Estate 2010 Distribuzione Gratuita
Pagine di dibattito e riflessione sui tempi e spazi che viviamo
Favola Novella Fiaba Racconto Saga Mito Leggenda
Anno 2/ N째2
R E D A Z I O N A L E
Nel libro ‘Il mondo incantato’ Bruno Bettelheim asserisce che nelle fiabe possiamo ritrovare la ripetizione dei conflitti inconsci così come proposti da Freud (io, super io ed es), il nostro io cosciente (es. Cappuccetto Rosso), il nostro es – istinto – (il lupo divoratore) e il super io censore (il cacciatore); altresì Louise von Franz, allieva di Jung, rielabora ne ‘Il femminile nelle fiabe’ il fenomeno dei racconti nel segno delle proposte dello studioso svizzero sugli archetipi collettivi per cui avremo l’Anima Animus per le femmine - (Cappuccetto Rosso), l’Ombra (il lupo), la Grande Madre buona (la nonna), il Vecchio saggio (il cacciatore). Ambedue gli autori propongono modelli perfettamente rispondenti alle teorie dei loro maestri e certamente aggiungono alla comprensione del fenomeno ulteriore fascino. Così sull’onda di queste riflessioni abbiamo voluto anche noi del PeriodicoMARCO dare
un nostro personale contributo portando le nostre riflessioni sui significati e sull’importanza della fiaba nel mondo attuale che tanto poco tempo sembra dedicare all’ascolto di questo genere espressivo. Ignorare o trascurare il fiabesco, relegarlo allo sfondo di qualche videogioco, può significare un distacco profondo dal nostro essere, dal nostro crescere interiore e quindi diventare un atteggiamento pericoloso. Un bimbo cui non si è offerto di sviluppare un mondo interiore pieno di poesia sarà un adulto abulico e indifeso cui politici, media, militari ed economisti potranno raccontare un altro tipo di “fiabe” in cui cadrà facilmente per la mancanza di un adeguato esercizio all’uso dell’immaginazione e alla libertà. Il personaggio di copertina è un gramulash essere fiabesco nato con un lavoro collettivo della fantasia della redazione che l’ha concepito, scritto, disegnato e fotografato per il piacere
dei nostri lettori. Noi nel farlo ci siamo tanto divertiti, speriamo anche voi nel leggerlo. Vogliamo segnalarvi che fra le immagini scelte a corredo di questo numero, oltre al lavoro del nostro grafico, della nostra fotografa e del nostro fumettista, potrete ammirare alcune opere tratte da vecchi libri di fiabe degli anni ’50 oggi esauriti che, speriamo, troveranno il vostro apprezzamento. Ricordiamo il nostro sito w w w. p e r i o d i c o m a r c o . i t per commenti e riflessioni sempre benvenuti
“Un vestito d’oro su oro. Sopra delle ritorciture d’oro, un trapunto d’oro che fa la più meravigliosa stoffa che si sia vista al mondo”. Cosi Madame de Sévigné descrive un abito di Madame de Montespan e aggiunge: “questo lavoro, non v’ha dubbio, è stato eseguito dalle fate”. Siamo alla corte del Re Sole e già le fate lavoravano per gli uomini, come nelle fiabe scritte da Goethe, da Andersen e dai Grimm. Neppure Madame di Sévigné, che vive in una fiaba tra personaggi da fiaba, si trattiene dall’ammirare l’opera delle fate, che abitano in giardini più belli di Versailles, lavorano più delle manifatture Gobelin e tessono meglio di Colbert, insomma, si danno da fare. E poi, maneggiano l’oro e, si sa che di fronte all’oro, tutti diventano bambini, tutti credono alle fiabe. Certo, non basta un pizzico d’oro per ottenere questo effetto, occorre che si verifichi un’inversione della realtà ordinaria per cui le cose ordinarie diventano d’oro e su questo fondo d’oro le fate andranno a disporre altro oro, “oro su oro”. Allora si apre davanti a noi la porta invisibile che ci conduce nel mondo delle fiabe, dove tutto è d’oro, o di diamante, di ghiaccio, di zucchero o di crema, tutto enorme, tutto minuscolo. La parola magica che compie questo prodigio è “tutto”: tutto è ridotto a pochi elementi, che si ripetono e si armonizzano secondo un’unica volontà, la volontà del narratore. Nella fiaba il narratore è sovrano assoluto, ma quando dispone di un certo potere anche nella realtà, le cose si complicano: chi vuole vivere come in una fiaba spesso fa fare agli altri una vita d’inferno. Ecco allora che la favorita del Re Sole si fa fare un abito
d’oro che sembra fatto dalle fate, poi va da una strega a farsi dare dei filtri per sterminare i suoi nemici con il veleno: è la storia della Montespan, o siamo in una fiaba? Ve ne racconto un’altra: il re impone ai francesi una tassa del venti per cento, uguale per tutti, e i nobili che non erano abituati a pagare, protestarono. Un modo per protestare era quello di scrivere una fiaba e Madame de Beaumont scrive “La bella e la bestia”, riprendendola da un racconto di trecento pagine di un’altra aristocratica, Gabrielle Suzanne de Villeneuve. La morale della favola si può riassumere così: la borghesia stia al suo posto e non cerchi di mettersi alla pari con i nobili e il re si regoli di conseguenza, o saranno guai per tutti. Le fate a quei tempi parteggiavano per la nobiltà; più tardi si sono spostate a sinistra e non hanno mai smesso di consigliare i ceti emergenti su come ingraziarsi il re o su come abbatterlo, fornendogli nel caso anche il denaro e le armi per riuscirci, insieme ai segreti delle società segrete e a certi modelli di comportamento che sono quelli che noi proponiamo ai bambini di oggi quando leggiamo una fiaba. Quali sono questi modelli? Tanto per cominciare il duro lavoro delle fate, che è molto moderno: prima erano ammirate per altre cose, ad esempio i loro i corpi sottili, che permettevano loro di intrufolarsi dappertutto e di forzare le resistenze della materia grezza. Le fate moderne mantengono queste caratteristiche, che furono inventate per loro nel Medioevo, ma acquistano anche perizia tecnica e resistenza al lavoro, al punto che Disney può immaginare gli gnomi di Biancaneve o i topi di Cenerentola come operai alla catena di montaggio. Le fate moderne insegnano anche l’amore per l’umanità intera a f f e r m a t o e difeso da un gruppo di amici fidati
(Goethe); sostengono valori come la solidarietà, la determinazione, l’accortezza nei traffici (Andersen); la fiducia nell’azione collettiva purché sottomessa all’organizzazione tayloristica (Disney), il sospetto per la retorica, l’odio per il privilegio e al tempo stesso l’avversione al livellamento (Rodari). Non mancano fate in controtendenza, che esaltano il particolarismo
e il privilegio: Harry Potter contro le sicurezze dei babbani. Si tratta di capire se il mago con gli occhiali rappresenta forze emergenti o illusioni che la storia ha già sommerso. In ogni caso fa piacere sapere che tra le fate ci sono ancora differenze e dibattiti, nonostante i ripetuti tentativi di omologazione della fantasia. Massimo De Micco
Bibliografia: Gadda C.E. (1964), I Luigi di Francia, Milano, Garzanti ‘92 Lewis C. S. (1964), L’immagine scartata, Genova, Marietti ‘90 Rak M., La logica delle fiabe Tecchi B. (1966), Goethe scrittore di fiabe, Torino, Einaudi Zipes J. (2002), Oltre il giardino, Milano, Mondadori Zipes J. (1979), Spezzare l’incantesimo, Milano, Mondadori .
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Se, come ci dice Vladimir Propp (ne “Le radici storiche dei racconti di Magia”), le fiabe altro non sono che versioni tarde e deformate, da secoli di trasmissione orale, dell’ancestrale narrazione del rito d’iniziazione che avveniva per segnare il passaggio tra infanzia ed età adulta, nei tempi in cui l’uomo viveva ancora di caccia e raccolta, a ulteriori considerazioni ci porta la lettura di Pinocchio di Carlo Collodi, se molto indegnamente ci mettiamo nei panni di novelli Propp del terzo millennio e cerchiamo di capire quale senso ci sia dietro le avventure del burattino toscano. Nelle fiabe tradizionali presenti fino all’Ottocento noi vediamo, modificato e edulcorato da un successivo traslato agricolo, quello che i giovani delle tribù primitive dedite a un’economia di sussistenza propria di chi vive dei prodotti della foresta e della savana (e testimoni ne sono ancora oggi i residui riti di alcune tribù isolate dai grandi traffici del commercio mondiale), dovevano compiere a un certo punto della loro esistenza: un percorso iniziatico di morte e rinascita. Durante questo periodo della storia umana le fasi della vita sono contratte, infanzia ed età adulta sono brevi e spesse volte la vecchiaia non riesce nemmeno a sopraggiungere, e quando accade è perché l’individuo è riuscito, nonostante i predatori in agguato e le gravidanze affrontate in condizioni precarie, a raggiungere i trentacinque anni d’età o poco più. Per sopravvivere è essenziale una dura disciplina al coraggio e alla sopportazione del dolore, quindi a otto, nove anni, l’infanzia, con l’approssimarsi della pubertà, viene a essere precocemente annullata dai riti che il giovane affronta durante l’iniziazione: mutilazioni, rumori, voci, versi e volti misteriosi e terrificanti provocati dagli anziani in maschera, stati allucinatori provocati da erbe, squartamenti di animali, pasti immondi, emozioni paurose e quanto altro sono affrontati dal ragazzo nella grande casa comune dei riti, per forgiare in lui il futuro adulto alla difficile vita che lo attende lontano dalla capanna paterna. In genere, compiuto questo percorso traumatico ma necessario alla sopravvivenza, in cui il membro della tribù oltre al carattere può anche veder cambiato il proprio nome, subentra il matrimonio e il ciclo riprende. I millenni passano e così i secoli, alla caccia e alla raccolta subentrano l’agricoltura e la pastorizia, ai matrimoni di gruppo segue la famiglia patriarcale, i vecchi racconti di un reale passaggio esistenziale si trasformano in fiabe e racconti mitici: la casa dell’iniziazione diventa l’antro pauroso della strega, la fine della vita nella capanna dei genitori diventa l’abbandono nel bosco
da parte della feroce matrigna, i buoni consigli dello sciamano si trasformano negli avvertimenti all’eroe da parte dell’animale parlante, il famoso aiutante magico, e alla fine in ogni modo tutti si ritrovano felici e contenti col matrimonio finale. Si entra bimbi, nella fiaba, e se ne esce sessualmente maturi, pronti a sposare il principe, o, secondo il sesso, la principessa. E Pinocchio, diranno i miei piccoli (e grandi) lettori? Le avventure di Pinocchio, come i racconti su altri infantili eroi ottocenteschi, è una fiaba che viene a nascere in piena epoca industriale. Se ancora con l’agricoltura il tempo dell’infanzia deve per necessità essere un momento breve nella vita dell’individuo, non così dall’Ottocento, quando giovanissima manodopera non specializzata e poco consapevole viene a essere sfruttata nelle nuove fabbriche in crescita, e poi in seguito, quando il progresso della meccanica e il relativo complicarsi della società richiedono una preparazione sempre più basata su saperi non naturali, che si possono apprendere nelle scuole di avviamento professionale o nei ginnasi. Anche Pinocchio compie un percorso iniziatico di crescita: capita in mezzo ad avventure piene di animali parlanti, fate, mostri e prodigi ma alla fine nessun matrimonio con principesse, nessun regno in cui succedere al vecchio re, il premio è invece un ulteriore periodo d’infanzia e, conseguentemente, di formazione, principalmente scolastica. Non è dato sapere se andrà alla scuola-bottega di falegnameria diventando un Maestro d’arte come il buon Geppetto, o se frequenterà il ginnasio, avviando poi un mobilificio alla moda. Certo è che il burattino si trasforma in un serio bambino (forse anche un po’ antipaticuccio a vedere certe illustrazioni e certi film ricavati in seguito al successo dell’opera, vedi immagine), pronto a fare il suo dovere nella laboriosa società post unitaria dell’Italia del tempo. Il racconto, uscito prima a puntate sul Giornale per i bambini fra il 1881 e il 1883, e antecedente a Cuore che esce nel 1886, segue di pochi anni la riforma scolastica del ministro Coppino del 1877, con l’obbligo scolastico almeno delle prime due classi elementari. L’Italia parte arretrata rispetto ad altri paesi europei, ma ancora fino al dopoguerra dello scorso secolo le sacche di analfabetismo saranno drammatiche, l’obbligo allo studio fino ai quattordici anni e la conseguente media unica arrivano addirittura nel 1962. Ma probabilmente tanto è bastato per iniziarci al nuovo genere di vita che l’industrializzazione comportava. Questo è uno dei sensi di lettura che potremmo dare a Pinocchio. Oggi che col terziario avanzato le cose sono ulteriormente cambiate: la sensazione è che nessuno debba crescere più e che nessuna iniziazione più o meno fiabesca debba compiersi, il ciocco informe trovato da Mastro Ciliegia è forse la condizione esistenziale ideale richiesta attualmente in questa civiltà occidentale, ai suoi cittadini; quello però già parlava, noi invece dovremmo solo guardare la televisione, questo eterno Paese dei Balocchi in cui vorrebbe giornalmente condurci, col suo carrozzone a dodici pariglie di ciuchini, il perfido Omino burroso! Consuelo Lorenzi
Esiste una dimensione, collocata oltre il tempo e lo spazio, in cui si svolgono storie che raggiungono l’immaginazione di bambini e bambine. C’è sempre, poi, uno scarto tra immaginario e realtà: l’immaginario serve a liberarci, ma ci costringe anche all’interno di modelli che non ci piacciono e non ci corrispondono. Nell’immaginario collettivo stereotipi, pregiudizi e luoghi comuni sono da considerarsi idee negative, poiché costituiscono quelle fissità che la società crea e che gli individui ricevono come proprie in modo acritico, obbligandoli, di fatto, a schemi rigidi. Il tema dell’immaginario è dunque una questione importante anche perché, se non consideriamo questa realtà che sta sopra di noi e dentro di noi, nell’inconscio e nel rimosso, non riusciamo a capire il perché del definirsi di certi comportamenti, di certi blocchi di cui sono vittime le donne. Le donne in particolare devono fare i conti con modelli assunti dalla società che ne ostacolano l’affermazione, per cui non solo devono conquistare posizioni, ma anche costruire un immaginario diverso nella società che preveda la loro presenza. Semplificando le vicende e i personaggi, affidando i dilemmi esistenziali a situazioni stereotipate, operando una chiara distinzione tra il bene e il male, le fiabe descrivono esperienze e percorsi interiori in un linguaggio simbolico, immediatamente fruibile. Molte delle fiabe e delle favole che trovano ancora posto nei libri per l’infanzia erano, in passato, destinate alla trasmissione orale della conoscenza e alla riaffermazione dei valori tradizionali, contribuendo indirettamente alla regolamentazione della vita quotidiana. Il loro uso in ambito pedagogico è stato spesso contestato: negli anni cinquanta si riteneva che la mancanza di realismo penalizzasse lo sviluppo delle capacità razionali di bambini e bambine; negli anni sessanta e settanta le critiche hanno riguardato le strutture narrative, considerate troppo rigide e coercitive per lo sviluppo delle loro capacità creative; durante gli anni della contestazione, alla rappresentazione delle figure sociali (del ruolo della donna, del matrimonio, del potere e dell’autorità) proposta dalle fiabe tradizionali è stata rimproverata di contrabbandare valori borghesi e maschilisti. Al centro di queste fiabe si trova spesso un eroe coraggioso che decide di seguire le proprie aspirazioni e si allontana dal proprio ambiente, avventurandosi in un mondo sconosciuto e affascinante. Dopo aver attraversato mille peripezie, resistito a incontri terrorizzanti e superato prove difficilissime, realizza il proprio scopo e la ricompensa che riceve è sempre grande: troverà l’amore, la felicità e la ricchezza, un giorno diventerà re, quindi un adulto realizzato. Difficilmente la controparte femminile dell’eroe è artefice del proprio destino con la stessa abilità. Le eroine intelligenti e attive rappresentano in genere figure negative, invidiose, che vivono nell’ombra e utilizzano i poteri magici per commettere atti malvagi. Le eroine leali e positive, rese celebri anche dalle produzioni disneyane, aderiscono a un ruolo femminile subordinato, sono belle, buone e gentili, ma di fatto inadeguate alla sopravvivenza. Soprattutto, dipendono dall’arrivo del principe azzurro per diventare adulte realizzate. Nel mondo delle fiabe generalmente
un evento determina la morte della protagonista. Solo un bacio può risvegliare l’eroina adolescente, che torna alla vita non per conquistare il mondo, ma per porsi accanto al suo sposo, cioè per realizzarsi all’interno di una relazione amorosa. Ne La bella addormentata nel bosco Il Principe Azzurro, infatti, altri non è che un arrogante maschio che si sente il salvatore. E lei, la bella e ingenua il peggior stereotipo della donna succube e passiva. Cappuccetto Rosso, è la storia di una ragazzina che per diventare donna deve arrischiarsi fra le fauci di un lupo, vizioso e travestito, per poi attendere, inerme, il cacciatore e le sue armi dalla simbologia evidente. E non solo le fiabe sarebbero sospette. Per la critica femminista anche le fantasie a occhi aperti, ritenute ingenuamente innocenti, nascondono un copione sessista. Ad esempio la cieca fede nell’anima gemella, archetipo dell’incapacità femminile di sentirsi autosufficienti e realizzate senza un uomo. Combattere gli stereotipi, però, non è facile. Non basta decidere di farlo una volta per tutte; si deve mettere in campo un vigile controllo sulla propria mente, imparare a diffidare di certi pensieri che crediamo sorgere spontanei mentre sono, in realtà, la voce del patriarcato. Le figure femminili delle favole appartengono a due categorie fondamentali: le buone e incapaci, le streghe e malvagie. Ad esempio è stato calcolato che nelle fiabe dei fratelli Grimm l’ottanta per cento dei personaggi negativi sono quelli femminili. La differenza dei generi non può essere risolta con il bilanciamento tra stereotipi e contro stereotipi. Poiché non esistono qualità maschili e femminili, ma solo qualità umane, eliminare gli stereotipi non significa annullare le diversità di genere fino ad appiattire tutti gli elementi di un gruppo o di una categoria di persone. Non significa proporre eroine/bambine a immagine e somiglianza degli eroi di sesso maschile ma veicolare, attraverso le storie e i personaggi, l’idea che sia possibile comportarsi nel modo più congeniale per ciascun individuo, indipendentemente dal sesso cui si appartiene (o in armonia con la propria specifica interpretazione del genere cui si appartiene). E’ essenziale comunicare ai bambini che le qualità positive o negative dei personaggi dovrebbero essere tipiche di una personalità e non di un genere sessuale o di una categoria sociale. La letteratura contemporanea per l’infanzia dovrebbe integrare il patrimonio pedagogico delle fiabe tradizionali e offrire una rappresentazione del mondo più verosimigliante, rompere gli schemi tradizionali, gettare le basi per un’educazione alla diversità, alla tolleranza, all’integrazione sociale delle minoranze, contribuire a formare una sensibilità più moderna, promuovere valori più ricchi e più vari. Anche nelle storie di principi e principesse, è importante che le strutture narrative si discostino dagli schemi, che introducano una grande varietà di argomenti nella vita e nelle avventure degli eroi e delle eroine. C’è in ognuno di noi un Grillo Parlante che, ignaro delle pari opportunità, ci suggerisce i modi migliori per diventare uomini prevaricatori o donne rassegnate. A questo proposito in Spagna il Ministro delle Pari Opportunità ha lanciato una campagna che punta il dito sui modelli proposti dalle classiche fiabe. La campagna ha come titolo “Educando in igualidad” e propone concretamente di abolire (quindi di non proporre più alle bambine) tutte quelle favole, quei cartoni animati e quei film che propongono stereotipi maschilisti e sessisti. Nella fattispecie i personaggi incriminati sarebbero le principesse in perenne attesa del Principe Azzurro che viene a salvarle: quindi le varie Cenerentola, Biancaneve, ecc, andrebbero affrontate con più consapevolezza. Questo perché mostrano alle bambine un modello di donna passiva, che può riscattarsi solo in virtù dell’intervento maschile, che ha senso come personaggio solo se affiancata a un uomo, che non sa “salvarsi da sola”, e la cui unica priorità è appunto far innamorare il suddetto principe. Insomma: basta agli stereotipi che vedono la donna come un essere incompleto, perennemente sottomessa e bisognosa di aiuto, come se non fosse capace di pensare a se stessa da sola. Ma non finisce qui: l’iniziativa del ministero spagnolo comprende anche la proposta di una favola alternativa che lanci messaggi più completi e “istruttivi”. A questo fine è stato realizzato un opuscolo dove è riportata questa fiaba alternativa: la protagonista si chiama Alba Aurora, vera artefice di se stessa, questa principessa alternativa è una vera eroina capace di salvarsi da sola. E’ un personaggio femminile che di fronte alle offerte di aiuto del solito principe dice di no perché ce la fa da sé, e lui ci rimane pure male. Alla fine Alba Aurora invita il principe a fare un giro in moto sulla muraglia cinese, e al termine della favola non c’è nessun “e vissero felici e contenti”, sostituito da “e diventarono buoni amici”. Tanto per dimostrare che non è il principe la chiave della felicità della principessa, ma che in compenso i due possono stare bene insieme, ovviamente in un rapporto alla pari.
“Cenerentola non credeva di essere potente: spazzava dalla mattina alla sera la casa del padre e faceva la serva alla matrigna e alle sorellastre. Una notte di luna piena si lasciò andare e chiese aiuto: “Chiunque sia qui mi aiuti! Ma qui non c’è un’anima viva altro che la mia…” si buttò sul pavimento disperata e prese contatto con la Terra. La musica di una danza rituale proveniente dal bosco vicino la distrasse e cominciò a ballare e sempre più a sentire. Era bello cavalcare il manico della scopa e tenere il tempo e ciò diventava sempre più piacevole. Così la sua scopa divenne il suo bastone di potere che presentò alle quattro direzioni e agli spiriti degli elementi e di nuovo lo cavalcò “e ora fammi volare” urlò. Già dal Medioevo la scopa era associata alle streghe, era il loro strumento di locomozione e di potere, le portava al Sabba e le faceva volare. Altri attributi “stregheschi” sono il cappello conico, che simboleggia il percorso spirituale dal basso all’alto ovvero la trascendenza, la gobba, le unghie lunghissime, le scarpe a punta. Sono tutti evidentemente simboli fallici. Simboli fallici dalla duplice valenza, perché rimandano sia all’oggetto della soddisfazione sessuale femminile, sia al potere maschile o più semplicemente al potere in senso lato, come quel periodo storico intendeva. La scopa è l’oggetto che caratterizza maggiormente il potere delle streghe, così come il bastone di potere degli sciamani e lo scettro del re. Ciò che intriga è che la scopa in se è un oggetto tra i più umili, uno strumento di lavoro consueto per le donne e, se è vero che fin dall’antichità essa funge da elemento di purificazione nei rituali sacri, è anche vero che praticamente nella vita quotidiana spazzare il pavimento è considerato il più umile tra i compiti domestici (umile-humus-terra), attività anche faticosa comportando lo spostamento del corpo verso terra. E intriga il capovolgimento di senso di quest’oggetto da ordinario strumento di lavoro tipicamente femminile a straordinario strumento di potere, infatti, la scopa è cavalcata, sollevata da terra, posta in orizzontale e da oggetto terreno diviene oggetto aereo. La lezione che se ne può trarre è che qualunque condizione di sofferenza può essere trasformata in forza e potere a nostro favore. Sicuramente le donne del Medio Evo non erano libere sessualmente perciò il “volo della strega” simboleggia anche l’autonomia sessuale perché guarda caso è la strega che conduce, che guida, che cavalca… Il volo delle streghe, delle fate, degli sciamani era spesso aiutato dall’uso di erbe allucinogene, dall’assunzione di vino e liquori ma anche dalla musica ripetitiva delle percussioni, dalla danza in cerchio, dal contatto con la natura, dall’energia del gruppo, dall’intento, era cioè una trance. Questo volo magico era certamente favorito dall’energia sessuale che in un contesto naturale e protetto poteva liberamente esprimersi. D’altronde la tradizione spirituale tantrica si basa proprio sulla trasformazione dell’energia sessuale, cioè la sessualità o per meglio dire la sensualità non fine a se stessa che rappresenta il primo passaggio da varcare per andare oltre, così come accade nei percorsi di guarigione o di conoscenza che coinvolgono i sette chakras. Il primo e secondo chakra riguardano le funzioni corporee, istintuali e sessuali e l’intero percorso energetico che porta al settimo chakra, al contatto con Dio o se vogliamo con l’Universo e con l’energia cosmica comincia da qui. Quindi sarebbe ingenuo vedere nella scopa delle streghe solo il simbolo della liberazione sessuale femminile che di per sé è un atto di potere, essa è anche il segno di un reale strumento di elevazione spirituale noto fin dai tempi più antichi. Laura Turchi
Favola e fiaba sono usate spesso come sinonimi perché derivano dalla stessa radice latina, il verbo fari che significa “parlare”, “raccontare” e distinguono un tipo di racconto risolto con elementi irreali o addirittura soprannaturali. Le favole classiche costituiscono un genere letterario molto antico, sono componimenti contenenti intendimenti morali e ammaestrativi con protagonisti, di solito presi dal mondo animale, intesi come simboli dei vizi e delle virtù degli uomini. La fiaba, invece, è un tipo di narrazione i cui protagonisti sono comunemente creature umane, coinvolte in avventure straordinarie con personaggi
dai poteri magici come fate, orchi, giganti e cosi via. Le fiabe presentano una trasposizione attenuata di temi la cui realizzazione amplificata è caratteristica del mito, svolgendosi attraverso opposizioni più lievi solitamente di carattere sociale o morale. Il mito è un tipo di racconto molto antico presente nel patrimonio culturale di tutti i popoli della terra che si basa su forti opposizioni interne di carattere cosmologico, naturale e metafisico tra gli elementi, mescolando nella narrazione il reale al meraviglioso. Frutto del lavoro collettivo di secoli di trasmissione prima orale e poi scritta tramandata da centinaia d’individui (poeti, bardi, canto-
ri, fino al leggendario Omero, nome dietro di cui sta l’imponente tradizione narrativa greco-arcaica) per celebrare fatti o personaggi fondamentali per la storia di un popolo, per interpretare qualche caratteristica dell’ambiente naturale o certi avvenimenti storici, o ritenuti tali, per dare risposta al mai risolto perché dell’esistenza dell’uomo, cercando di spiegare l’origine che circonda un gruppo, le regole e i modelli etici da seguire, il tutto allo scopo di rinsaldare i legami d’appartenenza alla comunità. Ma come si forma un racconto collettivo? Proviamo a dare un esempio:
Verso l’imbrunire stavo percorrendo un sentiero boscoso… Era buio e avevo molta paura, avevo paura della solitudine e immaginavo creature strane e demoniache che mi potessero assalire, non sapevo come fare ad andare avanti… E decisi di andare indietro, cominciai ad andare all’indietro… Così andai a sbattere contro qualcosa, non mi resi conto cos’era e svenni… Quando riaprii gli occhi, un gramulash mi fissava con sguardo rassicurante e capì che importanti rivelazioni mi attendevano… Così mi misi ad aspettare che qualcuno si avvicinasse per raccontarmele… Infatti, il gramulash, come tutti sanno, non è una persona e neanche un animale ma è una pietra su cui sono dipinti due occhi, ci sono gli occhi ma non c’è la bocca… Erano due occhi che mi fissavano e attraverso di essi iniziai a vedere dei fantastici paesaggi mai conosciuti e mai visti… In nessuno di essi vidi odio e miseria ma neanche lusso e spreco…
Cominciai anche a vedere la cosa su cui avevo battuto, a riconoscerla e quindi questo mi tranquillizzò… Era la mia coda… Ma avevo anche delle ali… Continuavo a fissare gli occhi della pietra e sentire dentro di me il benessere che si respirava in questi paesaggi… Agitai la coda e dispiegai le ali e mi accorsi che i paesaggi mi stavano diventando sempre più familiari… Provavo la sensazione di averli già visti, sognati, di esserci già stato, e non avevo più bisogno di rivelazioni… Ora che avevo le ali, e volando potevo andare e venire da me… Insomma ero libero di andare in questi posti e guardare io stesso la bellezza del vivere… Quando improvvisamente mi svegliai all’ufficio tasse. Il gramulash mi aveva solo ingannato, le belle cose viste erano solo illusione e mi fu comunicato che su coda e ali dovevo pagare l’imposta… O forse il gramulash non mi aveva ingannato, quello che avevo sognato era dentro di me e potevo tornarci quando volevo e arricchirmi di quelle sensazioni e quel ricordo che era inalienabile ed esentasse… Così, con questa sensazione che il sogno è solo mio, mi avviai… Il tamburo rullava e il plotone di esecuzione mi stava attendendo… Un angelo nero mi prese per mano… Mi puntò contro un demonio, ah! naturalmente, io sono un fucile... Ops, mi sono inceppato!
Questo momento si è creato fra i redattori che hanno dato vita alla storia, ognuno con il suo bagaglio di fantasia e di realtà. Iniziando da un filo narrativo spontaneo un primo prosatore da il via a una storia con una semplice frase che poi sarà proseguita dal successivo narratore che a sua volta stimolerà quello seguente e cosi via fino al finale di cui nessuno può immaginare il contenuto quando il processo ha inizio. Durante lo svolgimento del racconto affioreranno le varie personalità dei partecipanti che costruiscono l’evento: il pessimista si alternerà con l’ottimista, il realista con il fantasioso, il sentimentale con il sensuale, il duro con il tenero, il macabro con il festoso. Questo procedere da l’idea della complessità che finisce per essere presente nel mito, infatti, se pensiamo che il breve racconto che vi abbiamo offerto nasce da un piccolo gruppo di persone con un ristretto margine di tempo a disposizione, si può immaginare facilmente cosa succede quando si hanno a disposizioni secoli e migliaia di narratori. La redazione
Nell’immaginario fantastico i serpenti e altri rettili raffigurano allegoricamente l’irrazionale potenza animale nella sua accezione più potente e oscura, amando, di solito, vivere rintanati in grotte, buche, fenditure della terra, pozzi abbandonati, protetti da una pelle fredda e viscida e da un morso il più delle volte fatale. Facile dunque associare queste creature a un mondo sotterraneo, infernale, senza tralasciare di osservare che è loro potere il rinnovarsi, attraverso la muta, come in una sorta di rigenerazione vitale. Il potere di rinascita, unito all’osservazione che i rettili depongono le uova come gli uccelli, ha dunque mitigato l’aspetto negativo, creando significati contrastanti di vita e di morte nella simbologia legata al serpente, significati che continueranno a essere presenti quando dalla magia si passerà a più raffinate forme di religiosità, mantenendo inalterata l’importanza di segno/simbolo di questa creatura. I fantasmagorici discendenti del serpente: draghi e basilischi, nel medioevo si moltiplicano ovunque nella letteratura e nell’arte, le forme mutano, spuntano creste e ali di pipistrello. L’iniziale conformazione serpentina si trasforma, soprattutto nell’età di mezzo, in quella di mostro composito con testa di salamandra crestata, zampe di coccodrillo, coda di lucertola,
fiato infuocato. Fondendo arte ellenistica, intrecci zoomorfi germanici, esotici animali delle raffigurazioni iraniche e cinesi, la raccapricciante sagoma del fantastico drago trionferà nel favoloso gotico e sulle pietre delle cattedrali. San Giorgio, nella leggenda agiografica che lo riguarda, a cavallo e luccicante nella sua armatura corre a salvare una principessa da uno di questi esseri demoniaci, un’immagine che passerà presto dal sacro degli altari al profano delle illustrazioni di saghe e favole. Se la fiaba di antica origine può essere definita il risultato di una sedimentazione narrativa di più parti, aggiuntesi nel tempo, lo stesso fenomeno, a livello iconografico, avviene dunque col drago alato che vede convergere in sé i molti esseri della mitologia mondiale. Le sue forme incredibili formeranno progressivamente un compendio visivo delle antiche storie di tutto il nostro mondo, fino a che l’egizio Apophis, il greco Uroboros, l’indiano Kundalini, i mesoamericani Quetzalcóatl e Kukulcan, l’ebraico Samel, e ancora Pitone, Basilisco, i nordici Midgard e Fafnir e il cinese Shé arriveranno a sintetizzarsi nei paciocconi Grisù, Elliot & compagnia dei cartoni animati o nell’elegante Eragon delle copertine dei romanzi fantasy, in una plurimillenaria trasformazione assolutamente favolosa. Consuelo Lorenzi
Pestare in un mortaio tanti amaretti quanti ne bastano per ottenere 5 cucchiaiate di bricioline, metterle in una terrina con 5 cucchiaiate di zucchero e 6 tuorli d’uovo; mescolare bene aggiungendo un bicchierino di rhum e continuare a frullare. A parte sbattere a neve soda i 6 bianchi con l’aggiunta di un cucchiaio di zucchero in polvere, aggiungere all’altro composto, mescolando bene il tutto. Imburrare uno stampo o un piatto di pirofila, spolverizzare di zucchero e versare il miscuglio. Infornare a fuoco vivo per 10 o 15 minuti. Buon appetito! (N.d.r.) .
“Il potere terapeutico della fiaba ci fa trovare i rimedi per reintegrare o reclamare una pulsione psichica perduta, perché le storie sono disseminate d’istruzioni per guidarci nella complessità della vita.” (Clarissa Pinkola Estes; “Donne che corrono coi lupi”) La nostra storia… Eravamo due donne sperdute nei meandri delle paranoie “troverò la felicità???” un po’ come Raperonzolo chiusa nella sua bellissima torre, in attesa del salvatore. Ritrovandoci la sera per l’aperitivo, sconsolate ci raccontavamo delle favole sulle mille cose che potevamo realizzare solo se qualcuno avesse notato quanto eravamo in gamba. La nostra vita era un giro senza soluzione di continuità, come la fanciulla in “Scarpette rosse” non riuscivamo a toglierci quelle maledette scarpe seppure stanche e nauseate. Dopo un anno circa d’inutili lamentele ci siamo arrese: nessuno si accorgerà di noi! É stato allora che ci siamo dette: perché non facciamo qualcosa di bello sulle fiabe che amiamo entrambe, luogo di rifugio e ricarica romantica delle delusioni quotidiane? - Come i Cantastorie e i Menestrelli racconteremo fiabe che fanno bene al Cuore, sarà un percorso di crescita basato sull’ascolto - Non credevamo che questo avrebbe cambiato totalmente le nostre vite. Da quel giorno ci trovavamo la sera a casa di una o l’altra senza parlare più dei disastri sentimentali e come Biancaneve sperduta nel bosco ritrova la via seguendo una luce piccola e lontana, ci siamo messe a organizzare le serate sulle fiabe, seguendo un filo magico d’intuizioni. Lo scopo era quello di “riavvicinare la persona alla propria anima”. Inizialmente, non ci credevamo fino in fondo, ritenendola solo una cosa divertente e piacevole, mentre durante i nostri incontri fiabeschi provavamo sempre più belle emozioni e affrontavamo ogni ostacolo con rinnovato ardore. Un po’ come il Gatto con gli stivali, più va avanti e più gli vengono idee geniali. Il percorso, da noi creato, si basa su: ascolto di una storia; creazione di mandala, disegni e simboli inerenti alla storia e drammatizzazione della fiaba ascoltata. L’ascolto della storia è sempre preceduto da tecniche di rilassamento guidato. La drammatizzazione e interpretazione degli archetipi presenti nelle fiabe è attuata attraverso giochi simbolici che mettono in contatto profondo e non intellettuale con aspetti interiori celati o evitati, al fine di risvegliare l’istinto, l’intuizione e la creatività, ritrovando un senso della vita pieno, leggero e coinvolgente. Poi le serate sono iniziate e ogni evento è stato carico di sensazioni e forti emozioni. Siamo cresciute e cambiate senza accorgercene, le persone che frequentavano il corso “Fiabe e leggende” hanno espresso entusiasmo per le tematiche affrontate e continuano a chiamarci testimoniando un cambiamento positivo nella loro vita. Il nostro percorso di crescita ci ha davvero portato a migliorare: sono passati quattro anni… Come il Brutto Anatroccolo… anche noi ora siamo due bellissimi Cigni, la vita ci riserverà ancora delle difficoltà, ma con gli insegnamenti delle fiabe e delle leggende potremo affrontarle e superarle ancora. Ogni Fiaba ha più messaggi, alcuni sono chiari e altri più sottili e nascosti, ogni volta che ascolti questa parla a una parte di noi ferita o nascosta o impaurita, dando coraggio per emergere e affrontare le difficoltà superando ogni volta la Paura di Vivere. Paola ed Elisa
RIAFFIORA – Antonio P. (Soviet Studio/Musicalbox, 2010) Chi è Antonio P.? Chi sei Tu? Dove andiamo? Finirà tutto questo? Domande a cui i Raffiora non danno una risposta, ma a cui tutti siamo legati indissolubilmente! “Antonio P.” è il protagonista di una favola Post-Moderna dove l’estraneità dal mondo esterno è la casa, il viaggio interiore è visto come l’unico luogo reale dove rifugiarsi per non essere invasi dal nulla quotidiano! “Antonio P.” è la storia di tutti coloro che vorrebbero sfuggire alle maglie di una società disumana, ma incapaci di reagire, sospesi, restano ingabbiati per l’eternità. Apparentemente un azzardo accostare tre soli brani, tra l’altro di una giovane band padovana quasi sconosciuta, alla miriade di gruppi elencati in basso, ma, con soli 11 minuti circa di musica, i Riaffiora riescono fattivamente a sintetizzare vent’anni di storia del rock, nel suo significato più vasto, italiano. Un libro di racconti scritto a più mani, tre brani, un videoclip e 11 illustrazioni: questo in sintesi il progetto messo in atto dai Riaffora, il leitmotiv è l’estraneità; a disposizione del fruitore ideale c’è l’intera esistenza di Antonio P.: chiuso, appartato, distante anni luce da una realtà che non gli appartiene. I brani sono suadenti e di classe, colonna sonora ideale alla ricerca della libertà, una libertà espressiva, matura con testi introspettivi carichi di pathos; il videoclip di “Antonio P.” è favoloso, realizzato da Cristian Guerreschi il video d’animazione è scarno e surreale, immerge il visitatore nel mondo di Antonio, il viaggio è un’esperienza senza ritorno. Il libro di racconti collettivo è lo specchio del progetto: un lavoro che vuole, riuscendoci, coinvolgere più artisti e non essere solo il supporto di una manciata di brani musicali; il racconto che colpisce di più è “Anna 1996”… Il risultato finale è un lavoro riuscito, ma siamo in attesa di un loro esordio sulla lunga distanza (musicale s’intende). RIAFFIORA sono: Andrea D’Amato: voce, basso Matteo Marenduzzo: chitarre Paolo Trolese: batteria Alessio Montagna: pianoforte www.myspace.com/riaffiora Rubrica musicale a cura di: Giuseppe Bianco
CONTENUTI REDAZIONALE pag.2 IL LAVORO DELLE FATE pag.3 LE RADICI STORICHE DELLE AVVELNTURE DI PINOCCHIO pag.4 SCOPA,SCOPA DELLE MIE BRAME pag.6 E VISSERO FELICI E CONTENTI...… pag.7 C’ERA UNA VOLTA... pag.10 ALI QUOTA pag.10 LA FANTASIA IN VOLO: IL DRAGO pag.12 BATUFFOLO DI FATA pag.12 FIABE,LEGGENDE E REALTA’ pag.13 “ANTONIO P.”...UNA FAVOLA POST-MODERNA pag.14
MARCO redazione@periodicomarco.it Fascicolo N°6 - Anno II Estate 2010 Rivista aperiodica di cultura e società. Supplemento a L’ALTRACITTA reg.trib. N°4599 del 11/7/96 Direttore Responsabile Cecilia Stefani Redazione Massimo De Micco Francesco Guidi Guru, Katrame Consuelo Lorenzi Ortensia Martinez Manuela Minneci Francesca Scaramozzino Chiara Troyli Laura Turchi Art Director Michele Vella Progetto Grafico e Impaginazione Raffaele Vella (raffaelevella@hotmail.it) Fotografia Raffaella Milo (raffaella.milo@alice.it) Rubrica musicale Giuseppe Bianco …..
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