PeriodicoMARCO anno 4 N°2 - Biotecnologie e Mutazioni

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PeriodicoMARCO 2012 Distribuzione Gratuita

Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo

Biosfera Nanotecnologie Biotecnologie Mutazioni Alterazioni Habitat Estinzione

Anno 4/ N째2


R E D A Z I O N A L E Sapete che quasi l’80% del cotone adoperato per disinfettarvi una ferita, o che usate quando indossate una maglietta è geneticamente modificato? E lo sapete che specie alimentari che troviamo sullo scaffale dei supermercati sono sempre meno varie e ci stiamo riducendo a nutrirci con poche decine di prodotti coltivati dalle multinazionali a fronte dalle migliaia che ci offrirebbe la natura? E poi ancora, che il cagnolino della vostra vicina è un fragile mutante? E che la pianta che il vostro condominio tiene nell’ingresso avrebbe diritto a svilupparsi per almeno quindici metri, sfondando ben bene il terzo o il quarto piano della vostra casa? Da tempo, inoltre, alcune tecnologie relegate al fantascientifico quali: polveri intelligenti, inserti metallici sottocutanei comandati a distanza, creatu-

re metà organiche e metà inorganiche sembrerebbero farsi sempre più realizzabili anche nel mondo reale per scopi che come il solito saranno decisi dalla ristretta elite economica che ci governa, e quindi anche in questo abbiamo voluto vedere quanto c’è di vero. Spaventati ma coraggiosamente incuriositi da questa invasione aliena la redazione ha deciso di documentarsi, cercando fonti e testimonianze il più originali e in controtendenza possibili per dare a voi lettori la possibilità di farvi un’opinione aggiornata sull’attuale stato del nostro habitat. Non che l’argomento nel suo insieme sia poco trattato dal media, anzi… ma quella che più ci preme è stato andare a scavare in certe pieghe un po’ meno ovvie e per tanto più trascurate, cosa che non ci sembra giusta e a cui tentiamo di rimediare con questo numero. Ricordiamo ai nostri letto-

ri che il periodico è aperto a ricevere qualsiasi commento e parere su questo tema attraverso il nostro blog di discussione http://www.periodicomarco.it/blog/index.php. Sul nostro sito internet w w w. p e r i o d i c o m a r c o . i t si possono leggere e scaricare gratuitamente i numeri arretrati. Buona lettura.


La fabbrica dei Mostri Biotecnologia e Nanotecnologia

La biotecnologia, può essere definita come quel ramo della biologia riguardante l’utilizzo di esseri viventi al fine di ottenere beni o servizi. Applicazioni al centro di ampio dibattito sono quelle atte alla produzione di animali e piante transgeniche (come il mais BT) noti a tutti come OGM. Lo strumento principale di cui si avvalgono le biotecnologie è l’ingegneria genetica. Questa disciplina si impegna per quello che riguarda il clonaggio genico (clonaggio dei geni di un organismo) e le relative analisi che permettono di costruire genoteche e di utilizzarle per fini di ricerca o produttivi. La clonazione genica si occupa di copiare specifiche sequenze di DNA, a differenza della clonazione somatica (copiare un organismo a partire da cellule somatiche) che è una manipolazione del sistema riproduttivo. Nel 2010 l’americano John Craig Venter e altri ricercatori del Craig Venter Institute hanno pubblicato un articolo su Science in cui annunciavano di avere costruito in laboratorio la prima cellula artificiale, controllata da un DNA sintetico e in grado di dividersi e moltiplicarsi proprio come qualsiasi altra cellula vivente, dimostrando così che un organismo può vivere anche se al suo genoma naturale ne viene sostituito uno artificiale quasi, ma non del tutto, identico. La nanotecnologia è un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa del controllo della materia su scala dimensionale inferiore al micrometro (in genere tra 1 e 100 nanometri) e della progettazione e realizzazione di dispositivi in tale scala. La nanotecnologia opera in un ambito di ricerca multidisciplinare, coinvolgendo molteplici indirizzi, tra cui: biologia molecolare, chimica, scienza dei materiali, fisica (sia applicata che di base), ingegneria meccanica, ingegneria chimica e elettronica. Due sono gli approcci principalmente perseguiti in questo ambito: dal basso verso l’alto, dove i materiali e i dispositivi sono realizzati partendo da componenti molecolari che si auto-assemblano tramite legami chimici, sfruttando principi di riconoscimento molecolare (chimica supramolecolare); e dall’alto verso il basso: i dispositivi sono fabbricati da materiali macroscopici attraverso un attento controllo dei processi di miniaturizzazione a livello atomico. Fra i maggiori teorici delle nanotecnologie abbiamo gli studiosi Richard Feynman (noto per il riferimento al “piccolo computer dentro la mia testa”) e Kim Eric Drexler ispiratore dei transumanisti. Il termine biopolitica (composto da bìos “βίος”, vita e da polis “πολις”, città) indica un concetto usato per la prima volta da Georges Bataille all’inizio del Novecento, ma che è divenuto centrale nel dibattito filosofico in seguito all’uso che ne ha fatto Michel Foucault a partire da metà anni settanta. Per Foucault la biopolitica è il terreno in cui agiscono le pratiche con le quali la rete di poteri gestisce le discipline del corpo e le regolazioni delle popolazioni. È un’area d’incontro tra potere e sfera della vita. Oggi alla luce delle nuove tecniche scientifiche il potere è giunto ancora più in profondità dentro tale sfera, tema trattato nel libro “Nanotecnologie. La pietra filosofale del dominio” uscito nel 2011 e in distribuzione nei centri sociali, spediamo delle domande alla mail di riferimento in copertina: Che cosa sono le NBIC di cui parla il vostro libro? - Con questa formula viene sostanzialmente ufficializzata ed ottimizzata la sinergia di intenti tra ricerca scientifica civile e militare, industria e mondo accademico per velocizzare il processo in atto di reificazione e meccanizzazione del pianeta e di chi lo abita. Tecnicamente indica la convergenza della ricerca scientifica nei settori più avanzati, NBIC appunto; nanotecnologie, biotecnologie, neuroscienze, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e viene definita come “il prodotto di tecnologie e sistemi di conoscenze che si abilitano reciprocamente verso il raggiungimento di un comune obiettivo”, dove per abilitante si intende “non dedicato a specifici obiettivi o limitato a particolari ambiti di applicazione”. La diffusione di questo paradigma, trasversalmente in ogni ambito della società, rappresenta in realtà una convergenza di dominio e, di conseguenza, una ulteriore deriva totalitaria a discapito delle residue libertà e possibilità di autodeterminazione ed autonomia dell’individuo. Somministrato in sordina o camuffato nelle sue applicazioni più soft apparentemente neutrali, dall’utile al dilettevole, cela la reale portata della posta in gioco, ovvero fare del mondo un luogo sempre più controllabile


attraverso una gestione pressoché totale di ogni aspetto dell’esistente. Come se ne serve il potere? - Il potere se ne serve, e soprattutto se ne servirà in un prossimo futuro, per rinnovare a 360° le sue capacità invasive e pervasive. Le userà per sopravvivere alle crisi tremende che esso stesso ha generato, e questo con tutte le implicazioni del caso. Per esempio, attraverso la produzione e diffusione-implementazione di hardware (chip, RFID, batterie, sensori, etc) su scala nanometrica si potranno avere enormi capacità di schedatura, stoccaggio ed elaborazione di informazioni ed un potenziamento delle funzionalità proprie dei computer, come mappare il DNA, creare macchine con maggiore autonomia...Come sempre i salti in avanti tecnologici, propagandati come necessari e indiscutibili tasselli dell’epopea del progresso a senso unico, comportano più danni che benefici. Nella maniera più democratica possibile, ancora una volta, saremo persuasi a costruirci addosso le nostre stesse catene. Altro aspetto è quello delle capacità di controllo del sistema attraverso nano-polveri, smartdust, droni e chissà che altro, applicazioni già sperimentate nelle guerre di colonizzazione (Iraq, Afghanistan, Palestina), pronte ad essere trasferite in ambito “civile”, soprattutto in vista di tensioni sociali insanabili. Una sorveglianza invisibile e potenzialmente estendibile ad ogni metro quadrato del pianeta… un vero e proprio elisir di lunga vita per i potenti di sempre. Chi sono e cosa vogliono i transumanisti? - Sono un movimento di scienziati, filosofi, artisti e intelletuali, che predica il superamento dell’umanità attraverso la cyber-umanità, finanziato e sostenuto dal governo americano. Ray Kurtzweil, il loro più illustre rappresentante, nel suo libro “The Age of Spiritual Machines” si esprime così: “una era in cui gli umani, diventando un tutt’uno con la tecnologia robotica, si avvicinano all’immortalità”. Una nuova religione che minaccia le sette ufficiali (islam, buddismo, ebraismo, cattolicesimo), una promessa concreta di immortalità, una tecno-profezia più credibile delle, ormai fuorimoda, reincarnazioni, anime svolazzanti e paradisi vari. “Si potrà raggiungere l’immortalità quando avremo trasferito tutto il contenuto di informazioni del cervello, lo spirito e la personalità di ognuno, dentro la memoria di un computer”. A volte i risultati “strabilianti” annunciati sembrano volutamente pompati dai centri di ricerca a fini economici, la beffa oltre al danno? - E’ difficile capire nella propaganda dei ricercatori e delle aziende coinvolte dove finisca il delirio di onnipotenza e inizi la realtà. L’esasperata specializzazione dei saperi ha prodotto questa scissione tra ciò che si utilizza e ciò che si comprende. Probabilmente alcune o molte delle innovazioni promosse resteranno sulla carta ma i toni esasperatamente trionfalistici e quello che già sta passando servono per forgiare il terreno culturale e sociale bendisposto all’idea di mondo che portano con sé. E comunque, non c’è bisogno di arrivare a scenari alla Matrix, sono sufficienti le intenzioni per inquietare e spronare alla lotta e resistenza chi si pone in modo critico verso questa realtà. Ricordiamoci poi che la storia è satura di esempi di apprendisti stregoni che lodavano le virtù delle loro “scoperte”, anche di fronte all’evidenza dei disastri e delle morti che esse avevavo provocato. Nucleare, DDT, concimi chimici, xenotrapianti e la lista è lunghissima... Gli OGM, una volta immessi nel pianeta, possono diffondersi anche dove non se ne vorrebbe la presenza, sono altrettanto incontrastabili le nanotecnologie? - Forse le nanotencologie rappresentano una minaccia ancora più subdola e pericolosa degli OGM, sicuramente come questi ultimi rappresentano il tentativo degli scienziati e del potere di intervenire nei meccanismi più intimi e misteriosi della vita e della materia. Una “dispersione” di nanoparticelle è da ritenersi connaturata per forza di cose ad un loro semplice uso.. .tra l’altro qualcuno sostiene che queste particelle, proprio per le loro nanoscopiche dimensioni, siano in grado di oltrepassare le barriere cellulari degli organismi viventi senza che le difese immunitarie se ne “accorgano”. In ogni caso una controversia sul piano tecnico-scientifico, come è accaduto per gli OGM, non può fornire le armi per la nostra opposizione. Mentre questa si svolge, nel carosello mediatico democratico, a colpi di nuovi allarmismi, nuove smentite e rassicurazioni, le nocività vengono introdotte e i loro effetti dannosi (vedi amianto, DDT, etc) li sperimentiamo direttamente “in tempo reale”, e verranno effettivamente “elaborati” dalle future generazioni. L’invasione del nanomondo va fermata perché delinea un eterno presente che non vogliamo. Dove si può trovare il vostro libro? - Il nostro libretto è richiedibile all’indirizzo di posta elettronica: ilsilvestre@riseup.net. Si trova inoltre in vari spazi di distribuzione di materiale underground come circoli, centri sociali, sedi anarchiche. Esistono anche altre pubblicazioni sull’argomento come “Nanotecnologie e Megadominio” edito da Nautilus. Grazie

Calliope


La mamma 1989 China su carta e fondo grigio. Disegno a cura dell’artista Mario Agostini (www.marioagostini.com) Omaggio alla redazione del PeriodicoMARCO che con entusiasmo pubblica

Il Tronchetto della Felicità...? riflessioni sulle piante da appartamento Si danno per scontate, si guardano ma non si vedono spesso ne ignoriamo il nome, quasi sempre la provenienza: sono le piante in vaso da appartamento. Situate negli angoli strategici delle case, degli uffici non sempre in quelli più esposti alla luce. Così come in passato piacciono di più quelle esotiche forse perché oggi come ieri ci danno l’illusione di essere in mondi lontani selvaggi e incontaminati… La Yucca a cui appartiene il ben noto Tronchetto della Felicità appartiene alla famiglia delle Liliacee ed è una delle piante d’appartamento più diffusa. Il genere Yucca comprende una quarantina di specie originarie delle Indie Occidentali e dell’America e in natura possono raggiungere dimensioni ragguardevoli, anche di quindici metri, mentre nelle nostre case di solito non superano i due metri, è molto raro che fioriscano in appartamento o nei nostri climi. La Kentia è originaria delle isole di Lord Howe nell’oceano Pacifico. La specie più diffusa in Italia è la H. Fosteriana. E’ una pianta a crescita molto lenta, ma in natura può raggiungere i 18 metri di altezza, creando i classici scenari di

palme tropicali. Anche se ciò può apparire strano osservandola nel vaso del nostro salotto la Kentia è una palma di quelle che possiamo immaginare sui piccoli atolli dispersi negli oceani. Il Ficus Benjamina è una pianta diffusa nelle nostre case ma non sempre con buoni risultati. Proviene dall’India e come tutte le piante di origine tropicale è molto esigente in termini di umidità e temperatura. E’ molto sensibile agli spostamenti e spesso perde molte foglie quando si riporta in casa o dopo l’acquisto. Yucca, Kentia, Ficus tra le più diffuse piante d’appartamento si danno per scontate e sembra che ci siano state sempre e nelle forme che conosciamo, ma non è così. Si adattano bene (o almeno così crediamo ma bisogna chiederlo a loro!) in virtù degli impianti di riscaldamento, delle tecniche di giardinaggio sempre più sofisticate. Con appositi spray diventano verdissime e lucidissime, sembrano quasi finte. Molti le amano, le curano e ci comunicano ma i più le ignorano, e le percepiscono come sterili oggetti di arredamento, come appendici architettoniche acquistate per motivi decorativi e perché indubbiamente rendono elegante e distinto l’ambiente. Sì, fanno parte


dell’ambiente… quello del loro proprietario, naturalmente! Eppure sono esseri viventi. La sofferenza animale ci coinvolge emotivamente perché in essa proiettiamo la nostra medesima sofferenza: gli animali urlano, piangono, muoiono di dolore, li comprendiamo. Ma le piante? Non esiste il corrispettivo vegetale della parola animalismo. Abbiamo studiato fin dalle elementari che il mondo vegetale vive, ma solo un bosco, un prato, un campo di girasoli ci possono emozionare, le piante di appartamento vengono comprate e quindi oggettivate. Rimuoviamo il fatto che esse facevano parte di boschi, foreste, ambienti selvaggi, forse rimuoviamo anche la tristezza implicita nel loro status di prigioniere, vegetali odalische, acquistate per la nostra vanità. C’è da chiedersi cosa una Kentia domestica abbia in comune con una sua simile che viva nell’habitat originale, forse è diventata altro da sé. L’esportazione di piante esotiche a fini puramente decorativi è cominciata tra il XVI e XVII secolo in concomitanza e per conseguenza del massimo espansionismo coloniale europeo a danno di Africa, Asia, America e Oceania. Esportazione che ben riflette l’idea portante su cui si basava l’equilibrio socio economico europeo. L’uomo occidentale è al centro del mondo rappresenta il progresso, la bontà, la giustizia può e quindi deve “civilizzare” le terre altre; può schiavizzare gli esseri umani che hanno avuto il cattivo gusto di nascere altrove, espropriando e depredando territori. L’importazione delle piante scoperte nelle colonie si è principalmente sviluppata nel XIX secolo, grazie alle invenzioni degli impianti di riscaldamento e delle serre. Esse costituivano un oggetto crescente di curiosità ed erano considerate delle preziose rarità. Insomma uno status simbol. Per questi motivi venivano pagate bene così come altrettanto bene coloro che le esportavano. Tutto ciò provocò una lotta spietata che non escludeva l’omicidio tra avventurieri, scienziati e commercianti. Era nato un nuovo mercato! Un problema da superare era il trasporto delle piante che avveniva attraverso viaggi lunghi e disagiati sulle navi. Esse erano ridotte a viaggiare per mesi in casse chiuse nelle stive. Nathaniel Ward un naturalista inglese il cui amore per la natura appare per lo meno sospetto, fabbricò un contenitore di vetro sigillato nel quale la terra manteneva lo stesso grado di umidità per via del continuo ciclo d’evaporazione dell’acqua dolce della pianta, che divenne da allora l’usuale mezzo di trasporto dei vegetali. Se la sofferenza delle piante in vaso non è evidente né facilmente dimostrabile è invece indiscutibile la manipolazione che l’uomo ha esercitato su di esse non certo per scopi scientifici né per motivi legati alla sopravvivenza umana ma a scopo di lucro e di mercato. Alla fine del settecento abbiamo il famoso epi-

sodio dell’ammutinamento del Bounty. Caricata la nave fino all’inverosimile di piante del “Pane”, destinate a viaggiare da Thaiti alle Indie Occidentali, allo scopo di sperimentare un nuovo metodo di alimentazione per gli schiavi di colore, l’acqua dolce delle botti destinate all’equipaggio cominciò a essere razionata per annaffiare le piante. Dopo giorni e giorni di malcontento dovuto alla sete i marinai si ammutinarono dando vita al famoso episodio che ha ispirato anche Hollywood. Non c’era ancora l’invenzione di Ward. In Italia invece è in funzione il primo LINV (Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale) situato presso il Polo Scientifico dell’Università di Firenze, unico laboratorio al mondo che studia le piante come esseri dotati di capacità cognitive. L’approccio utilizzato dai ricercatori del LINV, dalla sua creazione nel 2005, prevede l’applicazione di numerose tecniche tipiche delle neuroscienze per studiare sensi, segnali e comportamenti delle piante. Già nel 1880, Charles Darwin, nel suo libro “The power of movement in plants” scriveva degli apici radicali: «Non è una esagerazione dire che la punta delle radici, avendo il potere di dirigere i movimenti delle parti adiacenti, agisce come il cervello di un animale inferiore; il cervello essendo situato nella parte anteriore del corpo riceve impressioni dagli organi di senso e dirige i diversi movimenti della radice»... Che le piante non possano pensare e che non abbiano neuroni, sinapsi o un cervello, è affermato dalla maggioranza degli scienziati sui dati sperimentali che per ora sono stati prodotti a meno di un rivoluzionario annuncio che potrebbe arrivare dai risultati delle ricerche del LINV e che aprirebbero scenari nuovi e inquietanti. Laura Turchi


Plastic beef È certo che la modificazione del corpo per motivi sociali e religiosi con ferite, mutilazioni e pigmentazioni sia una pratica antica quanto l’essere umano; tatuaggi, piattelli intra labiali, scarificazioni, cicatrici rituali, deformazioni ossee, non c’è angolo del pianeta dove questa usanza non sia stata esercitata e ancora, in alcuni luoghi non lo sia, basta pensare alle mutilazioni genitali femminili tanto difficili da sradicare nelle abitudini di certe società. Facile oggi vedere nelle mode del piercing, tattoo, ma anche nelle più semplice smaltatura delle unghie, depilazione, colorazione dei capelli il moderno proseguimento di queste forme di espressione corporea per motivi di accettazione o distinzione sociale, attrazione sessuale, appartenenza a moderne tribù metropolitane o semplicemente banale dipendenza dalla moda. Nulla di nuovo sotto il sole, se non fosse che grazie alle moderne tecniche chirurgiche, agli anabolizzanti e ormoni, nuove tecniche e macchinari da palestra la modifica dell’aspetto raggiunge, presso il cosiddetto mondo moderno, aspetti aberranti non dissimili dalle più raccapriccianti mutilazioni di cui sopra. Tutti abbiamo sotto gli occhi il progressivo deformarsi dei volti di certi personaggi pubblici, le strambe semi-mutazioni etniche volte ad acquisire in genere caratteri caucasoidi da parte di neri e orientali (mai l’inverso), o le crisi isteriche di ragazzine naturali e fresche che vorrebbero modificare un corpo sano e integro che però non corrisponde agli standard di Barbie o di chi altro secondo il parametro culturale del momento. Non è più un richiamo a “indossare” un abito tribale, fatto che potrebbe rientrare ancora nella libertà di scelta di tutti noi, è un gioco al massacro che immola ogni anno sempre più vittime all’industria della “bellezza” da fashion magazine, quanto di più fatuo esista, e ogni anno destinata a cambiare i gusti dell’immaginario coatto collettivo alla ricerca di sempre nuovi profitti alla faccia del rispetto per l’identità personale a cui ognuno di noi ha diritto moralmente ma anche fisicamente. La sensazione è che molte persone che chiedono una modifica al proprio aspetto e dicono di farlo per sentirsi meglio con se stessi, non si accorgano che quel non piacersi in realtà non è partito da loro ma è stato instillato a goccia a goccia da una ben strumentata campagna di conformismo estetico, diciamocelo pure, di vago sapore nazistoide: conformità al canone prevalente, che porta lauti guadagni agli specialisti del settore. Il fatto non è circoscritto a stilisti, hair styling, nayl styling… styl styling, come si è detto le mode attuali fanno agire ben oltre la cute e il pelo. Parliamone con un chirurgo estetico e vediamo di capirne di più, ci risponde la dottoressa Raffaella Perello specializzanda in Chirurgia Plastica presso l’Università di Siena: Il giuramento di Ippocrate a un certo punto recita: “Mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini”. Non sempre vedendo in giro qua e la il lavoro di certi suoi colleghi questa formula sembra rispettata. Quando è che al ricostruire volti e corpi devastati da guerre e incidenti, si è pensato di occuparsi anche dell’aggiustamento di semplici canoni estetici non indispensabili alla salute di un corpo? L’OMS dà come significato della parola “Salute” il benessere psico-fisico della persona, mentre fino a pochi anni fa per salute si intendeva l’assenza di malattia. Quindi il raggiungimento di un benessere psico-fisico può comportare il ricorso a interventi di chirurgia estetica per il conseguimento dello stato di salute. Può darsi che l’OMS abbia modificato tale definizione per effetto delle influenze esterne, del mercato, del business della medicina, ecc...? No, secondo me no. Di quanto è aumentata la richiesta di questi interventi? Tantissimo, esponenzialmente. E’ raddoppiata la richiesta, triplicata l’offerta. C’è maggior concorrenza sul mercato e vi sono anche operatori non qualificati. Questo crea talvolta il verificarsi di interventi citati nella premessa. E’ cambiata negli anni la tipologia di utenza? Si è allargata a categorie che prima non vi facevano ricorso: ai più anziani e ai più giovani, inoltre si è estesa a tutte le classi sociali, anche operai, disoccupati, ecc... che pagano gli interventi a rate rinunciando magari ad altre cose. Continua a pagina 9



Si notano ondate di moda nelle richieste dei vari pezzi da modificare? No, non c’è una tendenza specifica. Tuttavia vi è molta poca informazione da parte degli utenti. Che costi comportano i vari interventi? Dipende dall’intervento. I prodotti utilizzati sono costosi (a causa delle industrie farmaceutiche, in realtà il vero costo dei materiali sarebbe davvero basso)... [ah! ndr] ma d’altra parte con le rughe si sopravvive. Un naso costa 6-7000 Euro, le tette dai 6000 ai 12.000, la liposuzione dai 3.500 in su, il filler e il botulino, attualmente molto in voga costano 300-350 Euro (e durano quattro mesi). Quale dovrebbe essere il limite che ogni bravo e onesto chirurgo estetico dovrebbe porsi per onorare il giuramento fatto all’inizio della carriera secondo lei? Sta nella valutazione del caso, dipende dal soggetto, da ciò che può essere il suo bene. Per esempio gli interventi di cambiamento di genere sono pagati dal SSN... Beh… speriamo che almeno questi non siano dettati dal fashion. Grazie per l’intervista!

Simone Truppolo


I Pastori del Mare Da diversi anni all’arcobaleno di Greenpeace si è aggiunto, nelle battaglie che si tengono sugli oceani fra ambientalisti e baleniere, il nero e inquietante Jolly Roger classico vessillo dei pirati diventato simbolo di Sea Shepherd (i Pastori del Mare). Al posto delle tibie sotto il teschio tatuato di cetacei, s’incrociano il tridente di Nettuno e il bastone dei pastori. Vogliamo saperne di più. Chiediamo quindi a Mimmo Just attivista ambientale, che s’interessa con particolare attenzione alla protezione dell’ambiente marino, e il cui obiettivo principale, oltre che sensibilizzare sull’argomento è di costruire piccoli gruppi di azione e di discussione a Coira, cittadina svizzera dove vive, di parlarcene più approfonditamente. Di che cosa si occupa l’associazione Sea Shepherd? Come già indicato dal nome, si definisce la gente del Sea Shepherd come i Pastori del Mare. Costituita nel 1977, Sea Shepherd Conservation Society (SSCS) è un’organizzazione internazionale senza fini di lucro la cui missione é quella di fermare la distruzione dell’habitat naturale e il massacro delle specie selvatiche negli oceani del mondo intero al fine di conservare e proteggere l’ecosistema e le differenti specie. Sea Shepherd pratica la tattica dell’azione diretta per investigare, documentare e agire quando è necessario mostrare al mondo e impedire le attività illegali in alto mare. L’associazione è dotata di diverse imbarcazioni di varie stazze. Certamente esistono delle moratorie e delle leggi internazionali che tutelano la protezione degli abitanti del mare, ma diversi Paesi e multinazionali non si attengono a queste. La Sea Shepherd scopre queste azioni illegali e questi profittatori senza scrupoli, e dalla vastità degli oceani esige da costoro di tirarsi indietro. Così, per esempio, ogni anno la Sea Shepherd disturba e ostacola la pesca giapponese delle balene. L`anno scorso, proprio a causa di questo motivo, la flotta giapponese delle baleniere, già a metà stagione, ha rinunciato alla caccia ed è tornata a casa. La Sea Shepherd, con la sua nave ammiraglia Steve Irving, si oppone anche contro le industrie ittiche che depredano il mare. I membri della Sea Shepherd inseguono i cacciatori di foche e sottolineano la loro presenza sulla costa norvegese e giapponese, dove i delfini vengono massacrati. Quali sono i motivi dei contrasti con Greenpeace? Paul Watson era uno dei fondatori di Greenpeace. Dopo pochi anni ha riconosciuto che con i dialoghi e le proteste pacifiste non è veramente possibile, a livello politico, raggiungere un accordo, poiché industrie sempre più grandi depredano incessantemente la natura senza riguardo. Poiché i suoi amici non volevano partecipare alle sue radicali proposte, Watson ha lasciato Greenpeace e ha fondato la Sea Shepherd. Infatti, contrariamente a Greenpeace, che ha scelto di evitare il danneggiamento delle navi baleniere nell’oceano, la Sea Shepherd appoggia una politica intenzionale di affondamento o sabotaggio delle navi che sono ritenute colpevoli di aver violato le normative internazionali in merito alla caccia delle balene. Pertanto Watson oggi viene considerato come un pirata e, tranne che in Australia, non può stare che in acque internazionali, altrimenti sarebbe subito arrestato. Se spariscono i cetacei dal mondo cosa succede? Questo non è nella sua immensità prevedibile. Per prima cosa sappiamo poco riguardo alle relazioni dell’intero ecosistema marittimo. Una cosa però è certa: certe balene come anche alcune specie di squali si nutrono di pesci, i quali a loro volta si nutrono di plancton vegetale. Se sterminiamo queste balene e questi squali, i pesci che si nutrono di plancton vegetale si riprodurranno in modo esplosivo. Il plancton vegetale produce i due terzi dell’ossigeno sul nostro pianeta! Delfini e balene sono degli esseri intelligentissimi, socievoli e spirituali. Che cosa accadrebbe se tutte le persone spirituali e socievoli di questo mondo venissero uccise? Come si diventa volontari e attivisti di Sea Shepherd? Quando si prende coscienza che l’oceano è la sorgente e il fondamento della vita sulla Terra e quando si è visto che i due terzi del mare viene svuotato di pesci, riempito di rifiuti e avvelenato, il cuore e la comprensione diventano attivi. I volontari sono di due tipi: volontari del mare e volontari


di terra. Poiché io vivo in montagna, iniziai con la distribuzione di materiale informativo riguardo alle organizzazioni che proteggono il mare, in modo da sensibilizzare sull’argomento il maggior numero possibile di persone. Contemporaneamente fui aiutato all’inizio come ancora tutt’oggi da Ocean Care, un’organizzazione svizzera per la protezione marina, che addirittura l’anno passato ottenne dall’ONU incarico in qualità di consulente speciale. Presto feci parte anche del SEA SHEPHERD, in Germania della WDCS, e in Italia del TETHYS RESEARCH ISTITUTE, i quali effettuano tutti un lavoro importantissimo. Da tutti attingo importantissime informazioni, e distribuisco materiale informativo per quanto mi è possibile. Già alcune persone sono diventate membri di una o dell’altra organizzazione oppure hanno fatto donazioni. All’OCEAN CARE e alla WDCS si possono, per esempio, fare delle adozioni di delfini, orche, foche e altri mammiferi marittimi. E’ possibile contattare queste associazioni sulle pagine del Web e naturalmente su Facebook. Dopo questa intervista siamo venuti a conoscenza che Il capitano Paul Watson è stato arrestato a Francoforte il 12 maggio ’12 sulla base di un mandato spiccato dalla Costa Rica, e poi rilasciato su cauzione. La polizia tedesca ha affermato che il mandato per l’arresto del capitano Watson è stato spiccato in risposta a una presunta violazione del traffico navale del paese centramericano, avvenuta durante le riprese di “Sharkwater” nel 2002. Lo specifico episodio di “violazione del traffico navale” ha avuto luogo in alto mare, in acque guatemalteche, quando Sea Shepherd ha individuato un’attività illegale di shark finning (prelevamento di pinne di squalo, ndt), messa in atto da un’imbarcazione della Costa Rica chiamata Varadero. Su ordine delle autorità guatemalteche Sea Shepherd ha intimato all’equipaggio della Varadero di cessare le proprie attività illegali di shark finning e di tornare in porto per essere perseguito. Mentre Sea Shepherd scortava la Varadero verso il porto, sono state cambiate le carte in tavola e una nave armata del Guatemala è stata inviata a intercettare l’equipaggio di Sea Shepherd. Per evitare la nave armata del Guatemala, Sea Shepherd ha poi fatto rotta per la Costa Rica, dove ha scoperto ulteriori attività illegali di shark finning, sotto forma di pinne di squalo essiccate, collocate a migliaia sui tetti di un edificio industriale. Il capitano Watson è stato assistito in carcere dal vicepresidente del Parlamento Europeo, Daniel Cohn Bendit, e dall’eurodeputato Jose Bové. Anche i membri europei di Sea Shepherd si sono mobilizzati per sostenere Watson che continua a rischiare l’estradizione. In tutto il mondo, Sea Shepherd farà sentire la propria voce presso le ambasciate e i consolati tedeschi. Organizzate o partecipate alla cacofonia di voci presso il più vicino consolato o ambasciata tedesca e chiedete la libertà per il capitano Paul Watson. Siamo sicuri che con la vostra partecipazione la Germania non metterà in atto un’estradizione che equivarrebbe all’esecuzione di una condanna a morte. I nemici del Capitano Paul Watson, all’interno della mafia delle pinne di squalo, sono in grado di raggiungere l’interno delle carceri della Costa Rica. Se estradato in quel Paese, è improbabile che il capitano possa arrivare a vedere l’interno di un tribunale costaricano.

Francesca Scaramozzino

Per maggiori informazioni Sea Shepherd Italia Onlus

contatto@seashepherd.it

Oppure visita le pagine: http://www.facebook.com/pages/Tethys-Research-Institute/42387346057 http://www.facebook.com/OceanCare.org http://www.oceancare.org http://www.facebook.com/pages/WDCS/106312506070644 https://www.facebook.com/seashepherdconservationsociety http://www.seashepherd.org/


Gelés di lichene Trovare in un negozio biologico o tornare direttamente da Reykjavik con 4 gr. di lichene d’Islanda. Versare sopra al lichene un bicchiere di acqua bollente (possibilmente ottenuta dal vapore di un geyser), lasciare in fusione per 10 minuti, gettare via l’acqua e mettere il lichene in casseruola con 3 bicchieri d’acqua calda; far bollire fino a ridurlo a metà. Passare attraverso una garzina fitta e rimettere al fuoco il liquido spremuto, con 2 foglie di gelatina sciolta in una cucchiaiata calda e cinque pezzi di zucchero. Lasciare bollire piano per un ¼ d’ora schiumando con cura, aggiungere un cucchiaio di acqua ai fiori d’arancio e versare in un vaso di vetro. Buon appetito! (N.d.R.)

Menu Iyo Iyo Iyo Iyo il simpatico ristorantino fiorentino che prende il nome dalla città nipponica da cui proviene il titolare, ci presenta un simpatico menù vegetariano: per primo viene proposta una buona zuppa di miso, un condimento derivato dalla soia gialla, di origine giapponese, cui spesso vengono aggiunti altri cereali come orzo (Mugi Miso) o riso (Kome Miso). A seguire l’Onighiri, uno spuntino tipico, composto da due palline di riso bianco che contengono un imprevedibile cuore composto da un pezzetto di prugna salata (umeboshi) accompagnato da vari condimenti possibili come il sesamo, ecc. Le solidissime sferette, cotte giocando sul fatto di sfruttare la possibilità dell’amido di amalgamare alla perfezione chicco a chicco, sono appoggiate su un tovagliolino che… sorpresa! è in realtà un’alga nori nutrientissima. Questa pietanza si potrebbe considerare il simbolo della cucina giapponese ed esistono negozi specializzati come Iyo Iyo che vendono solo onighiri fatti a mano nelle diverse varianti. Per finire una variegata scelta libera di verdure cotte come carote, melanzane ecc. ecc. il tutto al prezzo di soli 5€. Buon appetito! Noriko


Il bestiario di Frankenstein

é l’uomo quello che rischia di piu quando incontra il lupo? Attualmente, tra tutti gli animali che abitano il nostro pianeta, sono conosciute ben 4236 specie di mammiferi e tra queste numerose sono quelle domesticate, tuttavia una sola tra tutte ha avuto l’importante onore di essere elevata al rango di “migliore amico dell’uomo”, le leggende narrano che quando Dio creò Adamo, all’apparire dell’uomo tutti gli animali fuggirono spaventati, ma, poco dopo, un musetto incuriosito sbucò dal fogliame del Paradiso terreste e tornò indietro fiducioso… era il cane. Protagonista del più complesso e interessante tra i processi di domesticazione il cane (Canis familiaris L.) è ritenuto il primo animale domestico. Il cane, una specie costantemente associata all’uomo in tutti i continenti e in tutte le civiltà, è importante per la sua determinante influenza sulla nostra specie, il suo contributo, combinato con l’introduzione dell’arco e del propulsore da lancio (atlatl), rese più efficiente e produttiva la caccia. Senza il cane non sarebbe stato possibile sviluppare artiodattili domestici come ovini o bovini, per la cui custodia esso è fondamentale, quindi le tecniche di addomesticamento e allevamento che sono alla base della cosiddetta rivoluzione neolitica hanno la loro origine nell’addomesticamento di questo indispensabile ausiliario dell’uomo. Fungendo da animale da soma, il cane facilitò il movimento dei gruppi di cacciatori nomadi, come animale da macello (purtroppo) rappresentò una fonte di carne prontamente disponibile e sempre autonomamente al seguito dei gruppi umani, sorvegliando gli accampamenti migliorò in modo notevole le capacità di difesa. Considerando questo, non ci si può meravigliare del fatto che il cane abbia rappresentato un vantaggio estremamente importante, in termini di possibilità di sopravvivenza, per i gruppi umani preistorici. La domesticazione di questo animale rappresenta probabilmente la piattaforma su cui poggia il successivo sviluppo di tutte le forme di civiltà umana. In tempi recenti i dati genetici, derivati dallo studio del DNA dei cani e dei lupi, hanno mostrato chiaramente che tutti i cani derivano dal lupo (Canis lupus L.) tuttavia non è chiaro come, quando e dove ciò avvenne di preciso. Domesticare significa selezionare direttamente una popolazione di individui affinché presenti caratteristiche morfologiche, comportamentali e genetiche differenti dal progenitore selvatico. La discendenza di un animale addomesticato non è più soggetta principalmente alla selezione naturale, bensì alla selezione artificiale attuata dagli esseri umani volta a favorire caratteri desiderabili non tanto ai fini della sopravvivenza della specie quanto piuttosto in base a criteri economici, culturali o estetici. Per quanto riguarda il cane, la domesticazione ha prodotto delle modificazioni sia a livello fisico sia comportamentale: riduzione della taglia corporea, modificazioni nella morfologia della testa con capacità cranica minore e di conseguenza un cervello più piccolo rispetto al lupo, riduzione delle capacità percettive e della comunicazione con abbassamento della soglia di risposta o reattività a diversi stimoli dovuti a diversi fattori somatici: riduzione dei denti, occhi arrotondati e più sporgenti, bulla timpanica ridotta e appiattita, orecchie cadenti, coda strettamente arricciata, pelo sopra gli occhi, considerando tutto ciò è estremamente evidente come la nuova specie del Canis familiaris, col tempo, abbia subito una gigantesca pressione selettiva che, mossa da motori diversi, è arrivata a creare razze estremamente diverse tra loro. La grande varietà di queste esigenze degli allevatori, nel caso del cane domestico, ha operato per un incredibile ampliamento delle espressioni tipologiche, generalmente “rispettose” di un senso funzionale e “sano” dell’animale, arrivando, tuttavia, in tanti casi, alla creazione di razze inadatte alla sopravvivenza in ambiente naturale. Caratteristiche assolutamente antifunzionali, come deformazione degli arti, eccessivo peso, assenza di mantello, eccessivo raccorciamento del muso, in alcuni ceppi di cani hanno trovato continuità espressiva grazie a un intento selettivo talvolta mosso dalla semplice curiosità e dalla ricerca del paradosso, tipiche della specie umana, altre volte espressione distorta di originarie pressioni selettive mirate a una precisa funzionalità successivamente abbandonata. Non bisogna, infatti, dimenticare come molte delle peculiarità apparentemente più innaturali di alcune razze siano espressione ipertipica e non funzionale di un’originale tipologia “utile” alla quale è venuta a mancare la pressione selettiva mirata alla funzione. Viste queste premesse, il pensiero va, oltre che ai cani allevati nei canili lager per esperimenti scientifici di cui molto recentemente si è parlato nei media, ai cosi detti cani da esposizione che subiscono un altro tipo di maltrattamenti, forse meno conosciuti ma ben più raffinati. Fin troppo spesso i cani con pedigree sono stati incrociati in maniera pericolosa fino a produrre


problematiche legate alla loro salute molto gravi e diffuse. Lo standard relativo alle rassegne canine in più di un secolo si è modificato tanto da cambiare radicalmente l’aspetto e purtroppo anche le condizioni di salute di molte razze. Le cose sono veramente sfuggite al nostro controllo, la gente continua a praticare metodi di allevamento che sarebbero illegali sugli umani e che sugli animali hanno effetti assolutamente folli. Lo scopo delle esposizioni è produrre un cane il più possibile somigliante al modello stabilito dalla bibbia per l’allevatore di cani di razza, lo standard di razza del Kennel Club, un’associazione britannica che detta legge nel settore e che conta sezioni in tutto il mondo. Un cane diverso dallo standard, parola di allevatore “Non si vedrà sulla passerella perché non è anatomicamente corretto” alla faccia della salute e del benessere degli animali e a favore solo della tasca degli allevatori, dei giudici di gara e dei club come, appunto, il Kennel. Le competizioni sono vere e proprie sfilate di mutanti, sono degli show basati sull’ossessione della bellezza e su un concetto ridicolo di come dovremmo valutare i cani. In Inghilterra un caso fra i tanti è quello del Rhodesian Ridgeback che, in un caso su 20 nasce senza la cresta dorsale stile draghetto che è stata selezionata come caratteristica della razza, questi cuccioli “difettosi” sono soppressi e poco importa se quelli senza cresta non saranno soggetti a spina bifida contrariamente a quelli che seguono lo standard: la razza deve essere così e si sentiranno gli allevatori lamentarsi perché non trovano dei veterinari disponibili a sopprimere dei cani sanissimi ma nati fuori “formato” come nel caso di questi cuccioli. É moralmente ed eticamente sbagliato uccidere animali perfettamente sani solo a causa del loro aspetto, ma è quello che avviene. Manipolazioni genetiche, lucro che sta dietro a questa fiera della crudeltà, insensibilità degli allevatori: non importa che si tratti di un allevamento “ufficiale” o amatoriale, quello che va compreso è che quella che viene applicata è senza mezzi termini una selezione della razza (ci ricorda qualcosa?) al fine di produrre reddito da una vita, da una esistenza. Non ci sono giustificazioni che tengano. Sentiremo molti allevatori parlare di quanto amino i loro animali ma sebbene i problemi di alcuni cani o gatti siano addirittura ovvi agli occhi di un profano, chi li alleva non li considera minimamente perché la sua priorità resta il reddito e la smania di premi. Nessuno standard può definire quale animale sia migliore o peggiore di un altro. Nessun pedigree vale la salute degli animali. Nessun finto amante degli animali, che siano cani, gatti, bovini, roditori e altre specie ancora, che intaschi denaro vendendo, comprando e incrociando delle vite per esperimenti, spettacoli, mode demenziali e costose o superproduzioni alimentari ipercaloriche e iperproteiche merita il nostro rispetto. Sarebbe stato meglio per Fido lasciare Adamo da solo! Consuelo Lorenzi Per documentarsi: www.the-kennel-club.org.uk www.enci.it (il club italiano gemellato)

Nelle immagini un lupo, uno sharpei, un lupo che salta, un pastore puli che salta e infine un’ulteriore “bestialità” degli uomini, il cane tatuato!


Sales ILLACHIME QUARTET - Sales (Zeit Interference/Lizard Records, 2012) “Sales” fruga nella storia degli Illachime Quartet come un esperto chirurgo studia il corpo umano: Capolavoro! Genere: Avant-Garde Experimental Music Voto: 9/10 Ascolta anche: Ferc, Clock DVA, Throbbing Gristle Pochi progetti in Italia sono così poco italiani, così poco ambiziosi e longevi e progressivamente sempre più creativi. Per Fabrizio Elvetico e Gianluca Paladino, da anni alle prese con il progetto Illachime Quartet, è arrivato il momento delle soddisfazioni, del riconoscimento. “Sales” è la somma degli anni passati assieme, è l’evento tanto desiderato; non è solo una raccolta di tracce pubblicate negli anni a vario titolo e in diverse esperienze condivise, ma è un guardarsi indietro con lo scopo di andare avanti, oltrepassare la soglia dell’anonimato e dichiarare la propria natura di creatura geniale. In questo percorso a ritroso artisti di tutto rispetto hanno rivisitato i brani, facendoli rinascere con un nuovo nome. Ad eccezione dell’inedita “The song of every decline”, le tracce di “Sales” sono interamente rimaneggiate e stravolte, testimoniando, con meraviglia, il parto di un capolavoro. Stupisce la versatilità e l’approccio anarchico di ogni traccia. Definire gli Illachime Quartet una delle realtà europee più avanzate è oramai un dato di fatto, senza rischiare di sfociare nella consueta diatriba dei punti di vista o del gusto musicale. Quando i suoni diventano vividi e, pur se con armoniose dinastie di ricerca elettronica, il declino prevale, gli Illachime Quartet riportano a casa. L’accoglienza è delle migliori: una scia metafisica di strutture post-moderne fuse con la migliore avanguardia dei 70’s. La cifra stilistica è l’esperienza, ma, nel loro caso, la chiameremo classe. Da non perdere. ILLACHIME QUARTET Fabrizio Elvetico - piano, electronics Gianluca Paladino - chitarra Pasquale Termini - cello Stefano Costanzo - drums

TRACKLIST 1. The song of every decline (by Illachime Quartet) 2. Black source (Terminal source remixed by Black Era Feat Rhys Chatham) 3. Red through black (Cortile in mockba remixed by Greg Nielsen) 4. Industrial highlife (Ballrooms remixed by SchneiderTM Feat Graham Lewis) 5. Heart of darkness (Bottom sea engines remixed by Matter) 6. Strada di sans souci (Terminali destination remixed by Philippe Petit) 7. Vlf, very lowfire (Pale fire remixed by Retina) 8. In trociclo (Cluster remixed by Domenico Sciajno) 9. Na-to versus nato (Flying home remixed by Ferc) 10. Duopolio (Monopolio della noia remixed by Pippo Barresi and Illachime) 11. High noon on monday (High noon electronic remixed by Emanuele Errante) 12. Gramsci on entertainment (Discentro remixed by Mark Stewart) Grazie a Saltinaria.it

Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco


CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 LA FABBRICA DEI MOSTRI pag.3 IL TRONCHETTO DELLA FELICITA’ pag.5 PLASTIC BEEF pag.7 I PASTORI DEL MARE pag.10 GELES DI LICHENE pag.12 MENU IYO IYO pag.12 IL BESTIARIO DI FRANKENSTEIN pag.13 SALES pag.15

PeriodicoMARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°12 - Anno IV PeriodicoMARCO 2012 Rivista periodica di cultura e società. Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Massimo De Micco Guru Katrame Consuelo Lorenzi Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (info@raffaelevella.it) Fotografia Raffaella Milo (info@raffaellamilo.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco …..

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in caso di riproduzione di testi e immagini, purché non a scopo commerciale, citare la fonte.Le opinioni espresse non sempre rispecchiano i pareri della redazione. Questo periodico non ha orientamento razzista e discriminatorio

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