralizzazione delle attività, pertanto, rimane sempre un obiettivo importante della Farmacia Oncologica, anche se ad oggi non si è purtroppo realizzata sempre all’interno delle Farmacie Ospedaliere. Nella centralizzazione delle attività nella Farmacia convergono infatti due aspetti molto importanti, peculiari di queste terapie: la prevenzione del rischio occupazionale, la gestione del rischio clinico che passa attraverso: gestione computerizzata, personale dedicato, applicazione di linee guida, etc. A questo deve seguire tuttavia una rivalutazione dei modelli organizzativi fin qui adottati e un ripensamento sui nuovi sviluppi dell’idea di centralizzazione, intesa come rete di servizi offerti da farmacie a connotazione oncologica che sono in grado di fornire, tra l’altro, preparati personalizzati anche per altri presidi o aziende ospedaliere a connotazione non oncologica. Si può pensare che le attività delle farmacie si differenzino nelle specializzazioni dei servizi offerti. Questo modello organizzativo, peraltro già emerso nella “Sintesi delle indicazioni per una razionale applicazione delle Linee-Guida Ministeriali sulla prevenzione dei rischi occupazionali nella manipolazione dei Chemioterapici Antiblastici” [Med Lav 2001; 92 (2): 137-148] trova oggi maggiore forza grazie anche alle nuove tecnologie e ai costi particolarmente elevati delle terapie, oltre alla già citata garanzia di una maggiore qualità del servizio offerto. E comunque, al di là delle diverse preferenze, considerati i costi dei nuovi farmaci e gli standard di qualità elaborati, la dispensazione delle terapie oncologiche, secondo gli orientamenti indicati già a suo tempo nel Documento di Consenso del 1999, elaborato dal gruppo di Lavoro ISPESL (Alessio et al., appendice alle Linee-Guida SIFO): l’Unità (UFA ndr) “deve essere gestita per le rispettive competenze dalla Farmacia e dai Servizi di Oncologia Medica ed Ematologia”. A distanza di dieci anni, il Documento è quanto mai attuale riguardo a questi aspetti e andrebbe applicato, come d’altra parte già sta succedendo in alcuni casi nella scelta dei centri per la conduzione degli studi clinici, come criterio per l’utilizzo di queste terapie. Proprio per le caratteristiche di pericolosità sia per i pazienti che per gli operatori, da sempre l’automazione ha rappresentato l’obiettivo più perseguito delle Farmacie Oncologiche. Purtroppo tale necessità non è
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stata sufficientemente raccolta dall’industria, forse perché le farmacie non erano abbastanza presenti. A queste difficoltà si aggiungono la peculiarità dei preparati oncologici e la rapidità con cui le terapie evolvono. Oggi fortunatamente la robotica si sta introducendo nelle nostre strutture e anche in farmacia si richiedono investimenti e tecnologie costose. Queste ultime vanno valutate e ancora perfezionate, considerati i costi di investimento, ma certamente rappresentano una nuova interessante possibilità. Quanto detto deve essere effettuato in relazione alle problematiche legate alla stabilità chimico-fisica dei prodotti allestiti, tenendo sempre conto delle realtà organizzative specifiche dell’ambiente ospedaliero in cui si lavora. La stabilità conferisce al prodotto la possibilità di essere preparato per lotti, cioè nei quantitativi utili per essere usati nei tempi dettati dalla stabilità stessa, garantendo la possibilità di avere già a disposizione il prodotto con dosaggio standard, pronto per essere somministrato indipendentemente dai legami temporali della fase di somministrazione. Entrano in gioco problematiche di natura legislativa importanti, in quanto in molti casi l’Azienda produttrice non scrive, nel foglietto illustrativo, questi dati, limitandosi pertanto a definire solo un tempo ragionevole di stabilità che normalmente viene definito nelle 24 ore dal momento di apertura del flacone del farmaco: dati che comunque vengono effettuati nelle fasi precliniche dall’Azienda produttrice stessa. Il farmacista ospedaliero pertanto, volendo adottare i valori di stabilità superiori alle 24 ore, soprattutto quando si tratta di prodotti inseriti in schedule di 3, 4 e 5 giorni, deve, con l’aiuto di apparecchiature dedicate (HPLC, gas-massa spettrofotometria di massa, etc) avere degli strumenti scientifici per validare il valore di stabilità superiore a quelli scritti nel foglietto illustrativo. Valori, questi, già precedentemente valutati da altri centri ospedalieri internazionali e disponibili in letteratura. L’organizzazione comunque deve tener conto della situazione logistico-strutturale nella quale è inserita la Farmacia Ospedaliera, che propone un servizio di allestimento centralizzato di terapie oncologiche. Il farmacista ospedaliero che vuole allestire terapie oncologiche deve porsi le domande riportate nel riquadro a pag. S19. Definizioni: UMaCA o UFA o... Queste sigle stanno a significare due realtà, due momenti diversi nella gestione totale del paziente oncologico. UMaCA non è altro che l’acronimo di Unità di Manipolazione Chemioterapici Antiblastici, cioè definisce la struttura logistico-organizzativa del settore che prepara tutte le terapie oncologiche (chemioterapiche e terapie ancillari) e che fornisce tutti i dispositivi medici utili nella fase di somministrazione. UFA è l’acronimo di Unità Farmaci Antitumorali, ma è vista come il team oncologico cioè come l’insieme dei sanitari clinici e non,
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che entrano nell’organizzazione oncologica e nella gestione completa del malato. Forse l’acronimo UFA appare limitativo in quanto sempre più oggi vengono impiegati farmaci oncologici di natura biologica (anticorpi monoclonali e piccole molecole), pertanto sembra più appropriato l’acronimo UTO (Unità di Terapie Oncologiche), comprendendo così l’intero armamentario terapeutico utile per la patologia oncologica (farmaci, dispositivi medici, reattivi e diagnostici dedicati). UFA o UTO Senologo Radioterapista Infermiere Medico nucleare Direzione sanitaria
Laboratorista Oncologo medico Paziente Ematologo clinico Palliativista
Medico del lavoro Anatomopatologo Farmacista Chirurgo Psicologo
Consulenza Tecnica e Scientifica L’apporto farmacologico e tossicologico che un Farmacista può garantire ad un clinico diventa particolarmente importante se ci soffermiamo su tutte le informazioni di natura farmacocinetica e tutte le interazioni farmacologiche che i farmaci somministrati ad un paziente possono determinare. Più precisamente la farmacocinetica applicata alla realtà operativa, unita ai concetti di stabilità chimico-fisica di un farmaco, rappresenta oggi un modo intelligente e costruttivo di gestire in modo razionale ed economico un reparto, un day hospital, un ambulatorio. L’apporto costruttivo che un farmacista ospedaliero può dare in questo ambito è fondamentale, consigliando di adottare filosofie di drug day therapy soprattutto per terapie ad alto costo, in modo da razionalizzare anche l’allestimento, garantendo un abbattimento quasi totale degli scarti di farmaco. La filosofia organizzativa di drug day therapy può ottimizzare anche il lavoro degli infermieri nella fase di somministrazione delle terapie oncologiche. La conoscenza dettagliata di tutte le interazioni farmacologiche di un farmaco può evitare pericolosi effetti tossici che aggraverebbero ulteriormente le condizioni fisiopatologiche di un paziente. Concetti questi estremamente importanti nell’organizzare il lavoro secondo una logica di risk management (per esempio: l’abbattimento dell’errore clinico). L’attività consultiva e di consulenza del farmacista non deve mai prescindere dalle realtà organizzative dello specifico ospedale; quindi l’apporto scientifico, farmaceutico, galenico del farmacista deve essere letto nella realtà organizzativa dell’ambiente ospedaliero preso in considerazione. Infine, la gestione personalizzata dei cicli di terapia oncologica coinvolge il farmacista ad un attento monitoraggio degli eventuali effetti collaterali evidenziati nel trattamento farmacologico del paziente. Il fatto di avere un audit clinico, quale può rappresentare il farmacista oncologo, unito
STRAVASI DA ANTRACICLINE: IL PUNTO DI VISTA DEL FARMACISTA OSPEDALIERO Domanda generale
Strutturazione logistica dell’ospedale
Domande specifiche
Risposte specifiche
I reparti interessati sono tutti inseriti in uno stesso stabilimento ospedaliero?
La domanda è fondamentale in quanto se esiste una dispersione logistica di due o più reparti, dislocati lontano dalla Farmacia Ospedaliera centrale,bisogna fare un’analisi attenta su dove effettuare l’allestimento centralizzato e quindi prendere anche in considerazione la possibilità di istituire una Farmacia Satellite. Per Farmacia satellite si intende una Farmacia Ospedaliera, orientata in tale caso verso l’oncologia, inserita logisticamente in un reparto di Oncologia Medica e/o di Ematologia Oncologica, dove il farmacista è il vero responsabile della struttura e quindi anche del personale che lavora all’interno di essa. È una situazione che si instaura quando esiste la prevalenza delle terapie in un reparto (Oncologia Medica) e la distanza tra la Farmacia Ospedaliera centrale e il reparto maggiormente interessato è considerevole; pertanto si preferisce che il farmacista, con l’intero staff, si trasferisca nel reparto e viva la sua realtà lavorativa nell’operatività del reparto stesso. In tal caso il clinico apprezzerà ancor di più il lavoro professionale del farmacista oncologo e del suo staff, riducendo le incongruenze e le incomprensioni, e minimizzando tutte le discrepanze organizzative.
Se sono diversi gli stabilimenti ospedalieri quanto sono lontani in termini di distanza e di tempo dalla farmacia?
Esistono reparti di Oncologia Medica, Ematologia Oncologica, Oncologica Specialistica (Ginecologia, Urologia, Pneumologia), Oncologia Pediatrica, Radioterapia Oncologica, Chirurgia Oncologica
La specializzazione dei reparti introduce una variabile importante nell’organizzazione in quanto alcune tipologie (per es., la pediatria) hanno chiaramente soggetti diversi più difficili in taluni casi. Infatti nel soggetto pediatrico i dosaggi dei chemioterapici antiblastici sono elevati e completamente diversi dal soggetto adulto. Le concentrazioni delle soluzioni finali sono maggiori, con a volte problematiche relative alla stabilità dei prodotti nel tempo (etoposide). Ma soprattutto l’organizzazione, nel caso di soggetti pediatrici, viene sconvolta favorendo sicuramente l’ospedalizzazione rispetto a trattamenti ambulatoriali. Di qui la necessità di avere modalità di somministrazione diverse e più articolate.
Nell’ambito di ogni singolo reparto, che tipologia di patologie viene presa in esame soprattutto nel caso si tratti di un’unica oncologia medica
La diversa tipologia di specializzazione all’interno dell’oncologia inserisce la problematica sulla diversità di patologie e quindi di trattamenti terapeutici. Ma anche nell’ambito di un’unica oncologia medica si possono riscontrare casistiche più orientate verso alcuni tipi di patologie per la presenza di opinion leader del settore specifico.
Conoscere bene i diversi protocolli e la loro applicazione nei diversi modi di ospedalizzazione (degenza, DH, ambulatorio)
Fondamentale risulta la conoscenza farmacologica, farmaceutica e galenica di tutti i preparati da allestire, soprattutto associandola alle eventuali interazioni con i dispositivi medici da utilizzare. L’integrazione con i sanitari clinici ed infermieristici risulta di fondamentale importanza per gestire al meglio tutta l’organizzazione. Infatti conoscere i protocolli non vuol dire solo conoscerli farmacologicamente, ma significa applicarli nella realtà specifica in cui si lavora e negli ambiti di ospedalizzazione.
I reparti effettuano maggiormente attività di degenza, day hospital o ambulatoriale?
L’organizzazione del settore di allestimento terapie non può prescindere dall’organizzazione generale dei reparti oncologici, anzi ne è strettamente collegata. Pertanto il farmacista deve interfacciarsi sempre con tutti gli operatori di reparto e dei servizi collegati (Laboratorio di Analisi, Anatomia Patologica). Il fatto che un reparto premi più l’attività di degenza rispetto a quella DH-ambulatoriale permette di garantire tempi più lunghi per la consegna delle terapie finite. Sia il DH che l’ambulatoriale devono garantire tempi più stretti di permanenza per il paziente in ospedale; quindi normalmente queste terapie devono essere preparate prima di quelle destinate al reparto. Oggi sia per problemi economici sia per migliore compliance si tende a gestire il paziente oncologico in day hospital ambulatoriale con tempi di permanenza del paziente in ospedale dell’ordine di 3-5 ore.
Come è organizzato il reparto in termini di personale (quanti medici, quanti infermieri, quanti operatori professionali di supporto al personale infermieristico)
L’organizzazione in termini di personale è una nota fondamentale dell’intero sistema. Lavorare con personale altamente qualificato e sempre aggiornato è un’ulteriore garanzia di qualità.
Organizzazione del lavoro in termini temporali?
La conoscenza dei due settori, cioè quello dove si allestisce il farmaco e quello dove si somministra e si gestisce il paziente, da parte di tutte le componenti sanitarie, è garanzia di successo. La conoscenza e la comprensione reciproca delle incongruenze e delle eventuali discrepanze organizzative tende a migliorare il servizio, che alla fine deve essere ottimale per il paziente. La sequenza corretta e l’idonea tempistica dei processi organizzativi esaminati deve essere conosciuta da entrambi i settori.
Tipologia dei reparti
Tipologie di protocolli
Organizzazione interna di ogni reparto
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alla osservazione continua e scrupolosa del personale sanitario infermieristico, vero e reale farmaco in più per il paziente, allevia di molto il lavoro del clinico, sempre più gravato da incombenze legislative ed amministrative oltre alle sollecitazioni di nuove opzioni farmacologiche fornite dall’ambiente industriale e/o dagli stessi pazienti coinvolti. Pertanto il farmacista oncologo non ha solo il compito di gestire e organizzare l’UMaCA, ma, per essere un componente dell’UFA anzi dell’UTO, deve portare il suo contributo di responsabile di farmacovigilanza nel monitorare attentamente tutte le terapie sostenuta dal malato oncologico, suggerendo al clinico, in funzione delle proprie competenze farmaco-tossicologiche, tutti quegli ausili fondamentali per garantire un’appropriata terapia al paziente. Gestione economica intra e extraospedaliera Il peso economico di un reparto di oncologia e/o di ematologia è determinante nell’analisi della spesa farmaceutica ospedaliera intera. Oggi l’incidenza dei farmaci oncoematologici rappresenta in media il 40-45% dell’intera spesa farmaceutica in un struttura ospedaliera polispecialistica non orientata specificatamente alla cura del malato oncologico. Pertanto la collaborazione nella elaborazione dei budget di reparto onco-ematologici diventa un fattore determinante per avere un’appropriata gestione economica di reparto, tenendo conto anche di tutte le reazioni che si provocano a livello extra-ospedaliero. Di qui la necessità di avere la collaborazione di referenti extra-ospedalieri nell’ambito di Commissioni (Farmaco-Terapeutica, Dispositivi Medici, Comitati Etici, commissioni ad hoc) che possano far riflettere su scelte che potrebbero anche ricadere nella gestione di un paziente a domicilio. Le riunioni di budget non devono essere mai scollegate alle decisioni effettuate in seno alle commissioni scientifiche (Farmaco-Tossicologiche, Dispositivi Medici, Comitato Etico, etc.) in quanto qualunque orientamento terapeutico adottato può sensibilmente spostare l’andamento economico della spesa farmaceutica e sanitaria. Pertanto il coinvolgimento totale di figure anche non prettamente sanitarie, il Responsabile Controllo di Gestione o Responsabile Dipartimenti Amministrativi, possono in qualche modo aiutare nel contenimento o, meglio, nella razionalizzazione della spesa sanitaria oncologica. Partecipazioni a Commissioni Specifiche Fondamentale diventa il ruolo del farmacista ospedaliero nella Commissione Farmaco-Terapeutica e nel Comitato Etico. Nella stragrande maggioranza dei casi, parlando di Commissione Terapeutica, la farmacia ospedaliera recita un ruolo chiave, se non addirittura strategico, nella conduzione della commissione stessa, essendo il più delle volte responsabile della segreteria scientifica. Non di meno il suo è un ruolo chiave nel Comitato Etico, essendo il farmacista ospedaliero di dirit-
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to componente ex-officio. Si sottolinei il fatto che le sperimentazioni in oncologia oggi rappresentano oltre il 60% delle sperimentazioni valutate nei Comitati Etici italiani.
Il farmacista ospedaliero e lo stravaso in oncologia Lo stravaso è l’accidentale infiltrazione di un liquido o di un farmaco dal sito della venipuntura al tessuto sottocutaneo circostante. Lo stravaso dei farmaci antineoplastici è una complicanza rara ma rilevante, principalmente per la possibilità di causare necrosi dei tessuti, infezioni, danni ai tendini e nervi circostanti la zona di stravaso e a volte ritardi nella prosecuzione dell’iter terapeutico. L’incidenza di stravasi da vene periferiche è stimata fra lo 0,1% e il 6,5%. È essenziale che coloro i quali sono coinvolti nella somministrazione di farmaci antineoplastici abbiano adeguate conoscenze e un adeguato training. Ciò può garantire la riduzione al minimo del rischio di stravaso e un appropriato intervento nell’eventualità che quest’ultimo si verifichi. La gestione dello stravaso richiede: 1. il riconoscimento, 2. l’analisi, 3. l’intervento. Una volta evidenziato, bisogna: 1. sospendere l’infusione, 2. cercare di aspirare quanto più possibile di quanto iniettato, 3. evidenziare l’area interessata, 4. rimuovere la cannula, 5. sollevare l’arto interessato, 6. fotografare l’area. Successivamente, a seconda del farmaco coinvolto nell’incidente, sarà necessario applicare uno specifico protocollo. In caso di farmaco non vescicante, spesso l’utilizzo di un impacco freddo e il sollevamento dell’ arto interessato sono sufficienti a circoscrivere il danno. Mentre se lo stravaso riguarda un farmaco vescicante, il tipo di intervento risulta molto più complesso e dipende dal tipo di farmaco coinvolto. In un simile evento esistono due differenti approcci: 1. la localizzazione e la neutralizzazione, 2. la dispersione e la diluizione. Il primo viene messo in atto nel caso di stravaso da antracicline e consiste nell’applicazione di impacchi freddi per limitare la diffusione dello stravaso e l’utilizzo dell’antidoto Savene® (dexrazoxano) per neutralizzare il far-
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maco. La tecnica della dispersione e della diluizione viene utilizzata nello stravaso da alcaloidi della Vinca e prevede l’applicazione di compresse tiepide per indurre vasodilatazione e stimolare il circolo sanguigno nei tessuti al fine di disperdere lo stravaso e l’uso di jaluronidasi per diluire il farmaco. Nonostante lo stravaso da farmaco vescicante durante la somministrazione di una chemioterapia sia considerato un evento estremamente grave, ancora oggi si assiste a situazioni in cui non vengono messe in atto tutte
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le opzioni a disposizione per prevenire o ridurre un tale evento. In particolare, la somministrazione di chemioterapie in vasi di piccolo calibro piuttosto che l’utilizzo di antidoti la cui efficacia non risulta suffragata da evidenze scientifiche. Infatti ancor oggi sono molto frequenti situazioni in cui farmaci come le antracicline vengono somministrate per via periferica ed in caso di stravaso si utilizzano antidoti come il DMSO (dimetilsolfossido) su cui, in letteratura, non esistono evidenze di efficacia.
SAVENE® come antidoto nello stravaso da antracicline Savene, disponibile negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei dal 2001 e in Italia dal 2008, è un antidoto da utilizzarsi nello stravaso da antracicline entro le sei ore dall’evento ed è l’unico farmaco autorizzato a livello mondiale con questa indicazione. Savene ha ricevuto la designazione di farmaco orfano dall’EMEA in data 28/07/2006 e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 40 in data 16/02/2008. Savene ha ricevuto la designazione di Farmaco Orfano dalla FDA in data 6 settembre 2007. Le linee guida di riferimento, sia a livello nazionale sia internazionale, indicano l’impiego di Savene come corretto ed efficace: Linee Guida SIFO in oncologia, compendio farmacologico e tecnico, terza edizione, aprile 2010; The UKONS anthracycline extravasation management guidelines (UKONS, 2008); Extravasation guidelines 2009 (EONS); MASCC guidelines 2011. L’uso di farmaci ‘off label’ può avvenire solo in caso “non esista una valida alternativa terapeutica” già autorizzata ed essi siano stati preventivamente inseriti in un elenco specificatamente predisposto e periodicamente aggiornato dall’AIFA.
i supplementi di Tumori, vol. 13, No 2: S22-S26, 2012
Aspetti legali: le figure professionali coinvolte e la catena delle responsabilità Paolo Vinci Studio legale prof. avv. Paolo Vinci & Associati, Milano
Lo stravaso, come noto, è la fuoriuscita di un farmaco dal letto vascolare utilizzato per la somministrazione nei tessuti circostanti; le conseguenze di tale fenomeno possono essere di varia entità: dall’arrossamento locale alla necrosi tissutale, che può coinvolgere tendini e legamenti, causando gravi danni funzionali. Per quanto riguarda la prevalenza di questo fenomeno, le percentuali vanno dall’1% al 6,5%: questo dato suggerisce che lo stravaso sia un incidente spesso sottostimato, non trattato né segnalato. Un grosso problema è la mancanza di studi clinici controllati per poter stabilire quale sia, per ogni farmaco, l’approccio più efficace per un intervento immediato. Tutte le Aziende Ospedaliere si sono munite di vari protocolli, che prevedono tanto ‘manovre’ da operare sul paziente, quanto la somministrazione di farmaci specifici (i cosiddetti antidoti). L’elemento più importante, tuttavia, consiste nella necessità di affidare la cura del paziente neoplastico ad un infermiere professionista competente, che possieda le conoscenze teoriche e le abilità pratiche, che sappia creare i propri protocolli operativi, che li sappia applicare e che sia in grado di affrontare situazioni cliniche critiche. Il fenomeno dello stravaso, tuttavia, assume risvolti non solo clinici, ma anche legali, venendo a compenetrarsi con la responsabilità dell’infermiere e, indirettamente, del caposala, laddove non venga individuato per tempo o laddove l’ospedale non sia dotato di antidoto specifico (circostanza, questa, che, come si vedrà, è idonea a determinare la responsabilità a catena anche di una serie di altri operatori ospedalieri).
La regolamentazione della prescrizione off-label Particolare rilevanza a tal proposito riveste un tema che nel corso dell’ultimo decennio è stato oggetto di interesse sempre maggiore da parte della dottrina giuridica, cioè la prescrizione di farmaci per indicazioni, usi o dosaggi non autorizzati. La pratica è nota con il termine ‘off-label’ ed è ampiamente diffusa in aree terapeutiche critiche quali quella psichiatrica o oncologica. Prima del 1998 la materia era regolata dal principio generale della responsabilità professionale: il medico era libero di prescrivere ogni medicinale qualora lo ritenesse utile per la salute del paziente. Operava la regola generale valida per ogni atto medico, secondo la quale chiunque per imperizia, negligenza, ovvero per inosser-
vanza di norme nello svolgimento della professione medica, cagioni lesioni, danni fisici o la morte, soggiace in sede penale a sanzioni restrittive della libertà personale, in sede civile ad obblighi risarcitori, in sede deontologica a sanzioni disciplinari. Oggi, invece, l’attività curativa del medico è reputata pienamente legittima soltanto qualora il medicinale sia stato preventivamente autorizzato dall’Autorità per le modalità di somministrazione, dosaggi o indicazioni terapeutiche per le quali è prescritto al paziente. Tale principio generale è sancito dall’art. 3, comma 1, del D.L. 23/1998, convertito nella l. 94/1998 (c.d. Legge Di Bella). Qualora si prescriva al di fuori delle regole fissate nella scheda tecnica, in caso di contenzioso, è onere del prescrittore dimostrare terapeuticità e sicurezza d’impiego di un medicinale; in tali casi non si possono riversare sull’Autorità Regolatoria né sulla casa produttrice del medicinale eventuali responsabilità civili o penali. Il medesimo art. 3 della l. 94/1998, al comma 2, precisa che “il medico può, sotto la sua responsabilità e previo consenso informato del paziente, impiegare il medicinale per un’indicazione o modalità di somministrazione diversa da quella autorizzata, qualora lo stesso ritenga, in base a dati documentabili, i medicinali già muniti di approvazione all’indicazione terapeutica non sortiscano effetti utili nel caso specifico e purché tale impiego sia noto e conforme a pubblicazioni internazionali”. Il D.M. 8 maggio 2003 ha, poi, regolamentato il cosiddetto ‘uso compassionevole’ dei farmaci sottoposti a sperimentazione clinica, prevedendo che tale medicinale può essere richiesto all’impresa produttrice per uso al di fuori della sperimentazione clinica qualora non esista valida alternativa terapeutica al trattamento di patologie gravi o di malattie rare o di condizioni di malattia che pongono il paziente in pericolo di vita. La Legge Finanziaria del 2007 ha voluto prevenire l’abuso di farmaci fuori dalle indicazioni terapeutiche a rischio della salute del cittadino, evitando l’utilizzo indiscriminato di medicinali senza adeguata verifica.
La responsabilità degli infermieri Come si può evincere da questo breve excursus, l’uso dei farmaci off label, se praticato in seno ad una struttura ospedaliera, può determinare profili di responsabilità in capo a varie categorie di operatori. In primis, per
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quel che qui rileva, in capo all’infermiere e, indirettamente, al caposala. Naturalmente, la quota di responsabilità di ciascuno dovrebbe essere suddivisa con quella degli altri soggetti implicati nella vicenda. Si pensi, ad esempio, ad un infermiere che, di fronte ad un paziente ricoverato in un reparto di oncologia, dovesse trovarsi a fronteggiare un caso di stravaso e fosse sprovvisto dell’antidoto specifico perché i responsabili non abbiano curato l’approvvigionamento di scorte dello stesso. Quest’episodio è ascrivibile al novero della cosiddetta ‘nursing malpractice’, che comprende gli errori derivanti da inadeguatezza, incapacità, imperizia a fornire prestazioni professionali con la destrezza generalmente esigibile da un professionista e che si concretizza in un danno o lesione del paziente. Secondo le linee guida emanate dal Ministero della Salute in tema di “Sicurezza dei pazienti e gestione del rischio clinico”, assume molta importanza nella formazione di un infermiere la fase di educazione. In modo particolare, nel paziente oncologico essa deve essere focalizzata al riconoscimento precoce dello stravaso. Sono dettate particolari misure da seguire ogni volta che ci si trovi ad affrontare un caso di stravaso, che possono richiedere, in base al farmaco utilizzato, di applicare l’antidoto specifico. Laddove l’Azienda, per svariati motivi, abbia deciso di non munirsi di quel determinato farmaco, avendo ad esempio ritenuto di acquistare un farmaco off label per motivi di policy interna, si determinerebbe un generale concorso di colpe dal quale sarebbe quanto mai difficile uscire indenni. Ed invero, solo la prova di trovarsi nella situazione di cui all’art. 54 c.p. (che disciplina lo stato di necessità e costituisce un caso di non punibilità per l’agente) legittimerebbe a posteriori l’uso di un antidoto piuttosto che di un altro. In altre parole, solo laddove si riuscisse a provare che il paziente sarebbe morto senza l’intervento dell’operatore, pur con il farmaco alternativo, questi potrebbe andare esente da responsabilità. E ciò da un punto di vista penale; secondo il diritto civile, governato da standard probatori molto meno stringenti, la responsabilità sarebbe ben difficilmente evitabile. L’infermiere, dal canto suo, pur avendo un ruolo piuttosto esecutivo, è comunque soggetto (quanto alla natura della propria obbligazione), ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c., a una responsabilità aggravata e commisurata alla propria prestazione. Ciò determina, naturalmente, immediate conseguenze in ipotesi quali quella testé ventilata. In questo caso, inoltre, è evidente che, laddove venga a mancare l’antidoto suddetto, il Caposala, in virtù della propria funzione apicale, non potrebbe andare esente da responsabilità per culpa in vigilando, non avendo monitorato che il magazzino fosse dotato del farmaco resosi necessario.
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La responsabilità del farmacista ospedaliero La responsabilità, tuttavia, come già detto, coinvolgerebbe anche altre categorie di soggetti. Tra questi, il farmacista ospedaliero che non abbia curato l’approvvigionamento di un farmaco, laddove si riesca a provare che un intervento mirato e circostanziato con quello le cui scorte sono terminate avrebbe consentito di evitare il danno effettivamente verificatosi. In questo caso, il mancato approvvigionamento può determinare il configurarsi di una responsabilità del farmacista ospedaliero per condotta omissiva. Infatti, determinate tipologie di farmaci devono sempre essere presenti tra le scorte di cui dispone la farmacia ed incombe sul farmacista stesso lo specifico obbligo di ripristinare la dotazione minima per far fronte ad eventuali emergenze. In base a precise direttive contenute in Raccomandazioni Ministeriali, le Aziende Sanitarie sono chiamate a porre in atto misure di prevenzione che devono interessare tutte le fasi della gestione del farmaco in ospedale: approvvigionamento, immagazzinamento e gestione delle scorte, prescrizione, trascrizione e interpretazione della prescrizione, preparazione/allestimento, distribuzione, somministrazione. Laddove, arbitrariamente, egli non ricostituisca le scorte di un determinato farmaco perché munito di un’alternativa off label, non potrebbe andare esente da responsabilità nel momento in cui ci fosse bisogno proprio dello specifico medicinale mancante. Occorre, poi, precisare, che, lungi dal voler degradare il ruolo del farmacista a mero esecutore materiale di direttive impartite dal medico, egli non ha una autonomia decisionale che trascenda quella del curante. Anche il Consiglio di Stato, recentemente, ha avuto modo di esprimersi a tal riguardo statuendo che non può essere rimessa al farmacista la scelta concreta del farmaco da somministrare, non avendo quest’ultimo la conoscenza specifica del quadro clinico dell’assistito (Cons. Stato, Sent. 27.10.2011). Se ne deve ricavare necessariamente che il farmacista, pur non essendo un quisque de populo, non può arbitrariamente e per ragioni che magari trascendono la salute del paziente non ottemperare alle richieste avanzate dal medico, dal momento che gli manca (inevitabilmente) quella conoscenza e quella prossimità con il caso clinico specifico che conferirebbero alla sua decisione sicura autorevolezza.
La responsabilità del risk manager In caso di illecito utilizzo di farmaco off label in seno a un’Azienda Ospedaliera, nemmeno il risk manager sarebbe del tutto scevro di colpe. Figura ormai presente in quasi tutte le Strutture Ospedaliere italiane, questi assolve il ruolo di individuare le strategie aziendali di gestione del rischio e le modalità
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da applicarsi per l’individuazione dei rischi aziendali e la loro prevenzione, nonché coordinare, sorvegliarne l’applicazione e verificarne i risultati. L’introduzione di tale ruolo in sanità ha creato la consapevolezza che la gestione del rischio rappresenti un processo sistematico di identificazione, valutazione e trattamento dei rischi, per aumentare la sicurezza dei pazienti e ridurre gli eventi avversi prevedibili. La parte caratterizzante del profilo di rischio, in sanità, è costituita dal rischio clinico, definito come la probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso imputabile alle cure mediche, prestategli durante il periodo di degenza e in grado di causare un prolungamento dello stesso, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. Nel disegno legislativo, l’Unità di Gestione del Rischio non deve avere un ruolo strettamente operativo, ma deve coordinarsi con esse per la migliore realizzazione degli obiettivi individuali. Tutti gli operatori di una struttura sanitaria, dunque, sono portatori ex lege di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà imposto dagli artt. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro ogni pericolo che ne minacci l’integrità. È evidente, poi, stante il profilo altamente qualificato che caratterizza tale figura, che la sua responsabilità sarà aggravata e dovrà valutarsi ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c. Da ciò scaturisce, di conseguenza, che laddove in una Azienda Ospedaliera si verifichi un episodio collegato a quanto esposto finora, il Risk Manager potrà andare esente da responsabilità qualora abbia correttamente previsto quale evenienza possibile l’evento avverso effettivamente verificatosi.
La responsabilità del primario Qualora la prescrizione off label sia attuata all’interno di una struttura ospedaliera, inoltre, la responsabilità civile potrebbe essere estesa in capo al primario, posto che “la responsabilità del malato” attribuitagli dall’art. 7 del D.P.R. n. 128/1969 implica che questi mantenga un’appropriata conoscenza dello stato clinico dei pazienti e la vigilanza sull’attività del personale sanitario, comprensiva anche dell’informazione e della verifica in merito alle cure intraprese dai medici: in questo contesto, si potrebbe ravvisare una responsabilità solidale del primario quando il protocollo clinico rivelatosi inidoneo sia stato elaborato congiuntamente dai soggetti operanti all’interno del reparto ed anche quando il primario abbia omesso di esercitare la doverosa attività di verifica sulle cure effettivamente operate dal personale sanitario, a meno che l’iniziativa dell’operatore medico non si configuri come un evento imprevedibile, deviante dalla prassi clinica approvata ed estraneo a qualsiasi logica di programmazione terapeutica.
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Sul primario, ai sensi dell’art. 20 d.p.r. 761/1979, incombe altresì l’obbligo di definizione dei criteri diagnostici e terapeutici; dovrà, poi, vigilare sulla loro esatta esecuzione da parte degli assistenti.
La responsabilità del direttore sanitario La posizione apicale del direttore sanitario determina in capo a quest’ultimo, l’insorgere di una responsabilità rafforzata poiché questi è titolare di una “posizione di garanzia” in ambito amministrativo che lo obbliga a rispondere personalmente dell’organizzazione tecnica e funzionale dei servizi, atteso che grava sul medesimo un onere di sorveglianza e governo della Struttura. Il Direttore Sanitario, proprio in forza di quest’onere, può essere chiamato a rispondere sul piano civile, penale e disciplinare dell’attività svolta dai medici operanti all’interno dell’Azienda Ospedaliera (cfr., ex multis, Cass., Sez. IV Penale, Sent. n. 47145 del 23.12.2005; Cass., Sez. III Civile, Sent. n. 13427 del 20.7.2004). Restando sul tema della prescrizione off label in generale e sulle possibili responsabilità degli operatori, va ribadito che quanto fin qui stigmatizzato, naturalmente, deve essere esteso anche alla figura del medico.
Le ipotesi di responsabilità Alla luce di quanto rappresentato, è evidente come le ipotesi di responsabilità che possono involgere tutti questi soggetti, in sintesi, sono le medesime. La prima costituita dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente. Un sanitario, infatti, sulla base di documentazione scientifica e sotto la propria responsabilità, solo dopo aver informato il paziente e ottenutone il consenso, può decidere di trattarlo con un medicinale prodotto per una indicazione terapeutica o modalità di somministrazione diverse da quelle registrate. In questo caso deve essere accertato che il paziente non poteva essere trattato con medicinali per i quali quella indicazione terapeutica o modalità di somministrazione fossero state già approvate. In sintesi, l’uso di un farmaco off label non è vietato né dalla legge né dal Codice deontologico, purché vengano rispettati alcuni criteri fondamentali: l’efficacia documentata del farmaco e la sua tollerabilità; l’informativa dettagliata al paziente di costi e benefici della terapia scelta; il consenso scritto del paziente al trattamento; l’assenza, sul mercato, di altri farmaci con efficacia documentata in relazione alla patologia oggetto di cura. Ogni sanitario che somministri il farmaco ha, poi, il dovere di monitorarne gli effetti. Tra tutti i requisiti, sicuramente quello che riveste maggiore importanza è il consenso, che rappresenta l’espressione del principio di autonomia nella tutela
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della salute, che il paziente deve avere nelle decisioni mediche che riguardano la sua persona. Il consenso informato Detto obbligo trova riscontro nell’art. 32 Cost., nell’art. 50 c.p., nel Codice di Deontologia Medica, il cui Capo IV è interamente dedicato ad “Informazione e consenso”. Laddove la somministrazione del farmaco prescinda da questo dato, e salva l’ipotesi della necessità improcrastinabile di un intervento (fattispecie che determina, come supra evidenziato, ai sensi dell’art. 54 c.p., la non punibilità di chi ha commesso il fatto), la condotta del sanitario sarebbe sicuramente colpevole. A tal riguardo, tuttavia, è importante evidenziare come l’orientamento giurisprudenziale in relazione alle responsabilità è a tutt’oggi farraginoso ed in evoluzione. In questo panorama, però, c’è una certezza, rappresentata dall’unica ipotesi di violazione che dà luogo a colpa ed a responsabilità contrattuale del sanitario indipendentemente da una deficienza di ordine clinico; essa riguarda proprio il consenso informato, la cui assenza “costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, o addirittura mortali per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’intervento sia stato eseguito in modo corretto” (cfr. Cass., Sent. n. 9374/97). La gradazione della colpa Relativamente agli altri requisiti indicati dall’art. 3, comma 4 della l. 94/1998, l’inosservanza di ciascuno di essi riveste un potenziale profilo di colpa professionale, che si potrebbe ravvisare ove il paziente danneggiato dalla cura off label potesse essere altrimenti trattato con farmaci ed indicazioni già autorizzate dal Ministero della Salute, ovvero non siano reperibili dati scientifici che consentano di privilegiare un trattamento sperimentale rispetto ad uno già riconosciuto o, ancora, qualora l’impiego innovativo del medicinale non trovi avallo nella letteratura scientifica internazionale. La gradazione della colpa assume rilevanza nella prescrizione off label; occorre considerare, a tal proposito, il combinato disposto dell’art. 1176, comma 2, c.c. (che esige un’idonea preparazione ed una attenzione scrupolosa nell’esecuzione della prestazione da parte dell’obbligato) e dell’art. 2236 c.c. (il quale in caso di problemi tecnici di particolare difficoltà limita la responsabilità al dolo e alla colpa grave). Esso deve essere collocato in un contesto normativo più ampio, che consenta di definire i profili di responsabilità inerenti alla fattispecie della prescrizione dei farmaci al di fuori delle indicazioni autorizzate. Per questo motivo, il diritto del paziente alla tutela della integrità fisica suggerisce di estendere alla terapia farmacologica non autorizzata il carattere di attività pericolosa ex art.
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2050 c.c. che la dottrina ha riconosciuto alla sperimentazione clinica, dal quale deriva su tutti gli attori coinvolti l’onere di provare, per non incorrere in censure, di “avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. La scelta del sanitario (medico, infermiere, Caposala, farmacista) di attuare un trattamento non ancora approvato dal Ministero della Salute, infatti, colloca la cura in un’area contigua a quella degli studi clinici, imponendo al professionista una valutazione preventiva in merito alla reale necessità dell’opzione curativa in via di adozione e, successivamente, un’accurata sorveglianza in ordine al suo svolgimento. Ne discende che, ove per il mancato compimento di tale attività, il paziente subisca un evento lesivo, non può negarsi la responsabilità dell’operatore, qualunque sia la natura della prestazione da lui resa, atteso che si tratta di compiti inerenti la sua attività. La genericità della disposizione normativa obbliga, in caso di evento lesivo, ad un’attività di interpretazione che non può prescindere da una preliminare analisi medico-scientifica, volta a valutare le concrete condizioni cliniche del paziente prima e dopo la terapia e lo stato dell’arte in relazione alla patologia, l’idoneità e l’efficacia dei trattamenti adottati convenzionalmente, la credibilità delle cure alternative somministrate, da verificare secondo accurata indagine che esamini i protocolli clinici adottati a livello internazionale per casi analoghi a quello in discussione. Quanto maggiore dovesse rivelarsi la distanza tra la migliore pratica clinica e la terapia concretamente adottata, tanto più grave sarebbe la colpa in presenza di evento lesivo. Occorre tenere conto, inoltre, che non vi può essere un farmaco sempre dotato di efficacia, giacché l’assunzione del medicinale dipende da un giudizio sul rapporto rischio-beneficio del trattamento influenzato dalle condizioni soggettive del paziente. La situazione è differente qualora oggetto della prescrizione sia un medicinale off label, e proprio al fine di comprendere come si configuri una simile distinzione, occorre richiamare la natura contrattuale della responsabilità del sanitario, rafforzata in una fattispecie che assegna al professionista un dovere di informazione cui è condizionata la legittimità della terapia intrapresa. In questo contesto, allora, è ipotizzabile che possa costituire evento lesivo rilevante non solo una cura che abbia arrecato un danno addizionale al paziente, ma anche una terapia farmacologica che non abbia determinato vantaggi realmente dimostrabili. D’altra parte, la connotazione contrattuale della responsabilità pone in capo all’operatore l’onere di provare sia che la prestazione implicava la soluzione di problematiche di particolare complessità, sia che non sussiste un difetto di diligenza propria, mentre il paziente dovrà provare le modalità di esecuzione ritenute inidonee. In altri termini, il regime probatorio delineato dagli artt. 2050, 2236 e 2697 c.c., contestualizzato all’interno
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del quadro normativo previsto per la prescrizione dei medicinali fuori indicazione, impone al sanitario di dimostrare che il mancato conseguimento di un risultato curativo positivo non costituisce, di per sé, un evento lesivo della salute del paziente, essendo a suo carico l’obbligo di dimostrare la correttezza della scelta farmacologica adottata e la presumibile inefficacia di una terapia tradizionale circa il caso concreto. Più recentemente, la Sentenza n. 37077/2008 della IV Sezione della Corte di Cassazione, dopo aver chiarito che la violazione della regola del consenso quale requisito per l’attuazione del trattamento medico non determina di per sé la responsabilità del professionista per lesioni volontarie, atteso che il sanitario agisce “magari erroneamente, con una finalità curativa che è concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni”, ha precisato che l’obbligo di ottenimento del consenso informato non costituisce una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, in quanto esso è preordinato a tutelare il diritto alla libera predeterminazione del paziente. L’asimmetria informativa tra operatore sanitario e paziente In sintesi, esiste certamente un’asimmetria informativa tra operatore sanitario e paziente, asimmetria
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che il consenso informato ha la finalità prioritaria di mitigare, consentendo al primo di ottenere i dati utili alla più corretta elaborazione dell’anamnesi e della cura conseguente, ed al secondo di acquisire le informazioni necessarie a circostanziare il trattamento ipotizzatogli e le sue prospettive, potendo aderire ad esso in modo libero ed autonomo, ovvero rifiutarlo consapevolmente. L’assenza di tale processo, dunque, impedisce che il rischio connesso agli elementi avversi si possa trasferire in capo al paziente, esponendo il professionista alla responsabilità ed ai conseguenti obblighi risarcitori. Come si può evincere dalle riflessioni declinate, il tema dell’uso di farmaci off label è quantomai attuale e, soprattutto, idoneo a coinvolgere un largo numero di operatori sanitari. Il mondo della sanità, al giorno d’oggi, fa i conti con una sorta di caccia alle streghe e lo spauracchio della denuncia per malpractice è sempre dietro la porta, pertanto diventa fondamentale che gli operatori, specialmente quelli a contatto con categorie di utenti particolarmente sensibili (ed i ricoverati oncologici ne rappresentano senza dubbio un esempio), scelgano di seguire, per quanto possibile, strade già battute.
Depositato presso AIFA in data ………………………………