PeriodicoMARCO anno 2 N°3 - Magia e Credulità

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Autunno 2010 Distribuzione Gratuita

Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo

Irrazionale New age Superstizione Religione CredulitĂ Magia Setta

Anno 2/ N°3


R E D A Z I O N A L E

“La religione esiste da quando il primo ipocrita ha incontrato il primo imbecille”. Voltaire In questo numero la redazione ha deciso riflettere sul fenomeno del credere che più che mai in questo periodo, a quasi tre secoli dalla citazione d’apertura, si va sempre più caricando di valenze confuse, contraddittorie e istrioniche. Oggi gli ipocriti ci pare incontrino masse d’imbecilli sempre più numerose, e sì che in questi ultimi trecento anni qualcosa su come tanti fenomeni che si credevano inspiegabili accadono c’è stato detto, dimostrando con tanto di scoperte ed esperimenti rigorosi e inequivocabili, non solo che Voltaire aveva ragione, ma, soprattutto, quali meccanismi sottendono alle malattie, alle paure, alle emozioni, alla nascita come alla morte. Non che con questo si voglia erigerci a giudici del senso della fede altrui, ma che almeno ci si renda conto dove sempre più spesso, con la decadenza delle religioni ufficiali,

va a cadere questa aspettativa. E d’altro canto non si nega che la scienza, come potere, assumendo essa stessa alle volte un tono troppo ostico nel comunicare e illustrare le scoperte, allontani con questo la persona comune dal farsi qualche conoscenza in più su come stanno veramente le cose; lasciando così indifesi di fronte a proposte, per nutrire il proprio bisogno di assoluto, che appaiono sempre più un polpettone assurdo: religione fai da te, psico-cosmologia, astro-meditazioni, papa-cult, magume vario, energo-miracolistica, settarismi da neuro-delirio, profezie jellatorie, guru-star, almanacchi fra i più bislacchi, stimmate sanguinolente e madonnine piagnone. Il fascino del sentirsi speciali o “onorati” di essere alla presenza di “carismatici” individui ancor più speciali di noi, fa scivolare la persona verso l’autoreferenzialità della vita di setta in cui possono sfogarsi le nostre diffidenze per il mondo, la nostra elusività, la nostra identità religiosa in un

isolamento sociale sempre più pericoloso. Ma attenti a ridicolizzare soltanto la famigliola che, disperata per qualche suo accidente personale, corre dal folcloristico santone di turno a slegare una fattura, in quanto anche i più moderni frequentatori delle metropoli ci pare che nelle loro discussioni da salottino snob ed emancipato, in cui si conversa amabilmente di re-birthing, channelling, holistic-healt, human-potential, mostrino un’ingenuità non da poco per gente che si ritiene avanguardia culturale. Come un sonno imposto da una gigantesca psico-setta che stesse calando su tutti noi...


Onan il barbaro L’uomo, un animale che nasce nudo, piccolo, fragile, ma che anche senza zanne, artigli, scaglie e pellicce folte deve comunque agire per mettere un boccone nello stomaco, inventandosi qualcosa se vuole sopravvivere, ha poche ma formidabili possibilità di riuscirvi; mentre, fuori dalla caverna, giungono inquietanti i ruggiti della tigre dai denti a sciabola, egli pensa, crea, immagina, inventa, fa gruppo! E se il gruppo di cui fa parte è più coeso, più alta è la possibilità di cacciare prelibati mammut e fare maggiore scorta di cibo. Ma come può essere migliorata questa coesione in tale essere pensante? Pensa che ti ripensi, che si va a inventare? Un bell’insieme di regole di comportamento cui tutti devono legarsi. Tertulliano e Lattanzio, quest’ultimo ripreso da sant’Agostino, sostengono che la parola “religione” derivi dal verbo: religàre, cioè “legare, vincolare”, nel significato di legare l’uomo alla divinità. Religàre può indicare anche l’idea di vincolare gli uomini nella comunità, sotto le stesse leggi e lo stesso culto. Dall’animismo, in cui gli sciamani credono, o fanno credere, di imbonirsi la natura con riti di magia protettiva, bastante a tranquillizzare le paure dei gruppetti sparsi di cacciatoriraccoglitori, passando al politeismo le cose si complicano. Gli agricoltori-allevatori vengono a essere rinsaldati da una religione in cui le forze naturali, ma anche i comportamenti richiesti per essere accettati nella vita del villaggio, sono personalizzate in dèi e dee, serviti negli altari da caste sacerdotali apposite (dea del matrimonio, dea delle buone nascite, dio della morte, dio del grano, dio dei confini dei campi, ecc.). Successivamente, il progressivo ma inesorabile raggruppamento della popolazione in grandi imperi, porta a sistemi politico-economici, e di conseguenza a richieste di aggregazione, sempre più ampi, e quindi a paralleli sistemi religiosi sempre più raffinati come l’induismo, la religione greco-romana, il buddismo prima e il cristianesimo e l’islam poi (prolungamenti questi del monoteismo ebraico). Il monoteismo è portatore di un’etica, un patto, proposti da un solo dio che ben può farsi così guida propedeutica alla nascita di un tipo di stato più moderno (Carlomagno, Re Sole), come una sorta di semplificazione ge-

rarchica per governi più dinamici di quelli antichi. Come lego io società, l’individuo al gruppo? Su quali leve psicologiche agisco? Il mangiare è un mezzo, oltre che uno scopo, si può vietare il maiale o la vacca, il vitello al latte o i gamberi, e chi più ne ha più ne metta, c’è anche del pratico, provate ad allevare maiali in zone aride come il deserto arabico, senza dubbio andrà meglio con capre e pecore che mangiano anche il sale. Meglio vietare dunque i suini in modo netto e deciso. Passiamo al sesso, una proibizione fra le altre, la masturbazione, innocua pratica da compiersi in solitaria. Perché si grida all’abominio? Perché pentirsene? Perché con questo si viene allontanati dal fare cose per propria iniziativa: chi si masturba non da noia a nessuno in fondo, ma perde tempo mentre gli altri devono mietere o portare gli armenti al pascolo. Ecco perché i profeti gridano contro il sesso non riproduttivo, ammettendo così l’unica pratica che provvede all’aggiunta di altri membri nel gruppo. Ma chi è questo tipo base del profeta suscitatore di religioni? In tutti i gruppi non manca mai un filosofo, uno svampito, un esaltato, un ipersensibile pronto a sentirsi in colpa lui per primo di qualche comportamento asociale commesso. Poi, si sa, anche i moti più spontanei col tempo si guastano con biografie sempre più strampalate, nascite comunque prodigiose: Mosè, Romolo e Remo, Gesù, Buddha ecc. cui segue una vita errabonda in cui raramente si viene gratificati per ciò che si predica, anzi, si soffre fra torme d’ingrati, alla ricerca di seguaci e discepoli, infine conclusione con morte, spesso violenta, e ascesa trionfale in cielo: Remo, Gesù, Apollonio di Tiana e via di seguito. Com’è successo? E’ accaduto che, se anche il profetico fondatore di religioni era sognatore innocuo, non lo sono quelli che poi si accodano al seguito come successori, interpreti, propagatori e agiografi. I più, intanto, stupiti dagli effetti speciali e ipnotizzati da mantra, preghiere e litanie fatti apposta per essere particolarmente monotoni e soporiferi, seguono docili come tanti agnellini mansueti, pronti per essere legati ben stretti col senso di appartenenza e quello di colpa, in sæcula sæculorum. Katrame


L’esperienza del sacro e della magia... «Io non credo in un Dio personale e non l’ho mai negato, anzi, ho sempre espresso le mie convinzioni chiaramente. Se qualcosa in me può essere chiamato religioso è la mia sconfinata ammirazione per la struttura del mondo che la scienza ha fin qui potuto rivelare». Albert Einstein Un atteggiamento costante dell’uomo è quello di trascendere se stesso e maturare un rapporto di armonia superiore con una realtà intima e totalizzante, sia esso un Dio unico e personale o una pluralità di spiriti o di una forza vitale e cosmica. L’esperienza religiosa può essere descritta come la percezione di una realtà straordinaria, di una potenza che supera il dominio dell’esperienza comune. Partiamo quindi da alcune domande: come spiegare che, la maggioranza delle persone crede in Dio, anche se a modo proprio? Una prima risposta è da ricercarsi nello smarrimento e nei turbamenti delle menti ancora sopite da retaggi ancestrali per i tanti misteri della vita, nonostante i progressi scientifici che hanno svelato molti dei misteri dei fenomeni naturali e delle malattie. Da qui il fascino del mito e il bisogno di riti per placare le angosce della vita e della morte. D’altra parte questo bisogno di Dio è anche indotto e amplificato da una struttura clericale capillarmente ben organizzata, in collaborazione con quella statale, le quali, attraverso la scuola, la stampa, il cinema, la televisione, fin dalla più tenera età, soprattutto con la catechesi, condizionano psicologicamente le menti delle persone, basta pensare alla cultura misogina nel libro più letto al mondo: la Bibbia. Ma a quali scopi? Le istituzioni religiose hanno costruito il loro potere sulla paura dell’inferno (col suo mistero e terrore) e lo hanno messo al servizio dei potenti signori e padroni di turno al fine, intimorendolo, di tenere sottomesso e asservito il popolo al loro dominio. E’ indubbio che la figura di Satana alimenti l’idea di Dio, così come senza un’autorità, emanazione e suggello del divino, non ci sarebbe l’asservimento dell’uomo sull’uomo. In questo modo le classi dominanti possono esercitare un controllo e un dominio sul popolo e mantenere ingiustificati privilegi a scapito delle classi subalterne; classi dominanti che nella storia dell’umanità si sono configurate come aristocrazia (nelle società schiaviste, dispotiche e servili), come clero (in quelle teocratiche), come borghesia (in questa capitalistica). Queste classi dominanti hanno trovato conveniente gestire il potere in combutta con quello clericale in alterne fasi di collaborazione e scontro. La dicotomia credere per esperienza di fede-sapere per esperienza di scienza, è esempio di tema universale fra i più discussi aldilà del contesto (sociale, culturale, istituzionale) in cui lo si può ritrovare. Inoltre bisogna distinguere tra il credere in sé e il contenuto della credenza (la dottrina): mentre il secondo riguarda il pensiero logico, è legato a istituzioni che lo promuovono, il primo, attinente al pensiero astratto, ha come bersaglio l’attivazione del sentire emotivo e psicologico. Si trovano atteggiamenti fideisti in molte attività “laiche” (tifo sportivo, psicoterapia, difesa della natura, politica), che in definitiva non sono diversi da quelli vissuti nella sfera del religioso se non nel contenuto. Capita spesso che persone che escono da una religione ne abbandonino solo la dottrina, senza lavorare sulla parte emotiva e psicologica di se stessi e ricreando i difetti dell’atteggiamento avuti verso la credenza precedente nelle nuove attività in cui si cimentano. Alla base del bisogno di credere vi sono elementi connaturati all’esistenza umana. Primo fra tutti è la paura della morte, così profondamente incisa dentro di noi che è possibile superarla solo in rari casi. Inoltre la condizione umana (nascita non per scelta, piccolezza di fronte all’universo, solitudine, mancanza di chiarezza sul senso della vita, precarietà, dolore, morte) si presenta all’individuo come assurda, molto difficile da reggere e comprendere, e ciò porta a prendere in considerazione o ad accettare certe proposte di spiegazioni proprio perché parimenti assurde. Ogni popolo, o gruppo sociale, ha la sua religione che deriva dalle sue tradizioni. Se poi si osserva che le religioni nei paesi poveri sono maggiormente ascoltate e seguite, si deve concludere che Dio ha maggiore successo dove sono più accentuate le arretratezze culturali, sociali ed economiche. Sottoposto a questa situazione, l’individuo può trovare se stesso restando fuori della sfera profana in quanto l’esperienza religiosa fornisce agli uomini un’interpretazione della sofferenza. In sintesi la religione attribuisce un significato ultimo alla vita umana attraverso la sua abilità a integrare le esperienze dolorose della vita in una spiegazione che comprende la realtà e il destino riservato all’uomo. Religione e magia hanno in comune la fede in situazioni che vanno di là dai dati di conoscenza verificabili, ma si distinguono per la prospettiva esistenziale che sottintendono. La religione offre una visione complessiva del mondo in cui l’io è impotente, ma in cui esiste comunque una volontà


esterna, che può essere anche il semplice divenire della natura, che dà senso alla vita se ci si abbandona; non tenta cioè di eliminare ciò che spaventa le persone, ma ne consente il superamento in una dimensione spirituale esterna a esse. La religione è una categoria dello spirito che permette all’uomo di indagare se stesso e di esprimersi creativamente in letteratura, poesia, arte, architettura e così via. La magia, invece, si preoccupa di far funzionare bene le cose qui e ora, di cancellare dalla quotidianità il negativo. La magia offre solo un altro linguaggio attraverso cui spiegare il mondo che ci circonda: un dolore può essere causato da una punizione divina o anche da una congiunzione negativa fra due pianeti, e a sua volta risolto con qualche preghiera e, perché no, anche con un rituale o un sacchetto di sale da cucina. Se l’unica via possibile fosse quella della medicina ufficiale non solo non avrebbero senso i “rimedi della nonna” o le medicine alternative, ma ancora meno le varie offerte per ingraziarsi feticci o qualche santo in paradiso. Insomma diversamente dalla credenza religiosa, la magia attribuisce pieni poteri all’uomo e cerca di superare “la crisi”, intesa come momento di rottura di un equilibrio, con le sole forze che si possiedono o che si attribuiscono all’operatore cui ci si affida. La religione, invece, rimanda tutto a un essere superiore che “vede e provvede” per noi e a un clero che media. Religione e magia si rivolgono a persone con diversi valori: a chi cerca il senso della vita la prima, a chi vuole risolvere i propri bisogni materiali la seconda; questo spiega l’esplosione della magia proprio in questo periodo storico. Ecco perché molti uomini credono ai medium, ai veggenti, ai fenomeni paranormali, l’obiettivo non è di verificare se si tratta di cose vere oppure no, ma piuttosto quello di avere una speranza per il futuro, di ascoltare cose “meravigliose”, entrare in dimensioni di mistero e fascino e, magari, attraverso un bicchiere e un tavolo, parlare con i propri defunti, rassicurando così anche se stessi sull’esistenza di una dimensione ultraterrena. Francesca Scaramozzino

Alza gli occhi al cielo e... spara alla Luna! Circondati da ritmi esasperati di frenetica routine, spesso sentiamo dire: ”Vedremo come girerà la luna!”. Cosa c’è di vero? Semplice leggenda? Preziosa saggezza? Per secoli l’uomo, per garantirsi la sopravvivenza è vissuto in costante armonia con i molteplici ritmi della luna. Si crede che le fasi lunari influenzino ambiente, persone, animali e piante. Sarebbe stato, infatti, osservato, che numerosi fenomeni della natura: bassa e alta marea, nascite, eventi meteorologici, risultato di un buon raccolto, sono in relazione con il corso lunare! Lo stesso Darwin nel suo classico ”L’origine dell’uomo” aveva trascritto una nozione già conosciuta, e ritenuta di grande utilità, da molte generazioni prima di lui: “L’uomo è soggetto, come gli altri mammiferi, gli uccelli e persino gli insetti, a quella legge misteriosa che fa sì che alcuni processi fisiologici come la gravidanza, e così lo sviluppo e la durata di varie malattie, seguano i periodi lunari”. Come la mettiamo dunque quando si vogliono interpretare gli stati della luna con le credenze popolari riferite dai tanti almanacchi tipo Frate Indovino? Laddove, tanto per informare, si parla di gior+ni propizi per liberarsi da cattive abitudini, influssi positivi, crescite prodigiose, forze ascendenti e discendenti? Spesso come tante altre credenze anche qui, quando si arriva all’estremo, i risultati non sono buoni, perché purtroppo, dietro a queste tradizioni, troveremo persone che regolano la propria vita in base a ‘buona’ o ‘cattiva’ luna, oppure sentiremo affermazioni come la famosa frase ”Le donne sono lunatiche”, segnale di grandissima misoginia. Una cosa è certa: a parte le maree dovute all’attrazione gravitazionale del nostro satellite, le leggende sulla luna e sulle sue fasi sono prive di fondamento e, sicuramente, non giustificano gli atteggiamenti di chi regola le proprie scelte personali sulla fetta di luna visibile in cielo in un dato momento piuttosto che in un’altro, anche se alzare gli occhi al cielo e ammirare la bellezza della luna ci farà sempre bene, di là da ogni credenza! Luciana Bonaccorsi


New Age

Uno sguardo critico UN COSA - New Age (letteralmente: Nuova Età) è un’espressione generale per indicare il vasto movimento culturale che comprende molteplici correnti psicologiche, sociali e spirituali alternative sorte nel tardo XX secolo nel mondo occidentale. Le numerose e diverse concezioni riconducibili a questa denominazione sono accomunate dall’ideale dell’avvento di un “mondo nuovo” o di una “nuova era”, spesso indicata astrologicamente come età dell’Acquario (l’età attuale è detta dei Pesci). Sotto la definizione di New Age vengono fatte ricadere molte realtà di diversa natura: semplici stili di vita, filosofie, religioni, terapie, organizzazioni, aziende e via dicendo, caratterizzate da un approccio eclettico e individuale all’esplorazione della spiritualità con pratiche e concetti disparati come la meditazione, il channeling, la reincarnazione, la cristalloterapia, la medicina olistica, l’ambientalismo e numerosi “misteri” come gli UFO o i cerchi nel grano. Il termine New Age è anche ampiamente e ufficialmente utilizzato per riferirsi al vasto segmento di mercato in cui si vendono libri, beni e servizi “alternativi” connessi a tali visioni del mondo. Si stima che, in tutto il pianeta, ci sono milioni di seguaci delle varie pratiche e/o sostenitori di uno o più dei maggiori credo della New Age. Non esistono quasi più campi di interesse umano che non siano esaminati da qualcuno che abbia un punto di vista New Age. Non è un caso che questo avvenga oggi, nell’epoca post-moderna – che segue il crollo delle grandi ideologie che avevano caratterizzato il passato – quando la disomogeneità culturale frutto della molteplicità dottrinale è presente e si esprime in una pluralità di proposte. Impressiona notevolmente la grande diffusione di una visione che è fondamentalmente passiva, debole, l’atteggiamento è quello di chi, di fronte al disagio della società complessa, anziché rifiutare, accetta acriticamente e in blocco tale società e le sue proposte varie e contraddittorie – che sarebbero tutte, anche se solo relativamente, ‘vere’ – incarnando una forte tendenza di carattere sincretista e relativista. Si sviluppano in tal modo realtà e movimenti che, risvegliando il sincretismo come categoria culturale e spirituale, lo applicano a tutti gli ambiti del reale: rapporto con il sacro, spiritualità, religioni, cultura e scienza. Il relativismo è una prospettiva largamente maggioritaria in un Occidente secolarizzato dove il believing without belonging (il ‘credere senza appartenere’) o il ‘credo a modo mio’ sono ampiamente caratterizzanti la religiosità del cosiddetto ‘uomo della strada’. Le realtà che accettano e promuovono il sincretismo e il relativismo affermano che la contraddizione insita nei messaggi che caratterizzano la società complessa è solo apparente. Non si persegue lo sforzo di realizzare ‘unità’ nella contraddizione attorno ad una dottrina, ma piuttosto a un insieme di simboli oppure a un maestro o guru, ritenuto in grado di fare unità non tanto con il suo discorso, ma con la sua persona che riassume e supera in sé le contraddizioni. Si recupera il valore conoscitivo dei miti, dei riti, delle religioni, delle narrazioni, delle spiritualità: in breve, di tutto quanto la ricostruzione della storia delle idee informata dalla visione scientifica del mondo, ha cercato di definire come superato e come confinato a sfere sempre più ristrette dell’esistenza umana. Non vi è mai distruzione e ricostruzione totale del sapere e delle conoscenze, ciò che si delinea è piuttosto un continuo ‘bricolage’ tra schemi, temi, valori, paradigmi di diversa origine, di diversa portata, di diversa natura. Sembrerebbe che sia necessario il recupero di quanto può essere valido nelle culture alternative sacrificate dalla rivoluzione scientifica. E UNO FRA I TANTI PERCHE’ – Un’interpretazione interessante di tutto questo si potrebbe ritrovare in Christopher Lasch che in L’io minimo. La mentalità della sopravvivenza in un’epoca di turbamenti parte dalla constatazione della difficoltà a essere se stessi entro i parametri, ormai crollati, che danno identità sociale e personale. Paradossalmente, proprio mentre pare che l’io si manifesti con grande evidenza nella società contemporanea, con un egocentrismo e un individualismo accentuati – anche nella pretesa, insita nella New age, di poter auto superare le contraddizioni con una pseudo armonizzazione di non ben precisate forze personali - tali atteggiamenti sono in realtà motivati, a parere dello studioso americano, da necessità auto difensive, o meglio dalla sopravvivenza. Ecco come la situazione è delineata nel volume: “In [un’epoca] di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza. Gli uomini vivono alla giornata; raramente guardano al passato, perché temono d’essere sopraffatti da una debilitante ‘nostalgia’, e se volgono l’attenzione al futuro è soltanto per cercare di capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono. In queste condizioni l’identità personale è un lusso e, in un’epoca in cui incombe l’austerità, un lusso disdicevole. L’identità implica una storia personale, amici, una famiglia, il senso d’appartenenza a un luogo. In stato d’assedio l’io si contrae, si riduce a un nucleo


difensivo armato contro le avversità. L’equilibrio richiede un io minimo, non l’io sovrano di ieri. […] L’occuparsi di se stessi, tanto tipico ai giorni nostri, assume il significato di una sollecitudine per la propria sopravvivenza psichica”. L’io minimo è narcisista non tanto per la sua invadenza quanto perché, “incerto dei propri contorni, aspira a riprodurre il mondo e a fondersi con esso in felice comunione” abolendo la distanza e la separazione tra individualità e universo esteriore. Ciò accade in relazione a quella che Beck ha definito la società del rischio e che Lasch vede come percorsa da pericoli quali la guerra, il terrorismo, la minaccia della stabilità quotidiana, il fatto che si vive circondati da un universo che ha perso solidità e ha prodotto un io “incerto e problematico” per cui conviene un “disimpegno emotivo” un distacco flessibile, una condizione appunto di sopravvivenza. “La produzione di beni e il consumismo non alterano solo la percezione di sé, ma anche quella del mondo circostante. Creano un mondo di specchi, immagini inessenziali, illusioni sempre più inscindibili dalla realtà. L’effetto di specchio trasforma il soggetto in oggetto; e, contemporaneamente, trasforma il mondo degli oggetti in un’estensione o in una proiezione dell’io. È fuorviante considerare la cultura del consumo come dominata dalle cose: il consumatore, infatti, vive circondato non tanto dalle cose, quanto da fantasie. Vive in un mondo privo di un’esistenza oggettiva e indipendente, che sembra esistere soltanto allo scopo di appagare frustrare i suoi desideri”. Si veda la concezione dei valori, la cui discussione pubblica, secondo Lasch, è messa in discussione da un pluralismo accentuato che, accettando ogni possibilità, azzera i parametri sulla base dei quali si emettono i giudizi, per cui “la libertà di scelta si riduce in pratica a un’astensione dalla scelta stessa” e “l’ideologia pluralista rispecchia con esattezza la situazione del mercato, dove prodotti in apparenza concorrenti diventano sempre più indistinguibili”. Questo in un ambito in cui la tolleranza è importante, ma l’esasperazione dell’accettazione totale porta a una crisi della democrazia, come si nota nell’indebolimento del sistema partitico, dell’autogoverno locale e dell’iniziativa popolare. La politica cede il passo all’amministrazione, col che si genera un senso di impotenza nei cittadini rispetto alla possibilità di influire partecipando. Nasce anche da questo il bisogno di credere di contare qualcosa e influire almeno su piani astrali e mondi ultra cosmici, teorie certo affascinanti, anche se ancora più improbabili del dogma dell’infallibilità papale. Insomma vien da chiedersi se più che allargare la coscienza, quello che si fa oggigiorno in questa nuova era non si sia piuttosto lo stringere le ‘mele’ il più forte possibile. Consuelo Lorenzi

Pesci esotici in un acquario di lusso Aspettano la fine del mondo segnata sul calendario Maya, di cui sanno tutto: che si compone di diversi cicli, che dà ragione a Nostradamus, che dietro tutta questa storia ci sono gli Ufo e, come sempre, la CIA non vuole farlo sapere. Sanno anche che l’uomo non può aver costruito le piramidi e che i cerchi nel grano indicano i punti di atterraggio per veicoli capaci di piegare lo spazio-tempo. Il ritorno in massa di questi visitatori si verificherà quando la luna diventerà rossa e la terra incontrerà la stella blu, come dicevano gli Hopi e come ripeteva il capo di “Hair”. Questa è, oggi, la cultura dell’italiano medio, quello stesso mid-cult che riduce la Quinta di Beethoven a un martellante ta ta ta tà e fa dell’incompiuta di Schubert una sconclusionata suoneria di cellulare. Non è “cultura media” ma “mezza cultura”, come si legge nelle argute contestazioni di Adorno e Berneri. Il mezzo colto, più dell’ignorante, è portato a credere a tutto, divora libri grossi e indigesti in qualunque edizione, dopo qualunque traduzione e manomissione, di cui non si cura, ha paura solo della censura del Vaticano e dei militari e delle falsità disseminate dai Men in black per depistarci. Dove queste cose le fanno davvero (nelle ASL, in tribunale, in azienda) ci casca come un pollo e

passano mesi prima che riesca a dare un nome a quello che succede intorno a lui (malasanità, malagiustizia, centrifugazione) e dopo un anno da cani, va a caccia di tesori nascosti tra i libri e le rovine di civiltà sepolte. Non gli mancano le giustificazioni psicologiche: lo psicanalista Meltzer vede in questo rapporto con la cultura la prosecuzione di una certa educazione familiare che costringe i bambini a sbirciare gli altri e a raccattare il sapere perché nessuno glielo insegna. Non mancano neppure le giustificazioni sociologiche: l’anarchico Berneri coglie nella creduloneria del mezzo colto l’atteggiamento di quello che, dopo essere stato tenuto a stecchetto, ha fame di lusso. Certi tomi sui Maya e sui templari sono dei lussi, altri lussi erano i romanzi di Eco, le saghe di Tolkien, e le profezie di Coelho. Vista così l’era dell’acquario si riduce a voglia di lusso e Leonardo, Celestino e Nostradamus sono i pesci esotici che ci sguazzano. Guru



Dia-bolos/ DiaNell’accezione più comunemente accettata il Diavolo è la potenza che guida le forze del male e s’identifica con Lucifero (il portatore di luce) il capo degli angeli che si ribellarono a Dio. La radice della parola Diavolo è Dia dal greco: due, etimologicamente colui che divide. Se l’unità intesa come completezza, rapporto fusionale con il Tutto (che le religioni chiamano Dio) in tutte le tradizioni spirituali rappresenta il Sommo Bene da cui proveniamo e che continuiamo a rimpiangere, è pur vero che il nostro mondo terreno, sempre secondo le medesime tradizioni, rappresenta la dualità: il bene e il male, il diritto e il dovere di scegliere (libero arbitrio), quindi una dualità necessaria e in cui bisogna imparare a vivere. Secondo la teoria della numerologia il due è il solo numero che riguardo agli interi ha una sola formazione: 1+1 che equivale anche al raddoppio dell’unità. Il suo significato è quindi univoco: proiezione dell’unità in se stessa, rivelazione speculare della coscienza, urto dell’Assoluto nel Relativo, contrapposizione di essere e non essere, di io e non io. Il Diavolo rappresenta il Mito della Caduta già presente e ampiamente espresso dalla Tragedia Greca, che in modo poetico significa appunto l’umanizzazione dell’eroe attraverso la caduta. Altrettanto rappresentativa di tale caduta è la cacciata dell’Eden di Adamo ed Eva. Laddove l’Eden raffigura il Paradiso perduto, l’Età dell’oro nostalgicamente evocata dagli artisti di tutti i tempi, che sicuramente è presente nell’immaginario collettivo. La dualità terrena viene interpretata principalmente da due scuole di pensiero: l’una manicheista vede inesorabilmente il Bene e il Male contrapposti, l’altra, che definirei olistica, vede invece il bene e il male, la luce e la tenebra interagenti e complementari. La maggior parte delle teorie psicoterapeutiche invita le persone in difficoltà a riconoscere prima, e ad accogliere poi, il proprio lato oscuro in modo da integrarlo armonicamente nella propria personalità. Il Diavolo diventa Demone negativo allorché determinate pulsioni, istinti, desideri non riconosciuti ma repressi esplodono in forma patologica assumendo talvolta la fisionomia di un mostro. Insomma da questo punto di vista il Diavolo in fondo è davvero un buon Diavolo… si trasforma in “Maligno” nella misura in cui non ci si confronta con Lui. Il quindicesimo Arcano dei tarocchi: il Diavolo, nel suo significato al positivo è l’istinto, l’energia psichica, l’attrazione, la passione, la liberazione da legami indesiderati. La sua connotazione opposta proviene dalla mentalità sessuofobica del periodo romantico e preromantico in cui i tarocchi furono elaborati nella forma attuale. La caduta nelle tenebre dell’angelo ribelle Lucifero è perciò, se non benefica, quanto meno necessaria e fatale e di certo nell’invitarci a osservare le tenebre indica un percorso salvifico. Nell’iconografia più antica il Diavolo assume sembianze animalesche: zampe e testa di capro e fianchi villosi. Tali sembianze in epoca arcaica s’identificavano con Pan una divinità pastorale e boschiva che esprimeva l’esistenza animale: era in agguato di ninfe e giovanetti che assaliva senza riguardo, la sua fame sessuale era insaziabile ed egli praticava anche la masturbazione. Pan significa Tutto in quanto energia sessuale che permea tutta la natura ed è alla base della vita. Il Diavolo, inoltre è inquietudine, disordine, disobbedienza e anarchia. Allora veramente egli non è come lo si dipinge, forse conviene conoscerlo meglio…! Perché continuiamo a definirlo il Sommo Male? Le chiese e le religioni monoteiste hanno alimentato e rafforzato questa credenza dandone un’interpretazione manicheista e attribuendole quella negatività che per sé non avrebbe. Il Diavolo, o meglio la sua rappresentazione, è stato strumentalizzato dal potere ecclesiastico per auto legittimarsi e per manipolare attraverso la paura dell’Inferno il consenso popolare. D’altronde se Dio è Tutto, egli è anche Diavolo, comprende la luce come le tenebre. In poche parole il Diavolo è una parte di Dio, ammesso che Dio esista! Laura Turchi (Nell’immagine particolare da “Venere, Amore e satiro” – Agnolo Bronzino, 1553-54)


Sono stata sposata alla Maestrina Ricordi di una seguace del cristianesimo di frangia Tredici ottobre… che bella data/amore amato, tu mi hai sposato/ e da quel giorno a te mi hai legato/ ed io interamente ho donato il mio cuor/ a te… sposina d’amor….* Negli anni ’70, per problemi familiari dovuti a un’errata diagnosi fatta a mio fratello, allora neonato, e che in seguito si rivelò un errore medico, a mia madre, disperata, già influenzata dal fatto di avere una parente che, saltando sui letti, si dichiarava posseduta dal demonio e che, inoltre, aveva subito quaranta operazioni chirurgiche, fu prospettata per il figlio una possibilità di guarigione da alcuni conoscenti che la indirizzarono presso il gruppo “La Missione Divina” della carismatica Luigia Paparelli, che raccoglieva a sé persone con malattie varie. Per la mia famiglia e per me, che ancora dovevo nascere e che quindi mi sarei ritrovata completamente coinvolta dall’inizio nella cosa, cominciò un percorso che definire molto particolare sarebbe riduttivo. Il gruppo della “Missione” era nato negli anni ’40 dalle dichiarazioni del veggente Basilio Roncaccia, un ex-sacerdote delle borgate romane, che si era messo in contrasto con la chiesa ufficiale, definita corrotta, ponendosi alla ricerca di una forma di recupero della tradizione cristiana delle origini che potremmo definire neo-catecumenale, ma che, in seguito, per le sue particolari superstizioni era stato definitivamente escluso dall’insieme dei gruppi riconosciuti dal Vaticano. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato il fatto che, durante le preghiere, ci si rivolgeva a una raffigurazione della SS. Trinità, riprodotta anche negli anelli e nei gadget del gruppo, cosa questa assolutamente proibita dal culto ufficiale. In seguito il Roncaccia (il cui verbo raggiunse anche l’estero in Spagna, Norvegia e Francia) aveva conosciuto la giovane figlia di un emigrante italiano della Pennsylvania, Luigia Paparelli, che, alla morte del veggente, dopo anni di una sorta di catalessi mistica, ne aveva ereditate le carismatiche doti: ‘Il dono’, e, fatto non meno importante, la direzione del gruppo originale. La cosa non era avvenuta in modo indolore: a Luigia, che nel frattempo aveva assunto la carica di ‘Maestrina’, si erano anteposti altri vice e contro maestrini, come Lola Fagiolo o i veneti del gruppo di Scorzè, e altri, in una dolorosa sequela di scissioni e contro scissioni mai sopite nemmeno ai nostri giorni. Luigia aveva la sua sede in Roma, ma una tenuta di proprietà del gruppo era anche in Toscana, a Gambassi e fu anche per questo, dato la vicinanza con la mia cittadina, che prendemmo a frequentare la Missione e il suo Tempio in modo regolare e attivo. Per ottenere la guarigione il malato doveva presentarsi a digiuno dalle 23 della sera precedente, senza rossetto, né avere fumato e lavato i denti, oppure ingerito medicinali. Nella cappella dedicata alla Trinità alla quale i fedeli accedono per pregare dopo avere tolto le scarpe in segno di rispetto, la Maestrina ‘segnava’ il malato con un segno di croce sulla fronte, sulle labbra, sul cuore e sulla parte malata nel nome della Trinità e recitava una breve preghiera: “Signore, scaccia da queste membra gli spiriti maligni”. Infine, in segno di ringraziamento, il fedele baciava la mano destra di Luigia. Spesso mi si rammentava che avevo avuto la grande fortuna di essere benedetta da Luigia già nella pancia della mamma essendo io, come dicevo, nata dopo l’incontro di mia madre con la Missione. E, come detto, le benedizioni e le segnature con croci tracciate nell’aria attorno ai nostri corpi, erano la peculiarità di questa donna dall’aspetto particolare dove un’enorme acconciatura a ‘cofana’ torreggiava sul non più giovane viso della Maestrina, agghindata in corti bolerini di struzzo immancabilmente dai toni confetto del celeste, rosa o bianco. Sugli abiti i fedeli le avevano dipinto a mano angiolini e cuoricini, mentre attorno le facevano corona gli ‘angeli, ovvero gli uomini del gruppo, che, silenziosi (non ricordo di averli mai visti parlare con chicchessia) distanti e austeri nei loro vestiti immancabilmente scuri, la scortavano al balcone del Tempio da dove ci venivano lanciate caramelle benedette dalle sue ‘sante’ mani con relativa ressa dei fedeli sottostanti, fra fuochi d’artificio ed esaltazione. Oltre le caramelle veniva distribuito un profumino, formato campioncino, anch’esso naturalmente da lei benedetto, e che in forma di poche gocce doveva essere messo nei fazzoletti da portarsi sempre dietro a protezione della nostra persona, il tutto si completava dopo aver baciato un’effige con occhio dentro un triangolo e aver salito in ginocchio una scala sacra, muniti di ginocchiere nere di gomma fra rosari rosa confetto e litanie. Ogni oggetto proveniente dalla Maestrina se non più utilizzato andava bruciato in un fuoco purificatore. Nella tenuta dove è stato costruito il Tempio della SS. Trinità, in cima a un’altra scalinata torreggiava, e torreggia ancora, un enorme masso tornito di diverse tonnellate che si dice caduto dal cielo in occasione di un giorno felice per Luigia, un giorno in cui, oltre al masso, cadde tanta ghiaia bianca, oggi sul


terreno, da raccogliere e conservare gelosamente, essendo pure masso e sassi benedetti dalla santa. A questa donna e alle sue molteplici benedizioni ci si legava tramite sposalizio mistico in Cappellina ogni 13 di ottobre, giorno della fondazione della Missione. Io fui la più giovane sposina di Luigia, avevo appena sette anni, quando, col mio regolamentare bolerino di struzzo rosa, fedele copia infantile della Maestrina (look per il quale, prima di partire da casa, ero stata presa in giro da un gruppo di ragazzetti manfani del mio quartiere, subendo la prima umiliazione della mia vita), insieme a mio fratello, fummo uniti in matrimonio con una preziosa fedina, dalla peculiare caratteristica di amplificare spiritualmente canti e preghiere, e che tutti i fedeli portavano al dito. Lo sposalizio avrebbe dovuto portarci il dono della veggenza, ma non a tutti poteva accadere, guai, infatti, a non essere spiritualmente ‘a posto’, qualora ti fossi comportato male sarebbe venuta a mancare l’assistenza spirituale e si sarebbe finiti all’inferno. Nel nostro gruppo due ‘iniziate’ gemelle, ad esempio, avevano il privilegio di vedere tutti i giorni il padreterno, mio fratello tentò di emularle varie volte ma non vedendo nulla s’inventò la visione di un raggio di luce temendo di essere da meno, mentre io pur strizzando le palpebre e impegnandomi, non seppi inventarmi neppure quello… Fra le cose che ci avrebbero allontanato da questo ‘dono’ secondo la Maestrina c’erano il portare i pantaloni e le gonne corte se femmine, il tenere gatti in casa perché essendoci l’usanza di dire che i mici hanno sette spiriti, era come tenersi sette diavoli, l’andare al mare a fare bagni, luogo proibito per via di un altro diavolo che lo abita, il trovarsi fuori di casa alle 22 ora in cui si presenta un ulteriore diavolo… delle 22 appunto, col che, se proprio costretti a essere in strada, il doversi appartare almeno fino alle 22.01 pregando e tenendo in mano il fazzolettino odoroso, onde fare passare il maligno (sì, avete capito bene, alle 22.01 il pericolo passava), il digiuno totale da non guastare dalle 24 fino alla colazione mattutina da farsi dopo la comunione spirituale, il compiere il maggior numero di preghiere quotidiane, misurandole con un apposito anello (un altro: lo Scattino) munito di macchinetta conta preghiere, al fine di raggiungere il numero di 2000 o 4000 da farsi nel più breve tempo possibile, per non essere dannati il giorno della fine del mondo, il comportarsi da buoni cristiani morigerati, il mantenere la castità (per le coppie sposatesi nella Missione), di mantenere il celibato coniugale, e unirsi al solo fine riproduttivo, essendo il sesso cosa, naturalmente, diabolica, e ancora: non si doveva sparlare e bisognava parlare solo per sé, celebrare il Natale il 15 dicembre, non frequentare persone del cosiddetto mondo (cioè tutti quelli che non erano del gruppo), non pensare di uscire dalla Missione, cosa che avrebbe portato alla dannazione eterna. Ogni settimana per controllare che non avessimo mancato, un arcigno assistente di Luigia, il severo Luciano, passava con occhio penetrante a squadrare grandi e piccoli posti in fila di fronte a lui, ponendo domande a bruciapelo tipo “Che hai fatto questa settimana? Hai frequentato persone del mondo?”. Sempre anche un suo solo sguardo bastava a provocare la confessione di qualche manchevolezza cui seguiva la punizione: un’immancabile cazziatone e il divieto assoluto di entrare nel Tempio per quel giorno, anche per chi aveva percorso chilometri per giungere alla sede e ancora tante preghiere e penitenze. Fuori nel parco, fra i pavoni, andavamo in visita all’esterno della casina di Luigia, una specie di casetta da fiaba, chiaramente falsa, con minuscoli e rosei arredi il cui interno poteva essere visitato dolo dagli “Sposi” della santa donna. Durante questi incontri che avvenivano ogni domenica pomeriggio e che comprendevano, dopo l’esame occhiuto di Luciano, due ore in assoluta immobilità, passati a recitare pater, ave e gloria e a cantare salmi protestanti e cattolici, in cui al nome di Gesù si sostituiva quello di Luigia, ci veniva detto che le stelle non sono ciò che ci dice la scienza, bensì cocchi che ci porteranno in cielo quando arriverà la nostra ora e che i prediletti possessori del ‘dono’ avrebbero avuto la possibilità di aver rivelati i messaggi della mistica Luigia (che nel frattempo, essendo del 1908, è salita su da tempo col suo carro). Fra i presenti, su due fra tutti si sono fissati i miei ricordi: la tossicchiosa e lo schiumatore… la prima ogni volta che vedeva la Maestrina non poteva trattenersi dal mettersi a tossire in continuazione, il maligno contrastandola con i catarri nel suo fervore di fedele, mentre il secondo immancabilmente s’invasava sbavando, urlando, digrignando i denti e facendo il vocione da giradischi rallentato, posseduto dal diavolo di chissà quale orario giornaliero. Tutti si doveva votare comunista, oltre le quote i proventi giungevano da vendita di corredi e maglioncini confezionati da un’anziana ciechina che abitava vicino al terribile Luciano, accettati anche polli e uova (non difficili da reperire vista la componente sociale popolare dei fedeli). A Pasqua compivamo una via crucis che per gli adulti (non per me che, essendo troppo piccola, ne ero dispensata portando in mano solo una crocina di pochi grammi), era un vero e proprio martirio, con croci grandissime e pesanti sulle spalle, per scendere a soffrire nella carbonaia del Tempio, e qui infine taccio perché troppo altro ci sarebbe da dire e lo spazio è quel che è. Com’è andata dopo la dipartita di Luigia? Come spesso vanno queste cose: nuovi maestrini e vice maestrini, e contro maestrini cacciarono nel giro di quindici giorni Luciano e le due assistenti nubili, con seguito di lite, botte da orbi e ospedale; oggi il nostro eroe officia in un garage vicino allo stadio di Pistoia. Gli altri vivono nella tenuta e solo gli eletti continuano a ricevere i preziosi messaggi di Luigia, ascolto proibito ai meno degni e del tono tipo “Vogliatevi bene”, che, come si è visto, è quel che vien fatto soprattutto appena un leader scompare. Chi fosse Luigia veramente non ho mai


saputo, tutto era segreto e mistero, su di lei, sul figlio ombra: l’enigmatico Orlando, concepito col marito giardiniere vaticano, sui collaboratori, su tutto! So solo che ancora oggi a distanza di tanti anni, dopo che, raggiunta l’età della ragione, li ho mollati insieme a mia madre pressata dalle continue richieste di denaro, resto ancora con la paura di esprimere le mie opinioni in pubblico, temo le occhiate, fatico a essere naturale e disinvolta, ma non li odio, davvero no… auguro soltanto a questi maestri di andare a farsi un bel bagno… alle 22 di sera… al mare… naturalmente. Manuela Minneci *Testo di uno dei canti sacri dedicati a Luigia Paparelli, nelle foto: un ritratto della Maestrina e collage di immagini devozionali di Luigia ad uso dei fedeli della Missione.

Lo Zodiaco di Katrame

Acquario – Notoriamente liquidi e instabili, scorrono nella vita come il rigagnolo nella pozzanghera finendo negli scarichi, recentemente sono stati privatizzati. Pesci – Puzzoni totali, specie dopo tre giorni che li si frequenta; si dividono nelle due specie boccalone e squalo, sui banchi del mercato molti i primi, i secondi il mercato lo gestiscono. Ariete – Testardo e cocciuto, batte più volte la testa sui propri errori, ma imperterrito perseverà nei suoi atteggiamenti senza ascoltar critica. Quasi fosse del PD. Toro – In realtà un bue scoglionato, noioso e prevedibile, non brilla in nulla di particolare, tira il suo banale giogo esistenziale originale come un reality show. Gemelli – Ambivalenti e contrastanti, costretti a sopportarsi tutta la vita non sanno bene cosa vogliono, specie l’uno dall’altro, cazzi loro. Cancro – Sognatore lunatico e svagato tanto che nemmeno si accorge di avere come nome del segno quello di un malaccio merdoso. Come granchio avrebbe qualche speranza di vita in più. Leone – Borioso e presuntuoso si crede indispensabile re della savana, con la progressiva desertificazione dell’Africa è in realtà reuccio del nulla come tutti i monarchi del XXI secolo. Vergine – Glaciale e pignola non si concede agli altri, possedendo la passionalità di un ghiacciolo muore come nasce, ma tiene la casa in ordine. Bilancia – Perennemente indecisi su quale piatto pendere ma amanti della giustizia al punto che, specie se diventano presidenti del consiglio, cercano di crearsene una tutta loro purché rispecchiante l’armonia estetica di questo segno un po’ fané. Scorpione – Raccapricciante ragno nero che imita malamente la forma di un innocente gamberetto. Stronzetto velenoso e mortifero ama pungere gli altri sui loro difetti, accerchiato dal nemico, si dà la morte da solo piuttosto che confrontarsi. Un disgraziato. Sagittario – Irruento e superficiale, corre a vuoto nel mondo con la sua figura di centauro dal look francamente fuori moda nell’epoca delle tute e casco integrale. Per non parlare dell’arco e delle frecce, si aggiorni. Capricorno – Cupo e introverso, passa meditabondo il suo tempo maledicendo una natura ostile che lo fece sia carne sia pesce rendendone incerta la collocazione sugli scaffali dei supermercati. Forse uno spiraglio gli si apre ora nell’era degli o.g.m.


Canape’ indiavolati ai porri Fondere a bagnomaria 75 gr. di burro con 60 gr. di parmigiano grattugiato, un pizzico di senape forte e pepe di Cajenna. Mescolare bene il tutto, ritirare dal fuoco e, dopo raffreddato, spalmare su dei croccanti crostini. Per i porri: in una notte serena d’inverno, guardando il firmamento, si contano 3 stelle dicendo: una, due, tre, verruca vien. Intanto si da un pizzico sulla pelle dove si vuol far nascere il porro, ripetere il rito 3 notti di seguito, ponendo attenzione a guardare sempre le stesse stelle, presto nascerà la verruca. Asmodeo - illustrazione popolare

Buon appetito! (N.d.R.)

Anneliese Michel Anneliese Michel nasce il 21 settembre 1952 a Leiblfing (oggi 4000 abitanti circa), a non molti chilometri da Marktl, luogo natale di Joseph Alois Ratzinger; dopo essersi sottoposta al rito dell’esorcismo per circa dieci mesi, muore il primo luglio 1976 all’età di ventiquattro anni – solo trentaquattro anni fa – a Klingenberg am Main (oggi poco più di 6000 abitanti). Spostandoci da uno di questi comuni all’altro, passando da sud-est a nord-ovest, percorriamo quasi per intero lo stato della Baviera, uno dei sedici che compongono la Germania; capitale, nonché una delle maggiori e più importanti città dell’intero stato federale, è Monaco di Baviera. Siamo nel cuore della civilissima e progredita Europa, in questa terra sono nati artisti, scienziati, liberi pensatori e liberi imprenditori che, bene o male, hanno lasciato tracce importanti nella storia degli uomini, fra questi, per esempio: Albrecht Dürer (Norimberga), genio tedesco della pittura rinascimentale, che fra un ritratto e l’altro dava immagine anche alla “Festa del Rosario” e alla leggenda dei “Diecimila martiri” del monte Ararat, l’epoca comunque quella era e i soggetti pure; Franz Von Stuck (Tettenweis), qualche secolo dopo ispira Giorgio de Chirico nella sua pittura metafisica, dipinge cosucce interessanti tipo “Lucifero” (abbastanza inquietante), “Il peccato” (sessualmente intrigante), “L’inferno” (mah…); Franz Marc (Monaco), è invece un tranquillo e interessante espressionista, comunque fra i più importanti; Richard Strauss (Monaco), che non è il cugino di quello del “Danubio Blu”, sguardo da seduttore stile Puccini da giovane con cappello, compone opere liriche degne d’ascolto; Carl Orff (Monaco), lo ricorderete sicuramente, è quello dei “Carmina Burana”, quindi, che dire? Bravo; ad Augusta nasce Brecht e, per quanto io preferisca i fratelli Giuffré, certamente qui voliamo alti; Levi Strauss, che non è Claude, l’antropologo francese, bensì quello che vendeva la salopette ai minatori americani è nato a Buttenheim, l’allegro paesello dove producono un’ottima birra intitolata a San Giorgio; Alois Alzheimer (Marktbreit), non un vecchietto demente, ma il neurologo che per primo diagnosticò la patologia; come tralasciare in fine Franz Beckenbauer (Monaco), storico giocatore del Bayern Monaco, io di calcio non capisco una mazza ma mi hanno detto che è stato uno dei migliori in assoluto. In anni recenti, quelli a noi contemporanei o che ci precedono di poco, la Baviera, anche grazie alla sua prestigiosa capitale, non si è fatta mancare nulla. A Monaco, Kurt Eisner proclama la repubblica socialista, Hitler vi risiede e qui fonda il partito nazista, prende il via “la notte dei cristalli” – com’è risaputo, un mercatino tipico di espositori veneziani! – nasce e opera il movimento detto della “Rosa Bianca”, che non è, per fortuna, quello dei centristi pezzottiani nostrani, ma quello degli studenti cristiani che credevano – poveri ingenui! – che gli intellettuali tedeschi dovessero per forza essere anti nazisti, non si erano chiesti che cosa avessero fatto questi intellettuali fino al 1942? La Baviera di oggi è, inoltre, per come si è caratterizzata dal dopoguerra, un centro economico fortemente produttivo, il settore primario è uno dei più importanti d’Europa, mentre l’industria vede la presenza di grandi gruppi come BMW e Siemens; non a caso la capitale è una delle cinque città che costituisce quello che viene definito pentagono industriale. Ancora più interessante, come si capisce immediatamente da un’occhiatina veloce, sono, però le vicende che in queste terre vengono a delinearsi


qualche secolo fa, nel corso del XVI inizia, infatti, il lungo “battibecco” europeo che, almeno con le armi, si concluderà nel secondo conflitto mondiale. Di fatti, in Sassonia – stato appiccicato per uno sputo proprio a nord-est della Baviera – nel 1517, Lutero pubblica le 95 Tesi, dando inizio alla riforma protestante. Per tutta risposta la Baviera, zona di confine, fra il vecchio che cerca di conservarsi e il nuovo che avanza, diventa il bastione della difesa cattolica, Roma invia centinaia di gesuiti, collegi per l’educazione delle giovani menti spuntano ovunque, alla fine del 1500 viene ultimata anche la Chiesa di San Michele (Monaco), fatta costruire da Guglielmo V di Wittelsbach, luogo principale da cui i cattolici fanno partire la risposta della controriforma. Insomma, ci troviamo nella principale area di frizione, o meglio, di vero e proprio scontro, in queste regioni si combatte una guerra, la scoperta del nuovo mondo e quindi una nuova economia sconvolgono equilibri secolari, ogni fazione combatte il nemico esterno e cerca di compattare il gruppo attorno a tematiche nuove, allorquando, scardinata l’ortodossia unitaria della fede, questa perde la sua funzione essenziale di collante sociale. In questo momento di transizione il diavolo si affaccia rinvigorito da ogni angolo, le streghe mandate al rogo sono migliaia, le possessioni demoniache quotidiane. Il tessuto sociale di oggi, questo risulta sempre valido, non è altro che il riflesso sbiadito degli eventi passati, resterete sconcertati nello scoprire il valore e il significato delle tradizioni religiose cui la Baviera rimane solidamente legata, molto più di quel che possiate immaginare, e forse con particolare e significativa originalità rispetto ai vari “San Giovanni Rotondo” di casa nostra. Qualcuno ci ha fatto credere che le tedesche erano tutte disinibite wurstellone emancipate, che dal finire degli anni ’50, durante le loro vacanze, sfamavano gli autoctoni maschi italici di moderna figa nordica. Poi, leggi Heinrich Böll e ti viene da pensare che stia descrivendo un’altra Germania e un’altra società. Prima di raccontarvi le due ultime cose su Anneliese, bisognerebbe fare un accenno all’epilessia, visto che l’afflizione di una tale patologia era stata diagnosticata alla ragazza, ma si sa, durante la vita due cose non bastano mai: il tempo e lo spazio, limitiamoci dunque a un accenno necessario. Oggi, è stato appurato, con maggior sicurezza, durante una crisi parziale semplice – o anche complessa, cioè con alterazione dello stato di coscienza – può avvenire effettivamente di “tutto”, con una sintomatologia multiforme che, secondo la zona cerebrale interessata, include manifestazioni a carico, non solo del sistema motorio, ma di varie funzioni cognitive, con la probabilità di sperimentare allucinazioni visive o uditive, insieme a stati di depersonalizzazione o derealizzazione. Ora, premesso quanto sopra, come nei verbali dei carabinieri, passiamo alle ultime due cose, in pratica quello che era mia intenzione comunicarvi è stato già sviscerato, parlare dell’esorcismo non era il mio fine, se v’interessa, cercatevi le informazioni e magari mettete anche alla prova ciò che ho scritto, passiamo invece alla domanda/conclusione. Il male che non è dell’osso o della carne, quello che all’uomo viene dal vivere, é di per se senza forma, come i liquidi nei contenitori, fuoriuscendo si adatta a quello che trova, quello che la società accetta e riconosce in quel momento. Una volta c’era l’isterismo, oggi ci confrontiamo con anoressia, bulimia e disturbo ossessivo-compulsivo, la “patologia del consumare”, fa quasi ridere, quella dove ti lavi le mani 432 volte al giorno, oppure non riesci a resistere all’idea di staccare il quadratino di carta igienica, consumandone tre rotoli l’ora. Ma se foste stati Anneliese, in quella società, in quei luoghi, in quel momento, come avreste sviluppato il vostro male? E se foste stati la mamma, o una zia, cosa vi sareste aspettati da lei? E come avreste reagito alle sue parole e ai suoi comportamenti? -“Mamma, vedo demoni da tutte le parti” Risposta A - “Non dire cazzate figlia mia, lo sai, te l’ha detto il dottore, è l’epilessia, e poi tu sei ansiosa, ora c’è l’università e tutto il resto, non ci pensare, esci e svagati.” Risposta B – “O Dio santissimo, creatore del cielo e della terra, bisogna chiamare subito il Vescovo …”. Ivano Algieri

Sacrificio, Tradizioni, Magia, Ataviche credenze - “Tabu” Intervista a:

AMAURY CAMBUZAT – The sorcerer (Acid Cobra Records, 2010) Amaury Cambuzat è l’anima della band francese Ulan Bator. Negli anni si è ritagliato uno spazio importante nel panorama indipendente europeo, dando nuovi spunti di creatività al Post-Rock e fondando una delle etichette discografiche più interessanti in circolazione, la Acid Cobra Records. Dopo l’uscita del nuovo disco degli Ulan Bator, “Tohu-Bohu”, che lo vede protagonista insieme a James Johnston (Bad Seeds, Gallon Drunk) nei tentacoli del Kraut in perfetto stile Faust e sperimentazioni No-Wave della New York


dei primi anni ottanta, Amaury dà alle stampe il suo primo disco solista, “The sorcerer”, colonna sonora del film muto, “Tabù. A story of the South Seas” di Friedrich Wilhelm Murnau del 1931. “The sorcerer” è stato una vera e propria scoperta per gli amanti delle sonorità claustrofobiche degli Ulan Bator, una redenzione ultra estremista verso la ‘luce’ di Amaury, che lo vede unico protagonista fra ritmi tribali e atmosfere mistiche immergendosi a pieno nella comunità polinesiana dove è ambientato il film. Un vero e proprio “sacrificio” da parte dello stregone Amaury, a cui poniamo alcune domande molto personali. 1) Il tuo primo disco solista, “The sorcerer”, è la colonna sonora di un film muto, “Tabù. A story of the South Seas” di Murnau. Perchè questa scelta, qual è stata la scintilla scatenante? Ho provato molte volte a lavorare su un progetto solista, da circa dieci anni. Mi sono sempre trovato in difficoltà, soprattutto perchè quello che registravo era troppo simile a Ulan Bator e quindi non aveva un gran senso artistico. Tutto ciò nasce da un motivo ben preciso, essendo io totalmente libero con il gruppo dal punto di vista compositivo, non provavo realmente né il bisogno né la fretta ad esprimermi con un progetto parallelo solista. Due anni fa ho deciso di preparare un “set live da solo” e mi sono trovato di fronte alle stesse dinamiche, gli stessi problemi: suonare Ulan Bator acustico. Per me non aveva senso, quindi ho pensato di preparare un cine-concerto, ovvero comporre una musica originale per un film muto e suonarla dal vivo con la proiezione del film alle mie spalle. Avevo già avuto un’esperienza del genere nei Faust, con il film “Nosferatu” di Murnau e, quindi, ho avuto il desiderio di ripetere l’esperienza con un altro film di Murnau: “Tabù”, che mi sembrava più adatto alla mia sensibilità artistica, meno dark, più romantico, in fondo tragico. Dopo alcune rappresentazione dal vivo, ho deciso di farne un disco, una colonna sonora che possa funzionare anche senza le immagini del film. Il risultato credo abbia un senso solo perché suona diverso dalla musica degli Ulan Bator. 2) Sacrificio, Tradizioni, Magia, Ataviche credenze; “Tabù” a suo modo affronta questi argomenti... come si rapporta l’uomo post-moderno con il divino? Io personalmente sono stato fin troppo mistico, fin dal momento in cui ho avuto un’esperienza terribilmente forte e negativa da quel punto di vista. Non è per caso che ho scelto d’ispirarmi a “Tabù” appena uscito da questa esperienza, per “esorcizzare” i miei fantasmi, per farla finita con le mie superstizioni che spesso hanno un’influenza negativa sulla vita. Oggi non sono più superstizioso e penso che tutto ciò che ha una relazione con il “credere” faccia parte del lato schizofrenico più o meno sviluppato in ognuno di noi. Siamo in un periodo difficile, dove la religione risiede in un posto fondamentale della nostra società. Più c’è ignoranza, più c’è religione. Siamo al medioevo dei tempi moderni. Credo che le religioni esistano grazie alle nostre paure più intime. 3) In cosa credi? Sono agnostico. Ateo no, semplicemente perché essere sicuro che nulla esiste mi fa lo stesso effetto di chi ne impone o ne garantisce l’esistenza. Razionalmente credo nella natura ma, se mi devo fare domande più profonde, vado a farmi domande sulla percezione delle cose, non sappiamo molto del cervello umano, posso anche immaginare che tutto finisca a noi stessi, che tutto sia pensato o visto in un modo umano perché siamo programmati come dei computer, così in quel modo. Che nulla esista o tutto, ma all’interno di ognuno di noi. Che ogni piccola materia abbia il suo universo, ogni forma di vita veda il mondo con i propri sensi e che le domande finiscano dove finiscono le capacità intellettuali. La natura ci ha fatto così, ma noi continuiamo a parlare di perfezione. È stato tutto casuale. Vediamo solo quello che vogliamo vedere. Siamo infinitamente minuscoli o grandi, siamo perfetti ai nostri occhi oppure mostruosi, intelligentissimi o su una strada sbagliata e strettamente stupida. Il pensiero finisce dove termina l’uomo. Anche se il nostro pianeta finisce, sarà triste per noi esseri umani, ma, alla fine, cosa cambierà? È negativo? È positivo ? Credo nell’istinto. Facciamo delle cose perché le dobbiamo fare, come fanno gli animali senza avere per forza un perché. La nostra cultura, la società ci spinge a farle, c’influenza e diventa la nostra sopravvivenza, ma credo che tranne il divertimento non ci sia nessun grande compito mistico per noi uomini. Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco


CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 ONAN IL BARBARO pag.3 L’ESPERIENZA DEL SACRO E DELLA MAGIA... pag.4 ALZA GLI OCCHI AL CIELO E...SPARA ALLA LUNA pag.5 NEW AGE - UNO SGUARDO CRITICO pag.6 PESCI ESOTICI IN UN ACQUARIO DI LUSSO pag.7 DIA\BOLOS DIA\LOGOS pag.9 SONO STATA SPOSATA ALLA MAESTRINA pag.10 LO ZODIACO DI KATRAME pag.12 CANAPE’ INDISAVOLATI AI PORRI pag.13 ANNELIESE MICHEL pag.13 “SACRIFICIO, TRADIZIONI, MAGIA, ATAVICHE CREDENZE - “TABU” pag.14

MARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°7 - Anno II Autunno 2010 Rivista aperiodica di cultura e società. Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Ivano Algieri Luciana Bonaccorsi Massimo De Micco Guru, Katrame Consuelo Lorenzi Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (raffaelevella@hotmail.it) Fotografia Raffaella Milo (raffaella.milo@alice.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco …..

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