PeriodicoMARCO anno 2 N°1 - le Mafie

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Primavera 2010 Distribuzione Gratuita

Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo

Mafia ‘Ndrangheta Camorra Gabellotti Pizzini Appalti Corruzione

Anno 2/ N°1


R E D A Z I O N A L E

“Le regole in sé sono neutre, e la loro valenza dipende dal contenuto. Le regole che governano le società criminali hanno valenza negativa non per ragioni morali, etiche o di principio, ma perché non soddisfano le esigenze dell’uomo ma le esigenze di alcuni uomini a scapito di tutti gli altri… Se lo scopo è quello di essere utili a noi stessi, l’impegno non rappresenta un costo, ma diventa esso stesso ragione di vita” Gherardo Colombo Con questo quinto numero del Periodico MARCO, che abbiamo deciso di dedicare al problema delle mafie, intendiamo proporre un diverso schema di analisi del fenomeno, dedicandoci alla pericolosità sociale dei patrimoni, delle ricchezze, dei capitali dell’impresa criminale mafiosa e non solo dalla pericolosità criminale in sé. E’ con questa grande massa di capitali, questa ricchezza accumulata con le attività illegali

che, in intere aree del paese, l’economia, la politica, la società sono rese dipendenti dal fenomeno. Nasce da qui quella soggettività delle mafie che, o attraverso la rappresentanza diretta nelle istituzioni o grazie a partiti e politiche compiacenti, svuota le istituzioni stesse, cambia le regole delle democrazia, altera il rapporto tra rappresentanti e rappresentati, definisce un blocco sociale nel quale convivono, in basso, i soggetti esclusi o marginali dell’attuale modello di sviluppo (coloro che non riescono a trovare risposte fuori dal modello sociale mafioso) e, in alto, quel tessuto connettivo del potere fatto di uomini, interessi, strutture economiche e politiche, pezzi di apparati istituzionali e dello stato che ormai si può definire “borghesia mafiosa” o mafia dei colletti bianchi. Questo è il punto su cui vogliamo insistere per capire - nella capacità di trasformazione e di adeguamento delle mafie ai mutamenti della struttura economica e sociale - quali sono

gli elementi di sistema, quali politiche, quali modelli culturali, la natura stessa del mercato che ne rendono possibile non solo la presenza, ma ne favoriscono il dinamismo e lo assumono come uno dei normali fattori della stessa struttura economica ed imprenditoriale. Il Periodico MARCO con questa uscita è arrivato al suo secondo anno di edizione, un traguardo che abbiamo raggiunto grazie anche all’interesse dei nostri lettori, confermandoci di essere sulla giusta strada in questa nostra proposta giornalistica.


UNA CAUSA TRA ALTRE - Con la caduta nel 1799 della Repubblica Napoletana, nata dalla Rivoluzione giacobina, il sud della penisola perde l’occasione di diventare la colonna portante del Risorgimento a favore del settentrione, e senza la guida democratica dei leader rivoluzionari, falciata così velocemente dai Borbone, il mezzogiorno segnerà il passo, pagando fortemente il divario sempre più ampio che si verrà a creare col resto d’Italia per la scomparsa di un’intera generazione di pensatori e rivoluzionari meridionali. La borghesia moderata italiana, scampato il pericolo, per essa, di un possibile affermarsi della tradizione democratico-repubblicana sviluppatasi nella grande metropoli partenopea molto prima che Mazzini e Garibaldi nascessero, punterà su Casa Savoia mentre i Borbone resteranno irrimediabilmente “bruciati” davanti all’opinione pubblica italiana e internazionale per la ferocia della repressione attuata. E persa l’occasione, dopo Napoleone e la Restaurazione sarà poi il tempo della colonizzazione piemontese, e dell’Italia a due velocità.

DAL LATIFONDO AGLI APPALTI – Nel secolo XIX, nonostante questa mancata svolta che avrebbe completamente ridisegnato il paesaggio risorgimentale italiano, si vanno preparando nel Regno delle Due Sicilie cambiamenti che una diversa classe culturale e politica, se non fosse stata così violentemente decimata, avrebbe potuto guidare meglio, parliamo della riforma del latifondo attuata nel 1806 per la parte continentale durante il breve regno bonapartista-murattiano e nel 1812 per la Sicilia, sempre rimasta sotto dominio borbonico, ma che a questo punto deve cedere all’influenza dei progressi del periodo francese. In questo passaggio dall’Ancien Regime il latifondo, suddiviso in masserie, è dato in affitto col sistema delle gabelle per una somma annuale fissa a prescindere dall’andamento dell’annata agraria. Il canone d’affitto è più basso della rendita effettiva del terreno per garantire un guadagno all’affittuario che, dal sistema, prende il nome di “gabellotto”. Questo coltiva direttamente la terra oppure la subaffitta dopo averla suddivisa in lotti di diverse dimensioni; Il feudo è sfruttato tutto e i gabellotti imparano subito il sistema di giocare fra affitti in natura o in denaro secondo l’andamento dei prezzi delle merci: quindi gioco di affitti e subaffitti, controllo del territorio e possibilità dell’uso delle armi, mutuato direttamente dal signore feudale che aveva diritto di vita e di morte sui suoi contadini. Questo perché il compito della sicurezza e del controllo che sarebbe (sulla carta) demandato ai rappresentanti dello stato borbonico, non si sviluppa che a modo proprio, cioè, lasciando il più in mano ai privati . I gabellotti hanno il denaro contante, le sementi, il bestiame; dalle loro file esce la nuova borghesia. Sono in prima linea, insieme con i nobili, in quell’usurpazione e occupazione delle terre demaniali e degli usi civici che i contadini subiscono senza avere le armi per opporsi. Come si diceva è concessa al gabellotto, in questo Regno che non riesce a sviluppare un legale controllo da parte di gendarmi statali, l’uso della violenza privata per sorvegliare l’andamento dei lavori, riscuotere gli affitti anche con la forza, proteggere i confini dei terreni; le guardie dei gabellotti (assoldati fra bande di malandrini), anche dai titoli, richiamano funzioni della vecchia feudalità: curatoli, campieri e via dicendo (oggi li chiameremmo esecutori materiali). Fino all’unità d’Italia, i gabellotti sono il perno dell’economia quasi esclusivamente agricola della Sicilia occidentale e occupano il posto vacante di uno stato mal organizzato. In tutti questi anni, anche all’interno di una dipendenza “personale” dal signore feudale, i gabellotti consolidano la loro posizione sociale, di segno capitalista, tramandando all’interno delle loro famiglie redditi e mestiere di gabellotto (nel frattempo ribattezzabile col nome d’imprenditore e mediatore), pronti con la trasformazione che arriverà con l’Unità, a inserirsi, nella vita economica e sociale d’Italia. Il resto, lo sappiamo è cronaca e non più storia. Il metodo, che nel frattempo si connota del nome dall’incerta etimologia di Mafia, figlio del nuovo sviluppo capitalistico (che già per sua natura sfrutta anche quando non è illegale come queste organizzazioni particolari) riesce a superare rivoluzioni, guerre, cambi di governo e regime; sparito il vecchio gabellotto a cavallo, la coppola, lo schioppo, passati i Borbone, i Savoia, il Duce e la DC, sviluppatasi un’urbanistica moderna e un’agricoltura meccanizzata, trovando sviluppo e affermazione negli ultimi due secoli di storia, ben al di la dei vecchi confini dell’antico Regno di Ferdinando e Carolina.


LE DISGRAZIE NON VENGONO DA SOLE – La malavita organizzata dell’ex-Regno borbonico ama ammantarsi di spagnolesche mitologie da vicereame. La storia della ’Ndrangheta calabrese, che deriva i suoi metodi dalla Mafia, ma è originaria del reggino, comincia nel 1800. L’inizio leggendario risalirebbe alla “garduna”, associazione criminosa che si interessava al gioco e al baratto, costituita a Toledo nel 1412. Nelle molte canzoni di mafia esistenti è sempre fatto riferimento a tre cavalieri spagnoli: Osso, Mastrosso e Carcagnosso che in tempi lontani (1300 o 1400) arrivarono in Calabria e portarono le leggi della “società”. D’altronde è sempre stato una caratteristica peculiare della ‘Ndrangheta il carattere misterico, religioso e simbolico tanto che per un lunghissimo periodo storico ci fu l’abitudine di riunirsi, una volta l’anno, presso il Santuario della Madonna di Polsi nel territorio del comune di San Luca, nel cuore dell’Aspromonte, dove oggi, nel 2010, il 90% delle persone adulte è indagato per reati di mafia. Tutta metropolitana invece la scena dove nasce la Camorra. Il termine castigliano, che da il nome alla malavita napoletana, suona esattamente Kamora e significa contestazione, anche se si vorrebbe far risalire il termine da Gamur uno spagnolo che nel 1654, rinchiuso in Castelcapuano spiegherebbe a cinque napoletani l’organizzazione della malavita spagnola. Il quintetto, appena fuori del carcere, avrebbe fondato la “Bella Società Riformata” che tutti chiamerebbero “camorra” per una storpiatura dialettale di Gamur. In realtà, come per la ’Ndrangheta, la derivazione della parola viene dalla società segreta spagnola della “Confraternita della Garduna” (della rapina). Scopo principale dei vari clan camorristi era (ieri come oggi) percepire tangenti su tutte le attività, lecite e illecite dei vari rioni della città di Napoli e poi di altre parti del territorio. UNA SOLUZIONE ANCORA LONTANA - Tutto continuerà nel nuovo Stato, spesso subîto come estraneo, imposto dalle guerre risorgimentali su un territorio che aveva visto la sua maturazione politica di segno rivoluzionario-democratico spazzata via con la reazione del 1799, un’interruzione che ancora oggi è pagata dalla società di questo Paese, e non solo a sud, anche col proliferare delle attività di queste organizzazioni, cui nel tempo si sono aggiunte Stidda, Nuova Corona Unita, Basilischi e altre meno note ma non meno feroci. Consuelo Lorenzi

Questo piatto permette di riciclare scarti e rimasugli di cucina, ed è quindi preziosissimo in tempi di crisi economica. Ingredienti per 4 persone: gallette secche 300 gr., avanzi di pesce cotto, verdure lessate (carote, patate, fagiolini, ecc.), sott’aceti vari (cetriolini, capperi, alici, olive, ecc.), pane raffermo q.b., aceto q.b., aglio a piacere, pinoli, 1 uovo lessato, qualche goccia di limone, olio, maionese in tubetto. Bagnare le gallette in acqua e aceto per ammorbidirle, spinare bene gli avanzi di pesce, sminuzzarli unendovi olio e limone, tagliare a quadratini le verdure, passare al frullatore il pane raffermo con l’aglio, i pinoli, l’uovo e i sottaceti, aggiungere l’olio. Formare una cupola alternando le gallette con uno strato di verdure e uno di pesce e sottaceti frullati, fino a esaurimento degli ingredienti, guarnire infine con maionese in tubetto, strizzata in striscioline verticali e orizzontali di modo da sembrare una gabbietta. Buon appetito! (n.d.r.)


“La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Paolo Borsellino Si è svolta quest’anno a Milano, il 20 marzo 2010, la XV giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime di mafia, organizzata da Libera e Avviso Pubblico. Vero esempio di “Antimafia Sociale”, poiché in questo giorno si ritrovano associazioni, scuole di tutti i gradi, gruppi, politici e singoli cittadini uniti da un unico scopo quello di ribellarsi al potere criminale ed economico delle mafie. Erano presenti 150.000 persone in corteo e in Piazza Duomo. Il tutto si è svolto con l’omertoso silenzio delle maggiori emittenti televisive nazionali! Forse per richiamare l’attenzione si sarebbero dovuti ospitare sul palco invece che i familiari delle vittime (a leggere 900 nomi di morti ammazzati dalle mafie) qualche velina o tronista! Ogni volta è un’emozione fortissima essere in quel corteo, un’emozione divisa però in almeno due tipi di sentimenti, da un lato la gioia di vedere i pullman che arrivano pieni di ragazzi provenienti da tutta Italia, che portano con loro il bello dei loro anni e l’entusiasmo di voler cambiare il mondo con i loro cartelloni e i loro striscioni colorati. L’altro sentimento, più triste e impotente, lo provi quando guardi i padri, le madri, i figli, le sorelle, i fratelli di chi ha subito il grande torto e la grande ingiustizia di non poter avere più accanto il proprio caro o la propria cara, perché altri in preda al loro bisogno di arricchimento e di potere, armati di pistole, fucili e vigliaccheria hanno deciso così. Quando ti viene a mancare una persona in questo modo ti manca l’anima, la quotidianità, l’odore, muori anche tu con lui, un poco alla volta. Una vittima di mafia non è una sagoma nascosta sotto un lenzuolo bianco, sono braccia che non abbracceranno e non culleranno più, labbra che non sorrideranno. E se va bene, puoi portargli un fiore sulla tomba, altrimenti se vittime di lupara bianca non ti fanno nemmeno ritrovare il corpo. Cosa c’è di peggio? Non sai cosa pensare è vivo è morto? Cosa gli sarà successo? Tornerà? Poi passano i giorni, i mesi, gli anni… ti rassegni, ma ti rimarrà per sempre quel magone, quel nodo alla gola per non poterti prendere cura del tuo caro anche se morto, di non poter portare un fiore per il suo compleanno o per la ricorrenza del 2 novembre,

semplicemente di non poter piangere su una tomba. Per non parlare della vergogna che si prova a essere guardati con pietà e con silenzio, un silenzio rumoroso più di mille piazze che dice “beh se gli è successo questo vuol dire che qualcosa ha fatto”. Perché è sempre colpa delle vittime. Ci sono persone che non hanno mai conosciuto il proprio padre, e appena ricordano la madre. La cosa più triste è la constatazione che ogni anno la lista delle vittime di mafie aumenta. Allora mi domando se deve essere delegato tutto alle forze dell’ordine e ai magistrati, e qual è il ruolo di uomini e donne della società civile e di quei sindaci che tutti i giorni lottano per arginare quanto meno la sopraffazione di ominicchi che sanno fare i forti con i deboli. Occorre partire dal concetto che la costruzione di una società più libera basata su diritti/doveri, sulla democrazia e sulla libertà di economia, non può e non deve essere delegata a nessuno, poiché ognuno di noi è attore protagonista di un vero cambiamento, altrimenti l’indifferenza non fa altro che alimentare il potere delle organizzazioni criminali, lasciandoli liberi di inquinare l’economia e di allargare sempre di più le proprie signorie. Un ruolo fondamentale di contrasto alle mafie ce l’ha sicuramente la cosiddetta “Antimafia Sociale”, basta guardare i ragazzi di Libera Terra che riuniti in cooperative coltivano i terreni confiscati alle mafie. Ciò è possibile grazie alla legge 109/96 che prevede l’uso a fine sociale delle ricchezze immobiliari sottratte alle mafie. Naturalmente queste cooperative non hanno vita facile, più volte saccheggiate, sono state vittime di aggressioni, furti, danneggiamenti ma grazie all’aiuto di associazioni ed enti locali sensibili che organizzano cene della legalità dove vengono raccolti fondi per riparare i danni, e all’aiuto di alcuni imprenditori agricoli è stato sempre possibile ricostruire laddove è stato distrutto. Perché la logica con cui bisogna rispondere è la loro logica, se i mafiosi sono uniti e omertosi la società civile deve rispondere con i fatti in modo compatto. I simboli sono molto importanti e comprare un attrezzo agricolo alle cooperative rappresenta un simbolo molto forte che dice: “Questi ragazzi non sono soli, e noi lo dimostriamo”. Occorre sottolineare che la legge 109/96 è stata fortemente voluta da Libera che è riuscita a raccogliere oltre un milione di firme affinché la legge venisse approvata dal Parlamento. Come non ricordare quello che quotidianamente fanno i ragazzi del Comitato Addiopizzo con il loro slogan “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Tappezzato con que-


sto slogan il centro di Palermo si è svegliato la mattina del 29 giugno 2004, da quel momento in poi è partita tutta una serie di campagne antimafia contro il pizzo e il racket che ha portato alla stesura di una lista di commercianti/ imprenditori che si sono opposti pubblicamente al racket delle estorsioni mafiose, dove si chiede ai cittadini di “acquistate i prodotti di questi nostri coraggiosi concittadini; fatelo facendovi riconoscere! Dimostrate loro tutta la nostra stima e la nostra gratitudine. Diffondete questa lista tra amici e parenti, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, tra colleghi e conoscenti”. Sul modello di Addiopizzo nasce il movimento antimafia: Mafia? Nein danke! creato in Germania il 21 agosto 2007 pochi giorni dopo la strage di Duisburg che vede coinvolte famiglie di ‘Ndrangheta in lotta nella faida di San Luca. L’idea è partita da Laura Garavini, e le aziende che partecipano (già più di cento) si sono impegnate a non assumere persone che hanno precedenti mafiosi e a rifiutare, denunciare e combattere qualunque tentativo d’estorsione. Altre forme di mobilitazione sociale contro le mafie possono essere considerate alcune emittenti televisive e radiofoniche come Telejato che si definisce la televisione più piccola del mondo - TV antimafia – oppure Radio 100 passi che trasmette da Palermo, sulla scia di Radio Aut, fondata da Peppino Impastato nel 1976, e prosegue il percorso del suo fondatore. Se poi pensiamo alle associazioni che lavorano quotidianamente su tutti i territori del sud, del centro e del nord Italia, perché le mafie ormai sono un problema di tutte le regioni italiane (dando un’occhiata ai beni confiscati nelle varie regioni tralasciando il sud dove si sa che le mafie sono radicate si possono fare alcuni esempi; nel 2009 il totale dei beni confiscati in Lombardia sono 665, in Veneto 78, in Piemonte 121, in Toscana 37, nel Lazio 363) vediamo quanto questi gruppi cercano di sensibilizzare attraverso le loro attività nelle scuole, l’organizzazione di conferenze e dibattiti e iniziative di vario genere. Come non ricordare poi, tutti gli scrittori, giornalisti, professori, attori, registi, fumettisti che non si stancano mai di scrivere per informare, documentare e denunciare i crimini mafiosi, anche quando vengono accusati di essere anti italiani poiché con le loro attività danneggiano l’immagine del Bel

Paese! A scanso di equivoci mi riferisco in particolare alle accuse dell’On.le Silvio Berlusconi rivolte a Roberto Saviano che parla troppo di mafia! Forse occorre ricordare a chi come Berlusconi fa queste considerazioni che i mafiosi hanno paura di due cose e sono le uniche due cose che possono sconfiggerli: l’aggressione ai propri beni economici e immobiliari tramite il sequestro, e soprattutto l’informazione e la cultura. Riguardo alla prima cosa di recente c’è stata una rivolta della società civile e di una parte della politica a causa di un emendamento inserito nella finanziaria che prevedeva la vendita dei beni confiscati ai mafiosi, il tutto per fare cassa. Siccome i mafiosi sono scemi, non sanno che si possono ricomprare i loro beni avvalendosi di prestanome incensurati… Mi scappa da ridere!!! Comunque grazie a questa mobilitazione che ha visto uniti insieme per la stessa lotta cittadini, associazioni e amministratori locali la norma è rimasta ma è diventata molto più restrittiva. Questo va ad avvalorare la tesi che uniti si vince sempre, che bisogna essere vigili e non essere indifferenti nei confronti delle scelte politiche né tantomeno compiere il grave errore di pensare che le mafie siano delimitate in particolari aree del Paese e siccome io non vivo in quel territorio, mi devo disinteressare al problema. Purtroppo la cronaca nera e giudiziaria smentisce questa teoria. Riguardo al tema dell’informazione tra i nomi ricordati durante la lettura delle vittime di mafia, molti appartengono a persone che per amore della cultura e della libera informazione sono caduti sotto i colpi vigliacchi degli ominicchi mafiosi. Non vorrei mai ritrovarmi su una qualsiasi piazza d’Italia e ascoltare il primo giorno di primavera i nomi di coloro che quotidianamente resistono! Perché in quel caso tutti, nessuno escluso, sarà direttamente responsabile e sarebbe una sconfitta totale perché non siamo stati abbastanza uniti per difendere quei nomi. La storia dei caduti di mafia ci insegna che si muore quando si viene lasciati soli. L’ultimo esempio di antimafia sociale non posso non farlo sulla ribellione alle ’ndrine calabresi dei Migranti di Rosarno. A questo proposito MARCO dedica un articolo specifico a pag.9. Francesca Scaramozzino


In un periodo di acuta crisi economica come quella attuale, tante sono le persone che, persa la propria occupazione, si riversano sul mercato del lavoro. Spesso lo fanno consultando alcuni siti che pubblicano offerte di impiego di ogni tipo. Ed è tramite la pubblicazione di offerte di lavoro in questi siti che la criminalità organizzata ha trovato un nuovo mezzo per riciclare il denaro sporco. Chi pensa che le mafie comunichino con i pizzini e siano immuni allo sviluppo tecnologico, si sbaglia di grosso. Internet fornisce uno spazio con pochi controlli, garanzia dell’anonimato e rintracciabilità difficoltosa: il mezzo ideale per le attività illecite. Esistono varie maniere per riciclare denaro tramite sconosciuti. Il meccanismo è sempre simile e la logica di fondo la medesima: mettere a disposizione il proprio conto corrente per “ripulire” il denaro. Spesso si tratta di mail che annunciano la vittoria di una fantomatica lotteria spagnola; altre volte di offerte di lavoro in cui un misterioso agente straniero promette somme esorbitanti di denaro in cambio di una prestazione lavorativa. A.G., un ragazzo di Firenze ci racconta la sua vicenda personale. “Consultando le varie offerte di lavoro su un sito di annunci on line risposi a un sedicente agente di viaggi inglese che prometteva 1000 euro per fare da autista con mezzo proprio a una famiglia due ore per tre pomeriggi a Firenze. Pur sospettando una truffa che si risolvesse in una richiesta di denaro o qualcosa di simile, risposi all’annuncio inviando i miei dati personali e un indirizzo, come richiesto dal fantomatico agente. Alla richiesta di delucidazioni riguardo al tipo di lavoro, le date e le mansioni, l’agente mi ha sempre risposto dicendo di non preoccuparmi che tutto sarebbe stato chiarito nel giro di pochi giorni. In men che non si dica mi arriva a casa - continua A.G. - un assegno di una banca inglese del valore di 5000 euro. Sbalordito dalla somma, e sempre più insospettito dalla vicenda, chiesi ulteriori spiegazioni riguardo alla cifra astronomica. Mi venne risposto che avrei dovuto mandare i 4000 euro di sovrappiù a un indirizzo che l’agente mi avrebbe al più presto fornito e che quel denaro sarebbe servito a coprire le spese di viaggio della famiglia”. È esattamente questo il punto in cui scatta il riciclaggio. Il pagamento avviene effettivamente: il lavoro reale, retribuito 1000 euro, è quello di riciclare, tramite il proprio conto, 4000 euro, ritirando il tutto e inviando i soldi liquidi all’indirizzo comunicato. Su 5000 euro chi ricicla ce ne rimette 1000 ma si mette in tasca 4000 euro che non avrebbe saputo come ripulire altrimenti. Riportando tutto questo su grande scala possiamo immaginare che giro di riciclaggio la criminalità organizzata riesce a costruire utilizzando ignari disoccupati o studenti in cerca di lavoro, allettati da tali cifre esorbitanti. La crisi favorisce il tutto: anche chi si accorge di essere in un giro di questo tipo spesso preferisce ritirare il denaro, seguire le “istruzioni” e guadagnare molti soldi senza praticamente fare nulla. Peraltro anche l’aspirante lavoratore, ignaro o meno che sia, rischia dai 4 ai 12 anni di carcere per riciclaggio (Art. 648 bis Codice Penale). Dunque l’unica soluzione in caso di arrivo di una simile offerta è cestinarla immediatamente e denunciare l’accaduto, come A.G. fece prontamente. Un fenomeno, che nonostante tutto, è in constante aumento come segnalato dalla Panda Security secondo la quale il fenomeno del “money mule” rappresenta lo 0,31% di tutto lo spam mondiale. Le ricadute di un’azione del genere, per quanto compiuta in buonafede, possono diventare disastrose per lo Stato, che per riuscire a fronteggiare un problema atavico come questo deve per lo meno poter contare sull’etica civile dei suoi cittadini. La mafia assume caratteri irreversibili se diventa una mentalità diffusa, un modo di pensare comune della collettività. Se così è, l’Italia è destinata a un lento declino civile e culturale. Collettivo Sud-Est



Nel mese di gennaio 2010 il dramma delle condizioni in cui versano molti migranti è venuto fuori con tutta la sua forza e la sua violenza soprattutto morale. Abbiamo ancora negli occhi le immagini che alcune trasmissioni televisive hanno mandato in onda mostrando le condizioni disumane di Uomini costretti a vivere in silos al freddo e al gelo in inverno, al caldo afoso nella stagione estiva, sfruttati, sottopagati, in preda alla fame, alla miseria, e alle malattie. Sono Uomini che lavarono per 10 ore il giorno e guadagnano 25 euro di cui 5 vanno nelle tasche dei caporali e 3 per il trasporto. Sono anni che i giornalisti e le associazioni di volontariato denunciano questa situazione, ma vale la regola del “mi giro da un’altra parte”, è meglio non vedere, fare finta di non sapere, altrimenti si rischia di essere antitaliani! D’altronde sono Uomini neri senza uno Stato di appartenenza che possa dire qualcosa per garantire loro i diritti fondamentali, è gente che scappa dal proprio territorio per guerre e povertà per arrivare in occidente, nella civiltà delle terre che furono della Magna Grecia dove vengono trattati come merce e oggetti e quando non servono più gli spariamo addosso, cominciamo a dire che l’uomo negro è cattivo, sporco e ci ruba il lavoro. Molti Uomini che sono stati costretti a scappare non hanno soldi perché non sono nemmeno stati pagati. Poco importa se come cenere sotto il fuoco è stata la ’ndrangheta ad aizzare e fomentare questa guerra tra poveri, ho sentito dire “tanto se vanno via gli Africani, ci sono molti rumeni disposti a raccogliere le arance”, come a dire chiodo schiaccia chiodo, quello che più conta è che le istituzioni regionali, provinciali e soprattutto nazionali sono assenti, non parlo del Comune di Rosarno che è commissariato per infiltrazione mafiosa. Lì l’istituzione la fanno le ‘ndrine capitanate dai Bellocco e dai Pesce, niente avviene se questi signorotti non vogliono perchè tutto funziona come ai tempi del latifondo. Si è parlato tanto della Calabria, la Piana di Gioia Tauro, la Locride e Rosarno, per scoprire che la colpa di tutto è loro, dei Clandestini e dei Negri che hanno osato ribellarsi, che non hanno capito chi comanda, che a differenza di molti italiani e calabresi quando vuoi levargli l’ultima cosa che gli rimane: la Dignità, arrivano a mettere a ferro e fuoco una città che sia Rosarno o Castelvolturno, che le ingiustizie le commetta la ‘ndrangheta o la camorra. Quante Rosarno ci sono in Italia? Ci spaventa vedere quelle immagini, ci rimorde la coscienza perché a differenza di molti italiani loro s’indignano e s’incazzano, trovando la forza di ribellarsi e di reagire soli contro tutti. Francesca Scaramozzino


Eravamo in due, ora sono da sola. Da circa due anni sono in trattative legali, perché sono stata vittima di una mafia “particolare”, quella del mercato nero degli affitti! Avevamo preso una colonica bellissima in Val D’Orcia (immaginate voi), situazione molto pacifica contro tutto il mondo estremamente commerciale: auto sussistenza, feste, meditazioni yoga e tante belle cose… Un bel giorno ero fuori a fare un mercato e, la mia ex amica, vede entrare un tipo in casa (che non era una cosa molto strana, visto il via vai di gente che c’era…) colui era un dipendente di un’agenzia locale, che era venuto a controllare lo stato dello stabile (in teoria sfitto da almeno due anni),

per affittare nuovamente la casa! Noi pagavamo un affitto molto alto, a una certa persona, che si presentava come la proprietaria della casa, questo era falso!!! A questo punto abbiamo smesso di pagare l’affitto a questa “bella” signora, comunicandole che avevamo capito tutto! Invece di scappare su Marte questa si presenta alla porta dicendoci che noi dovevamo sloggiare, vi rendete conto! Ci minaccia! Ci sono volute due volanti per farla andare via! Ci stacca la luce (perché le bollette erano a nome suo)! A questo punto inizia una vera e propria resistenza umana in sintonia con il sorgere e il calare del sole, fatta di cene a lume di candela e amici che ci ospitano, ma noi da quel paradiso non ce ne saremmo andate perché non era giusto! Qualche giorno dopo questa pazza scatenata, ci entra in casa mentre dormivamo, insieme con altri energumeni, minacciandoci di nuovo! C’è voluto l’intervento di tre volanti per buttarla fuori! Non contenta aspetta un momento in cui eravamo entram-

be assenti per manometterci la porta! A quel punto altro intervento della volante che sfonda la porta e ci consiglia di prendere tutto e andarcene! La mia cara ex amica si gira e se ne va via come se fosse più importante “riposare” invece di scappare e prendere la roba, eravamo in due, ora sono da sola! Menomale che c’era un mio ex con cui sono rimasta molto amica, che mi ha aiutato a prendere tutto e uscire da quel posto! Che cosa consiglio a una persona che vuole prendere una casa? La legalità più completa come punto di partenza, l’affitto deve essere registrato, con un contratto regolare, senza scorciatoie…, tutelato da un’agenzia che garantisce una maggiore sicurezza! Non fidatevi mai di nessuno, perché la maggior parte della gente pensa solo al proprio interesse economico, anche in modo autolesionista! La mafia ha tante sfaccettature, molto ipocrite, come questa, ci sarà una nuova Resistenza? Spero di si… Serena Patty

I primati non appartengono soltanto alle grandi città, né fanno distinzione tra nord e sud. Secondo l’ultimo rapporto annuale di Censis, noto istituto di ricerca socioeconomica con sede a Roma, il comune più informatizzato di Italia è Soveria Mannelli, un piccolo centro abitato di 3.500 anime situato in provincia di Catanzaro. Il 66,7% degli abitanti possiede infatti un pc, un valore che fa impallidire anche città ben più note e popolose. Ma gli allori per il piccolo comune non finiscono qui: a far parlare ulteriormente della netta predisposizione alla tecnologia informatica del piccolo centro calabro, è la possibilità, riconosciuta a tutti gli abitanti, di accedere gratuitamente alla linea Internet wireless. In altri termini, gli hot spot Wi-Fi coprono ogni punto del comune (circa 20 Km quadrati) consentendo l’accesso a Internet da qualsiasi abitazione, strada o locale pubblico. Ai cittadini viene chiesto soltanto di recarsi presso lo sportello Wi-Fi del Comune per richiedere e ottenere, senza dover pagare neanche un euro, nome utente e password necessari alla connessione. Per i meno esperti, è anche prevista una guida sul sito www.soveria.it. L’amministrazione comunale è al settimo cielo ed esprime la sua più profonda soddisfazione attraverso le parole dell’ex sindaco Leonardo Sirianni (l’attuale è Mario Caligiuri) che dichiara: «siamo contenti di poter fare questo regalo a Soveria proprio in occasione dell’anniversario della fondazione. Il nostro comune ha scelto di investire in tecnologia e innovazione fin dagli anni ‘90, i riconoscimenti non sono mancati e spesso la stampa nazionale si è occupata di noi. Sicuramente il motore di questo processo è stato il favore che tutte le iniziative realizzate hanno trovato presso i cittadini». N.d.R.


Nell’immaginario collettivo si è sempre pensato che le mafie sono tali perché come in un film western sparano lasciando morti ammazzati per terra. Non è cosi, il vero potere delle mafie è esterno alle mafie, le relazioni sociali sono le risorse più importanti delle mafie. Le mafie senza scambi, collusioni, favori con apparati istituzionali, politici, imprenditoriali, economici, non esisterebbero. Detto ciò, non voglio trattare il tema della corruzione, di come si definisce e riconosce, ma mi preme analizzarne i costi. Essa non va a produrre atti distorsivi da un punto di vista meramente economico, ma va a minare la credibilità delle istituzioni danneggiando il tessuto della società civile. In breve cercherò di dare una risposta alla seguente domanda: Chi paga la corruzione? o meglio quali sono i costi della corruzione? La corruzione divora in Italia 50 miliardi all’anno. È la stima di Transparency International (un organismo “no profit” che studia il fenomeno della corruzione a livello globale), il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti, ha definito il costo della corruzione una “tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini” e il costo del “pizzo”, la tassa delle mafie, che, secondo la Fondazione Chinnici, nella sola Sicilia costa più di 1 miliardo di euro l’anno, l’1,3% del PIL regionale. Il prezzo della corruzione è quasi sette punti di prodotto interno lordo ogni anno, 25mila euro di debito per ciascun cittadino della Repubblica, neonati inclusi. Settanta miliardi di euro di interessi passivi, sottratti ogni anno alle infrastrutture, al welfare, alla formazione, alla ricerca. Da un punto di vista economico, la corruzione alimentata dalle infiltrazioni di organizzazioni criminali, che spesso coinvolge l’amministrazione pubblica, produce una serie di effetti distorsivi quali: alterazione dei prezzi sul sistema dei mercati ostacolando la libera concorrenza, alterazione del mercato dell’offerta di lavoro con la promessa di facili guadagni attraverso le atti-

vità illegali, chiusura delle imprese sane, paura ad aprire nuove attività imprenditoriali, infiltrazioni e inquinamento degli appalti pubblici. Alcuni studi molto seri elaborati da Transparency International, dimostrano che esiste una stretta correlazione tra corruzione e fattori economici, a un alto livello di corruzione corrisponde un basso livello di PNL, un tasso di crescita molto basso del PIL, un fattore alto di rischi per gli investimenti, un alto costo del denaro effetto di scoraggiamento degli investimenti esteri. Inoltre è dimostrato che i maggiori effetti della corruzione si vedono dove sono coinvolti ingenti capitali attraverso l’intervento dello Stato quali: lavori pubblici e costruzioni, armi e difesa, prodotti energetici e telecomunicazioni, industria farmaceutica e sanità. Secondo la Corte dei Conti la diffusione della corruzione nella Pubblica amministrazione costituisce “un ulteriore costo non monetizzabile per la collettività, che rischia di ostacolare (soprattutto in Italia meridionale) gli investimenti esteri, di distruggere la fiducia nelle istituzioni e di togliere la speranza nel futuro alle generazioni di giovani, di cittadini e di imprese”. La corruzione diventa un costo fisso per le imprese e un onere che incide pesantemente nelle decisioni di investimento. Sono costi, per le piccole e medie imprese, che possono essere determinanti per l´entrata nel mercato, così come possono causarne l´uscita. E in ogni caso sono costi che hanno rilevanti ricadute su altri fronti: ricerca, innovazioni tecnologiche, manutenzione, sicurezza personale, tutela ambientale. Una ricerca del Censis e Svimez ha dimostrato che solo nelle aree meridionali d’Italia il controllo della malavita sull’economia reale significa 180.000 posti di lavoro perduti ogni anno; 7,5 miliardi di euro ogni anno; il PIL pro-capite senza il controllo e il condizionamento della criminalità sarebbe identico a quello del centro-nord. L’Italia perde posizioni nella classifica dei paesi meno corrotti. La lista, stilata da Transparency International, vede, infatti, il nostro paese scendere dal 55° al 63° posto, a pari merito con l´Arabia


Saudita. Nel 2007 eravamo al 41° posto. La corruzione e la criminalità organizzata rappresentano i casi più gravi dell’attuale modello economico. Occorre mettere in discussione la natura e la qualità dell’economia e il ruolo che essa ha avuto ed ha nei processi di finanza e di privatizzazione nei settori strategici portati avanti con politiche liberiste attraverso un rapporto malato tra politica, impresa, banche e mondo finanziario. Insomma la cosiddetta globalizzazione basata su politiche liberiste ha abbattuto tutte le forme di controllo dell’economia, di trasparenza nella finanza, ed ha contribuito all’espansione della corruzione e delle mafie. La lotta alla corruzione non può essere fatta solo attraverso la repressione delle attività delittuose, ma deve essere fatta attraverso la prevenzione. Occorre impedire il suo agire silenzioso attraver-

so l’educazione alla legalità, la denuncia dei cittadini. Si è osservato che la prevenzione e il contrasto della corruzione diventano più difficile dove sono riscontrati intrecci tra settori politici, economici e della società con le mafie. Occorre agire sui comportamenti, sulle procedure, sulla trasparenza dell’attività amministrativa al fine di prevenire e limitare la probabilità che si realizzino episodi di corruzione. Le mafie non sono solo gruppi criminali, sono diventate vere e proprie imprese criminali (fatturato di 130 miliardi di euro l’anno), che danno lavoro, si infiltrano nell’economia legale, negli appalti, nella politica (153 comuni sciolti per mafia dal 1991 a oggi). Leggi come quella relativa allo “Scudo fiscale”, la depenalizzazione del reato di falso in bilancio, la vendita all’asta ai privati dei beni confiscati, non ultimo il DDL sulle intercettazioni, sono provvedimenti che indeboliscono la lotta alla corruzione e alle mafie.

Francesca Scaramozzino

A Casal Velino, roccaforte del clan degli Eleati, hanno trovato un raro esemplare di tartaruga da corsa. L’animale esotico era tenuto in cattività in un uno spazio in cui ogni movimento risultava impossibile. A Metaponto, tra le rovine carbonizzate di un tempio dorico, tra altri resti umani, hanno trovato un femore d’oro che la scientifica attribuisce a Pitagora. A Siracusa, sul fondale della fonte di Aretusa, tra i papiri, hanno ritrovato il disco di Euclide, completamente liscio, incolore, con una faccia sola. A Brindisi un biglietto su cui si leggeva solo “multa per” e creduto il verbale di una contravvenzione da chi lo aveva raccolto, si è rivelato essere un appunto autografo di Catullo di ritorno da un viaggio per mare: “Multas per gentes et multa per aequora vectus”. A Lentini i finanzieri hanno perquisito lo studio dell’avvocato Gorgia, accusato di ricettazione di beni culturali di inestimabile valore, ma non hanno trovato nulla. A Sibari i cittadini, dopo anni di ricerca di un posto di lavoro, delusi incrociano definitivamente le braccia. A Siracusa avvistamento di relitti misteriosi presso la costa. A Crotone indagini sul Mezzogiorno, gli avvocati fanno quadrato e proclamano: Basta coi soliti teoremi! A Siracusa operazione ‘Dionisio’: al vaglio degli inquirenti migliaia di intercettazioni audio. Bozzak


Lo Stato moderno, così com’è presente da circa 250 anni, crea nel cittadino un senso di bisogno dell’ente statale medesimo, rendendolo dipendente dalle sue istituzioni. Come tale la persona può finire per tendere a una sorta di minorità che ne lede il senso di capacità di badare a se stessa con autonomia di comportamento. Il buon padre di famiglia è demandato a figura di controllo nel micro-territorio di sua competenza da un potere che dall’istituzione astratta e lontana, discende a cascata attraverso i vari rappresentanti gerarchici, dalla sommità alla base di un Paese. Con le sue istituzioni scolastiche, sanitarie, assistenziali, amministrative, ecc. lo Stato finisce per rendere una funzione ambigua, che se da un lato mette a disposizione servizi di utilità pubblica, li offre attraverso una serie di meccanismi di controllo e gestione delle varie fasi della vita vissuti come un’elargizione di favori. In questo modo, laddove all’abitudine della cessione della soddisfazione dei propri bisogni e necessità a un ente estraneo preposto, com’è appunto lo Stato mo-

derno, si deve fare a meno per latitanza e insufficienza istituzionale, può andare a sostituirsi un potere privato con proprie regole, illegittime e criminose: una multinazionale, oppure un’organizzazione di tipo mafioso come conosciamo in Italia. Per il cittadino che vive in territori dove manca una presenza pubblica cui affidarsi, va a operare un padrino che per lui gestisce i vari aspetti dell’esistenza. Questo diviene cosa naturale in un intrico di favori e controfavori che asfissia il vivere naturale, quando, ad esempio, all’atto di ricevere una risposta a esami clinici, non c’è a disposizione un sistema di mezzi di trasporto che permetta di raggiungere comodamente il laboratorio dove ritirare i risultati, come succede in molti paesi dell’Appennino calabro-lucano, e sarà il padrino ad aiutare a risolvere il problema. Se si potesse compiere un salto di autonomia consentendo di ricevere direttamente per via telematica i dati, permetteremmo di evitare questo passaggio burocratico, nell’eliminare lo sportello di ritiro analisi si avrebbe meno Stato, meno

istituzione, ma è così grave? Un esperimento simile è stato tentato a Soveria Mannelli, in Calabria, si potrebbe allargare l’esperienza? Ci chiediamo insomma, ripensarsi con una maggiore indipendenza e autonomia dallo Stato padre potrebbe aiutare a liberarsi anche dal più pernicioso padrino/patrigno? Guru e Katrame



Prima o poi su queste pagine bisognava spendere due parole sul mondo delle Netlabel italiane, forme vive di condivisione e di libertà espressiva assolutamente free e tassativamente on-line; insomma, nuovi orizzonti emergono, dopo la defezione e l’allontanamento della maggior parte delle case discografiche dal pianeta musica. Parliamo dell’AQuietBump che è considerata tra le più importanti netlabel del panorama europeo di musica elettronica. L’occasione è l’uscita dell’ultimo lavoro, “So shy EP” di PEAK, al secolo Paolo Picone. L’AQuietBump è un etichetta web (netlabel) localizzata in Irpinia, nel cuore dell’entroterra del sud Italia. Concentra l’attenzione su pubblicazioni audio e/o multimedia circa i generi dub, trip-hop, ecc.: più in generale attraverso una ricerca sulle “basse frequenze”. Fondata nel 2005 da Carmine Minichiello e Paolo Picone in occasione della prima pubblicazione della band Mou (vincitrice qualche anno addietro del festival ArezzoWave), Aquietbump amplia il proprio staff nel 2006 con Giovanni Roma (Black Era) e Raffalele Gargiulo (Jambassa), creando così un primo nucleo di bands e caratterizzando Aqbmp come una piattaforma di interscambio e collaborazione tra musicisti. Con la pubblicazione di “Sbl”, della crew sarda Sardinia Bass Legalize, Aqbmp allarga i propri orizzonti avviando così un discorso aperto di editoria musicale a pieno titolo. Dal 2006 ad oggi Aqbmp attira l’attenzione di magazine, radio e media specializzati di tutto il mondo, diventando presto una delle netlabel di riferimento sui generi dub e trip hop con più della metà dei propri accessi provenienti dall’estero. “SO SHY” è la venticinquesima release pubblicata negli oltre 5 anni di attività dell’etichetta. La permanenza di Peak a Berlino non ha scalfito il calore e le armonie sonore che già avevano caratterizzato il suo disco d’esordio, “So quiet”, del 2008; oggi è, ancora una volta e sempre di più, l’anello di congiunzione fra il Deadbeat più passionale e i Retina.it a scuola di Dub, fra la cultura delle Posse (soprattutto l’esperienza napoletana degli anni 90’), che ha tanto dato all’evoluzione dell’elettronica ad ampio raggio in Italia, e un certo intimismo Irpino che solo chi viene da quelle terre può conoscere e dunque esprimere. Peak è risolutivo e chiaro, al contempo affonda il bit nella natura, donando un tappeto di sobria estasi straniante rivolta al quotidiano, e poi ti spiazza con una sorta di poesia industriale radicata al territorio, al vissuto: frammenti di immagini inequivocabili. I 5 brani sono lo specchio delle tante esperienze maturate negli anni da Peak intorno al pianeta musica, prima come batterista e poi ore ed ore, giorni mesi anni votati alla ricerca del suono, del bit ideale, coadiuvato dall’amore incontrastato per le basse frequenze. Ascoltare oggi “So shy”, è come seguire un percorso a carponi, nel buio ventre dei ricordi; ti porta indietro, a vecchie abitudini affossate chissà dove, oppure ti immerge nel fondale della ricerca di una frase detta o solo pensata, di un suono notturno dal sapore antico, di un raro momento perfetto, “So shy” ti da il potere di essere cosciente, e comunque diretto, meravigliato e consapevole di poter andare avanti nel delirio della quotidianità. Ecco, tutto ciò è l’AQuietBump, un manipolo di appassionati, che man mano sono diventati prima collaboratori e poi amici, in un territorio, il Sud, dove la mattina ti svegli e ti riaddormenti, dove la politica é un cadavere che ha contaminato e ostruito la sorgente della creatività, e dove chi vuol fare spesso costretto ad andarsene e chi rimane è un lupo solitario dalla pelle dura. Lunga vita alla AQuietBump, e tanti bit a Peak, in attesa di un ritorno a casa! N.B.: tutte le releases di Aqbmp sono free download su licenza creative commons 2.5. www.aquietbump.com - www.myspace.com/peak1mt - www.soundabbast.it Grazie a: Aquietbump family

Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco


CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 LE ORIGINI DELLE MAFIE ITALIANE pag.3 CUPOLA IN GALERA pag.4 ANTIMAFIA SOCIALE pag.5 UNA STORIA COMUNE… pag.7 MAGNA AFRICA pag.9 RESISTENZA UMANA... pag.10 LA BUONA NOTIZIA pag.10 IL COMPLICE DEL CRIMINE DELLA CORRUZIONE È SPESSO LA NOSTRA STESSA INDIFFERENZA pag.11 ULTIMISSIME DALLA MAGNA GRECIA! pag.12 TOSSICHE DIPENDENZE pag.13 L’IDENTIKIT DEL MAFIOSO pag.14 ...NEL CUORE DELL’ENTROTERRA DEL SUD ITALIA pag.15

MARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°5 - Anno II Primavera 2010 Rivista aperiodica di cultura e società. Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Massimo De Micco Francesco Guidi Guru, Katrame Consuelo Lorenzi Ortensia Martinez Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Chiara Troyli Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (raffaelevella@hotmail.it) Fotografia Raffaella Milo (raffaella.milo@alice.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco …..

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