PeriodicoMARCO 2013 Distribuzione Gratuita
Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo
Autogestione Indipendenza Altroconsumo Microcredito Autorecupero Descolarizzazione Autoproduzione
Anno 5/ N째1
R E D A Z I O N A L E “Autogestione…. Autogestione… ah già, ogni anno gli studenti occupano le scuole! Fumano, bevono, fanno sesso… una perdita di tempo”. Così pensano i conservatori… i progressisti sono più benevoli “In fondo i giovani hanno diritto a fare un po’ di casino…” e ricordano nostalgici le loro occupazioni. Tra questi alcuni riconoscono il valore effettivo dell’esperienza. D’altro canto gli idealisti, gli intellettuali, collocano la parola autogestione nell’”Utopia”, le grandi Rivoluzioni, l’Anarchia, le ideologie libertarie. AL DI FUORI DEL TEMPO E DELLO SPAZIO. Se parliamo di autogestione ci lasciamo coinvolgere, poi torniamo ai nostri quotidiani contratti, alle nostre quotidiane dipendenze. La redazione del Periodico Marco ha scelto di far atterrare il sogno, evitando di identificarsi nei luoghi
comuni, evitando altresì di addentrarsi in analisi e discussioni teoriche, ha perciò raccolto e descritto esempi diversi e concreti di autogestione alcuni dei quali a noi territorialmente vicini. Senza la pretesa di esaurire l’argomento peraltro ampio, abbiamo aperto una, seppur piccola, finestra su alcune tangibili esperienze di autogestione e sui suoi ulteriori e possibili scenari. Nel presente fascicolo dopo un breve sguardo storico alle passate esperienze, incontreremo diverse realtà auto gestionali contemporanee al fine di mostrare una gamma la più possibile vasta dell’applicazione di tale principio ai vari settori della società: dall’industria all’artigianato, dalla spesa di casa al microcredito, da forme alternative di scambio a esempi esteri, dall’uso di spazi abbandonati all’organizzazione di ambulatori popolari, dall’educazione
dell’infanzia alla realizzazione di un’università fino all’opportunità di autoproduzione artistica e culturale resa possibile dalle potenzialità della rete. Non si è preteso qui di essere esaustivi ma siamo certi che, in periodo di grave crisi del capitalismo, per qualche lettore forse rappresenteremo lo stimolo a immaginare e soprattutto tentare di realizzare qualche nuovo tipo di progetto sociale. Ricordiamo il nostro sito dove è possibile scaricare tutti i numeri precedenti e dove troverete il blog di discussione per dire la vostra w w w. p e r i o d i c o m a r c o . i t
Autogestione di ieri... Ucraina - La Machnovščina, All’epoca della Rivoluzione Russa, in Ucraina l’anarchico Nestor Machno crea per la prima volta nella storia un tentativo di applicazione su larga scala dei principi del comunismo libertario anarchico. Essendo allora l’Ucraina un paese a stragrande maggioranza contadina, il punto centrale di questo modello economico instaurato da Machno e dai suoi compagni ebbe come riferimento la terra. Molti contadini aderirono agli ideali anarchici, il bracciantato agricolo, affamato di terre, ricevette da Machno e dai suoi anarchici i latifondi espropriati ai grandi proprietari, le collettività contadine locali vissero, per la prima volta, l’esperienza dell’autogestione auto-organizzandosi in comuni o soviet del lavoro indipendenti e coltivarono in comune la terra senza che occorresse un ordine da una autorità centrale. Ne risultò un sistema estremamente egualitario dove il soviet era solo uno strumento organizzativo che metteva in relazione le cooperative contadine. Il sistema bolscevico non riuscì a penetrare in tale struttura: le singole unità produttive erano infatti fra loro interagenti, sia a livello locale, distrettuale, che regionale. Questo modello portò inevitabilmente allo scontro armato anarchici e bolscevichi con il risultato della sconfitta dei primi e dell’esilio di Machno che morì a Parigi nel 1935 ignorato ingiustamente dalla Storia ufficiale. Spagna 1938 -–L’esperienza dell’autogestione non avrebbe potuto dare risultati se non fosse stata economicamente positiva. E il suo valore risultava dal fatto che nell’agricoltura le terre erano totalmente coltivate, con macchine, con fertilizzanti, selezione delle piante, degli animali, ecc., tutte cose nuove per l’epoca. Nell’industria, le condizioni igieniche, di lavoro, di salario, erano state profondamente migliorate. In entrambi i casi, la pensione era accordata a sessant’anni e le cure mediche erano praticamente gratuite. I lavoratori organizzavano la base stessa del loro lavoro, sceglievano i loro delegati e manifestavano chiaramente il loro disaccordo. Grossissimo rilievo ebbero le capacità di cui diedero prova i lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, analfabeti come letterati, quadri e manovalanza, in una struttura che faceva appello alle loro responsabilità, alla loro autonoma emancipazione. Jugoslavia - L’autogestione, all’inizio sintetizzata in modo elementare nello slogan “le fabbriche ai lavoratori” (che risale al Cartismo britannico), nacque in opposizione netta al sistema centralistico-statale esportato dallo stalinismo ma ignorando il filone autogestionario dell’anarchismo. L’originalità dell’idea jugoslava, e il distanziamento dal centralismo sovietico, stavano nel concetto di socializzazione dei mezzi di produzione. La dottrina sovietica riteneva che tale socializzazione fosse avvenuta con la conquista dei mezzi di produzione da parte dello Stato socialista, mente la dottrina jugoslava rovesciava questa impostazione: pur non negando il carattere sociale della proprietà nazionalizzata, la considerava una forma rozza di socializzazione perché ancora una proprietà sociale indiretta dove tutto era gestito da uno Stato che agiva in nome dei lavoratori, pur mantenendo il concetto di lavoro salariato, e che fungendo da datore di lavoro. Dal 1950 l’autogestione rappresentò il complesso cammino - ideologico, giuridico, politico, aziendale - che doveva rispondere a due esigenze fondamentali: cambiare i rapporti sociali e costruire una società diversa dal modello sovietico per cui la gestione della produzione doveva essere compiuta direttamente dalla classe operaia e non solo in nome della stessa. Oggi, dopo lo smembramento del Paese, col vorace processo di appropriazione e rapina delle aziende pubbliche da parte dei magnati esteri, gli operai comproprietari delle aziende che si vorrebbero svendere, hanno ottenuto dopo anni di lotte la piena autogestione di fabbriche come la farmaceutica Jugorermedija, la ferroviaria Sinvoz e l’alimentare Bek. Tanti altri esempi storici si potrebbero fare: dall’autogestione dei consigli di fabbrica cecoslovacchi ispirata da Ota Sik, alle lotte della LIP, fabbrica di orologi di Basançon, alla miniera inglese di Tower Colliery, come ai filosofi che hanno pensato alle varie Utopie e Città del sole o ‘bolo’bolo, ai comunardi parigini, come ai realizzatori di comunità del tipo Freedom, Skelton o Christiania, a tutti i liberi spiriti come Francisco Ferrer, Ivan Illich, Henry Thoreau, agli Elfi dei boschi come agli squatters delle città ma questa è storia attuale. N.d.R
...e di oggi! lavorare senza padroni In questo periodo di crisi economica e sociale, mi ha incuriosita molto un’intervista ascoltata alla radio, della giovane autrice del libro “Lavorare senza padroni”, Elvira Corona. Così per capirne di più l’ho contattata per trattare meglio l’argomento sull’autogestione dei lavoratori nelle fabbriche argentine e capire se anche in Italia è possibile importare questo modello di autogestione. Ringrazio Elvira Corona per la sua disponibilità e per il tempo che mi ha dedicato. Da dove nasce l’idea di raccontare in un libro queste storie di autogestione delle Ert (Empresas recuperadas por sus trabajadores)? - L’idea nasce dopo un incontro fortuito con alcuni lavoratori dell’Hotel Bauen a Buenos Aires nel 2008, quando mi trovavo nella capitale Argentina per un altro lavoro. Avevo sentito parlare delle fabbriche recuperate e avevo visto il documentario di Naomi Klein ma poi non avevo sentito più nulla. Al Bauen invece mi dissero che la loro non era l’unica esperienza funzionante nel paese, ma che erano oltre 200 e tutte in piena attività. A mio rientro in Italia, e vista la situazione drammatica del lavoro sopratutto nella mia Sardegna, con aziende che chiudevano e continuano a chiudere, ho pensato che poteva essere interessante capire come queste esperienze avessero potuto funzionare. Così a gennaio del 2011, pochi giorni dopo il referendum di Mirafiori, partivo per questo reportage. Che cosa sono le Ert e quali sono i principi o valori fondamentali dalla loro autogestione da parte dei lavoratori? - ERT è l’acronimo spagnolo di Empresas Recuperadas por sus Trabajadores (imprese recuperate dai propri lavoratori). I principi che sono alla base di queste esperienze sono senza dubbio la solidarietà tra i lavoratori (ma anche con il resto della comunità) e la centralità dell’assemblea nelle decisioni che riguardano la gestione dell’azienda. Durante la crisi del 2001 i lavoratori durante i periodi più duri, le occupazioni delle fabbriche, gli sgomberi della polizia sono stati aiutati anche dai comuni cittadini, la cosiddetta società civile argentina, che ha legittimato le lotte di questi operai e molti di quegli stessi operai, ora che la situazione è più tranquilla, hanno deciso di mettere a disposizione le fabbriche anche per altre attività, culturali, ricreative aprendo così questi spazi “di lavoro” alla comunità. La modalità assembleare è stata scelta anche per la grande sfiducia nei confronti dei “padroni” che per la maggior parte avevano fatto fallire le imprese in maniera fraudolenta. Con l’assemblea i lavoratori sono certi di avere sempre la situazione sotto controllo mentre prima da un giorno all’altro poteva sempre succedere che qualcuno li licenziasse. L’assemblea è stata centrale non solo all’interno delle imprese, ma anche nei quartieri, nelle aggregazioni di persone che dovevano comunque trovare delle soluzioni per la sopravvivenza alla dura crisi. Come riescono queste imprese a essere presenti sul mercato? - Queste aziende hanno continuato l’attività messa in piedi dai proprietari grazie alla solidarietà delle comunità vicine a loro, quindi sono scattati anche meccanismi di scelte consapevoli, molti consumatori preferiscono acquistare i prodotti o i servizi di queste imprese per scelta, per sostenerli, anche se a volte sono un po’ più costosi. Loro raccontano anche che possono stare sul mercato (anche se a volte con difficoltà) perché il loro obiettivo non è il profitto come per la maggior parte delle imprese di un sistema capitalista ma loro obiettivo principale è mantenere il posto di lavoro e quando possibile aumentare le possibilità di lavoro per altre persone. Facendo una comparazione tra Argentina e Italia, pur con tutte le differenze economiche, geografiche, politiche ecc, è possibile per i lavoratori italiani ispirarsi a questi modelli di autogestione? Conosci alcuni casi che si sono verificati in Italia? - In alcuni casi penso proprio di sì. Quando per esempio si chiudono aziende non tanto perché non c’è mercato o gli affari vanno male, quanto per delocalizzare la produzione in zone dove il lavoro costa meno o si pagano meno tasse. O quando ci sono proprietari irresponsabili che giocano con le aziende per travasare denaro ad altre società, senza curarsi del destino dei lavoratori. In Italia ci sono alcune esperienze che stanno tentando di continuare a lavorare costituendosi in cooperative, una di queste esperienze è quella dei lavoratori dei Cantieri Navali di Trapani, persone coraggiosissime che hanno deciso di mantenere il loro lavoro mettendosi però contro i poteri forti e una burocrazia infinita che farebbe desistere chiunque. Francesca Scaramozzino
Autogestione bevendosi un caffe... Molti di noi arrabbiati e disgustati da ciò che siamo costretti a vivere, a subire, a vedere in questa nostra società, hanno cercato di studiare e architettare modi per uscire da questo meccanismo, allontanandosi dai ruoli passivi già impostati da altri, per riprendersi in mano il diritto di pensare la propria vita, partire da questa per gettare le basi per una società altra, più giusta, senza sfruttamento. Forse alcune idee ci sono venute, tra le più efficaci probabilmente, quelle d’impronta rivoluzionaria, che passano dal completo scardinamento dei principi fondanti di questa società: ricominciare tutto e tutti insieme. Bene, credo che queste idee non siano affatto da abbandonare, ma da tenere sempre ben vive e salde nelle nostre prolifiche menti, cercando i modi, i tempi e aspettando le stagioni adatte, continuando il duro lavoro della lotta. Ma allora, nella nostra quotidianità, l’unica soluzione possibile è quella dell’adattamento, assumendo un ruolo costituito nella società che ci garantisce un reddito (non sempre, ultimamente sempre meno) e condurre parallelamente le lotte, cercando eventualmente di intrecciare quando possibile i due mondi di per se assai lontani e separati, oppure si può provare a fare qualche passo in più, andando a sperimentare direttamente sul come ottenere il famigerato reddito per la sopravvivenza? Credo sia interessante porci questa domanda, analizzare l’alternativa di aprirsi nuove strade di sussistenza e di crescita che escano dai parametri del lavoro salariato, che permettano la sperimentazione autogestionaria. Senz’altro sono interessanti alcune esperienze fatte in questo senso in giro per l’Italia e il resto del mondo. Ne voglio citare una incontrata già da anni attraverso alcuni militanti anarcosindacalisti dell’USI-AIT: il caffè Malatesta. Ho assaggiato questo caffè per la prima volta nel 2010, anno di nascita di questo progetto e mi piacque, forse per quel nome che porta, mi piacque ancor di più del caffè Rebeldia, prodotto ad Amburgo da una cooperativa legata al sindacalismo autogestionario. 2010 dicevamo, anno in cui un gruppo di disoccupati, precari, studenti di Lecco, decide di organizzarsi per rimettere in piedi una vecchia torrefazione in disuso, imparando il mestiere di tostare il caffè e uscendo dal vortice della precarietà totale e dello sfruttamento. Sfruttamento da cui decidono di far uscire anche i produttori di caffè, strangolati dalle multinazionali e ridotti quasi sempre in condizioni di indigenza assoluta, costruendo anche una rete diretta di appoggio alle cooperative zapatistite del Chapas e alle popolazioni che da anni lottano per la loro libertà.Il progetto riesce e funziona, decide di assumere una veste ufficiale cooperativistica, cooperativa di compagni, dove l’idea del rispetto delle per-
sone e dell’ambiente possa conciliarsi con i progetti di mutuo appoggio e solidarietà internazionale. La piccola torrefazione dà lavoro a circa una decina di giovani per i quali questa attività costituisce la fonte di reddito di sussistenza. Il caffè sta e sceglie di stare al di fuori dal circuito ufficiale del Commercio Equo e Solidale, che dietro un marchio pieno di “buone intenzioni”, cela un sistema di produzione industriale, denso di marketing e pubblicità, poco rispetto per i piccoli coltivatori e molto altro di peggio. Non servono molte altre parole per descrivere l’idea, che non siano quelle dei cinque punti fondanti su cui questa è nato e che riporto di seguito: 1. Creazione di reddito da lavoro manuale e intellettuale e in nessun caso di profitti o introiti incoerenti con la partecipazione e l’impegno al progetto collettivo. 2. Lavorazione di caffè prodotte in condizioni lavorative e sociali dignitose, con particolare attenzione alle piccole realtà prive di accesso alla certificazione internazionale FairTrade. 3. Lavorazione di materie prime prodotte nel rispetto dell’ambiente e del territorio con metodi di coltivazione biologica, ricercando rapporti di fiducia con piccoli produttori privi di accesso alla certificazione riconosciuta Organic/Bio. 4. Condivisione comune, mediante una costante pratica assembleare, delle scelte e dei percorsi che il progetto intraprenderà, rifiutando la formazione di dinamiche verticistiche e autoritarie. 5. Costante ricerca di confronto e scambio con le realtà che intendono promuovere la cultura e la pratica della solidarietà, del mutualismo e dell’autogestione. Chiaramente è bene sempre ricordarsi che comunque i giusti e corretti valori che vi sono dietro, un nuovo modo di intendere il lavoro, la gestione del tempo e delle merci, il metodo assembleare, ecc... questa esperienza è costretta, suo malgrado e malgrado tutti coloro che ci partecipano, a scontrarsi con il mercato, il denaro, i prezzi, le burocrazie, l’economicità della gestione. E questo non è davvero poco.
Simone Malatesta
Educare all’autogestione
La parola autonomia deriva dal prefisso greco autos (da sé) e dal termine nomos (ordine); significa la capacità di governarsi sulla base di leggi proprie interiorizzate e dovrebbe essere l’obiettivo dell’educazione. Di certo l’autonomia era il fine della socratica ‘ars maieutica’ che attraverso abili domande aiutava l’interlocutore a mettere in luce il suo pensiero e (per dirla con l’educatore Leo Buscaglia) a essere se stesso. Il verbo educare (dal lat. ducere o forse più correttamente dal sumero Edu Ba casa del libro) implica nell’etimologia oggi più accettata tutt’altro significato: formare con l’insegnamento e con l’esempio il carattere e la personalità di qualcuno specie dei giovani, sviluppandone le facoltà intellettuali e le qualità morali secondo ‘determinati principi’. Così obbedienza e omologazione a un modello comportamentale unico, funzionante al mantenimento dei sistemi sociali precostituiti, sono i motivi conduttori dell’educazione tradizionale. Non a caso un bambino scolasticamente incapace viene volgarmente detto ‘ciuco’, ‘somaro’, ‘asino’. Eppure l’asino è più intelligente del cavallo… solo che, guarda un po’, non è obbediente! D’altronde il contratto sociale è necessario nella misura in cui gli individui sono incapaci di autonomia e i popoli di autogestione. Tuttavia il filo rosso dell’educazione alternativa risulta storicamente rintracciabile, il nostro stesso linguaggio sembra derivare dal sistema di segnali sonori elaborati nella preistoria per aiutarsi nella caccia collettiva. Se avessimo il coraggio di fare giocare liberamente un gruppo di bambini potremmo verificare che, seppure con difficoltà, alla fine riuscirebbero a trovare da soli le regole più funzionali alla loro convivenza. Al contrario la maggior parte delle regole vigenti, più o meno codificate, sono state elaborate da un’elite e sono funzionali alla conservazione e alla riproduzione della medesima. Per questo l’educazione alternativa non trasmette regole preconfezionate, ma promuove l’autoregolamentazione finalizzata alle reali esigenze del gruppo. Su questa falsariga a partire dalla scuola di Jasnaja Poljana fondata nel 1859 dal Lev Tolstoj, dall’Escuela moderna di Francisco Ferrer a cavallo fra Otto e Novecento e dalla più recente Summerhill fondata in Inghilterra nel 1921 da Alexander Neill, sono nate in varie parti del mondo scuole denominate democratiche, i cui principi fondanti sono: le lezioni come scelta; la costruzione di regole condivise; l’assenza di voti, insegnanti non specificatamente formati; l’autofinanziamento. In Italia le scuole democratiche si sono diffuse soprattutto nel presente secolo, segnaliamo tra queste: dal 2004 Kiskano a Verona e il gruppo scuola familiare Rosà di Bassano del Grappa, dal 2010 Scuola senza scuola a Udine e Scuola Libera Etnea e dal 2011 Passo x passo a Bagno a Ripoli alle porte di Firenze. Facendo un salto indietro nel tempo è stata degna di nota l’esperienza realizzata dal Comune di Firenze negli anni ’70, permeata dei valori affermati dal movimento del ’68. L’Assessorato alla Pub-
blica Istruzione trasformò i ‘doposcuola’ di stampo assistenziale rivolti ai bambini più poveri, in ‘educatorio’ e quindi in scuola ‘integrata’. Era una specie di tempo pieno in cui insegnanti comunali e statali interagivano e inoltre apportavano evidenti innovazioni. La programmazione collettiva, insieme alla condivisione dei problemi e dei successi, l’eliminazione dei voti sostituiti da valutazioni globali, per altro sostenuta da una legge ad hoc, l’introduzione di attività integrative, l’integrazione nelle classi dei bambini con difficoltà o disagiati tramite l’insegnante di sostegno e con una sensibilità diversa dall’insegnante di classe, laboratori d’interclasse, aggiornamento costante e autocritico dei maestri, l’intervento di operatori esterni, la messa in discussione della bocciatura, il dialogo effettivo con i genitori, il rapporto con il territorio, la contestualizzazione dello scolaro che implicava l’osservazione globale del bambino e della sua famiglia, l’accettazione di ciò che il bambino era in grado di dare, l’utilizzo di strumenti tecnici alternativi, il vivere la scuola come comunità aperta all’esterno. L’esperienza si concluse ai primi degli anni ’80 non senza conflitti sindacali allorché il ‘tempo pieno’ gestito da soli insegnanti statali si confermò e si estese. Gli insegnanti comunali furono riciclati in altri uffici e la scuola tornò a funzionare in modo tradizionale. Infine vogliamo ricordare il noto saggio di Ivan Illich “Descolarizzare la società” (1979), nel quale l’autore afferma che anche le scuole alternative sono l’altra faccia della medesima medaglia e propone l’azzeramento di ogni sistema scolastico, affidando l’educazione all’esperienza di vita, liberando l’accesso alle cose, alla trasmissione delle capacità, alle risorse critiche e creative, l’individuo dalla necessità di adattarsi ai servizi offerti dai professionisti. Laura Turchi
Escuela “Emiliano Zapata” - Ixmiquilpan, Messico 2013 - Ph. Enzo Navacchia
Autogestione a tre anni Paola impegnata in una scuola familiare autogestita nel Mugello risponde alle nostre domande Comunemente si crede che la legge italiana obblighi i bambini ad andare a scuola. Invece stabilisce che tutti i bambini devono ricevere una educazione, non che tutti devono riceverla obbligatoriamente a scuola. Si può studiare anche in altro modo. Voi come vi siete organizzati? - Esatto! La legge, contrariamente al pensiero comune, obbliga all’istruzione non alla scolarizzazione, ovvero i genitori sono obbligati a farsi carico dell’istruzione dei propri figli e devono ovviamente dimostrarlo. Il nostro però è un caso un po’ diverso in quanto la nostra è una scuola famigliare ma per bambini dai tre ai sei anni, quindi non ancora in età scolastica. Esistono altri esempi di questo genere come la scuola Passo per Passo che si trova vicino Rosano (Firenze Sud) dove ci sono bambini dai tre ai tredici anni (dalla scuola materna alle medie)... La nostra scuola è molto incentrata sul contatto con la natura. Gran parte delle attività si svolgono all’aperto: i bambini fanno l’orto, passeggiate, sono a contatto con gli animali. Sono seguiti dai genitori e da un’educatrice che collabora con noi. Molte delle attività si fanno con materiali provenienti dal Centro Re Mida di Borgo S. Lorenzo (ovvero un centro di raccolta di materiali gettati da aziende e a cui i bambini danno nuova vita) si tratta principalmente di carta, cartone, legno, sughero, lana, creta etc. Una volta la settimana viene fatta una piccola “gita” in genere per conoscere persone o attività dove si usano le mani: il mugnaio del mulino a pietra, il pittore, il tessitore, il vasaio, il frantoio etc. Stiamo facendo un percorso della lana, ovvero i bambini hanno visto come dalla lana delle pecore, si crea un tessuto e quindi la lana si può cardare, filare, tingere e infine tessere con un piccolo telaio rudimentale da noi realizzato... e hanno potuto fare tutti questi passaggi direttamente. Inoltre una volta la settimana i bambini cucinano piatti a loro scelta. Negli altri giorni i pasti (la merenda e il pranzo) sono preparati a turno dai genitori. I bambini mangiano cibi vegetariani e biologici, non perché tutti siano vegetariani, ma per consentire loro di mangiare la carne a casa in famiglia e poter mangiare più verdura e frutta a scuola. Perché avete fatto questa scelta? - Quali sono i principi che vi ispirano e le esigenze da cui partite?Abbiamo fatto questa scelta perché crediamo che i bambini abbiamo innanzitutto bisogno di essere accolti e ascoltati soprattutto in questa fase di età dando molto spazio alle loro emozioni, cercando di ACCOMPAGNARLI in questo cammino di crescita e non dirigerli perché ogni bambino ha una saggezza e deve essere soprattutto osservato, spesso andando oltre l’apparenza, per capire le sue predisposizioni, emozioni, paure etc. Quali metodi pedagogici applicate? - L’idea si ispira agli asili nel bosco nati nei paesi scandinavi, ma da un punto di vista pedagogico ci ispiriamo molto al metodo Montessori e ai principi della scuola democratica. Raccontateci un giorno di scuola da voi! - La scuola inizia alle 9 i bambini vengono accolti chiedendo loro qual è il loro umore, se sono felici o un po’ tristi, poi nella loro stanza hanno a disposizione materiali diversi, anche alcuni materiali montessori realizzati dai genitori e possono scegliere il materiale che preferiscono o seguire un’attività proposta. A metà mattinata viene fatta una merenda anche all’aperto. Una parte della mattina è sempre dedicata a un’attività all’aria aperta che può essere una passeggiata, l’orto o il contatto con gli animali. Viene inoltre dato spazio al canto, alla musica e alla danza e a quelle attività che richiedono un po’ di contatto fisico. I bambini che voi seguite vivono in un’isola felice o riescono ad avere presente la società nel suo complesso? - Per evitare una sorta di isolamento dei bambini abbiamo introdotto le “gite” settimanali, tra cui presto vorremmo fare una gita a un centro di accoglienza per famiglie di migranti che ospita anche tanti bambini. Pensiamo che i nostri bambini, anche se ancora piccoli, siano ben consapevoli che il mondo non sia un’isola felice... basta fare una passeggiata in città con loro, che sono dei veri osservatori, per sentirsi fare domande di ogni genere sulle situazioni che vedono... ma nonostante questo sanno che esiste anche altro, che volendo si può creare una realtà migliore in cui vivere. Massimo De Micco
Note sulla Libera Università Popolare Alfredo Bicchierini di Livorno La L.U.P.A.B. ha sede nei locali dell’Associazione Don Nesi, ma niente paura: l’ambiente è tutt’altro che clericale, la prima pubblicazione che vediamo, su una panca, è il giornale di una caserma occupata lì vicino. Del resto, siamo in Corea, questo è il nome che dettero negli anni sessanta a questo gruppo di case popolari all’estrema periferia di Livorno, dopo il cimitero. Sciangai e Corea, le zone più rosse di una città rossa che tuttavia, inserita a pieno in un sistema capitalistico, non poteva non produrre emarginazione e povertà. In questo quartiere si davano da fare il prete venuto da Firenze, a cui hanno intitolato l’associazione e un portuale colto e impegnato, Alfredo Bicchierini. Un suo amico, Franco, che incontriamo per caso mentre viene a iscriversi a un corso, ne tratteggia la traiettoria politica e personale: uscito dal PC aderisce al Manifesto, poi a DP e anche qui è minoranza nella minoranza, lui operaio non va d’accordo con Capanna e gli altri, studenti e intellettuali. A Livorno organizza mobilitazioni contro il militarismo e la guerra in Kosovo, segue i giovani in anni difficilissimi, in cui sembra che l’impegno e la cultura siano il retaggio di un lontano passato, roba da Corea del Nord, appunto, e porta avanti con loro momenti di approfondimento su temi di scottante attualità. Un altro incontro casuale ci permette di capire meglio chi è stato Bicchierini per Livorno e cosa è Corea: arriva in bicicletta un bel vecchio, che una volta era il parroco e ora si impegna da laico in una associazione culturale. Cantieri dappertutto: stanno ricostruendo Corea e di quello che ha visto Bicchierini restano solo gli spazi della Libera Università e poche case, presto rifaranno anche quello. Chi ricorda Alfredo ha pensato che questa libera università è l’ideale proseguimento del suo impegno. Stefano, animatore quarantenne, è tra questi. Ci spiega che la L.U.P.A.B. è attiva da quattro anni: chi non ha fatto un corso di studi regolari o ha studiato altro può imparare una lingua, conoscere meglio il computer e studiare filosofia, sociologia, ecologia, storia locale, video editing, photo shop, geografia economica e politica, benessere psicofisico, critica della salute mentale, sociologia dell’immigrazione, metodologia della ricerca, gestione dei rifiuti (corso di formazione). Ogni anno si tengono tre cicli di corsi, uno parte a settembre, uno a gennaio e uno ad aprile, oltre a incontri a carattere seminariale. I corsi sono gratuiti, per la frequenza è richiesta soltanto l’iscrizione annua all’associazione (10 €).
Per informazioni si può scrivere a libunivlivorno@gmail.com oppure consultare il sito web http://liberauniversitapopolare.wordpress.com. In Italia c’è una magnifica storia di università popolari, ma come notava il grande pedagogista Francesco Maria De Sanctis, questa storia è finita quando se ne sono interessate le istituzioni. La L.U.P.A.B. ancora non si è istituzionalizzata, chi ce ne parla è “fuori”, o è un “ex”. Lunga vita alla libera università e cattiva digestione alle istituzioni che pensano di papparsela. Massimo De Micco e Maria Sabato
AMP - La salute vien lottando Che cosa è l’Ambulatorio Medico Popolare? - L’Ambulatorio Medico Popolare (AMP) è un’associazione legalmente riconosciuta, autogestita e autofinanziata che ha iniziato la sua attività in difesa del diritto alla salute nel giugno 1994. Trova sede in alcuni spazi della casa occupata in via dei Transiti 28 a Milano, ristrutturati e attrezzati grazie ad una vasta campagna di sottoscrizione popolare. In questo contesto d’impoverimento neoliberista l’Amp rimane un luogo dove praticare un’idea differente di diritto alla salute, coniugando un’attività concreta di intervento sanitario con una battaglia politica più generale di trasformazione sociale. Un luogo in cui la visita medica abbia un ruolo di comunicazione e non di pura osservazione, un tentativo di unire il concetto di cura e di prevenzione con la denuncia degli abusi di una sanità permeata di profitti, inaccessibile per i poveri ma a misura di ricchi e di assicurazioni private. Le carenze e le inadempienze istituzionali nei confronti degli immigrati hanno portato col tempo a legare l’attività dell’Amp prevalentemente alle richieste della popolazione migrante. Quali attività svolgete in campo pratico e, soprattutto, in quello politico? - L’AMP offre visite mediche di base gratuite a chi non può accedere al servizio sanitario pubblico. L’ambulatorio medico è aperto due pomeriggi la settimana, con medici e operatori che svolgono la loro attività a titolo volontario. Agli utenti dell’AMP non vengono richiesti soldi, iscrizioni, documenti o permessi di soggiorno. Una volta il mese c’è sportello legale, per consulenze gratuite su cause di lavoro, negazione dei diritti sanitari, espulsioni, sanatoria truffa. La consultoria autogestita, uno spazio riservato per le donne dove trovare informazioni e assistenza per aborto, problemi ginecologici, contraccezione, gravidanza e parto, è aperta due pomeriggi il mese, la ginecologa è presente due mattine il mese. Il mercoledì pomeriggio è aperto lo sportello del Telefono Viola contro gli abusi psichiatrici. Oltre all’attività medica svolgiamo attività di controinformazione e autoformazione. In particolare offriamo la disponibilità per momenti informativi sui diritti sanitari dei migranti ad associazioni, scuole di italiano, centri sociali e collettivi. Annualmente organizziamo cicli di incontri periodici sui temi della salute e dei diritti sia in AMP sia in altre sedi. L’AMP partecipa da sempre alle battaglie sul territorio e a livello nazionale contro il razzismo e la discriminazione e per la rivendicazione e il riconoscimento dei diritti di cittadinanza (salute, casa, reddito) e si propone come punto di riferimento per la costruzione di un’informazione diversa mirata al reale coinvolgimento dei soggetti, per diventare luogo di autorganizzazione sui bisogni reali. Si sta assistendo sempre più a una progressiva medicalizzazione di aspetti umani naturali come gravidanza, nutrizione, invecchiamento, secondo voi perché e, nella vostra consultoria autogestita, come affrontate il problema? - L’Amp si propone come punto di riferimento per la costruzione di un’informazione diversa mirata al reale coinvolgimento dei soggetti, per diventare luogo di auto-organizzazione dei bisogni reali. In quest’ottica, l’ambulatorio e la consultoria hanno sempre sostenuto l’acquisizione da parte delle donne di una capacità critica rispetto alle risposte che la medicina propone ai problemi della salute femminile, a partire dalla considerazione che sessualità, maternità e contraccezione non sono patologie e che la cultura che le vuole medicalizzare impone privazione di libertà e di auto-determinazione. Consuelo Lorenzi Per contatti: ambulatorio.popolare@inventati.org consultoria@autistiche.org
Altroconsumo Con l’attuale crisi economica stiamo assistendo allo sviluppo di Banche del Tempo, Gruppi di Acquisto Solidale, Buoni di Scambio, MAG, Punti Baratto, B.S.A. e quanto altro in un tentativo di transizione da parte della gente verso un’economia di autoconsumo, vuoi che l’ispirazione nasca dall’idea di decrescita auspicata da Serge Latouche, dall’economia partecipativa ideata da Michael Albert o dal mondo conviviale pensato da Ivan Illich. Seguiamo alcune esperienze...
Un arcipelago all’orizzonte Incontriamo Fabrizio Giusmini attivista di ArcipelagoŠCEC, che parlerà dei Buoni Locali di Solidarietà, lo strumento di scambio che sta sviluppandosi come mezzo alternativo al sistema monetario ufficiale. Che cosa è ArcipelagoŠCEC? - ArcipelagoŠCEC Nazionale è una associazione che si compone dei presidenti delle varie Isole, regioni, già fondate sul territorio nazionale ed ha una funzione meramente di coordinamento tra le varie realtà locali. Notizie complete si trovano su http://www.youtube.com/watch?v=no_col75FdI&feature=relmfu. ArcipelagoŠCEC Toscana è un’associazione senza scopo di lucro che ha nel suo statuto l’obiettivo di “promuovere una cultura solidale quale fondamento duraturo per relazioni sociali ed economiche giuste e pacifiche”. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo compreso che un’azione in questo senso non può prescindere dalla condivisione di un giusto ed equo mezzo di scambio. Il mezzo di scambio preminente delle odierne società è il denaro e ha assunto una tale importanza che ci sta distraendo dal senso più intimo delle nostre esistenze, fino a diventare sempre più spesso un “fine ultimo”, ci siamo infatti convinti che possedere molto denaro equivale a essere più ricchi, e non consideriamo le ripercussioni della corsa a questa ricchezza sulla qualità delle reti relazionali, sui ritmi frenetici e insostenibili per le nostre vite e per l’ecosistema. Così l’associazione ArcipelagoŠCEC ha deciso di dotarsi di un nuovo e trasparente mezzo di scambio, lo ŠCEC, un buono locale che viene ceduto gratuitamente, compartecipando gli associati alle spese di stampa e distribuzione perché sia fatto circolare al fine di ancorare la ricchezza al territorio e di salvaguardare le nostre comunità economiche e sociali. Lo ŠCEC rappresenta il passaggio verso un nuovo paradigma economico non più fondato sul denaro ma sul donare, un simbolo di solidarietà, condivisione e reciprocità all’interno di un determinato contesto economico, che a nostro avviso, più locale è meglio è. La forza dello ŠCEC risiede nella forza degli individui che ne fanno uso e che veicolano volontà positive, propositive e concrete. Lo ŠCEC viene scambiato fra gli associati e accettato da quei soci, appunto accettatori – commercianti, artigiani, produttori, professionisti – come percentuale di riduzione sull’euro (dal 5 al 30%), permettendo a chi spende di risparmiare, senza togliere reddito a chi vende perché il venditore a sua volta lo può far circolare presso i suoi fornitori o per le sue spese personali. Vogliamo costruire qualcosa di nuovo. Sarà un “percorso lungo, a volte apparentemente lento, in realtà sempre rispondente all’obiettivo che, sicuramente non è lo ŠCEC, ma la volontà di restituire o ricreare Comunità Sovrane, concretamente partecipate”. Il mezzo nobilita il fine. Lo ŠCEC è il mezzo, il fine siamo Noi. Quali alternative porta ArcipelagoŠCEC nell’attuale situazione economica? - La prima alternativa è concettuale. Ossia la contrapposizione all’idea dominante di un’economia basata sulle idee, spinte e dogmatizzate, del neoliberismo (corrente ideologica dominante). Noi crediamo che le relazioni umane e solo poi economiche non siano naturalmente competitive come vogliono farci credere, bensì di natura cooperativa. Ecco allora spiegato il valore aggiunto dello ŠCEC, inteso come strumento di scambio, non gravato/viziato all’origine dall’interesse nel momento della sua distribuzione (che ricordo è gratuita) e per riflesso non obbligherà nessuno all’estenuante ricerca dell’ “interesse che non c’è” come nel caso dell’Euro, visto che quel quantitativo di moneta in circolazione non è stato creato sul mercato e che comporterà il necessario fallimento di qualche
altra realtà fino allora presente sul mercato. Oggi la nostra associazione può rappresentare una boccata di ossigeno, ma anche una speranza, per l’intera società ovvero tutti noi come attori economici (consumatori, commercianti e produttori) attanagliati contemporaneamente da una crisi economica, un apparato pubblico predone e dall’odierna scarsità di liquidità (poca moneta) in circolazione. Vogliamo riportare al giusto posto l’economia, ricordando che verranno prima sempre le necessità dell’uomo e del nostro pianeta. Basilarmente riteniamo che oggi stiamo vivendo una gran distorsione per il dominio imperante dell’economia su qualsiasi altro aspetto della vita (Politico e Culturale). Teniamo in considerazione che oggi ArcipelagoŠCEC, a livello nazionale, conta circa 12000 associati di cui circa 2500 sono attività con partita iva. Qui potete trovare l’elenco http:// www.scecservice.org/pagineauree.php. Quali sono le mosse da compiere per farne una realtà nella propria zona o informarsi se essa sia già presente? - Sul nostro sito internet www.arcipelagoscec.net è possibile approfondire tutti i nostri temi, al seguente link http://scecservice.org/site/a4/?page_id=725 si accede direttamente all’elenco delle “Isole”, ovvero regioni, che compongono oggi l’ArcipelagoŠCEC cliccando su quella di proprio interesse si avranno tutti i dati necessari per potersi mettere in contatto con attivisti già presenti su quel territorio e chiarire qualsiasi aspetto. Ovviamente qualsiasi gruppo di persone interessate a sviluppare sul proprio quartiere, paese, comune le idee del progetto ŠCEC non deve far altro che metabolizzare le stesse e, qualora condivise, richiedere il supporto di attivisti già presenti sul territorio o limitrofi per essere supportati nella creazione del circuito ŠCEC. Laura Turchi
A tutto G.A.S. Massimo Liverani è un musicista fiorentino che conosciamo grazie alla sua presenza nel gruppo Officine C.R.O.M.A. (vedi PeriodicoMarco n°4 anno I), nell’occasione del numero sull’autogestione, si presenta a noi come partecipante a un Gruppo di Acquisto Solidale, offrendoci notizie su come farne parte, cominciamo a porre domande: A quali principi s’ispira un Gruppo di Acquisto Solidale? - Non tutti i G.A.S. sono uguali, io ne faccio parte da tre anni e mezzo ed ho notato molte differenze fra i gruppi ma questo è molto positivo perché permette a ognuno di tararsi sulla realtà locali fermi restando i principi di fondo che ci animano e che restano costanti. Nella stessa Firenze e provincia dove io vivo, i gruppi sono oltre cinquanta con varie differenze da zona a zona, rispecchiando le differenze delle persone che ci abitano. Quando ci riuniamo queste differenze vengono fuori e contribuiscono al dibattito. Comunque i principi fondanti, come dicevo, restano unici per tutti noi e sono: essere gruppo, contatto diretto con i piccoli produttori, acquisto diretto, solidarietà, il che significa che il contatto diretto è partecipazione a tutti gli aspetti che il produttore presenta e quindi possibilità di condividere le nostre regole etiche e di comportamento in cambio del nostro impegno ad acquistare dal produttore scelto. Cerchiamo di mantenerci entro produzione a km 0 (cosa non sempre facile). Molti gruppi, tra i quali il mio, aderiscono inoltre a un coordinamento che si chiama ‘intergas’, tale coordinamento si esprime attraverso una mailing list e delle assemblee periodiche nelle quali decidiamo e non a maggioranza ma con il sistema del consenso, forse più faticoso ma più motivante. Come si fonda e si organizza e quali sono le difficoltà che si possono incontrare? – La costituzione di un gruppo è semplice e non comprende nulla di scritto, anche se poi alcuni gruppi si sono costituiti associazione, ma non è la regola. Ci si conosce in modo spontaneo e si forma poi una lista di membri in cui la costante della fiducia è la componente principale, poiché c’è gestione dei soldi, si può eventualmente ovviare creando un fondo cassa per tacere eventuali questioni. Formato un gruppo, diciamo di dieci membri, dividiamo secondo le sue preferenze, competenze e accessibilità di ciascuno i ruoli: chi si occupa della frutta, che della carne, che dei formaggi, chi dei detersivi. Fatto questo ognuno cerca il produttore ideale anche partendo da un indirizzario fornito da www.retegas.org. Talvolta quando il gruppo comincia a contare un numero eccessivo di membri si può riprodurre per “gemmazione” cioè dividersi in due gruppi di cui il primo (gruppo madre) diventa referente per quello di nuova formazione e così aumentare la presenza della rete nel territorio.
Comunque un G.A.S. in Firenze e dintorni può ovviamente nascere anche direttamente contattando il sito www.gasfiorentini.it o scrivendo a incubatoregas@gmail.com. Detto ciò continuerei a illustrarne il funzionamento: mettiamo che io sia il referente per i formaggi, vado dal piccolo produttore che se non è già fra quelli indicati in internet e quindi già testato dal gruppo, verificherò della sua correttezza rispetto ai nostri principi con domande presenti in schede preparate dal G.A.S. e che intendono sondarlo dal punto di vista etico, della qualità, della legalità, dell’uso di energie rinnovabili, quindi se avrà passato questa sorta di certificazione, mi presenterà il suo catalogo con i prezzi di mercato, per esempio se fa 10 io cercherò di ottenere 8 o 7, ma devo dire che non è principalmente economico lo scopo di un gruppo. Se trovo un produttore magari anziano e con pochi mezzi che ha un surplus di prodotto, avverto i gruppi che si mobilitano per acquistare, lui non deve svendere o gettare via il prodotto ed evito uno spreco, ma aggiungo che se ha bisogno di lavori per il suo campo posso aiutarlo, insomma impariamo a conoscerci e a solidarizzare più che a risparmiare. Ma torniamo al nostro ipotetico referente per i formaggi: in seguito porto il listino convenuto al gruppo, magari con qualche campione omaggio per assaggiare e ci riuniamo in casa di uno di noi o in un piccolo circolo popolare per decidere, magari durante una cena per affiatarci meglio e fare ulteriore amicizia. Apriamo un ordine su internet secondo una griglia con nomi, richiesta, quantità, prezzo che poi io referente comunicherò al piccolo produttore che in seguito incontrerò presso la sua ditta o che mi raggiungerà col suo furgoncino dandomi in consegna la merce, pago in anticipo di mio, poi il giorno dopo ognuno viene a ritirare la sua parte rimborsandomi. Difficoltà ce ne possono essere per chi non è pratico di internet, e per chi crede di non avere abbastanza tempo per fare questi passaggi ma devo dire che è un falso problema, con la pratica tutto diventa molto automatico e semplice. Per alcuni prodotti che non si trovano direttamente dai produttori c’è un sistema un po’ diverso. Per esempio noi acquistiamo da Equoland che oltre a produrre direttamente dell’ottimo cioccolato ha possibilità di raggiungere dei produttori che noi non riusciremmo mai a raggiungere per lontananza, ma ogni tre mesi ci porta un listino e noi su prodotti come spezie, tè ecc, scegliamo direttamente. Volevo aggiungere che nessun commerciante della mia zona per ora si è accorto che non faccio più la spesa da lui. Quanto cambia il concetto di consumatore, se questo termine può ancora valere in tale contesto? - E’ chiaro che lo stesso termine a questo punto non ha più ragione di esistere, è il preciso scopo di questo tipo di gruppo abbattere tale concetto e tale condizione. Coproduttori e ConsumAttori sono i termini che ci piacciono di più ripudiando il ruolo di consumatori passivi. Daniele Scapigliati un famoso produttore di biscotti fiorentino tempo fa ci diceva “certo io produco biscotti ma mangio anche verdura, tutti siamo clienti e fornitori allo stesso tempo”. Tra l’altro non trovando frollini nell’ambito della piccola produzione e volendo noi evitare di consumare quelli prodotti con edulcoranti, coloranti e additivi vari e soprattutto olio di palma ci trovammo a lamentarci del fatto di fronte a lui, a Daniele venne quindi l’idea di crearne dei suoi, “sperimentali”, noi li assaggiammo e pure i nostri bambini, li approvammo e ora li produce con successo anche per noi. Ma come altri esempi vorrei citare i latticini e il caffè, uno vicino e uno lontano. Nei nostri gruppi c’è la possibilità, infatti, di fare azioni cosiddette di ‘prefinanziamento’. Questo si svolge in diversi modi, per esempio: un piccolo ma ottimo produttore di latticini e olio era in difficoltà (soprattutto con le banche) e aveva bisogno di soldi, ce lo comunicò e, con un’azione coordinata tra tutti i gruppi, lo anticipammo in quel che gli serviva e così ci siamo prepagati il prodotto con una promessa di acquisto e lui ha risolto un problema. Per il caffè invece esiste un’associazione italiana che sostiene un gruppo di campesinos del Chiapas. Stato che è riuscito a rendersi autonomo dalla federazione messicana e che vede un’alta presenza di piccole comunità autonome grazie alla loro storia politica e anche alla peculiarità di quel territorio particolare. Spediamo annualmente i nostri soldi agli agricoltori che con il nostro prefinanziamento comprano i semi e coltivano il caffè, che poi appena pronto ci spediscono in Italia per la torrefazione che viene effettuata da una comunità di ex carcerati. Per loro ‘crisi’ è una parola senza senso e questo dovrebbe far pensare. Noi possiamo gustare quindi tutte le mattine un caffè che ha un sapore che, diremmo con ironia, ‘non ha prezzo’. Ecco per me il piccolo legame che si è creato fra la loro rivoluzionaria forma di autogoverno e i nostri gruppi, e che mai mi sarei immaginato in altri tempi, è una delle cose per cui merita abbandonare la vecchia forma di economia e quindi sono orgoglioso di partecipare e donare il mio tempo alla vita di un Gruppo di Acquisto Solidale! Consuelo Lorenzi
Lo sviluppo e il nuovo nome della pace Bepi Tonello, italiano, sposato, vive in Ecuador da quarantadue anni, rispetto alla sua esperienza nel Paese sudamericano ci fa avere queste sue riflessioni: - L’Ecuador è un paese di pace: questo, evidentemente non è merito mio. Dopo quaranta anni di lavoro in un Paese quasi interamente indigeno, a 3.600 metri di altitudine sulle Ande, come volontario dell’Operazione Mato Grosso ispirata all’Enciclica Populorum Progressio, scritta dal Papa Paolo VI nel 1967, in cui ci veniva ricordato che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, che il vero sviluppo è per ogni persona e per tutte le persone il passaggio da condizioni di vita meno umane a condizioni di vita più umane, che le condizioni di vita meno umane sono quelle di coloro che sono privi del minimo necessario, quelle di coloro che, avendo tutto, hanno il cuore mutilato dall’egoismo, che il punto di arrivo di ogni crescita umana è l’accettazione di Dio che, essendo Padre di tutti, ci rende tutti fratelli e che lo sviluppo si finanzia riducendo le spese militari, stando con gli indigeni e i contadini, ho imparato da loro un concetto di sviluppo ancora più semplice. Loro insistono che il vero sviluppo è: “volersi più bene, essere felici e vivere in pace”. Di fronte a un concetto come questo, espresso da gente che ha ancora molte necessità insoddisfatte, può sembrare di essere al di fuori del mondo crudele, fuori dal dolore, dalle privazioni, dall’esclusione, dall’ingiustizia, dalla discriminazione, dalla violenza. Ma non è così, perché per ogni cosa ci sono un punto di partenza e un punto di arrivo. Per volersi più bene in famiglia, per esempio, bisogna diminuire il ‘machismo’, ossia educare gli uomini – i maschi – a mettere in discussione i loro privilegi e non essere violenti con le donne, a condividere con loro i lavori di casa. Non si può essere felici quando troppi bambini muoiono prima di compiere cinque anni, quanto molti ragazzi non hanno una scuola vicina e quindi restano analfabeti, quando gli adolescenti, a causa della loro povertà, devono cominciare presto a lavorare e non possono continuare i loro studi, quando le case o meglio le capanne, cadono a pezzi e non riparano neanche dalla pioggia, quando lo Stato non è presente e quindi non si amministra la giustizia, quando non ci sono strade, né acqua potabile, né telefono o luce elettrica, quando gli operai non ce la fanno ad arrivare a fine mese… E infine, come si fa a vivere in pace con gli usurai che ti prestano dei soldi quando ne hai assoluto e urgente bisogno, ma ti fanno pagare il 20% d’interesse mensile e quindi ti tengono schiavo tutta la vita, con i latifondisti che ti hanno rubato la terra e adesso, bontà loro, ti assumono come bracciante agricolo, pagando così poco il tuo lavoro – 5/6 dollari al giorno – che costringe la tua famiglia a vivere nell’indigenza (meno di un dollaro al giorno a persona), con i commercianti che passano per il tuo villaggio e usano una bilancia per comprare i tuoi prodotti (che pesa sempre più del giusto) e una per venderti i loro prodotti (che pesano sempre meno del giusto), con i maestri della scuola che danno ai tuoi figli la metà del tempo dovuto (perché arrivano il martedì e partono il giovedì), con gli impiegati pubblici che non portano a buon fine la tua pratica perché tu sei povero e hai una coscienza che ti proibisce di corromperli, con gli amministratori di giustizia, che danno sempre ragione ai ricchi, anche quando hanno ‘torto marcio’? Potrei continuare a indicarvi quante cose, situazioni e persone si oppongono all’aspirazione della gente “di volersi più bene, essere felici e vivere in pace” e gli sforzi della gente semplice dell’Ecuador per costruire per sé e per gli altri: L’Amore La Felicità e La Pace. Questi sforzi hanno permesso loro di trovare amici e alleati in Ecuador e nel mondo. Qui in Italia per esempio, abbiamo stabilito un’alleanza con il Sistema delle Banche di Credito Cooperativo, che ci prestano i loro servizi (credito, donazioni, assistenza tecnica, modelli di confronto etc.) in condizioni così favorevoli che diventano un modello per tutta la Cooperazione Internazionale. Partiamo sempre dal valore della persona che, inserita in una famiglia, in una Comunità e nella Società Globale, è soggetto di diritti e di doveri. Ogni persona, giovane, adulta o vecchia, può continuare a ‘crescere in umanità’, perché alla perfezione non si arriva mai. Si cresce quando s’imparano cose nuove e utili, quando si sviluppano nuove capacità, quando si vivono valori e virtù universalmente riconosciuti, quando si stabiliscono nuove relazioni anche fuori del circolo ordinario dei parenti e degli amici, quando si sconfigge la ‘paura’, la paura di rischiare, di cambiare, di mettersi in discussione, quando si scopre la gratuità e diventa normale mettersi al servizio di chi ha bisogno. Le persone che crescono nel senso sopra indicato fanno crescere la loro famiglia e la loro Comunità, che assume più chiare caratteristiche culturali. La persona ‘da sola’, ciascuna ‘per conto suo’, fa fatica a cambiare le strutture che reggono il funzionamento della società. È molto più facile e proficuo farlo insieme agli altri, in Comunità, dentro un’organizzazione popolare che può essere una cooperativa, un’associazione, una federazione, una rete, un consorzio, etc. I mezzi di comunicazione ci bombarderanno con l’idea che lo sviluppo è un fatto personale, al massimo familiare, ma noi continuiamo a sforzarci affinché diventi un fatto comunitario, perché così si assicura meglio l’equità, la sostenibilità ambientale, il futuro di tutti. Quando le persone sono più istruite e virtuose, quando le organizzazioni popolari funzionano meglio, è arrivato il momento di affrontare i problemi economici delle loro Comunità. Per sconfiggere la povertà bisogna produrre più di quanto si consuma. Questo
si ottiene migliorando la produzione e aumentando la produttività, organizzando la commercializzazione con i criteri del mercato equo e solidale. Non si tratta quindi di eliminare i nemici, gli usurai, i latifondisti, i commercianti disonesti, ma di arrivare a poter prescindere da loro. Le organizzazioni, specialmente le Cooperative e le Casse Rurali, cominciano a raccogliere i piccoli risparmi dai loro soci, ai quali poi si possono fare dei prestiti a condizioni giuste (e così gli usurai restano senza lavoro), si organizza la commercializzazione dei prodotti di tutte le comunità su basi di giustizia (peso e prezzo giusto) e così anche i commercianti disonesti o si convertono all’onestà o restano senza lavoro. Uniti è possibile risolvere il problema delle famiglie che hanno bisogno di terra da lavorare: senza usare la violenza, ma semplicemente facendo lavorare gli agrimensori e gli avvocati affinché si riconosca il diritto alla terra a quelle Comunità a cui la terra è stata usurpata, oppure, quando non c’è stata usurpazione, comprando la terra dai latifondisti con i prestiti che a sua volta la gente può ricevere dalla ‘sua Cooperativa’ o Cassa Rurale. Mi pesa ancora nell’anima il dolore per la morte di quei diciotto dirigenti indigeni, uccisi circa venti anni fa dai padroni delle terre con l’appoggio di polizia ed esercito, sempre loro alleati, semplicemente perché volevano far valere il loro diritto alla terra. Questo accadeva, prima che noi mettessimo in essere i servizi di cui sopra. Quindi la Pace si costruisce in tanti modi: dall’eliminare la violenza all’interno della famiglia, all’impedire il lavoro degli imbroglioni, dall’insegnare ai giovani che per andare avanti nella vita bisogna fare fatica, al prendere per mano chi resta indietro per aiutarlo a camminare più in fretta, dal creare condizioni per l’accoglienza dei rifugiati colombiani che fuggono da regioni in cui domina la violenza causata dal conflitto fra le forze armate, la guerriglia e il narcotraffico. La pace si costruisce dando fiducia a chi non ne ha mai avuta da nessuno. Questa è la strada attraverso cui sarà possibile arrivare alla riduzione delle spese militari e all’eliminazione delle armi. La pace di fuori nasce dalla Pace che abbiamo dentro di noi, dalla riduzione e l’eliminazione dei conflitti fra persone, fra famiglie, fra comunità, fra regioni, fra paesi, fra continenti, fra nord e sud del mondo. La Pace nasce dalla riduzione delle differenze e delle distanze che ci siamo costruiti fra uomini e donne, fra ricchi e poveri, fra chi sa tanto e chi sa poco, fra giovani e anziani, fra chi crede e chi non crede, fra chi crede in un modo e chi crede in un altro. Senza motivo, ci siamo costruiti ragioni, tutte deboli, per sentirci diversi. La Pace comincia in noi e da noi. Beati noi, quando siamo costruttori di Pace - . Mario Agostini
Interesse a tasso zero... Una M.A.G. (Mutua Auto Gestione) è una società tra persone e si basa sul rapporto fiduciario con i soci e le realtà finanziate. Si occupa di raccogliere il denaro dei soci sotto forma di capitale sociale per sovvenzionare iniziative economiche autogestite offrendo opportunità di finanziamenti etici e solidali che mettono al centro la qualità della vita dell’uomo e dell’ambiente, erogando prestiti con tassi d’interesse zero. Una volta rientrati i fondi sono subito riutilizzati per nuovi finanziamenti o progetti. Un importante obiettivo di una M.A.G. è la trasparenza nella gestione interna, il Consiglio di Amministrazione viene, infatti, eletto nelle assemblee dei soci, ogni socio ha diritto al voto e può partecipare sia alle periodiche assemblee sia alle riunioni del consiglio. Le M.A.G. si stanno moltiplicando nel territorio e con la loro attività di micro finanza si distinguono dalle logiche speculative della finanza tradizionale. A seguito della cosiddetta “legge antiriciclaggio” del 1991, che permette l’attività di impiego del denaro solo alle organizzazioni con capitale sociale pari a 600.000 euro, e dell’emanazione del Testo Unico in materia bancaria e creditizia (legge 395/93), che prevede che solo gli istituti bancari possano raccogliere il risparmio delle persone fisiche, le M.A.G. si sono dovute adeguare Oggi, poter continuare a operare come soggetti finanziatori comporta il rispetto di regole e leggi ben precise in tema di finanza, fra cui destinare alla copertura di eventuali insolvenze un fondo di garanzia nella percentuale prevista per legge. Il fondo di garanzia ha anche lo scopo di mantenere inalterato il capitale sottoscritto dai soci. Ricordando comunque che per una M.A.G. utilizzare la relazione, il rapporto con le persone, come garanzia sui prestiti ha dimostrato nel tempo essere più efficace che basarsi sulle sole garanzie patrimoniali. Patrizio Pampaloni
Occupazione e autorecupero Nell’ambito di un discorso sull’autogestione non può mancare un accenno sugli spazi occupati di proprietà pubblica o privata. Gli occupanti o squatters compiono queste azioni per due ragioni principali: motivazioni economiche e\o politiche. L’occupazione e l’autogestione di spazi pubblici (stabili abbandonati, ex fabbriche, ville, case sfitte, ecc.) sono giustificati, infatti, dalla necessità di liberare degli spazi all’influenza delle istituzioni, dei partiti e del potere economico. In Italia le prime occupazioni dei cosiddetti CSOA (Centro Sociale Occupato Autogestito) nascono negli “anni ‘70”, i primi a Milano, con lo scopo di contrastare l’alienazione della vita metropolitana, di promuovere informazione alternativa e controcultura e di sganciarsi dalle restrizioni dei partiti istituzionali. Le occupazioni si sono susseguite in varie città d’Italia, senza scopo di lucro, senza fini commerciali, senza mire partitiche, fino a diventare luoghi di abitazione di alcuni, così che oggi stabili abbandonati ed esposti alla speculazione più selvaggia da parte del capitale vengono fatti rinascere come abitazione e spazi di socializzazione di innumerevoli cittadini sfrattati e senza dimora, migranti e rifugiati politici richiedenti asilo, studenti. E’ dalle esigenze di questi cittadini che i vari movimenti di occupazione, rispondendo in modo autogestito e diretto al bisogno abitativo, attiva-
no la partecipazione diretta degli occupanti col progetto dell’autorecupero, un processo edilizio che prevede la realizzazione delle opere di ristrutturazione degli immobili con il lavoro manuale degli stessi abitanti, che si associano in cooperativa e garantiscono la disponibilità di un monte ore di lavoro all’interno del cantiere, nonché l’adesione al progetto, attraverso la partecipazione a bandi di finanziamento necessari alla copertura dei costi. La pratica dell’autorecupero non prevede la conoscenza di specifiche tecniche professionali, viene invece richiesta la disponibilità di ore lavorative durante le quali vengono anche appresi gli elementi di base necessari a svolgere correttamente le opere. Gli autorecuperatori, inoltre, possono avvalersi dell’aiuto di persone a loro legate da vincoli di parentela e affinità, con tassativa esclusione di prestazione d’opera a pagamento. Le autorità reprimono e criminalizzano le azioni dei movimenti poste in netto conflitto con le logiche e gli interessi del sistema. Sollevando problemi fondamentali che contrastano i poteri forti basati sulla politica privata e pubblica della cementificazione selvaggia degli hotel 5stelle e dei parcheggi a tappeto, compiono un lavoro non da poco e sempre più necessario da portare avanti, quotidianamente, nel territorio. Manuela Minneci
Multimedialità e autogestione Nascono negli anni Sessanta le prime fanzine, riviste amatoriali pubblicate da movimenti alternativi, psichedelici o dichiaratamente politici. Nei decenni successivi, tali forme di comunicazione si estesero alle attività musicali teatrali, al sostegno di movimenti studenteschi o per sostenere la chiusura degli ospedali psichiatrici. Ogni realtà, che non trovava visibilità, sia per i limiti artistici degli autori sia per il conservatorismo degli editori, imboccò la strada dell’autoproduzione. Alcune fanzine, uscite in quel periodo, fecero ben presto un salto di qualità: alcuni piccoli editori, capaci di occupare nicchie di mercato, si affermarono nei settori della musica, della cinematografia, del fumetto, dell’agricoltura biologica, dell’editoria e dell’arte in genere. Mentre nell’underground culturale si muovevano proposte alternative, nelle arti, con la complicità di prestigiose case d’asta, si consolidò una sorta di monopolio che, mettendo in crisi le produzioni locali, di fatto dava un colpo mortale all’identità culturale del nostro Paese. A Firenze, ad esempio, per riuscire a vivere con un lavoro creativo, che non fosse subordinato agli interessi usurai di mercanti e galleristi, nacque l’Ippogrifo, una società per distribuzione di grafica d’arte, controllata direttamente dagli autori. Le autoproduzioni di quegli anni, senza supporti economici, ebbero generalmente una penetrazione limitata, ciò nonostante, alcune realtà sopravvissero a lungo. Anche il fenomeno delle radio libere è da annoverare tra le iniziative culturali del periodo. Dopo quarant’anni, stiamo vivendo adesso una vera rivoluzione nel settore della comunicazione, qualcosa di paragonabile per importanza, alla scoperta della ruota. Parlo della “rivoluzione Internet”. Alcuni softwares, sono divenuti talmente semplici da usare, che con pochi click ognuno può diventare editore di se stesso, promuovere la propria musica, pubblicare e diffondere immagini, libri o ebook, giornali e quant’altro. Il self-publishing, secondo l’Associazione Italiana Editori, ha prodotto fino a ora, ben 40.000 titoli su carta e circa 6500 ebook. Negli U.S.A. dove il fenomeno si è imposto molto prima, la distribuzione di ebook ha superato quella cartacea. Fondata e lanciata da Jeff Besoz nel 1995, Amazon che aveva cominciato come libreria online, ha allargato la gamma
delle offerte introducendo DVD e CD musicali, e molto altro ancora. Il Kindle di Amazon.com si è imposto anche in Italia come leder del settore editoriale online, ma altre piattaforme del genere si stanno diffondendo: la Kobo Writing Life che fa capo a Mondadori, Ilmiolibro.it del Gruppo l’Espresso, Google Play, Lulu e Simplicissimus. Grazie a Internet, il problema di pubblicizzare e vendere opere autoprodotte sembrerebbe risolto, ma non è così. Nella marea di offerte che affollano il WEB, il vero ostacolo da superare è la visibilità. Attraverso l’uso d’Internet è stato possibile aggirare molti ostacoli, ma se l’obiettivo è che il lavoro autoprodotto non rimanga circoscritto, è importante riuscire a intercettare interlocutori validi. Oggi è possibile stabilire collegamenti a livello planetario senza muoversi da casa: certo non è poco. Il mercato artistico, sul quale molto ci sarebbe da dire, è in sofferenza: certo per la crisi economica, ma anche perché molte espressioni della creatività sono diventate anacronistiche. Il mercato dell’arte, condizionato dalle case d’asta anglosassoni e statunitensi, sembra dominato dal principio verdoniano del ‘famolo strano’ mentre nell’editoria, l’offerta si è da tempo cristallizzata attorno ad alcuni filoni di sicuro appeal. Il sesso, la cucina e i thriller, dominano da tempo le classifiche dei libri più venduti, insieme con gli scritti di personaggi già noti al pubblico, come presentatori, comici, cantanti, calciatori, papi e monsignori. Solo dalla concretezza di reali esigenze può nascere qualcosa di nuovo e migliore. Una e-fanzine che dia voce ai precari, credo che oggi potrebbe trovare molti consensi. Mario Agostini
L’autoproduzione fatta persona L’autoproduzione, per Nico Mangifesta, è una prerogativa di vita: ogni suo passo, qualsiasi ricerca in ambito musicale, ogni suono che emerge dai suoi innumerevoli strumenti (ricercati nel mondo e categoricamente autoprodotti) è distante anni luce dal mainstream. Se oggi in Europa esiste una scena definita “Musica Altra”, Nico non solo ne fa parte, ma ne è un precursore, si, perché il Nostro è sempre una spanna avanti agli altri nell’ambito della ricerca.
Nico Mangifesta si laurea in Musicologia e Beni musicali con lode presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi in Musica elettronica, contemporaneamente si dedica alla musica sperimentale dedicandosi alla pratica dell’improvvisazione musicale tramite l’utilizzo di tecniche generative analogiche ispirate dalla musica concreta (utilizzo inusuale di giradischi, mangianastri, frequenze radio, voci, field recording, chitarre preparate…). Suona diversi strumenti in diversi ambiti musicali (chitarra, basso, oscillatori analogici, sintetizzatori digitali, flauto suling, rindik, harmonium indiano). La sua ricerca musicale pone l’attenzione sulle possibilità timbriche della chitarra e della musica elettronica. Esteticamente spazia fra le esperienze musicali contemporanee ed il noise, fra un approccio legato alle avanguardie europee, le musiche etniche e il DIY, senza trascurare il rock e la psichedelia. Dal 2007 partecipa al network nazionale TEMPIA come musicista e cura Scatole sonore on air su Webcityradio per l’assessorato alle politiche giovanili di Roma, un programma dedicato alle musiche di ricerca italiane.
Dal 2008 si occupa di un nuovo contenitore di eventi quale l’Apéro des Bruits, nel quale viene dato spazio a proposte musicali, teatro-danza, esposizioni di pittura e videoarte, inoltre inaugura le pubblicazioni di (con)Temporanea, una grafic-zine che da spazio ad artisti contemporanei emergenti. Ha fondato e partecipato a progetti musicali di diverso genere musicale quali Cri Animal, Smokers die younger, Sonic Death Wave, Tempia Impro Unit, Ramera, Bioska, che si aggiungono al progetto solista e le improvvisazioni radicali. Realizza la colonna sonora per il film Back where we end (FRA) della regista francese Leslie Lager; In ambito improvvisativo si è esibito sul palco in Italia e all’estero con artisti fra cui: Roberto Bellatalla, David Fenech (Parigi, Francia), Claudio Rocchetti (Berlino, Germania), Stefano Demented, Alessandro Calbucci, Laurent Chambert (Parigi, Francia), fr/bof/,t (Vonneumann), Laundry Room Squelchers (USA), Gogher, Amanda Green + Luciano Guidini (USA), Nondor Nevai (USA), Rat Bastard (To Live and Shave in L.A. - USA), Leslie Keffer (USA), Lili Refrain, Luca Miti, Chris Blazen (USA), Alex Mendizabal (Paesi Baschi), Marco Carcasi (Kar, Scatole Sonore), Vonneumann, Lendormin, Cris X (aka Cristiano Luciani) e molti altri. Vanta numerose esibizioni dal vivo tra cui: l’evento internazionale Non Stop Music Planet, organizzato da MU per la biennale FUTUR EN SEINE a Parigi (Francia); La Société de Curiosités (Parigi, Francia) aprendo il concerto di Ake Parmerud (Svezia); Tempia Festival (Roma) in trio con Roberto Bellatalla e Carnaio; Notte Bianca Vetralla (VT) realizzando una performance musicale per il reading del poeta Girolamo Grammatico; Come Sonic Death Wave si è esibito per: l’Intenational Noise Conference (Roma, Italia); Noise attack Fest presso La Générale en Manufacture (Sèvres-Paris, Francia); il tour promozionale italiano della rivista francese di disegno contemporaneo NaziKnife (con gli artisti Popol Gluant e Zaraz Zam Zagram); Come Cri Animal partecipa a: Finali Regionali di Italia Wave love Festival; Festival della Creatività presso il Factory Ex-Mattatoio Testaccio/MACRO (Roma) tramite il quale viene selezionato per MEDITERRANEA 16 Young Artist Biennial - Errors Allowed promosso da Bjcem e la Città di Ancona. link: www.crianimal.tumblr.com www.myspace.com/nicomangifesta http://www.youtube.com/playlist?list=PLD48A5114A04FAC25 http://www.myspace.com/womanstilearninghowtofall/videos/back-where-we-end/34243927
Music
and
Rites
From
CRI ANIMAL an East Coast
Hidden
Population
In Cri Animal la riflessione su immaginari costumi, riti e tradizioni di popolazioni native della Costa dei Trabocchi (fascia costiera abruzzese caratterizzata da piccole calette e fascinose costruzioni marinare) lascia emergere un universo sonoro in cui i colori e l’influenze musicali di certa psichedelia tropicale, del suono dei gamelan balinesi, dei raga del territorio sud indiano, dei ritmi dell’amazzonia e l’africa nera si fondono con naturalezza all’attidudine impro-rock, alla sperimentazione musicale e psichedelica. Cri Animal è il nuovo progetto musicale di Nico Mangifesta (Sonic Death Wave, Tempia Impro Unit), musicologo e musicista dedito tanto alla ricerca etnomusicologica che alla pratica della improvvisazione musicale. Nelle esibizioni dal vivo è accompagnato dalle proiezioni psichedeliche di mandala caleidoscopici curate da Bioska. «Ma il sentimento allo stato puro, allo stato del cri animal, come si esprimeva Diderot, rischial’informale, rischia di essere confinato nel grido, nel prelinguistico». Enrico Fubini. Ascolti: www.crianimal.tumblr.com
Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco
CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 AUTOGESTIONE DI IERI... pag.3 ...E DI OGGI pag.4 AUTOGESTIONE BEVENDOSI UN CAFFE’ pag.5 EDUCARE ALL’AUTOGESTIONE pag.6 AUTOGESTIONE A TRE ANNI pag.8 NOTE SULLA LIBERA UNIVERSITA’ POPOLARE pag.9 AMP - LA SALUTE VIEN LOTTANDO pag.11 ALTROCONSUMO pag.12 UN ARCIPELAGO ALL’ORIZZONTE pag.12 A TUTTO G.A.S. pag.13 LO SVILUPPO E’ IL NUOVO NOME DELLA PACE pag.15 INTERESSI A TASSO ZERO... pag.16 OCCUPAZIONE E AUTORECUPERO pag.17 MULTIMEDIALITA’ E AUTOGESTIONE pag.17 L’AUTOPRODUZIONE FATTA PERSONA pag.18
PeriodicoMARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°13 - Anno V PeriodicoMARCO 2013 Rivista periodica di cultura e società. Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Massimo De Micco Guru Katrame Consuelo Lorenzi Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (info@raffaelevella.it) Fotografia Raffaella Milo (info@raffaellamilo.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco …..
No Copyright
in caso di riproduzione di testi e immagini, purché non a scopo commerciale, citare la fonte.Le opinioni espresse non sempre rispecchiano i pareri della redazione. Questo periodico non ha orientamento razzista e discriminatorio
Dove trovare le copie:
in tutte le principali Librerie, Circoli, Caffè culturali, Biblioteche civiche e sedi universitarie di Firenze e dintorni