Oskar Peterlini
Come riformare la costituzione e i diritti
Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una societĂ piĂš equa Prokopp & Hechensteiner
Oskar Peterlini
Come riformare la costituzione e i diritti Considerazioni, disegni di legge e mozioni per una societĂ piĂš equa
Prokopp & Hechensteiner
Š 2012 Oskar Peterlini e Prokopp & Hechensteiner s.a.s. S. Paolo presso Bolzano www.prokopp-hechensteiner.com Tutti i diritti riservati Composto in carattere Strada di Albert Pinggera e Marat di Ludwig Ăœbele ISBN: 978-88-6069-014-2 Printed in Italy
1 Prefazione 9 1.1 La crisi delle democrazie 9 1.2 Il parlamento depotenziato 10 1.3 Le leggi elettorali rafforzano i partiti 11 1.4 L’iniziativa legislativa soprattutto del Governo 13 1.5 Varie iniziative realizzate, le altre siano stimolo per il futuro 14
2 Presentazione e destino delle principali proposte 17 2.1 Sulla riforma costituzionale, l’assetto dello Stato e del Parlamento 17 2.2 Sulla legislazione elettorale 21 2.3 Sulla democrazia diretta 24 2.4 Sulla tutela sociale, la famiglia e la previdenza 25 2.5 Sulla tutela dell’ambiente 28 2.6 Sul riassetto della finanza mondiale 29 2.7 Al servizio dei cittadini 32 2.8 Sull’impegno per la pace 37
3 Riforma costituzionale, assetto dello Stato e del Parlamento 39 3.1 Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente 39 3.2 Composizione del Senato della Repubblica 41 3.3 Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali 46 3.4 Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale 50 3.5 Modernizzare l’Italia in senso federale 55 3.6 Riduzione del numero di deputati e senatori 56
4 La legislazione elettorale 59 4.1 Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero 59 4.2 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati 63 4.3 Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige 74 4.4 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia 79 4.5 Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia 82 4.6 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica 83
5 La democrazia diretta 101 5.1 Iniziativa legislativa popolare, iniziativa legislativa costituzionale, istituti di democrazia diretta 101
6 Tutela sociale, famiglia e previdenza 119 6.1 Sostegno delle madri lavoratrici 119 6.2 L’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore 124 6.3 Riduzione dell’ IVA sui prodotti di rima necessità per l’infanzia 136 6.4 Disciplina delle forme pensionistiche complementari 138 4.5 Regolamentazione del TFS e TFR in Trentino-Alto Adige/Südtirol e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per il pubblico impiego 144 6.5 Affidamento condiviso 150 6.6 Misure a sostegno della famiglia 154 6.7 Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali 159 6.8 Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia 161 6.9 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità 165 6.10 Disposizioni in favore della famiglia 167
7 Tutela dell’ambiente 172 7.1 Convenzione per la protezione delle Alpi 172 7.2 Ratifica del Protocollo sui Trasporti 175 7.3 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi 178 7.4 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti 182
8 Misure economiche e riassetto della finanza mondiale 185 8.1 Promuovere una Nuova Bretton Woods 185 8.2 A sostegno dell’economia reale 188 8.3 Separare le banche commerciali da quelle di investimento 192 8.4 Per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative 194 8.5 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano 198
9 A servizio dei cittadini 203 9.1 Riunioni Pubbliche 203 9.2 Riconoscimento della lingua italiana dei segni 205 9.3 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero in Trentino Alto Adige 209 9.4 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura 210 9.5 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose 212 9.6 Ripristino della festività di San Giuseppe 215 9.7 Conti Dormienti 219 9.8 Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo 225 9.9 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali 230 9.10 In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette 238 9.11 Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige 240 9.12 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica 242 9.13 Lotteria immobiliare a sostegno della domanda di abitazione 243 9.14 Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici giudiziari nel Trentino-Alto Adige 249
10 Impegno per la pace 252 10.1 Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali 252 10.2 A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa 258 10.3 Rimozione dei residuati bellici esplosivi 268
Bibliografia 276
1 Prefazione In questo volume s’illustrano i disegni di legge e le mozioni presentati dall’autore di questo volume al Senato della Repubblica come primo firmatario nella XVIa legislatura (2008 – 2013). I temi spaziano dalla riforma costituzionale, la legislazione elettorale, la democrazia diretta, la tutela sociale, la famiglia, la previdenza, la tutela dell’ambiente, la finanza mondiale, il servizio ai cittadini fino all’impegno per la pace.
1.1 La crisi delle democrazie Le democrazie moderne e in particolar modo anche quella italiana sono esposte a un crescente squilibrio tra i poteri dello Stato. L’attività legislativa, che per Costituzione è riservata al Parlamento (art. 70 Cost.), si trasferisce sempre più nelle mani dell’esecutivo, sia per motivi organizzativi, di complessità delle materie che per l’apparato a disposizione del Governo, spogliando in questo modo il Parlamento dalle sue primarie prerogative. A differenza però di altri Paesi mediterranei, come la Spagna, la Grecia e il Portogallo, l’Italia subito dopo la seconda guerra mondiale, è diventata una democrazia relativamente stabile. Già negli anni 50 ha contribuito alla costituzione della Comunità europea, diventandone uno dei Paesi fondatori. L’Italia ha conosciuto una rapida, anche se irregolare, crescita economica e una corrispondente modernizzazione:1 dal 1950 al 1990 il reddito pro capite in Italia è aumentato più che negli altri paesi e il tasso di crescita l’ha portata al secondo posto nel mondo dopo la Corea del Sud. Per fare un confronto europeo, il reddito è cresciuto così velocemente che alla fine di quel periodo si avvicinò a quello pro capite della Germania e della Francia.2 1 Cfr. Bull, M., Rhodes, M. (a cura di) (2009): Italy – A Contested Polity, pp. 1–13. 2 Cfr. De Cecco, M. (2009): Italy’ Dysfunctional Political Economy. Dornbusch, R., Nölling, W., Layard, R. (a cura di) (1993): Postwar Economic Reconstruction and Lessons for the East Today.
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Nonostante un’esemplare Costituzione ispirata a profondi valori etici e democratici, con la quale i Padri costituenti intendevano bloccare ogni tentazione dittatoriale, l’Italia soffre oggi di una fragile democrazia. Dispone si di una giustizia indipendente, di un Parlamento eletto democraticamente e di un Governo che si basa sulla fiducia parlamentare, però i tre poteri non sono in equilibrio tra di loro. Allo squilibrio si aggiunge il quarto potere: quello dei mass media. Soprattutto nell’ambito dei media radiotelevisivi privati si registra un quasi monopolio.3
1.2 Il parlamento depotenziato Il Parlamento viene sempre più limitato nello svolgimento delle sue attività di rappresentante del popolo dalla preponderanza del Governo che ricorre con sempre maggiore frequenza all’emanazione di decreti d’urgenza, che il Parlamento può solamente emendare e ratificare a posteriori, e dello strumento di fiducia per l’approvazione dei disegni di legge, con la quale il dibattito parlamentare e le possibilità di emendare sono soffocati. Il Parlamento è costretto a votare i cosiddetti maxi-emendamenti del Governo senza poter minimamente incidere sul testo. Rimane di conforto che, raffrontando le grandi democrazie a livello internazionale, solamente negli Stati Uniti d’America la rappresentanza popolare riveste il suo ruolo centrale in Parlamento. Lamenta, infatti, Gianfranco Pasquino (2007),4 che l’Italia si trova purtroppo sul polo opposto. Il Parlamento italiano può essere considerato centrale solo per quanto riguarda la necessità di un esplicito voto di fiducia al momento iniziale, ma non lo è per niente nel decesso del Governo, come lo è invece in Germania o in Spagna. Boltho, A., Vercelli, A., Yoshikawa, H. (a cura di) (2001): Comparing Economic Systems: Italy and Japan. 3 Cfr. Hibberd, M. (2009): Conflict of Interest and Media Pluralism in Italian Broadcasting. 4 Pasquino, G. (2007): Parlamento e Governo nell’Italia repubblicana, p. 6.
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Nella rappresentanza politica il Parlamento non occupa il ruolo centrale che gli spetterebbe, che viene da una parte limitato dal Governo e dall’altra dai partiti che, di fatto, sono loro che svolgono proprio questo ruolo, senza per altro essersi dati una legge che attuasse l’art. 49 della Costituzione, come lamentava da anni Leopoldo Elia.5 Fino allo scandalo di Tangentopoli e alla riforma della legge elettorale nel 1993, in Italia esisteva sì una moltitudine di partiti, ma quello più potente, la DC, dominava da ben 50 anni (1944 – 1994) con diverse coalizioni intorno al centro. Il PCI rappresentava il partito di opposizione più forte, seguendo di poco i risultati della DC e addirittura superandoli, una volta, nelle elezioni europee del 1984. Veniva però tenuto fuori con successo da ogni alternanza nel Governo, così come – a destra – l’MSI/DN.6 Nonostante i governi alternanti, in Italia regnava pertanto una stabilità politica particolare, la stabilità dei partiti.
1.3 Le leggi elettorali rafforzano i partiti Con la legge elettorale del 1993,7 fu introdotto un sistema elettorale prevalentemente maggioritario (con una riserva proporzionale di un quarto) e avviato il cammino verso un sistema bipolare, che raccolse le forze politiche intorno a due grandi schieramenti di destra e di sinistra. La legge, ma non solo essa, portò a una spaccatura della DC, che dovette decidere se porsi dall’una o dall’altra parte. Lo scandalo di tangentopoli fece la sua parte nella fine del sistema dei partiti tradizionali. La storica posizione predominante dei partiti rimase invece in piedi anche nel nuovo assetto. 8
5 Elia, L. (1992): Per una legge sui partiti, p. 407 ss. Elia, L. (2007): A quando una legge sui partiti?, p. 2–4. 6 Elia, L. (1970): Conventio ad excludendum, in: Governo, Forme di, p. 634, ss. 7 L. 4 agosto 1993, n. 276. 8 Peterlini, O. (2012b it): Funzionamento dei sistemi elettorali e minoranze linguistiche.
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Nel 2005 con la nuova legge elettorale (il cosiddetto Porcellum),9 i partiti politici rafforzarono ancora di più la loro posizione determinante.10 La critica riguarda la selezione dei parlamentari e quindi direttamente la rappresentanza democratica del Parlamento. I candidati sono nominati (a parte qualche lodevole eccezione) dai vertici dei partiti e posti sulle liste nei circondari elettorali nell’ordine da loro definito. Gli elettori non possono cambiare l’ordine dei nomi in queste liste cosiddette bloccate così che non rimane loro nessuna possibilità di scelta dei candidati. 11 A parte qualche eccezione per la scelta o la conferma del candidato premier (in modo più o meno populistico), in Italia i partiti non usano lo strumento delle primarie o altre forme partecipative dei cittadini per scegliere i candidati. L’attuale sistema elettorale in Italia non prevede né piccoli collegi elettorali, dove i candidati possono stabilire un rapporto diretto con i loro elettori, ne voti di preferenza, con i quali gli elettori possono scegliere i loro candidati prediletti. I votanti possono con la loro crocetta selezionare solamente il simbolo di lista. Solo per il Senato in Trentino Alto Adige e per Senato e Camera in Valle d’Aosta sono previsti collegi uninominali. Voti di preferenza sono invece previsti esclusivamente per le elezioni dei candidati al collegio estero. Con il voto al partito gli elettori votano automaticamente la lista dei candidati, che non appare nemmeno sulla scheda ma è affissa solamente all’esterno nei locali elettorali. In questo modo le centrali dei partiti possono collocare i loro funzionari o candidati di punta ai primi posti delle liste nelle varie circoscrizioni e non solo in una ma in più o anche in tutte le circoscrizioni. Gli eletti in più circoscrizioni 9 L. 21 dicembre 2005, n. 270, Gazzetta Ufficiale n. 303. 10 Cfr. Bardi, L. (2009): Electoral Change and its Impact on the Party System in Italy. 11 Peterlini, O. (2009 de): Südtirols Vertretung am Faden Roms, pp. 103–106; Peterlini, O. (2007a, de): Föderalistische Entwicklung und Verfassungsreform in Italien, pp. 1 e 45–57. Peterlini, O. (2008 it): Evoluzione in senso federale e riforma costituzionale in Italia, pp. 44–57.
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possono poi scegliere, dove accettare la propria elezione. In questo modo determinano anche, chi succede al posto loro e in quale collegio.12 La conseguenza di questo sistema è che già prima delle elezioni si conosce oltre il 90% dei deputati che saranno eletti. L’altra conseguenza è che le prospettive di un parlamentare non sono nelle mani dei votanti, ma in quelle delle direzioni dei partiti. Per essere rieletti i parlamentari devono occuparsi meno dei loro elettori quanto più dei responsabili al vertice del loro partito, che decidono la posizione sulle liste nelle varie regioni con ciò la graduatoria dei candidati. È evidente il pericolo per la rappresentanza democratica. Come lamentava giustamente quasi 50 anni fa Giovanni Sartori (1963) i parlamentari temono più le sanzioni dei vertici di partito che quelle degli elettori.13 A dimostrazione di tale tesi, Pasquino ricorda che i grandi uomini politici italiani hanno riservato i loro discorsi politici più importanti per le assemblee di partito. Nessuno dei grandi leader politici è di estrazione parlamentare. Non lo è mai stato, neppure con De Gasperi e Togliatti, Nenni, Fanfani e Moro, Craxi e De Mita o Andreotti. E non lo è diventato – ricorda Pasquino – dopo la comparsa di capi di Governo privi di esperienza parlamentare come Berlusconi e Prodi.14
1.4 L’iniziativa legislativa soprattutto del Governo La maggior parte delle leggi trattate in Parlamento è, di fatto, d’iniziativa governativa con un crescente numero di legislazione d’urgenza e, nei tempi più recenti, anche di procedure abbreviate dal voto di fiducia. L’elaborazione e la presentazione di un disegno di legge da parte di un singolo parlamentare si presentano sempre più difficili. Alla menzionata complessità della materia, si aggiunge il problema della copertura finanziaria che in tempi di crisi economi12 Peterlini, O. (2009 de) pp. 103–106; (2007a, de) pp. 1 e 45–57; (2008 it) pp. 44–57. 13 Sartori, G. (1963) pp. 281–386. 14 Pasquino, G. (2007) pp. 7–9.
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ca e di risparmio finanziario su tutti i fronti diventa spesso insuperabile. I disegni di legge d’iniziativa parlamentare sono pertanto spesso destinati a impolverarsi nei cassetti degli uffici invece di essere incardinati nelle commissioni competenti e diventare legge. Ed è proprio per questo motivo che ho ritenuto importante raccogliere in un volume il mio modesto contributo legislativo presentato in questa legislatura che in gran parte si basa anche su iniziative delle precedenti legislature fin dal 2001, quando sono stato eletto per la prima volta al Senato della Repubblica.
1.5 Varie iniziative realizzate, le altre siano stimolo per il futuro Personalmente ho avuto la fortuna che varie iniziative hanno trovato attuazione e sono diventate leggi,15 come per esempio la ratifica dei Protocolli di attuazione della Convenzione delle Alpi 16 e il Protocollo dei trasporti,17 che hanno aspettato 20 anni alla loro ratifica, da me promossa con tutta una serie di ddl.18 Un’altra parte dei miei disegni sono stati emendati e approvati, come la riforma costituzionale, per la quale il mio ddl. n. 24 formava il testo base,19 al momento 15 Nelle seguenti note la «S.» (per Senato) e il numero si riferiscono sempre al relativo Atto Senato della XVI Legislatura (2008–13). 16 Convenzione delle Alpi: http://www.convenzionedellealpi.it/convenzione/ TestoDellaConvenzione_it.htm 17 http://www.senato.it/leg/16/BGT/Schede_v3/Attsen/00017624_iniz.htm, scaricato il 27.10.2012. S. 3086 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. S. 47 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. 18 S. 22 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991. S. 3085 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991. 19 S. 24 Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell‘articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo.
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in trattazione alla Camera. Comunque è rimasto nel testo l’intendo di introdurre un Senato più rappresentativo delle Regioni e di ridurre il numero dei parlamentari, come proposto anche in un altro mio ddl. 20 Il concetto di invertire l’automatismo per il voto all’estero, da me proposto nel ddl. n. 26,21 è stato ripreso dal Testo base del relatore Malan sulla riforma elettorale, del 10 10 2012. Altri miei disegni sono stati assorbiti in ddl. approvati, come p. es. la ratifica del Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi. 22 Il Senato ha anche approvato il mio ddl. per il riconoscimento della lingua italiana dei segni. 23 Una serie di mie proposte riguarda la legge elettorale.24 I vari ddl. presentati da tutte le parti politiche al Senato hanno finalmente trovato sbocco in un testo base in discussione alle Camere. Tra le varie proposte trovano riscontro le mie norme a tutela delle minoranze linguistiche, la reintroduzione del voto di preferenza,25 nonché la già menzionata proposta di capovolgere l’automatismo 20 S. 2821 Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori. 21 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero. Ripreso dal Testo base del relatore Malan sulla riforma elettorale, del 10 10 2012. 22 S. 632 Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell‘uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati. 23 S. 37 Riconoscimento della lingua italiana dei segni. 24 S. 27 Nuove norme per l‘elezione della Camera dei deputati. S. 28 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige. S. 29 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, per l‘introduzione del voto di preferenza e l‘abolizione delle candidature plurime. 25 S. 29 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di elezione del Senato della Repubblica, per l‘introduzione del voto di preferenza e l‘abolizione delle candidature plurime.
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di elezione all’estero, dando preferenza al voto espresso nella regione di origine in Italia e solo su richiesta nella residenza estera.26 Il prossimo capitolo fornisce una prospettiva più dettagliata sui ddl. e le mozioni e le vicende che hanno vissuto. Anche se talune altre iniziative hanno invece seguito il destino sopra lamentato, non devono finire nel dimenticatoio. Il mio auspicio è che fungano da stimolo per migliorare la Costituzione e i diritti. Oskar Peterlini Roma – Bolzano nell’ottobre 2012
26 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero.
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2 Presentazione e destino delle principali proposte Si presentano qui di seguito le sintesi dei disegni di legge e delle mozioni, annotando in particolare le vicende dei disegni di legge che sono stati approvati e diventati legge. Per uno studio più dettagliato si rimanda ai prossimi capitoli, dove s’illustrano i singoli disegni di legge e si riporta il loro testo. I disegni e le mozioni sono raggruppati in otto settori.
2.1 Sulla riforma costituzionale, l’assetto dello Stato e del Parlamento Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente Il disegno di legge mira a inserire la tutela della flora, della fauna e dell’ambiente, nonché la dignità degli animali, nella Costituzione italiana, ampliando l’articolo 9, secondo comma, della Costituzione.27 Nella relazione si fa riferimento alle esperienze maturate dal presentatore che già nel 1986 riuscì a fare approvare una sua proposta di legge della provincia autonoma di Bolzano, ispirata all’impostazione dei paesi più progrediti nel settore (legge provinciale 8 luglio 1986, n. 16).28 La citata legge provinciale è stata allora in Italia la prima legge che ha riconosciuto la tutela degli animali quale interesse pubblico. Il Protocollo sulla protezione e il benessere degli animali, allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea, approvato ad Amsterdam nel 1997, ratificato ai sensi della legge 16 giugno 1998, n. 209, riconosce gli animali come esseri senzienti ed afferma che la Comunità e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze del benessere degli animali. Si fa inoltre riferimen27 S. 23 Modifica dell‘articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela ostituzionale della flora, della fauna e dell‘ ambiente, nonché della dignità degli animali. 28 Interventi per la protezione degli animali, Bollettino ufficiale della Regione Trentino Alto Adige n. 31 del 22 luglio 1986, Legge provinciale 8 luglio 1986, n. 16: http://www.qzlife.it/news/184606/LEGGE_PROVINCIALE_N_____ DEL__________.html, , scaricato il 25.8.12.
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to alla Costituzione tedesca, che ha inserito nel 2002 gli animali fra i soggetti ai quali deve essere rivolta tutela (Art.20a). Anche la Confederazione elvetica, all’articolo 120 della propria Costituzione, nell’ambito del capitolo sull’ingegneria genetica, afferma «la dignità della creatura e della sicurezza dell’uomo, dell’animale e dell’ambiente». Composizione del Senato della Repubblica Il disegno di legge si prefigge di proseguire il cammino intrapreso dal Parlamento e dalle diverse Commissioni bicamerali sin dagli inizi degli anni ottanta per dare al nostro Paese un assetto più partecipato in senso federale.29 Si persegue quest’obiettivo senza rinunciare all’elezione diretta dei Senatori federali che diventano al contempo Consiglieri regionale e Senatori, garantendo una partecipazione diretta delle regioni alla formazione della volontà democratica e legislativa, anche a livello nazionale. Il disegno di legge vuole creare un importante presupposto in senso federale, trasformando una delle due Camere in Camera rappresentativa dalle Regioni, in forma di un Senato federale. I paesi centrali d’Europa come la Svizzera, la Germania e l’Austria offrono tre diversi modelli di Camera delle regioni. Ci riferiamo al essenzialmente al modello svizzero per garantire l’elezione diretta. L’Assemblea federale consta di due Camere, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati; le due Camere sono dotate delle stesse competenze (art 148).30 L’iniziativa per la riforma costituzionale è stata intrapresa dal Senato subito all’inizio della nuova legislatura nel 2008. La 1° Commissione Affari costituzionali in data 10.6.2008 ha incardinato nell’ordine del giorno e intrapreso l’esame del disegno di legge costituzionale n. 24 (Peterlini) che reca modifiche
29 S. 24 Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell‘articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo. 30 Costituzione elvetica: http://www.admin.ch/ch/i/rs/1/101.it.pdf, scaricato il 17.10.2012.
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agli articoli 55 e 57 della Costituzione prevedendo un Senato federale. La Commissione delibera di usare il ddl. 24 come testo base.31 Il disegno di legge è stato approvato dal Senato in prima lettura il 25 luglio 2012, in una versione ampliata da parte della 1° Commissione e radicalmente emendata in Aula, con una risicata maggioranza (PdL, Lega e altri) e trasmesso alla Camera dei deputati. La versione approvata prevede una forma di semipresidenzialismo e un timido tentativo di introdurre un Senato federale, che oltre agli stessi Senatori direttamente eletti si amplia a 21 delegati regionali con diritti limitati. 32 Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali La Commissione parlamentare per le questioni regionali è prevista dalla Costituzione all’articolo 126. La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato il titolo V della parte seconda della Costituzione, all’articolo 11 prevede la possibilità di integrare (tramite i regolamenti di Camera e Senato) la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, nell’attesa della revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione.33 Con il disegno di legge s’intende dare attuazione alla norma contenuta nel citato testo di riforma della Costituzione, integrandola con un rappresentante per ciascuna delle regioni e delle province autonome e da diciotto rappresentanti dei comuni e delle province.34
31 Senato della Repubblica, 1° Commissione per gli Affari costituzionali, Relazione introduttiva sul ddl. no 24 del relatore Carlo Vizzini, 10.6.2008. 32 Senato, ddl. cost. n. 24 (Peterlini e altri), sull’iter legislativo vedi: http://www. senato.it/leg/16/BGT/Schede/Ddliter/29633.htm, scaricato il 10.9.2012. 33 Per ulteriori informazioni cfr. il sito della Camera dei deputati: http://www. camera.it/_bicamerali/questreg/notint.htm, scaricato il 10.9.2012. 34 S. 35 Modifica dell‘articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in materia di composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
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Introduzione dell’intesa per la modifica degli statuti speciali Con questo disegno di legge si intende sostituire lo strumento del parere, attualmente previsto dagli statuti speciali per effetto della riforma introdotta dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, con lo strumento rafforzato dell’intesa, consentendo altresì alle regioni e alle province autonome di intraprendere iniziative di modifica degli statuti attualmente inibite dal rischio dello stravolgimento del testo in sede di esame parlamentare.35 Il carattere pattizio che sta alla base dei rapporti tra Stato e regioni a statuto speciale si dovrebbe manifestare nel principio della previa intesa per le modifiche delle carte fondamentali, quali sono gli statuti speciali. L’introduzione dell’intesa, disposta dal disegno di legge costituzionale, riguarda gli statuti speciali di tutte le cinque regioni a statuto speciale. Modernizzare l’Italia in senso federale La mozione intende impegnare il Governo a incoraggiare, con spirito di leale di collaborazione, un confronto parlamentare sui temi delle riforme istituzionali, per giungere alla necessaria approvazione di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare; a sostenere la riduzione del numero dei parlamentari e a favorire l’istituzione di una Camera espressione delle istanze regionali.36 La mozione è stata approvata dal Senato il 2 dicembre 2009.37
35 S. 41 Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale. 36 Atto n. 1-00210 confronto parlamentare sui temi delle riforme istituzionali, approvato il 24 11 2009. 37 Resoconto stenografico della seduta n. 295 del 02/12/2009: http://www.senato. it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=16&id=446702, scaricato il 20.9.2012.
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Ridurre il numero di deputati e senatori Si ritiene non più procrastinabile l’intervento teso alla diminuzione del numero dei deputati e dei senatori, quale segno concreto al Paese per abbattere considerevolmente i costi della politica.38 In particolare, si propone la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, ovvero la riduzione del numero dei deputati, che passerebbero dall’attuale numero di 630 a 300 componenti, nonché dei senatori che, invece, verrebbero portati da 315 a 150. L’intervento prevede anche un correttivo all’articolo 59 della Costituzione in tema di numero dei senatori a vita nominabili da parte del Presidente della Repubblica, che passerebbero dagli attuali cinque senatori al numero di tre. La riduzione è stata inclusa nel ddl. n. 24 in forma meno radicale e approvata dal Senato.39
2.2 Sulla legislazione elettorale Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero Per rafforzare il legame con il territorio di provenienza e per far sì che le prossime elezioni politiche avvengano alla presenza di norme che garantiscano il corretto esercizio del voto all’estero, il disegno di legge prevede un’inversione del diritto di opzione per l’esercizio del voto in Italia o all’estero.40 Mentre finora chi non esercita l’opzione può votare automaticamente all’estero, in futuro dovrebbe votare in Italia. L’opzione deve essere esercitata entro un termine e 38 S. 2821 Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori. 39 Approvato in testo unificato dal Senato il 25 luglio 2012 e trasmesso all’altro ramo. http://nuovo.camera.it/126?tab=2&leg=16&idDocumento=5386&sede= &tipo=, scaricato il 20.10.2012. Il numero dei deputati scenderebbe a 508 (ora 630), dei quali otto (finora 12) dal Collegio Estero (Art 56 Cost.). Il nuovo Senato Federale (Art 57 Cost.) si comporrebbe di 250 senatori (finora 315), senza prevedere rappresenta estera. (finora sei)e 21 delegati regionali con diritti limitati. 40 S. 26 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all‘estero.
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con modalità definite e concede al cittadino residente all’estero di esprimere la preferenza per il voto nella circoscrizione Estero. La sua mancanza comporta che l’esercizio del diritto di voto avvenga in Italia, in una delle circoscrizioni nazionali. Il concetto è ripreso anche nel testo base per la riforma elettorale (Malan) al momento in trattazione al Senato.41 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati Il disegno di legge prevede l’abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, limitatamente alla parte che regola l’elezione della Camera dei deputati, riportando in vigore le disposizioni introdotte con la legge 4 agosto 1993, n. 277, il cosiddetto Mattarellum, alle quali vengono apportate delle modifiche che conducono ad un sistema elettorale maggioritario ad un turno, non contaminato quindi da aggiustamenti di carattere proporzionale.42 In tale contesto viene infatti eliminata la previsione della quota proporzionale del 25 per cento che non può che indurre ad una valutazione negativa per una serie di ragioni, prima tra tutte quella legata all’adozione di liste bloccate. Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige Il disegno di legge prevede che per l’elezione della Camera dei deputati nel Trentino-Alto Adige/Südtirol i seggi siano assegnati tramite collegi uninominali, cinque alla provincia di Trento e cinque alla provincia di Bolzano.43 In ogni caso, il numero preciso di essi sarà stabilito con decreto del Presidente della Repubblica che terrà conto delle aree territoriali e, quindi, distribuirà i seggi in proporzione alla popolazione, definendo collegi omogenei che tengano conto 41 Testo base Malan, art. 3, Commissione affari costituzionali: http://www.senato. it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=ListEmendc&leg=16&id=29623, scaricato il 22.10.2012. 42 S. 27 Nuove norme per l‘elezione della Camera dei deputati. 43 S. 28 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige.
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anche della distribuzione territoriale dei diversi gruppi linguistici. Pertanto, lo scopo del presente disegno di legge è di favorire la rappresentanza parlamentare dei gruppi e delle minoranze linguistiche, così come dettato dal principio costituzionale. Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia Il disegno di legge è dettato dall’esigenza di tutelare le minoranze etniche e linguistiche, fortemente penalizzate dalle disposizioni vigenti per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia.44 Nemmeno le minoranze numericamente più forti riescono, infatti, a raggiungere il quoziente per eleggere un proprio rappresentante a Strasburgo. Il quoziente è di circa 400.000 voti, mentre la popolazione tedesco-ladina a Bolzano conta circa 300.000 persone e la popolazione francofona nella Valle d’Aosta conta circa 90.000 elettori. Anche se l’articolo 12, nono comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, prevede la possibilità di collegamento con altri partiti che si presentano a livello nazionale, tale possibilità non garantisce l’eguaglianza sostanziale richiesta dall’articolo 3 della Costituzione e tanto meno corrisponde al dettato dell’articolo 6 della stessa Carta, secondo il quale la Repubblica italiana deve tutelare le minoranze linguistiche con norme specifiche. Da qui la necessità di istituire un proprio collegio elettorale, a tutela delle specificità linguistiche delle zone interessate. Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia Il Consiglio regionale – secondo questo ddl. – è eletto a suffragio universale diretto, libero, uguale e segreto, secondo le norme stabilite con legge regionale, che deve garantire l’elezione di almeno un rappresentante della minoranza slovena.45 Questo principio, a differenza della minoranza ladina in Trentino e 44 S. 33 Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l‘elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all‘Italia. 45 S. 34 Modifica all‘articolo 13 dello Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di
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in Alto Adige, non è ancorato costituzionalmente nello statuto del Friuli Venezia Giulia. Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica Come prima per la Camera, il disegno di legge intende incidere sulla normativa elettorale vigente abrogando le disposizioni della legge 21 dicembre 2005, n. 270, per la parte che regola l’elezione del Senato della Repubblica, e riportando sostanzialmente in vigore le disposizioni introdotte con il testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nella versione previgente alla riforma elettorale del 2005, con altre parole il Mattarellum.46
2.3 Sulla democrazia diretta Prima di tutto il ddl. vuole superare il concetto limitativo della democrazia recuperando i due strumenti essenziali di una democrazia diretta completa: da una parte rendendo più efficace l’iniziativa popolare per dare spazi d’azione ai cittadini, dall’altra introducendo il referendum confermativo facoltativo per consentire ai cittadini di fermare delle leggi che presumibilmente non hanno il consenso della maggioranza dell’elettorato.47 Si propone inoltre di ridisegnare le regole e procedure per lo svolgimento dei referendum, più rispettose delle esigenze dei cittadini moderni, per esempio limitando i diritti d’intervento della Consulta, ampliando le materie ammissibili a referendum, prevedendo l’obbligo d’informazione e altre misure per agevolare la partecipazione. Si propone di estendere l’iniziativa popolare anche alle leggi costituzionali. Un punto cardine del ddl. è di abolire il quorum di partecipazione. elezione del consiglio regionale. 46 S. 2938 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica. 47 S. 1428 Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 e 138 della Costituzione, in materia di formazione delle leggi e revisione della Costituzione, introduzione dell‘iniziativa legislativa popolare e dell‘iniziativa legislativa costituzionale e di democrazia diretta.
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Aumento della maggioranza al 60 per cento per le leggi costituzionali Il sistema elettorale maggioritario impone un ripensamento della maggioranza necessaria per l’approvazione, in seconda votazione, delle leggi costituzionali. Si propone di innalzare la maggioranza necessaria dal cinquanta al sessanta per cento per evitare che modifiche costituzionali di grande importanza per l’assetto giuridico fossero votate solo da una maggioranza senza coinvolgimento di una fascia più larga in Parlamento. Conseguentemente si propone di innalzare la maggioranza necessaria, per non dare luogo a referendum, dai due terzi, ora previsti, a tre quarti dei componenti delle due Camere.
2.4 Sulla tutela sociale, la famiglia e la previdenza L’Italia si annovera tra i Paesi con la più bassa natalità del mondo e nello stesso tempo sale l’aspettativa di vita. La popolazione registra pertanto un costante invecchiamento mettendo in crisi non solo l’assetto sociale ma anche specificatamente il finanziamento delle pensioni. Uno dei motivi di questa situazione è che nel nostro Paese permane la carenza di misure a sostegno della famiglia, nello specifico di misure che favoriscano la maternità e le donne lavoratrici con figli. Occorre rendere compatibile il lavoro delle donne, spesso indispensabile per la sopravvivenza della famiglia, con l’educazione dei figli. Si propone con vari ddl. una serie di misure, p. es. a sostegno delle madri lavoratrici, per l’abbattimento e la ridistribuzione del carico fiscale a favore delle famiglie numerose, per un’anticipazione da parte dell’INPS dell’assegno di mantenimento a tutela del minore, la riduzione dell’IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia.48 Un punto importante proposto è di accreditare anni previdenziali alle donne per ogni figlio. 48 S. 25 Disposizioni per la tutela ed il sostegno delle madri lavoratrici. S. 30 Disposizioni concernenti l‘erogazione anticipata dell‘assegno di mantenimento a tutela del minore. S. 31 Riduzione dell‘aliquota IVA sui prodotti di prima necessità per l‘infanzia. S. 2113 Disposizioni in materia di spese sostenute per
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Purtroppo in Italia, a differenza di altri paesi europei, non si tiene conto degli effetti di risparmio a lungo termine di queste misure, che andrebbero ad alleggerire il peso pensionistico e assistenziale, privilegiando invece il risparmio a breve. Disciplina delle forme pensionistiche complementari Il legislatore favorisce il risparmio previdenziale con grandi sgravi fiscali per i contributi ai fondi pensione. Il disegno di legge, pertanto, mira a limitare le ipotesi nelle quali il risparmio previdenziale accumulato possa essere liquidato in forma una tantum, invece di essere trasformato in rendita vitalizia.49 Affidamento condiviso Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54 è stato capovolto il sistema in materia di affidamento in base al quale i figli erano affidati, come regola, o all’uno o all’altro dei genitori. In caso di separazione o divorzio dei genitori, i figli sono affidati, come regola, ad entrambi i genitori. Nella prassi però rimangono tante difficoltà da superare, una delle quali è la residenza. Il disegno di legge introduce la doppia residenza anagrafica presso l’indirizzo di entrambi i genitori (e, conseguentemente, l’iscrizione sia nello stato di famiglia anagrafico paterno sia in quello materno) per i figli che, essendo affidati a entrambi i genitori, con suddivisione paritaria delle «visite» e trascorrendo tempi uguali presso l’abitazione della madre e del padre, hanno di fatto due dimore abituali (articolo 43 del codice civile) coincidenti, appunto, con le abitazioni dei genitori.50
l‘assistenza domiciliare all‘infanzia. S. 2996 Disposizioni in favore della famiglia. Atto n. 1-00023 (mozione)Misure a favore della famiglia. 49 S. 36 Modifiche al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di disciplina delle forme pensionistiche complementari (in trattamento in 11° Commissione Lavoro e Previdenza). 50 S. 43 Disposizioni in materia di residenza anagrafica dei figli affidati ad entrambi i genitori separati o divorziati (in trattamento in 2° Commissione Giustizia).
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Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali Il presente disegno di legge contiene misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica il comma 3 dell’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, intervenendo sulla norma che regola la differenza di età tra adottante e adottato. Il primo obiettivo consiste nell’innalzamento del limite di età da quarantacinque a cinquanta anni. La questione del limite di età nelle adozioni nazionali e internazionali, peraltro, è stata già oggetto di modifica con l’innalzamento del limite da quaranta a quarantacinque anni operato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, con la quale il legislatore ha voluto adeguare anche l’istituto dell’adozione ad un fenomeno sociale che negli ultimi anni si è andato diffondendo e che ha visto sempre più coppie spostare «in avanti» l’età del primo figlio. Il secondo obiettivo è dato dalla formulazione poco chiara del comma 6 dell’articolo 6, della citata legge n. 184 del 1983 che consente la deroga al limite di età fissato a quarantacinque anni (con la modifica introdotta dalla presente proposta cinquanta anni) nel caso in cui uno dei due coniugi abbia un’età superiore di non più di dieci anni rispetto a quella stabilita. La norma, così formulata, ha indotto i tribunali per i minorenni ad interpretazioni non sempre univoche. Pertanto si propone il riferimento al coniuge più giovane d’età e si risolve anche il problema dell’interpretazione da parte degli uffici giudiziari minorili.51 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità Nell’ordinamento giuridico italiano il trattamento pensionistico di reversibilità è concesso in via originaria al coniuge superstite. In questo modo, purtroppo, si arriva alla distorsione per cui l’uccisore del proprio coniuge, l’uxoricida lato sensu, riceve la pensione di reversibilità del coniuge di cui è stato omicida, sottraendola in tutto o in parte ai legittimi eredi. Pertanto, con il disegno di legge, 51 S. 836 Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica all’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di differenza di età tra adottante e adottato.
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si prevede che i familiari che siano stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di omicidio, non hanno diritto alla pensione di reversibilità e, se sono già titolari della stessa, ne perdono il beneficio. Il ddl. è stato assorbito dal S. 2417 che ha ripreso in toto la proposta ed è approvato definitivamente. 52 L’art. 1 della Legge 125/11 del 27 luglio 2011 recita: «1. Non hanno diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all’indennità una tantum i familiari superstiti che sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per i delitti di cui agli articoli 575, 584 e 586 del codice penale in danno dell’iscritto o del pensionato. 2. I soggetti di cui al comma 1 che sono titolari di una pensione di reversibilità o indiretta perdono il diritto al relativo trattamento a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.»53
2.5 Sulla tutela dell’ambiente Con tutta una serie di ddl. si promuoveva la ratifica dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991. 54 Purtroppo il Governo era in ritardo di oltre 20 anni quando grazie a varie iniziative qui riportate, nell’ottobre 2012 è stato finalmente ratificato l’ultimo dei nove Protocolli, quello sui trasporti.55 I Protocolli configurano un es52 S. 2278 Disposizioni in materia di esclusione dell‘uxoricida dal trattamento pensionistico di reversibilità. Assorbito da S. 2417 20 luglio 2011, approvato definitivamente ed è legge. 53 Legge n. 125/11 del 27 luglio 2011, GU n. 180 del 4 agosto 2011. 54 S. 22 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991. S. 47 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell‘ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. S. 3085 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991, approvato definitivamente. Legge n. 50/12 del 5 aprile 2012, GU n. 103 del 4 maggio 2012. 55 S. 3086 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell‘ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31
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senziale rapporto fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello sviluppo compatibile e i problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastrutturali: foreste montane, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa del suolo, energia, protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, trasporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al Protocollo del turismo.
2.6 Sul riassetto della finanza mondiale Promuovere una Nuova Bretton Woods La minaccia della crisi finanziaria si affacciava già sin dal 2001. Il sottoscritto promuoveva fin dal 2001 varie iniziative per promuovere a livello mondiale una nuova convenzione secondo il modello di Bretton Woods. La minaccia alle condizioni di vita dei popoli di tutto il mondo e anche come fonte di destabilizzazione strategica è stata denunciata dal Parlamento italiano già dal 2001 (si vedano in proposito, fra le altre, nella XIV legislatura, la mozione 1-00320 presentata alla Camera dei deputati dall’onorevole Lettieri e la mozione 1-00059 presentata al Senato dal senatore Peterlini),56 che ha chiesto al Governo e alla comunità internazionale di agire per creare un nuovo sistema finanziario atto ad evitare future crisi e promuovere la ricostruzione dell’economia reale. Le mozioni intendono a impegnare il Governo ad agire in sede internazionale per promuovere una riorganizzazione del sistema monetario e finanziario internazionale e cooperare con le principali potenze mondiali per stabilire un nuovo sistema, sul modello della Nuova Bretton Woods come proposta dall’economista americano Lyndon La Rouche, caratterizzato sulla base dei seguenti aspetti: 1. la riorganizzazione del sistema finanziario. ottobre 2000, approvato dal Senato il 18 settembre 2012 e definitivamente dalla Camera il 17 ottobre 2012, in attesa di pubblicazione. 56 Atto n. 1-00059 (mozione), pubblicato il 27 febbraio 2002, Seduta n. 131.
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2. nuove regole dovranno garantire la stabilità necessaria per la produzione e il commercio internazionale. 3. un sistema creditizio e non puramente monetario. La recente mozione è stata approvata.57 Separare le banche commerciali da quelle di investimento La crisi economica globale continua a mietere vittime. Proprio in questi mesi l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuova fase del dissesto del sistema finanziario mondiale, originata da molti anni di politiche che hanno penalizzato le attività produttive a favore invece di un’espansione senza precedenti della bisca sui mercati finanziari internazionali. È doveroso costatare, purtroppo, che già dai primi mesi più drammatici della crisi, nei numerosi vertici internazionali dal 2009 si è persa l’occasione per adottare misure forti che avrebbero potuto rappresentare una rottura netta ed efficace con le politiche passate: tra queste certamente vi è il ritorno alla separazione delle attività bancarie, tipificata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 che pose fine agli eccessi finanziari all’origine della Grande depressione. Si propone pertanto di reintrodurre questa misura di separazione anche nella legislazione italiana.58 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano E’ nota la tradizione di ponte commerciale e finanziario di Bolzano sin dall’inizio del secolo XVI, nonché del collegio giudicante esperto di affari commerciali istituito nel 1635, definito «Magistrato mercantile di Bolzano», un tribunale 57 Atto n. 1-00029 (mozione) Riassetto della finanza mondiale, testo 2 approvato il 24.2.2009, http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula &leg=16&id=396333, scaricato il 22.10.2012. 58 S. 3112 Delega al Governo per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative. Atto n. 1-00287 (mozione) separazione tra banche commerciali e banche d‘investimento.
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speciale in materia commerciale dotato di una disciplina giudiziaria particolarmente vantaggiosa e veloce per i commercianti. Ad avviso del proponente, dunque, anche al fine di garantire il diritto costituzionale all’utilizzo della propria madrelingua dinanzi al Tribunale (articolo 100 dello Statuto di autonomia e DPR 574/1988), è opportuno che Bolzano torni ad essere, anche in ossequio alla propria tradizione storica, economica e giuridica, il Foro competente per dirimere le controversie di natura imprenditoriale per salvaguardare i vantaggi dell’Alto Adige quale localizzazione economica e, in generale, per tutelare gli interessi delle imprese che provengono da paesi esteri di lingua tedesca e desiderano operare in Italia. In tale direzione va il presente disegno di legge che, in particolare, prevede un intervento sul decreto legislativo 168/2003, come modificato dal decreto sulle liberalizzazioni, includendo Bolzano nel novero dei Tribunali e Corti d’Appello presso cui sono istituite le sezioni specializzate in materia di impresa, con una sede distaccata da quella di Trento.59 Vi è da sottolineare, peraltro, che in sede di esame da parte del Senato della legge di conversione del decreto legge sulle liberalizzazioni, anche il Governo, per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento e il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, ha preso posizione sulla questione del diritto di utilizzo della madrelingua innanzi ai tribunali, e si è impegnato, in sede del dibattito in Aula, riservandosi di fare tutto ciò che è in suo potere al fine di assicurare le garanzie processuali necessarie ai residenti nella Provincia autonoma di Bolzano, anche attraverso un confronto con i soggetti interessati, nel rispetto dei principi costituzionali e del quadro normativo già esistente in materia. In tale sede si è riusciti a trasferire il tribunale delle imprese originariamente previsto per il Trentino Alto Adige a Venezia, nella città di Trento.60 59 S. 3168 Modifica al Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, concernente le sezioni specializzate in materia di impresa del Tribunale e delle Corti d‘Appello. 60 Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, come convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27.
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2.7 Al servizio dei cittadini Riunioni Pubbliche Il disegno di legge prende spunto da due spiacevoli episodi nei quali i carabinieri hanno denunciato i parroci di due paesi sudtirolesi per omissione dell’avviso al questore dello svolgimento di una cerimonia religiosa, omissione sanzionata, ancora oggi, penalmente.61 Si intende pertanto modificare e sopprimere alcuni articoli in materia di riunioni pubbliche del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, risalenti all’epoca fascista, ancora vigenti nel nostro ordinamento. Tali disposizioni, se applicate ai giorni nostri, risultano anacronistiche e fuori dal tempo. Già la Corte costituzionale, in alcune sentenze ha ampiamente ritenuto parte di queste norme costituzionalmente illegittime in riferimento all’articolo 17 della Costituzione. Riconoscimento della lingua italiana dei segni In Europa la lingua dei segni ha avuto un riconoscimento al più alto livello con due risoluzioni del Parlamento europeo, del 17 giugno 1988 e del 18 novembre 1998, relative appunto alla lingua dei segni dei sordi e con la risoluzione dell’Unesco resa a Salamanca nel giugno 1994. I sordi utilizzano figure professionali quali l’interprete LIS e gli operatori (per esempio gli assistenti alla comunicazione) garantendo attraverso l’uso della LIS risultati ottimali per la formazione di soggetti affetti da sordità. Con il ddl. già approvato dal Senato la Repubblica riconosce la lingua italiana dei segni (LIS) come lingua non territoriale propria della comunità dei non udenti,62 in applicazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992, ed in ottemperanza alle risoluzioni del 61 S. 32 Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di riunioni pubbliche. 62 S. 37 Riconoscimento della lingua italiana dei segni.
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Parlamento europeo del 17 giugno 1988, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 187 del 18 luglio 1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 379 del 7 dicembre 1998. Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero Molte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano sovente presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di riposo o residenze sanitarie assistenziali (RSA). L’iscrizione anagrafica in altro comune per trasferimento di residenza determina notevoli problemi, sia per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la perdita della tomba o del loculo nel cimitero; la perdita, per il comune, della quota pro-capite, nonostante esso debba coprire parte delle spese per le persone che soggiornano nelle strutture citate. Pertanto, i due disegni di legge prevedono (il n. 38 limitato al Trentino Alto Adige,63 il n. 39 per tutto il territorio nazionale64), che tutti coloro che soggiornano in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura possano mantenere la propria residenza, anche se tale soggiorno si dovesse protrarre per oltre due anni. Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose Con vari ddl. si vorrebbe ripristinare gli effetti civili di talune festività molto importanti per la tradizione e la storia stessa del nostro Paese. Si tratta di feste religiose, espressione della tradizione di fede e di cultura della comunità, tuttora festeggiate in molti Paesi europei. Queste ricorrenze sono state festeggiate in Italia fino al 1977, anno in cui per legge i giorni della loro celebrazione – insieme a quelli di altre festività – hanno cessato di essere festivi agli effetti civili. 63 S. 38 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura nelle province autonome di Trento e di Bolzano. 64 S. 39 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura.
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Con la loro reintroduzione si potrebbe inoltre promuovere un aumento delle attività di svago e di turismo se le ricorrenze si abbinano ai fine settimana, il che può incidere positivamente sullo sviluppo economico del Paese.65 Conti Dormienti La legislazione italiana è priva di norme che impongano agli istituti finanziari in generale, e in particolare alle banche, di registrare le generalità degli eredi beneficiari degli intestatari di depositi di valore quali per esempio conti correnti, libretti di risparmio, titoli di credito, fondi d’investimento e oggetti di valore nelle cassette di sicurezza. Si prenda ad esempio chi, dopo aver aperto un conto corrente bancario, non ne faccia più uso per un numero imprecisato di anni; in casi come questo le banche non sempre riescono o s’impegnano a scoprire cosa sia accaduto a questo cliente «silenzioso». Ne consegue che si accumulano ingenti somme presso gli istituti finanziari, i cosiddetti «conti dormienti», spesso all’insaputa dei legittimi eredi, dopo la morte del titolare. Il disegno di legge intende prescrivere a tutte le imprese d’investimento e le banche presso le quali si possono depositare contanti, valori, fondi e beni mobili, di registrare oltre i dati del titolare anche le generalità degli eredi dell’intestatario del deposito al momento della stipulazione del contratto.66 Trascorsi cinque anni durante i quali non ci siano stati contatti tra l’istituto finanziario e il cliente depositante, l’istituto finanziario è obbligato ad avviare una ricerca del cliente e dei suoi eredi beneficiari. Si dispongono adeguate forme di pubblicità circa i depositi giacenti.
65 S. 42 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose. S. 48 Ripristino della festività di San Giuseppe il 19 marzo. 66 S. 44 Norme in materia di risparmi e di depositi bancari e finanziari non rivendicati giacenti presso le banche e le imprese di investimento.
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Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo L’agricoltura, settore fondamentale dell’economia italiana, risente purtroppo di una normativa in materia di rapporti di lavoro che non tiene in considerazione alcune peculiarità di questo comparto. Primo fra tutti, il problema della necessità di personale non omogenea nell’arco dei dodici mesi, ma concentrata solo in alcuni periodi dell’anno come quelli della vendemmia, della raccolta delle olive e della frutta, della fienagione, di alcune operazioni colturali e della gestione degli alpeggi, nel periodo estivo; quindi, una realtà con un forte carattere di stagionalità che richiede un’elevata percentuale di manodopera concentrata in brevi intervalli. Il disegno di legge mira a introdurre il rapporto di lavoro occasionale nel settore agricolo, semplificando le procedure di reperimento di manodopera.67 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali Il ddl. vuole riconoscere il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle bande musicali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali.68 Test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige In regione Trentino-Alto Adige sono equiparate le lingue italiano e tedesco, in base all’art. 99 e 100 dello statuto di autonomia.69 Il disegno di legge mira a stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nella regione Trentino-Alto Adige sia subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana oppure della lingua tedesca, cioè prevedendo l’opzione, le cui modalità di svolgimento 67 S. 45 Disciplina del lavoro occasionale in agricoltura. 68 S. 1144 Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali. 69 DPR 31 agosto 1972, n. 670 Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
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saranno determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.70 Introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione Allo scopo di sperimentare l’introduzione nel nostro Paese di forme di lotteria immobiliare, finalizzate al reperimento di risorse destinate a finanziare interventi a sostegno della domanda di abitazione, oltre che a stimolare la ripresa del mercato immobiliare privato, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, attenendosi a precisi princìpi e criteri direttivi.71 Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici giudiziari in Trentino-Alto Adige Sulla scia e a sostegno del voto unanime espresso dall’assemblea del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, il disegno di legge,72 vuole introdurre nella legge n. 148 del 2011 la previsione che, nella riorganizzazione degli uffici giudiziari nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, vengano adottate le procedure previste dall’articolo 107 dello Statuto.73
70 S. 2553 Disposizioni in materia di inserimento del test di conoscenza della lingua tedesca per ottenere il permesso di soggiorno nella Regione del TrentinoAlto Adige. 71 S. 2777 Delega al Governo in materia di introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione. 72 S. 3115 Modifiche alla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di disciplina delle dislocazioni territoriali e dell‘ordinamento degli uffici giudiziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige. 73 DPR 31 agosto 1972, n. 670 Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige.
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2.8 Sull’impegno per la pace Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali Il ddl.74 propone la ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989.75 Trecento milioni di persone, tra il 4 e il 5 per cento della popolazione mondiale, appartengono a popoli, nazioni, tribù o comunità che vivono spesso in stretto contatto con la natura in qualità di antichi abitatori delle loro terre. La Convenzione OIL 169 mette per iscritto i diritti fondamentali dei popoli indigeni e tribali e impone agli Stati sottoscrittori degli obblighi di ampia portata. In sette articoli si occupano specificamente delle questioni della proprietà fondiaria e dello sfruttamento delle materie prime; di questioni, cioè, d’importanza vitale per molti popoli indigeni. A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa Con il ddl.76 propone la ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992.77 Fino ad oggi risulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d’Europa,78 con lo scopo di tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa che rischiano purtroppo di scomparire. Il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita, sia pubblica che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell’uomo, previsto nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato e aperto alla 74 S. 46 Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell‘Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989. 75 Convenzione ILO 169: http://www.gfbv.it/3dossier/diritto/ilo169-conv-it.html, scaricato il 27.10.2012. 76 S. 49 Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992. 77 Consiglio d’Europa, Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, http:// conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/Html/148.htm, scaricato il 27.8.2012. 78 Council of Europe: http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/ChercheSig. asp?NT=148&CM=8&DF=&CL=ENG, scaricato il 19.12.2012.
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firma a New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e in conformità anche alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,79 resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848. L’Italia ha firmato il trattato ormai undici anni fa, esattamente il 27 giugno 2000, ma non ha ancora approvato lo strumento di ratifica. Rimozione dei residuati bellici esplosivi Il presente disegno di legge autorizza la ratifica del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati.80 Nel 2000 il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) ha proposto di lanciare, nell’ambito del Convenzione sulle armi convenzionali, un processo di negoziazione inteso a disciplinare, in modo giuridicamente vincolante, il problema dei residuati bellici esplosivi. Esso ha segnalato che le munizioni che sono state sparate ma che, contrariamente al loro scopo, non sono esplose, rappresentano una minaccia considerevole, spesso insidiosa, per le popolazioni civili. Tali munizioni mettono in pericolo, feriscono o uccidono civili ancora molto tempo dopo la fine di un conflitto armato. Questo provvedimento è stato attuato, assorbito nel S. 1780, e approvato definitivamente: Legge n. 173/09 del 12 novembre 2009, GU n. 280 del 1 dicembre 2009 (suppl. ord.).
79 Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: http://www.privacy.it/legge1955848.html, scaricata il 7.12.2012. 80 S. 632 Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell‘uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati.
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3 Riforma costituzionale, assetto dello Stato e del Parlamento 3.1 Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente Disegno di legge costituzionale n.23, d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008. Modifica dell’articolo 9 della Costituzione, in materia di tutela costituzionale della flora, della fauna e dell’ambiente, nonché della dignità degli animali
3.1.1 Illustrazione Il presente disegno di legge mira a inserire la tutela della flora, della fauna e dell’ambiente, nonché la dignità degli animali, nella Costituzione italiana. L’articolo 9, secondo comma, della Costituzione, infatti, prevede già che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Si tratta di ampliare proprio questa formulazione ben pensata dai padri costituzionali nel 1947, ma non più adatta ad una visione più ampia di tutela ambientale comprendente anche gli esseri viventi. Il primo firmatario del presente disegno di legge ha avuto l’opportunità di approfondire la materia della tutela degli animali avendo presentato già nel 1986 una legge della provincia autonoma di Bolzano, ispirata all’impostazione dei paesi più progrediti nel settore (legge 8 luglio 1986, n. 16). La citata legge provinciale è stata allora in Italia la prima legge che ha riconosciuto la tutela degli animali quale interesse pubblico, ha istituito asili per animali, promosso l’attività di tutela, supportato le associazioni protezionistiche ed infine previsto una serie di norme basilari per il rispetto degli esseri viventi. La citata legge provinciale n. 86 del 1986 ha trovato grande riconoscimento ben oltre i livelli 39
nazionali. Il Protocollo sulla protezione ed il benessere degli animali, allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea, approvato ad Amsterdam nel 1997, ratificato ai sensi della legge 16 giugno 1998, n. 209, riconosce gli animali come esseri senzienti ed afferma che la Comunità e gli Stati membri tengano pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali. Vi è poi il recente esempio giunto dal Bundestag tedesco che ha approvato il 17 maggio 2002 a larghissima maggioranza una modifica costituzionale inserendo gli animali fra i soggetti ai quali deve essere rivolta tutela.81 Le parole «e degli animali» sono state aggiunte, infatti, alla frase della legge fondamentale tedesca nella quale si parla dell’obbligo dello Stato a rispettare e proteggere la dignità degli esseri umani.82 Anche la Confederazione elvetica, all’articolo 120 della propria Costituzione, nell’ambito del capitolo sull’ingegneria genetica, afferma fra l’altro che «( ... ) tiene conto della dignità della creatura nonché della sicurezza dell’essere umano, degli animali e dell’ambiente e protegge la varietà genetica delle specie animali e vegetali».83 In Italia la legge 14 agosto 1991, n. 281, afferma fin dal primo articolo che «lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di af81 A favore 543 Abgeordnete, 19 contrari e 15 astensioni: http://www.spiegel.de/ politik/deutschland/verfassung-bundestag-nimmt-tierschutz-insgrundgesetz-a-196723.html, http://www.taz.de/!93419/, http://www.bmelv. de/SharedDocs/Reden/2012/07-24-AI-10-Jahre-Staatsziel-Tierschutz. html#doc3041900bodyText1, scaricati il 17.10.2012. 82 Modifica entrata in vigore l‘1 agosto 2002, Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland, art. 20a: »Der Staat schützt auch in Verantwortung für die künftigen Generationen die natürlichen Lebensgrundlagen und die Tiere im Rahmen der verfassungsmäßigen Ordnung durch die Gesetzgebung und nach Maßgabe von Gesetz und Recht durch die vollziehende Gewalt und die Rechtsprechung.« http://www.gesetze-im-internet.de/bundesrecht/gg/gesamt. pdf, http://dejure.org/gesetze/GG/20a.html, scaricati il 17.10.2012. 83 Die Schweizerische Bundesverfassung, art. 120, comma 2: »Der Bund erlässt Vorschriften über den Umgang mit Keim- und Erbgut von Tieren, Pflanzen und anderen Organismen. Er trägt dabei der Würde der Kreatur sowie der Sicherheit von Mensch, Tier und Umwelt Rechnung und schützt die genetische Vielfalt der Tier- und Pflanzenarten.« http://www.parlament.ch/d/wissen/libundesverfassung/Seiten/default.aspx, scaricato il 17.10.2012.
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fezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente». Manca però ogni riferimento costituzionale. La consapevolezza che gli animali sono soggetti verso i quali l’umanità rivolge maggiore attenzione per un cammino comune sempre più solidale, di rispetto e di tutela della dignità, coinvolge sempre maggiori porzioni dell’opinione pubblica. Prenderne atto è un dovere che trova nella modifica costituzionale che proponiamo un punto alto e che accomuna princìpi etici e princìpi ecologici nella tutela della fauna selvatica e degli animali domestici.
3.1.2 Disegno di legge costituzionale n.23 Tutela costituzionale di flora, fauna e ambiente Art. 1. 1. Il secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Tutela la flora, la fauna, il paesaggio, l’ambiente ed il patrimonio storico ed artistico della Nazione. Promuove il rispetto degli animali e la tutela della loro dignità».
3.2 Composizione del Senato della Repubblica Disegno di legge costituzionale n. 24, d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifica agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell’articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo
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3.2.1 Illustrazione Dall’inizio degli anni novanta in Italia si svolge un ampio dibattito sulla riforma della Costituzione. Il Parlamento aveva investito varie Commissioni bicamerali per dare al nostro Paese un assetto più partecipato in senso federale.84 Nel 2001 fu approvato definitivamente dalle Camere e confermato dal referendum una importante parte di questo progetto, cioè la riforma del titolo V della parte II della Costituzione. Le altre parti, in special modo il titolo II, della seconda parte della Costituzione, sono rimasti invariati. Nella XIV legislatura fu avviata un’ulteriore riforma della parte seconda della Costituzione, approvata e mai promulgata a causa dell’esito negativo del referendum costituzionale del giugno 2006. Si ritiene importante, pertanto, proseguire nel cammino delle riforme della parte seconda della Costituzione, dal titolo «Ordinamento della Repubblica» per quanto riguarda la forma di governo, la forma di Stato, il superamento del bicameralismo perfetto. Il presente disegno di legge si limita a creare un importante presupposto in senso federale, trasformando una delle due Camere in Camera rappresentativa dalle regioni, in forma di un Senato federale. Il disegno di legge si prefigge di perseguire questo obiettivo senza rinunciare all’elezione diretta del Senato federale della Repubblica, garantendo però tramite di esso una partecipazione diretta delle regioni alla formazione della volontà democratica e legislativa, anche a livello nazionale. 84 Peterlini, O. (2010a, it): L’autonomia che cambia, Gli effetti della riforma costituzionale del 2001 sull’autonomia speciale del Trentino Alto Adige Südtirol e le nuove competenze in base alla clausola di maggior favore, Casa editrice Praxis 3 Bolzano, pp.74 e seguenti. Peterlini, O. (2012d de): Südtirols Autonomie und die Verfassungsreformen Italiens, Vom Zentralstaat zu föderalen Ansätzen: die Auswirkungen und ungeschriebenen Änderungen im Südtiroler Autonomiestatut (L‘Autonomia dell‘Alto Adige e le Riforme costituzionali in Italia, Il cammino dell’Italia da un assetto centralista verso un approccio con principi federali, gli effetti e le modifiche non scritte nello Statuto speciale del Trentino Alto Adige), New Academic Press Braumüller Wien.
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I paesi centrali d’Europa come la Svizzera, la Germania e l’Austria offrono tre diversi modelli di Camera delle regioni. In Germania e in Austria i membri del Bundesrat sono eletti in forma indiretta, rispettivamente dai governi regionali e in Austria dai Landtage, cioè dai consigli regionali. La Svizzera invece, insieme al Tirolo, una delle più vecchie democrazie d’Europa, con un articolato legame tra gli organi democratici e la popolazione, ha scelto la via dell’elezione diretta di ambedue le Camere, da parte dei cittadini. Sia il Consiglio nazionale (la Camera) che il Consiglio degli Stati (la Camera delle regioni) sono eletti dal popolo a suffragio diretto. La Svizzera è pertanto riuscita a coniugare l’esigenza di una rappresentanza regionale con il più diretto sistema elettorale senza rincorrere ad un secondo livello. Ed è questo il modello che il presentatore del disegno di legge vuole suggerire anche per il contesto italiano. 85 Il primo presupposto è che i senatori facciano parte del Consiglio regionale, dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano e dell’Assemblea siciliana, con diritto di intervento e obbligo di relazione. Il disegno di legge invece rinuncia di dare a loro anche il diritto di voto. Per evitare l’obbligo di presenza in due Parlamenti a livello nazionale e regionale, o viceversa, mettere in difficoltà il raggiungimento del numero legale in uno dei due organi. Nessun senatore o delegato regionale potrà infatti sedersi contemporaneamente in ambedue le assise parlamentari. Per rafforzare ulteriormente questo diretto collegamento con le regioni, si conferma naturalmente il principio che il Senato è eletto a base regionale e, rispettivamente, a base provinciale nelle province autonome di Trento e Bolzano. I senatori sono consiglieri regionali, eletti in addizione al numero già prefissato dalle leggi regionali, però nelle stesse consultazioni. Un altro elemento per rafforzare il collegamento è che i senatori federali siano eletti – secondo i 85 Costituzione elvetica: http://www.admin.ch/ch/i/rs/1/101.it.pdf, scaricato il 17.10.2012.
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principi fondamentali definiti dalla legge dello Stato – con i sistemi regionali, le cui leggi sono approvate in piena autonomia dai consigli regionali stessi. Questo è un ulteriore elemento ricavato dal modello svizzero. L’articolo 150 della Costituzione della Federazione svizzera prevede, infatti, che la procedura per l’elezione del Consiglio degli stati (la camera delle regioni) «è determinata dal Cantone». È bene ricordare in questo contesto che – a differenza della Germania e dell’Austria, in cui le Camere delle regioni, i Bundesräte, hanno una competenza di minore rilevanza, che alla fine si riduce in un diritto di veto, superabile dalla Camera con maggioranza qualificata – la Confederazione elvetica ha evitato di ridurre la Camera delle regioni nel suo raggio di competenze. Definisce, infatti, l’articolo 156 della Costituzione Svizzera, che «le decisioni dell’Assemblea federale (cioè il Parlamento) richiedono l’accordo delle due Camere». Anche se questo disegno di legge non entra nel merito della ripartizione delle competenze, sembra importante sottolineare che non si può creare, dopo decenni di aspettative finalmente evase, una Camera delle regioni per poi conferire ad essa un ruolo completamente secondario. Il bicameralismo perfetto non deve, pertanto, essere superato, visto anche che l’iter delle leggi non è molto lungo in Italia e garantisce una legislazione più equilibrata di quanto succede in altri Stati con una Camera sola. Può essere raggiunto, invece, lo snelli mento degli organi e anche una riduzione dei costi della politica riducendo il numero dei componenti del Parlamento. Per il Senato federale si propone una riduzione di un quarto per portare il numero dei senatori a 240, allineandosi agli standard internazionali. Ogni regione avrà garantito un minimo di senatori non inferiore a cinque, il Trentino-Alto Adige/Suedtirol ne avrà tre per ciascuna provincia autonoma, il Molise ne avrà due, la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ne avrà uno. Per concentrare e realizzare veramente una nuova rappresentanza parlamentare delle regioni, si propone inoltre di limitare la rappresentanza dei par44
lamentari eletti all’estero alla Camera dei deputati. La ripartizione dei seggi tra le regioni avviene in proporzione alla loro popolazione, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti, dopo avere riservato i numeri minimi di senatori già previsti per le regioni.
3.2.2 Disegno di legge costituzionale n. 24 Composizione del Senato della Repubblica Art. 1. 1. Al primo comma dell’articolo 55 della Costituzione, le parole: «Senato della Repubblica» sono sostituite dalle seguenti: «Senato federale della Repubblica». Art. 2. 1. L’articolo 57 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 57. – Il Senato federale della Repubblica rappresenta le Regioni al fine di favorire e rafforzare la partecipazione delle stesse alla politica ed alla legislazione nazionale del Paese. I senatori sono eletti in ciascuna Regione contestualmente all’elezione per il rinnovo del rispettivo Consiglio regionale o Assemblea regionale e, per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, dei Consigli delle Province autonome di cui fanno parte. Partecipano alla loro attività con diritto di intervento, obbligo di relazione e senza diritto di voto, secondo le modalità previste dai regolamenti regionali. L’elezione dei Senatori è a suffragio universale e diretto ed è disciplinata con legge propria di ciascuna regione, nel rispetto dei princìpi stabiliti da una legge dello Stato. Ciascuna Regione è costituita da tanti collegi uninominali quanti risultano i Senatori da eleggere dalla ripartizione dei seggi di cui al settimo comma. 45
Il Senato federale della Repubblica è composto da duecentoquaranta senatori. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a cinque; in Trentino-Alto Adige/Südtirol le Province autonome di Trento e di Bolzano ne hanno tre per ciascuna provincia; il Molise ne ha due; la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ne ha uno. La ripartizione dei seggi tra le Regioni, previa applicazione delle disposizioni del sesto comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti». Art. 3. 1. L’articolo 58 della Costituzione è abrogato. Art. 4. 1. Fino alla data di entrata in vigore delle leggi elettorali regionali di cui al terzo comma dell’articolo 57 della Costituzione, come sostituito dall’articolo 2 della presente legge, si applica la legge elettorale dello Stato.
3.3 Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali Disegno di legge n. 35 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifica dell’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, in materia di composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali
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3.3.1 Illustrazione La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, all’articolo 11 disciplina la possibilità di integrare la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, nell’attesa della revisione delle norme del titolo I della parte seconda della Costituzione. Con il presente disegno di legge si intende dare attuazione alla norma contenuta nel citato testo di riforma della Costituzione. La Commissione parlamentare per le questioni regionali, prevista dalla Costituzione all’articolo 126, è disciplinata dall’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e successive modificazioni e dall’articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, che ha aumentato a quaranta unità i componenti della Commissione (venti deputati e venti senatori, designati dalle due Camere con criteri di proporzionalità). Il testo che si propone si basa su una concezione paritaria che vede la Commissione integrata da un rappresentante per ciascuna delle regioni e delle province autonome e da diciotto rappresentanti dei comuni e delle province. Le designazioni sono effettuate liberamente da ciascuna regione e provincia autonoma tra i consiglieri e i deputati regionali in carica, mentre per quanto riguarda la nomina dei rappresentanti dei comuni e delle province viene mantenuta la formula attualmente utilizzata per la designazione dei rispettivi rappresentanti presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i cui membri sono designati e revocati dall’Associazione nazionale dei comuni italiani e dall’Unione delle province d’Italia. Le cause di incompatibilità previste per la carica di deputato e di senatore vengono estese anche ai rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali, ad eccezione di quelle derivanti dalla carica di sindaco, 47
di presidente della provincia, di consigliere e deputato regionale, di consigliere della provincia autonoma. Viene, inoltre, estesa ai rappresentanti delle regioni e delle province autonome l’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni previste ai sensi del citato articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. All’articolo 2 si prevede l’abrogazione dell’articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, mentre l’articolo 3 prevede che la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali resti disciplinata dalle nuove disposizioni, sino alla modificazione dei regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ai sensi del comma 1 dell’articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Vista l’importanza della questione si auspica una rapida approvazione della presente iniziativa legislativa.
3.3.2 Disegno di legge n. 35 Composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali Art. 1. 1. L’articolo 52 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «Art. 52. – (Commissione parlamentare per le questioni regionali). – 1. La Commissione parlamentare per le questioni regionali prevista dall’articolo 126, primo comma, della Costituzione, di seguito denominata «Commissione», è composta da venti deputati e da venti senatori designati dalle due Camere con criteri di proporzionalità. Essi rimangono in carica per la durata della legislatura. 2. La Commissione elegge nel proprio seno il presidente, due vicepresidenti e due segretari. 48
3. Per le funzioni stabilite dai regolamenti parlamentari ai sensi dell’articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la Commissione è integrata da un rappresentante per ciascuna delle regioni e delle province autonome e da diciotto rappresentanti dei comuni e delle province. 4. Ciascuna regione e ciascuna provincia autonoma nomina e revoca il proprio rappresentante tra i consiglieri e i deputati regionali in carica. 5. Dei rappresentanti dei comuni e delle province fanno parte tredici sindaci designati e revocati dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e cinque presidenti di provincia designati e revocati dall’Unione delle province d’Italia. Dei tredici sindaci designati dall’ANCI quattro rappresentano le città individuate dall’articolo 22, comma 1, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e due sono designati fra i sindaci dei comuni la cui popolazione è inferiore a mille abitanti. 6. Ai rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali si estendono le cause di incompatibilità disposte per la carica di senatore e di deputato, ad eccezione delle cause di incompatibilità derivanti dalla carica di sindaco, di presidente della provincia, di consigliere e deputato regionale, di consigliere della provincia autonoma. Le Camere giudicano dei titoli di ammissione e delle cause sopraggiunte di incompatibilità ai sensi dell’articolo 66 della Costituzione. 7. I rappresentanti delle regioni, delle province autonome e degli enti locali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. 8. Per l’espletamento dei suoi compiti la Commissione utilizza personale, comprese eventuali collaborazioni esterne, locali e strumenti operativi messi a disposizione dai Presidenti delle Camere, di intesa tra loro».
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Art. 2. 1. L’articolo 32 della legge 28 ottobre 1970, n. 775, è abrogato. Art. 3. 1. Sino a quando i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non esercitino la potestà di cui all’articolo 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali è disciplinata dalla presente legge. Art. 4. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
3.4 Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale Disegno di legge costituzionale n. 41 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disposizioni concernenti la procedura per la modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale
3.4.1 Illustrazione La legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2, recante «Disposizioni concernenti l’elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano», non ha purtroppo recepito una fondamentale richiesta delle regioni ad autonomia differenziata. Ci riferiamo alla previsione, in caso di modifica degli statuti, del meccanismo dell’intesa tra Governo e consiglio regionale, o provinciale per le province autonome di Trento e di Bolzano. 50
Il carattere pattizio che sta alla base dei rapporti tra Stato e regioni a statuto speciale si deve infatti manifestare nel principio della previa intesa per le modifiche delle carte fondamentali, quali sono gli statuti speciali. L’introduzione dell’intesa, disposta dal presente disegno di legge costituzionale, riguarda all’articolo 1 la Sicilia, all’articolo 2 la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, all’articolo 3 la Sardegna, all’articolo 4 il Trentino-Alto Adige/Südtirol e infine, all’articolo 5 il Friuli-Venezia Giulia. Per la provincia autonoma di Bolzano esiste un’ulteriore ragione a sostegno della tesi: ci riferiamo all’accordo internazionale De Gasperi-Gruber che esclude modifiche unilaterali, essendo necessario sia il consenso della Repubblica d’Austria che dei rappresentanti delle minoranze linguistiche tedesca e ladina, come solennemente assicurato il 30 gennaio 1992 dall’allora Presidente del Consiglio dei ministri Andreotti nella dichiarazione depositata presso le Nazioni Unite e consegnata alla Repubblica d’Austria, presupposto fondamentale per porre fine alla vertenza internazionale. L’approvazione delle disposizioni del presente disegno di legge consentirebbe di rafforzare il potere di autogoverno locale, condizionando l’approvazione di ogni modifica statutaria alla volontà del consiglio regionale e dei consigli provinciali di Trento e di Bolzano che, entro tre mesi dalla trasmissione del testo della modifica approvata dal Parlamento in prima deliberazione, possono esprimere il loro dissenso. Il diniego alla proposta di intesa deve essere deliberato da una maggioranza qualificata di componenti dell’assemblea legislativa della regione o della provincia autonoma interessata. Con questo disegno di legge si intende sostituire lo strumento del parere, attualmente previsto dagli statuti per effetto della riforma introdotta dalla citata legge costituzionale n. 2 del 2001, con lo strumento rafforzato dell’intesa, consentendo altresì alle regioni e alle province autonome di intraprendere iniziative di modifica degli statuti attualmente inibite dal rischio dello stravolgimento del testo in sede di esame parlamentare.
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Un analogo meccanismo era stato previsto dall’articolo 38 della legge costituzionale recante modifiche alla Parte II della Costituzione approvata nel novembre 2005 (atto Senato n. 2544-D), sottoposta a referendum popolare confermativo svoltosi il 25 e 26 giugno del 2006 e non entrata in vigore in seguito all’esito del citato referendum. La maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea regionale o provinciale richiesta per esprimere il veto contro l’intesa (disposizione identica a quella dell’articolo 38 del disegno di legge di riforma della parte seconda della Costituzione, rigettato con il referendum) è probabilmente da ritenersi molto onerosa. In effetti anche un diniego espresso a maggioranza assoluta può essere preso in considerazione, al fine di tutelare adeguatamente l’integrità dell’autonomia speciale e il diritto di condividere le scelte che riguardano la sfera di interesse delle regioni o province autonome. Per quanto riguarda la tecnica legislativa di novellazione, il presente disegno di legge costituzionale prevede interventi precisi sugli articoli di ciascuno dei cinque statuti speciali che riguardano il procedimento di revisione dello Statuto stesso, e non un intervento sull’articolo 116 della Costituzione. Questo perché dal punto di vista legislativo si ritiene più corretto intervenire sulle disposizioni che specificamente regolano le singole autonomie. Per i motivi esposti si auspica una tempestiva approvazione del presente disegno di legge costituzionale.
3.4.2 Disegno di legge costituzionale n. 41 Modifica degli statuti delle regioni a statuto speciale Art. 1. (Modifica allo Statuto speciale della Regione siciliana) 1. Il terzo comma dell’articolo 41-ter dello Statuto della Regione siciliana, di cui al regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, è sostituito dal seguente: 52
«I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Camere in prima deliberazione sono trasmessi all’Assemblea regionale per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea regionale. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale». Art. 2. (Modifica allo Statuto speciale per la Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste) 1. Il terzo comma dell’articolo 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, è sostituito dal seguente: «I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Camere in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio della Valle per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio della Valle. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale». Art. 3. (Modifica allo Statuto speciale per la Sardegna) 1. All’articolo 54 dello Statuto speciale per la Sardegna, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il secondo comma è sostituito dal seguente: «I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Camere in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio
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regionale. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale»; b) il terzo comma è abrogato. Art. 4. (Modifica allo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol) 1. Il terzo comma dell’articolo 103 del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Camere in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale e ai Consigli provinciali per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio regionale o di uno dei Consigli provinciali. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale». Art. 5. (Modifica allo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia) 1. Il terzo comma dell’articolo 63 dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e successive modificazioni, è sostituito con il seguente: «I progetti di modificazione del presente Statuto approvati dalle due Camere in prima deliberazione sono trasmessi al Consiglio regionale per l’espressione dell’intesa. Il diniego alla proposta d’intesa può essere manifestato entro tre mesi dalla trasmissione del testo, con la deliberazione a maggioranza dei due terzi dei componenti del Consiglio regionale. Decorso tale termine senza che sia stato deliberato il diniego, le Camere possono adottare la legge costituzionale».
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3.5 Modernizzare l’Italia in senso federale Atto n. 1-00210, Pubblicato il 2 dicembre 2009, Seduta n. 294 Esame concluso nella seduta n. 295 dell’Assemblea (02/12/2009) PETERLINI, PINZGER, THALER AUSSERHOFER, FOSSON, CUFFARO, D’ALIA, GALPERTI, POLI BORTONE
3.5.1 Mozione n. 1-00210 Il Senato, premesso che: da molti anni è in corso nel Paese un intenso dibattito sulla seconda parte della Costituzione, che negli ultimi lustri si è concretizzato in numerosi progetti di riforma fra loro differenziati per il grado di incisività o per la dimensione dello scostamento dall’impianto originario della Costituzione; ogni parte politica si riconosce nel proprio patrimonio di progetti e di ipotesi di riforma ma, d’altro canto, la mancata ricerca di un ampio consenso parlamentare e politico su tali proposte ha contribuito a determinare il loro fallimento; non è però diminuita l’esigenza di una revisione del testo costituzionale, in quanto alcune delle scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica richiedono oggi un adeguamento; vanno dunque promossi interventi sul testo della Costituzione che permettano di affrontare, nei tempi e con il respiro necessario, alcune questioni istituzionali che il Paese si trova di fronte, impegna il Governo: ad incoraggiare, con spirito di leale collaborazione, un confronto parlamentare sui temi delle riforme istituzionali, per giungere alla necessaria approvazione di un testo condiviso dalla più ampia maggioranza parlamentare; 55
a sostenere la riduzione del numero dei parlamentari, tema sul quale esiste già un largo consenso tra le forze politiche; a favorire l’istituzione di una Camera espressione delle istanze regionali, anche in funzione dell’avvenuta approvazione del federalismo fiscale.86
3.6 Riduzione del numero di deputati e senatori Disegno di legge costituzionale n. 2821 d’iniziativa del senatore PETERLINI, COMUNICATO ALLA PRESIDENZA L’8 luglio 2011 Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei deputati e dei senatori
3.6.1 Illustrazione Nel vivo e lungo dibattito sulle riforme costituzionali, il presente disegno di legge, teso alla riduzione del numero dei parlamentari, si pone quale contributo ulteriore ad una riforma più globale ed organica delle istituzioni, soprattutto nell’ottica di incidere sui cosiddetti «costi della politica». Il proponente, che ha anche presentato diversi disegni di legge in tema di riforme costituzionali, quale quello volto a trasformare una delle Camere in Camera rappresentativa delle Regioni (Atto Senato n. 24), ritiene che non sia più procrastinabile l’intervento teso alla diminuzione del numero dei deputati e dei senatori, quale segno concreto al Paese per abbattere considerevolmente i costi della politica, anche in considerazione dell’adesione sul tema di tutte le forze politiche. In particolare, si propone la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione, ovvero la riduzione del numero dei deputati, che passerebbero dall’attuale numero di seicentrotrenta a trecento componenti, nonché dei senatori che, invece, 86 Approvata dal Senato (1-00210) il 2 dicembre 2009.
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verrebbero portati a centocinquanta rispetto ai trecentoquindici attualmente previsti. L’intervento prevede anche un correttivo all’articolo 59 della Costituzione in tema di numero dei senatori a vita nominabili da parte del Presidente della Repubblica, che passerebbero dagli attuali cinque senatori al numero di tre. Tali modifiche, se approvate, alleggerirebbero sensibilmente i pesanti costi della politica a partire dal Parlamento, aprendo la strada ad analoghi interventi anche nell’ambito di altre amministrazioni statali centrali e periferiche, con ciò facendo riacquistare fiducia ai cittadini nella classe politica. Il proponente auspica che il presente disegno di legge costituzionale venga al più presto sottoposto all’esame del Parlamento ed approvato, in tal modo dando segno al Paese di una concreta misura atta ad incidere in controtendenza rispetto ai cosiddetti «costi della politica», nonché a migliorare l’efficienza del Parlamento.
3.6.2 Disegno di legge costituzionale n. 2821 Riduzione del numero di deputati e senatori Art. 1. 1. All’articolo 56 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il numero dei deputati è di trecento, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero.»; b) al quarto comma, la parola: «seicentodiciotto» è sostituita dalla parola: «duecentonovantaquattro». Art. 2. 1. All’articolo 57 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni: a) il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il numero dei senatori elettivi è di centocinquanta, tre dei quali eletti nella circoscrizione Estero.»; 57
b) al terzo comma, la parola: «sette» è sostituita dalla seguente: «quattro». Art. 3. 1. Al secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, le parole: «cinque cittadini» sono sostituite dalle seguenti: «tre cittadini».
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4 La legislazione elettorale 4.1 Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero Disegno di legge n. 26 d’iniziativa del senatore PETERLINI comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifiche alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, in materia di esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero
4.1.1 Illustrazione Con l’approvazione della legge 27 dicembre 2001, n. 459, per l’esercizio di voto dei cittadini italiani residenti all’estero, a seguito delle modifiche costituzionali votate nella XIII legislatura, il Parlamento italiano ha voluto favorire i nostri connazionali residenti all’estero. Tuttavia il provvedimento presenta alcune anomalie, confermate dai risultati delle elezioni politiche del 2006, tanto che oggi è messa in discussione la rappresentatività democratica del nostro Parlamento. Inoltre sono evidenti alcune discriminazioni tra gli elettori italiani e gli elettori italiani residenti all’estero. La legge n. 459 del 2001 dà ai cittadini italiani residenti all’estero la possibilità di votare nella circoscrizione Estero, salvo la possibilità di optare per l’esercizio di voto nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in cui sono iscritti (articolo 1, comma 3). A prima vista, questa libertà di scelta per i cittadini residenti all’estero e la corrispondente restrizione per i cittadini residenti in Italia, sembrerebbe non comportare particolari conseguenze. Tenendo però conto del sistema eletto59
rale adottato, la questione appare ben più complessa. Peculiarità del sistema elettorale maggioritario, infatti, è che mentre alcuni collegi vengono assegnati per minime differenze di voti, per altri collegi il risultato è già noto in partenza (i cosiddetti collegi sicuri). Al cittadino residente all’estero è data quindi la possibilità di scegliere dove far fruttare meglio il proprio voto. Si vota in Italia nel caso in cui il proprio voto possa risultare determinante; si sceglie la circoscrizione Estero in tutti quei casi nei quali il differenziale tra i candidati è così ampio che un voto in più o in meno non farebbe alcuna differenza. Il tutto in contrasto con il secondo comma dell’articolo 48 della Costituzione: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto.» È sin troppo evidente, infatti, come la possibilità di scelta per l’esercizio del proprio voto, riservato ad una specifica e ben individuata porzione di elettorato, mini alla base il principio del voto eguale. Per rafforzare il legame con il territorio di provenienza e per far sì che le prossime elezioni politiche avvengano in presenza di norme che garantiscano il corretto esercizio del voto all’estero, il presente disegno di legge prevede una inversione del diritto di opzione che, anzitutto, deve essere esercitato entro un termine e con modalità definite e consiste nella facoltà concessa al cittadino residente all’estero di esprimere la preferenza per il voto nella circoscrizione Estero. La sua mancanza comporta che l’esercizio del diritto di voto avvenga in Italia, in una delle circoscrizioni nazionali. Il presente disegno di legge si compone di tre articoli: gli articoli 1 e 2 sostituiscono rispettivamente gli articoli 1 e 4 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, allo scopo di evitare una lettura poco chiara, mentre l’articolo 3 prevede delle modifiche consequenziali alla medesima legge n. 459 del 2001.
4.1.2 Disegno di legge n. 26 Diritto di voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero
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Art. 1. 1. L’articolo 1 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, è sostituito dal seguente: «Art. 1. – 1. I cittadini italiani residenti all’estero, iscritti nelle liste elettorali di cui all’articolo 5, comma 1, votano nella circoscrizione Estero, di cui all’articolo 48 della Costituzione, per l’elezione delle Camere e per i referendum previsti dagli articoli 75 e 138 della Costituzione, nei limiti e nelle forme previsti dalla presente legge, previa opzione da esercitare per ogni votazione e valida limitatamente ad essa. 2. Gli elettori di cui al comma 1 votano per corrispondenza. 3. Gli elettori di cui al comma 1 votano in Italia, e in tale caso votano nella circoscrizione del territorio nazionale relativa alla sezione elettorale in cui sono iscritti, salvo che abbiano esercitato l’opzione di cui al comma 1». Art. 2. 1. L’articolo 4 della legge 27 dicembre 2001, n. 459, è sostituito dal seguente: «Art. 4. – 1. In occasione di ogni consultazione elettorale l’elettore può esercitare l’opzione per il voto nella circoscrizione Estero di cui all’articolo 1, comma 1, dandone comunicazione scritta alla rappresentanza diplomatica o consolare operante nella circoscrizione consolare di residenza entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura. 2. In caso di scioglimento anticipato delle Camere o di indizione di referendum popolare, l’elettore può esercitare l’opzione per il voto entro il decimo giorno successivo alla indizione delle votazioni. 3. Il Ministero degli affari esteri comunica, senza ritardo, al Ministero dell’interno i nominativi degli elettori che hanno esercitato il diritto di opzione per il voto, ai sensi dei commi 1 e 2. Almeno trenta giorni prima della data stabilita per le votazioni in Italia il Ministero dell’interno comunica i nominativi degli elettori che non hanno esercitato l’opzione 61
ai comuni di ultima residenza in Italia. I comuni adottano le conseguenti misure necessarie per l’esercizio del voto in Italia. 4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione le rappresentanze diplomatiche e consolari, sulla base delle istruzioni impartite a tale fine dal Ministero degli affari esteri, informano, con apposita comunicazione, l’elettore della possibilità di esercitare l’opzione specificando in particolare che l’eventuale opzione è valida esclusivamente per una consultazione elettorale o referendaria e che deve essere esercitata nuovamente in occasione della successiva consultazione. 5. L’elettore che intenda esercitare l’opzione per il voto in Italia per la prima consultazione elettorale o referendaria successiva alla data di entrata in vigore della presente disposizione lo comunica, entro il sessantesimo giorno dalla ricezione della comunicazione, alla rappresentanza diplomatica o consolare operante nella circoscrizione consolare di residenza e comunque entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello previsto per la scadenza naturale della legislatura». Art. 3. 1. Alla legge 27 dicembre 2001, n. 459, sono apportate le seguenti modifiche: a) all’articolo 5, comma 2, dopo le parole: «residenti all’estero che» è inserita la seguente: «non» e le parole: «comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»; b) all’articolo 8, comma 4, le parole: «comma 3, non possono essere candidati» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1, possono essere candidati»; c) all’articolo 12, comma 3, le parole: «non hanno esercitato» sono sostituite dalle seguenti: «hanno esercitato» e le parole: «comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»; 62
d) all’articolo 12, comma 7, le parole: «non hanno esercitato» sono sostituite dalle seguenti: «hanno esercitato» e le parole: «comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»; e) all’articolo 13, comma 1, le parole: «non abbiano esercitato» sono sostituite dalle seguenti: «abbiano esercitato» e le parole: «comma 3» sono sostituite dalle seguenti: «comma 1»; f) all’articolo 20, il comma 1 è abrogato
4.2 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati Disegno di legge n. 27 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, CECCANTI e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati
4.2.1 Illustrazione La stagione del sistema elettorale maggioritario (con una limitata quota proporzionale) in Italia è durata dodici anni. Nell’autunno del 2005, con l’approvazione della nuova legge elettorale (legge 21 dicembre 2005, n. 270), infatti, sono stati introdotti profondi cambiamenti nel sistema elettorale. Ci si è orientati per un ritorno al proporzionale nella convinzione che esso potesse garantire maggiori vantaggi in termini di rappresentatività e rispecchiasse meglio i reali rapporti di forza tra i vari partiti. Ma, purtroppo, nulla di tutto ciò si è verificato, anzi, al contrario, la legge n. 270 del 2005 ha prodotto un gravissimo distacco tra cittadini elettori ed eletti, tra corpo elettorale e rappresentanti in Parlamento, ed ha inoltre reso maggiormente instabile il Governo, che ha riportato una esile maggioranza al Senato. La legge 4 agosto 1993, n. 277 – comunemente nota, tra gli addetti ai lavori, come «Mattarellum», dal nome del deputato che la ideò (Sergio Mattarella) – aveva prodotto due indubbi vantaggi al sistema politico italiano. 63
In primo luogo, l’impostazione prevalentemente maggioritaria aveva incentivato i partiti a unirsi in coalizioni pre-elettorali, per conquistare i seggi nei collegi uninominali, una tendenza che ha trasformato l’Italia in un sistema sostanzialmente bipolare, aprendo la strada, con decenni di ritardo rispetto al resto d’Europa, al principio dell’alternanza. In secondo luogo, con essa si è avuta una maggiore stabilità dei governi e delle legislature. Infatti, è aumentata la durata media degli Esecutivi (nella classifica di longevità, il governo guidato da Berlusconi dal 2001 è al primo posto, mentre quello guidato da Prodi nel 1996 è al terzo). Inoltre, due delle tre legislature elette con il sistema maggioritario (la XIII dal 1996 al 2001 e la XIV dal 2001 al 2006) sono giunte alla scadenza naturale. Un altro vantaggio infine era dato da un diretto legame tra eletto ed elettorato (piccoli collegi con conoscenza diretta dei candidati e disponibilità degli stessi). Il presente disegno di legge prevede l’abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, limitatamente alla parte che regola l’elezione della Camera dei deputati, riportando in vigore le disposizioni introdotte con la legge 4 agosto 1993, n. 277, alle quali vengono apportate delle modifiche che conducono ad un sistema elettorale maggioritario ad un turno, non contaminato quindi da aggiustamenti di carattere proporzionale. In tale contesto viene infatti eliminata la previsione della quota proporzionale del 25 per cento che non può che indurre ad una valutazione negativa per una serie di ragioni, prima tra tutte quella legata all’adozione di liste bloccate; si tratta di un metodo che non risponde certo ai canoni di un auspicabile spirito democratico e che molto spesso viene «sfruttato» dalle direzioni dei partiti al fine di agevolare l’elezione di candidati che incontrerebbero sicuramente enormi difficoltà nel confronto diretto in un collegio uninominale. Alla luce di queste considerazioni appaiono evidenti le ragioni che hanno portato alla formulazione del presente disegno di legge, diretto appunto ad eli64
minare la quota proporzionale del 25 per cento nelle elezioni per la Camera dei deputati e a ridisegnare di conseguenza i collegi elettorali in cui dovrà dividersi il territorio nazionale, lasciando aperto il sistema per una eventuale, auspicabile, riduzione del numero dei deputati con una ulteriore proposta di riforma elettorale che ci riserviamo di presentare. Anche per quanto riguarda il Senato della Repubblica, ci si riserva di intervenire con un ulteriore disegno di legge. L’abolizione della quota proporzionale del 25 per cento consente, altresì, di eliminare tutti quei complessi e perversi «meccanismi» ad essa connessi quali lo «scorporo» e i collegamenti dei candidati nei collegi uninominali maggioritari con le liste proporzionali, che sono stati spesso fattore di slealtà, con liste cosiddette «civetta» e mettendo in contrapposizione candidati nei due diversi ambiti, pur se appartenenti alla medesima formazione politica. Si propone di usare la stessa metodologia prevista dalla legge elettorale 4 agosto 1993, n. 277, per la definizione dei collegi, metodologia che l’esperienza applicativa ha dimostrato essere efficace ed equilibrata. Il disegno di legge in esame, sulla cui formulazione già nella XIII legislatura si era registrato un ampio consenso sia pure in sede informale (lo scioglimento anticipato delle Camere ha impedito l’esame di merito), è dunque finalizzato all’abolizione della quota proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati e all’attribuzione di tutti i seggi con il sistema uninominale maggioritario a turno unico, obiettivo, questo, il cui conseguimento dovrà essere armonizzato con ulteriori interventi legislativi, primo tra tutti quello finalizzato ad estendere il sistema elettorale maggioritario uninominale anche a tutti i 315 seggi elettivi del Senato. Il disegno di legge si configura come una serie di modifiche al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, già modificato dalla legge elettorale 4 agosto 1993, n. 277, e dal conseguente decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 534. 65
L’articolo 1 del presente disegno di legge abroga gli articoli 1, 2, 3 e 6 della legge n. 270 del 2005. L’articolo 2 dispone che riacquistano efficacia le disposizioni abrogate o modificate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270, e l’articolo 3 reca le seguenti modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, come richiamato in vigore ai sensi dell’articolo 2: la lettera a) stabilisce che tutti i seggi della Camera dei deputati, eccezion fatta per le circoscrizioni Estero e Valle d’Aosta, sono ripartiti in altrettanti collegi uninominali dove risulta eletto il candidato che riporta il maggior numero di suffragi; la lettera b) fissa le modalità di ripartizione dei seggi fra le regioni; la lettera c) stabilisce che ogni elettore ha a disposizione un solo voto da esprimersi su apposita scheda dove sono indicati i candidati nel collegio uninominale accompagnati dal rispettivo contrassegno; la lettera d) stabilisce la costituzione di un Ufficio centrale circoscrizionale in ogni capoluogo di regione. D’altra parte, non essendo più prevista la quota proporzionale, che era assegnata in sede circoscrizionale, gli Uffici centrali circoscrizionali avranno esclusivamente una funzione burocratico-organizzativa: quindi è apparso più opportuno far coincidere la loro dimensione con quella regionale; la lettera e) conferma l’obbligo, per i partiti politici o i gruppi politici o i singoli cittadini che intendono presentare candidature nei collegi uninominali, di depositare preventivamente al Ministero dell’interno i contrassegni con cui intendono caratterizzare le proprie candidature; la lettera f) disciplina la presentazione di candidature nei singoli collegi ed esclude le candidature plurime; la lettera g) abroga l’articolo 18-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, che disciplinava la presentazione delle candidature con metodo proporzionale;
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la lettera h) abroga un’ulteriore norma relativa alla quota proporzionale del 25 per cento; la lettera i) sostituisce l’articolo 20 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, che nel nuovo testo disciplina l’accettazione delle candidature nei collegi uninominali; la lettera l) definisce il modello di schede elettorali per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali; la lettera m) abroga la norma che prescriveva la precedenza dello scrutinio per le candidature nei collegi uninominali rispetto a quello per la quota proporzionale del 25 per cento, di cui il disegno di legge prevede l’abolizione; la lettera n) abroga le disposizioni sullo scrutinio per l’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale; la lettera o) detta norme di coordinamento; la lettera p) abroga la norma che stabilisce la separazione delle diverse schede; la lettera q) abroga le norme sul computo dei voti di lista della quota proporzionale ai fini dell’attribuzione dei seggi; la lettera r) abroga la norma sull’attribuzione dei seggi in sede di ufficio centrale elettorale nazionale per la quota proporzionale; la lettera s) abroga le norme sulla proclamazione dei deputati eletti con la quota proporzionale; la lettera t) abroga la norma che prevedeva l’obbligo di opzione per i deputati eletti in più circoscrizioni, non essendo più possibili candidature plurime; la lettera u) abroga la disciplina delle assegnazioni dei seggi nel caso in cui rimanga vacante un seggio attribuito con la quota proporzionale, perché il presente disegno di legge abolisce, come già sottolineato, la quota proporzionale; la lettera v) abroga la tabella relativa alle circoscrizioni elettorali, in quanto esse verranno a coincidere col territorio di ciascuna regione; la lettera z), infine, prevede la soppressione dei riferimenti alla «lista» o alle «liste», ovunque ricorrano. 67
L’articolo 4 disciplina l’individuazione della nuova ripartizione del territorio nazionale in collegi in modo del tutto identico a quello già adottato per la definizione dei collegi uninominali ai sensi dell’articolo 7 della legge 4 agosto 1993, n. 277. Lo stesso articolo delega il Governo ad adottare entro quattro mesi un decreto legislativo che apporti tutte quelle modifiche al testo unico per l’elezione della Camera dei deputati strettamente conseguenti a quanto previsto dal presente disegno di legge. L’articolo inoltre autorizza il Governo ad adottare, sempre entro il termine di quattro mesi, il regolamento di attuazione della legge, nonché a definire la scheda di votazione per l’elezione della Camera dei deputati nei collegi uninominali. Lo stesso articolo, infine, conferma esplicitamente il meccanismo di aggiornamento permanente dei collegi elettorali in caso di mutamenti demografici. L’articolo 5 fissa il termine per l’entrata in vigore della legge nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
4.2.2 Disegno di legge n. 27 Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati Art. 1. (Abrogazione degli articoli 1, 2, 3 e 6 della legge 21 dicembre 2005, n. 270) 1. Gli articoli 1, 2, 3 e 6 della legge 21 dicembre 2005, n. 270, recante modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sono abrogati. Art. 2. (Nuova vigenza delle disposizioni abrogate o modificate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270) 1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, riacquistano efficacia le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 68
marzo 1957, n. 361, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 21 dicembre 2005, n. 270, e con le modificazioni di cui all’articolo 3 della presente legge. Art. 3. (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361. Abolizione della quota proporzionale per l’elezione della Camera dei deputati e attribuzione di tutti i seggi con il sistema uninominale maggioritario a un turno) 1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, nel testo risultante dalle disposizioni degli articoli 1 e 2 della presente legge, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 1 è sostituito dal seguente: «Art. 1. – 1. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale, con voto diretto ed uguale, libero e segreto, espresso in un unico turno. 2. I seggi sono ripartiti tra le circoscrizioni ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione, e sono attribuiti, fatti salvi i seggi spettanti alla Valle d’Aosta e alla circoscrizione Estero, in altrettanti collegi uninominali nei quali risulta eletto il candidato che ha riportato il maggior numero di voti; in caso di parità di voti risulta eletto il più anziano di età.»; b) all’articolo 3, le parole: «singole circoscrizioni, di cui alla tabella A allegata al presente testo unico,» sono sostituite dalle seguenti: «singole regioni»; c) l’articolo 4 è sostituito dal seguente: «Art. 4. – 1. Il voto è un diritto di tutti i cittadini, il cui libero esercizio deve essere promosso e garantito dalla Repubblica. 2. Ogni elettore dispone di un voto, da esprimere su apposita scheda recante il cognome e il nome di ciascun candidato accompagnato dal rispettivo contrassegno.»; d) l’articolo 13 è sostituito dal seguente: «Art. 13. – 1. Presso la Corte d’appello o il tribunale di ogni capoluogo 69
di regione è costituito, entro tre giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi, l’Ufficio centrale circoscrizionale, composto da tre magistrati, dei quali uno con funzioni di presidente, scelti dal presidente della Corte d’appello o del tribunale.»; e) all’articolo 14, i commi primo, secondo e terzo sono sostituiti dai seguenti: «I partiti o i gruppi politici organizzati, nonché i singoli candidati che intendono presentare candidature nei collegi uninominali, debbono depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno con il quale dichiarano di voler distinguere le candidature nei collegi uninominali. All’atto del deposito del contrassegno i partiti e i gruppi politici organizzati devono indicare la propria denominazione. I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro candidature con un contrassegno che riproduca tale simbolo. Non è ammessa la presentazione di contrassegni identici o confondibili, ovvero di quelli riproducenti simboli usati tradizionalmente da altri partiti.»; f) all’articolo 18, i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti: «1. La presentazione delle candidature nei collegi uninominali è fatta per singoli candidati. Nessun candidato può accettare la candidatura in più di un collegio. La candidatura della stessa persona in più di un collegio è nulla. 2. Per ogni candidato nei collegi uninominali deve essere indicato il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il collegio uninominale per il quale viene presentata la candidatura e il contrassegno o i contrassegni, tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno, con cui si intende contraddistinguerlo; per le candidate donne può essere indicato il solo cognome o può essere aggiunto il cognome del marito.»; g) l’articolo 18-bis è abrogato; 70
h) l’articolo 19 è abrogato; i) l’articolo 20 è sostituito dal seguente: «Art. 20. – 1. Le candidature nei collegi uninominali devono essere presentate alla cancelleria della Corte d’appello o del tribunale dei capoluoghi di regione dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedenti a quello della votazione. A tale scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria della Corte d’appello o del tribunale resta aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore 8 alle ore 20. 2. Insieme alle candidature nei collegi uninominali, devono essere presentati gli atti di accettazione delle candidature, i certificati di iscrizione nelle liste elettorali dei candidati e la dichiarazione di presentazione di candidature nei collegi uninominali firmata dal prescritto numero di elettori. 3. La dichiarazione di cui al comma 2 deve essere corredata dai certificati, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni ai quali appartengono i sottoscrittori che ne attestino le iscrizioni nelle liste elettorali dei comuni del collegio o, in caso di collegi ricompresi in un unico comune, di sezioni elettorali di tali collegi. I sindaci devono, nel termine improrogabile di ventiquattro ore dalla richiesta, rilasciare tali certificati. 4. La firma degli elettori deve avvenire su appositi moduli riportanti nome, cognome, data e luogo di nascita dei candidati, il contrassegno o i contrassegni della loro candidatura nonché nome, cognome, data e luogo di nascita dei sottoscrittori e deve essere autenticata da uno dei soggetti di cui all’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni. Deve essere indicato il comune nelle cui liste l’elettore dichiara di essere iscritto. Per tale prestazione è dovuto al notaio o cancelliere l’onorario di 0,50 euro per ogni sottoscrizione autenticata. 5. Nessun elettore può sottoscrivere più di una candidatura in collegi uninominali. 71
6. Nella dichiarazione di presentazione della candidatura nei collegi uninominali deve essere specificato con quale contrassegno o quali contrassegni, tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno, la stessa intenda distinguersi.»; l) l’articolo 31 è sostituito dal seguente: «Art. 31. – 1. Le schede sono di carta consistente, sono predisposte a cura del Ministero dell’interno con le caratteristiche essenziali del modello definito con regolamento adottato ai sensi dell’articolo 17, comma l, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, e riproducono in fac simile i contrassegni di tutte le candidature nei collegi uni nominali, regolarmente presentate. 2. Le schede per l’elezione dei candidati nei collegi uninominali riportano accanto al cognome e al nome di ogni candidato il rispettivo contrassegno. 3. Le schede devono pervenire agli uffici elettorali debitamente piegate.»; m) all’articolo 45, l’ottavo comma è abrogato; n) all’articolo 68, i commi 3 e 3-bis sono abrogati e l’ultimo periodo del comma 7 è soppresso; o) all’articolo 71: 1) al primo comma, numero 2), le parole: «dei voti di lista e» sono soppresse; 2) al secondo comma, le parole: «o per le singole liste per l’attribuzione dei seggi in ragione proporzionale» sono soppresse; p) all’articolo 72, il secondo comma è abrogato; q) all’articolo 77, comma 1, i numeri 2), 3), 4) e 5) sono abrogati; r) l’articolo 83 è abrogato; s) all’articolo 84, il comma 1 è abrogato; t) l’articolo 85 è abrogato; u) all’articolo 86, i commi 4 e 5 sono abrogati; 72
v) la tabella A è abrogata; z) le parole: «di lista», «di liste», «della lista» e «delle liste», ovunque ricorrano, sono soppresse. Art. 4. (Disposizioni attuative) 1. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto legislativo per la determinazione, nell’ambito di ciascuna circoscrizione elettorale regionale, dei collegi uninominali previsti dalla presente legge, sulla base dei princìpi e criteri direttivi previsti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 7 della legge 4 agosto 1993, n. 277. 2. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene alle medesime procedure e modalità previste dai commi 2, 3 e 4 dell’articolo 7 della legge 4 agosto 1993, n. 277. 3. Il Governo è delegato ad adottare, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo con cui sono apportate al citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, come modificato dalla presente legge, le modificazioni e le abrogazioni strettamente conseguenti a quanto previsto dalla presente legge. 4. Entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo adotta il relativo regolamento di attuazione ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400; con il predetto regolamento, è definito il modello della scheda di votazione per l’elezione della Camera dei deputati nei collegi uninominali. 5. Resta fermo quanto previsto al comma 6 dell’articolo 7 della legge 4 agosto 1993, n. 277.
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Art. 5. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
4.3 Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige Disegno di legge n. 28 d’iniziativa dei senatori PETERLINI e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige
4.3.1 Illustrazione Già nel testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica sono previste disposizioni speciali per le regioni Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige/Südtirol, nelle quali vivono minoranze linguistiche, costituzionalmente riconosciute e protette. La legge elettorale prevede, infatti, per l’elezione dell’unico senatore della Valle d’Aosta e per l’elezione dei senatori della regione Trentino-Alto Adige/ Südtirol le elezioni in collegi uninominali, fatto salvo un seggio proporzionale nella regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Questa previsione di collegi uninominali corrisponde anche alla misura 111 del cosiddetto Pacchetto contenente misure a favore delle popolazioni altoatesine, concordato con l’Austria. In base all’ultimo censimento generale della popolazione e alla ripartizione dei seggi effettuata ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione, al Trentino-Alto Adige/Südtirol spettano dieci seggi. Il presente disegno di legge prevede che anche per l’elezione della Camera dei deputati nel Trentino-Alto Adige/Südti74
rol i seggi siano assegnati tramite collegi uninominali, cinque alla provincia di Trento e cinque alla provincia di Bolzano. In ogni caso, il numero preciso di essi sarà stabilito con decreto del Presidente della Repubblica che terrà conto delle aree territoriali e, quindi, distribuirà i seggi in proporzione alla popolazione, definendo collegi omogenei che tengano conto anche della distribuzione territoriale dei diversi gruppi linguistici. Pertanto, lo scopo del presente disegno di legge è quello di favorire la rappresentanza parlamentare dei gruppi e delle minoranze linguistiche, così come dettato dal principio costituzionale. Il disegno di legge si compone di un unico articolo che modifica il testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e in particolare il titolo VI, il quale non si intitola più «Disposizioni speciali per il Collegio Valle d’Aosta», ma «Disposizioni speciali per il Collegio della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per i Collegi del Trentino-Alto Adige/Südtirol», oltre a modificare e introdurre ulteriori disposizioni nel predetto testo unico.
4.3.2 Disegno di legge n. 28 Elezione della Camera dei deputati per la regione Trentino-Alto Adige Art. 1. 1. Al testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1, comma 2, dopo le parole: «alla circoscrizione Estero» sono inserite le seguenti: «, alla regione autonoma Trentino-Alto Adige/ Südtirol e alla regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste»; b) l’articolo 2 è sostituito dal seguente: «Art. 2. – 1. L’elezione nel collegio «Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste», che 75
è circoscrizione elettorale, e nei collegi della regione autonoma del Trentino-Alto Adige/Südtirol, che è anche essa circoscrizione elettorale, è regolata dalla norme contenute nel titolo VI del presente testo unico»; c) dopo l’articolo 2 è inserito il seguente: «Art. 2-bis. – 1. La circoscrizione elettorale della regione TrentinoAlto Adige/Südtirol è costituita da tanti collegi uninominali quanti risultano i deputati da eleggere a seguito della ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, effettuata ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione. In ogni caso il numero dei collegi spettanti alla circoscrizione è proporzionalmente ripartito tra le province autonome di Trento e di Bolzano e, all’interno delle province, i collegi sono ripartiti in modo da comprendere un numero di abitanti omogeneo, tenendo conto delle aree territoriali e della distribuzione territoriale dei diversi gruppi linguistici»; d) la rubrica del titolo VI è sostituita dalla seguente: «Disposizioni speciali per il Collegio della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e per i Collegi del Trentino-Alto Adige/Südtirol»; e) nel titolo VI, dopo l’articolo 93, sono inseriti i seguenti: «Art. 93-bis. – 1. L’elezione nei collegi uninominali della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è regolata dalle disposizioni del presente testo unico, in quanto applicabili, e dalle norme seguenti: a) le candidature sono presentate per ogni singolo collegio uninominale dai singoli candidati. Nessun candidato può accettare la candidatura in più di un collegio o circoscrizione. La candidatura della stessa persona in più di un collegio o circoscrizione è nulla; b) per ogni candidato nel collegio uninominale deve essere indicato il cognome, il nome, il luogo e la data di nascita, il collegio uninominale per il quale viene presentato e il contrassegno o i contrassegni tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno con cui si intende contraddistinguerlo. Per le candidate donne può essere indicato solo il proprio cognome, o può esser aggiunto il cognome del marito; 76
c) la dichiarazione di presentazione dei candidati nei collegi uninominali deve contenere l’indicazione dei nominativi di un delegato effettivo e di un supplente; d) la dichiarazione di presentazione dei singoli candidati nei collegi uninominali deve essere sottoscritta da non meno di 300 e da non più di 600 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni ricompresi nel collegio o, in caso di collegi ricompresi in un unico comune, iscritti alle sezioni elettorali di tali collegi. In caso di scioglimento della Camera dei deputati che anticipi di oltre centoventi giorni la scadenza della legislatura, il numero delle sottoscrizioni è ridotto alla metà. Le sottoscrizioni sono autenticate da uno dei soggetti di cui all’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni; e) i candidati che abbiano conseguito un seggio in occasione delle ultime elezioni alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica sono esentati dalla raccolta delle firme per la presentazione delle loro candidature per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica in uno dei collegi della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol o nel collegio della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste; f ) la candidatura è accettata con dichiarazione firmata ed autenticata da un sindaco, da un notaio o da uno dei soggetti di cui all’articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, e successive modificazioni. Per i cittadini residenti all’estero l’autenticazione della firma è richiesta ad un ufficio diplomatico o consolare; g) l’accettazione della candidatura è accompagnata da apposita dichiarazione dalla quale risulti che il candidato non ha accettato candidature in altri collegi o circoscrizioni; h) le schede sono di carta consistente, sono predisposte a cura del Ministero dell’interno con le caratteristiche essenziali che riproducono in fac-simile i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nel collegio e il nome del relativo candidato. 77
Art. 93-ter. – 1. L’ufficio elettorale regionale procede, con l’assistenza del cancelliere, alle seguenti operazioni: a) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni; b) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni, come risultano dai verbali. 2. Il presidente dell’ufficio elettorale regionale, in conformità ai risultati accertati, proclama eletto per ciascun collegio il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto il candidato più anziano di età. Art. 93-quater. – 1. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante un seggio di deputato in uno dei collegi uninominali del Trentino-Alto Adige/Südtirol e della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, il presidente della Camera dei deputati ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’interno perché si proceda ad elezione suppletiva nel collegio interessato. 2. I comizi sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, purché intercorra almeno un anno fra la data della vacanza e la scadenza normale della legislatura. 3. Le elezioni suppletive sono indette entro novanta giorni dalla data della vacanza dichiarata dalla Giunta delle elezioni. 4. Qualora il termine di novanta giorni di cui al comma 3 cada in un periodo compreso tra il 10 agosto e il 15 settembre, il Governo è autorizzato a prorogare tale termine di non oltre quarantacinque giorni; qualora il medesimo termine cada in un periodo compreso tra il 15 dicembre e il 15 gennaio, il Governo può disporre la proroga per non oltre trenta giorni. 5. Il deputato eletto con elezione suppletiva cessa dal mandato con la scadenza costituzionale o l’anticipato scioglimento della Camera dei deputati. 6. Nel caso in cui si proceda ad elezioni suppletive, le cause di ineleggibilità previste dall’articolo 7 del presente testo unico non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di indizione delle elezioni». 78
4.4 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia Disegno di legge n. 33 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, CUFFARO, THALER AUSSERHOFER, FOSSON, D’ALIA e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia
4.4.1 Illustrazione Il presente disegno di legge è dettato dall’esigenza di tutelare le minoranze etniche e linguistiche, fortemente penalizzate dalle disposizioni vigenti per l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia. Nemmeno le minoranze numericamente più forti riescono infatti a raggiungere il quoziente per poter eleggere un proprio rappresentante a Strasburgo. Il quoziente è di circa 400.000 voti, mentre la popolazione tedesco-ladina a Bolzano conta circa 300.000 persone e la popolazione francofona nella Valle d’Aosta conta circa 90.000 elettori. Anche se l’articolo 12, nono comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, prevede la possibilità di collegamento con altri partiti che si presentano a livello nazionale, tale possibilità non garantisce l’eguaglianza sostanziale richiesta dall’articolo 3 della Costituzione e tanto meno corrisponde al dettato dell’articolo 6 della stessa Carta, secondo il quale la Repubblica italiana deve tutelare le minoranze linguistiche con norme specifiche. Il presente disegno di legge mira proprio all’introduzione di tale meccanismo di tutela, volendo evitare cioè che il collegio elettorale di una piccola regione venga allargato, con la conseguente messa in minoranza della popolazione francofona e, rispettivamente, di quella ladino-tedesca. 79
Da qui la necessità di istituire un proprio collegio elettorale a tutela delle specificità linguistiche delle zone interessate. In Belgio, nel 1996, è stata creata una circoscrizione a sé stante per il territorio ove risiede la minoranza germanofona, al fine di favorire l’elezione di un suo rappresentante al Parlamento europeo. Sarebbe un segnale molto positivo, anche per l’immagine dell’Italia all’estero, se il Parlamento cogliesse l’occasione per assegnare un certo numero di seggi alle minoranze etniche, seguendo così l’esempio del Belgio.
4.4.2 Disegno di legge n. 33 Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia Art. 1. 1. All’articolo 2 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) dopo il primo comma è inserito il seguente: «La provincia autonoma di Bolzano e la regione autonoma Valle d’Aosta formano rispettivamente una circoscrizione elettorale»; b) è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Alla provincia autonoma di Bolzano e alla regione autonoma Valle d’Aosta è assegnato rispettivamente un rappresentante». Art. 2. 1. Al nono comma dell’articolo 12 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, le parole: «di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano e» sono soppresse.
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Art. 3. 1. Al secondo comma dell’articolo 21 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il seggio, rispettivamente, della circoscrizione della provincia autonoma di Bolzano e della circoscrizione della regione autonoma Valle d’Aosta è attribuito alla lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale circoscrizionale». Art. 4. 1. La tabella A allegata alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella A di cui all’allegato alla presente legge. Allegato (articolo 4) «Tabella A CIRCOSCRIZIONI ELETTORALI CIRCOSCRIZIONI
CAPOLUOGO DELLA CIRCOSCRIZIONE
Italia nord-occidentale (Piemonte, Liguria, Lombardia)
Milano
I
Italia nord-orientale (Veneto, provincia autonoma di Trento, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna)
Venezia
II
Italia centrale (Toscana, Umbria, Marche, Lazio)
Roma
III
Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria)
Napoli
IV
Italia insulare (Sicilia, Sardegna)
Palermo
V
Valle d’Aosta
Aosta
VI
Provincia autonoma di Bolzano
Bolzano
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4.5 Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia Disegno di legge costituzionale n. 34 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifica all’articolo 13 dello Statuto speciale della Regione Friuli Venezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, in materia di elezione del consiglio regionale
4.5.1 Illustrazione Il presente disegno di legge costituzionale è dettato dalla necessità di mantenere e salvaguardare le diverse identità regionali, garantendo a ciascun ente territoriale la facoltà di determinare autonomamente il proprio sistema elettorale. In una prospettiva federale, democratica e pluralistica, la libera determinazione della propria legge elettorale è un principio fondamentale, dal quale non si può prescindere. Nel quadro della specifica realtà giuridica giuliana, la presente proposta mira poi a garantire alla minoranza slovena stanziata sul territorio del FriuliVenezia Giulia il diritto a venire comunque rappresentata a livello regionale. Molti sistemi elettorali, infatti, rendono molto arduo, se non addirittura impossibile, l’elezione di candidati appartenenti alla minoranza, tenendo soprattutto conto del fatto che la stessa non è concentrata sul territorio. L’esclusione degli appartenenti alla minoranza dagli organi elettivi regionali comporta, naturalmente, un peggioramento della situazione degli sloveni in Friuli-Venezia Giulia, facendo mancare loro la possibilità di un dialogo democratico nelle istituzioni. Alla luce di tali considerazioni, si propone la presente modifica dell’articolo 13 dello Statuto del Friuli-Venezia Giulia. 82
4.5.2 Disegno di legge costituzionale n. 34 Garantire la minoranza slovena nel consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia Art. 1. 1. Il primo comma dell’articolo 13 dello Statuto speciale della Regione FriuliVenezia Giulia, di cui alla legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «Il Consiglio regionale è eletto a suffragio universale diretto, libero, uguale e segreto, secondo le norme stabilite con legge regionale, che deve garantire l’elezione di almeno un rappresentante della minoranza slovena».
4.6 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica Disegno di legge n. 2938 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 30 settembre 2011 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica
4.6.1 Illustrazione Il presente disegno di legge, che fa seguito ad un’altra iniziativa del proponente in relazione alle elezioni della Camera dei deputati (atto Senato n. 27, recante «Nuove norme per l’elezione della Camera dei deputati»), è teso alla modifica della normativa vigente concernente l’elezione del Senato della Repubblica, a Costituzione invariata. Tuttavia rimane urgente la necessità di una riforma istituzionale, avviata da una legge di revisione costituzionale, con il relativo procedimento aggravato, per una forma diversa dell’elezione del Senato, quale 83
quella in tema di Senato federale avanzata pure dal proponente con disegno di legge costituzionale (atto Senato n. 24, recante «Modifiche agli articoli 55 e 57 e abrogazione dell’articolo 58 della Costituzione in materia di composizione del Senato della Repubblica e di elettorato attivo e passivo»). È di tutta evidenza, in ogni caso, l’esigenza di modificare la legge elettorale vigente. Tale esigenza nasce a seguito dell’esperienza fortemente negativa che si è registrata con l’applicazione delle norme attualmente in vigore. La legge 21 dicembre 2005, n. 270, di modifica del sistema elettorale per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ha infatti radicalmente modificato il quadro e l’assetto normativo previgente come definito dalla legge 4 agosto 1993, n. 276 (il cosiddetto «Mattarellum»), segnando una netta discontinuità rispetto al passato, e trasformando in particolare il sistema da «maggioritario corretto» a «proporzionale con clausola di sbarramento e premio di maggioranza». La riforma elettorale approvata con la menzionata legge del 2005 è stata, ab origine, oggetto di innumerevoli rilievi critici, sia in sede scientifica, sia in sede di confronto politico-parlamentare, e ha concretamente mostrato tutti i suoi punti di debolezza fin dalla sua prima applicazione, ovvero in occasione delle elezioni politiche del 2006. Nella cieca convinzione che potessero garantire maggiori vantaggi in termini di rappresentatività e che potessero rispecchiare meglio i reali rapporti di forza tra i partiti, sono state introdotte norme, come quelle del 2005, che purtroppo hanno generato solo un forte e drammatico distacco tra elettori ed eletti, tra corpo elettorale e rappresentanti in Parlamento, e che peraltro hanno reso maggiormente instabile il Governo, che ha riportato una maggioranza davvero esile al Senato; in particolare, poi, il sistema introdotto con la legge n. 270 del 2005 ha compresso in modo significativo la riconoscibilità dei candidati da parte dell’elettore, facendo aumentare la distanza tra la base elettorale e la sua rappresentanza parlamentare. E, come intuibile, la compressione della rappresentanza in un momento di generale «scollamento» fra le istituzioni e la società civile non può non amplificare, in
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ultimo, la sfiducia dei cittadini per la politica e le istituzioni, accrescendo la disaffezione al voto. Alla luce di tali considerazioni, quindi, il presente disegno di legge intende incidere sulla normativa elettorale vigente abrogando le disposizioni della legge 21 dicembre 2005, n. 270, limitatamente alla parte che regola l’elezione del Senato della Repubblica, e riportando sostanzialmente in vigore le disposizioni introdotte con il testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nella versione previgente alla riforma elettorale del 2005. Si rende ormai improcrastinabile superare l’attuale sistema e approvare nella legislatura in corso, all’esito di un ampio dibattito parlamentare che sia condiviso il più possibile dalle diverse forze politiche, una nuova legge elettorale, affinché si arrivi ad una riforma che riesca a contemperare le esigenze della rappresentanza, della stabilità di governo, nonché di un efficiente funzionamento delle istituzioni parlamentari, con le peculiarità del sistema politico italiano. La modifica proposta – e che, come già ricordato, fa seguito ad un altro disegno di legge presentato dal proponente in relazione alle elezioni delle Camera dei deputati fin da inizio legislatura – va dunque intesa quale ulteriore contributo al dibattito ormai da tempo in corso nel Paese sull’argomento, con l’auspicio che la delicata questione di una nuova legge elettorale venga al più presto sottoposta all’esame del Parlamento.
4.6.2 Disegno di legge n. 2938 Nuove disposizioni in materia di elezione del Senato della Repubblica Titolo I DISPOSIZIONI GENERALI
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Art. 1. 1. Il Senato della Repubblica è eletto su base regionale. I seggi sono ripartiti tra le regioni a norma dell’articolo 57 della Costituzione sulla base dei risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, riportati dalla più recente pubblicazione ufficiale dell’Istituto nazionale di statistica, con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, contemporaneamente al decreto di convocazione dei comizi. 2. Il territorio di ciascuna regione, con eccezione del Molise e della Valle d’Aosta, è ripartito in collegi uninominali, pari ai tre quarti dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento per difetto. Per l’assegnazione degli ulteriori seggi spettanti, ciascuna regione è costituita in unica circoscrizione elettorale. 3. La regione Valle d’Aosta è costituita in unico collegio uninominale. Il territorio della regione Molise è ripartito in due collegi uninominali. 4. I collegi uninominali della regione Trentino-Alto Adige sono definiti dalla legge 30 dicembre 1991, n. 422. Art. 2. 1. Il Senato della Repubblica è eletto a suffragio universale, favorendo l’equilibrio della rappresentanza tra donne e uomini con voto diretto, libero e segreto, sulla base dei voti espressi nei collegi uninominali. I seggi nei collegi uninominali sono attribuiti con sistema maggioritario. Gli ulteriori seggi sono attribuiti proporzionalmente in circoscrizioni regionali tra i gruppi di candidati concorrenti nei collegi uninominali. Art. 3. 1. I comizi elettorali sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri.
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2. Il decreto di convocazione dei comizi per l’elezione dei senatori deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il quarantacinquesimo giorno antecedente quello della votazione. Art. 4. 1. Sono eleggibili a senatori gli elettori che, al giorno delle elezioni, hanno compiuto il quarantesimo anno di età e non si trovano in alcuna delle condizioni d’ineleggibilità previste dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. Titolo II DEGLI UFFICI ELETTORALI CIRCOSCRIZIONALI E REGIONALI Art. 5. 1. Il tribunale nella cui giurisdizione si trovano uno o più collegi previsti dalla tabella delle circoscrizioni si costituisce in tanti uffici elettorali circoscrizionali quanti sono i collegi medesimi. 2. Se in un collegio si trovano le sedi di due o più tribunali, l’ufficio si costituisce nella sede avente maggiore popolazione. 3. Ogni ufficio elettorale circoscrizionale esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati, dei quali uno presiede, nominati dal presidente del tribunale entro dieci giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi. Art. 6. 1. La corte d’appello o il tribunale del capoluogo della regione si costituisce in ufficio elettorale regionale con l’intervento di cinque magistrati, dei quali uno presiede, nonché di quattro esperti con attribuzioni esclusivamente tecniche,
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nominati dal presidente della corte d’appello o dal presidente del tribunale entro tre giorni dalla pubblicazione del decreto di convocazione dei comizi. Titolo III DELLE CANDIDATURE, DEI DELEGATI, DEI RAPPRESENTANTI DEI CANDIDATI E DEI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI DI CANDIDATI Art. 7. 1. I partiti o gruppi politici organizzati nonché singoli candidati che intendono presentare candidature per la elezione del Senato devono depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno o i contrassegni con i quali dichiarano di voler distinguere le candidature medesime, con l’osservanza delle norme di cui agli articoli 14, 15, 16 e 17 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. Art. 8. 1. La presentazione delle candidature per i singoli collegi è fatta per gruppi ai quali i candidati aderiscono con l’accettazione della candidatura. Ciascun gruppo deve comprendere un numero di candidature non inferiore a tre e non superiore al numero dei collegi della regione. La presentazione può avvenire anche per singoli candidati, che non partecipano al riparto dei seggi in ragione proporzionale. 2. A pena di nullità dell’elezione, nessun candidato può accettare la candidatura in più di un collegio uninominale o la candidatura contestuale al Senato e alla Camera dei deputati. 3. Per ogni candidato devono essere indicati cognome, nome, luogo e data di nascita, il collegio per il quale viene presentato e il contrassegno, tra quelli depositati presso il Ministero dell’interno, con il quale si intende contraddistinguerlo. 88
4. Le candidate, all’atto dell’accettazione della candidatura, possono scegliere se indicare il proprio cognome solo o con l’aggiunta di quello del coniuge. 5. La dichiarazione di presentazione del gruppo dei candidati deve contenere l’indicazione dei nominativi di due delegati effettivi e di due supplenti. La dichiarazione di presentazione delle candidature individuali può contenere l’indicazione di un delegato. 6. La dichiarazione di cui al comma 5 deve essere sottoscritta: a) da almeno 1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nelle regioni fino a 500.000 abitanti; b) da almeno 1.750 e da non più di 2.500 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nelle regioni con più di 500.000 abitanti e fino a 1.000.000 di abitanti; c) da almeno 3.500 e da non più di 5.000 elettori iscritti nelle liste elettorali di comuni compresi nelle regioni con più di 1.000.000 di abitanti. In caso di scioglimento del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni di cui alle lettere a), b) e c) è ridotto alla metà. Per le candidature individuali la dichiarazione di presentazione deve essere sottoscritta da almeno 1.000 e da non più di 1.500 elettori iscritti nelle liste elettorali del collegio. 7. L’accettazione della candidatura deve essere accompagnata da apposita dichiarazione dalla quale risulti che il candidato non ha accettato candidature in altri collegi. 8. La documentazione relativa ai gruppi dei candidati ed alle candidature individuali deve essere presentata per ciascuna regione alla cancelleria della corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedente quello della votazione. 9. La presentazione del gruppo di candidature deve essere effettuata, nel caso di pluralità di contrassegni, congiuntamente dai rispettivi rappresentanti di cui all’articolo 17 del testo unico delle leggi recanti 89
norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. Art. 9. 1. L’ufficio elettorale regionale verifica se le candidature siano state presentate nei termini e nelle forme prescritte. 2. I delegati di ciascun gruppo di candidati possono prendere cognizione, entro la stessa giornata, delle contestazioni fatte dall’ufficio elettorale regionale e delle modificazioni da questo apportate. 3. La stessa facoltà di cui al comma 2 è concessa al singolo candidato o al suo delegato. 4. L’ufficio elettorale regionale si riunisce nuovamente il giorno successivo alle ore 12 per udire eventualmente i delegati ed ammettere nuovi documenti nonché correzioni formali e deliberare in merito. 5. Le decisioni dell’ufficio elettorale regionale in ordine all’ammissione dei gruppi di candidati e delle candidature individuali sono comunicate, nella stessa giornata, ai delegati. 6. Contro le decisioni di eliminazione dei gruppi di candidati o delle candidature, i delegati possono ricorrere all’Ufficio centrale nazionale previsto dall’articolo 12 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361. 7. Per le modalità ed i termini per la presentazione dei ricorsi nonché per le decisioni degli stessi e per le conseguenti comunicazioni ai ricorrenti ed agli uffici elettorali regionali si osservano le norme di cui all’articolo 23 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, e successive modificazioni.
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Art. 10. 1. L’ufficio elettorale regionale, appena scaduto il termine stabilito per la presentazione dei ricorsi o, nel caso in cui sia stato presentato ricorso, appena ricevuta la comunicazione della decisione dell’Ufficio centrale nazionale, compie le seguenti operazioni: a) stabilisce mediante sorteggio, da effettuare alla presenza dei delegati appositamente convocati, il numero d’ordine da assegnare ai candidati ammessi. I nominativi dei candidati ed i relativi contrassegni sono riportati sulle schede di votazione e sul manifesto di cui alla lettera d) secondo l’ordine risultato dal sorteggio; b) assegna per ciascun collegio un numero d’ordine a ciascun candidato secondo l’ordine di ammissione; c) comunica ai delegati le definitive decisioni adottate; d) procede, per ciascun collegio, per mezzo della prefettura nel cui ambito ha sede l’ufficio elettorale circoscrizionale: 1) alla stampa delle schede di votazione, recanti le generalità dei candidati ed i relativi contrassegni, i quali devono essere riprodotti sulle schede medesime con i colori depositati presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 7; 2) alla stampa del manifesto con il nome dei candidati, con i relativi contrassegni e numero d’ordine, ed all’invio del manifesto ai sindaci dei comuni del collegio, i quali ne curano l’affissione nell’albo pretorio ed in altri luoghi pubblici entro il quindicesimo giorno antecedente quello della votazione. 2. I nominativi dei candidati ed i relativi contrassegni sono riportati nelle schede di votazione e sul manifesto secondo l’ordine di cui alla lettera b) del comma 1. 3. Le schede sono di carta consistente, di identico tipo e colore per ogni collegio, sono fornite a cura del Ministero dell’interno, hanno le caratteristiche essenziali del modello descritto nelle tabelle A e B allegate alla presente legge 91
e riproducono le generalità dei candidati ed i contrassegni secondo l’ordine di cui alla lettera a) del comma 1. 4. Le schede devono pervenire agli uffici elettorali debitamente piegate. 5. La scheda elettorale per l’elezione uninominale nel collegio della Valle d’Aosta deve recare doppie diciture in lingua italiana ed in lingua francese. Art. 11. 1. La designazione dei rappresentanti dei gruppi di candidati presso gli uffici elettorali regionali e dei rappresentanti dei candidati presso l’ufficio elettorale circoscrizionale e le singole sezioni è effettuata dai delegati con le modalità e nei termini previsti dall’articolo 25 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. 2. I rappresentanti presso gli uffici elettorali regionali devono essere iscritti nelle liste elettorali di un comune della regione; i rappresentanti dei candidati presso i seggi e presso l’ufficio elettorale circoscrizionale devono essere iscritti nelle liste elettorali del collegio. Titolo IV DELLA VOTAZIONE Art. 12. 1. All’elezione dei senatori partecipano gli elettori che hanno compiuto il venticinquesimo anno di età. 2. Il presidente, gli scrutatori e il segretario del seggio, nonché i militari delle Forze armate e gli appartenenti a Corpi organizzati militarmente per il servizio dello Stato, alle Forze di polizia ed al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono ammessi a votare, rispettivamente, nella sezione
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presso la quale esercitano le loro funzioni o nel comune in cui si trovano per causa di servizio. 3. I rappresentanti dei candidati alle elezioni del Senato della Repubblica votano nella sezione presso la quale esercitano il loro ufficio, purché siano elettori del collegio. 4. I rappresentanti dei candidati nei collegi uninominali e delle liste dei candidati alle elezioni della Camera dei deputati votano per l’elezione del Senato della Repubblica nella sezione presso la quale esercitano le loro funzioni, purché siano elettori del collegio senatoriale. Art. 13. 1. Il voto si esprime tracciando, con la matita, un solo segno, comunque apposto, nel rettangolo contenente il contrassegno ed il cognome e nome del candidato prescelto. Sono vietati altri segni o indicazioni. Titolo V DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE CIRCOSCRIZIONALE Art. 14. 1. L’ufficio elettorale circoscrizionale, costituito ai sensi dell’articolo 5, procede con l’assistenza del cancelliere alle operazioni seguenti: a) effettua lo spoglio delle schede eventualmente inviate dalle sezioni; b) somma i voti ottenuti da ciascun candidato nelle singole sezioni, come risultano dai verbali. 2. Il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale, in conformità ai risultati accertati, proclama eletto per ciascun collegio il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. In caso di parità di voti, è proclamato eletto il candidato più anziano di età. 3. Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale circoscrizionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata 93
notizia alla segreteria del Senato, nonché alla prefettura o alle prefetture nelle cui circoscrizioni si trova il collegio, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori. 4. L’ufficio elettorale circoscrizionale dà immediata comunicazione della proclamazione del senatore eletto all’ufficio elettorale regionale, a mezzo del verbale. Art. 15. 1. Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale circoscrizionale viene redatto, in triplice esemplare, apposito verbale; uno degli esemplari è inviato subito alla segreteria del Senato, che ne rilascia ricevuta; il secondo è trasmesso alla cancelleria della corte di appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale. 2. Il terzo esemplare è depositato nella cancelleria del tribunale dove ha sede l’ufficio elettorale circoscrizionale. Gli elettori del collegio hanno facoltà di prenderne visione nei successivi quindici giorni. Titolo VI DELLE OPERAZIONI DELL’UFFICIO ELETTORALE REGIONALE Art. 16. 1. Per l’assegnazione dei seggi spettanti a ciascuna regione non assegnati nei collegi uninominali, l’ufficio elettorale regionale, costituito presso la corte d’appello o il tribunale ai sensi dell’articolo 6, appena in possesso delle comunicazioni o dei verbali trasmessi da tutti gli uffici elettorali circoscrizionali della regione, procede, con l’assistenza del cancelliere e alla presenza dei rappresentanti dei gruppi di candidati, alla determinazione della cifra elettorale di ciascun gruppo di candidati e della cifra individuale dei singoli candidati di ciascun gruppo non risultati eletti ai sensi dell’articolo 14. 94
2. La cifra elettorale dei gruppi di candidati è data dalla somma dei voti ottenuti dai candidati presenti nei collegi uninominali della regione con il medesimo contrassegno, sottratti i voti dei candidati già proclamati eletti ai sensi dell’articolo 14. La cifra individuale dei singoli candidati è determinata moltiplicando per cento il numero dei voti validi ottenuti da ciascun candidato non risultato eletto ai sensi dell’articolo 14, e dividendo il prodotto per il totale dei voti validi espressi nel collegio. 3. Per l’assegnazione dei seggi, l’ufficio elettorale regionale divide la cifra elettorale di ciascun gruppo successivamente per uno, due, tre, quattro..., fino alla concorrenza del numero dei senatori da eleggere, scegliendo quindi fra i quozienti così ottenuti i più alti in numero eguale ai senatori da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente. I seggi sono assegnati ai gruppi in corrispondenza ai quozienti compresi in questa graduatoria. A parità di quoziente il seggio è attribuito al gruppo che ha ottenuto la minore cifra elettorale. Se a un gruppo spettano più seggi di quanti sono i suoi candidati, i seggi esuberanti sono distribuiti secondo l’ordine della graduatoria di quoziente. 4. L’ufficio elettorale regionale proclama quindi eletti, in corrispondenza ai seggi attribuiti ad ogni gruppo, i candidati del gruppo medesimo che abbiano ottenuto la più alta cifra individuale, esclusi i candidati eletti ai sensi dell’articolo 14. 5. Dell’avvenuta proclamazione il presidente dell’ufficio elettorale regionale invia attestato al senatore proclamato e dà immediata notizia alla segreteria del Senato, nonché alla prefettura o alle prefetture della regione, perché, a mezzo dei sindaci, sia portata a conoscenza degli elettori.
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Art. 17. 1. Di tutte le operazioni dell’ufficio elettorale regionale viene redatto, in duplice esemplare, apposito verbale; un esemplare è inviato subito alla segreteria del Senato, che ne rilascia ricevuta; l’altro è depositato nella cancelleria della corte d’appello o del tribunale sede dell’ufficio elettorale regionale, con facoltà agli elettori della regione di prenderne visione nei successivi quindici giorni. Art. 18. 1. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante il seggio di senatore in uno dei collegi in cui la proclamazione abbia avuto luogo con sistema maggioritario, il presidente del Senato ne dà immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro dell’interno perché si proceda ad elezione suppletiva nel collegio interessato, con le modalità di cui all’articolo 14. 2. I comizi sono convocati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, purché intercorra almeno un anno fra la data della vacanza e la scadenza normale della legislatura. 3. Le elezioni suppletive sono indette entro novanta giorni dalla data della vacanza dichiarata dalla giunta delle elezioni. 4. Qualora il termine di novanta giorni di cui al comma 3 cada in un periodo compreso tra il 1º agosto e il 15 settembre, il Governo è autorizzato a prorogare tale termine di non oltre quarantacinque giorni; qualora il termine suddetto cada in un periodo compreso tra il 15 dicembre e il 15 gennaio, il Governo può disporre la proroga per non oltre trenta giorni. 5. Il senatore eletto con elezione suppletiva cessa dal mandato con la scadenza costituzionale o l’anticipato scioglimento del Senato. 6. Nel caso in cui si proceda ad elezioni suppletive, le cause di ineleggibilità previste dall’articolo 7 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, 96
non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di indizione delle elezioni. 7. Quando, per qualsiasi causa, resti vacante il seggio di senatore attribuito con calcolo proporzionale nelle circoscrizioni regionali, l’ufficio elettorale regionale proclama eletto il candidato del medesimo gruppo con la più alta cifra individuale. Titolo VII DISPOSIZIONI SPECIALI PER IL COLLEGIO DELLA VALLE D’AOSTA Art. 19. 1. L’elezione uninominale nel collegio della Valle d’Aosta è regolata dalle disposizioni dei precedenti articoli, in quanto applicabili, e dalle norme seguenti: a) la candidatura deve essere proposta con dichiarazione sottoscritta da non meno di 300 e non più di 600 elettori del collegio. In caso di scioglimento del Senato della Repubblica che ne anticipi la scadenza di oltre centoventi giorni, il numero delle sottoscrizioni della candidatura è ridotto della metà; b) la dichiarazione di candidatura è depositata, insieme con il contrassegno, dalle ore 8 del trentacinquesimo giorno alle ore 20 del trentaquattresimo giorno antecedenti quello della votazione, presso la cancelleria del tribunale di Aosta. Art. 20. 1. Il tribunale di Aosta, costituito in ufficio elettorale circoscrizionale ai sensi dell’articolo 5, esercita le sue funzioni con l’intervento di tre magistrati. 2. È proclamato eletto il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti validi. 97
3. In caso di parità di voti, è eletto il candidato più anziano di età. Titolo VIII DISPOSIZIONI FINALI Art. 21. 1. Nel caso di coincidenza delle elezioni della Camera dei deputati con quelle del Senato, esse sono indette per il medesimo giorno. 2. Lo svolgimento delle operazioni elettorali è regolato dalle disposizioni seguenti. 3. L’elettore iscritto nelle liste elettorali per le elezioni delle due Camere, dopo che è stata riconosciuta la sua identità personale, ritira dal presidente del seggio le schede relative alle due votazioni, che devono essere di colore diverso, e, dopo aver espresso il voto, le riconsegna contemporaneamente al presidente il quale le pone nelle rispettive urne. 4. Le operazioni di votazione proseguono fino alle ore 15 del lunedì, fermo restando quanto disposto dagli articoli 64 e 64-bis del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni; gli elettori che a tale ora si trovano ancora nella sala sono ammessi a votare. 5. Le operazioni di cui all’articolo 67 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, devono essere effettuate immediatamente dopo la chiusura della votazione. 6. Il presidente procede quindi alle operazioni di scrutinio, con precedenza di quelle relative all’elezione del Senato. Tali operazioni devono svolgersi senza interruzione ed essere ultimate entro le ore quattordici del martedì successivo alla votazione; se non sono compiute entro tale ora, si applicano le disposizioni dell’articolo 73 del testo unico delle leggi 98
recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. 7. I verbali delle operazioni per l’elezione del Senato devono essere compilati distintamente da quelli per l’elezione della Camera dei deputati e redatti in duplice esemplare. 8. Se non è possibile l’immediato recapito, i plichi contenenti i verbali e i documenti allegati devono rimanere nella sala della votazione, che viene chiusa e custodita secondo le prescrizioni di cui all’articolo 64 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, per essere recapitati con ogni urgenza, a cura del presidente, al mattino. Art. 22. 1. Nell’ipotesi prevista dall’articolo 21, comma 1, l’ufficio elettorale comunale, entro quindici giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di convocazione dei comizi, appone sull’esemplare della lista di sezione, depositato presso il comune, apposita annotazione, mediante stampigliatura, a fianco dei nominativi degli elettori che possono votare soltanto per l’elezione della Camera dei deputati. L’elenco di detti nominativi è trasmesso, a cura del sindaco, immediatamente alla commissione elettorale circondariale, che provvede ad apporre analoga annotazione stampigliata sull’esemplare della lista destinato all’ufficio elettorale di sezione. Art. 23. 1. Nel caso in cui le elezioni per il Senato e per la Camera dei deputati non si svolgano contemporaneamente, il membro della Camera ancora in funzione, che accetta la candidatura per l’altra Camera, decade dal mandato.
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Art. 24. 1. Per le aperture di credito inerenti al pagamento delle spese per l’elezione del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati è autorizzata la deroga alle limitazioni previste dall’articolo 56 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e successive modificazioni. Art. 25. 1. Gli emigrati per motivi di lavoro, che rimpatriano per le elezioni, hanno diritto al trasporto ferroviario gratuito dalla stazione di confine al comune in cui votano e viceversa. Art. 26. 1. Per l’esercizio del diritto di voto e per tutto ciò che non è disciplinato dalla presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni. Art. 27. 1. Sono abrogate le disposizioni del testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, nonché ogni altra disposizione incompatibile con la presente legge. Art. 28. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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5 La democrazia diretta 5.1 Iniziativa legislativa popolare, iniziativa legislativa costituzionale, istituti di democrazia diretta Disegno di legge costituzionale n. 1428 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, ADAMO, CECCANTI, NEGRI, PERDUCA, PINZGER, PORETTI e PROCACCI, comunicato alla presidenza il 4 marzo 2009 Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 e 138 della Costituzione, in materia di formazione delle leggi e revisione della Costituzione, introduzione dell’iniziativa legislativa popolare e dell’iniziativa legislativa costituzionale e di democrazia diretta
5.1.1 Illustrazione I diritti referendari in Italia spesso sono identificati con i referendum abrogativi, la cui storia è iniziata 35 anni fa col referendum sul divorzio, nel 1974, seguito da altre 13 tornate referendarie con 59 quesiti referendari nonché da due referendum confermativi costituzionali (del 2001 e del 2006). Nei casi citati si è trattato sempre di referendum abrogativi e, nella prospettiva di una democrazia diretta, moderna ed integrale, si rischia in questo modo di ridurre lo strumento referendario ad un unico tipo di referendum, che all’interno della democrazia diretta non è certamente quello più importante. La democrazia diretta, invece, è un concetto ben più ampio rispetto ai limitati diritti referendari oggi presenti in Italia. L’Assemblea costituente del 1947 non ha voluto affidare all’elettorato italiano gli strumenti dell’iniziativa legislativa popolare con votazione vincolante e quelli del referendum confermativo facoltativo per le leggi ordinarie del-
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lo Stato, per non parlare dell’iniziativa popolare costituzionale. Dopo 60 anni di Repubblica bisogna iniziare a rimediare a questa carenza. Lo stesso referendum abrogativo sembra da tempo entrato in crisi, non perché mancassero gli argomenti politici scottanti ed il bisogno di partecipazione dei cittadini, ma gli ultimi 5 referendum, a partire dal 1997, recanti 16 quesiti referendari, sono tutti stati invalidati a causa della mancanza del quorum di partecipazione. Ne è conseguita una progressiva perdita di fiducia nello strumento referendario in quanto tale. Forse una certa disaffezione è anche dovuta al fatto che del referendum si sono impadroniti soprattutto i partiti, non la cittadinanza libera o le associazioni ed i comitati ad hoc. I partiti, inoltre, montando campagne astensioniste, hanno smobilitato il proprio elettorato a partecipare e poi, in Parlamento, in varie occasioni, hanno cercato di neutralizzare i risultati dei referendum. Oltre allo strumentario troppo limitato, in un’ottica di democrazia diretta moderna, le stesse regole di svolgimento dei referendum sono carenti. Sembra che il solo referendum abrogativo con regole applicative restrittive oggi vigenti – basta pensare al quorum – abbia toccato un limite nella sua capacità propulsiva della partecipazione popolare. In Italia, inoltre, è stato mortificato il diritto all’iniziativa popolare legislativa, cioè l’espressione libera e propositiva del popolo sovrano, che porta alla delibera collettiva referendaria su proposte di legge importanti, firmate da centinaia di migliaia di persone. Lo strumento con valenza propositiva oggi vigente – la proposta di legge di iniziativa popolare – è solo un’ombra di questo diritto, perché non si può votare la proposta presentata con grande dispendio di energia per la raccolta delle firme, nel caso in cui fosse respinta dal Parlamento. Anzi, la maggior parte di queste proposte non viene neanche discussa nel Parlamento. Più del 90 per cento delle proposte presentate nella legislatura 1996 – 2001 non sono ancora state trattate, per non parlare di quelle presentate dal 2002 in poi. Dall’altra parte, come momento positivo rispetto alle partecipazione popolare ai referendum, vanno segnalati i referendum confermativi costituzionali del 102
2001 e del 2006, uno sulle modifiche costituzionali volute dal «governo Prodi», 1996 – 2001, l’altro sulle modifiche volute dal «governo Berlusconi II», 2001 – 2006. Entrambi i referendum sono stati svolti senza quorum di partecipazione, perché nei referendum confermativi costituzionali questa barriera non è prevista, sebbene si trattasse di questioni fra le più importanti, cioè di modifiche sostanziali della Costituzione. In tal modo prefigurano il vero tipo di votazione referendaria, come praticata in altri paesi, in cui decidono coloro che si recano alle urne per votare, mentre gli astenuti implicitamente delegano la decisione agli altri. 1. Le principali lezioni da trarre da 35 anni di referendum Se volessimo trarre le principali lezioni da questo primo periodo di applicazione di strumenti referendari nel nostro sistema politico, potremmo riassumerli in tre punti principali: 1. C’è oggi in Italia una gamma incompleta di diritti referendari, cioè mancano gli strumenti principali presenti in paesi con democrazia diretta completa: l’iniziativa popolare ed il referendum confermativo facoltativo anche per le leggi ordinarie. Inoltre manca anche l’iniziativa popolare di modifica della Costituzione, che fu il primo diritto rivendicato e poi conquistato dal movimento popolare per la democrazia diretta nel 1860 in Svizzera, un diritto fortemente istituzionalizzato anche negli USA a partire del 1900. 2. Le regole di applicazione dei diritti referendari sono troppo restrittive. Quindi occorre riformare o sostituire la legge di applicazione del referendum 25 maggio 1970, n. 352. Alcuni esempi: i poteri troppo estesi di intervento della Consulta nella materia dei quesiti referendari, il divieto di coincidenza dei referendum con le elezioni, la mancanza di garanzia del risultato, la raccolta delle firme con obbligo di autenticazione da parte di un ufficiale pubblico, la mancanza di rimborsi a comitati di promotori, la mancanza dell’obbligo di informazione da parte dello Stato, la mancanza di trasparenza e di limiti nei finanziamenti delle campagne referendarie. 103
3. Il quorum di partecipazione del 50 per cento, inutile e dannoso, ha contribuito a screditare lo strumento del referendum agli occhi di milioni di elettori italiani che da anni non si recano più alle urne. Il quorum di partecipazione fa sì che artificialmente gli astenuti si sommino ai contrari, quindi gioco facile per i partiti o i gruppi di interesse contrari ad un quesito a invitare l’elettorato ad ignorare i referendum, andarsene al mare o in montagna, entrando in tacita coalizione con i non interessati. Oggi, tra frustrazione popolare e desiderio dello Stato forte, si sceglie l’antipolitica o si votano i leader forti, anziché rafforzare gli strumenti che danno più potere ai cittadini. 2. Le innovazioni oggi necessarie Quindi, se l’obiettivo è di ricucire lo scollamento fra la popolazione e le istituzioni ma anche con le forze politiche, bisogna modificare il sistema di democrazia diretta come si presenta oggi. Se s’intende promuovere attivamente la partecipazione politica, all’insegna dell’articolo 118, quarto comma, della Costituzione, e si intende dispiegare gli effetti positivi della democrazia diretta, bisogna riscrivere i relativi articoli della Costituzione, cioè soprattutto gli articoli 73, 74, 75 e 138 per ampliare lo stesso strumentario referendario. Tale progetto deve partire dai seguenti punti cardine: 1. Prima di tutto bisogna superare il concetto limitativo della democrazia diretta che regna oggi, riconoscere, cioè, il potere legislativo effettivo ai cittadini recuperando i due strumenti essenziali di una democrazia diretta completa: da una parte l’iniziativa popolare per dare spazi d’azione ai cittadini, dall’altra il referendum confermativo facoltativo per consentire ai cittadini di fermare delle leggi che presumibilmente non hanno il consenso della maggioranza dell’elettorato. Ciò significa dare in mano ai cittadini sia l’acceleratore sia il freno di emergenza in politica: accelerare quando riforme importanti e urgenti non partono e non vanno avanti nel Parlamento, frenare quando la maggioranza politica cerca di imporre le sue scelte a una presumibile maggioranza contraria nell’elettorato. Si tratta di diritti che nel 1947/48 furono trascurati dalla Costi104
tuente, ingiustamente. Oggi non si tratta più di avvalersi del referendum come puro strumento di difesa, come voluto dalla Costituente, ma di intendere gli strumenti referendari, il veicolo più importante di stimolo della partecipazione politica, come lo vuole l’articolo 118, quarto comma, che afferma testualmente: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Il referendum abrogativo per più di 30 anni è servito da surrogato dell’iniziativa popolare cioè del referendum propositivo ma, stando alle esperienze nostre e a quelle di altri paesi, non è possibile. I cittadini hanno bisogno di un proprio spazio d’azione e di strumenti referendari adatti per indirizzare la politica e chi governa. 2. Le regole di applicazione vanno ridisegnate in chiave democratica, più rispettose delle esigenze dei cittadini moderni, per esempio limitando i diritti d’intervento della Consulta, ampliando le materie ammissibili a referendum includendo, per esempio, la politica estera e la materia tributaria, istituendo l’obbligo di informare con un opuscolo ufficiale ogni famiglia, adottando regole più severe per la par condicio, introducendo una spesa massima consentita per le spese della campagna e delle contro campagne, prevedendo la massima trasparenza nei finanziamenti, liberalizzando la forma di raccolta delle firme e così via. Il problema oggi non sta nella «proliferazione dei referendum», perché strumenti troppo facilmente accessibili. Il problema sta nel fatto che oggi in Italia i cittadini, nei loro comuni, nelle regioni e a livello nazionale, non intendono la democrazia diretta come strumento normale di articolazione e partecipazione politica. Quindi bisogna assegnare agli strumenti referendari il ruolo che hanno avuto da tanti decenni in altre società democratiche: essere espressione della volontà popolare senza mediazione partitica. Così i referendum avranno una nuova valenza politica che va oltre l’assetto politico in Parlamento, che si configura in dato momento storico e, quindi, integra la democrazia rappresentativa: una valenza propositiva con l’iniziativa popolare, una valenza oppositiva col referendum confermativo. L’attuale referendum abrogativo 105
sarebbe semplicemente assorbito nell’iniziativa popolare, senza non introdurre o modificare una legge, ma annullando una norma. 3. L’iniziativa popolare legislativa (articolo 73) Fra i principali motivi per potenziare gli strumenti referendari (iniziativa popolare legislativa e referendum confermativo facoltativo) si trova la necessità di aprire nuovi spazi di partecipazione ai cittadini, dando seguito all’articolo 118, quarto comma, della Costituzione e recuperando la spinta di impegno attivo per il bene comune. L’iniziativa popolare, secondo la disciplina attuale, non ha il necessario impatto nella vita democratica, poiché non impegna il Parlamento, come ampiamente dimostrato dalle cifre delle proposte di legge di iniziativa popolare presentate durante le ultime legislature. Queste proposte, anche dopo dieci anni dalla loro presentazione sono in maggior parte ancora inevase. Anche a livello regionale lo strumento della proposta di legge si è rivelato un istituto che ispira scarsissima motivazione fra i cittadini, quindi è applicato raramente, sempre a causa della mancanza di votazione popolare nel caso in cui la proposta fosse respinta o non trattata dal rispettivo Consiglio regionale. Per questo motivo una regione e una provincia a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento), nelle loro leggi regionali/provinciali sulla democrazia diretta, hanno introdotto l’obbligo del rispettivo Consiglio regionale di trattare le proposte di legge di iniziativa entro un determinato termine, pena il passaggio della proposta alla votazione popolare referendaria. Tale regolamento sembra però insoddisfacente dal momento che non attribuisce ai cittadini un’effettiva potestà legislativa. Giustamente la regione autonoma della Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano si sono spinte oltre, istituendo l’iniziativa popolare legislativa vera e propria, con cui si consente ai cittadini, dopo aver raggiunto il quorum di sottoscrizione, di presentare ai rispettivi Consigli regionali una proposta di legge redatta in articoli. Se il testo nella sua interezza o nella sua sostanza non fosse recepito dal Consiglio, automaticamente in queste regioni si passerebbe alla votazione popolare. Tale istituto, 106
accanto al referendum confermativo facoltativo e costituzionale, rappresenta lo strumento principale dei regolamenti di democrazia diretta che funzionano a piena soddisfazione dei cittadini da 140 anni in Svizzera (tutti livelli di Governo) e da più di 100 anni in 26 stati degli Stati Uniti d’America (livello degli Stati federati e dei comuni). Il Parlamento deve avere il diritto alla controproposta. In una qualsiasi materia ammissibile a referendum (sia propositivo sia confermativo), il Parlamento, rispetto alle proposte di riforma provenienti dai cittadini e lo status quo, può avere i propri disegni di riforma, che possono trovarsi in pieno contrasto con la proposta avanzata dai cittadini. La controproposta parlamentare accoglie questi interessi e offre al cittadino elettore la scelta fra due proposte di riforma e lo status quo su cui deve potersi esprimere. Qualora il Parlamento approvasse una propria proposta di legge in materia, il comitato promotore dell’iniziativa popolare, composto secondo il presente disegno di legge da almeno nove cittadini aventi diritto al voto, decide a maggioranza se ritirare il disegno di legge d’iniziativa popolare o far valere il diritto alla votazione popolare deliberativa. Spetterà quindi al comitato promotore stesso valutare se la sua proposta di legge d’iniziativa popolare sia in sufficiente misura stata accolta dal Parlamento oppure sia stata approvata una legge in contrasto con i princìpi e le finalità del testo originale sottoposto dal Comitato promotore. Data la possibilità che entrambe le proposte possano ottenere la maggioranza dei voti validi, occorre comunque inserire una terza «domanda di ballottaggio» del seguente tipo: «Quale proposta deve entrare in vigore se i cittadini preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente?» Se fossero approvate, sia la proposta popolare sa la controproposta parlamentare decide il risultato di questa terza domanda. Se anche nella terza domanda nessuna delle proposte ottenesse la maggioranza, l’iniziativa popolare in quanto tale sarebbe bocciata e resterebbe in vigore la legge che si intendeva emendare. Anche in questo caso un referendum propositivo costituirebbe comunque un’espressione significativa
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ed importante della cittadinanza di cui il Parlamento terrà conto nei suoi successivi tentativi di riformare la materia oggetto della votazione referendaria. 4. Il referendum confermativo facoltativo (articolo 74) Il «referendum confermativo facoltativo», che oggi nell’ordinamento giuridico italiano esiste solo per i casi di modifica della Costituzione da parte del Parlamento, approvati da una maggioranza inferiore ai due terzi dei Parlamentari, va esteso alle leggi ordinarie dello Stato. Questo strumento rappresenta, sia in teoria sia nella lunga prassi politica degli Stati con regolamenti moderni della democrazia diretta, un vero e proprio «freno di emergenza» in mano ai cittadini. Con il referendum confermativo facoltativo un numero minimo di cittadini (o anche cinque Consigli regionali), appena approvata una legge, ma prima della sua entrata in vigore, richiede con la propria firma, entro un periodo di tempo relativamente breve, che tutto l’elettorato deve poter pronunciarsi su tale legge. Dal referendum confermativo è esclusa la legge finanziaria. Tale istituto è quello più frequentemente utilizzato nell’ordinamento svizzero e statunitense. Conferisce ai cittadini un potere di veto o di verifica. Richiedere il referendum confermativo significa nient’altro se non che esiste un forte dubbio sul consenso della maggioranza del Parlamento. Con il referendum confermativo facoltativo anche i parlamentari stessi hanno la possibilità di verificare se le loro proposte di regolamentazione di una data materia corrispondono alla «volontà generale». In base alla presente proposta di modifica dell’articolo 75 della Costituzione, secondo comma, si intende consentire per un periodo limitato l’entrata in vigore di «leggi urgenti», comunque contestabili mediante referendum confermativo facoltativo. Afferma il proposto articolo: «Se le Camere ne dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esso stabilito e si può chiedere l’indizione di un referendum confermativo ai sensi dell’articolo 74 soltanto dal momento che la legge è entrata in vigore. Se si arriva al referendum confermativo popolare con esito sfavorevole alla legge, essa viene abrogata entro un anno dall’avvenuta approvazione in sede parlamentare e non può più essere riappro108
vata.» Questa norma viene incontro all’esigenza del Parlamento di affrontare esigenze di urgente regolamento. La legge approvata entra in vigore e resta in vigore fino allo svolgimento del referendum confermativo facoltativo. Se sottoposta a referendum confermativo facoltativo verrebbe abrogata come nel caso del referendum abrogativo oggi in vigore. Una volta sconfessata una tale legge «urgente» da parte dell’elettorato, non può essere ripresentata in Parlamento, garantendo di tal maniera la deliberazione popolare. 5. L’iniziativa popolare costituzionale Per l’esercizio della legislazione costituzionale da parte dei cittadini si propone un iter più esigente rispetto all’iniziativa popolare legislativa per le leggi ordinarie. La facoltà di iniziativa per tali leggi (redatto in articoli) spetta in una prima fase ad almeno 50.000 cittadini, le cui firme vanno raccolte nell’arco di sei mesi. Questo per presentare una proposta di «preesame» di ammissibilità. Ma il numero effettivo minimo di cittadini che devono firmare tale proposta è innalzato ad un milione. Introducendo due fasi si intende evitare l’esperienza frustrante per tanti comitati promotori e tantissimi firmatari che le richieste di referendum venissero bocciate dalla Corte costituzionale, solo dopo la raccolta delle firme (in questo caso non meno di 1 milione di firme). Nella forma qui proposta, invece, 50.000 elettori hanno il diritto di ottenere la verifica di ammissibilità di una loro proposta di modifica costituzionale da parte della Corte Costituzionale. Con questa certezza di seguito si può affrontare con pieno impegno la raccolta del milione di firme richieste. Anche in questo caso il Parlamento può presentare una sua controproposta che verrebbe sottoposta all’elettore nel referendum alla stregua dell’iniziativa popolare per le leggi ordinarie. 6. Alcune ragioni per l’abolizione del quorum di partecipazione Nel presente disegno di legge è previsto che in tutte le votazioni referendarie siano approvate le proposte se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La votazione referendaria deve essere libera e decisiva, cioè i cittadini 109
dovranno sapere che se partecipano ad una votazione referendaria sono loro a decidere se non vi partecipano, che implicitamente delegano il voto e la decisione referendaria agli altri. Come si legittima l’abolizione del quorum? Le ragioni più importanti sono le seguenti: 1. A causa del quorum, chiunque non si reca a votare conta automaticamente come un «No», mentre in realtà ci sono tantissimi motivi personali che possono impedire la partecipazione ad un referendum: la mancanza di conoscenza dell’argomento, l’indecisione, il disinteresse e mille altre ragioni private. Nel caso delle elezioni tutti questi motivi sono ragioni di astensione dal voto o della non-partecipazione, ma non equivalgono ad un voto contrario. Nelle elezioni contano solo i voti validi per i partiti e i candidati. Anche la non-partecipazione al voto referendario quindi va considerata per quello che è: un’astensione dal voto senza influenza sul risultato. 2. Attraverso il boicottaggio del referendum, la partecipazione al voto scende facilmente sotto il 50 per cento degli aventi diritto al voto richiesto per la validità del risultato della consultazione. Gli oppositori, sfruttando il meccanismo del quorum, cercano di invalidare la consultazione invitando gli elettori a disertare le urne, contando su coloro che non andrebbero comunque a votare. Perciò gli oppositori non devono più convincere i cittadini con argomenti e proposte alternative, ma si fermano ad appelli al boicottaggio. Solo in assenza di quorum contano veramente gli argomenti, perché sia i promotori che gli oppositori sono tenuti a convincere la maggioranza dei cittadini. 3. I cittadini attivi politicamente si impegnano ad informarsi e a farsi un’opinione per poi recarsi a votare. I non interessati e i fautori del boicottaggio non vanno alle urne. In caso di referendum invalidato a causa del mancato raggiungimento del quorum, i primi vengono di fatto puniti per il loro impegno civico, mentre i secondi, boicottatori e disinteressati, vengono premiati per una scelta che di fatto danneggia il confronto democratico. 4. In un certo senso, a causa del quorum di partecipazione, anche il diritto al voto segreto viene indebolito: chi nonostante un boicottaggio si reca ugual110
mente alle urne da parte degli oppositori viene automaticamente considerato un avversario politico. 5. In Italia non è previsto quorum nel caso di referendum molto importanti quale il referendum confermativo facoltativo relativo alle leggi costituzionali (articolo 138, secondo comma) e nel caso delle leggi sulla forma di governo (leggi elettorali e di democrazia diretta) a livello regionale. 6. Per il voto elettorale a nessun livello governativo è previsto un quorum minimo di partecipazione: solo chi vota può decidere. Non esiste il «numero legale» nelle elezioni politiche. 7. Il timore che una piccola minoranza molto attiva possa imporre i suoi interessi ad una maggioranza passiva non è motivato. Le ricerche sul comportamento degli elettori evidenziano che nelle votazioni contese il tasso di partecipazione è alto e la maggioranza dei cittadini esprime chiaramente il suo rifiuto alla proposta di una minoranza. I partiti e le forze sociali, che pretendono di rappresentare la maggioranza della società, sono comunque sempre liberi di mobilitare i loro sostenitori a votare contro un quesito referendario, che si presume rifletta solo l’interesse di una minoranza 8. In Svizzera, negli Stati Uniti d’America, in Baviera ed in altri paesi non esiste il quorum di partecipazione. Nonostante la partecipazione alle votazioni referendarie in Svizzera oscilli «solo» attorno al 40 per cento, nessuna forza politica rivendica seriamente un quorum di partecipazione, sapendo che si aprirebbe un varco a manovre tattiche e a strumentalizzazioni politiche. 9. La democrazia diretta deve promuovere e non scoraggiare la partecipazione dei cittadini. Uno degli obiettivi principali della democrazia diretta è la promozione della partecipazione dei cittadini, ribadita dall’attuale articolo 118, quarto comma, della Costituzione. Un alto livello di partecipazione non viene raggiunto imponendo l’obbligo legale di raggiungere una quota predeterminata e non è certo perché esiste il quorum che si convincono a votare cittadini non interessati. Avviene invece il contrario: i cittadini interessati e motivati, dopo una serie di esperienze con referendum falliti per mancato raggiungimento del 111
quorum, si sentono frustrati e perdono la fiducia in questo strumento. In questo senso paradossalmente essi sono scoraggiati proprio dal quorum di partecipazione perché si devono confrontare con una percentuale di concittadini che boicottano la votazione. È quindi un circolo vizioso. Benché originalmente il quorum fosse inteso come uno stimolo alla partecipazione, è innegabile che oggi esso determini il rifiuto del dibattito e dell’impegno. I gruppi più penalizzati da questo meccanismo sono proprio le minoranze sociali che non riescono a sollecitare ampie fasce di popolazione. 10. Il quorum scaturisce dalla sfiducia nei cittadini. Oggi gli strumenti referendari sono strumenti di partecipazione attiva e non più di sola «difesa in casi estremi». Le procedure di democrazia diretta devono essere disegnate di modo tale da incoraggiare la comunicazione a tutti i livelli e, in questa ottica, un quorum di partecipazione, con le relative campagne di boicottaggio, tende ad essere di ostacolo per una buona comunicazione. È più facile rifiutare ogni dibattito, istigando i cittadini a non votare, piuttosto che affrontare apertamente un dibattito pubblico e una votazione senza quorum. Il quorum di partecipazione del cinquanta per cento non è una norma fondamentale del nostro ordinamento costituzionale, tanto è vero che è previsto solo da uno dei due tipi di referendum nazionali oggi istituzionalizzati. Rifacendosi agli esempi funzionanti in vari altri paesi, in Italia è ora di abolire il quorum di partecipazione sia a livello nazionale sia regionale sia comunale. La cancellazione del quorum di partecipazione è però da sostituire con un’altra norma di notevole importanza, cioè la necessità di raggiungere la maggioranza dei voti validi non solo a livello nazionale, ma anche nella maggioranza delle regioni. Questa norma, che dà atto alla traiettoria di fondo del sistema politico italiano verso uno Stato regionale più avanzato, evita un’espressione referendaria sbilanciata sotto il profilo geografico, richiedendo che i voti favorevoli non possono essere concentrati in poche regioni. Ad esempio un referendum accolto solo nelle otto regioni del Nord non potrebbe passare, perché in almeno 11 regioni su 20 la maggioranza dovrà essere stata raggiunta. 112
7. Aumento della maggioranza al 60 per cento per le leggi costituzionali Il sistema elettorale maggioritario impone un ripensamento della maggioranza necessaria per l’approvazione, in seconda votazione, delle leggi costituzionali. Si propone di innalzare la maggioranza necessaria dal cinquanta al sessanta per cento per evitare che modifiche costituzionali di grande importanza per l’assetto giuridico fossero votate solo da una maggioranza senza coinvolgimento di una fascia più larga in Parlamento. Rispettivamente si innalza la maggioranza necessaria, per non dare luogo a referendum, dai due terzi, ora previsti, a tre quarti dei componenti delle due Camere.
5.1.2 Disegno di legge costituzionale n. 1428 Formazione delle leggi, revisione della Costituzione, introduzione dell’iniziativa legislativa popolare e dell’iniziativa legislativa costituzionale, modifiche agli istituti di democrazia diretta Capo I Modifiche agli articoli 70, 71, 73, 74, 75 della costituzione e introduzione dell’iniziativa legislativa popolare Art. 1. 1. L’articolo 70 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 70. - La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere nonché dai cittadini aventi diritto al voto ogni volta che una parte del popolo sovrano ne faccia richiesta.». Art. 2. 1. L’articolo 71 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 71. - L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere, ad un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, 113
ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Hanno diritto di esercitare l’iniziativa delle leggi e di partecipare alla votazione popolare tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La legge determina le modalità di attuazione dell’iniziativa popolare e del diritto alla votazione referendaria deliberativa.». Art. 3. 1. L’articolo 73 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 73. - Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi mediante la proposta di legge di iniziativa popolare, da parte di un numero minimo di elettori da stabilire con legge dello Stato, di un progetto redatto in articoli. La durata massima utile per la raccolta delle firme richieste per l’iniziativa popolare viene stabilita dalla legge dello Stato. La proposta di legge di iniziativa popolare, che deve essere formulata secondo il principio dell’unità della materia, viene presentata ad una Camera e segue l’iter legislativo previsto dall’articolo 72. Qualora una proposta di legge ad iniziativa popolare, di cui al primo comma, non venga tradotta in legge dal Parlamento entro un congruo periodo di tempo, da stabilire con legge, la proposta è sottoposta alla votazione popolare deliberativa, previa dichiarazione di ammissibilità da parte della Corte costituzionale, che decide con sentenza in seguito al deposito da parte del comitato promotore di un numero di firme di elettori non inferiore a cinquantamila. Qualora il Parlamento modifichi la proposta di legge di iniziativa popolare o approvi un proprio disegno di legge in materia, il comitato promotore dell’iniziativa popolare, composto da un numero minimo di elettori da stabilire con legge dello Stato, decide a maggioranza se ritirare il disegno di legge ad iniziativa popolare o far valere il diritto alla votazione popolare deliberativa. In questo ultimo caso ambedue le proposte vengono sottoposte a votazione referendaria. In questo caso le domande da sottoporre all’elettore sono tre: se preferisce la proposta popolare al diritto vigente; se preferisce la controproposta
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del Parlamento al diritto vigente; quale proposta deve entrare in vigore se gli elettori preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente. Una proposta è approvata se ha raggiunto la maggioranza dei voti validamente espressi sia nella maggioranza delle regioni sia sull’intero territorio nazionale. Se viene approvata sia la proposta popolare sia la controproposta parlamentare decide il risultato della terza domanda. La legge determina altresì le modalità relative ai criteri di ammissione dei referendum propositivi effettuata a cura della Corte costituzionale su richiesta del comitato promotore in data precedente alla raccolta delle adesioni». Art. 4. 1. L’articolo 74 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 74. - È sospesa l’entrata in vigore di una legge o di un atto avente valore di legge per sottoporlo a referendum confermativo, quando lo richiedono entro dieci giorni dall’avvenuta approvazione un comitato, composto da un numero minimo di elettori da stabilire con legge dello Stato, o un consiglio regionale. È indetto il referendum confermativo quando, di seguito, entro tre mesi dall’avvenuta approvazione in sede parlamentare o governativa della legge o dell’atto avente valore di legge tale richiesta è sostenuta da un numero minimo di cittadini aventi diritto al voto, da stabilire con legge dello Stato, o da cinque consigli regionali. Non è ammesso il referendum confermativo per le leggi di bilancio. Hanno diritto di partecipare al referendum confermativo tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referendum confermativo entra in vigore se la richiesta di referendum confermativo non viene sostenuta dal numero minimo di cittadini stabilito con legge dello Stato o quando una maggioranza dei voti validamente espressi si esprime a favore. La legge determina le modalità di attuazione del referendum confermativo.».
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Art. 5. 1. L’articolo 75 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 75. - Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione parlamentare o popolare. Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esso stabilito e si può chiedere l’indizione di un referendum abrogativo soltanto dal momento che la legge è entrata in vigore. Se si arriva al referendum popolare con esito sfavorevole alla legge, essa viene abrogata e non può più essere riapprovata entro la medesima legislatura. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso». Capo II MODIFICHE ALL’ARTICOLO 138 DELLA COSTITUZIONE E INTRODUZIONE DELL’INIZIATIVA LEGISLATIVA COSTITUZIONALE Art. 6. 1. L’articolo 138 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Art. 138. - Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate con il sessanta per cento dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi sono poi sottoposte a referendum confermativo popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
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Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza dei tre quarti dei suoi componenti. I princìpi fondamentali della Costituzione, i diritti umani sanciti dalle fonti internazionali, le libertà e i diritti dei cittadini fissati nella prima parte della Costituzione non possono essere ridotti o disconosciuti, così come non possono esserne indebolite le garanzie di tutela disposte nella seconda parte. Le leggi di revisione della Costituzione sono formulate tenendo conto del principio dell’unità della materia. La Corte costituzionale si pronuncia sulla conformità della revisione a tali imperativi entro novanta giorni dalla prima approvazione in entrambe le Camere. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi di revisione della Costituzione mediante la proposta da parte di un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, di un progetto redatto in articoli come è previsto dall’articolo 73. La durata massima utile per la raccolta delle firme richieste per l’iniziativa legislativa costituzionale popolare è stabilita con legge dello Stato. Entro novanta giorni dalla presentazione della proposta di legge alla Camera, la Corte costituzionale si pronuncia sull’ammissibilità della proposta; successivamente un numero minimo di elettori, da stabilire con legge dello Stato, può richiedere che la proposta di legge sia sottoposta a referendum popolare. Qualora una proposta di legge costituzionale ad iniziativa popolare non venga tradotta in legge entro un congruo periodo di tempo, da stabilire con legge dello Stato, la proposta è sottoposta al referendum popolare. Il Parlamento può presentare una controproposta in materia, che deve essere approvata secondo l’iter di cui al primo comma. In questo caso entrambe le proposte dichiarate ammissibili da parte della Corte costituzionale, sono sottoposte alla votazione referendaria.
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Nel caso di cui all’ottavo comma, le domande per l’elettore sono tre: se preferisce la proposta popolare al diritto vigente; se preferisce la controproposta del Parlamento al diritto vigente; quale proposta deve entrare in vigore se gli elettori preferiscono entrambe le proposte al diritto vigente. Una proposta è approvata se ha raggiunto la maggioranza dei voti validamente espressi sia nella maggioranza delle regioni sia sull’intero territorio nazionale. Se viene approvata sia la proposta popolare che sia controproposta parlamentare decide il risultato della terza domanda. La legge determina le modalità di attuazione dell’iniziativa legislativa costituzionale popolare e del referendum confermativo popolare».
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6 Tutela sociale, famiglia e previdenza 6.1 Sostegno delle madri lavoratrici Disegno di legge n. 25 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disposizioni per la tutela ed il sostegno delle madri lavoratrici
6.1.1 Illustrazione In Italia il tasso di natalità è molto basso, è sceso rapidamente negli ultimi decenni e si è confermato negli anni recenti tra l’1,2 e l’1,3 figli per donna. L’Italia, pertanto, si annovera tra i Paesi con la più bassa natalità del mondo. Dall’altra parte sale l’aspettativa di vita, che ha raggiunto una media di oltre ottanta anni. La popolazione registra pertanto un costante invecchiamento. Uno dei motivi di questa situazione è che nel nostro Paese permane la carenza di misure a sostegno della famiglia, nello specifico di misure che favoriscano la maternità e le donne lavoratrici con figli. Occorre rendere compatibile il lavoro delle donne, spesso indispensabile per la sopravvivenza della famiglia, con l’educazione dei figli. I Paesi nordici e la vicina Francia, con le loro politiche familiari, sono riusciti ad avere tassi di crescita più alti. Tale basso tasso di natalità ha risvolti catastrofici sulla sostenibilità e finanziabilità del sistema pensionistico, delle spese per la sanità e per le persone non autosufficienti, in quanto un numero sempre minore di giovani lavoratori deve sostenere una spesa sociale in costante crescita. Il presente disegno di legge ha lo scopo di porre al centro degli interessi primari la famiglia ed il sostegno per i figli, attraverso alcune modifiche previdenziali. 119
Normativa attuale L’articolo 1, comma 40, della legge 8 agosto 1995, n. 335, concernente la riforma del sistema pensionistico prevede un riconoscimento dei figli agli effetti dell’età pensionabile, per i trattamenti pensionistici determinati esclusivamente secondo il sistema contributivo nei confronti dei lavoratori neoassunti dal 1º gennaio 1996, privi di contribuzione precedente, oppure per coloro che esercitano, dal 1º gennaio 2001 in poi, la facoltà di opzione per la liquidazione della pensione con il sistema di calcolo contributivo. Quando si verifica l’evento maternità, indipendentemente dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi di tale evento, viene riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto ai cinquantasette anni previsti per la pensione di vecchiaia pari a quattro mesi per ogni figlio e nel limite massimo di dodici mesi, età destinata ad essere aumentata in base a quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 247, «Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale». In alternativa a tale beneficio, attualmente, la lavoratrice può optare per la determinazione della pensione con applicazione del coefficiente di trasformazione indicato nella tabella A allegata alla legge n. 335 del 1995, relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato, e pertanto più favorevole, di un anno in caso di uno o due figli e di due anni nell’ipotesi di tre o più figli. Nei confronti delle dipendenti statali, regionali, provinciali, comunali e di altri enti pubblici e dei soggetti iscritti ai fondi sostitutivi, nei casi di corresponsione di retribuzione ridotta o di nessuna retribuzione nei periodi di astensione facoltativa dal lavoro (articolo 32 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151) scatta il diritto, per la differenza di retribuzione mancante alla misura intera o per l’intera retribuzione mancante, alla contribuzione figurativa da accreditare secondo l’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155. Di tale situazione il datore di lavoro è tenuto a dare co120
municazione in sede di denuncia mensile dei contributi. I relativi oneri vanno addossati alla gestione previdenziale assicurazione generale obbligatoria di iscrizione del soggetto durante i periodi oggetto dell’accreditamento figurativo. L’articolo 34 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, affronta l’argomento del trattamento economico dei congedi parentali e prevede per le lavoratrici e per i lavoratori un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi, fino al terzo anno di vita del bambino. Per i periodi ulteriori prevede una indennità pari al 30 per cento della retribuzione purché si abbia un reddito inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione. Modifiche proposte Il presente disegno di legge intende modificare le disposizioni di legge citate, prevedendo: 1) una riduzione dell’età pensionabile per la donna di un anno per ogni figlio, con un limite massimo di cinque anni, oppure l’applicazione di un coefficiente – più favorevole – di trasformazione, riferito ad un fittizio aumento del pensionamento, aumentato di un anno per ogni figlio (articolo 1); 2) l’estensione del periodo di congedo parentale – che attualmente è di sei mesi – a dodici mesi (articolo 2, lettera a) e lettera b); 3) un nuovo trattamento economico dei periodi di congedo parentale, come già proposto dalla 11ª Commissione permanente (Lavoro e previdenza sociale) del Senato della Repubblica durante l’esame del disegno di legge finanziaria 2008. In particolare viene aumentata la percentuale di retribuzione dal 30 al 70 per cento per le famiglie bisognose (articolo 2, lettera b)); 4) nei confronti delle dipendenti del settore privato (assicurati INPS, ENPALS, eccetera) per l’accredito per periodi di astensione facoltativa l’applicazione delle stesse disposizioni operanti nel settore pubblico 121
(dipendenti statali, regionali, comunali, eccetera) integrando con copertura figurativa la differenza tra la retribuzione percepita (30 per cento della retribuzione ordinaria) e l’intera retribuzione percepita dal soggetto prima dell’astensione facoltativa (articolo 3).
6.1.2 Disegno di legge n. 25 Sostegno delle madri lavoratrici Art. 1. 1. All’articolo 1, comma 40, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la lettera c) è sostituita dalla seguente: «c) a prescindere dall’assenza o meno dal lavoro al momento del verificarsi dell’evento maternità, è riconosciuto alla lavoratrice un anticipo di età rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia di cui al comma 19 pari a dodici mesi per ogni figlio e nel limite massimo di cinque anni. In alternativa al detto principio dell’anticipo la lavoratrice può optare per la determinazione del trattamento pensionistico con l’applicazione del moltiplicatore di cui all’allegata tabella A, relativo all’età di accesso al trattamento pensionistico, maggiorato di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di cinque anni». Art. 2. 1. Al testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 32: 1) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Per ogni bambino, nei primi suoi otto anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono 122
complessivamente eccedere il limite di dodici mesi. Nell’ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al capo III, o al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dodici mesi.»; 2) il comma 2 è abrogato; b) l’articolo 34 è sostituito dal seguente: «Art. 34. – (Nuove norme in materia di trattamento economico e normativo dei periodi di congedo parentale). – 1. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32, alle lavoratrici e ai lavoratori è dovuta fino al terzo anno di vita del bambino un’indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di dodici mesi. L’indennità è calcolata secondo quanto previsto all’articolo 23, ad esclusione del comma 2 dello stesso. 2. Nel caso in cui le risorse economiche del nucleo familiare di appartenenza del bambino risultino pari o inferiori ai valori dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come risultanti assumendo il valore 30.000 euro annui con riferimento a nuclei monoreddito con tre componenti, l’indennità di cui al comma 1 è pari al 70 per cento della retribuzione. Per nuclei familiari con diversa composizione, il requisito economico è riparametrato sulla base della scala di equivalenza di cui alla tabella 2 del medesimo decreto legislativo n. 109 del 1998, e successive modificazioni, tenendo conto delle maggiorazioni ivi previste. 3. L’indennità di cui ai commi 1 e 2 è corrisposta per tutto il periodo di prolungamento del congedo per la cura di minori con handicap in situazione di gravità, ai sensi dell’articolo 33. 4. Per i periodi di congedo parentale di cui all’articolo 32 ulteriori rispetto a quanto previsto ai commi 1 e 3 è dovuta un’indennità pari al 50 per cento
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della retribuzione, a condizione che ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2. 5. L’indennità per congedo parentale è corrisposta con le modalità di cui di cui all’articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie. 6. I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti. 7. Nel caso in cui ricorrano le condizioni di reddito di cui al comma 2, i periodi di congedo parentale sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti. 8. Ai congedi parentali si applica quanto previsto all’articolo 22, commi 4, 6 e 7». Art. 3. 1. All’articolo 8 della legge 23 aprile 1981, n. 155, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nei confronti delle dipendenti e dei dipendenti del settore privato per l’accredito per periodi di astensione facoltativa si applicano le stesse disposizioni operanti nel settore pubblico, integrando con copertura figurativa la differenza tra la retribuzione percepita e l’intera retribuzione percepita dal soggetto prima dell’astensione facoltativa».
6.2 L’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore Disegno di legge n. 30 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 124
Disposizioni concernenti l’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore
6.2.1 Illustrazione Con il presente disegno di legge si vuole intervenire in materia di prestazioni assistenziali a favore dei minori. La realtà sociale dell’Italia è marcata da una sempre più crescente instabilità coniugale, il modello tradizionale familiare viene sfaldato da separazioni e da divorzi progressivamente aumentati negli ultimi decenni. I dati ISTAT relativi al 1995 ci parlano di 52.323 separazioni e 27.038 divorzi. Nel 2003 le separazioni sono state 81.744 e i divorzi 43.856, con un incremento rispettivamente del 2,6 per cento e del 4,8 per cento in confronto all’anno precedente. Negli ultimi dieci anni entrambi i fenomeni sono aumentati di circa il 59 per cento. In altre parole, se nel 1994 si verificavano circa 154 separazioni e 80 divorzi ogni 1.000 matrimoni, dieci anni dopo le proporzioni sono cresciute, arrivando rispettivamente a 266 separazioni e a 139 divorzi ogni 1.000 matrimoni. La propensione a ricorrere alla separazione o al divorzio non è uniforme sul territorio nazionale: al Nord si rileva quasi il doppio delle separazioni e dei divorzi rispetto al Mezzogiorno. A livello regionale, i valori massimi si raggiungono in Valle d’Aosta, in Liguria e nel Lazio. I valori più bassi si riscontrano in Basilicata e in Calabria. Il naufragio di tanti matrimoni coinvolge direttamente i figli; nel 2003, il 69,5 per cento delle separazioni e il 60,4 per cento dei divorzi hanno riguardato coppie con figli avuti durante l’unione. I figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati, in quell’anno, 90.031 nelle separazioni e 41.431 nei divorzi. Oltre la metà delle separazioni e oltre un terzo dei divorzi hanno coinvolto almeno un figlio minore. 125
Le separazioni e i divorzi con figli minori che nel 2003 si sono concluse prevedendo una corresponsione monetaria per il loro sostentamento economico costituiscono rispettivamente il 91,2 per cento e 1’89,7 per cento del totale. Nel 2003, l’importo medio mensile del sostentamento economico a beneficio dei figli minori è stato pari a 460,30 euro nelle separazioni e a 396,5 euro nei divorzi. Secondo l’ISTAT, l’ammontare del contributo mensile varia, ovviamente, in base al numero di figli minori, oscillando mediamente da 382,6 euro nelle separazioni con un minore affidato a 700 euro nelle separazioni con almeno tre figli minori. I numeri citati sono impressionanti e dimostrano una situazione di estrema delicatezza per quanto riguarda i minori. La contribuzione al mantenimento della prole nell’istituto dell’affidamento esclusivo viene riconosciuta al coniuge affidatario, nella maggior parte dei casi la madre, economicamente più debole, e purtroppo non sempre viene percepita come un obbligo, ma piuttosto come una mera facoltà. Anche nel mutato quadro normativo, il quale prevede l’istituto dell’affidamento condiviso come regola, il giudice può ancora disporre l’assegno periodico a favore del genitore che sostiene le spese maggiori. La disciplina proposta con la presente iniziativa legislativa quindi rimane attuale sia per quei casi di affidamento esclusivo già conclusisi prima dell’entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, ove non si chiedesse l’applicazione delle nuove norme, sia per le separazioni ed i divorzi che si vedono applicati le regole dell’affidamento condiviso. In quest’ultimo caso la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. 126
Il giudice determina i tempi e le modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Con riguardo al mantenimento dei figli, la legge prevede che, salvo accordi diversi, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando sia le attuali esigenze del figlio che il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, nonché i tempi di permanenza presso ciascun genitore e le risorse economiche di entrambi i genitori. Infine, il giudice prende in considerazione la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore. L’assegno, il quale può essere versato direttamente ai figli maggiorenni ma non ancora economicamente indipendenti, è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. L’Italia, con la citata legge n. 54 del 2006, ha seguito l’esempio di numerosi Paesi europei che hanno modificato il proprio diritto di famiglia, riconoscendo la condivisione della potestà genitoriale come la soluzione più idonea a tutelare gli interessi dei figli minori coinvolti nella crisi del legame coniugale dei propri genitori. Purtroppo, occorre però ricordare i numerosi casi di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento. Pur avendo una normativa di per sé ben ponderata e molto attenta alle esigenze dei minori, molti genitori affidatari si trovano in difficoltà economiche per l’inadempimento dell’ex coniuge. Risulta, inoltre, particolarmente difficile quantificare i casi di mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento, in quanto si tratta di un fenomeno in molti casi sommerso. In questo senso è stata disposta un’indagine dall’università «La Sapienza» di Roma e dall’assessorato per le pari opportunità del 127
comune di Roma per la rilevazione del fenomeno di inadempimento economico in nuclei separati o divorziati che si sono rivolti alle diciannove municipalità cittadine. Le considerazioni conclusive della ricerca confermano la difficoltà del reperimento dei dati: «Ciò mostra come il fenomeno dell’inadempimento, nonostante sia un problema di ampia rilevanza sociale, non ha a tutt’oggi una propria specifica visibilità neppure nei servizi sociali a fronte dei vari problemi che accompagnano le separazioni e i divorzi delle famiglie italiane. Siamo dunque di fronte ad un fenomeno in larga parte sommerso che presenta, quando si tenta di metterlo in luce, un insieme di sfaccettature e interconnessioni con diverse problematiche sia individuali che relazionali e sociali. La popolazione sulla quale abbiamo focalizzato la nostra ricerca risulta appartenere ad una fascia di donne che, per diversi motivi, ha deciso di non agire legalmente i propri diritti nei confronti dell’ex coniuge inadempiente, o se li ha agiti, non ha ottenuto soddisfazione». Per tutelare i minori, la loro crescita ed educazione che deve proseguire con decoro e dignità, si è deciso di intervenire con questo disegno di legge con il quale si predispone un’erogazione anticipata al genitore affidatario (o altro soggetto affidatario) delle somme destinate al mantenimento, con un tetto massimo di 500 euro, aumentabile di 150 euro per ogni figlio dopo il primo, nel caso in cui il genitore obbligato non corrisponda le medesime. La provincia autonoma di Bolzano ha già provveduto ad emanare una legge in tal senso per fare fronte alle continue omissioni del genitore obbligato. Si tratta della legge provinciale 3 ottobre 2003, n. 15, e come si evince dalla relazione alla legge stessa: «sulla scorta di analoghe iniziative assunte in Paesi stranieri (quali la Svizzera, la Germania e l’Austria) ... si propone l’intervento della provincia autonoma di Bolzano nelle situazioni in cui la violazione dell’obbligo al mantenimento possa costituire grave pregiudizio per i figli minori, mediante l’erogazione in via anticipata della prestazione dovuta e la successiva rivalsa sull’obbligato. L’intervento previsto, pur dichiaratamente volto a tutelare la dignità del minore mediante la prevenzione di situazioni di grave 128
disagio, potrebbe al contempo costituire valido stimolo per il genitore obbligato al mantenimento, ad adempiere correttamente e tempestivamente ai propri obblighi. Se, infatti, la contribuzione al mantenimento dei figli può non essere intesa come un obbligo nei confronti dell’ex coniuge – pur essendolo ad ogni effetto – altrettanto non vale nei confronti della pubblica amministrazione, che subentrerebbe nel diritto di credito». Infatti, il meccanismo utilizzato dalla legge provinciale prevede oltre all’attività di erogazione anche quella di recupero; quindi, il legislatore ha introdotto un sistema misto: mentre l’erogazione è delegata ai comuni e da questi subdelegata alle comunità comprensoriali, l’esercizio della surroga nel diritto di credito nei confronti del genitore obbligato al mantenimento permane in capo alla provincia, la quale tramite il proprio ufficio delle entrate provvede al recupero. Per introdurre gli stessi princìpi nella normativa nazionale si è elaborato l’articolato che si sottopone ora all’esame del Senato. All’articolo 1 sono definite le finalità dell’intervento legislativo, mirante all’erogazione anticipata al genitore affidatario delle somme per il mantenimento del minore non corrisposte dal genitore obbligato. L’articolo 2 disciplina il trasferimento del diritto di credito, ai sensi dell’articolo 1201 del codice civile, in capo all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), il quale si rivale direttamente sul genitore obbligato per la riscossione delle somme erogate e degli interessi maturati. All’articolo 3 sono stabiliti i soggetti aventi diritto alla prestazione: cittadini italiani o di uno Stato membro dell’Unione europea, con residenza in Italia da almeno un anno. All’articolo 4 si fissano i presupposti del diritto alla prestazione, rappresentati dall’esistenza di un titolo esecutivo fondato su un provvedimento dell’autorità giudiziaria. L’articolo 5 stabilisce che il reddito del richiedente al momento della richiesta di anticipazione dell’assegno di mantenimento non deve superare i 29.000 euro lordi all’anno. 129
Con l’articolo 6 si stabiliscono le modalità per l’erogazione della somma nonché l’istituzione di una speciale gestione dell’INPS con una specifica dotazione finanziaria. L’assegno sarà concesso dai comuni ed erogato dall’INPS. Con uno o più decreti del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni per l’attuazione della norma. L’articolo 7 fissa un tetto all’erogazione dell’assegno in misura non superiore a 500 euro mensili, aumentabile fino ad un massimo di 150 euro per ogni figlio dopo il primo. I successivi articoli 8, 9, 10 e 11 disciplinano le modalità di presentazione della domanda, la decorrenza, la durata e la perdita della prestazione. L’articolo 12 introduce una norma di salvaguardia per le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. L’articolo 13 prevede la necessaria copertura finanziaria. La totale assenza di dati relativi al fenomeno dell’inadempimento dell’obbligo di mantenimento ha comportato delle notevoli difficoltà nell’elaborare un calcolo, anche se solo indicativo, degli oneri dell’intervento legislativo in questione. Ci siamo basati sul dato fornito dall’ISTAT sul numero delle separazioni e dei divorzi con figli minori che si concludono con l’assegno. Trasformiamo queste percentuali dell’anno 2003 in numeri assoluti. Di questi presumiamo che il 20 per cento sia il dato relativo all’inadempimento, supportati anche da alcuni studi di associazioni di genitori. Moltiplichiamo i casi di inadempimento con l’ammontare medio dell’assegno. La cifra che scaturisce verrà coperta al 50 per cento con la surrogazione legale, ovvero con il recupero delle cifre anticipate dall’INPS, e per la restante parte, relativa alla impossibilità del recupero nei confronti di soggetti disoccupati o in difficoltà economiche di vario genere, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. Dal nostro calcolo risulta l’ammontare di euro 2.367.071. Considerato 130
che ci basiamo su dati incerti con un sommerso presumibilmente alto e in vista del continuo aumento del numero delle separazioni e dei divorzi, prevediamo per la copertura finanziaria la somma di tre milioni di euro. La totale carenza legislativa nazionale sul tema, nonostante quanto disposto dalla raccomandazione n. R(82)2 del Consiglio d’Europa, adottata nel lontano 4 febbraio 1982, impone l’intervento del legislatore, tanto auspicato da parte dei numerosi genitori e minori purtroppo interessati e in serie difficoltà economiche. In effetti, alcuni Consigli regionali si stanno muovendo per sopperire a questa lacuna con iniziative legislative volte ad anticipare l’assegno di mantenimento con l’intervento pubblico.
6.2.2 Disegno di legge n. 30 L’erogazione anticipata dell’assegno di mantenimento a tutela del minore Art. 1. (Oggetto e finalità) 1. La presente legge disciplina l’erogazione anticipata, al genitore o ad altro soggetto affidatario, delle somme destinate al mantenimento del minore, qualora esse non vengano corrisposte dal genitore obbligato nei termini e alle condizioni stabiliti dall’autorità giudiziaria. Art. 2. (Surrogazione) 1. L’erogazione dell’assegno di mantenimento in via anticipata ai sensi dell’articolo 1 comporta il trasferimento, ai sensi dell’articolo 1201 del codice civile, in capo all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), del diritto di credito nei confronti del genitore obbligato al mantenimento, in misura corrispondente agli importi erogati al beneficiario, il quale rilascia espressa dichiarazione in merito.
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2. L’INPS si rivale direttamente sul genitore obbligato al mantenimento per la riscossione delle somme erogate in via anticipata e degli interessi maturati. Art. 3. (Aventi diritto) 1. Ha diritto di richiedere la prestazione di cui all’articolo 1 il genitore o altro soggetto affidatario del minore, se il minore è cittadino italiano o cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea che risiede e ha dimora abituale da almeno un anno in Italia. 2. Non ha diritto alla prestazione di cui all’articolo 1 il genitore affidatario che convive con il genitore obbligato al mantenimento. Art. 4. (Presupposti del diritto alla prestazione) 1. Presupposti del diritto alla prestazione di cui all’articolo 1 sono: a) la dichiarazione espressa di accettazione della surrogazione resa dal beneficiario, valida per tutti i pagamenti effettuati in attuazione della presente legge; b) l’esistenza di un titolo esecutivo fondato su un provvedimento dell’autorità giudiziaria italiana, che stabilisce l’importo e le modalità di contribuzione al mantenimento da parte del genitore non affidatario; c) l’esibizione di un atto di precetto ritualmente notificato, non ottemperato nel termine di trenta giorni, o la sentenza dichiarativa del fallimento dell’obbligato al mantenimento. Art. 5. (Requisiti economici) 1. L’anticipazione dell’assegno di mantenimento non spetta ai soggetti che, al momento della richiesta di anticipazione, posseggono redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche superiori a euro 29.000 annui. 2. Dal computo dei redditi di cui al comma 1 sono esclusi i trattamenti di fine rapporto, le competenze arretrate comunque denominate e il reddito de132
rivante dalla casa di abitazione. Non concorre alla formazione dei redditi l’importo dell’assegno di mantenimento. Art. 6. (Istituzione di un fondo a tutela dei figli di genitori inadempienti degli obblighi di mantenimento) 1. Per le finalità di cui all’articolo 1, è istituito, presso l’INPS, un fondo speciale con una dotazione finanziaria complessiva di 3 milioni di euro. 2. L’assegno di mantenimento è concesso dai comuni. I comuni provvedono ad informare gli interessati invitandoli a certificare il possesso dei prescritti requisiti. 3. L’assegno di mantenimento, ferma restando la titolarità in capo ai comuni, è erogato dall’INPS sulla base dei dati forniti dai comuni medesimi, secondo modalità definite con i decreti di cui al comma 4. 4. Con uno o più decreti di natura non regolamentare del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni per l’attuazione del presente articolo. Art. 7. (Ammontare della prestazione) 1. L’ente erogante corrisponde l’assegno di mantenimento in misura non superiore a 500 euro mensili, aumentabile fino ad un massimo di 150 euro per ogni figlio dopo il primo. Art. 8. (Domanda) 1. La domanda per la corresponsione anticipata dell’assegno di mantenimento è presentata al comune nel cui territorio risiede l’avente diritto. 2. Se la domanda di cui al comma 1 è incompleta e non è integrata dal richiedente, senza giustificati motivi, entro trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di integrazione, la stessa decade.
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Art. 9. (Decorrenza e durata della prestazione) 1. La prestazione prevista dalla presente legge decorre dal primo giorno del mese di presentazione della relativa domanda, se questa è stata presentata entro il ventesimo giorno del mese stesso; negli altri casi, decorre dal primo giorno del mese successivo. 2. L’erogazione della prestazione ha durata semestrale, è effettuata mensilmente e può essere rinnovata su semplice richiesta corredata di autocertificazione della sussistenza dei requisiti prescritti. 3. Qualora la prima concessione della prestazione sia stata ottenuta tramite la presentazione della sentenza dichiarativa del fallimento dell’obbligato al mantenimento, per il rinnovo di cui al comma 2 deve essere presentato l’atto di precetto di cui alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 4. 4. Il beneficiario dell’anticipazione dell’assegno di mantenimento è tenuto a comunicare all’INPS, entro e non oltre trenta giorni dal loro verificarsi, l’eventuale avvio o ripristino dei pagamenti da parte dell’obbligato al mantenimento. Art. 10. (Ricorsi) 1. Con i decreti di cui all’articolo 6, comma 4, è altresì definita la procedura tramite la quale il richiedente può presentare ricorso avverso il diniego della prestazione prevista dalla presente legge. Art. 11. (Accertamento della permanenza dei requisiti e perdita del diritto) 1. Qualora, in caso di controllo, il beneficiario non risponda entro il termine di trenta giorni dalla data di ricevimento della richiesta di informazioni, il comune sospende l’erogazione della prestazione prevista dalla presente legge. 2. Il comune pronuncia la decadenza dal diritto alla prestazione qualora: a) nel termine di tre mesi dalla data della sospensione il beneficiario non dimostri di essere nuovamente in possesso di tutti i requisiti di legge; 134
b) il beneficiario della prestazione non rispetti l’obbligo di comunicare tempestivamente all’ente erogante qualsiasi variazione, anche di carattere temporaneo, del proprio stato e della propria situazione personale, reddituale e patrimoniale, potenzialmente idonea a incidere sul perdurare dei requisiti prescritti per l’accesso alla prestazione. Art. 12. (Competenze delle regioni e delle province autonome) 1. Restano salve le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Art. 13. (Disposizioni finanziarie) 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 3 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede: a) per la metà dell’importo, pari a 1.500.000 euro, mediante le corrispondenti entrate esigibili per effetto della surrogazione dell’INPS, ai sensi dell’articolo 2, nel credito verso i genitori obbligati al mantenimento; b) per la restante parte, pari a 1.500.000 euro, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 14. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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6.3 Riduzione dell’ IVA sui prodotti di rima necessità per l’infanzia Disegno di legge n. 31 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Riduzione dell’aliquota IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia
6.3.1 Illustrazione Il presente disegno di legge prende spunto da alcuni dati allarmanti. La popolazione italiana ha una natalità tra le più basse del mondo, da ormai quasi una generazione. Come conseguenza, l’Italia va accumulando un imponente «debito» demografico, un debito facilmente misurabile e comparabile. In Francia, nazione con una popolazione simile a quella italiana, nel 2002 sono nati 767.000 bambini, in Italia 539.000, il 42 per cento in meno. Le recentissime proiezioni dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) prevedono che nel 2050, ad avere più di 60 anni, sarà il 41 per cento della popolazione italiana e il 33 per cento di quella francese. Secondo l’ISTAT, nei prossimi 50 anni ci sarà un aumento di 5 milioni di persone con 80 anni e oltre e, nonostante una non trascurabile immigrazione, una diminuzione di 11 milioni della popolazione con meno di 80 anni. Le conseguenze sulla struttura sociale, sui meccanismi di solidarietà intergenerazionale, sul sistema del welfare sono notevoli e si accentueranno nei prossimi decenni. Con queste tendenze come potrà sopravvivere l’economia e la società italiana? Le ragioni della denatalità sono di varia natura. Non avere figli può essere una libera scelta della coppia oppure essere una conseguenza della diminuzione della fecondità. In più, si è affermata la tendenza di rinviare il momento procreativo, il che riduce inevitabilmente il numero dei figli. 136
Ma la denatalità in molti casi può anche essere frutto di povertà, soprattutto per quanto riguarda la decisione di avere un secondo o un terzo figlio. In effetti, il calo complessivo della natalità è dovuto proprio alla fortissima riduzione dei figli successivi al primo. In base ad alcuni dati forniti dalla Banca d’Italia, negli ultimi dieci anni si è avuto un boom dell’indebitamento delle famiglie italiane, che in base a dati aggiornati al settembre dello scorso anno ha toccato il 30 per cento del prodotto interno lordo contro il 18 per cento del 1996. Il boom dell’indebitamento dei cittadini, come afferma il Codacons, si è registrato in modo particolare negli ultimi quattro anni, quando cioè si sono verificati gli aumenti più forti dei prezzi e delle tariffe e le famiglie sono ricorse sempre più al credito al consumo per arrivare a fine mese, anche per gli acquisti di media entità. Occorre mettere in campo tutte quelle misure utili a ridare potere d’acquisto ai redditi delle famiglie e a sanare la disastrosa situazione che ha portato in un solo anno al raddoppio del business del credito al consumo, passato da 40 a 80 miliardi di euro. È dovere, quindi, della politica e del legislatore predisporre misure idonee per alleviare, specie per le famiglie al di sotto della soglia di povertà e con una sola fonte di reddito, il costo di omogeneizzati, pannolini, prodotti per l’igiene e quant’altro necessita alla vita dei bambini. Tali spese, come è noto, incidono in misura rilevante (20 per cento circa) sul bilancio di una famiglia monoreddito. Con il presente disegno di legge si propone di ridurre l’imposta sul valore aggiunto su tali prodotti al 4 per cento in modo da fare scendere i costi da sostenere per i figli fino al secondo anno d’età.
6.3.2 Disegno di legge n. 31 Riduzione dell’ IVA sui prodotti di prima necessità per l’infanzia
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Art. 1. 1. Alla tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente numero: «41-quinquies) pannolini, omogeneizzati, latte in polvere, prodotti per l’igiene, creme contro gli arrossamenti e le irritazioni della pelle, destinati alla infanzia». Art. 2. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 8 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 3. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
6.4 Disciplina delle forme pensionistiche complementari Disegno di legge n. 36 d’iniziativa dei senatori PETERLINI e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifiche al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, in materia di disciplina delle forme pensionistiche complementari
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6.4.1 Illustrazione La funzione della previdenza complementare è quella di permettere al lavoratore di integrare, con le prestazioni pensionistiche aggiuntive, la pensione di base corrisposta dagli enti di previdenza obbligatoria. Premesse L’articolo 38 della Costituzione italiana stabilisce che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Secondo la Corte costituzionale anche il sistema di previdenza complementare, organizzato tramite gli appositi fondi, rientra nella tutela di tale diritto. La riforma della previdenza obbligatoria operata dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, introducendo il sistema di calcolo contributivo delle pensioni e le riforme conseguenti, ha accentuato la necessità di affiancare al primo «pilastro» della previdenza obbligatoria il secondo e il terzo «pilastro», della previdenza complementare ed integrativa. In linea di principio i giovani percepiranno, infatti, la metà della pensione dei loro padri. Pertanto, la legge 23 agosto 2004, n. 243, ha riformato il regime pensionistico introdotto dalla legge n. 335 del 1995 ed ha delegato il Governo a modificare anche il regime della previdenza complementare, con lo scopo dichiarato di aumentare il ricorso alla stessa e, conseguentemente, le fonti di finanziamento, fissando quali criteri per l’attuazione della delega: l’adozione di misure finalizzate ad incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari; il perfezionamento dell’unitarietà e dell’omogeneità del sistema di vigilanza sull’intero settore della previdenza complementare; la ridefinizione della disciplina fiscale della previdenza complementare; la previsione, per tutte le forme pensionistiche complementari, dell’obbligo di esporre, nel rendiconto annuale e, in modo sintetico, nelle comunicazioni 139
inviate all’iscritto, se e in quale misura siano presi in considerazione aspetti sociali, etici ed ambientali. Il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, adottato in attuazione della delega, disciplina le forme pensionistiche complementari modificando, con ampliamenti e abrogazioni, il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che originariamente regolava dette forme di previdenza. L’entrata in vigore della riforma, che originariamente era prevista dal 2008, è stata anticipata al 1º gennaio 2007. Dal 1º gennaio 2007 i lavoratori del settore privato possono dunque scegliere se mantenere in azienda o conferire a forme di previdenza complementare o integrativa il trattamento di fine rapporto che andrà a maturare. Obiettivi Al momento del pensionamento il montante accumulato dovrebbe essere trasformato in rendita vitalizia per integrare le pensioni. Secondo l’articolo 11 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, l’iscritto può scegliere di percepire la prestazione pensionistica: interamente in rendita, mediante l’erogazione della pensione complementare; parte in capitale (fino ad un massimo del 50 per cento della posizione maturata) e parte in rendita. Nel caso in cui, convertendo in rendita almeno il 70 per cento della posizione individuale maturata, l’importo della pensione complementare sia inferiore alla metà dell’assegno sociale INPS (attualmente pari a euro 381,72 mensili), l’iscritto può scegliere di ricevere l’intera prestazione in capitale. I motivi che hanno spinto il legislatore ad adottare un sistema di «silenzio assenso» e favorire l’afflusso del TFR ad un fondo pensione complementare risiedono nella considerazione che questo non può essere considerato alla stregua di un qualsiasi altro investimento: si tratta di un investimento previdenziale per il proprio futuro mirato a garantire in vecchiaia un tenore di vita 140
non troppo discostante da quello raggiunto nel periodo lavorativo, con i sacrifici che noi tutti conosciamo. L’obbiettivo, pertanto, è di favorire il risparmio previdenziale oltre che col TFR anche con contributi da parte del datore di lavoro e da parte del lavoratore stesso e poi – al momento del pensionamento – trasformarlo in rendita vitalizia che vada ad aumentare la propria pensione. Se invece al momento del pensionamento il capitale accumulato venisse in toto o in gran parte liquidato si rinuncerebbe all’obiettivo di una pensione integrativa con conseguenze drammatiche per tutta una generazione. Pertanto, la rinuncia ad una liquidità immediata non è da definire uno «svantaggio». Questa decisione è piuttosto da considerare come un atto di tutela nei nostri confronti, finalizzata alla fruizione vitalizia del capitale accumulato nel fondo pensione in aggiunta all’erogazione della pensione pubblica. Inoltre, il legislatore favorisce il risparmio previdenziale con grandi sgravi fiscali per i contributi ai fondi pensione, che vengono dedotti dal reddito imponibile e pertanto sono esenti dalla tassazione. Il disegno di legge, pertanto, mira a limitare le ipotesi nelle quali il risparmio previdenziale accumulato possa essere liquidato in forma una tantum, invece di essere trasformato in rendita vitalizia. La legge, infatti, prevede due ipotesi: a) che fino alla metà del montante possa essere liquidato in forma una tantum; b) che tutto il montante possa essere liquidato in forma una tantum, se la pensione che ne risulta non raggiungesse certi limiti, e cioè, sia minore del 50 per cento dell’assegno sociale. Per quanto riguarda il primo punto, cioè la possibilità di farsi liquidare il 50 per cento in forma una tantum, il legislatore già ha penalizzato questa ipotesi prevedendo che chi prelevi più del 30 per cento sia penalizzato dal punto di vista fiscale. Il danno in questo caso sarebbe allora doppio: danno fiscale e inol-
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tre, una consistente riduzione della pensione. Si propone, pertanto, di limitare la possibilità di liquidazione ad un 30 per cento in coerenza con la legge fiscale. Il secondo punto sembra a prima vista logico ed è basato sul seguente ragionamento: se gli importi accumulati risultassero così bassi da rendere poco, sarebbe meglio liquidarli in una forma una tantum. I calcoli che seguono dimostrano invece il contrario. Le somme del risparmio accumulato, al di sotto delle quali si potrebbe ricorrere alla liquidazione una tantum, sono consistenti e si aggirano, a secondo dell’età e del sesso, tra i 62.000 e gli 86.000 euro. Questo significa che le persone al momento del pensionamento possono sì soddisfare, magari con questa somma, un singolo momentaneo interesse, ma si depaupererebbero dalla propria pensione integrativa. Nonostante la sua esiguità, questa è comunque – negli obiettivi della legge – da preferire alla soddisfazione di un unico momentaneo desiderio. Lo schema sotto riportato evidenzia quali sono i montanti finanziari necessari, a secondo dell’età e del sesso, per fare scaturire una rendita vitalizia del 50 per cento dell’assegno sociale. SESSO ETÀ 57 58 59 60 61 62 63 64 65
FEMMINE Coefficente conversioMontante ne per 1.000 euro finanziario di montante finanziario 78.325,00 41,872 86.346,00 76.392,00 42,778 84.517,00 74.432,00 43,740 82.658,00 72.450,00 44,764 80.767,00 70.449,00 45,854 78.847,00 68.438,00 47,015 76.900,00 66.417,00 48,250 74.932,00 64.385,00 49,566 72.942,00 62.345,00 50,974 70.927,00 assegno sociale euro 5.061,68 50% assegno sociale euro 2.530,84 = 70% rendita vitalizia 100% rendita vitalizia euro 3.615,48 pagabile in rate annuali
Coefficente conversione per 1.000 euro di montante finanziario 46,160 47,328 48,574 49,903 51,320 52,828 54,436 56,154 57,991
MASCHI Montante finanziario
Come si può constatare, le cifre del montante finanziario sono molto alte e gli importi di misure minori accumulati potrebbero essere liquidati ai lavoratori in forma una tantum. Chi aveva già una certa età quando ha iniziato con il 142
risparmio previdenziale, per i ritardi con i quali è entrato in vigore il sistema, ha pochi anni di risparmio e non raggiungerà mai queste cifre. Ne consegue che tutti gli iscritti degli ultimi anni saranno liquidati in forma una tantum. Questo non può essere lo scopo della legge sulla previdenza complementare. Esempio: Nel caso di un uomo di sessantacinque anni, qualora abbia maturato al momento del pensionamento un montante di 62.345 euro, trasformando l’intero montante in rendita, utilizzando il coefficiente 57,991, avrebbe una rendita annuale vitalizia di 3.615,48 euro. Il 70 per cento di questo importo corrisponde a 2.530,84 euro che corrisponde al 50 per cento dell’assegno sociale. Ciò significa che in caso di un montante superiore all’importo di 62.345 euro la rendita sarebbe più alta ed il 70 per cento sarebbe superiore al 50 per cento dell’assegno sociale, con la conseguenza di non potersi erogare l’importo in forma di capitale, mentre con un importo minore si potrà percepire tutto in forma una tantum. Quindi è molto importante attuare una modifica dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 252 del 2005 perché, oltre a fare in modo che i cittadini non si pentano in futuro di una decisione presa affrettatamente, che va a restringere la pensione, si consente allo Stato di mettere a frutto quelle risorse non depauperate, perché prese in anticipo, dai cittadini. Si propone pertanto, come limite al di sotto del quale può essere liquidata in forma una tantum la somma accumulata, una rendita che ne scaturirebbe inferiore a 600 euro annui.
6.4.2 Disegno di legge n. 36 Disciplina delle forme pensionistiche complementari
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Art. 1. 1. All’articolo 11 del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Le prestazioni pensionistiche in regime di contribuzione definita e di prestazione definita possono essere erogate in capitale, secondo il valore attuale, fino ad un massimo del 30 per cento del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si sia provveduto al reintegro. Nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70 per cento del montante finale sia inferiore a 600 euro annui, la stessa può essere erogata in capitale».
4.5 Regolamentazione del TFS e TFR in TrentinoAlto Adige/Südtirol e in Valle d’Aosta/ Vallée d’Aoste per il pubblico impiego Disegno di legge n. 40 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Regolamentazione del trattamento di fine servizio e del trattamento di fine rapporto nella regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e nella regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste in relazione al personale operante nel settore pubblico
6.4.3 Illustrazione L’articolo 2, commi 5 e 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, ha previsto che, per il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, assunto a partire dal 1º gennaio 1996, il trattamento di fine servizio fosse regolato in base a quanto stabilito dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento di fine rapporto. 144
Lo stesso articolo 2, al comma 7, demanda alla contrattazione collettiva nazionale il compito di definire le modalità di applicazione della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995. Il processo di attuazione, molto complesso per gli aspetti giuridici e di carattere finanziario che comportano il passaggio dal trattamento di fine servizio di natura previdenziale vigente nel pubblico impiego al trattamento di fine rapporto di natura retributiva vigente nel lavoro privato, ha richiesto un tempo molto lungo, caratterizzato da interventi normativi che hanno limitato al solo personale a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato, assunto, quest’ultimo, dopo la data del 31 dicembre 2000, l’applicazione obbligatoria del trattamento di fine rapporto. I contenuti dell’accordo collettivo, relativo sia al personale nuovo assunto che a quello già in servizio alla data del 31 dicembre 2000, sono stati poi recepiti, così come disposto dal citato articolo 2, comma 6, della legge n. 335 del 1995, nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2000, che, a sua volta, è stato oggetto di modifiche ed integrazioni operate sia indirettamente, con la disciplina introdotta dall’articolo 74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, sia testualmente, con le novelle di cui al successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2 marzo 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001. Le province autonome di Trento e di Bolzano, in virtù della competenza legislativa primaria ad esse riservata in materia di ordinamento del personale pubblico dipendente degli enti locali, prima dell’entrata in vigore del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, hanno dato attuazione alle disposizioni contenute nell’articolo 2 della legge n. 335 del 1995. La conseguente regolamentazione del trattamento di fine rapporto è contenuta, rispettivamente, nella legge della provincia di Trento 3 febbraio
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1997, n. 2 (articolo 9), e nella legge della provincia di Bolzano 3 maggio 1999, n. 1 (articolo 22). Questo passaggio è stato regolato nello spirito e con le cautele previste dal comma 5 dell’articolo 2 della citata legge n. 335 del 1995, che non ha esteso ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche il trattamento di fine rapporto «ai sensi e per gli effetti» dell’articolo 2120 del codice civile ma solamente «in base» a quanto previsto in tale articolo, proprio nel rispetto delle peculiarità giuridiche e delle compatibilità di gestione del trattamento di fine servizio. Le citate leggi provinciali, pertanto, non essendo la materia previdenziale di competenza della legislazione provinciale, hanno dovuto tener conto del mantenimento della contribuzione previdenziale dovuta all’INPDAP, al quale i lavoratori (e le amministrazioni) restano obbligatoriamente iscritti. L’obbligo di iscrizione permarrà sino alla concreta attuazione delle disposizioni integrative dell’articolo 2, comma 8, della legge n. 335 del 1995, introdotte dall’articolo 74 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con cui si riconduce alla gestione diretta delle amministrazioni la corresponsione del trattamento di fine rapporto, facendo venir meno la contribuzione all’Istituto previdenziale. Per l’effetto delle richiamate disposizioni, è stato istituito il cosiddetto «TFR provinciale», che si configura come un trattamento ibrido in quanto, per un verso, riveste alcune delle caratteristiche tipiche del trattamento di fine rapporto (è calcolato come il TFR ed è erogato dal datore di lavoro che, per questo, è anche sostituto d’imposta) mentre per l’altro verso, non essendo venuto meno l’obbligo contributivo all’INPDAP, quest’ultimo rimane obbligato a liquidare una quota della prestazione (corrispondente all’indennità premio di servizio) in base alla normativa vigente per tutti gli iscritti prima dell’entrata in vigore delle leggi provinciali. Per quanto attiene alla previdenza complementare, con il nuovo trattamento di fine rapporto sono state create le condizioni che hanno permesso a numerosi dipendenti delle amministrazioni pubbliche del Trentino-Alto Adige di 146
aderire al fondo pensione regionale, denominato «Laborfonds», impegnando il datore di lavoro a versare, in aggiunta al contributo previsto dal contratto, anche una parte del «TFR provinciale», nei limiti di quella integrazione dell’indennità premio di servizio erogata dall’INPDAP già prevista dalle norme previgenti. Permanendo l’attuale disciplina del «TFR provinciale», se per il personale in servizio alla data di introduzione del TFR era possibile da parte del datore di lavoro sostenere il peso della quota da versare al fondo pensione, perché nei limiti della integrazione del trattamento di fine servizio erogata dall’INPDAP, diventa insostenibile per le amministrazioni interessate l’impegno al versamento dell’intera quota del TFR per i nuovi assunti, così come previsto dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, in aggiunta al contributo che esse stesse sono tenute a versare aIl’INPDAP. La situazione presente nella regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste è differente da quella rappresentata per la regione Trentino-Alto Adigej/Südtirol e le province autonome di Trento e di Bolzano poiché, in assenza di legislazioni locali in materia, sono state applicate le disposizioni contenute nel citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, e successive modificazioni. Per tutte le considerazioni esposte, nel rispetto delle esigenze di equilibrio dei conti pubblici non solo nel breve ma anche nel medio e nel lungo periodo, con il presente disegno di legge si intende dare attuazione alla disposizione introdotta all’articolo 2, comma 8, della legge n. 335 del 1995 dall’articolo 74, comma 4, della legge n. 388 del 2000, che prevede la cessazione della contribuzione previdenziale in materia di trattamento di fine servizio, comunque denominato, in favore delle competenti gestioni dell’INPDAP e, nell’attesa, confermare gli effetti della legislazione provinciale nel frattempo intervenuta. Il riferimento all’equilibrio finanziario di medio e lungo periodo permette, infatti, di rappresentare la situazione che vede nel tempo l’INPDAP, in particolare per quanto riguarda la gestione ex INADEL, assumere impegni di gran 147
lunga superiori a quelli che possono garantire le attuali aliquote contributive e che verrebbero invece ripartiti con le amministrazioni datrici di lavoro in caso di approvazione del presente provvedimento. A fronte di un contributo complessivo dovuto dalle amministrazioni, pari al 6,10 per cento da computare sull’80 per cento della retribuzione, l’INPDAP è tenuto a contabilizzare, come TFR da corrispondere al lavoratore alla cessazione dal servizio, il 6,91 per cento da computare sul 100 per cento della retribuzione e a rivalutare il montante con il 75 per cento della variazione dell’indice ISTAT, maggiorato di 1 punto e mezzo su base annua. Al ddl. si accluse una scheda tecnica che evidenzia gli effetti finanziari e economici di quanto proposto e nella quale si riportano, in sintesi, i seguenti valori finanziari, in migliaia di euro, elaborati sulla base di un tasso di inflazione programmata pari all’1,7 per cento annuo. Dipendenti interessati presenti nella regione Trentino-Alto Adige/Südtirol. Ammontare della contribuzione dovuta all’INPDAP, in moneta corrente: – anno 2008: euro 17.279; – anno 2009: euro 19.775; – anno 2010: euro 22.199. Per un totale nel decennio di euro 331.314. Dipendenti interessati presenti nella regione Valle d’Aosta. Ammontare della contribuzione dovuta all’INPDAP, in moneta corrente: – anno 2008: euro 2.487; – anno 2009: euro 2.908; – anno 2010: euro 3.247. Per un totale nel decennio di euro 47.930.
6.4.4 Disegno di legge n. 40 Regolamentazione del TFS e TFR in Trentino-Alto Adige/Südtirol e in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste per il pubblico impiego 148
Art. 1. 1. Per il personale degli enti della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, delle province autonome di Trento e di Bolzano nonché della regione Valle d’Aosta/Vallèe d’Aoste, di cui all’articolo 2, comma 8, terzo e quarto periodo, della legge 8 agosto 1995, n. 335, assunto in data successiva al 31 dicembre 2000, la contribuzione previdenziale in materia di trattamento di fine servizio comunque denominato in favore delle competenti gestioni dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) cessa con decorrenza 1º gennaio 2008. 2. Per assicurare la invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma 1, la retribuzione lorda è ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso a carico del lavoratore; contestualmente, al recupero della predetta riduzione si provvede mediante un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e del trattamento di fine rapporto. 3. Alla data di cessazione dal servizio, gli enti di cui al comma 1 provvedono a corrispondere al personale di cui al medesimo comma l’intero trattamento di fine rapporto, compresa la quota spettante a titolo di trattamento di fine servizio o di fine rapporto maturata presso l’INPDAP e determinata secondo le modalità indicate nel comma 4. Alla quota maturata presso l’INPDAP, derivante dal trattamento di fine servizio spettante al 31 dicembre 2007, si applicano gli stessi abbattimenti di imponibile previsti dalla normativa fiscale in materia di indennità di fine servizio. 4. Al personale di cui al comma 1, già titolare del rapporto previdenziale con l’INPDAP, sono valutati i servizi e i periodi utili ai fini del trattamento di fine servizio ovvero del trattamento di fine rapporto. Il computo di quanto maturato alla data del 31 dicembre 2007 per il personale in regime di trattamento di fine servizio è effettuato secondo la normativa previgente alla data di entrata in vigore della presente legge. La somma così calcolata è rivalutata in base alle di149
sposizioni di cui all’articolo 2120 del codice civile. Alla cessazione del rapporto di lavoro, l’INPDAP trasferisce all’ente datore di lavoro il montante maturato entro i termini previsti dall’articolo 3 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, della legge 28 maggio 1997, n. 140. 5. Per il personale di cui al comma 1, che ha aderito ai fondi di previdenza complementare prima dello gennaio 2008 e per il quale trova applicazione il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2000, e successive modificazioni, il montante maturato al 31 dicembre 2007, costituito dagli accantonamenti figurativi delle quote del trattamento di fine rapporto nonché da quelli relativi all’aliquota dell’1,5 per cento di cui all’articolo 2, comma 4, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, continua ad essere rivalutato dall’INPDAP ai sensi dell’articolo 2, comma 5, dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ed è conferito al fondo pensione di riferimento alla cessazione del rapporto di lavoro. 6. All’articolo 2, comma 8, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il quinto periodo è soppresso.
6.5 Affidamento condiviso Disegno di legge n. 43 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, PINZGER e COSSIGA, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disposizioni in materia di residenza anagrafica dei figli affidati ad entrambi i genitori separati o divorziati
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6.5.1 Illustrazione Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, viene capovolto il sistema in materia di affidamento in base al quale i figli venivano affidati, come regola, o all’uno o all’altro dei genitori, secondo il prudente apprezzamento del presidente del tribunale o del giudice o secondo le intese raggiunte dai coniugi, e soltanto come eccezione ad entrambi i genitori. In caso di separazione o divorzio dei genitori, i figli saranno affidati, come regola, ad entrambi i genitori e, soltanto come eccezione, ad uno di essi quando in tal senso spinga l’interesse del minore e l’affidamento condiviso determini una situazione di pregiudizio per il minore stesso. Le nuove norme attuano il principio della bi-genitorialità, principio affermatosi da tempo negli ordinamenti europei e presente altresì nella Convenzione sui diritti del fanciullo sottoscritta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176. Con l’introduzione dell’istituto dell’affidamento condiviso si realizza sempre più di frequente e comunemente una suddivisione su base paritaria del cosiddetto «regime delle visite» (per esempio a settimane alterne o previsioni similari): ciò fa sì che i figli si trovino ad avere due dimore abituali e quindi due residenze (articolo 43 del codice civile), che coincidono con le abitazioni dei genitori presso le quali trascorrono tempi uguali, senza una prevalenza dell’una sull’altra. Il fatto che l’ordinamento italiano non consenta la possibilità di avere due indirizzi di residenza benché non vi sia alcuna norma che lo vieti espressamente, né nel codice civile né nella normativa vigente in materia anagrafica (legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223) – obbliga ad una «forzatura giuridica» imponendo, appunto, al soggetto (figlio minore di genitori separati o divorziati) un unico indirizzo di residenza anagrafica, situazione che sempre più spesso non coincide con quella reale laddove, trascorrendo tempi uguali presso l’abi-
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tazione di ciascun genitore, i figli hanno di fatto non un’unica dimora abituale bensì due. La questione, ovviamente, non ha rilevanza solo formale ma sostanziale ed ha ripercussioni, giuridiche da un lato e pratiche dall’altro, importanti. Alcuni degli aspetti significativi ed esplicativi possono essere i seguenti: 1. l’indirizzo di residenza è importante perché a tale indirizzo sono inviate tutte le notificazioni e le comunicazioni «ufficiali» inerenti la persona: stante che non sempre e non necessariamente la comunicazione tra i genitori è puntuale ed efficace, il fatto che il figlio sia residente presso l’uno o presso l’altro può avere ripercussioni pratiche, concrete, importanti sull’esercizio quotidiano della potestà e dell’affidamento; 2. l’entità e lo stesso accesso ad ogni forma di agevolazione, contributo, sovvenzione pubblica (compresi, ad esempio, quelli inerenti all’istruzione scolastica, ma non solo) è ancorata dalla normativa alla composizione anagrafica della famiglia (cosiddetto «stato di famiglia»), vuoi direttamente, vuoi – nella maggior parte dei casi – tramite il parametro dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), nel calcolo del quale la composizione anagrafica della famiglia (e quindi la residenza) ha un’incidenza importante di cui, allo stato, può beneficiare solo il genitore con il quale i figli anagraficamente risiedono. Il presente disegno di legge, pertanto, prevede la doppia residenza anagrafica presso l’indirizzo di entrambi i genitori (e, conseguentemente, l’iscrizione sia nello stato di famiglia anagrafico paterno sia in quello materno) per i figli che, essendo affidati ad entrambi i genitori, con suddivisione paritaria delle «visite» e trascorrendo tempi uguali presso l’abitazione della madre e del padre, hanno di fatto due dimore abituali (articolo 43 del codice civile) coincidenti, appunto, con le abitazioni dei genitori. Parliamo, dunque, di doppia residenza e non di doppio domicilio poiché il doppio domicilio non dà alcuna garanzia circa l’invio all’indirizzo di entrambi i genitori delle comunicazioni e notificazioni (sia da parte dei privati sia da par152
te degli enti e uffici pubblici i quali, ovviamente, fanno riferimento ai registri anagrafici comunali della popolazione residente per le comunicazioni e notificazioni) né consente l’accesso alle agevolazioni ancorate, appunto, allo stato di famiglia anagrafico. Inoltre la norma prevede per i genitori già divorziati o separati di ottenere la doppia iscrizione anagrafica dei figli tramite istanza da inoltrare all’ufficio anagrafico, evitando di dover ricorrere al tribunale per ottenere una modifica delle condizioni del divorzio o della separazione, che comporterebbe un inutile aggravio di lavoro per gli organi giudiziari, oltre ad ulteriori spese alle parti e l’inevitabile dilungarsi dei tempi. L’approvazione del presente disegno di legge consentirebbe di adeguare la legislazione italiana all’evoluzione della società e della famiglia e concorrerebbe a realizzare una politica di reale sostegno alla famiglia stessa, sulla base di criteri di equità e giustizia e dando, nel contempo, riconoscimento giuridico ad una realtà sempre più diffusa come, peraltro, risulta già avvenga in altri Paesi europei, come per esempio in Francia, dove l’affidamento congiunto come forma privilegiata venne istituito nel 1993. Sei anni dopo il governo incaricò una commissione qualificatissima di verificare gli esiti della nuova normativa. Constatato che l’applicazione dell’affidamento congiunto superava felicemente il 90 per cento, il Parlamento francese accolse anche il suggerimento di cancellare le ultime tracce di residua monogenitorialità, stabilendo la possibilità di una doppia residenza per il minorenne. Ciò avvenne con la legge n. 2002-305 del 4 marzo 2002. In tal modo si eliminerebbe, all’origine, un motivo di potenziale attrito, quando non di conflitto, tra gli ex-coniugi e un’occasione di eventuali possibili strumentalizzazioni da parte dell’uno o dell’altro genitore, con evidente vantaggio di tutte le parti in gioco, in primo luogo, ovviamente, dei figli.
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6.5.2 Disegno di legge n. 43 Affidamento condiviso Art. 1. 1. In caso di separazione o di divorzio, i figli affidati ad entrambi i genitori e che trascorrono periodi di uguale durata presso l’abitazione della madre e del padre hanno la doppia residenza anagrafica e, conseguentemente, l’iscrizione sia nello stato di famiglia anagrafico materno sia in quello paterno. Entrambi gli indirizzi di residenza sono indicati nelle certificazioni e nei documenti d’identità del minore. 2. In presenza delle condizioni di cui al comma precedente, l’iscrizione del figlio minore nello stato di famiglia anagrafico è ottenuta dal genitore interessato mediante istanza in carta libera al competente ufficio anagrafico comunale, corredata da copia della sentenza di separazione o divorzio.
6.6 Misure a sostegno della famiglia Atto n. 1-00023, Pubblicato il 24 settembre 2008 Seduta n. 59 PETERLINI , D’ALIA , CINTOLA , CUFFARO , FOSSON , PINZGER , THALER AUSSERHOFER , COSSIGA , RAMPONI , BAIO
6.6.1 Mozione n. 1-00023 Il Senato, premesso che: la famiglia si è sempre più qualificata nel suo ruolo di «mattone fondamentale» della società ma, purtroppo, fino agli anni Novanta l’interesse per le politiche 154
familiari è stato piuttosto scarso, la programmazione politica si è orientata verso un modello di welfare rivolto all’assistenza delle persone in stato di difficoltà piuttosto che alla valorizzazione e al sostegno della famiglia nel suo complesso; proprio in ragione di questo vuoto di attenzione nei confronti delle famiglie e del notevole cambiamento culturale, negli ultimi 30 anni, è iniziato un lento e inesorabile processo di denatalità: nel 1970 il numero medio di figli per donna era di 2,2; il tasso di fecondità è gradualmente sceso e si aggira ora intorno ai 1,3 figli per donna, uno dei più bassi al mondo. Dall’altro lato si registra un allungamento della vita ed un progressivo aumento di bisogno assistenziale rappresentato dai disabili e dagli anziani non autosufficienti cui la famiglia, da sola, è stata chiamata a rispondere; accanto a questi fenomeni si è assistito alla modificazione della composizione familiare: maggiore diffusione delle convivenze more uxorio, delle famiglie monogenitoriali e delle famiglie ricostituite e quindi allargate, all’aumento delle patologie familiari e al radicarsi delle famiglie povere; anche sul fronte fiscale, nel passato, la famiglia non è stata oggetto della necessaria attenzione, non sono stati individuati gli interventi più opportuni, non sono state investite le risorse necessarie. Tale percorso è iniziato con il decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito dalla legge 26 aprile 1983, n. 131, sulla finanza locale, che ha imposto la partecipazione al costo dei servizi a domanda individuale: asili nido, case di riposo, soggiorni di vacanza, eccetera ed è proseguito nel corso degli anni Ottanta con l’imposizione di ticket sanitari, la progressiva riduzione del valore degli assegni al nucleo familiare, eccetera; analogo discorso viene fatto per il problema dell’abitazione, che risulta oggi centrale per le famiglie italiane, basti pensare che esse spendono buona parte del loro reddito per il pagamento dei canoni di locazione e delle rate dei mutui. È preoccupante, a tal proposito, il fenomeno della continua erosione del potere d’acquisto delle famiglie ed in particolare di quelle dei pensionati e le condizioni di crisi colpiscono maggiormente le famiglie composte da lavoratori flessibili e da quelli monoreddito, le donne sole con figli e i pensionati; 155
le istituzioni non possono intervenire soltanto quando la famiglia non è più in grado di affrontare i bisogni e quindi non è in grado di fronteggiare i problemi. Lo Stato, nelle sue articolazioni, deve valorizzare le responsabilità assunte dalla famiglia rispetto allo svolgimento dell’attività di cura nei confronti dei componenti deboli, deve sostenere l’importanza del suo ruolo di mediazione tra generazioni e considerare attentamente che lo sviluppo e la stessa economia del Paese può crescere solo se si investe sul potenziale sociale espresso dalle famiglie; negli ultimi anni, la responsabilità della famiglia sulle nuove generazioni è accompagnata da gravi fragilità, che sono determinate dalla mancanza di un supporto sociale organizzato nelle fasi di crescita delle nuove generazioni, dall’infanzia all’adolescenza, all’età adulta. Un indicatore sensibile, quale quello delle risorse economiche investite dal sistema pubblico per le voci «famiglia e figli», attesta la scarsità dell’impegno in questo senso. Mentre il nostro Paese investe appena l’un per cento del Prodotto interno lordo ed il 4 per cento dell’intera spesa per la protezione sociale, gli altri Paesi europei impegnano il doppio della loro spesa sociale con punte in Germania, Svezia e Francia che si aggirano intorno al 10 per cento; la disoccupazione, soprattutto tra i giovani, e la precarietà del lavoro, anche tra i meno giovani, registrano dati poco confortanti. L’Italia, infatti, si caratterizza come un Paese ad elevata disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione riferito all’intera popolazione di 15 – 24 anni è pari al 27,1 per cento (contro una media dell’Unione europea del 17,4 per cento) ed è lievemente superiore rispetto al dato calcolato solo sui ragazzi che hanno lasciato il sistema dell’istruzione e della formazione, pari al 26 per cento (contro la media dell’Unione europea del 20,1 per cento); dare centralità alla famiglia in un Paese come il nostro – dove essa è costretta ad un sovraccarico funzionale dovuto alle profonde trasformazioni sociali ed economiche degli ultimi decenni – significa porla al centro delle politiche pubbliche, perché produce funzioni di grande valore sociale. Le famiglie 156
vanno sostenute e aiutate nello svolgimento dei loro compiti di riproduzione, permettendo alla donna di esercitare il diritto al lavoro e alla realizzazione professionale. Con la legge 8 marzo 2000, n. 53, relativa ai congedi parentali, si è consolidato il riconoscimento del valore sociale della maternità e paternità, ma anche in questo caso permangono limiti legati alla necessità di ampliare i diritti per i rapporti flessibili, di rendere esigibili i diritti scarsamente utilizzati ed infine di agevolare le imprese che ne favoriscono l’applicazione e l’utilizzo; altra vera e propria emergenza per le famiglie italiane è rappresentata dai carichi assistenziali delle persone non autosufficienti, spesso anziane (nel 2004, secondo dati elaborati dal Censis e dall’Agenzia dei servizi sanitari regionali, gli anziani non autosufficienti erano pari a 2.272.768). È evidente che la famiglia rappresenta attualmente il punto di riferimento, spesso l’unico, per rispondere a questa tipologia di bisogni; il ruolo della famiglia è contemplato non solo dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, che riconoscono la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio ma, con la modifica del Titolo V, la famiglia rientra pienamente nel concetto della sussidiarietà orizzontale, ossia il primo livello ed espressione della società civile nel suo rapporto con le istituzioni; la legge finanziaria per il 2008 ha previsto un primo accantonamento di risorse economiche, ma ora occorre prevedere gli ulteriori strumenti economico-finanziari adeguati a perseguirne le finalità, impegna il Governo: a valutare la reale consistenza del maggior gettito tributario e dedicarlo all’abbattimento del carico fiscale a favore delle fasce sociali meno abbienti e al sostegno della famiglia; a varare provvedimenti a favore dell’occupazione, soprattutto per i giovani, potenziando le scelte già avviate con la legge finanziaria per il 2008 per rendere più attrattiva per le imprese l’assunzione a tempo indeterminato, anche con incentivi fiscali e previdenziali; di contro, ad aumentare il prelievo fiscale e pre157
videnziale nei confronti di quelle imprese che prescelgono forme occupazionali di tipo precario; a prevedere, come già avviene in tanti Paesi europei, un sistema di risparmio agevolato per l’acquisto della prima casa (Bausparen), coinvolgendo, in ragione delle rispettive competenze, anche le Regioni; ad incentivare i giovani (come in Germania, in Austria ed in altri Paesi) a cominciare molto presto a seguire un piano di risparmio sistematico per la casa, per ritrovarsi, quando decidono di formare la famiglia, già un congruo budget per l’acquisto e per poter proseguire il piano con un debito minore; a favorire la maternità con incentivi economici, a prolungare per la donna lavoratrice il periodo di astensione retribuita, finora di cinque mesi, agevolando per le madri che vogliono proseguire l’astensione dal lavoro il congedo parentale e aumentando la percentuale di stipendio; a promuovere l’offerta di orari flessibili di lavoro nelle aziende e negli enti pubblici e forme di lavoro part-time; a sostenere la prosecuzione volontaria nell’INPS o la contribuzione in fondi pensione delle madri lavoratrici per garantire una pensione anche a chi si dedica alla famiglia e promuovendo forme pensionistiche a favore delle casalinghe; ad incentivare, tramite le Regioni e le Province autonome, la presenza su tutto il territorio nazionale di asili nido, promuovendo in particolar modo quelli aziendali; ad istituire un fondo previdenziale per la non-autosufficienza (con uno sguardo ai modelli europei, la cosiddetta Pflegeversicherung), alimentato anche da una contribuzione obbligatoria da parte dei cittadini per assicurare la disponibilità di fondi per la cura e l’assistenza delle persone non autosufficienti in continuo aumento in seguito all’allungamento della vita; ad agevolare, nell’ambito della tassazione familiare, le famiglie meno abbienti, anche tenendo conto del numero dei componenti a cominciare dai redditi più bassi.
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6.7 Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali Disegno di legge n. 836 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 26 giugno 2008 Misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica all’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di differenza di età tra adottante e adottato.
6.7.1 Illustrazione Il presente disegno di legge contiene misure per favorire le adozioni nazionali e internazionali e modifica il comma 3 dell’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, che disciplina appunto l’adozione nazionale e internazionale, intervenendo sulla norma che regola la differenza di età tra adottante e adottato. Il disegno di legge si propone di raggiungere un duplice scopo. Il primo consiste nell’innalzamento del limite di età da quarantacinque a cinquanta anni. La questione del limite di età nelle adozioni nazionali e internazionali, peraltro, è stata già oggetto di modifica con l’innalzamento del limite da quaranta a quarantacinque anni operato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, con la quale il legislatore ha voluto adeguare anche l’istituto dell’adozione ad un fenomeno sociale che negli ultimi anni si è andato diffondendo e che ha visto sempre più coppie spostare «in avanti» l’età del primo figlio. Si rendeva necessario, infatti, conformare anche la scelta della genitorialità legata all’adozione ad una trasformazione già in atto nella società, dovuta all’aumento dell’aspettativa di vita (raddoppiata rispetto al XIX secolo e continuamente in aumento – più 2,5 anni ogni dieci), alla frequente posticipazione dei matrimoni per lo studio e per conciliare meglio lavoro e famiglia, alla costituzione di nuove famiglie dopo i divorzi. Tutte queste ragioni rendono ormai superata la prescritta differenza di età tra gli adottanti e l’adottato. 159
Il secondo motivo è dato dalla formulazione poco chiara del comma 6 dell’articolo 6, della citata legge n. 184 del 1983 che consente la deroga al limite di età fissato a quarantacinque anni (con la modifica introdotta dalla presente proposta cinquanta anni) nel caso in cui uno dei due coniugi abbia un’età superiore di non più di dieci anni rispetto a quella stabilita. La norma, così formulata, ha indotto i tribunali per i minorenni ad interpretazioni non sempre univoche. Pertanto, con il riferimento al coniuge più giovane d’età si risolve anche il problema dell’interpretazione da parte degli uffici giudiziari minorili. La stessa Corte costituzionale, del resto, si è più volte pronunciata sull’articolo 6 della legge n. 184 del 1983 in tema di differenza di età tra adottante ed adottato, segnalando quanto i bisogni dei minori e la necessità di dare a questi una famiglia sia prioritario rispetto a regole, quale la differenza di età, che talvolta possono essere derogate se dalla mancata adozione derivi un danno grave per il minore. Così la Corte è intervenuta sull’incostituzionalità del citato articolo 6 una prima volta nel 1992, – sentenza n. 148 del 1º aprile 1992 – dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo in oggetto laddove non consentiva l’adozione di uno o più fratelli in stato di adottabilità, nel caso in cui per uno di essi l’età degli adottanti superasse di più di quarant’anni l’età dell’adottato e dalla separazione fosse derivato per i minori un danno grave; una seconda volta nel 1996 – sentenza n. 303 del 24 luglio 1996 – disponendo che nel caso in cui la differenza di età di uno solo degli adottanti superi il limite di quarant’anni il giudice, se dalla mancata adozione derivi un danno grave per il minore, deve disporre comunque l’adozione; una terza volta nel 1998 – sentenza n. 348 del 9 ottobre 1998 – ed un’ultima volta nel 1999, – sentenza n. 283 del 9 luglio 1999 – sempre in tema di superamento dei limiti di età per uno solo degli adottanti.
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6.7.2 Disegno di legge n. 836 Misure per favorire le adozioni nazionali ed internazionali Art. 1. 1. All’articolo 6 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. La differenza minima di età fra l’adottando e il più giovane degli adottanti non può essere inferiore ad anni diciotto. La differenza massima di età non può superare i cinquanta anni per il coniuge più giovane di età.».
6.8 Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia Disegno di legge n. 2113 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 15 aprile 2010 Disposizioni in materia di spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia
6.8.1 Illustrazione L’assistenza domiciliare all’infanzia, concepita come un servizio integrativo e complementare rispetto a quello fornito dai tradizionali servizi per i bambini in età pre-scolare, è stata sperimentata in Italia soprattutto per quanto riguarda i bambini più piccoli (età inferiore ai tre anni). L’esperienza più significativa in tal senso è quella altoatesina, costruita facendo riferimento ai più collaudati modelli austriaci e tedeschi. L’idea di base è quella di selezionare e formare madri disponibili ad accudire più bambini (sei, inclusi i propri), al fine di far fronte ad una domanda di accudimento infantile in forte crescita ed alla quale gli asili nido pubblici e privati faticano a far fronte. Contemporaneamente, ed è il secondo principio ispirato161
re del servizio, si recupera la disoccupazione di donne che, a causa della dedizione alla famiglia, hanno interrotto rapporti di lavoro e che vorrebbero rientrare nel ciclo produttivo, riqualificarsi, senza perdere l’opportunità di coprire un ruolo importante che è quello di accudire i figli. Questo servizio permette di andare incontro alle necessità specifiche di ogni bambino sia dal punto di vista delle sue abitudini, sia da quello della flessibilità delle prestazioni, la cui durata e la cui frequenza vengono concordate direttamente con le famiglie. Nel caso altoatesino, l’ente pubblico non interviene direttamente nella gestione del servizio che è interamente svolto da istituzioni private senza scopo di lucro (cooperative sociali o associazioni). Esso entra in gioco soltanto nella verifica e certificazione degli standard igienico-sanitari cui deve rispondere l’abitazione dell’assistente (Tagesmütter), il luogo dove si svolge la prestazione, e nella concessione di contributi a seconda del reddito, a parziale copertura delle spese che gli utenti del servizio sono chiamati a sostenere, nonché a parziale copertura delle spese di gestione sostenute dagli enti del terzo settore, che erogano il servizio. L’ente pubblico stabilisce inoltre i criteri guida che informano la selezione e la valutazione delle assistenti domiciliari all’infanzia. Tutte le assistenti e i bambini durante il periodo di custodia sono tutelati da un’assicurazione infortuni e responsabilità civile a cura della cooperativa organizzatrice, che si occupa anche della specifica formazione, dell’aggiornamento professionale delle operatrici e del monitoraggio del loro lavoro. Al termine del percorso formativo (che consta di una parte teorica e di un tirocinio), dopo un esame finale, viene attribuita una qualifica che, tuttavia, non è ancora riconosciuta a livello nazionale. Alcune esperienze pilota italiane (non ultima quella attivata nel corso del 2004 sui territori dei comuni di Milano e di Brescia, inserita nel quadro del progetto Equal «Empowerment dei lavoratori stranieri e gestione delle diversità») hanno inoltre pensato di integrare questa idea con l’offerta di una significativa opportunità di riqualificazione a donne immigrate che desiderino accu162
dire i propri figli e nel contempo necessitino di svolgere un’attività lavorativa. Una delle prime esperienze italiane ad individuare la possibile doppia valenza strategica dell’istituzione di un servizio di assistenza domiciliare all’infanzia, che reclutasse primariamente donne straniere, è stata quella proposta dall’ente Donneuropee Federcasalinghe del Veneto nel 1999, finanziata nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Occupazione e valorizzazione delle risorse umane – Settore NOW – con la realizzazione del progetto «Assistenti domiciliari d’infanzia – Madri di giorno – Tagesmütter», con l’obiettivo esplicito di incrementare l’offerta di servizi per la prima infanzia, offrendo nel contempo un percorso di occupazione o reinserimento nel mondo del lavoro a donne disoccupate (straniere e non) attraverso la professionalizzazione del lavoro di cura del bambino in età pre-scolare. Sarebbe, pertanto, auspicabile che tali esperienze da progetti diventassero veri e propri servizi, si traducessero cioè in un inquadramento stabile e strutturato all’interno della rete dell’offerta pubblica, garantendo un servizio di grande rilevanza sociale e, al tempo stesso, offrendo un’opportunità significativa di riqualificazione alle donne che, a causa dell’importante ruolo che rivestono nella riproduzione familiare, rischiano l’espulsione dal mercato del lavoro. Il presente disegno di legge, attraverso la concessione della possibilità di detrarre le spese sostenute per il pagamento del servizio domiciliare all’infanzia – vengono infatti riconosciute ai genitori che se ne avvalgono, in sostituzione del servizio reso dall’asilo nido, le stesse agevolazioni fiscali previste dall’articolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n. 203 – si prefigge lo scopo di raggiungere più obiettivi: lo sviluppo dei servizi stessi (perché ne aumenterà la domanda), una maggiore partecipazione delle mamme al mondo del lavoro e l’incremento della natalità.
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6.8.2 Disegno di Legge n. 2113 Spese sostenute per l’assistenza domiciliare all’infanzia Art. 1. 1. All’articolo 2, comma 6, della legge 22 dicembre 2008, n. 203, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Tra le spese che beneficiano della detrazione di cui al periodo precedente rientrano anche quelle sostenute dai genitori per il pagamento del servizio di assistenza domiciliare all’infanzia, gestito da un ente fornitore di servizio accreditato, per i bambini fino al compimento del quarto anno di età». 2. Alle minori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni della presente legge, valutate complessivamente in 1.450.000,00 euro per l’anno 2010, in 1.600.000,00 euro per l’anno 2011 e in 1.700.000,00 euro annui a decorrere dall’anno 2012, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2010 – 2012, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2010, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze provvede al monitoraggio delle minori entrate di cui alla presente legge, anche ai fini dell’applicazione dell’articolo 17, commi 12 e 13, della legge 31 dicembre 2009, n. 196. 4. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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6.9 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità Disegno di legge n. 2278 d’iniziativa dei senatori SPADONI URBANI, MALAN, BUTTI, D’AMBROSIO LETTIERI, ESPOSITO, IZZO, PETERLINI e ZANOLETTI, comunicato alla presidenza il 15 luglio 2010 Disposizioni in materia di esclusione dell’uxoricida dal trattamento pensionistico di reversibilità
6.9.1 Illustrazione Le modalità per l’attribuzione della pensione di reversibilità da attribuire al coniuge superstite ed ex coniuge in concorso tra loro è disciplinato dall’articolo 9, commi 2 e 3, della legge 1º dicembre 1970, n. 898, modificato dall’articolo 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74. Nell’ordinamento giuridico italiano il trattamento pensionistico di reversibilità è concesso in via originaria al coniuge superstite. In questo modo, purtroppo, si arriva alla distorsione per cui l’uccisore del proprio coniuge, l’uxoricida lato sensu, riceve la pensione di reversibilità del coniuge di cui è stato omicida, sottraendola in tutto o in parte ai legittimi eredi. Pertanto, con il presente disegno di legge, si prevede, all’articolo 1, che i familiari che siano stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di omicidio, non hanno diritto alla pensione di reversibilità e, se sono già titolari della stessa, ne perdono il beneficio. L’articolo 2 introduce due modifiche all’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, prevedendo il divieto per l’uxoricida (latu sensu, includendo anche la donna che uccide il proprio marito) di ottenere dagli enti previdenziali il beneficio della pensione di reversibilità.
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Si ritiene che sia un atto doveroso di giustizia verso i figli e gli altri aventi diritto, ma anche una modifica necessaria per evitare il paradosso di un omicida che riceve sostentamento dalla propria vittima.
6.9.2 Disegno di legge n. 2278 Esclusione dell’uxoricida dalla reversibilità Art. 1. 1. Non hanno diritto alla pensione di reversibilità o indiretta ovvero all’indennità una tantum i familiari che sono stati condannati, con sentenza passata in giudicato, per il delitto di cui all’articolo 575 del codice penale in danno dell’iscritto o del pensionato. 2. I soggetti di cui al comma 1 che sono titolari di una pensione di reversibilità o indiretta perdono il diritto al relativo trattamento a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge. Art. 2. 1. All’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge, ad eccezione dell’uxoricida, rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza»; b) il comma 3 è sostituito dal seguente:
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«3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, ad eccezione dell’uxoricida, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’articolo 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze.».
6.10 Disposizioni in favore della famiglia Disegno di legge n. 2996 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 28 ottobre 2011 Disposizioni in favore della famiglia
6.10.1 Illustrazione Il nostro Paese ha il tasso di natalità più basso del mondo ed è il fanalino di coda in Europa per quanto concerne le politiche di sostegno alle famiglie e all’infanzia. Gli ultimi dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) in relazione a famiglie e natalità in Italia rivelano un quadro demografico di rinnovata sofferenza. I dati del 2009 e del 2010 confermano che è nuovamente in atto una fase di calo delle nascite: se i nati nel 2009 erano stati 568.857, nel 2010 essi sono scesi a 561.944, circa 15.000 in meno in due anni. Il calo delle nascite registrato, peraltro, investe tendenzialmente tutte le regioni, anche quelle del Centro-Nord che erano state protagoniste delle variazioni positive degli ultimi quindici anni.
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Le ragioni della denatalità sono di varia natura. Non avere figli può essere una libera scelta della coppia, come anche una conseguenza della diminuzione della fecondità. Si è affermata, inoltre, la tendenza a rinviare il momento procreativo, anche per la grave crisi economica in corso, con tutte le inevitabili conseguenze in termini di numero dei figli. La crisi della natalità a lungo termine incide sulla struttura sociale, sui meccanismi di solidarietà intergenerazionale e sul sistema del welfare in modo notevole e tali gravi effetti non potranno che accentuarsi nei prossimi decenni. È dunque ormai improcrastinabile un intervento del legislatore teso ad introdurre misure idonee a sostegno delle famiglie, in primis per alleviare la situazione di quelle al di sotto della soglia di povertà. Il presente disegno di legge è teso ad introdurre misure concrete a sostegno delle famiglie, prevedendo sgravi fiscali, in tal modo contribuendo con un segnale forte a quell’auspicabile inversione di tendenza nell’ambito della crisi della natalità. In particolare, il testo proposto prevede, all’articolo 1, la concessione alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie, di un assegno pari a 2.000 euro per ogni figlio nato o adottato nell’anno in corso. All’articolo 2, si prevede di alleviare il costo di omogeneizzati, pannolini, prodotti per l’igiene, e quanto necessario alla vita dei bambini fino al secondo anno di età, riducendo l’imposta sul valore aggiunto su tali prodotti al 4 per cento; spese che, come noto, incidono in misura rilevante sul bilancio di una famiglia monoreddito. L’articolo 3 prevede l’introduzione di speciali detrazioni per le spese relative agli asili nido e alle scuole materne (fino a 1.000 euro), per l’acquisto di libri di testo per le scuole dell’obbligo e secondarie superiori (fino a 500 euro), nonché le spese sostenute per la locazione di immobili in Italia e nei Paesi dell’Unione europea per motivi di studio, per ciascun figlio di età compresa tra i 18 ed i 28 anni. L’articolo 4, infine, prevede l’innalzamento della soglia di reddito sotto la quale i familiari risultino fiscalmente a carico del contribuente. L’attuale soglia 168
di reddito, pari a euro 2.840,51 viene innalzata a 6.000 euro. Il proponente, che ha già presentato altri disegni di legge concernenti misure in favore della maternità e delle donne lavoratrici, che rendano compatibile il lavoro delle donne – spesso indispensabile per la famiglia – con l’educazione e dei figli, auspica che il presente disegno di legge, insieme alle altre proposte avanzate in argomento, venga preso in esame al più presto dal Parlamento.
6.10.2 Disegno di legge n. 2996 Disposizioni in favore della famiglia Art. 1. 1. Alle donne residenti, cittadine italiane o dell’Unione europea, è concesso, per ogni figlio nato ovvero adottato nell’anno 2011, un assegno pari a 2.000 euro. 2. Per la concessione dell’assegno di cui al comma 1, il reddito complessivo del nucleo familiare, riferito all’anno 2010, non deve superare i 50.000 euro. Per nucleo familiare s’intende quello individuato ai sensi dell’articolo 1 del decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze, del 22 gennaio 1993, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 21 del 27 gennaio 1993. 3. L’assegno di cui al comma 1 è concesso dai comuni ed erogato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale secondo le modalità di cui all’articolo 21 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni. Art. 2. 1. Alla Tabella A, parte II, allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, è aggiunto in fine il seguente numero:
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«41-quinquies) pannolini, biberon, tettarelle, prodotti alimentari destinati all’infanzia, latte in polvere e liquido per neonati, prodotti per l’igiene destinati all’infanzia». Art. 3. 1. Al comma 1 dell’articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo la lettera e), sono inserite le seguenti: «e-bis) i costi sostenuti per asili nido e scuole materne fino all’importo di 1.000 euro; e-ter) le spese sostenute per l’acquisto di libri di testo per le scuole dell’obbligo e per le scuole secondarie superiori fino all’importo di 500 euro; e-quater) le spese sostenute per la locazione di immobili in Italia e nei Paesi dell’Unione europea per motivi di studio, per ciascun figlio di età compresa tra i 18 ed i 28 anni, fino all’importo di 200 euro»; b) alla lettera i-sexies), dopo le parole: «e comunque in una provincia diversa» sono inserite le seguenti: «o in uno dei paesi dell’Unione europea,». Art. 4. 1. All’articolo 12, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1986, n. 917, le parole: «2.840,51 euro» sono sostituite dalle seguenti: «6.000 euro». Art. 5. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 1.500.000 euro per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011 – 2013, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsio170
ne del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2011, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
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7 Tutela dell’ambiente 7.1 Convenzione per la protezione delle Alpi Disegno di legge n. 22, d’iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D’ALIA e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo, il 7 novembre 1991
7.1.1 Illustrazione Il presente disegno di legge riproduce il disegno di legge presentato dal Governo il 21 febbraio 2002, di ratifica ed esecuzione dei protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991, nella sua integralità, con tutti i Protocolli attuativi della Convenzione (si vedano l’Atto Camera n. 2381 e l’Atto Senato n. 1842 della XIV legislatura e l’Atto Camera n. 583 e l’Atto Senato n. 651 della XV legislatura). Attuazione dei Protocolli che appariva del tutto conseguente all’approvazione della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, legge 14 ottobre 1999, n. 403, avvenuta a larga maggioranza da parte delle Camere. Nella XIV legislatura l’iter di questo importante, essenziale, provvedimento ha subìto, sino alla sospensione dell’esame da parte delle Camere, le gravi contraddizioni dell’allora Governo di centro-destra. Il testo è giunto alla seconda lettura da parte della Camera dei deputati, privo del Protocollo sui trasporti, che aveva avuto il parere favorevole di tutte le regioni dell’arco alpino (parere che era stato previsto e reso obbligatorio appunto in sede di approvazione della legge di ratifica della Convenzione), dell’Associazione nazionale dei comuni
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italiani (ANCI) e dell’Unione delle province d’Italia (UPI), con una unanimità di consensi del tutto trasversale agli schieramenti politici. Gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria e nell’ambito del proprio mandato, nel biennio 2000 – 2002, di presidenza della Convenzione delle Alpi e delle iniziative adottate per l’Anno internazionale della montagna, nel 2002, hanno formalmente sostenuto l’obiettivo della tutela dell’ecosistema alpino attraverso l’adesione e la ratifica di tutti i protocolli di attuazione della Convenzione, e segnatamente dei Protocolli che configurano un essenziale rapporto fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello sviluppo compatibile e i problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastrutturali: foreste montane, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa del suolo, energia, protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, trasporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al Protocollo del turismo, di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge. Tali impegni sono stati disattesi, o non attuati, su decisione anzitutto del Governo che ha avuto la maggioranza nella XIV legislatura e che nelle Commissioni di merito ha aderito al parere negativo del relatore di maggioranza, se non addirittura indicato in prima persona parere contrario all’attuazione di taluni o altri Protocolli (come nella Commissione trasporti della Camera dei deputati, dove il Governo è arrivato ad esprimere parere contrario al proprio disegno di legge [seduta del 18 aprile 2002]. La Commissione medesima, in sede di espressione del parere [seduta del 22 aprile 2002], ha rilevato presunti «profili problematici sotto il profilo della compatibilità con le norme costituzionali riguardanti il riparto di competenze tra Stato e regioni» determinati dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione). Si tratta di scelte sbagliate che hanno reso più complessi i temi ed urgenti i tempi per le comunità dell’Arco alpino, per l’Italia e la sua collocazione europea. La XVI legislatura ha dunque una prospettiva, a nostro avviso, ineludibile, affinché le ragioni di tutela e gli obiettivi di sviluppo si collochino in uno spet173
tro di riferimento che non può essere separato da quello dell’Europa e dei Paesi confinanti.
7.1.2 Disegno di legge n. 22 Convenzione per la protezione delle Alpi Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare i seguenti Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991: a) «Protocollo nell’ambito della protezione della natura e della tutela del paesaggio, con allegati», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; b) «Protocollo nell’ambito dell’agricoltura di montagna, con allegato», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; c) «Protocollo nell’ambito della pianificazione territoriale e dello sviluppo sostenibile», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; d) «Protocollo nell’ambito delle foreste montane», fatto a Brdo il 27 febbraio 1996; e) «Protocollo nell’ambito della difesa del suolo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; f) «Protocollo nell’ambito del turismo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; g) «Protocollo nell’ambito dell’energia», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; h) «Protocollo sulla composizione delle controversie», fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000; i) «Protocollo nell’ambito dei trasporti», fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. 2. Piena ed intera esecuzione è data ai Protocolli di cui al comma 1 a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dal capitolo V dei Protocolli di cui alle lettere a), b), c), d), e), f), g) e i) del medesi-
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mo comma 1, e dall’articolo 16 del Protocollo di cui alla lettera h) del medesimo comma 1. 3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali provvedono all’adozione degli atti e delle misure previsti dai Protocolli di cui al comma 1, secondo le rispettive competenze, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 3 della legge 14 ottobre 1999, n. 403, sulle attribuzioni della Consulta Stato-regioni dell’Arco alpino, convocata e presieduta dal Ministro per i rapporti con le regioni. Art. 2. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 462.765 euro annui a decorrere dall’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 3. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
7.2 Ratifica del Protocollo sui Trasporti Disegno di legge n. 47 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000 175
7.2.1 Illustrazione La Convenzione per la protezione delle Alpi, firmata a Salisburgo il 7 novembre 1991 dai Ministri dell’ambiente dei Paesi dell’arco alpino, è stata resa esecutiva ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e rappresenta una convenzione quadro intesa a salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e a promuovere lo sviluppo sostenibile dell’arco alpino, tutelando gli interessi economici e culturali delle popolazioni residenti nei Paesi aderenti. Al tempo stesso questa area riveste una grandissima importanza anche per le regioni extraalpine per molteplici ragioni, non ultima quella delle Alpi storicamente attraversate da grandi vie di comunicazione. La Convenzione delle Alpi ha come obiettivo quello della salvaguardia a lungo termine. Per il raggiungimento di tale obiettivo è prevista l’adozione di protocolli specifici per singoli settori da parte dei Paesi contraenti. Uno di questi protocolli riguardante la materia dei trasporti, firmato il 31 ottobre 2000 da Austria, Svizzera, Germania, Francia, Principato del Liechtenstein, Italia e Principato di Monaco, è oggetto del presente disegno di legge. Lo strumento di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi in materia di trasporti nasce dalla consapevolezza che, in assenza di adeguati provvedimenti, il traffico e l’impatto ambientale dovuti ai trasporti siano destinati ad aumentare, provocando una rilevante crescita dei rischi per la salute, l’ambiente e la sicurezza. La tutela del territorio alpino, patrimonio naturale ed economico, riguarda non solo la popolazione che vi risiede ma anche quella che risiede al di fuori di tale territorio e pertanto l’obiettivo del contenimento del volume di traffico, attraverso una gestione ecocompatibile dei trasporti, deve essere perseguito con misure comuni da tutti gli Stati alpini. L’attuazione di una politica sostenibile dei trasporti è tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico intra alpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna, la flora ed i loro habitat.
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L’articolo 11 del Protocollo in materia di trasporti recita testualmente: «Le Parti contraenti si astengono dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino». Infatti la strategia generale della politica dei trasporti delle Parti contraenti del Protocollo deve mirare ad attuare una gestione razionale e sicura dei trasporti tramite una rete di trasporti integrata, coordinata e transfrontaliera. Le infrastrutture di trasporto esistenti non sono sfruttate a sufficienza e risulta necessario incrementare i sistemi di trasporto più ecologici, quali quelli su rotaia, la navigazione e i sistemi combinati. In particolare la ferrovia risulta particolarmente adatta a soddisfare la domanda di trasporto a lunga distanza, per cui si auspica che le Parti contraenti sostengano il miglioramento dell’infrastruttura ferroviaria tramite la costruzione e lo sviluppo di grandi assi transalpini e l’ammodernamento della ferrovia in particolare per i trasporti transfrontalieri. Vista l’importanza della materia affrontata, auspichiamo una rapida approvazione del presente disegno di legge.
7.2.2 Disegno di legge n. 47 Ratifica del Protocollo sui Trasporti Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. Art. 2. 1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall’articolo 24 del Protocollo stesso. 177
Art. 3. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 260.000 euro annui a decorrere dal 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 4. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
7.3 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi Disegno di legge n. 3085 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 10 Gennaio 2012 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991
7.3.1 Illustrazione Il presente disegno di legge riproduce il disegno di legge presentato dal Governo il 21 febbraio 2002, di ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione internazionale per la protezione delle Alpi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991, nella sua integralità, con tutti i Protocolli attuativi della Convenzione (si vedano l’atto Camera n. 2381 e l’atto Senato n. 1842 della XIV legi178
slatura; si vedano inoltre l’atto Camera n. 583 e l’atto Senato n. 651 della XV legislatura). Attuazione dei Protocolli che appariva del tutto conseguente all’approvazione della legge di autorizzazione alla ratifica della Convenzione, legge 14 ottobre 1999, n. 403, avvenuta a larga maggioranza da parte delle Camere. Nella XIV legislatura l’iter di questo importante, essenziale, provvedimento ha subìto, sino alla sospensione dell’esame da parte delle Camere, le gravi contraddizioni dell’allora Governo di centrodestra. Il testo è giunto alla seconda lettura da parte della Camera dei deputati privo del Protocollo sui trasporti, che aveva avuto il parere favorevole di tutte le regioni dell’arco alpino (parere che era stato previsto e reso obbligatorio appunto in sede di approvazione della legge di ratifica della Convenzione), dell’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e dell’Unione delle province d’Italia (UPI), con una unanimità di consensi del tutto trasversale agli schieramenti politici. Gli impegni assunti dall’Italia in sede comunitaria e nell’ambito del proprio mandato, nel biennio 2000 – 2002, di presidenza della Convenzione delle Alpi e delle iniziative adottate per l’Anno internazionale della montagna, nel 2002, hanno formalmente sostenuto l’obiettivo della tutela dell’ecosistema alpino attraverso l’adesione e la ratifica di tutti i Protocolli di attuazione della Convenzione, e segnatamente dei Protocolli che configurano un essenziale rapporto fra la tutela dell’ecosistema alpino, le tematiche dello sviluppo compatibile e i problemi di ammodernamento delle nostre reti infrastrutturali: foreste montane, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, difesa del suolo, energia, protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, trasporti, insieme a quelli sulla composizione delle controversie e al Protocollo del turismo, di cui all’articolo 1 del presente disegno di legge. Tali impegni sono stati disattesi, o non attuati, su decisione anzitutto del Governo che ha avuto la maggioranza nella XIV legislatura e che nelle Commissioni di merito ha aderito al parere negativo del relatore di maggioranza, se non addirittura indicato in prima persona parere contrario all’attuazione di taluni o altri Protocolli (come nella Commissione trasporti della Camera dei de179
putati, dove il Governo è arrivato ad esprimere parere contrario al proprio disegno di legge [seduta del 18 aprile 2002]. La Commissione medesima, in sede di espressione del parere [seduta del 22 aprile 2002], ha rilevato presunti «profili problematici sotto il profilo della compatibilità con le norme costituzionali riguardanti il riparto di competenze tra Stato e regioni» determinati dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione). Si tratta di scelte sbagliate che hanno reso più complessi i temi ed urgenti i tempi per le comunità dell’Arco alpino, per l’Italia e la sua collocazione europea. La XVI legislatura ha dunque una prospettiva, a nostro avviso, ineludibile, affinché le ragioni di tutela e gli obiettivi di sviluppo si collochino in uno spettro di riferimento che non può essere separato da quello dell’Europa e dei Paesi confinanti.
7.3.2 Disegno di legge n. 3085 Ratifica ed esecuzione dei Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare i seguenti Protocolli di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi, con annessi, fatta a Salisburgo il 7 novembre 1991: a) «Protocollo nell’ambito della protezione della natura e della tutela del paesaggio, con allegati», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; b) «Protocollo nell’ambito dell’agricoltura di montagna, con allegato», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; c) «Protocollo nell’ambito della pianificazione territoriale e dello sviluppo sostenibile», fatto a Chambéry il 20 dicembre 1994; d) «Protocollo nell’ambito delle foreste montane», fatto a Brdo il 27 180
febbraio 1996; e) «Protocollo nell’ambito della difesa del suolo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; f ) «Protocollo nell’ambito del turismo», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; g) «Protocollo nell’ambito dell’energia», fatto a Bled il 16 ottobre 1998; h) «Protocollo sulla composizione delle controversie», fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000; i) «Protocollo nell’ambito dei trasporti», fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. 2. Piena ed intera esecuzione è data ai Protocolli di cui al comma 1 a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dal capitolo V dei Protocolli di cui alle lettere a), b), c), d), e), f ), g) e i) del medesimo comma 1, e dall’articolo 16 del Protocollo di cui alla lettera h) del medesimo comma 1. 3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali provvedono all’adozione degli atti e delle misure previsti dai Protocolli di cui al comma l, secondo le rispettive competenze, fermo restando quanto stabilito dall’articolo 3 della legge 14 ottobre 1999, n. 403, sulle attribuzioni della Consulta Stato-regioni dell’Arco alpino, convocata e presieduta dal Ministro per la coesione territoriale. Art. 2. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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7.4 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti Disegno di legge n. 3086 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, AMORUSO, DELLA SETA, CECCANTI, MUSSO, FERRANTE, FOSSON, INCOSTANTE, PINZGER, DI GIOVAN PAOLO, MOLINARI, TONINI e SBARBATI, comunicato alla presidenza il 10 Gennaio 2012 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000
7.4.1 Illustrazione La Convenzione per la protezione delle Alpi, firmata a Salisburgo il 7 novembre 1991 dai Ministri dell’ambiente dei Paesi dell’arco alpino, è stata resa esecutiva ai sensi della legge 14 ottobre 1999, n. 403, e rappresenta una convenzione quadro intesa a salvaguardare l’ecosistema naturale delle Alpi e a promuovere lo sviluppo sostenibile dell’arco alpino, tutelando gli interessi economici e culturali delle popolazioni residenti nei Paesi aderenti. Al tempo stesso questa area riveste una grandissima importanza anche per le regioni extra-alpine per molteplici ragioni, non ultima quella delle Alpi storicamente attraversate da grandi vie di comunicazione. La Convenzione delle Alpi ha come obiettivo quello della salvaguardia a lungo termine. Per il raggiungimento di tale obiettivo è prevista l’adozione di protocolli specifici per singoli settori da parte dei Paesi contraenti. Uno di questi protocolli riguardante la materia dei trasporti, firmato il 31 ottobre 2000 da Austria, Svizzera, Germania, Francia, Principato del Liechtenstein, Slovenia, Italia e Principato di Monaco, è oggetto del presente disegno di legge. 182
Lo strumento di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi in materia di trasporti nasce dalla consapevolezza che, in assenza di adeguati provvedimenti, il traffico e l’impatto ambientale dovuti ai trasporti sono destinati ad aumentare, provocando una rilevante crescita dei rischi per la salute, l’ambiente e la sicurezza. La tutela del territorio alpino, patrimonio naturale ed economico, riguarda non solo la popolazione che vi risiede ma anche quella che risiede al di fuori di tale territorio e pertanto l’obiettivo del contenimento del volume di traffico, attraverso una gestione ecocompatibile dei trasporti, deve essere perseguito con misure comuni da tutti gli Stati alpini. L’attuazione di una politica sostenibile dei trasporti è tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico intra-alpino e transalpino ad un livello che sia tollerabile per l’uomo, la fauna, la flora ed i loro habitat. L’articolo 11 del Protocollo in materia di trasporti recita testualmente: «Le Parti contraenti si astengono dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino». Infatti, la strategia generale della politica dei trasporti delle Parti contraenti del Protocollo deve mirare ad attuare una gestione razionale e sicura dei trasporti tramite una rete di trasporti integrata, coordinata e transfrontaliera. Le infrastrutture di trasporto esistenti non sono sfruttate a sufficienza e risulta necessario incrementare i sistemi di trasporto più ecologici, quali quelli su rotaia, la navigazione e i sistemi combinati. In particolare la ferrovia risulta particolarmente adatta a soddisfare la domanda di trasporto a lunga distanza, per cui si auspica che le Parti contraenti sostengano il miglioramento dell’infrastruttura ferroviaria tramite la costruzione e lo sviluppo di grandi assi transalpini e l’ammodernamento della ferrovia in particolare per i trasporti transfrontalieri. Vista l’importanza della materia affrontata, auspichiamo una rapida approvazione del presente.
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7.4.2 Disegno di legge n. 3086 Ratifica ed esecuzione del Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo di attuazione della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991 nell’ambito dei trasporti, fatto a Lucerna il 31 ottobre 2000. Art. 2. 1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore in conformità a quanto disposto dall’articolo 24 del Protocollo stesso. Art. 3. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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8 Misure economiche e riassetto della finanza mondiale 8.1 Promuovere una Nuova Bretton Woods Atto n. 1-00029, Pubblicato il 25 settembre 2008, nella seduta n. 61 Esame concluso nella seduta n. 157 dell’Assemblea (24/02/2009). La mozione è stata approvata nella forma del testo 2. PETERLINI , D’ALIA , PINZGER , THALER AUSSERHOFER , FOSSON , GIAI, CINTOLA , CUFFARO , BAIO , BOSONE , MOLINARI , NEGRI , RANDAZZO, ROILO , GHEDINI , BERTUZZI , GUSTAVINO , BLAZINA , MARITATI , DEL VECCHIO , CHITI
8.1.1 Mozione n. 1-00029 Il Senato, premesso che: l’aggravarsi della crisi finanziaria internazionale evidenziata nelle ultime settimane con i crac finanziari di Fannie Mae, Freddie Mac, Lehman Bros. e AIG, tra le altre, ha costretto il Governo federale degli Stati Uniti e numerose banche centrali ad operare interventi d’emergenza per evitare una vera e propria reazione a catena che metterebbe in ginocchio l’economia mondiale; la gravità di questa crisi come minaccia alle condizioni di vita dei popoli di tutto il mondo e anche come fonte di destabilizzazione strategica è stata denunciata dal Parlamento italiano già dal 2001 (si vedano in proposito, fra le altre, nella XIV legislatura, la mozione 1-00320 presentata alla Camera dei deputati dall’onorevole Lettieri e la mozione 1-00059 presentata al Senato dal se185
natore Peterlini), che ha chiesto al Governo e alla comunità internazionale di agire per creare un nuovo sistema finanziario atto ad evitare future crisi e promuovere la ricostruzione dell’economia reale; nonostante questi appelli, le autorità politiche e monetarie in Europa e negli Stati Uniti hanno continuato a permettere – e di fatto a promuovere – un’economia basata sulla crescita dei valori finanziari fittizi, non legati all’economia produttiva, da ultimo con la «bolla» dei mutui subprime e la speculazione nei settori delle materie prime, dei prodotti energetici e alimentari; la mancata adozione di misure per cambiare direzione ha portato agli eventi drammatici degli ultimi giorni e mesi. Ora le autorità si trovano a correre da un fuoco all’altro, mentre diventa sempre più evidente che il buco creato dalla speculazione non può essere colmato. Purtroppo, piuttosto che seguire l’esempio della ricostruzione postbellica in Europa oppure del «New Deal» attuato dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt durante la Grande Depressione, oggi le autorità tentano di utilizzare i fondi forniti dallo Stato per coprire le perdite provocate dai titoli ipotecari (MBS, Mortgage-Backed Securities) e dagli strumenti derivati che hanno moltiplicato i valori speculativi oltre l’immaginabile. Come esempio basti rilevare che lo scopo dichiarato del salvataggio della AIG ed altri istituti è quello di garantire la copertura dei titoli derivati legati alla speculazione nel settore dei mutui subprime, piuttosto che proteggere le attività economiche ordinarie. Un tale tentativo non solo è inutile, ma garantisce l’ulteriore aggravarsi della crisi a cui intende rimediare e inoltre provoca una iperinflazione. Infatti, da un’inchiesta recente del Congresso USA si rileva che la nuova liquidità emessa dalle banche centrali per salvare gli operatori finanziari è stata utilizzata per ulteriori attività speculative che hanno comportato l’esplosione dei prezzi del petrolio e dei generi alimentari negli ultimi mesi, impegna il Governo: ad agire in sede internazionale per promuovere una riorganizzazione del sistema monetario e finanziario internazionale e cooperare con le principali poten186
ze mondiali per stabilire un nuovo sistema, sul modello della Nuova Bretton Woods come proposta dall’economista americano Lyndon LaRouche, caratterizzato sulla base dei seguenti aspetti: 1. la riorganizzazione del sistema finanziario dovrà seguire il modello dell’amministrazione controllata, in cui i debiti speculativi – che rappresentano la stragrande maggioranza dei valori che gravano sui bilanci delle principali banche commerciali e d’investimento, oltre a numerosi altri istituti finanziari e perfino su enti locali italiani – vengano depennati o estinti, salvaguardando invece, fino a un certo limite, gli investimenti dei piccoli risparmiatori anche nei fondi pensione e in altri strumenti finanziari non speculativi, e garantendo il finanziamento delle attività essenziali dell’economia reale. Il bene comune (General Welfare) deve avere precedenza rispetto agli obblighi finanziari creati per foraggiare la bolla speculativa; 2. nuove regole dovranno garantire la stabilità necessaria per la produzione e il commercio internazionale: a) cambi valutari decisi con accordi tra le nazioni (fixed exchange rates), evitando le oscillazioni speculative dei mercati; b) controlli sui trasferimenti di capitali a fine speculativo (capital control), privilegiando gli investimenti a lungo termine nell’economia produttiva; c) un sistema creditizio che garantisca investimenti a basso tasso d’interesse e a lungo termine in infrastrutture, industria e alta tecnologia (productive credit) per rompere con la tendenza degli ultimi decenni, in cui si è incoraggiata la ricerca del profitto facile penalizzando l’attività produttiva; 3. un sistema creditizio e non puramente monetario. Considerando che le banche centrali emettono arbitrariamente moneta per fini di aggiustamento monetario, occorre creare un sistema che fornisca credito al fine di promuovere lo sviluppo economico. Questo modello trova le sue origini nella Costituzione degli Stati Uniti e fu adottato dal segretario al tesoro Alexander Hamilton, nonché ripreso dal presidente Lincoln e dal grande presidente Roosevelt nel crac e nella depressione degli anni Trenta. Il sistema creditizio e non monetario fu l’idea ispiratrice del sistema di Bretton Woods, che funzionò con successo 187
finché non fu abbandonato nel 1971 e oggi viene riproposto dall’autorevole economista Lyndon LaRouche; considerata la tragica storia di guerre che sono scoppiate in coincidenza con le crisi economiche passate, ad agire perché i Paesi europei lavorino in accordo con le principali potenze mondiali, a partire da Stati Uniti, Russia, Cina e India, per porre le basi di una cooperazione internazionale capace di realizzare gli obiettivi preposti, superando le opposizioni da parte di chi, tramite una politica conflittuale, vuole difendere la propria supremazia favorendo divisioni che impediscono il progresso del mondo nel suo complesso.
8.2 A sostegno dell’economia reale Atto n. 1-00171, Pubblicato il 21 luglio 2009, nella seduta n. 239 Esame concluso nella seduta n. 246 dell’Assemblea (28/08/2009) PETERLINI , PINZGER , THALER AUSSERHOFER, D’ALIA, FOSSON, CINTOLA, CUFFARO, GIAI, ADAMO
6.2.1 Mozione n. 1-00171 Il Senato, premesso che: dall’8 al 10 luglio 2009 si è tenuto il vertice del G8 a L’Aquila, che ha dato luogo ad un momento importante di confronto tra i leader dei principali Paesi a livello internazionale; il vertice ha rappresentato un successo significativo per l’Italia, rendendo omaggio a tutti coloro che hanno concorso alla sua organizzazione, e in modo particolare alle istituzioni di Governo; va dato atto anche del grande senso di responsabilità di quasi tutte le forze politiche italiane;
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durante il semestre di Presidenza italiana del G8 il Governo, e segnatamente il Ministero dell’economia e delle finanze, ha promosso un processo di discussione e di confronto con i Governi degli altri Paesi membri in merito alla necessità di una riforma incisiva del sistema finanziario ed economico internazionale, in seguito alla grave crisi che continua a scuotere l’economia mondiale, provocando l’aumento della disoccupazione, la perdita della capacità produttiva e disagio in tutti i settori, ma soprattutto tra le fasce più deboli, anche nel nostro Paese; rende onore al nostro Paese in modo particolare il percorso di discussione lanciato dal Governo per individuare una serie di principi che costituiscono la base del «Lecce Framework» adottato nella riunione dei Ministri delle finanze del G8 del 13 giugno a Lecce. Il Lecce Framework è stato citato nel comunicato ufficiale del G8 de L’Aquila come base per un’ulteriore elaborazione delle misure necessarie per stabilire concordemente nuove regole per l’economia mondiale, al fine di evitare il ripetersi delle pratiche finanziarie che hanno contraddistinto le bolle speculative degli ultimi anni e le drammatiche conseguenze di questo fenomeno sull’economia reale; infatti il processo di finanziarizzazione dell’economia mondiale, a partire dagli Stati Uniti e dai Paesi europei, va avanti da quasi quattro decenni, con un processo che ebbe essenzialmente inizio con lo sganciamento del dollaro dall’oro, seguito da un processo di deregolamentazione che ha avuto l’effetto di spostare gli investimenti verso le attività finanziarie a breve termine e togliere sempre di più i capitali dalle attività più produttive. Un susseguirsi di bolle speculative, sui titoli di Stato, della cosiddetta New Economy, e infine sui titoli ipotecari, hanno portato l’intero sistema monetario e finanziario mondiale sull’orlo del collasso negli ultimi mesi; la risposta a questa crisi operata dai principali Governi si è concentrata quasi interamente sul tentativo di stabilizzare il settore bancario e finanziario, con una spesa che, tra banche centrali e iniziative legislative dei soli Paesi industrializzati, ha raggiunto la cifra sbalorditiva di decine di trilioni di dollari 189
pur senza fermare l’emorragia di posti di lavoro e di benessere tra le popolazioni; i principi enunciati nel Lecce Framework, indicati come provvisori e proposti come base per una discussione più ampia, si concentrano sulle regole di trasparenza per gli istituti finanziari, sull’aumento di vigilanza, sulla lotta ai paradisi fiscali e sulla stabilità del sistema; questi principi, pur importanti per garantire la stabilità, rappresentano soltanto una parte delle misure che bisognerebbe adottare per porre fine al processo di finanziarizzazione che ha caratterizzato l’economia mondiale negli ultimi decenni; infatti, di fronte alla crisi attuale, ci sono due possibilità: attuare una «correzione» inasprendo alcune delle regole per il mondo finanziario ed economico, ma senza attuare un cambiamento di fondo nell’impostazione degli ultimi anni; oppure portare quelle riforme a livello di cambiamento del sistema, rimuovendo le patologie che hanno condotto alla crisi attuale; questo concetto è stato espresso anche dal Ministro dell’economia Giulio Tremonti, che ha chiesto un nuovo sistema «basato sull’etica»; nel mese di febbraio 2009 il Senato della Repubblica ha discusso una serie di mozioni sul tema della «nuova Bretton Woods» (si tratta degli atti di indirizzo 1-00029, Peterlini ed altri, 1-00032, Morando ed altri, 1-00035, Bricolo ed altri, 1-00036, Baldassarri ed altri, e 1-00033, Lannutti ed altri), ovvero di una riorganizzazione del sistema monetario e finanziario internazionale che permetta di fermare gli effetti immediati della crisi e di porre le basi per un’economia sana e non speculativa in futuro; tra i punti principali della nuova Bretton Woods vi sono: 1) la riorganizzazione del sistema finanziario, seguendo un modello di amministrazione controllata, in cui i debiti speculativi (i derivati e i «titoli tossici») vengano depennati o estinti, salvaguardando invece i risparmi delle famiglie e garantendo il finanziamento delle attività essenziali dell’economia reale. Occorre ripristinare la divisione tra banche ordinarie e commerciali, bloccan190
do sul nascere la commistione tra la speculazione pura e l’attività dell’economia reale; 2) nuove regole che garantiscano la stabilità necessaria per la produzione ed il commercio internazionale: a) cambi valutari decisi con accordi tra le nazioni (fixed exchange rate), evitando le oscillazioni speculative dei mercati; b) controlli sui trasferimenti di capitali a fine speculativo (capital control), privilegiando gli investimenti a lungo termine nell’economia produttiva; 3) un sistema creditizio e non puramente monetario che garantisca investimenti a basso tasso d’interesse e a lungo termine in infrastrutture, industria e alta tecnologia (productive credit) per rompere con la tendenza degli ultimi decenni, in cui si è incoraggiata la ricerca del profitto facile penalizzando l’attività produttiva; nonostante l’attenzione posta al tema negli incontri internazionali e in modo particolare al G20 tenutosi a Londra il 1° aprile 2009 e al G8 appena conclusosi a L’Aquila, le riforme proposte in quelle sedi non raggiungono il livello di riforme sistemiche; infatti non sono stati messi in discussione i meccanismi alla base della speculazione, che sanciscono il divorzio tra i movimenti finanziari e le attività reali: la cartolarizzazione, in cui si rompe il legame tra istituto finanziatore e cliente permettendo alle banche e alle società finanziarie in genere di utilizzare i debiti contratti dai cittadini come merce di scambio in un mercato che mira solo a cercare nuove fonti di profitto attraverso un effetto di leva esasperato; l’ampio utilizzo di strumenti derivati, che dal loro scopo iniziale come protezione per gli agricoltori sono diventati l’elemento centrale di una bolla speculativa talmente grande da essere quantificata in quadrilioni di dollari, eclissando di molte volte le attività dell’economia reale; mentre è essenziale regolamentare tutti gli strumenti finanziari, al fine di cambiare l’orientamento dell’economia non bastano la sola disponibilità di informazioni più approfondite, criteri quali i limiti ai compensi dei dirigenti ed il rafforzamento della lotta alla corruzione e all’evasione fiscale; il rischio è che 191
ci si limiti semplicemente a conoscere meglio e portare un’apparente stabilità alle stesse pratiche che sono la radice del problema: la finanziarizzazione dell’economia; proprio a causa della grande attenzione dedicata a questi temi da Governi, Parlamenti e popolazioni in tutto il mondo in questo momento, occorre muoversi ora per attuare le riforme sistemiche, prima che le vecchie pratiche si ristabiliscano e i portatori di interessi particolari riescano ad ostacolare le forze del cambiamento, impegna il Governo, in vista del vertice del G20 che si terrà a Pittsburgh negli Stati Uniti, a portare avanti ed espandere in tutte le sedi internazionali le istanze del Lecce Framework per raggiungere un cambiamento fondamentale del sistema finanziario e monetario internazionale, basato sui principi della nuova Bretton Woods: la crescita economica dovrà basarsi sul progresso dell’economia reale e sul miglioramento delle condizioni di vita effettive di tutti i popoli del mondo, e non sui meccanismi speculativi come fonte di guadagno illusorio e dannoso per il benessere e la stabilità della società.
8.3 Separare le banche commerciali da quelle di investimento Atto n. 1-00287, Pubblicato il 29 giugno 2010, Seduta n. 399 PETERLINI , LANNUTTI , D’ALIA , FOSSON , OLIVA , PINZGER , PISTORIO , POLI BORTONE , THALER AUSSERHOFER , CARUSO , FANTETTI , GARAVAGLIA Mariapia , PORETTI , PERDUCA , DE ECCHER
8.3.1 Mozione n. 1-00287 Il Senato, considerato che: 192
la crisi finanziaria ed economica internazionale ha avuto effetti drammatici sulle economie di tutto il mondo, determinando una flessione significativa dei principali indicatori e portando a crescenti difficoltà per le famiglie italiane. Mentre il sistema bancario italiano ha subito meno la crisi rispetto ai sistemi di molti altri Paesi, a causa di una minore esposizione ai prodotti più rischiosi che hanno provocato i buchi spaventosi nei bilanci di numerosi istituti e società a livello internazionale, la crisi ha comunque evidenziato le difficoltà, invero presenti da numerosi anni, per il cuore del sistema economico italiano, le piccole e medie imprese (PMI), di reperire le risorse necessarie per continuare ad operare e crescere in un mercato dominato da una logica di profitto a breve termine, in cui i capitali vengono attirati dalle attività più speculative determinando un preoccupante e dannoso deficit di risorse per il settore che rappresenta la maggior parte dell’occupazione in Italia, e che contraddistingue un tessuto economico basato sull’innovazione, la flessibilità, e la solidarietà; infatti dagli anni Novanta è iniziata una commistione tra le attività finanziarie ordinarie rappresentate dai depositi, i mutui, i prestiti alle imprese, e le attività speculative che negli ultimi due anni in particolare hanno mostrato la loro vera natura minacciando di gettare il mondo in una depressione economica senza paragoni. Di fronte a questa prospettiva Governi e banche centrali hanno attuato numerosi salvataggi, caricando sui contribuenti ulteriori debiti prodotti da chi ha speculato per conto proprio; da oltre due anni il Governo italiano solleva nei vertici internazionali quali il G8 e il G20 la necessità di nuove regole per il settore finanziario per garantire la protezione dell’economia reale dai fenomeni speculativi, ed è attualmente in corso un dibattito vigoroso a livello internazionale sul ripristino della separazione tra banche commerciali e banche di investimento – il principio della legge Glass-Steagall varata negli USA nel 1933 e delle leggi basate sullo stesso principio che hanno garantito la stabilità del comparto bancario in Europa fino agli anni Novanta; negli Stati Uniti i Senatori Maria Cantwell e John McCain
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hanno proposto un emendamento alla legge finanziaria all’esame del Congresso federale a favore del ripristino immediato di questa regola fondamentale; è necessario garantire che il sistema finanziario sia al servizio dell’economia reale, a differenza della tendenza degli ultimi anni in cui le attività puramente speculative hanno preso il sopravvento sul resto dell’economia, provocando anche un forte deficit di investimenti nei beni e servizi necessari per mantenere e accrescere il tenore di vita della popolazione, impegna il Governo: a promuovere la revisione della normativa bancaria italiana, in particolare per quanto riguarda la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento, con lo scopo di garantire che le immissioni e la negoziazione di titoli finanziari e soprattutto di tutti gli strumenti speculativi «derivati» (futures, options, swaps, eccetera) siano completamente separate dalle attività ordinarie (depositi e finanziamenti) delle banche commerciali, di fatto ripristinando la barriera che fino agli anni Novanta proteggeva le attività finanziarie ordinarie dai pericoli delle attività speculative; ad agire in tutte le sedi internazionali per promuovere accordi multilaterali che stabiliscano un ritorno a tale separazione tra le banche commerciali e le banche d’investimento, così favorendo un clima di investimento a lungo termine nell’economia reale.
8.4 Per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative Disegno di legge n. 3112 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 25 Gennaio 2012 Delega al Governo per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative 194
8.4.1 Illustrazione La crisi economica globale scoppiata nel 2007 – 2008 continua a mietere vittime. Proprio in questi mesi l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuova fase del dissesto del sistema finanziario mondiale, originata da molti anni di politiche che hanno penalizzato le attività produttive a favore invece di un’espansione senza precedenti della bisca sui mercati finanziari internazionali. Ora sono le famiglie e le imprese a pagare per le scelte sbagliate a livello macroeconomico, che rischiano di minare il tessuto stesso della nostra società. È doveroso constatare, purtroppo, che già dai primi mesi più drammatici della crisi, nei numerosi vertici internazionali a partire dal 2009 si è persa l’occasione per adottare misure forti che avrebbero potuto rappresentare una rottura netta ed efficace con le politiche passate: tra queste certamente vi è il ritorno alla separazione delle attività bancarie, tipificata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 che pose fine agli eccessi finanziari all’origine della Grande depressione. Il principio della Glass-Steagall rimase in vigore nei Paesi occidentali, ed anche nel nostro Paese, fino agli anni Novanta. Si tratta della netta separazione delle banche commerciali, che raccolgono i depositi dei cittadini ed erogano il credito agli individui e alle imprese, dalle banche d’affari, gli istituti che operano nei mercati finanziari, attraverso l’emissione e la compravendita di titoli azionari, obbligazionari e di strumenti speculativi in genere. A partire dagli anni Novanta tutte queste funzioni bancarie sono state riunite sotto lo stesso tetto: esistono dei colossi che di fatto finiscono per rendere anche l’economia locale dipendente dai circuiti mondiali altamente speculativi e rischiosi. La conseguenza dell’abrogazione del principio di Glass-Steagall è che si è segnata la strada che porta dritti alla catastrofe e se non si interviene con decisione il rischio di aggravare la situazione economico-sociale è molto alto. Da quando è esplosa la bolla dei derivati – gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completamente slegati dagli investimenti produttivi, dirottando risorse dall’economia 195
reale ad un vero proprio casinò mondiale – il rischio del fallimento delle grandi banche ha portato i governi e le banche centrali ad una serie di salvataggi emergenziali. Ci ripetono continuamente che gli interventi sono necessari per evitare un crac totale, ma la situazione non fa che peggiorare, poiché mentre vengono immesse cifre stratosferiche per la finanza (che si contano nelle migliaia di miliardi di dollari e di euro) le risorse non arrivano alla gente, alle famiglie, alle piccole e medie imprese. Tutto ciò accade perché i salvataggi sono stati concessi senza condizioni, non si è chiesto un cambiamento del comportamento delle grandi banche, non si sono adottate riforme incisive del sistema finanziario. Fino a pochi mesi fa l’Italia poteva pensare di evitare di subire gli effetti della crisi internazionale, o per lo meno di esserne toccata solo di striscio, per via di un sistema meno finanziarizzato (nei fatti e anche in termini giuridici), ma oggi non si può più aspettare: il sistema va cambiato appena possibile.L’Italia può fare da apripista per gli altri Paesi: torniamo ad una divisione delle banche per garantire che la gente comune non debba più pagare per le bolle speculative mondiali. Stabiliamo delle regole chiare di separazione tra le banche ordinarie (commerciali) da quelle che operano nei mercati speculativi (banche d’affari), così da farne un modello a livello internazionale. Se ne discute già in Germania, in Francia, in Svizzera, nel Regno Unito e anche negli Stati Uniti. L’Italia ha la duplice opportunità di aiutare i propri cittadini nell’immediato e di contribuire al progresso delle altre nazioni, con l’affermazione di un principio di grande importanza nel contesto internazionale. Occorre salvare l’economia reale dalla finanza speculativa con la separazione delle banche commerciali e le banche d’affari. Sarà un primo passo essenziale per riprendere il controllo dell’economia e costruire le basi per un futuro di stabilità e di progresso.
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8.4.2 Disegno di legge n. 3112 Per la separazione delle attività bancarie ordinarie da quelle speculative Art. 1. (Delega al Governo) 1. La presente legge è finalizzata a stabilire la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, proteggendo le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l’economia reale, da quelle legate all’investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali. 2. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o più decreti legislativi recanti norme per la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, prevedendo il divieto per le banche che effettuano la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione di svolgere qualsivoglia attività legata alla negoziazione di valori mobiliari in genere. Art. 2. (Princìpi e criteri direttivi) 1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 si informano ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere il divieto per le banche commerciali, ovvero le banche che effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, di effettuare qualsiasi attività legata alla negoziazione e all’intermediazione dei valori mobiliari, sancendo così la separazione tra le funzioni delle banche commerciali da quelle delle banche d’affari; b) prevedere il divieto per le banche commerciali di detenere partecipazioni o di stabilire accordi di collaborazione commerciale di qualsiasi natura con i seguenti soggetti: le banche d’affari, le banche d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico; 197
c) prevedere il divieto per i rappresentanti, i direttori, i soci di riferimento e gli impiegati delle banche d’affari, le banche d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico di ricoprire cariche direttive e detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali. Art. 3. (Pareri delle Commissioni parlamentari) 1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 2, sono trasmessi alle Camere entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega di cui al medesimo articolo 1, comma 2, per il parere delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro quaranta giorni dalla data dell’assegnazione. Art. 4. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
8.5 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano Disegno di legge n. 3168 d’iniziativa del senatore PETERLINI, Presentato in data 21 febbraio 2012 Modifica al Decreto Legislativo 27 giugno 2003, n. 168, concernente le sezioni specializzate in materia d’impresa del Tribunale e delle Corti d’Appello
8.5.1 Illustrazione Il decreto-legge in tema di liberalizzazioni varato dal Governo Monti e convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, prevede, all’articolo 2, l’ampliamento della competenza delle sezioni specializzate in materia di pro198
prietà industriale, di cui al decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168, al fine di istituire delle sezioni specializzate in materia di impresa, nonché l’istituzione di analoghe sezioni presso i tribunali e le corti di appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città elencate nel decreto legislativo 168/2003. In relazione alla regione del Trentino Alto Adige/Südtirol, si prevede Trento quale sede competente per l’istituzione delle relative sezioni specializzate, con ciò determinando gravi ripercussioni a lungo termine nell’Alto Adige sul piano della localizzazione economica per le imprese, a causa della ennesima perdita di competenze a danno del Foro di Bolzano con tutte le intuibili conseguenze negative sul piano del diritto commerciale. La previsione de qua si pone sulla scia di quanto già avvenuto nel 2005 in relazione ai processi relativi ai diritti d’autore, ai brevetti e alle altre materie concernenti la tutela della proprietà industriale ed intellettuale, che sono transitati alle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale senza che, peraltro, la popolazione dell’Alto Adige ne fosse adeguatamente resa edotta. Con il disposto dell’articolo 2 del citato decreto-legge, è stata avviata la trasformazione di tali Sezioni specializzate in Tribunali delle imprese con un ulteriore sottrazione di competenze ai Tribunali locali. Trattasi, in particolare, delle cd. «Class action», del contenzioso societario relativo a società per azioni e loro controllate, nonché del settore pubblico degli appalti qualora vi siano coinvolte società per azioni o loro controllate. In concreto, le controversie fra i soci di una Società per Azioni (o di una Srl controllata da una Spa) non potranno più essere trattate a Bolzano; lo stesso vale per le controversie fra una Società per Azioni (oppure fra una Srl controllata da una Spa) e un ente pubblico, ad esempio, per dirimere una controversia relativa al settore dell’edilizia pubblica. Peraltro, non è da escludere che in futuro le attribuzioni dei Tribunali delle imprese possano essere ulteriormente ampliate: nulla vieta, infatti, che tutte le controversie relative ad una Società a Responsabilità Limitata (Srl), e non so199
lo quelle relative ad una Srl controllata da una Spa, presto o tardi diventino di competenza esclusiva dei Tribunali delle imprese. Vi è da sottolineare che la perdita delle attribuzioni in materia di proprietà industriale ed intellettuale è stata dolorosa, anche in termini economici, ma la situazione è destinata a volgere al peggio, se solo si considera che l’Alto Adige può ben essere paragonato ad un «porto sicuro» dove imprese provenienti dalle zone estere di lingua tedesca trovano un agevole approdo in Italia. Tale caratteristica è stata messa in discussione dal decreto Monti sulle liberalizzazioni, poiché il giudice competente non risiederà più a Bolzano, e senza la garanzia dell’uso della lingua tedesca. Anche per le imprese altoatesine – e oggi questo vale già per le società per azioni e le imprese da esse controllate – non sarà irrilevante il fatto che tutte le controversie in futuro dovranno essere gestite e trattate nella sola lingua italiana. La violazione del diritto costituzionale all’utilizzo della propria madrelingua dinanzi al Tribunale (come previsto dall’articolo 100 dello statuto di autonomia, nonché dal D.P.R. 574/1988) in tali casi è evidente, come del resto lo è in relazione alle questioni riferite al diritto d’autore che interessano testi redatti in lingua tedesca, in quanto trattate in altra città ed esclusivamente in lingua italiana. E’ assolutamente indispensabile, dunque, intervenire per evitare la dispersione di attribuzioni del Foro di Bolzano, in modo da salvaguardare le conoscenze economico-commerciali – e, in particolare, il know-how tecnico in Alto Adige – e tutelare la localizzazione economica in Alto Adige. E’ nota peraltro la tradizione di transazioni finanziarie di Bolzano sin dall’inizio del secolo XVI, nonché del collegio giudicante esperto di affari commerciali istituito nel 1635, definito «Magistrato mercantile di Bolzano», un tribunale speciale in materia commerciale dotato di una disciplina giudiziaria particolarmente vantaggiosa per i commercianti, in ossequio alla quale i fieranti erano giudicati, senza formalità alcuna, escludendo la presenza di avvocati e senza oneri di sorta, da persone esperte di transazioni commerciali. 200
L’esperienza fu così positiva che il Magistrato mercantile si trasformò sempre più in organo regionale di politica economica, volto ad intervenire, in un periodo di mercantilismo imperante, a favore del liberalismo economico inteso come libero commercio delle merci. Ad avviso del proponente, dunque, anche al fine di garantire il diritto costituzionale all’utilizzo della propria madrelingua dinanzi al Tribunale (articolo 100 dello Statuto di autonomia e DPR 574/1988), è opportuno che Bolzano torni ad essere, anche in ossequio alla propria tradizione storica, economica e giuridica, il Foro competente per dirimere le controversie di natura imprenditoriale per salvaguardare i vantaggi dell’Alto Adige quale localizzazione economica e, in generale, per tutelare gli interessi delle imprese che provengono da paesi esteri di lingua tedesca e desiderano operare in Italia. In tale direzione va il presente disegno di legge che, in particolare, prevede un intervento sul decreto legislativo 168/2003, come modificato dal decreto sulle liberalizzazioni, includendo Bolzano nel novero dei Tribunali e Corti d’Appello presso cui sono istituite le sezioni specializzate in materia di impresa. Vi è da sottolineare, peraltro, che in sede di esame da parte del Senato della legge di conversione del decreto legge sulle liberalizzazioni, anche il Governo, per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento e il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, ha preso posizione sulla questione del diritto di utilizzo della madrelingua innanzi ai tribunali, e si è impegnato, in sede del dibattito in Aula, riservandosi di fare tutto ciò che è in suo potere al fine di assicurare le garanzie processuali necessarie ai residenti nella Provincia autonoma di Bolzano, anche attraverso un confronto con i soggetti interessati, nel rispetto dei principi costituzionali e del quadro normativo già esistente in materia.
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8.5.2 Disegno di legge n. 3168 Sezione separata del tribunale delle imprese a Bolzano Art. 1 Al comma 1-bis dell’articolo 1 del decreto legislativo 27 giugno 2003 n.168, dopo le parole «,ove non esistenti nelle città di cui al comma 1,», sono aggiunte le seguenti: «con una sede distaccata nella città di Bolzano, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 100 dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige.» Art. 2 Agli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo , valutati nel limite massimo di 400 mila euro per l’anno 2012, si provvede mediante riduzione degli stanziamenti relativi alle spese rimodulabili di cui all’art. 21, comma 5, lettera b) della legge 31 dicembre 2009, n. 196, dei programmi del Ministero dell’economia e delle finanze.
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9 A servizio dei cittadini 9.1 Riunioni Pubbliche Disegno di legge n. 32 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Modifiche al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, in materia di riunioni pubbliche
9.1.1 Illustrazione Il presente disegno di legge prende spunto da due spiacevoli episodi nei quali i carabinieri hanno denunciato i parroci di due paesi sudtirolesi per omissione dell’avviso al questore dello svolgimento di una cerimonia religiosa, omissione sanzionata, ancora oggi, penalmente. Tale denuncia ha avuto ampia risonanza sulla stampa locale e nazionale. Si intende pertanto modificare e sopprimere alcuni articoli in materia di riunioni pubbliche del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, risalenti all’epoca fascista, ancora vigenti nel nostro ordinamento. Tali disposizioni, se applicate ai giorni nostri, risultano anacronistiche e fuori dal tempo. Già la Corte costituzionale, in alcune sentenze ha ampiamente ritenuto parte di queste norme costituzionalmente illegittime in riferimento all’articolo 17 della Costituzione. Vogliamo ricordarne una, in particolare, la sentenza n. 45 dell’8 marzo 1957, nella quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 25 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nella parte che implica l’obbligo di avviso, al-
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meno tre giorni prima, al questore dello svolgimento di cerimonie religiose in luoghi aperti al pubblico. Con il presente disegno di legge, si chiede la soppressione dello stesso obbligo di preavviso, in quanto si tratta di un onere burocratico che trovava la sua ragione nelle diffidenze del regime fascista nei confronti della Chiesa. Attualmente tale disposizione appare decisamente superata. Riteniamo, inoltre, assolutamente sproporzionato sanzionare penalmente l’omissione del preavviso per lo svolgimento di riunioni in luogo pubblico. Fermo restando il principio della necessità del preavviso a cui sono tenuti i promotori, si ritiene infatti di dovere abolire la sanzione penale per i contravventori, mantenendo invece la sanzione amministrativa. La sanzione in questione, come affermato dalla sentenza n. 11 del 10 maggio 1979 della Corte costituzionale, non si applica a coloro che prendono la parola durante la riunione. Vista l’importanza e l’attualità della questione si auspica una rapida approvazione del disegno di legge.
9.1.2 Disegno di legge n. 32 Riunioni Pubbliche Art. 1. 1. Al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 18 è sostituito dal seguente: «Art. 18. – 1. I promotori di una riunione in luogo pubblico devono darne avviso, almeno un giorno prima, al questore. 2. I contravventori sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 100 euro a 400 euro.
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3. Il questore, nel caso di omesso avviso ovvero per ragioni di ordine pubblico o di sanità pubblica, può impedire che la riunione abbia luogo e può, per le stesse ragioni, prescrivere modalità di tempo e di luogo per la riunione. 4. I contravventori al divieto o alle prescrizioni dell’autorità sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 200 euro a 400 euro. 5. Non è punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’autorità o per obbedire ad essa, si ritira dalla riunione. 6. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle riunioni elettorali.»; b) all’articolo 20, le parole da: «avvengono manifestazioni» fino a: «assembramenti predetti» sono soppresse; c) l’articolo 21 è abrogato; d) l’articolo 25 è abrogato.
9.2 Riconoscimento della lingua italiana dei segni Disegno di legge n. 37 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, COSSIGA, D’ALIA e PINZGER, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Riconoscimento della lingua italiana dei segni
9.2.1 Illustrazione Il presente disegno di legge vuole dare pieno riconoscimento alla lingua italiana dei segni (LIS). La LIS è la lingua visivo-gestuale adoperata dalle comunità dei sordi in Italia. Essa ha una struttura assai diversa dalla lingua italiana (parlata) dato che, nel corso della storia, sordi ed udenti non sono stati molto in contatto. 205
La LIS, come le altre lingue segnate, non è dunque una pantomima con segni prodotti a caso come molte persone pensano, bensì è una lingua vera e propria con una sua grammatica. Analogamente a quanto avviene per le lingue vocali, ogni nazione ha una propria lingua dei segni, con ulteriori varietà regionali e addirittura con qualche differenza lessicale nell’ambito della stessa città, dovuta a quanto ancora sopravvive delle diversità linguistiche un tempo esistenti tra i vari istituti per sordi. I sordi in Italia sono oltre 70.000, includendo in questa cifra sia coloro che sono nati sordi o che sono diventati sordi nei primi anni di vita (e quindi non hanno potuto acquisire il linguaggio parlato come bambini udenti, a causa della sordità), sia le persone che sono diventate sorde dopo aver appreso il linguaggio parlato. Specie per i primi, i cosiddetti «sordomuti», che possono imparare la lingua parlata solo dopo un iter di riabilitazione, nasce la necessità di uno strumento quale la LIS, con una propria specificità morfologica, sintattica e lessicale. In Europa la lingua dei segni ha avuto un riconoscimento al più alto livello con due risoluzioni del Parlamento europeo, del 17 giugno 1988 e del 18 novembre 1998, relative appunto alla lingua dei segni dei sordi e con la risoluzione dell’Unesco resa a Salamanca nel giugno 1994. I sordi utilizzano figure professionali quali l’interprete LIS e gli operatori (per esempio gli assistenti alla comunicazione) garantendo attraverso l’uso della LIS risultati ottimali per la formazione di soggetti affetti da sordità. L’Unione europea dei sordi (European Union of the Deaf), con sede in Bruxelles, creata nel 1985, e che rappresenta attualmente le associazioni di ventiquattro Stati membri dell’Unione europea (Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Regno unito, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria) ha più volte sollecitato, con atti formali, tutti gli Stati membri dell’Unione europea ad accettare legalmente la
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lingua dei segni di ciascun Paese nell’ambito della struttura della Carta europea delle lingue minoritarie. La lingua dei segni rappresenta una forma di integrazione dei non udenti nella società degli udenti a condizioni per loro eque. Proprio per rafforzare la protezione e promozione dei diritti umani delle persone con disabilità e per abbattere la barriera della comunicazione quale forma di emarginazione, sembra quindi giunto il momento per l’Italia di dare alla LIS pieno riconoscimento, equiparandola ad una qualsiasi lingua di minoranza linguistica. È in questo senso che la LIS deve essere per noi considerata «lingua non territoriale» della comunità dei sordi, equiparando tale definizione a quella della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, articolo 1, lettera c).
9.2.2 Disegno di legge n. 37 Riconoscimento della lingua italiana dei segni Art. 1. (Finalità) 1. La Repubblica riconosce la lingua italiana dei segni (LIS) come lingua non territoriale propria della comunità dei non udenti, in applicazione degli articoli 3 e 6 della Costituzione, ai sensi della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 5 novembre 1992, ed in ottemperanza alle risoluzioni del Parlamento europeo del 17 giugno 1988, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 187 del 18 luglio 1988, e del 18 novembre 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee C 379 del 7 dicembre 1998. 2. L’uso della LIS gode di tutte le garanzie e tutele dei provvedimenti conseguenti al riconoscimento di cui al comma 1.
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Art. 2. (Regolamento) 1. Nell’ambito delle finalità di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e sentito l’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordomuti (ENS), detta le disposizioni per l’attuazione di quanto previsto dall’articolo 1. Il regolamento deve in ogni caso: a) prevedere disposizioni volte a consentire l’uso della LIS nei giudizi civili e penali, stabilendone le modalità tecniche; b) fissare le modalità atte a consentire l’uso della LIS nei rapporti con le pubbliche amministrazioni nonché con le amministrazioni regionali e degli enti locali; c) fissare le modalità dell’insegnamento della LIS nella scuola dell’obbligo al fine di rendere effettivo l’adempimento dell’obbligo scolastico per gli alunni sordomuti, ai sensi dell’articolo 323 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297; d) fissare le modalità dell’istruzione all’interno dei corsi di laurea universitari della disciplina facoltativa dell’insegnamento della LIS; e) dettare ogni altra disposizione atta a consentire, attraverso l’uso della LIS, piena applicazione, relativamente ai non udenti, delle disposizioni di cui agli articoli 12, 13, 14, 15, 16, 17 e 18 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, anche attraverso il ricorso alle convenzioni di cui all’articolo 38 della medesima legge.
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9.3 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero in Trentino Alto Adige Disegno di legge n. 38 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura nelle province autonome di Trento e di Bolzano
9.3.1 Illustrazione Molte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano sovente presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di riposo o residenze sanitarie assistenziali (RSA). Per tali categorie di persone si pone spesso il problema relativo al mantenimento o meno della propria residenza, qualora le strutture di accoglienza siano ubicate in altri comuni. La normativa attuale prevede che, se si tratta di istituto di cura, l’accoglienza non determina, né a richiesta dell’interessato, né d’ufficio, alcun trasferimento di residenza, se non sono decorsi due anni dall’allontanamento dell’abitazione ordinaria (articolo 8, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223), mentre se si tratta di una RSA, di una casa di riposo e simili, il trasferimento va fatto presso la struttura in cui la persona è accolta. L’iscrizione anagrafica in altro comune per trasferimento di residenza determina notevoli problemi, sia per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la perdita della tomba o del loculo nel cimitero; la perdita, per il comune, della quota pro-capite, nonostante esso debba coprire parte delle spese per le persone che soggiornano nelle strutture citate, e così via. 209
Pertanto, il presente disegno di legge prevede, per le province autonome di Trento e Bolzano, che tutti coloro che soggiornano in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura possano mantenere la propria residenza, anche se tale soggiorno si dovesse protrarre per oltre due anni.
9.3.2 Disegno di legge n. 38 Iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero nelle province autonome di Trento e di Bolzano Art. 1. 1. Nelle province autonome di Trento e di Bolzano, le persone soggiornanti in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura, ubicati in comuni diversi da quelli di residenza, possono conservare la residenza nel comune di provenienza anche se è decorso il termine di due anni dal giorno dell’allontanamento dal comune d’iscrizione anagrafica.
9.4 Iscrizione anagrafica dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura Disegno di legge n. 39 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disposizioni in materia di iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura
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9.4.1 Illustrazione A differenza del ddl. n. 38 che si limita alle province di Trento e di Bolzano, questo ddl. n. 39 mira a estendere le agevolazioni a tutto il territorio nazionale. Molte persone anziane e disabili, prive di nucleo familiare o la cui famiglia non sia più in grado di provvedere a cure e assistenza adeguate, si recano sovente presso strutture di accoglienza, che possono essere istituti di cura, case di riposo o residenze sanitarie assistenziali (RSA). Per tali categorie di persone si pone spesso il problema relativo al mantenimento o meno della propria residenza, qualora le strutture di accoglienza siano ubicate in altri comuni. La normativa attuale prevede che, se si tratta di istituto di cura, l’accoglienza non determina, né a richiesta dell’interessato, né d’ufficio, alcun trasferimento di residenza, se non sono decorsi due anni dall’allontanamento dell’abitazione ordinaria (articolo 8, comma 1, lettera b), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223), mentre se si tratta di una RSA, di una casa di riposo e simili, il trasferimento va fatto presso la struttura in cui la persona è accolta. L’iscrizione anagrafica in altro comune per trasferimento di residenza determina notevoli problemi, sia per i comuni sia per i cittadini. Per esempio la perdita della tomba o del loculo nel cimitero; la perdita, per il comune, della quota pro-capite, nonostante esso debba coprire parte delle spese per le persone che soggiornano nelle strutture citate, e così via. Pertanto, il presente disegno di legge prevede che tutti coloro che soggiornano in istituti di ricovero o di cura di qualsiasi natura possano mantenere la propria residenza, anche se tale soggiorno si dovesse protrarre per oltre due anni.
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9.4.2 Disegno di legge n. 39 Iscrizione anagrafica, per trasferimento di residenza, dei soggiornanti in istituti di ricovero o di cura Art. 1. 1. Le persone soggiornanti in istituti di ricovero o cura di qualsiasi natura, ubicati in comuni diversi da quelli di residenza, possono conservare la residenza nel comune di provenienza anche se è decorso il termine di due anni dal giorno dell’allontanamento dal comune d’iscrizione anagrafica.
9.5 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose Disegno di legge n. 42 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose
9.5.1 Illustrazione La legge 5 marzo 1977, n. 54, ha abrogato il riconoscimento agli effetti civili di alcune feste religiose (l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, i SS. Apostoli Pietro e Paolo) perché – secondo, la tesi di allora – il loro carattere infrasettimanale avrebbe avuto una negativa incidenza sulla produttività delle aziende e dei pubblici uffici. Il presente disegno di legge prevede il ripristino degli effetti civili di talune festività molto importanti per la tradizione e la storia stessa del nostro Paese. Si tratta di feste religiose, espressione della tradizione di fede e di cultura della comunità, tuttora festeggiate in molti Paesi europei. È un omaggio alle persone credenti che possono così celebrare nuovamente le ricorrenze religiose, 212
e un giusto riconoscimento dei valori cristiani. È però anche un omaggio per i non credenti che possono dedicare le giornate alle attività di tempo libero. Queste ricorrenze sono state festeggiate in Italia fino al 1977, anno in cui per legge i giorni della loro celebrazione – insieme a quelli di altre festività – hanno cessato di essere festivi. Ci si può anche chiedere se proprio l’Italia, che tra i Paesi europei è uno di quelli nei quali la popolazione mantiene più viva la religiosità espressa secondo la tradizione cristiana, debba guadagnare in termini di produttività eliminando il disturbo di pochissime feste religiose infrasettimanali, quando le stesse sono conservate in molti altri Paesi europei. La festa dell’Ascensione è riconosciuta agli effetti civili, per esempio, in Austria, Belgio, Svizzera, Germania, Danimarca, Francia, Norvegia, Olanda, Svezia, in pratica in tutta l’Europa occidentale continentale. La festa del Corpus Domini lo è per esempio in Austria e in Germania. La festa di San Giuseppe, al di là del suo significato religioso importante per i cristiani (San Giuseppe, padre di Gesù), apre tradizionalmente la primavera. Espressioni del pensiero laico non cristiano assegnano alla Pasqua il ruolo di festa della primavera, ma il fatto che essa possa cadere anche ad aprile inoltrato toglie ad essa il sapore della natura che si risveglia dopo l’inverno. La festa dei Santi Pietro e Paolo ricorda in Pietro la specificità italiana di essere la sede del Papato, dell’esercizio del ministero del primato nella Chiesa cattolica, un fatto che in qualche modo dà all’Italia una posizione di estremo rilievo, e nello stesso tempo proclama, ricordando Paolo di Tarso, la grande vocazione all’apertura universale del messaggio cristiano. Entrambi furono uccisi a Roma dal potere imperiale di allora. Festeggiarli solo a Roma come patroni, come si fa attualmente, sembra un po’ riduttivo se si pensa al loro ruolo e al fatto che gli imperatori romani non erano per ruolo equivalenti ai contemporanei sindaci di Roma La ratio sottesa alla legge 5 marzo 1977, n. 54, si richiamava ad una volontà di gestire il Paese con una maggiore austerità: gli anni ’70, infatti, sono gli anni in cui si inizia a parlare di crisi petrolifera (ricordiamo le domeniche senza auto e quelle in cui si poteva circolare solo con i veicoli con targhe pari o solo con 213
quelli con targhe dispari), la disoccupazione inizia a far sentire i suoi effetti e l’inflazione corrode gli stipendi. L’Italia rallenta la sua crescita economica e, improvvisamente, si trova a dover fare i conti con gli effetti di una gestione del boom degli anni ’60 quantomeno poco accorta. Tra i provvedimenti che vennero presi per cercare di ripristinare una gestione più rigorosa, possiamo annoverare anche la citata legge n. 54 del 1977, con la quale si ridusse il numero delle festività ritenendo che esse incidessero in maniera negativa sulla produttività sia delle aziende che del pubblico impiego. Negli anni successivi si è assistito ad un’inversione di tendenza, anche perché si è compreso che l’austerità non aveva prodotto l’auspicato aumento di produttività nelle aziende e che i problemi economici andavano risolti in un’altra maniera: certamente non eliminando alcuni giorni di festività che, in ogni caso, devono poi essere pagati oppure recuperati e, quindi, aggiunti al periodo delle ferie ordinarie. Si può inoltre prevedere un aumento delle attività di svago e di turismo se le ricorrenze si abbinano ai fine settimana, il che può incidere positivamente sullo sviluppo economico del Paese. Nel 1985, dunque, è stata reintrodotta la festività dell’Epifania, mentre nel 2001 una mobilitazione forte da parte dell’opinione pubblica ha condotto al ripristino della festa nazionale della Repubblica. La reintroduzione delle festività soppresse è da considerare con favore alla luce del fatto che esse appartengono alla nostra cultura, al patrimonio religioso di tanti cittadini, oltre che alla nostra storia: tali ricorrenze devono poter essere celebrate anche con effetti civili da tutti gli italiani, così come avviene in molti Paesi europei, e sul loro significato intrinseco sarebbe auspicabile un’attenta riflessione. Alla luce delle considerazioni svolte, il presente disegno di legge prevede, all’articolo 1, il ripristino degli effetti civili delle festività di S. Giuseppe, dell’Ascensione, del Corpus Domini e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo su tutto il 214
territorio nazionale. Inoltre prevede un secondo articolo che introduce il giorno di lunedì seguente la Pentecoste quale festività agli effetti civili.
9.5.2 Disegno di legge n. 42 Riconoscimento agli effetti civili di festività religiose Art. 1. 1. Le ricorrenze religiose di S. Giuseppe in data 19 marzo e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo in data 29 giugno nonché, alla loro tradizionale cadenza infrasettimanale di giovedì, quelle dell’Ascensione e del Corpus Domini, sono riconosciute festività agli effetti civili. 2. Il primo comma dell’articolo 1 della legge 5 marzo 1977, n. 54, è abrogato. Art. 2. 1. All’articolo 2, primo comma, della legge 27 maggio 1949, n. 260, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «; il giorno di lunedì dopo Pentecoste». Art. 3. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
9.6 Ripristino della festività di San Giuseppe Disegno di legge n. 48 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Ripristino della festività di San Giuseppe il 19 marzo
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9.6.1 Illustrazione La legge 5 marzo 1977, n. 54, ha abrogato il riconoscimento agli effetti civili di alcune feste religiose (l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, i SS. Apostoli Pietro e Paolo) perché – secondo la tesi di allora – il loro carattere infrasettimanale avrebbe avuto una negativa incidenza sulla produttività delle aziende e dei pubblici uffici. La ratio sottesa alla citata legge n. 54 del 1977, si richiamava ad una volontà di gestire il Paese con una maggiore «austerità»: gli anni ’70, infatti, sono gli anni in cui si inizia a parlare di crisi petrolifera (ricordiamo le domeniche senza auto e quelle in cui si poteva circolare solo con i veicoli con targhe pari o solo con quelli con targhe dispari), la disoccupazione inizia a far sentire i suoi effetti e l’inflazione corrode gli stipendi. L’Italia rallenta la sua crescita economica e, improvvisamente, si trova a dover fare i conti con gli effetti di una gestione del boom degli anni ’60 quantomeno poco accorta. Tra i provvedimenti che vennero adottati per cercare di ripristinare una gestione più rigorosa, possiamo annoverare anche la citata legge n. 54 del 1977, con la quale si ridusse il numero delle festività ritenendo che esse incidessero in maniera negativa sulla produttività sia delle aziende che del pubblico impiego. Negli anni successivi si è assistito ad un’inversione di tendenza, anche perché si è compreso che l’austerità non aveva prodotto l’auspicato aumento di produttività nelle aziende e che i problemi economici andavano risolti in un’altra maniera: certamente non eliminando alcuni giorni di festività che, in ogni caso, devono poi essere pagati oppure recuperati e, quindi, aggiunti al periodo delle ferie ordinarie. Nel 1985, dunque, è stata reintrodotta la festività dell’Epifania, mentre nel 2001 una mobilitazione forte da parte dell’opinione pubblica ha condotto al ripristino della festa nazionale della Repubblica.
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Ripristinare il giorno di San Giuseppe come festivo vuole dire dare maggiore visibilità ai padri e riconoscere il loro ruolo nell’ambito della famiglia. Occorre ricordare e dare importanza al nucleo familiare per lo sviluppo del singolo individuo e dell’intera società. Considerato che varie disposizioni della Costituzione esaltano l’importanza della famiglia, sembra doveroso istituire, o nel caso del 19 marzo ripristinare, un giorno in onore di essa. Infatti, l’articolo 2 della Costituzione tutela i valori delle formazioni sociali ove si svolge la personalità del singolo e l’articolo 31 prevede che lo Stato agevoli con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia. Con il ripristino del giorno di San Giuseppe, in effetti, si darebbe un segnale forte in questa direzione. Il legislatore darebbe prova della propria consapevolezza del valore della famiglia. La festa di San Giuseppe, al di là del suo significato religioso importante per i cristiani (San Giuseppe, padre di Gesù), apre tradizionalmente la primavera. Espressioni del pensiero laico non cristiano assegnano alla Pasqua il ruolo di festa della primavera, ma il fatto che essa possa cadere anche ad aprile inoltrato toglie ad essa il sapore della natura che si risveglia dopo l’inverno. Storia e tradizioni Nella tradizione popolare, San Giuseppe, sposo della Vergine Maria, è il Santo protettore dei poveri e dei derelitti, poiché i più indifesi hanno diritto al più potente dei Santi. In questo giorno, si ricorda la sacra coppia di giovani sposi, in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino, che si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto. Questo atto, che vìola due sacri sentimenti: l’ospitalità e l’amore familiare, viene ricordato in molte regioni con l’allestimento di un banchetto speciale. Così in alcuni paesi della Sicilia, il 19 marzo di ogni anno, si usava invitare i poveri al banchetto di San Giuseppe. In questa occasione, un sacerdote benediva la tavola ed i poveri erano serviti dal padrone di casa.
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Oltre a proteggere i poveri e le ragazze, San Giuseppe, in virtù della sua professione, è anche il protettore dei falegnami, che da sempre sono i principali promotori della sua festa. La festa del 19 marzo è anche associata a due manifestazioni specifiche, che si ritrovano un po’ in tutte le regioni d’Italia: i falò e le zeppole. Poiché la celebrazione di San Giuseppe coincide con la fine dell’inverno, si è sovrapposta ai riti di purificazione agraria, effettuati nel passato pagano. In quest’occasione, infatti, si bruciano i residui del raccolto sui campi ed enormi cataste di legna vengono accese ai margini delle piazze. Quando il fuoco sta per spegnersi, alcuni lo scavalcano con grandi salti e le vecchiette, mentre filano, intonano inni per San Giuseppe. Culto La Chiesa cattolica ricorda San Giuseppe il 19 marzo e il 1º maggio col titolo di lavoratore. Inoltre il 29 dicembre si festeggia la Sacra famiglia (Giuseppe, Maria e Gesù). Il culto di San Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, nella Chiesa d’Oriente era praticato già attorno al IV secolo; intorno al VII secolo la Chiesa copta ricordava la sua morte il 20 luglio. In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all’anno Mille, come attestato dai martirologi, primo fra tutti quello del monastero di Richenau, ricordandolo al 19 marzo, data diventata festa universale nella Chiesa con Gregorio XV nel 1621. La prima chiesa dedicata a San Giuseppe sembra essere quella di Bologna eretta nel 1130. Nel 1621 i Carmelitani posero l’intero ordine sotto il suo protettorato. L’8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i Santi, seconda solo a quella della Madonna. 218
Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il Santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889. Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra famiglia a tutta la Chiesa. La festa di Giuseppe artigiano fu istituita nel 1955 da Pio XII e fissata il 1º maggio: la festa dei lavoratori fino a quel momento era appannaggio della cultura social-comunista. Nel 1962 Giovanni XXIII introdusse il suo nome nel canone della Messa, oltre ad affidargli lo svolgimento del Concilio vaticano II. Quindi, il presente disegno di legge equipara il 19 marzo (già festa nazionale ai sensi della legge 27 maggio 1949, n. 260, nel suo testo originario) alle altre festività religiose, riconosciute quali giorni festivi, ai sensi dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 792.
9.6.2 Disegno di legge n. 48 Ripristino della festività di San Giuseppe Art. 1. 1. Il giorno 19 marzo, ricorrenza di San Giuseppe, è considerato giorno festivo equiparato alle festività riconosciute ai sensi dell’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1985, n. 792. Agli effetti retributivi, per il ripristino di detta festività, si applicano le norme vigenti per le festività nazionali.
9.7 Conti Dormienti Disegno di legge n. 44 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008
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Norme in materia di risparmi e di depositi bancari e finanziari non rivendicati giacenti presso le banche e le imprese di investimento
9.7.1 Illustrazione La legislazione italiana presenta una lacuna in quanto è priva di norme che impongano agli istituti finanziari in generale, ed in particolare alle banche, di registrare le generalità degli eredi beneficiari degli intestatari di depositi di valore quali per esempio conti correnti, libretti di risparmio, titoli di credito, fondi d’investimento nonché oggetti di valore nelle cassette di sicurezza. Si prenda ad esempio chi, dopo aver aperto un conto corrente bancario, non ne faccia più uso per un numero imprecisato di anni; in casi come questo le banche non sempre riescono o si impegnano a scoprire cosa sia accaduto a questo cliente «silenzioso». Ne consegue che si accumulano ingenti somme presso gli istituti finanziari, i cosiddetti «conti dormienti», spesso all’insaputa dei legittimi eredi. Il problema va affrontato dando una soluzione che definisca in modo chiaro come debbano procedere gli istituti finanziari per poter contattare gli eredi beneficiari dei depositi di valore nel caso in cui il contatto con il cliente si sia interrotto, onde evitare che gli averi dei depositanti rimangano in possesso degli istituti finanziari per un tempo indefinito. Il disegno di legge vuole includere tutte le imprese di investimento e banche presso le quali si possono depositare contanti, valori, fondi e beni mobili rappresentati da oggetti di valore quali i gioielli, ma anche opere d’arte ed altri beni, senza esclusione alcuna. Nel capo I viene definito il campo di applicazione della legge, che introduce l’obbligo per l’istituto finanziario di registrare, pena una sanzione amministrativa il cui ammontare è indicato all’articolo 10, le generalità degli eredi dell’intestatario del deposito al momento della stipulazione del contratto.
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Con il capo II vengono definite le modalità della procedura di restituzione dei depositi giacenti presso le imprese di investimento o le banche. Trascorsi cinque anni durante i quali non ci siano stati contatti tra l’istituto finanziario e il cliente depositante, l’istituto finanziario è obbligato ad avviare una ricerca del cliente e dei suoi eredi beneficiari (articoli 2, 3 e 4). Gli articoli 5, 6 e 7 dispongono adeguate forme di pubblicità circa i depositi giacenti, e l’articolo 8 chiarisce a chi vadano addebitate le spese. Nel caso venga certificato il decesso dell’intestatario e non risultino eredi dello stesso si procede a devolvere il deposito al comune di ultima residenza del de cuius (articolo 9). Le disposizioni transitorie stabiliscono che siano soggetti alla nuova disciplina che si intende introdurre anche i beni depositati presso gli istituti finanziari prima dell’entrata in vigore della legge. Stabilisce altresì che per i depositi in essere gli istituti finanziari hanno a disposizione un anno per informare i loro clienti depositanti dell’obbligo di registrazione delle generalità dei propri eredi (articolo 11).
9.7.2 Disegno di legge n. 44 Conti Dormienti Capo I PRINCÌPI GENERALI
Art. 1. (Finalità ed obblighi) 1. La presente legge ha lo scopo di salvaguardare i beneficiari di depositi presso imprese di investimento e banche, nel caso di decesso dei titolari dei depositi stessi, introducendo l’obbligo legale di indicare nel contratto di deposito gli eredi beneficiari.
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2. A tale fine tutte le imprese di investimento e le banche, al momento della stipulazione di un contratto, sono obbligate a registrare le generalità degli eredi beneficiari degli intestatari dei depositi di ogni natura. 3. Il depositante ha l’obbligo di comunicare le generalità degli eredi beneficiari dei beni depositati e di informare l’impresa di investimento o la banca su ogni eventuale variazione, anche riguardante il domicilio o il recapito delle persone interessate. Capo II RESTITUZIONE DEI DEPOSITI GIACENTI Art. 2. (Comunicazioni all’intestatario del deposito o agli eredi beneficiari) 1. Nel caso in cui per cinque anni consecutivi decorrenti dalla data di libera disponibilità dei valori depositati non siano state compiute operazioni ad iniziativa del depositante o di terzi da questo delegati, la banca o l’impresa di investimento inviano un avviso all’intestatario del deposito stesso, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata all’ultimo domicilio conosciuto. Art. 3. (Certificazione di esistenza in vita) 1. Qualora nei tre mesi successivi all’invio dell’avviso di cui all’articolo 2 l’impresa di investimento o la banca non ricevano notizie dell’intestatario del deposito, esse richiedono ai competenti servizi anagrafici del comune dell’ultima residenza conosciuta una certificazione che ne attesti l’esistenza in vita e il domicilio. Art. 4. (Accertamento della successione e avviso agli aventi diritto) 1. Ove l’intestatario del deposito risulti deceduto, o non siano state ottenute le informazioni richieste, la banca o l’impresa di investimento provvedono a contattare la persona o le persone indicate come eredi beneficiari nel contrat222
to di deposito. Qualora, sulla base delle informazioni ottenute, venga accertata la sussistenza del diritto alla successione, l’impresa di investimento o la banca provvedono a rendere effettiva la titolarità del deposito in capo agli interessati. 2. In caso di documentazione incompleta l’impresa di investimento o la banca chiedono alla cancelleria del tribunale e all’ufficio del registro territorialmente competenti di comunicare quanto risulti circa la successione dell’intestatario del deposito. Possono altresì chiedere agli uffici anagrafici del comune ove è stata aperta la successione di rilasciare un certificato relativo allo stato di famiglia del defunto. Qualora, sulla base delle informazioni acquisite, venga accertata l’esistenza di eredi, la banca o l’impresa di investimento comunicano loro l’esistenza del deposito mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Art. 5. (Pubblicazione del deposito) 1. Se dalle ricerche effettuate a norma dell’articolo 4 non risulti l’esistenza di eredi dell’intestatario del deposito, o qualora essi siano irreperibili, l’impresa di investimento o la banca provvedono alla pubblicazione di un avviso, recante esclusivamente il nome, la data e il luogo di nascita dell’intestatario del deposito giacente, da esporre nei locali aperti al pubblico degli istituti stessi per un periodo di due mesi. Art. 6. (Elenco dei depositi) 1. L’elenco dei depositi intestati a defunti, o presunti defunti, relativamente ai quali siano state inutilmente esperite le ricerche prescritte dagli articoli 2, 3 e 4 è pubblicato entro il 31 marzo di ciascun anno sulla Gazzetta Ufficiale a cura delle associazioni di categoria degli istituti finanziari, mediante avviso cumulativo. Tale avviso è altresì pubblicato su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico, nonché in forma elettronica secondo le modalità stabilite dalla Banca d’Italia.
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Art. 7. (Libretti di deposito) 1. Per i libretti di deposito al portatore, da cui non risulta l’identità del depositante, trascorso il termine indicato all’articolo 2 le banche o le imprese di investimento procedono a norma degli articoli 5 e 6. In questo caso la pubblicazione e l’avviso cumulativo contengono la sola indicazione dei dati identificativi del libretto, nonché la data ed il luogo in cui esso è stato aperto. Art. 8. (Spese) 1. Le spese relative alle procedure di ricerca degli intestatari dei depositi e dei loro eredi beneficiari, opportunamente contabilizzate, vengono addebitate sui depositi medesimi. Art. 9. (Devoluzione dei depositi giacenti) 1. Decorso senza esiti un anno dalla pubblicazione degli avvisi previsti dagli articoli 5 e 6, il deposito giacente presso la banca o l’impresa di investimento e non rivendicato, viene devoluto al comune di ultima residenza dell’intestatario del deposito stesso. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze stabilisce, con proprio decreto, le modalità per l’attuazione delle disposizioni di cui al comma 1. Art. 10. (Sanzioni) 1. La violazione delle disposizioni di cui ai capi I e II sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria pari al triplo del valore del deposito risultante all’atto della sua rilevazione. Capo III NORME TRANSITORIE
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Art. 11. (Depositi in essere) 1. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge le imprese di investimento e le banche sono obbligate a richiedere a tutti i clienti intestatari di depositi informazioni circa le generalità dei propri eredi beneficiari. 2. Le disposizioni di cui al capo II si applicano anche ai depositi già esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
9.8 Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo Disegno di legge n. 45 d’iniziativa del senatore PETERLINI comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Disciplina del lavoro occasionale in agricoltura
9.8.1 Illustrazione L’agricoltura, settore fondamentale dell’economia italiana, risente purtroppo di una normativa in materia di rapporti di lavoro che non tiene in considerazione alcune peculiarità di questo comparto. Primo fra tutti, il problema della necessità di personale non omogenea nell’arco dei dodici mesi, ma concentrata solo in alcuni periodi dell’anno come quelli della vendemmia, della raccolta delle olive e della frutta, della fienagione, di alcune operazioni colturali e della gestione degli alpeggi, nel periodo estivo; quindi, una realtà con un forte carattere di stagionalità che richiede un’elevata percentuale di manodopera concentrata in brevi intervalli di tempo. Un settore di questo genere necessita di una normativa adeguata che si faccia carico di queste esigenze garantendo una flessibilità occupazionale, nonché un alleggerimento degli oneri contributivi e burocratici attualmente troppo gravosi specialmente per le piccole aziende agricole a gestione familiare. Queste ultime hanno sempre supplito a queste «emergenze agricole» chiamando a 225
raccolta amici, parenti e conoscenti che, ben lieti di trascorrere qualche giorno in campagna, magari a vendemmiare, accettavano ottenendo in cambio solo ospitalità, una bella cena tra amici oppure un omaggio di prodotti dell’azienda. Per la normativa in vigore queste prestazioni rappresentano forme di lavoro subordinato che, se non inquadrate nelle complesse procedure previste dal nuovo registro d’impresa, rischiano di essere considerate «lavoro nero». Il presente disegno di legge mira a introdurre il rapporto di lavoro occasionale nel settore agricolo, semplificando le procedure di reperimento di manodopera. Con l’articolo 1 si definisce l’ambito di applicazione della legge, cosa si intende per lavoro occasionale, in quali periodi può svolgersi, che durata può avere e le categorie di personale che possono accedervi. L’articolo 2 stabilisce gli adempimenti ai quali si devono attenere i datori di lavoro nei casi di lavoro occasionale: comunicazione in via telematica alle sedi dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) territorialmente competenti, le quali poi provvedono alla trasmissione delle comunicazioni al centro dell’impiego e all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL); stipula di polizza sulla responsabilità civile per infortunio e morte; rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro e contributo del 10 per cento a favore deIl’INPS. Le retribuzioni minime sono definite sulla base di criteri stabiliti a livello provinciale fra le organizzazioni di categoria. Inoltre, in questo articolo, si stabilisce che le retribuzioni per alcuni lavori occasionali non sono soggette a ritenute IRPEF e non costituiscono base di calcolo relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive, mentre si stabilisce che la ritenuta IRPEF per i lavori di alpeggio è fissata al 50 per cento dell’aliquota. L’articolo 3 precisa che i redditi in oggetto sono cumulabili con i redditi derivanti da trattamenti pensionistici e che i titolari di indennità di disoccupazione o di cassa integrazione dovranno comunicare all’ente erogatore il netto
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mensile percepito con il lavoro occasionale, affinché dalla indennità sia detratto un terzo della retribuzione percepita ai sensi delle disposizioni della legge. Vista l’importanza del disegno di legge se ne auspica una rapida approvazione.
9.8.2 Disegno di legge n. 45 Introduzione del lavoro occasionale nel settore agricolo Art. 1. (Definizione di lavoro occasionale in agricoltura) 1. Ai fini della presente legge si considerano rapporti di lavoro occasionale in agricoltura i rapporti di lavoro tra un imprenditore agricolo o un coltivatore diretto e il personale assunto per: a) l’espletamento dei lavori nei periodi di raccolta dei prodotti agricoli di cui al comma 2, nonché per fare fronte a comprovate situazioni di temporanea inabilità al lavoro da parte dell’imprenditore agricolo o del coltivatore diretto; b) lavori agricoli di allevamento estensivo in alpeggio nel periodo di cui al comma 3. 2. Per periodi di raccolta dei prodotti agricoli si intendono la vendemmia, la raccolta delle olive e della frutta e le fasi di fienagione, di potatura e di dirado manuale della vite, nonché situazioni di particolari emergenze agricole. 3. Per lavori agricoli di allevamento estensivo in alpeggio si intende l’attività zootecnica che si esplica con transumanza del bestiame in montagna, oltre i 1.000 metri di altitudine, nel periodo tra il 15 maggio e il 15 ottobre di ogni anno. 4. Il rapporto di lavoro occasionale di cui alla lettera a) del comma 1 ha una durata massima di cinquanta giornate lavorative annue per dipendente. 5. Il rapporto di lavoro occasionale di cui alla lettera b) del comma 1 ha una durata massima di centoventi giornate lavorative annue per dipendente. 227
6. Il personale assunto ai sensi del presente articolo, ad eccezione del personale assunto per fare fronte a comprovate situazioni di temporanea inabilità da parte dell’imprenditore agricolo o del coltivatore diretto, deve essere reperito nelle seguenti categorie: studenti, casalinghe, pensionati, disoccupati, lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria, soggetti portatori di handicap o provenienti da centri di recupero, lavoratori impiegati in altre attività nonché lavoratori stranieri provenienti da Paesi comunitari o extracomunitari. 7. I lavoratori provenienti da Paesi extracomunitari assunti ai sensi del presente articolo non sono computati ai fini delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato stabilite annualmente ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni. 8. Le reciproche prestazioni tra imprenditori nonché l’utilizzo di parenti e affini fino al quinto grado sono esclusi dall’applicazione del presente articolo e non sono soggetti ad alcun obbligo di legge. Art. 2. (Adempimenti a carico del datore di lavoro) 1. Il datore di lavoro comunica l’avvenuta assunzione del personale di cui all’articolo 1 della presente legge secondo le modalità previste dall’articolo 01, comma 9, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81. 2. Per il personale assunto ai sensi dell’articolo 1 deve essere stipulata una polizza sulla responsabilità civile per infortunio e morte, con una compagnia assicurativa autorizzata all’esercizio dell’attività sul territorio nazionale, secondo i massimali annualmente determinati dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. 3. Il datore di lavoro è tenuto a osservare la normativa vigente sulla sicurezza negli ambienti di lavoro. 228
4. La retribuzione giornaliera minima per il lavoro occasionale in agricoltura è determinata in base ai contratti collettivi provinciali integrativi di lavoro per gli operai agricoli e florovivaisti. 5. Sulla retribuzione corrisposta al personale di cui all’articolo 1 della presente legge è dovuto un contributo nella misura del 10 per cento, riducibile ai sensi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 9 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni, a favore della gestione di previdenza agricola dell’Istituto nazionale della previdenza sociale. Tale contributo è da versare in soluzione unica entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui è stata effettuata la prestazione lavorativa. 6. Le retribuzioni per lavoro occasionale in agricoltura per i lavoratori di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 1 non sono soggette a ritenute ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non costituiscono base di calcolo relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive. 7. Le retribuzioni per lavoro occasionale in agricoltura per i lavoratori di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 1 sono soggette a ritenute ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche nella misura del 50 per cento dell’aliquota corrente per il periodo d’imposta di riferimento e non costituiscono base di calcolo relativamente all’imposta regionale sulle attività produttive. 8. Il datore di lavoro per i lavori di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 1, salvo quanto previsto dalla presente legge, è esonerato da ogni altro adempimento nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Art. 3. (Cumulabilità dei redditi) 1. I redditi da lavoro occasionale in agricoltura di cui alla presente legge sono cumulabili con i redditi derivanti da ogni altro trattamento pensionistico o di quiescenza. 2. I disoccupati iscritti nelle liste di collocamento e i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria sono tenuti a comunicare l’avvenuta instaurazione del rapporto di lavoro occasionale in agricoltura e la remunerazio229
ne netta percepita all’ente che eroga l’indennità di disoccupazione o di cassa integrazione, che provvede a detrarre, il mese successivo alla comunicazione, dall’indennità un importo pari ad un terzo della retribuzione netta di lavoro occasionate percepita dall’interessato. Art. 4. (Lavoro interinale in agricoltura) 1. Le imprese di somministrazione di lavoro temporaneo possono applicare sulle retribuzioni dei lavoratori interinali occupati in agricoltura le riduzioni contributive ai sensi delle disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 9 della legge 11 marzo 1988, n. 67, e successive modificazioni. Art. 5. (Entrata in vigore) 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
9.9 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali Disegno di legge n. 1144 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 22 ottobre 2008 Disposizioni per il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali
9.9.1 Illustrazione Il presente disegno di legge riprende l’atto Camera 866, presentato dall’Onorevole Vannucci ed altri, il 7 maggio scorso alla Camera dei deputati. Lo scopo della presentazione anche al Senato dell’analogo testo, è quello di rafforzarne il valore del contenuto. In un progetto politico teso a valorizzare il territorio non si possono trascurare alcuni aspetti fortemente caratterizzanti le comunità territoriali, quali le attività musicali e bandistiche da esse espresse. Queste 230
attività, infatti, oltre a rappresentare l’identità e la specificità dei luoghi e della popolazione locale, forniscono strumenti di socializzazione e di aggregazione unici, capaci di cogliere quegli aspetti qualitativi del territorio che spesso sfuggono ad altri approcci. Non vi è evento importante, celebrazione, anniversario civile o religioso nella vita di ogni città o paese in Italia che non sia ufficializzato dalla banda musicale e, quando questa non è presente, l’evento non assume le stesse gioiose solennità e importanza. Le bande, quindi, segnano la storia delle nostre città e, di converso, la storia del nostro Paese. Tuttavia, attualmente in Italia le bande musicali non sono valorizzate né sostenute e continuano a vivere autofinanziandosi o grazie alla generosità di coloro che ne apprezzano il valore culturale e sociale. Infatti il sostegno rivolto a queste realtà da parte della normativa vigente è inesistente. Il presente disegno di legge intende attribuire il meritato riconoscimento alle attività bandistiche. L’articolo 1 prevede, infatti, che la Repubblica riconosce il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle bande musicali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuove lo sviluppo, salvaguardando ne l’autonomia, e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali. A tale fine, si prevede che i gruppi bandistici costituiti in associazione siano ammessi a particolari misure di promozione e di incentivo. Le bande musicali che intendono candidarsi al godimento di tali agevolazioni devono ottenere la qualifica di «associazione banda musicale», secondo le modalità di cui all’articolo 2, da parte della Consulta nazionale per le bande musicali, istituita dall’articolo 6 del presente disegno di legge, presieduta dal Ministro per i beni e le attività culturali o da un suo delegato, e composta da due rappresentanti indicati dalle regioni. Al fine di incentivare su scala internazionale la conoscenza e gli scambi tra le culture popolari espresse dalle varie regioni ed entità territoriali locali, l’articolo 7 prevede che il Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il 231
Ministro degli affari esteri, promuova programmi concernenti scambi di bande musicali nazionali con analoghe formazioni straniere, in particolare europee. Per il finanziamento degli interventi di cui al presente disegno di legge all’articolo 3 è istituito, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, un fondo, denominato Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali, al quale è annualmente devoluta una percentuale, non superiore al 30 per cento, delle vincite non riscosse del gioco del lotto e delle lotterie nazionali. Tale percentuale è stabilita con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro il 30 giugno di ogni anno. I contributi concessi alle associazioni bande musicali devono comunque intendersi come cumulabili con analoghe provvidenze concesse da regioni, province e comuni. Sono previste, inoltre, diverse agevolazioni di natura fiscale, tra cui quelle dirette a favorire le erogazioni liberali in favore delle associazioni bande musicali, da parte di persone fisiche e di società, nonché l’equiparazione delle associazioni bande musicali alle associazioni sportive dilettantistiche ai soli fini delle agevolazioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398.
9.9.2 Disegno di legge n. 1144 Disposizioni per il sostegno delle bande musicali Art. 1. (Princìpi generali) 1. La Repubblica riconosce il valore artistico, sociale, culturale e formativo delle bande musicali, patrimonio ed espressione delle comunità locali, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali. 2. La libertà artistica delle bande musicali è riconosciuta e tutelata ai sensi dell’articolo 33 della Costituzione. 232
Art. 2. (Associazione banda musicale) 1. Ai fini delle agevolazioni e degli incentivi previsti dalla presente legge, la qualifica di «associazione banda musicale» è attribuita dalla Consulta nazionale di cui all’articolo 6, su richiesta dell’associazione medesima. 2. La Consulta nazionale di cui all’articolo 6, entro tre mesi dalla data della sua costituzione, determina i requisiti per l’attribuzione della qualifica di associazione banda musicale, sulla base dei criteri generali stabiliti al comma 3 del presente articolo. 3. Ai fini dell’attribuzione della qualifica di associazione banda musicale, l’associazione deve: a) avere uno statuto contenente i requisiti previsti dalla legislazione vigente in materia di associazioni senza fini di lucro; b) essere costituita da strumentisti a fiato e a percussioni; c) programmare e attuare la propria attività su base annuale. 4. La qualifica di associazione banda musicale è rinnovata ogni tre anni, previa verifica dei requisiti stabiliti al comma 3 e con le modalità di cui al comma 1. Art. 3. (Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali) 1. Per gli interventi di cui alla presente legge è istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali il Fondo per la promozione, il sostegno e la valorizzazione delle bande musicali, di seguito denominato «Fondo». 2. I criteri e le modalità di utilizzazione delle risorse del Fondo sono determinati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentite la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la Consulta nazionale di cui all’articolo 6. 3. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro il 30 giugno di ogni anno, è determinata la percentuale, in misura non superiore al 30 per cento, 233
delle vincite non riscosse del gioco del lotto e delle lotterie nazionali, devoluta al Fondo per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della presente legge. 4. Con il decreto di cui al comma 2 sono, altresì, individuate le modalità di determinazione dei contributi annui da destinare alle associazioni bande musicali assicurando: a) una quota base da assegnare comunque, previa domanda, a titolo di concorso alle spese di impianto e di funzionamento; b) una quota aggiuntiva da assegnare alle formazioni musicali che si sottopongono almeno ogni quattro anni al giudizio tecnico di una giuria nell’ambito di concorsi, giornate di classificazione e campionati, organizzati dalle associazioni bande musicali o dalle federazioni delle medesime associazioni e riconosciuti dalla Consulta nazionale di cui all’articolo 6, ottenendo esito pari o superiore al 60 per cento del punteggio massimo, secondo le modalità stabilite dal regolamento di attuazione di cui all’articolo 6, comma 3. 5. I contributi concessi alle associazioni bande musicali di cui all’articolo 2 sono cumulabili con contributi eventualmente concessi al medesimo titolo da regioni, province e comuni. Art. 4. (Agevolazioni fiscali a sostegno dell’attività delle bande musicali) 1. Le associazioni bande musicali e le federazioni delle medesime associazioni sono equiparate, ai fini delle agevolazioni tributarie e nei rapporti con il direttore, gli insegnanti e i collaboratori di sezione e delle scuole delle bande, alle associazioni sportive dilettantistiche di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398. 2. All’articolo 10, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, relativo agli oneri deducibili, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:
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«l-quinquies) le erogazioni liberali in denaro, fino all’importo di 2.000 euro, a favore delle associazioni bande musicali o delle federazioni delle medesime associazioni». 3. All’articolo 100, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni, relativo agli oneri di utilità sociale, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «o-ter) le erogazioni liberali, per un ammontare complessivo non superiore a 5.000 euro, ovvero sino a un importo massimo pari al 5 per cento del reddito d’impresa dichiarato, a favore delle associazioni bande musicali o delle federazioni delle medesime associazioni». 4. Le indennità di trasferta e i premi corrisposti ai componenti delle associazioni bande musicali non costituiscono redditi imponibili ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). È in ogni caso escluso l’obbligo di contribuzione all’Ente nazionale di previdenza e di assistenza per i lavoratori dello spettacolo e dello sport professionistico (ENPALS) a carico dei medesimi soggetti. 5. Gli atti costitutivi e gli statuti delle associazioni bande musicali e delle federazioni delle medesime associazioni, nonché gli atti connessi allo svolgimento delle loro attività, sono esenti dall’imposta di bollo e dall’imposta di registro. 6. Le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato alle associazioni bande musicali o alle federazioni delle medesime associazioni sono esenti da ogni imposta a carico dei medesimi soggetti. 7. Sui contributi corrisposti alle associazioni bande musicali o alle federazioni delle medesime associazioni dagli enti pubblici non si applica la ritenuta d’acconto di cui all’articolo 28, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. 8. I proventi derivanti da attività commerciali effettuate dalle associazioni bande musicali o dalle federazioni delle medesime associazioni non co235
stituiscono reddito imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), dell’imposta sul reddito delle società (IRES) e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). 9. Per l’acquisto degli strumenti musicali, dei relativi accessori e dell’attrezzatura funzionale per l’attività e per il funzionamento delle bande musicali, delle associazioni bande musicali e delle federazioni delle medesime associazioni, si applica l’IVA con aliquota del 4 per cento. Art. 5. (Cofinanziamento di iniziative regionali di valorizzazione e di formazione professionale) 1. Una percentuale non superiore al 40 per cento del Fondo è destinata al cofinanziamento di iniziative per la valorizzazione e la promozione delle attività concertistiche delle associazioni bande musicali nonché per la formazione e il perfezionamento professionali delle figure impegnate nelle attività bandistiche attivate dalle regioni. 2. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati i criteri e le modalità di accesso delle regioni al cofinanziamento di cui al comma 1. Art. 6. (Consulta nazionale per le bande musicali) 1. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali, è istituita la Consulta nazionale per le bande musicali, di seguito denominata «Consulta», presieduta dal Ministro per i beni e le attività culturali o da un suo delegato, e composta da due rappresentanti indicati dalle regioni.
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2. La Consulta, che si avvale del personale, dei mezzi e dei servizi messi a disposizione dal Ministero per i beni e le attività culturali, ha i seguenti compiti: a) riconoscere la qualifica di associazione banda musicale ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 2; b) provvedere al censimento e alla tenuta di un’anagrafe delle bande musicali e alla diffusione della conoscenza delle attività da esse svolte; c) promuovere ricerche e studi sulle bande musicali in Italia e all’estero; d) fornire ogni utile elemento per la promozione e lo sviluppo della cultura bandistica; e) fornire e incentivare la produzione di musica originale per banda da parte di autori italiani; f ) patrocinare progetti sperimentali elaborati dalle bande musicali, dalle associazioni bande musicali e dalle federazioni delle medesime associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2, anche in collaborazione con gli enti locali; g) promuovere e sostenere, anche con la collaborazione delle regioni e delle associazioni bande musicali o delle federazioni delle medesime associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2, iniziative di formazione e di aggiornamento per gli addetti del settore; h) stabilire i criteri e le modalità per la ripartizione annua del Fondo; i) predisporre lo schema di regolamento per l’attuazione della presente legge, avvalendosi anche dell’opera di commissioni tecnico-artistiche appositamente attivate, formate da un esperto indicato da ognuna delle associazioni bande musicali o dalle federazioni delle medesime associazioni legalmente riconosciute ai sensi dell’articolo 2. Lo schema di regolamento è predisposto dalla Consulta entro due mesi dalla data della sua istituzione ai sensi del comma 1 ed è trasmesso al Ministro per i beni e le attività culturali;
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l) certificare mediante apposite norme le modalità di appartenenza delle associazioni bande musicali alle varie categorie. 3. Lo schema di regolamento di cui al comma 2, lettera i), è approvato, entro un mese dalla data della sua trasmissione, dal Ministro per i beni e le attività culturali con proprio decreto. Art. 7. (Promozione degli scambi nazionali e internazionali tra gruppi bandistici) 1. Il Ministro per i beni e le attività culturali, sentito il Ministro degli affari esteri, promuove programmi concernenti scambi di bande musicali con analoghe formazioni straniere, in particolare europee, al fine di incentivare la conoscenza reciproca della cultura musicale bandistica. 2. Una percentuale non superiore al 10 per cento delle risorse del Fondo è destinata alla promozione e al sostegno di iniziative pubbliche e di attività culturali di scambio che coinvolgono gruppi bandistici provenienti da diverse aree o regioni italiane nonché da Stati esteri.
9.10 In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette Disegno di legge n. 2010 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, PINZGER, THALER AUSSERHOFER, CUFFARO, STRADIOTTO, MOLINARI, VERONESI, SANTINI, IZZO e ZANOLETTI, comunicato alla presidenza il 10 febbraio 2010 Modifica al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, in materia di diciture, in lingua tedesca, sui pacchetti di sigarette
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9.10.1 Illustrazione Il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, recante attuazione della direttiva 200l/37/CE in materia di lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco, stabilisce che è obbligatorio riportare sui pacchetti dei prodotti da fumo i tenori di catrame, nicotina e monossido di carbonio; l’avvertenza generale «il fumo uccide» oppure «il fumo danneggia gravemente te e chi ti sta intorno»; un’avvertenza supplementare («il fumo provoca cancro mortale ai polmoni», «fumare in gravidanza fa male al bambino», per citarne solo un paio); il numero del lotto o altro segno equivalente che permetta l’individuazione della provenienza e della data di produzione del prodotto; il bollo fiscale. È risaputo che le sigarette sono soggette a diversi tipi di trattamento del tabacco e addizionate con additivi vari che dovrebbero essere riportati tutti in etichetta al fine di informare adeguatamente i consumatori, vista l’alta nocività del prodotto. Secondo un’indagine condotta dall’Università di Berlino gli additivi utilizzati nelle sigarette sarebbero oltre 600. La presenza o meno di queste sostanze, la loro diversa concentrazione e combinazione influenzano il gusto, la gradevolezza, l’umidità e il grado di combustione del tabacco. Studi inoltre dimostrano che gli additivi sarebbero in parte determinanti nel processo di dipendenza da fumo e ne aumenterebbero la tossicità. Scopo dell’etichetta, quindi, è tutelare ed informare l’acquirente in modo corretto e il più possibile trasparente. Sovente, però, si riscontra una certa inadeguatezza delle direttive comunitarie sulle disposizioni applicative a livello nazionale in tema di etichettatura, che non sempre tutelano ed informano il cittadino consumatore come dovrebbero. L’articolo 6 del decreto legislativo n. 184 del 2003, al comma 6 stabilisce come deve essere stampato il testo delle avvertenze e delle indicazioni relative ai tenori delle sostanze. Tuttavia non è prevista la stampa in lingua tedesca. Pertanto, data la fondamentale importanza dell’etichettatura a tutela dei con239
sumatori e dato che nella provincia di Bolzano vige il bilinguismo, ossia il riconoscimento della lingua tedesca quale seconda lingua ufficiale che si estende dalla segnaletica, alla toponomastica, alla comunicazione, all’insegnamento, e così via, sarebbe opportuno, per i prodotti del tabacco destinati alla commercializzazione nella provincia di Bolzano, prevederne la stampa anche in lingua tedesca.
9.10.2 Disegno di legge n. 2010 In materia di diciture in lingua tedesca sui pacchetti di sigarette Art. 1. 1. All’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 184, dopo la lettera d) è aggiunta la seguente: «d-bis) per i prodotti destinati alla commercializzazione nella provincia di Bolzano, anche nella lingua tedesca».
9.11 Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige Disegno di legge n. 2553 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 9 febbraio 2011 Disposizioni in materia di inserimento del test di conoscenza della lingua tedesca per ottenere il permesso di soggiorno nella regione Trentino-Alto Adige
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9.11.1 Illustrazione Il decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2010 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 giugno 2010, n. 134) prevede che gli immigrati che presentano richiesta di permesso di soggiorno, entro due anni da detta richiesta, dovranno portare il proprio livello di apprendimento della lingua italiana al livello A2 del CEFR (Common european framework of reference for languages – Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue) – e superare il relativo esame. Poiché nella regione Trentino-Alto Adige vige il bilinguismo, il presente disegno di legge mira a stabilire che il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nella regione Trentino-Alto Adige sia subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana o della lingua tedesca, le cui modalità di svolgimento saranno determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.
9.11.2 Disegno di legge n. 2553 Il test di lingua tedesca per il permesso di soggiorno in Alto Adige Art. 1. 1. All’articolo 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo il comma 2-bis è inserito il seguente: «2-ter. Il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nella regione Trentino-Alto Adige è subordinato al superamento, da parte del richiedente, di un test di conoscenza della lingua italiana o della lingua tedesca, le cui modalità di svolgimento sono determinate con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca.» 241
Art. 2. 1. Il decreto del Ministro dell’interno di cui all’articolo 9, comma 2-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come introdotto dall’articolo 1 della presente legge, è adottato entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima.
9.12 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica Disegno di legge n. 2574 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 23 febbraio 2011 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica
9.12.1 Illustrazione Le associazioni sportive dilettantistiche si avvalgono spesso della legge 16 dicembre 1991, n. 398, per poter fruire di un sistema forfetario ed agevolativo di calcolo delle imposte dirette ed indirette. Uno dei requisiti, per avvalersene, è quello di non aver superato nell’anno il tetto di 250.000 euro di proventi. Dato che molte associazioni sportive dilettantistiche hanno assunto importanza e dimensioni notevoli, il presente disegno di legge prevede una modifica all’importo di cui all’articolo 1, comma 1, della legge n. 398 del 1991, da ultimo modificato ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che tratta appunto di attività sportiva dilettantistica. Tale modifica consiste nell’aumentare il limite, da 250.000 euro a 300.000 euro del tetto annuo imposto.
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9.12.2 Disegno di legge n. 2574 Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica Art. 1. 1. A decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, l’importo fissato dall’articolo 1, comma 1, della legge 16 dicembre 1991, n. 398, come modificato ai sensi dell’articolo 90, comma 2, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, è elevato a 300.000 euro.
9.13 Lotteria immobiliare a sostegno della domanda di abitazione Disegno di legge n. 2777 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, GUSTAVINO, GALPERTI, DI GIACOMO, RUSCONI, SBARBATI, RUTELLI, BAIO, SANTINI, ZANOLETTI, MOLINARI, FANTETTI, POLI BORTONE, D’ALIA e STRADIOTTO, comunicato alla presidenza il 14 giugno 2011 Delega al Governo in materia di introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione
9.13.1 Illustrazione È nota a tutti la propensione degli italiani per la casa di proprietà, considerata come un bene essenziale, per sé e per i propri figli, a cui dedicare i sacrifici e i risparmi di un’intera vita di lavoro. Anche grazie a questa propensione il comparto dell’edilizia è stato spesso uno dei settori trainanti dell’economia del nostro Paese, contribuendo in misura significativa al suo sviluppo economico.
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In questi ultimi anni, però, questa spinta propulsiva sembra essersi bloccata, se non esaurita; anche il mercato immobiliare italiano presenta un quadro critico, evidenziando preoccupanti segnali di stagnazione e contrazione: tende ad aumentare l’invenduto nell’ambito delle nuove costruzioni e si registra una sensibile riduzione delle compravendite, con conseguente significativo abbassamento dei valori degli immobili. E tutto ciò accade mentre non è venuta meno la domanda insoddisfatta di abitazioni residenziali a costi sostenibili da parte dei cittadini appartenenti alle fasce sociali «deboli», a partire soprattutto dalle coppie giovani, cui la precarietà della situazione lavorativa impedisce spesso l’accesso al credito. Si assiste pertanto ad un apparente paradosso: mentre aumenta il numero complessivo di unità immobiliari sfitte o invendute, cresce parallelamente la domanda di abitazioni a costi socialmente sostenibili, sia per quanto riguarda gli affitti, sia per quanto concerne l’edilizia convenzionata. A questa domanda dovrebbero rispondere, auspicabilmente in coordinamento con il più volte annunciato «Piano casa» del Governo, i piani e gli interventi di housing sociale promossi dalle aziende regionali per l’edilizia residenziale pubblica e più complessivamente dal sistema delle amministrazioni locali (dalle regioni ai comuni). Purtroppo, però, accade frequentemente che programmi di piani di intervento debbano fare i conti con le limitate risorse finanziarie a disposizione. La ristrettezza di risorse è per altro accentuata anche dalle difficoltà che lo Stato ha incontrato nella dismissione del patrimonio decisa con le cartolarizzazioni. Nella seduta dell’8 febbraio 2011 delle Commissioni 1ª e 5ª riunite in occasione della conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, il Governo, nella persona del sottosegretario Alberto Giorgetti, ha accolto come raccomandazione un ordine del giorno (G/2518/1 e 5) a prima firma del senatore Peterlini e sottoscritto dai senatori Pinzger, Thaler e Fosson, che impegna 244
l’esecutivo «a prevedere la «lotteria degli immobili» anche in Italia, a definirne le misure per l’applicazione e la regolamentazione, per dare così slancio al settore immobiliare». Il presente disegno di legge si propone come contributo per l’attuazione di quell’ordine del giorno, nell’ottica di facilitare il superamento della difficile situazione dell’edilizia residenziale pubblica e del mercato immobiliare che è stata sopra descritta. Il comma 1 dell’articolo 1 delega il Governo a sperimentare l’introduzione di forme di lotteria immobiliare, individuando i meccanismi volti ad incentivare i piani di edilizia sociale e convenzionata nell’ambito delle politiche di housing sociale, oltre che a facilitare l’attuazione dei piani di cartolarizzazione del patrimonio pubblico. Inoltre, sull’esempio di quanto accade in altri Paesi, il disegno di legge prevede di coinvolgere in questa sperimentazione i privati cittadini che vogliono alienare unità immobiliari di loro proprietà: in questo caso si prevedono parametri e vincoli particolarmente rigorosi a tutela sia del cittadino che cede l’immobile, che delle persone fisiche che acquistano i biglietti elettronici. Il comma 2 dell’articolo 1 individua i contenuti prioritari dei decreti attuativi della delega con particolare riguardo per: • le caratteristiche della gara pubblica per l’affidamento ad una o più società della gestione delle lotterie previste nel comma 1; • i requisiti tecnici fondamentali della piattaforma di gestione delle lotterie, che dovrebbe prevedere forme di stretta integrazione tra telefonia mobile e internet; Il comma 3 dell’articolo 1 stabilisce che i decreti attuati impegnino lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli enti pubblici a impegnare i proventi derivanti dalle lotterie ad investimenti in conto capitale, per impedire la loro allocazione su partite di spesa corrente. Per quanto riguarda il bilancio dello Stato, è previsto l’obbligo di riservare una quota dei proventi al finanziamento di progetti di innovazione e ricerca in ambito universitario.
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L’articolo 2 dispone che sia costituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un Osservatorio per la valutazione e il monitoraggio della trasparenza delle procedure e dei soggetti, composto da rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da esponenti dell’antimafia e dell’antiriciclaggio, nonché in sede tecnica da rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e degli ordini degli architetti e degli ingegneri. È del tutto evidente l’importanza di tale organismo, in considerazione del fatto che l’oggetto del disegno di legge può sollevare legittime preoccupazioni in relazione alle normative vigenti in materia di governo del territorio e di eco-sostenibilità ambientale, nonché di trasparenza finanziaria ed antiriciclaggio.
9.13.2 Disegno di legge n. 2777 Introduzione di forme di lotteria immobiliare per il finanziamento di interventi a sostegno della domanda di abitazione Art. 1. (Delega al Governo per l’introduzione di forme di lotteria immobiliare) 1. Allo scopo di sperimentare l’introduzione nel nostro Paese di forme di lotteria immobiliare, finalizzate al reperimento di risorse destinate a finanziare interventi a sostegno della domanda di abitazione, oltre che a stimolare la ripresa del mercato immobiliare privato, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere la possibilità per gli enti pubblici e le amministrazioni locali che realizzano piani di edilizia sociale o convenzionata di ampliare fino al 15 per cento l’entità dei piani stessi, fatta salva la compatibilità complessiva degli interventi con i più rigorosi standard di tutela territoriale ed ambientale, destinando la quota aggiuntiva di unità
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abitative così realizzate a montepremi di lotterie da effettuare in ambito locale; b) prevedere la possibilità per lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli enti pubblici, nell’ambito di piani di cartolarizzazione del patrimonio immobiliare pubblico, di destinare una quota, in percentuale determinata di volta in volta dal Ministero dell’economia e delle finanze, sentite anche le agenzie del demanio e del territorio, del patrimonio individuato per la dismissione a montepremi di lotterie immobiliari; c) prevedere la possibilità per i privati cittadini di alienare immobili di loro proprietà con la formula di lotterie immobiliari da svolgere dentro un quadro definito di regole e vincoli; d) prevedere per ogni lotteria un arco temporale rigorosamente definito e un limite minimo della raccolta, non inferiore al 60 per cento del valore di mercato dell’immobile o degli immobili che costituiscono il montepremi e un limite massimo non superiore al 40 per cento del medesimo valore di mercato, al netto dell’eventuale prelievo fiscale in capo al cedente l’immobile o gli immobili; e) prevedere che, nel caso in cui il limite massimo di cui alla lettera d) sia raggiunto prima della data prevista per la chiusura della lotteria, la stessa si chiuda ante termine; f ) prevedere, nel caso di mancato raggiungimento del limite minimo di cui alla lettera d), la facoltà per il proprietario dell’immobile di ritirare lo stesso dalla lotteria; in tal caso il titolare del biglietto elettronico potrà far valere il suo titolo di gioco in altra lotteria gestita dal medesimo concessionario; g) prevedere i parametri per la determinazione del costo massimo per l’acquisto dei biglietti elettronici ed eventualmente il numero massimo di biglietti acquistabili da una singola persona fisica per concorrere all’estrazione del montepremi, previa attivazione di rigorose procedure
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di controllo atte a garantire la maggiore età di chi intende acquistare il biglietto elettronico. 2. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono prevedere altresì: a) la concessione, tramite gara ad evidenza pubblica, della gestione delle lotterie previste dal comma l ad una o più società, che deve farsi carico di tutti gli oneri di organizzazione, distribuzione, pubblicità a fronte di un aggio riconosciuto, su determinazione del Ministero dell’economia e delle finanze, in misura percentuale sulla raccolta; b) i requisiti di competenza tecnica, solidità economico-finanziaria e trasparenza degli assetti proprietari necessari per la partecipazione alla gara; c) i criteri e i parametri per la stesura della convenzione che deve essere sottoscritta dalle società concessionarie della gestione del servizio, specificando che tutte le procedure di gioco devono essere gestite on line, sulla base di una piattaforma informatica omologata dalla Società generale di informatica (SOGEI) secondo un modello che preveda una forte integrazione tra telefonia mobile e internet, quale canale d’accesso obbligato per l’acquisto dei titoli di gioco in formato elettronico. 3. I decreti legislativi di cui al comma 1 devono prevedere infine per lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli enti pubblici l’obbligo di utilizzare i proventi derivanti dalle lotterie di cui al comma 1, lettere a) e b), per spese in conto capitale; per quanto riguarda lo Stato, il Ministero dell’economia e delle finanze, con propria determinazione, stabilisce annualmente una percentuale dei suddetti proventi non inferiore al 10 per cento da destinare al finanziamento di progetti di innovazione e ricerca in ambito universitario. 4. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per materia le quali esprimono il loro parere entro un mese dalla data della trasmissione.
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Art. 2. (Creazione di un Osservatorio per la valutazione e il monitoraggio della trasparenza delle procedure e dei soggetti) 1. Al fine di garantire che tutte le operazioni e le procedure necessarie all’implementazione delle lotterie di cui alla presente legge siano condotte nel pieno rispetto della normativa vigente in materia di governo del territorio e di ecosostenibilità ambientale, nonché di trasparenza finanziaria ed antiriciclaggio, è costituito presso il Ministro dell’economia e delle finanze un Osservatorio per la valutazione e il monitoraggio della trasparenza delle procedure e dei soggetti, composto da rappresentanti del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, da esponenti dell’antimafia e dell’antiriciclaggio, nonché in sede tecnica da rappresentanti dell’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) e degli ordini degli architetti e degli ingegneri. 2. I decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 1, determinano, altresì, in maniera puntuale le competenze e il numero dei membri dell’Osservatorio di cui al comma 1 del presente articolo, prevedono le relative modalità di convocazione e di organizzazione dei lavori, nonché finanziano l’attività dello stesso Osservatorio con fondi attinti dai proventi delle lotterie immobiliari.
9.14 Dislocazioni territoriali e ordinamento degli uffici giudiziari nel Trentino-Alto Adige Disegno di legge n. 3115 d’iniziativa dei senatori PETERLINI, THALER AUSSERHOFER e PINZGER, comunicato alla presidenza il 25 Gennaio 2012 Modifiche alla legge 14 settembre 2011, n. 148, in materia di disciplina delle dislocazioni territoriali e dell’ordinamento degli uffici giudiziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige
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9.14.1 Illustrazione Il presente disegno di legge, che riprende un disegno di legge approvato in data 18 gennaio 2012 dal Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige all’unanimità, è teso ad apportare un correttivo alla manovra economico-finanziaria dello scorso agosto, ed in particolare all’articolo 1 della legge 14 settembre 2001, n. 148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, che prevede la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari. Si tratta di una norma incostituzionale in relazione al Trentino-Alto Adige, in quanto si prevede un intervento in materia di giustizia nel territorio della regione a prescindere dalle procedure, invece necessarie, disposte dall’articolo 107 del relativo Statuto di autonomia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e che nel dettaglio porterebbe alla soppressione di 22 uffici territoriali del giudice di pace, 12 in Trentino e 10 in Alto Adige, mantenendo solo quelli dei capoluoghi di provincia, nonché delle 8 sezioni distaccate di tribunale dislocate nelle valli della regione. Lo Statuto peraltro demanda al solo presidente della regione il potere di nomina e di revoca dei giudici di pace (articolo 94), aspetto su cui pure interverrebbe la delega richiamata. Va sottolineato che il potere di modificare gli assetti degli uffici giudiziari, sia della magistratura ordinaria sia di quella onoraria, conferito al Governo con la delega, urta, per ciò che concerne il territorio della regione Trentino-Alto Adige, non solo con norme costituzionali, ma anche con il principio della leale collaborazione fra organi e istituzioni dello Stato, costantemente affermato dalla Corte costituzionale. Ne consegue che l’unico strumento legislativo costituzionalmente idoneo a disciplinare la materia in oggetto è quello previsto dall’articolo 107 dello Statuto speciale, ovvero lo specifico decreto legislativo adottato dal Governo, sentito il parere obbligatorio della commissione paritetica prevista dalla citata norma. Alla grave lesione all’autonomia del Tren250
tino-Alto Adige si affiancano i disagi che nei fatti vivrebbero i cittadini-utenti della giustizia. Basti pensare che con la soppressione del tribunale di Merano, ad esempio, un cittadino di Resia dovrebbe affrontare un viaggio di oltre 100 chilometri per arrivare fino a Bolzano; lo stesso vale per il Trentino, dove da alcune località il capoluogo si raggiunge in circa due ore e mezzo di tragitto con i mezzi pubblici. I proponenti, sulla scia e a sostegno del voto unanime espresso dall’assemblea del Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige, sottopongono quindi all’attenzione del Parlamento il presente disegno di legge, teso ad introdurre nella legge n. 148 del 2011 la previsione che, nella riorganizzazione degli uffici giudiziari nel Trentino-Alto Adige/Südtirol, vengano adottate le procedure previste dall’articolo 107 dello Statuto, con l’auspicio che venga esaminato e approvato al più presto in via definitiva.
9.14.2 Disegno di legge n. 3115 Disciplina delle dislocazioni territoriali e dell’ordinamento degli uffici giudiziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige Art. 1. 1. Dopo il comma 5 dell’articolo 1 della legge 14 settembre 2011, n. 148, è inserito il seguente: «5-bis. A salvaguardia delle competenze attribuite dallo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e dalle relative norme di attuazione in materia di organizzazione degli uffici giudiziari, ai fini dell’esercizio della delega di cui al comma 2 del presente articolo, le disposizioni in materia di distribuzione degli uffici giudiziari nel territorio della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol sono adottate con la procedura prevista dall’articolo 107 dello Statuto speciale».
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10 Impegno per la pace 10.1 Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali Disegno di legge n. 46 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989
10.1.1 Illustrazione Trecento milioni di persone, tra il 4 e il 5 per cento della popolazione mondiale, appartengono a popoli, nazioni, tribù o comunità che vivono spesso in stretto contatto con la natura in qualità di antichi abitatori delle loro terre. Spesso questi popoli sono vittime di sfruttamento, repressione, discriminazione e sottrazione delle basi della loro esistenza da parte degli Stati sul cui territorio essi abitano. Il 75 per cento di tutte le materie prime non rinnovabili si trova sulle terre dei popoli indigeni e gli Stati dell’occidente industrializzato partecipano a quasi tutti i megaprogetti di sfruttamento relativi alle terre degli indigeni. La Convenzione n. 169, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989 nell’ambito dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), organizzazione di settore delle Nazioni Unite (di cui fanno parte, accanto ai Governi, anche rappresentanti degli imprenditori e dei lavoratori) è finora l’accordo internazionale più completo riguardante la tutela dei popoli indigeni. Tale Convenzione è stata sottoscritta soltanto da diciannove dei centosettantanove Stati membri dell’OIL. Le potenze industriali dell’Occidente, tra cui anche l’Italia e la Germania, hanno dichiarato che la Convenzione non li riguarda, in quanto sul loro territorio non vivono popoli indigeni. Attraverso progetti di cooperazione e di sviluppo con gli Stati 252
del sud, in realtà, gli Stati europei hanno una grandissima influenza sul destino dei popoli indigeni. Ciò vale soprattutto nell’epoca della «globalizzazione». Se gli Stati dell’occidente ratificassero questa Convenzione, sarebbero costretti a conformare alle sue norme la propria politica estera. Per questo motivo i rappresentanti dei popoli indigeni chiedono nuovamente che anche l’Italia, e con essa gli altri Stati d’Europa, aderiscano al gruppo degli Stati sottoscrittori. La Convenzione OIL 169 è una rielaborazione della Convenzione OIL 107 del 1957, anch’essa dedicata alla tutela dei popoli indigeni, ratificata da ventisette Stati. La sua revisione si deve alle critiche degli interessati. Secondo queste critiche, lo scopo della Convenzione OIL 107, cioè l’integrazione dei popoli indigeni nelle società maggioritarie, dovrebbe cedere il passo ad un concetto di ampia autodeterminazione. All’elaborazione della Convenzione OIL 169 hanno collaborato, seppure indirettamente, i rappresentanti di numerosi popoli indigeni. Tuttavia uno dei suoi limiti più gravi sta nella necessità di approvazione e ratifica della Convenzione medesima da parte dei Parlamenti nazionali dei singoli Stati. La Convenzione OIL 169 mette per iscritto i diritti fondamentali dei popoli indigeni e tribali e impone agli Stati sottoscrittori degli obblighi di ampia portata. In sette articoli si occupano specificamente delle questioni della proprietà fondiaria e dello sfruttamento delle materie prime; di questioni, cioè, d’importanza vitale per molti popoli indigeni. L’accordo riconosce, specificamente, agli articoli 2 e 3, la piena garanzia dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza discriminazioni; all’articolo 4 il diritto all’identità culturale e il diritto alle strutture e alle tradizioni comunitarie; all’articolo 6 il diritto alla partecipazione dei popoli interessati alle decisioni che li riguardano e il diritto alla definizione del proprio futuro; agli articoli 7, 8 e 9 l’uguaglianza di fronte all’amministrazione e alla giustizia; agli articoli 13 e 19 il diritto alla terra e alle risorse; all’articolo 20 il diritto all’occupazione ed a condizioni di lavoro adeguate; all’articolo 21 il diritto alla formazione.
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Fino ad oggi la Convenzione è stata ratificata dai Parlamenti dei seguenti diciannove Stati: Norvegia (il 19 giugno 1990); Messico (il 5 settembre 1990); Colombia (il 7 agosto 1991); Bolivia (l’11 dicembre 1991); Costa Rica (il 2 aprile 1993); Paraguay (il 10 agosto 1993); Perù (il 2 febbraio 1994); Honduras (il 28 marzo 1995); Danimarca (il 22 febbraio 1996); Guatemala (il 5 giugno 1996); Paesi Bassi (il 2 febbraio 1998); Fiji (il 3 marzo 1998); Ecuador (il 15 maggio 1998); Argentina (il 3 luglio 2000); Repubblica Bolivariana del Venezuela (il 22 maggio 2002); Dominica (il 25 giugno 2002); Brasile (il 25 luglio 2002); Spagna (il 15 febbraio 2007); Nepal (il 14 settembre 2007). Negli Stati sottoscrittori si possono constatare alcuni sviluppi positivi: lo Stato boliviano, per esempio, con una modifica costituzionale ha affermato la propria natura multietnica e multiculturale e ha riconosciuto il diritto dei popoli indigeni alla partecipazione alle decisioni che li riguardano. Il Messico ha disposto che nei processi penali siano prese in considerazione le consuetudini dei popoli indigeni. Peraltro, l’OIL ha preso atto di gravi abusi nei confronti dei lavoratori indigeni del Messico e ha fatto pressioni per un miglioramento della situazione. Risultati assolutamente positivi si registrano invece in Norvegia, ove è stato istituito il Parlamento del popolo indigeno dei Saami, che partecipa a tutte le decisioni riguardanti tale popolo. Al Parlamento dei Saami è trasmesso anche, per un giudizio, il rapporto norvegese sullo stato dell’applicazione della Convenzione. I Paesi Bassi hanno ratificato la Convenzione nel 1998. Questo Stato ha già dichiarato che si atterrà ai criteri stabiliti dalla Convenzione per quanto riguarda i voli militari a bassa quota sul Labrador in Canada ed il commercio del legname tropicale. Nel Parlamento austriaco, invece, i tentativi di adesione sono regolarmente falliti. Sebbene solo pochi Stati abbiano finora ratificato la Convenzione OIL 169, l’influsso di questo strumento si estende su di una più vasta cerchia di Stati. Ad esempio, la Duma russa ha chiesto all’OIL una consulenza per una possibile nuova legislazione riguardante i popoli indigeni di quel Paese. A non tacere del Cile, il cui Presidente ha fissato un termine per rivedere le politiche esistenti a 254
tutela dei popoli indigeni. Con molta probabilità la Convenzione sarà ratificata in breve tempo. Da parte indigena, la Convenzione è stata generalmente accolta con favore. Sebbene le siano imputate anche parziali tendenze assimilatorie, la Convenzione è vista con favore, riscontrando in essa, in generale, evidenti progressi rispetto alla versione precedente. Questo trattato chiarisce che in nessun caso un trattamento particolare dei popoli indigeni in ambiti specifici deve condurre ad una sorta di apartheid. Gli appartenenti ai popoli indigeni hanno sì il diritto alla propria cultura, ma non possono in nessun caso essere costretti alla tradizionale vita tribale. L’articolo 8 garantisce loro la possibilità di scegliere il proprio modo di vita. Sotto molti aspetti la Convenzione OIL 169 è troppo generica e lascia molti spazi all’interpretazione. Ciò dipende anche dal fatto che il trattato deve valere per tutti i popoli indigeni, le cui condizioni effettive sono anche molto diverse. Agli Stati che non vogliano applicare con serietà la Convenzione si presentano pertanto molte scappatoie per eluderne le disposizioni. Un altro punto critico è il fatto che ai popoli indigeni è sì riconosciuto il diritto ad essere consultati nei processi decisionali che li riguardano, ma non quello ad una competenza di codecisione attiva o ad un diritto di veto. Le istanze statali non indigene hanno sempre l’ultima parola; gli indigeni, cioè, dipendono ancora dalla buona volontà dei governi. Anche se il trattato sottolinea che le decisioni vanno prese «di comune accordo», si configura qui una posizione giuridica piuttosto debole. Nel 1993 anche la Germania ha rifiutato la ratifica della Convenzione OIL 169, affermando che sul territorio tedesco non vivono popoli indigeni e sostenendo che l’oggetto del trattato non la riguarda. Identica posizione ha assunto l’Italia nel Consiglio europeo del giugno 2000. In Germania, in risposta a successive interrogazioni, tale brusco rifiuto è stato in parte mitigato: secondo tale posizione, per il diritto internazionale non si potrebbe escludere un’adesione della Germania alla Convenzione, ma ciò «non avrebbe senso». Inoltre, negli ultimi anni vi sono state delle campagne realizzate da parte di organizzazioni 255
non governative e la visita della Commissione ONU per i diritti umani. Da questa prospettiva anche la Spagna si sta avvicinando all’adesione. In realtà l’adesione di numerosi Stati, soprattutto se economicamente potenti, sarebbe invece importante. Ciò risulta chiaramente considerando la duplice intenzione del trattato, destinato in primo luogo a regolare i rapporti tra Stati e popoli indigeni; ma anche a contribuire alla creazione di un elenco di norme di validità universale. Un altro argomento a favore dell’adesione di Stati senza popoli indigeni è la possibilità di un controllo reciproco tra Stati. Secondo l’articolo 22 dello Statuto OIL, infatti, gli Stati aderenti alle Convenzioni possono elevare reclami all’OIL. Sebbene non sia usuale, questo tipo di sanzione permette comunque di avvalersene per presentare petizioni ed esercitare pressioni di natura politica. Inoltre le organizzazioni non governative avrebbero la possibilità di pubblicare con regolarità rapporti sullo stato di applicazione della Convenzione. Poiché la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni finora non è stata approvata, anche se l’elaborato è stato recentemente discusso dalla Sottocommissione per l’invio dello stesso al Consiglio ONU per i diritti umani, la Convenzione OIL 169 è tuttora il più ampio e completo trattato internazionale a garanzia dei diritti dei popoli indigeni. Si tratta di un importante strumento per assicurare la sopravvivenza dei popoli indigeni di questa terra. Resta da sperare che anche altri Stati europei la ratifichino, seguendo l’esempio norvegese, danese ed olandese.
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10.1.2 Disegno di legge n. 46 Fermare lo sfruttamento dei popoli indigeni e tribali Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 169 su popoli indigeni e tribali, fatta a Ginevra il 27 giugno 1989. Art. 2. 1. Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all’articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 38 della Convenzione stessa. Art. 3. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 50.000 euro per l’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 4. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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10.2 A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa Disegno di legge n. 49 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 29 aprile 2008 Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992
10.2.1 Illustrazione La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata redatta in seno al Consiglio d’Europa e aperta alla firma a Strasburgo il 5 novembre 1992. Fino ad oggi risulta firmata da 33 Stati membri del Consiglio d’Europa, con lo scopo di tutelare le lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa che rischiano purtroppo di scomparire. Il trattato, in vigore dal 1º marzo 1998 dopo il raggiungimento delle cinque ratifiche previste, risulta ratificato solo da 23 Stati, mentre i restanti non hanno ancora avviato o esaurito le procedure allo scopo previste. Il diritto ad usare una lingua regionale e minoritaria nella vita, sia pubblica che privata, rappresenta un diritto inalienabile dell’uomo, previsto nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato e aperto alla firma a New York il 19 dicembre 1966, e reso esecutivo ai sensi della legge 25 ottobre 1977, n. 881, e in conformità anche alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848. L’Italia ha firmato il trattato sei anni fa, esattamente il 27 giugno 2000, ma non ha ancora approvato lo strumento di ratifica. Il presente disegno di legge ripropone il testo già approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati (atto Camera n. 1723, atto Senato n. 2545 – XIV 258
legislatura) e ripresentato nella XV legislatura (atto camera 201 e atto senato 1029). La Carta chiarisce quali debbano essere gli obiettivi e i princìpi ai quali gli Stati firmatari sono tenuti ad adeguare la propria politica legislativa. Prima di tutto, riconoscere le lingue regionali come espressione di ricchezza culturale; rispettare l’area geografica di ciascuna lingua regionale o minoritaria; agevolare e incoraggiare l’uso, orale e scritto, delle lingue in questione, sia nella vita privata che in quella pubblica; prevedere forme e mezzi per l’insegnamento e lo studio di queste lingue, nonché promuovere studi e ricerche nelle università o presso istituti equivalenti. Il recepimento della Carta è una delle condizioni richieste dalle istituzioni europee, segnata mente dal Consiglio d’Europa, per l’adesione di nuovi Paesi al contesto comunitario, ed è quindi opportuno che un Paese fondatore del Consiglio d’Europa, quale è l’Italia, provveda sollecitamente all’esecuzione di questo importante strumento internazionale; va dato atto peraltro che l’Italia, ancora prima di sottoscrivere la Carta nel 2000, ne aveva già dato di fatto un’attivazione sostanziale, approvando la legge 15 dicembre 1999, n. 482. Vista l’importanza del disegno di legge, ormai non più procrastinabile, auspichiamo un rapido svolgimento e la conclusione dell’iter parlamentare della presente iniziativa legislativa di ratifica.
10.2.2 Disegno di legge n. 49 A tutela delle lingue storiche regionali o minoritarie d’Europa Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992, di seguito denominata «Carta».
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Art. 2. 1. Piena ed intera esecuzione è data alla Carta, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 19 della Carta stessa. Art. 3. 1. Ai fini di quanto previsto dall’articolo 2, paragrafo 2, e dall’articolo 3, paragrafo 1, della Carta, e a decorrere dalla data di cui all’articolo 2 della presente legge, le disposizioni della Carta stessa si applicano su tutto il territorio nazionale alle lingue regionali o minoritarie di cui all’articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, nei termini indicati nell’allegato A alla presente legge. Art. 4. 1. Ai fini di quanto previsto dall’articolo 4 della Carta, sono comunque fatte salve eventuali disposizioni nazionali vigenti più favorevoli. Art. 5. 1. In attuazione dell’articolo 11, paragrafo 1, lettera a), della Carta, in occasione del prossimo rinnovo del contratto di servizio tra il Ministero delle comunicazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo sono introdotte misure dirette ad assicurare, anche attraverso l’utilizzo di frequenze dedicate, la diffusione delle lingue friulana e sarda, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Art. 6. 1. È istituita, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, la Consulta Stato-minoranze linguistiche, di seguito denominata «Consulta», composta dal presidente o dall’assessore delegato di ciascuna regione o provincia in cui risiede una minoranza linguistica riconosciuta ai sensi della legge 15 dicembre 1999, n. 482, da due rappresentanti dell’Associazione nazionale dei comuni 260
italiani e da due rappresentanti dell’Unione delle province d’Italia, scelti fra i rappresentanti degli enti che abbiano nel proprio territorio una minoranza linguistica, nonché da sei rappresentanti delle amministrazioni statali designati dal Presidente del Consiglio dei ministri, fra gli appartenenti alle amministrazioni maggiormente interessate, e da un rappresentante per ogni associazione comparativamente più rappresentativa di almeno due minoranze linguistiche riconosciute. 2. La Consulta è periodicamente convocata, almeno due volte l’anno, dal presidente della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che la presiede. 3. La Consulta esercita la vigilanza in ambito nazionale sul rispetto dei princìpi della Carta e della legislazione nazionale in materia. La Consulta propone al Governo il rapporto di cui all’articolo 15 della Carta e trasmette al Governo apposite relazioni annuali da inviare al Parlamento e ai consigli regionali delle zone di appartenenza delle singole minoranze interessate. La Consulta esprime pareri e formula proposte al Governo e alle regioni in materia di tutela delle minoranze linguistiche. Art. 7. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Allegato A (articolo 3) DISPOSIZIONI DELLA CARTA EUROPEA DELLE LINGUE REGIONALI O MINORITARIE
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Articolo 8, paragrafo 1: a(i): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; b(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene; b(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese; b(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino; b(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclusione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-provenzale, il friulano, l’occitano e il sardo; c(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene; c(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese; c(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino; c(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclusione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-provenzale, il friulano, l’occitano e il sardo; d(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene; d(ii): lingua delle popolazioni parlanti il francese; d(iii): lingua delle popolazioni parlanti il ladino; f(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; f(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo;
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h: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; i: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 9, paragrafo 1: a(i): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; a(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; a(iii): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene; a(iv): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; b(i): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige; b(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; b(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; c(i): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige; c(ii): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; c(iii): lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige; d: lingue delle popolazioni germaniche e ladine dell’Alto Adige. Articolo 9, paragrafo 2: c: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quelle parlanti il francese e il ladino.
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Articolo 10, paragrafo 1: a(i): lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; a(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; a(iii): lingue delle popolazioni slovene e di quelle parlanti il ladino; a(iv): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclusione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il franco-provenzale, il friulano, l’occitano e il sardo; b: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quelle parlanti il francese e il ladino; c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 10, paragrafo 2: a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; c: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e di quelle parlanti il francese; d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; e: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; 264
f: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 10, paragrafo 3: a: lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e di quelle parlanti il francese; b: lingue delle popolazioni slovene e di quelle parlanti il ladino. Articolo 10, paragrafo 4: a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 10, paragrafo 5: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
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Articolo 11, paragrafo 1: a(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige, slovene e di quelle parlanti il francese e il ladino; a(iii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclusione di quelle dell’Alto Adige), greche e di quelle parlanti il friulano e il sardo; b(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; c(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; e(i): lingue delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige e slovene e di quelle parlanti il francese e il ladino; e(ii): lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche (con esclusione di quelle dell’Alto Adige), greche, croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 11, paragrafo 2: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 11, paragrafo 3: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
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Articolo 12, paragrafo 1: a: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; e: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; f: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; g: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; h: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 12, paragrafo 3: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
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Articolo 13, paragrafo 1: c: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Articolo 13, paragrafo 2: a: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; b: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; c: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige; d: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo; e: lingua delle popolazioni germaniche dell’Alto Adige. Articolo 14: a: lingue delle popolazioni slovene e croate; b: lingue delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo.
10.3 Rimozione dei residuati bellici esplosivi Disegno di legge n. 632 d’iniziativa del senatore PETERLINI, comunicato alla presidenza il 22 maggio 2008 Ratifica ed esecuzione del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati
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10.3.1 Illustrazione Il presente disegno di legge autorizza la ratifica del Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi effetti indiscriminati. Il Protocollo relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V), adottato il 28 novembre 2003 in occasione della riunione degli Stati partecipanti alla Convenzione sulle armi convenzionali, prende lo spunto dalla constatazione che dopo la cessazione dei conflitti armati i residuati bellici esplosivi causano gravi problemi umanitari. Nel 2000 il Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) ha proposto di lanciare, nel quadro della Convenzione sulle armi convenzionali, un processo di negoziazione inteso a disciplinare, in modo giuridicamente vincolante, il problema dei residuati bellici esplosivi. Esso ha segnalato che le munizioni che sono state sparate ma che, contrariamente al loro scopo, non sono esplose, rappresentano una minaccia considerevole, spesso insidiosa, per le popolazioni civili. Tali munizioni mettono in pericolo, feriscono o uccidono civili ancora molto tempo dopo la fine di un conflitto armato. Questi residuati bellici esplosivi rappresentano un enorme ostacolo agli sforzi di ricostruzione e rendono più difficili la fornitura dell’aiuto umanitario e la gestione o il riassetto di superfici agricole e forestali. Trovandosi su territori che sono stati teatro di numerosi conflitti nel passato, essi impediscono il ritorno della popolazione civile che era stata costretta a fuggire. La minaccia permanente che grava sulla popolazione civile a causa dell’impiego di bombe a grappolo durante il conflitto del Kosovo nel 1999 ha suscitato numerosi appelli politici a favore di una normativa internazionale in materia. 269
Le informazioni, di vasta diffusione, sulle conseguenze dei proiettili inesplosi registrati durante i conflitti in Eritrea ed Etiopia (1998), Serbia e Montenegro (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), e infine, Libano, hanno dato ulteriore peso a tali appelli. Questo nuovo Protocollo, in vigore dal 12 novembre 2006, intende ridurre il più possibile i pericoli e gli effetti dei residuati bellici esplosivi per le popolazioni civili, soprattutto mediante rimedi da adottare dopo i conflitti. Esso prevede, per gli Stati sul cui territorio si trovano residuati bellici esplosivi, l’obbligo di bonifica del territorio e, per quelli che hanno impiegato tali munizioni esplosive, l’obbligo di contribuire alla bonifica fornendo un’assistenza tecnica, finanziaria o in termini di personale. Esso stabilisce inoltre l’obbligo di registrare e archiviare le informazioni riguardanti le munizioni esplosive impiegate e di scambiare informazioni allo scopo di facilitare la bonifica. Il Protocollo definisce infine una serie di misure per avvertire le popolazioni civili del potenziale di rischio rappresentato dai residuati bellici esplosivi e prevede un’assistenza e collaborazione a livello internazionale. Un allegato tecnico precisa i diversi obblighi da rispettare, formulando raccomandazioni che non sono giuridicamente vincolanti, e fornisce direttive generali sulla fabbricazione, la manipolazione e l’immagazzinamento delle munizioni esplosive. Il Protocollo V è compatibile con il nostro ordinamento giuridico. Sia le considerazioni umanitarie, sia l’attuale assenza nel diritto umanitario internazionale di regole pertinenti, depongono a favore di una ratifica. Nella scorsa legislatura il Parlamento italiano ha ratificato, con legge 28 aprile 2004, n. 131, la modifica all’articolo 1 della Convenzione sulla proibizione o limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate eccessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati (CCW), un atto non esaustivo ma un ulteriore e importante passo in avanti dopo l’approvazione della legge 29 ottobre 1997, n. 374, sulla messa al bando delle mine antipersona. Un percorso lungo, da fare in comune, che abbia come obiettivo la messa al ban270
do, nel mondo, di armi indiscriminate come l’ennesimo mostro bellico cluster bomb. L’Onu ha raccolto l’appello della Croce rossa internazionale per fermare la strage di civili provocata dalle bombe a grappolo. Da Ginevra, il sottosegretario generale delle Nazioni Unite con delega per gli Aiuti umanitari, Jan Egeland invoca una moratoria urgente per l’uso delle cluster bombs «fino a quando la comunità internazionale non avrà adottato effettivamente gli strumenti legali necessari a far fronte a queste preoccupazioni umanitarie». Il Protocollo V relativo ai residuati bellici esplosivi Il Protocollo V si compone di 11 articoli che definiscono regole giuridicamente vincolanti e di un cosiddetto allegato tecnico che contiene raccomandazioni riguardanti le misure preventive da adottare e le procedure ottimali da applicare. Le disposizioni giuridicamente vincolanti disciplinano i rimedi da adottare dopo i conflitti armati allo scopo di ridurre per quanto possibile i rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi. Queste misure consistono essenzialmente nella demarcazione delle zone a rischio e nella bonifica del territorio dai residuati bellici esplosivi. Esse servono pure a proteggere le popolazioni civili, singoli civili nonché le missioni e le organizzazioni umanitarie. Il Protocollo concerne principalmente i futuri residuati bellici esplosivi e invita gli Stati partecipanti a collaborare allo scopo di eliminarli. Il cosiddetto allegato tecnico contiene raccomandazioni, senza carattere giuridicamente vincolante, sulle misure preventive da prendere e le procedure ottimali da applicare. Esso si riferisce alla registrazione, all’archiviazione e alla comunicazione di informazioni, agli avvertimenti, alla sensibilizzazione, ai rischi, alla demarcazione e alla sorveglianza, come pure alla fabbricazione, alla manipolazione e all’immagazzinamento di munizioni esplosive.
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Disposizioni generali e campo d’applicazione L’articolo 1 contiene prescrizioni generali e definisce il campo d’applicazione del Protocollo. L’articolo 2 definisce le munizioni esplosive come munizioni classiche contenenti esplosivi. L’articolo 3 è relativo alla bonifica, all’eliminazione o alla distruzione dei residuati bellici esplosivi e l’articolo 4 concerne la registrazione, la conservazione e la comunicazione di informazioni che rappresentano elementi normativi essenziali del Protocollo. Gli Stati contraenti e le Parti coinvolte in un conflitto armato sono tenuti, in virtù dell’articolo 5, a prendere tutte le precauzioni possibili, sul territorio interessato che essi controllano, per proteggere la popolazione civile, singoli civili e beni di carattere civile contro i rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi e agli effetti di tali residuati. Sono considerate «precauzioni possibili» le precauzioni che sono praticabili o che a livello pratico si possono prendere tenuto conto di tutte le condizioni del momento, segnatamente delle considerazioni di ordine umanitario e militare. Si tratta degli avvertimenti, delle azioni di sensibilizzazione delle popolazioni civili ai rischi inerenti ai residuati bellici esplosivi, della demarcazione, dell’installazione di recinzioni e della sorveglianza del territorio in cui si trovano tali residuati. In virtù dell’articolo 6, le Parti devono proteggere per quanto possibile le organizzazioni e missioni umanitarie contro gli effetti dei residuati bellici esplosivi. La disposizione si riferisce alle organizzazioni e missioni umanitarie che operano o opereranno, con il consenso dello Stato partecipante, nella zona che quest’ultimo controlla. Su richiesta di un’organizzazione o di una missione umanitaria, la Parte interessata deve fornire, sempre nella misura del possibile, informazioni sull’ubicazione di tutti i residuati bellici esplosivi. L’articolo 7 concerne i residuati bellici esplosivi preesistenti, ossia le munizioni inesplose e le munizioni esplosive abbandonate che esistevano all’entrata 272
in vigore del Protocollo per lo Stato partecipante, e conferisce a ciascuno Stato partecipante il diritto di sollecitare presso altri Stati contraenti, Stati che non sono legati dal Protocollo V, come pure istituzioni e organizzazioni internazionali competenti, e di ricevere da queste un’assistenza per risolvere i problemi posti da tali residuati bellici esplosivi. Ciascuno Stato partecipante che sia in grado di farlo fornisce un’assistenza per risolvere i problemi causati dai residuati belli ci esplosivi preesistenti, secondo i bisogni e le possibilità. L’articolo 8 invita gli Stati partecipanti che sono in grado di farlo a fornire un’assistenza per la demarcazione e la bonifica, l’eliminazione o la distruzione dei residuati bellici esplosivi. Esso contiene inoltre prescrizioni sulle cure da prestare alle vittime dei residuati bellici esplosivi e l’integrazione di tali persone nonché sul loro reinserimento sociale ed economico. La disposizione lascia a ciascuno Stato il compito di giudicare, in una situazione concreta, se dispone di personale e di mezzi tecnici e finanziari necessari per fornire un’assistenza. Una simile assistenza può essere fornita mediante organismi delle Nazioni Unite, il CICR, Società nazionali della Croce rossa e della Mezzaluna rossa e la loro Federazione internazionale, ma anche mediante organizzazioni non governative o a livello bilaterale. Inoltre, ciascuno Stato partecipante ha il diritto di prendere parte a uno scambio più ampio possibile di equipaggiamenti, materiale e informazioni scientifiche e tecniche. Sono tuttavia eccettuate le tecnologie legate all’armamento. Gli Stati partecipanti si impegnano inoltre a fornire alle banche dati dell’azione di lotta contro le mine informazioni concernenti i diversi mezzi e tecniche di rimozione dei residuati bellici esplosivi nonché elenchi di esperti, organismi specializzati o centri nazionali per la bonifica. Le domande d’assistenza possono essere presentate mediante il sistema delle Nazioni Unite, il quale può pure prestare il suo sostegno per valutare la situazione e raccomandare l’assistenza che è opportuno fornire. Nel caso delle domande indirizzate
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alle Nazioni Unite, il Segretario generale dell’Organizzazione può procedere a una valutazione dei bisogni. L’articolo 9 e la terza parte dell’allegato tecnico ad esso relativo, concernono misure preventive generali e invitano gli Stati partecipanti a prendere simili misure allo scopo di ridurre per quanto possibile l’apparizione di residuati bellici esplosivi. Secondo l’articolo 10, è possibile convocare una conferenza degli Stati partecipanti per dibattere qualsiasi questione concernente il funzionamento del Protocollo. È tuttavia necessaria l’approvazione di una maggioranza di almeno 18 Stati partecipanti. La conferenza degli Stati partecipanti è autorizzata a verificare lo stato e il funzionamento del Protocollo, a esaminare le questioni concernenti l’applicazione nazionale del Protocollo, compresa la presentazione o l’aggiornamento di rapporti nazionali annuali, e a preparare le conferenze di revisione. In virtù dell’articolo 11, ciascuno Stato partecipante è tenuto a chiedere alle proprie forze armate e alle autorità o servizi interessati di stabilire istruzioni e modalità operative appropriate e di vigilare affinché il loro personale riceva una formazione conforme alle disposizioni pertinenti del Protocollo. Gli Stati partecipanti si impegnano inoltre a consultarsi e a cooperare tra di loro a livello bilaterale, per il tramite del Segretario generale delle Nazioni Unite, o seguendo altre procedure internazionali appropriate, allo scopo di risolvere i problemi che possano emergere a proposito dell’interpretazione e dell’applicazione del Protocollo. Conformemente all’articolo 5, paragrafi 3 e 4, della Convenzione sulle armi convenzionali del 10 ottobre 1980 (ratificata ai sensi della legge 14 dicembre 1994, n. 715), ogni nuovo Protocollo entra in vigore sei mesi dopo la data in cui venti Stati avranno notificato il loro consenso ad essere legati da tale Protocollo. Per ogni Stato che notifica il suo consenso quando venti Stati l’hanno già fatto, il Protocollo entra in vigore sei mesi dopo la data della sua notifica.
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10.3.2 Disegno di legge n. 632 Rimozione dei residuati bellici esplosivi Art. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare il Protocollo del 28 novembre 2003 relativo ai residuati bellici esplosivi (Protocollo V) allegato alla Convenzione del 10 ottobre 1980 sulla proibizione o la limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono essere considerate dannose o avere effetti indiscriminati, ratificata ai sensi della legge 14 dicembre 1994, n.715. Art. 2. 1. Piena ed intera esecuzione è data al Protocollo di cui all’articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 8 della Convenzione del 10 ottobre del 1980. Art. 3. 1. All’onere derivante dall’attuazione della presente legge, valutato in 50.000 euro per l’anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008 – 2010, nell’ambito del «Fondo speciale» di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al medesimo Ministero. 2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 4. 1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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