Speciale Africa
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Mensile di informazione, politica e cultura dell’Associazione Luciana FIttaioli - Anno I, n. 4 - Foligno, dicembre 2009
pagine di inserto
Grazie I
l coraggio e la professionalità a volte vengono premiati. Grazie. Il gradimento che il numero di novembre ha incontrato lo deduciamo non certamente dai risultati delle vendite (trattandosi di una pubblicazione gratuita), ma dal numero dei cittadini che ci stanno chiedendo di poter partecipare all’iniziativa offrendo il loro contributo di conoscenze, competenze, idee e proposte. Per dare loro la massima accoglienza possibile abbiamo perciò deciso di portare a 12 le pagine del periodico (oltre l’inserto), aggiungendo nuove tematiche secondo le sollecitazioni che ci sono giunte dai lettori. Dobbiamo però precisare che questo “più corposo” numero di dicembre costituisce un esperimento “una tantum”, una specie di regalo di fine d’anno che ci siamo fatti e che offriamo alla condivisione dei nostri lettori. La scelta della gratuità della pubblicazione richiede un forte impegno volontaristico di tempo e di denaro sottratto alla vita quotidiana che “in pochi” non è facile da sostenere. Un “organizzatore culturale”, così come abbiamo voluto immaginare il nostro periodico, anche se fermamente ancorato all’ideologia politica e culturale della sua Associazione ispiratrice, per essere veramente tale deve divenire patrimonio condiviso dei/con i propri lettori. Abbiamo perciò deciso di convocare all’inizio nel nuovo anno una riunione aperta a tutti coloro che desiderino concorrere a dare vita ad un organismo di redazione che, moltiplicando “teste e mani”, non ponga limiti alla crescita qualitativa a quantitativa del periodico. In attesa di riattivare il sito internet, momentaneamente sospeso per l’insufficienza di “teste e mani”, invitiamo chiunque sia interessato a partecipare alla riunione a comunicare i propri recapiti email o telefonici all’indirizzo postale elettronico associazionefittaioli@yahoo.it.
La montagna di Foligno
Le radici e la via per lo sviluppo futuro della nostra città ELIO GRAZIOSI Parlare di montagna equivale ad affrontare i nodi della nostra stessa identità di folignati. La montagna è da sempre la porta di accesso alla città, la via attraverso la quale sono giunti a noi gli stimoli più fecondi per la nostra civiltà, la nostra economia, il nostro sviluppo. E’ stata - la montagna - la via di accesso dal mare, dagli Appennini e dall’Europa dell’Est. I papi e gli imperatori, i signori e i pellegrini, i mercanti e gli eserciti, perfino i grandi viaggiatori che seguivano il gran tour, per
giungere sino a noi, hanno dovuto attraversare l’Altopiano e l’Appennino: hanno dovuto seguire le rotte che da sempre riuniscono Tirreno e Adriatico, collegano Roma con Ancona. Le vie che fanno di Foligno quel fondamentale crocevia di tutte le strade dell’Umbria. Le vie che passano, per il versante Nord, proprio dalla montagna. La via romana prima, e lauretana poi, costituiscono per Foligno il millenario contrappeso antropologico, culturale ed economico, ai baricentri di potere di provenienza extra territoriale. Foligno, città non tanto commerciale quanto
All’interno “Vox populi” non è sempre “vox dei”
pag. 2
Testamento biologico, governare la nostra vita
pag. 3
Il “fegato grasso” non è una malattia
pag. 4
Il nostro olio è tra i migliori dell’Umbria
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Verso il congresso della Cgil
pag. 6-7
Linux, Ubuntu: il successo dell’open source
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El Salvador, la rinascita di uno stato
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Più trasparenza con l’Albo Pretorio “on line”
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Gli appuntamenti natalizi a Foligno e dintorni
pag. 11
Ciao Diego
pag. 12
La redazione di Piazza del Grano augura Buon Anno ai lettori
mercantile, ha sempre guardato alla montagna, alle Marche, al corridoio dei Balcani, più che preoccuparsi di fare affari con gli altri centri regionali: e questo, a iniziare da Perugia, in fondo da sempre snobbata, quando non subìta, perché non in linea con la sua identità e con le sue radici. Radici che per Foligno sono umbre e non etrusche. E certamente non solo romane: ma preromane: Plestine. Da questa premessa si capisce, come sia superato da tempo, dannoso, improponibile ormai un modo di fare politica e di progettare sviluppo in termini dicotomici e antitetici. Continuare oggi a parlare in termini di opposizione tra la montagna e la città; parlare di “noi e voi”, di “lassù e quaggiù” e di “vicino e lontano”. E di come sia giunto il momento, improrogabile, di ragionare in termini d’identità e coesione. Specie alla vigilia di quella rivoluzione che sta per riportare prepotentemente alla ribalta il territorio montano, alla vigilia delle grandi opere che ne comporteranno lo stravolgimento (in senso positivo se ben gestite), più che la trasformazione. In questa ottica unitaria, comunitaria, globale, europea, andranno affrontati insieme, montagna e pianura, gli impegni che ci attendono per il compimento delle grandi opere. Infrastrutture la cui realizzazione porterà alla monta-
gna vantaggi e disagi e che alla città recherà essenzialmente solo grandi vantaggi. Laddove la montagna se ne deve far carico in vista di un feed back positivo per tutti, è ovvio che la città è chiamata a fornire un supporto doveroso, come non ha mai fatto prima. Per questo è obbligo morale, civile, politico e sociale, da parte di tutte le istituzioni e di tutti i cittadini, contribuire a questo comune percorso di arricchimento. Sostenere questo processo con coerenza e con un contributo fattivo, sia che si risieda in pianura, sia che si viva sopra i 600 metri. Le grandi opere da realizzarsi nel prossimo decennio, a iniziare dalla trasformazione della SS 77 a quattro corsie, al metanodotto internazionale, alla installazione di pale per l’energia eolica, dovranno attivare processi di sviluppo nuovi e positivi. Seguire quella via battuta negli ultimi dieci anni con i cambiamenti causati dalla ricostruzione per il terremoto del 1997, e incrementare le modifiche che hanno soprattutto inteso riqualificare le opere d’arte, i centri abitati e la viabilità. Non dobbiamo farci trovare impreparati. Dobbiamo far sì che tutta la città senta come proprie le eccellenze della sua parte montana; che si riappropri del suo ambiente, della storia e delle produzioni agroalimentari; che torni a valorizzarli anche attraverso
un processo turistico integrato, e preservarli come un bene di tutta la società. Coloro che abitano la Foligno d’altura, coloro che abbiamo chiamato sempre, per comodità, la gente della montagna, quando sono stati chiamati a sostenere le istituzioni centrali, gli amministratori che siedono in pianura come in Regione, hanno sempre fatto la loro parte. Senza risparmiarsi mai. Lo sanno bene gli esponenti dei governi locali, che tanta pazienza e tanta fiducia hanno chiesto e ottenuto a gente provata da un sisma e da una ricostruzione vissuta sulla propria pelle, non certo da spettatori. E’ ora che a costoro la loro città torni a dare quanto concordato: le opportunità di crescita e la partecipazione. La nostra gente non deve essere spettatrice passiva, ma deve essere aiutata a restare nei luoghi d’origine e a investire nel territorio d’altura. In poche parole, occorre darsi una mossa. Come? Semplice. Occorre che gli amministrazioni locali, forti del supporto coraggioso e leale sinora ottenuto dai nostri “montanari”, si facciano carico finalmente di tener fede alla parola data. Occorre che investano davvero. Per istituire nuovi servizi, per lanciare agevolazioni fiscali ai cittadini e alle imprese, per tornare ad investire ed operare nella Foligno di montagna.
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Leggi e diritti
La scelta “circolare” del sistema democratico delineato dalla Costituzione Repubblicana
Democrazia “riflessiva” “vox populi” non sempre è “vox dei” SANDRO RIDOLFI Non tutte le dittature nascono da colpi di Stato di minoranze che si impossessano del potere facendo ricorso alla forza ed alla violenza delle armi. Molte dittature sono nate da un consenso popolare a volte plebiscitario. Dal consenso popolare è nato il nazismo tedesco e in forza dello stesso consenso popolare si è consolidato il fascismo italiano che in un primo tempo era asceso al potere con una manifestazione di forza da operetta risultata vincente solo per la connivenza dei re Savoia. I nostri costituenti, forti di quegli “insegnamenti” all’epoca assai recenti, hanno voluto improntare il nostro sistema di governo democratico ad un percorso di affermazione delle volontà popolare, che comunque resta il cardine di ogni democrazia, non immediato, istantaneo, ma soggetto ad un periodo di consolidamento “riflessivo”. Fermo restando il principio della divisione tra i tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, i nostri costituenti hanno preferi-
to ad un sistema triangolare (potere legislativo al vertice e poteri esecutivo e giudiziario ai lati), un sistema per così dire “circolare” nel quale i tre poteri fossero costantemente obbligati a confrontarsi e coordinarsi senza che nessuno dei tre potesse avere una prevalenza assoluta sugli altri. Per giungere a tale risultato i Costituenti hanno previsto nella nostra Costituzione cinque organi di rango costituzionale, di pari grado e dignità seppure, ovviamente, con differenti funzioni, ma tutti in qualche modo intersecati ed interdipendenti tra di loro. Alla base resta confermato il potere legislativo affidato al Parlamento di elezione diretta popolare, volutamente composto da due rami dotati di uguali funzioni e poteri in modo che il percorso di creazione delle leggi sia soggetto ad un doppio vaglio: la legge approvata da un ramo deve essere confermata con l’approvazione da parte dell’altro ramo prima di essere inviata al Presidente della Repubblica che esegue un ulteriore vaglio di legittimità prima di pubblicarla
o, se non la ritiene “corretta”, rinviarla al Parlamento per una seconda votazione all’esito della/delle quali, comunque, sarà obbligato a pubblicarla. È il Parlamento, in carica
non sia più in grado di esprimere un governo (ipotesi innumerevoli volte verificatasi), oppure si sia discostato dal “sentimento” popolare del quale il Presidente della Repub-
per cinque anni, ad eleggere il Presidente della Repubblica, con mandato di sette anni, il quale ultimo, tra gli altri poteri ha quello di sciogliere lo stesso Parlamento che lo ha nominato quando questo
blica è interprete e custode (ipotesi questa mai verificatasi). Spetta al Presidente della Repubblica designare il Primo Ministro conferendogli il mandato per la formazione del Governo.
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Il Governo così costituito, tuttavia, per entrare in carica dove ricevere la fiducia del Parlamento. Il Primo Ministro nel nostro sistema costituzionale non ha dunque legittimazione popolare diretta, quand’anche con l’attuale sistema elettorale ne sia obbligatoria la indicazione come leader di schieramento, ma dipende sempre dalla designazione del Presidente della Repubblica e dalla approvazione del Parlamento che possono, ambedue, anche discostarsi dalle indicazioni elettorali non vincolanti. Il potere giudiziario, in quanto potere autonomo, è dotato di un proprio organo di autogoverno indipendente sia dal potere legislativo che da quello esecutivo: il Consiglio Superiore della Magistratura. Quest’organo di rango costituzionale, composto da 21 membri, designati per i due terzi dalla stessa magistratura (ordinaria, amministrativa e contabile) e per il residuo terzo dal Parlamento; è presieduto dal Presidente della Repubblica ed il vice Presidente è scelto tra i componenti designati dal Parlamento. Infine la Corte Costituzionale, alla quale è demandato il compito di vigilare sulla conformità alla Carta Costituzionale delle leggi ordinarie approvate dal Parlamento. Autonoma ed indipendente dai tre poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, è composta da 15 membri
un terzo dei quali eletti dalla magistratura, un terzo dal Parlamento ed un terzo designati dal Presidente della Repubblica. La Corte Costituzionale elegge al suo interno il Presidente secondo ordine di anzianità di nomina. Questo sistema, solo apparentemente “macchinoso” ma del tutto logico e lineare, garantisce l’obiettivo fondamentale perseguito dai costituenti: laddove una volontà popolare, anche ampia o persino plebiscitaria, esprima, ad esito elettorale democratico, un Parlamento fortemente maggioritario, perché le conseguenze operative di tale “vox populi” si estendano all’intero sistema costituzionale occorre attendere la scadenza ed il rinnovo dei singoli mandati: del Presidente della Repubblica, dei componenti di nomina parlamentare del Consiglio Superiore della Magistratura, dei componenti, sia di nomina parlamentare che di designazione presidenziale, della Corte Costituzionale. Questo spazio di tempo costituisce la garanzia di un reale consolidamento della nuova volontà popolare, uno spazio di “riflessione” che obbliga i nuovi rappresentanti maggioritari del popolo a dimostrare ai propri elettori/mandanti la validità e la serietà delle promesse elettorali e, nel frattempo, li costringe comunque a dialogare con la minoranza, qualunque ne sia la composizione e la dimensione.
Bancomat e carte di credito Conciliazione a 360 gradi Un “faro” sul servizio, attivato un numero verde
Un’alternativa per la conclusione di milioni di cause pendenti
ROBERTO FRANCESCHI
MARCO MARIANI
Bancomat e carta di credito consentono di effettuare prelievi in contanti ed acquisti in tutto il mondo liberandoti dalla necessità di portare con te contanti ed affrontare imprevisti. Sono necessarie complesse tecnologie informatiche, ma che sono alla base del funzionamento e soprattutto della sicurezza dei servizi offerti. Lasciamo alle banche il maggiore impegno nel perfezionare efficienza e sicurezza, non dimenticando inoltre che le casistiche in cui non ci sia una copertura assicurativa che consenta il rimborso di eventuali frodi subite,si limita a casistiche che possiamo considerare marginali o che siano state perpetrate con la complicità, magari inconsapevole dell' utente (ad esempio comunicando codici segreti o chiavi di accesso a terzi!) Affrontiamo pertanto il problema della sicurezza nei comportamenti dell'utente quasi sempre più che sufficienti a tenersi fuori da brutte esperienze. Password, codici, carte, chiavi di accesso, sono personali e riservate e mai la tua banca telefonicamente, via e-mail o sms chiederà di fornirle direttamente questi dati. Pertanto la loro custodia dovrà essere assoluta. Inoltre tutti gli utilizzi delle carte
In attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009 n. 69, anche al fine di attuare le direttiva del Parlamento Europeo, il governo ha approvato il 28 ottobre 2009 lo schema del D.Lgs recante la disciplina della “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”. Si tratta dell’ennesimo tentativo di introdurre sistemi deflativi e alternati al processo dinanzi al giudice civile sulla scorta del dato statistico che vede circa 5 milioni di cause civili pendenti nel nostro paese che rischiano di far “fallire” la giustizia. Il testo licenziato e naturalmente suscettibile di modificazioni in sede di espressione del parere delle Camere, pone al centro del sistema il ruolo degli organismi di conciliazione istituite dagli ordini professionali e presso le Camere di commercio, disponendo che chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale su diritti disponibili. Nell’espressione di un favor alla conciliazione fuori dalla sedi dei tribunali viene previsto persino che l’avvocato, nel primo colloquio con l’assistito è tenuto, a pena di nullità del contratto concluso con l’assistito, a informarlo per iscritto, con documento da allegare al-
possono essere collegati gratuitamente sul proprio cellulare per riscontrare in tempo reale le proprie spese, oltre alla possibilità di essere contattati direttamente dal fornitore del servizio che e' in grado di valutare particolari casistiche anomale (una carta che improvvisamente effettua spese con grandi importi, ripetitivi o effettuati su paesi a rischio o in contemporanea su più località). Il controllo degli estratti conto deve essere effettuato con regolarità (facendo attenzione anche ad importi a volte modesti, e' una tecnica molto utilizzata, confidando sul fatto di non dare grande importanza a piccole spese che non si ricordano). Il controllo inoltre può essere eseguito sempre via e-mail, in tempo reale, senza attendere l'invio cartaceo, risparmiando inoltre in maniera significativa costi aggiuntivi di spedizione. Teniamo inoltre a disposizione numeri telefonici ver-
di che immediatamente sono in grado di bloccare nelle 24ore da ogni parte del mondo carta di credito o bancomat ad esempio in caso di furto. Un' ultima raccomandazione ,valutate la vostra banca anche da piccole cose : nella chiarezza di spiegazioni del servizio offerto , nei consigli utili e pratici che può fornirvi ed in particolare nella assistenza che vi fornirà in caso di imprevisti. Vi fornisco inoltre una notizia utile: il servizio FARO con una telefonata gratuita al n. 800002266 entro pochi secondi vi fornisce il bancomat funzionante più vicino 7 giorni su sette , 24 ore su 24 fornendo il percorso migliore per raggiungerlo a piedi o in auto (ho provato personalmente a chiamare di domenica alle 10,56 e sono rimasto stupito dalla cortesia velocità ed efficienza del servizio, anche con un sms indicante il percorso). Buone spese.
l’atto introduttivo dell’eventuale giudizio, della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione. Vieppiù l’esperimento del procedimento di mediazione diventa condizione di procedibilità per una serie di controversie in materia di: condominio, diritti reali, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda; risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, diffamazione a mezzo stampa, contratti assicurativi, bancari e finanziari. La norma poi precisa la esclusione di una serie di specifiche azioni. La presentazione della domanda di mediazione avviene con il deposito di un’istanza ad un organismo di conciliazione iscritto nell’istituendo registro presso il Ministero della Giustizia e viene portata a conoscenza delle altre parti. Il mediatore inve-
stito della controversia si adopera affinché le parti raggiungono un accordo amichevole. Nel caso di insuccesso di tale tentativo il mediatore formula alle parti una proposta per iscritto, che le parti possono accettare entro sette giorni; in mancanza la proposta si ha per rifiutata. Se viene raggiunto l’accordo amichevole o tutte le parti aderiscono alla proposta si forma processo verbale di conciliazione che viene poi omologato dal Presidente del Tribunale e diventa titolo esecutivo. Se non viene raggiunta la conciliazione la parte che ha rifiutato la proposta, anche se vittoriosa avanti al Giudice, ove non gli sia riconosciuto più di quanto già offertogli in sede di conciliazione, non ha diritto alle spese successive ed è condannata al rimborso delle spese della parte soccombente.
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Il testamento biologico
Ognuno ha il diritto di governare liberamente la propria vita e dunque in determinate condizioni, anche il tempo del morire LUIGI NAPOLITANO Questa definizione individua il documento con cui un soggetto, per l'eventualità che venga ad essere affetto da una malattia allo stadio terminale o da una lesione traumatica cerebrale invalidante e irreversibile e in previsione della sua futura incapacità, detta disposizioni inerenti alle cure mediche cui intende o non sottoporsi. Dette disposizioni sono revocabili anche parzialmente in qualunque momento. L’argomento, fortemente proiettato nel sociale, affronta un tema difficile e per molti versi doloroso. Ben poche sono, infatti, le persone a cui è stato risparmiato il dolore di vedere un proprio caro, parente o amico sottoposto a cure lunghe, intrusive, dolorose che possono alla fine rivelarsi inutili e di provare di fronte a tale strazio un sentimento di impotenza e di chiedersi se, davvero, l'ultimo compito della medicina sia quello di tentare l'impossibile, costi quel che costi e non piuttosto quello di accompagnare la persona malata fino
alla fine evitandole inutili sofferenze. Sull'onda emotiva di siffatte situazioni, nel comune sentire si è manifestata sempre più l'esigenza di affrontare il proprio possibile futuro e di poter decidere, finché capaci e lucidi, della propria vita, della propria salute e da ultimo della propria morte. Sembra opportuno stabilire se è un diritto della persona, quando è nel pieno possesso delle sue facoltà decidere, in previsione di malattie gravissime, fino a che punto vuole essere curata e fino a che punto sia disposta a soffrire per inseguire una speranza. Manca nella nostra legislazione una specifica normativa. Gli operatori del diritto hanno ritenuto possibile redigere il testamento biologico in base alla legge che ha ratificato la Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina di Oviedo del 1997, al parere del Comitato Nazionale per la Bioetica e agli articoli 2 (garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo) - 13 (inviolabilità della libertà personale) e 32 (tutela della salute) della nostra Costituzione.
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Cultura/e
Particolare rilevanza assume, in tale contesto, il disposto del secondo comma di tale ultimo articolo secondo cui “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Uno dei problemi che pone la redazione del testamento biologico riguarda il valore vincolante di una volontà espressa in modo cosciente anticipatamente rispetto al momento in cui essa produrrà i suoi effetti in quanto, il consenso prestato, è privo del requisito dell'attualità. Nessuno è in grado di verificare se il suo contenuto corrisponde all'effettiva volontà del paziente nel momento in cui va attuato. Diverso è il caso in cui la patologia che provoca l'incapacità è conseguenza del progressivo sviluppo di una malattia degenerativa rispetto a quello in cui la causa è un evento accidentale. Nel primo caso, esiste la consapevolezza del soggetto del decorso della ma-
lattia; nel secondo si ha una condizione di “ignoranza diagnostica” stante il momento in cui la volontà è stata espressa. Al fine di uscire dal limbo giuridico nel quale, di fatto, ci troviamo e di evitare il ripetersi di tristissime vicende di cui è ancora forte l’eco, è auspicabile che il legislatore promulghi una legge, non sull'onda emotiva di accadimenti e pressioni che per la loro particolarità possano condizionare le scelte; che questa legge sia ampiamente condivisa e duratura e che, nel rispetto della libertà di ciascuno, in quanto non offensiva dei diritti altrui, riconoscendo una anticipata capacità anche ai minori, dia prevalenza all'autodeterminazione e, rispettando sia i principi costituzionali della dignità della persona che le convinzioni personali dei medici, porti al riconoscimento del diritto di rifiutare determinate cure in previsione di un futuro stato di incapacità, al rispetto della volontà di ciascuno di governare liberamente la propria vita e dunque, in determinate condizioni, anche il tempo del morire.
Paint it, black Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones Rolling Stones - 1966 Vedo una porta rossa e la voglio pitturarla di nero Mai più colori voglio che diventi tutto nero Vedo le ragazze vestite con i loro vestiti estivi Devo voltare la testa finché l’oscurità dentro me se ne va Vedo una fila di auto e sono tutte dipinte di nero Con fiori e il mio amore, entrambi non torneranno Vedo gente voltare la testa e guardare velocemente lontano come un bambino appena nato, questo succede ogni giorno Guardo dentro di me e vedo il mio cuore nero Vedo la mia porta rossa, devo averla pitturata di nero Forse dopo sparisco cosi non devo guardare in faccia il fatto Non é facile stare a testa alta quando tutto il mondo é nero Mai più il mio mare verde tornerà di un profondo blu non potevo prevedere questa cosa che ti sta capitando Se guardo fisso il tramonto il mio amore riderà con me prima che arrivi mattino Vedo una porta rossa e voglio pitturarla di nero Mai più colori voglio che diventi tutto nero Vedo le ragazze vestite con i loro vestiti estivi Devo voltare la testa finché l’oscurità dentro me se ne va voglio vederlo pitturato, pitturato di nero nero come la notte, nero come il carbone Voglio vedere il sole cancellato dal cielo Voglio vederlo pitturato di nero pitturato, pitturato, pitturato di nero
La Regione Umbria ha approvato il corso di formazione presentato dal Teatro Lirico Sperimentale “A. Belli” di Spoleto
Progetto RealityOpera© Tra realtà, reality e impegno sociale CLAUDIO LEPORE Nei mesi scorsi il progetto RealityOpera© 2009-2011, presentato dall’Istituzione Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli”, è stato approvato dalla Regione Umbria Assessorato alle Politiche Sociali, Abitative e alle Politiche Giovanili, nell’ambito dell’Accordo di programma quadro in materia di politiche giovanili “I Giovani sono il presente”. Il progetto, dal carattere essenzialmente sociale e legato al teatro musicale, prevede un’articolata attività biennale rivolta ai giovani. I giovani dell’Umbria tra i quattordici e i trenta anni saranno chiamati ad elaborare, attraverso un apposito concorso, testi poetici o in prosa con l’obbligo di ispirarsi a tre temi di attualità predefiniti dal Teatro Lirico Sperimentale: “Gomorra” di Roberto Saviano: la denuncia di un sistema La strage alla Thyssenkrupp: quale lavoro per quale dignità umana? “L’isola dei famosi”: realtà e reality, quale cultura? I tre testi selezionati nel 2010 saranno affidati a tre compositori affermati che dovranno comporre la par-
titura musicale tenendo conto che oltre alla strumentazione classica tradizionale dovrà essere ricompresa tra gli strumentisti anche la presenza di una band giovanile umbra (anch’essa selezionata su audizioni). Le pièce di teatro musicale (melologhi) saranno successivamente messe in scena a Spoleto nel marzo/aprile 2011. Tra gli interpreti, oltre a cantanti del Teatro Lirico Sperimentale, saranno selezionati alcuni giovani per le parti recitate, non necessariamente attori già affermati. L’obiettivo del progetto non è unicamente quello di produrre spettacoli ispirati alla contemporaneità, ma è anche quello di contribuire alla formazione dei giovani partendo dal loro contesto scolastico / universitario avvicinandoli in modo innovativo al teatro musicale, rendendoli cioè protagonisti dell’attività di creazione e produzione di uno spettacolo. Partendo da esigenze particolarmente sentite dalle nuove generazioni (lo dimostrano il successo di trasmissioni televisive volte a far debuttare i giovani nell’ambito dello spettaco-
lo) si intende avvicinare i giovani alla pratica del teatro musicale, inteso come occasione unica di condivisione di idee e spazi. I giovani diventano soggetti attivi di una “riflessione” sulla contemporaneità con argomenti forti e dramma-
tici quali proprio la denuncia di Roberto Saviano con il libro “Gomorra” o la tragedia di Torino alla Thyssenkrupp. Ma anche il terzo soggetto proposto, apparentemente più “debole” (se confrontato agli altri due temi proposti), cioè
“L’isola dei Famosi”, si può trasformare in una riflessione ad ampio raggio, profonda sulla realtà dei media e sulla cultura del nostro tempo. Altro obiettivo del progetto è quello di offrire ai giovani la possibilità di esprimersi attraverso un linguaggio (quello del teatro musicale) che si ritiene ancora vivo e capace di trasmettere insegnamento e cultura. Partendo infatti da tematiche attuali e vicine ai giovani si offre loro la possibilità di diffondere il proprio messaggio. La pratica dell’espressione teatrale, che richiede per definizione una partecipazione “corale”, favorirà senza dubbio lo sviluppo della socialità intesa anche come superamento delle barriere culturali (il progetto è esteso anche a giovani stranieri che vivono in Umbria). Il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli”, antica Istituzione musicale fondata nel 1947 che ha come scopo primario quello di lanciare giovani cantanti lirici attraverso la Stagione Lirica che si svolge annualmente a Spoleto e in Umbria, non è nuovo a frequentazioni nel contemporaneo e nel sociale.
Come infatti non ricordare il Concorso Internazionale “Orpheus” per Nuove Opere di Teatro Musicale da Camera fondato da Luciano Berio e la messa in scena di pièce di teatro musicale con importanti protagonisti del teatro italiano e internazionale quali Luca Ronconi (“Anacleto Morones” 1994), Leo De Berardinis (“Prova di Don Giovanni” 1995), Daniele Abbabo (“Dokumentation I” 1996), Pippo Delbono (“Obra Maestra” 2007). Per il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A.Belli” la contemporaneità è essenziale e così anche la contaminazione dei linguaggi espressivi e musicali. I bandi di Concorso possono essere richiesti a: Istituzione Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli” Sede legale: Piazza G. Bovio, 1 - 06049 Spoleto (PG) Sede operativa: Piazza Garibaldi, ex Caserma Minervio – 06049 Spoleto (PG) Tel. 0743.220440 / 0743.221645 Fax 0743.222930 - E-mail: teatrolirico@tls-belli.it I bandi sono anche consultabili nel sito: www.tls-belli.it
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Salute
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Suggerimenti per un’alimentazione corretta: fa bene la dieta mediterranea
Il “fegato grasso” non è una malattia PARIDE TRAMPETTI
Spesso molta è la confusione su quali alimenti fanno male al nostro fegato. Spesso si dice “non posso mangiare le uova perché ho il mal di fegato”; spesso si accusano “dolori dalla parte del fegato”. Concetti sbagliati. Le uova se cotte e mangiate con moderazione, non fanno male al fegato, inoltre il fegato difficilmente determina dolori addominali. In genere è sufficiente “mangiare bene”, in maniera corretta per evitare molte patologie del fegato. Come alimentarsi correttamente per non far ammalare il proprio fegato. In linea di massima la dieta mediterranea è valida per mantenere la salute del fegato. Una delle patologie più frequenti riscontrate nelle regioni più “evolute” è la steatosi epatica, il riscontro di fegato grasso. I due fattori principali che causano fegato grasso sono:
l’abuso di bevande alcoliche e l’alimentazione non corretta che determina sovrappeso e obesità. La steatosi epatica (fegato grasso) non è una vera e propria malattia, perché solo una piccola parte delle persone che la presentano vanno incontro ad evoluzione e a gravi conseguenze (cirrosi), ma è una condizione patologica che denota una alimentazione scorretta. La steatosi porta ad un ingrossamento del fegato, che può a volte essere dolente, è visibile alla ecografia e, in alcuni casi, può portare ad alterazioni degli esami di funzionalità epatica (transaminasi e gamma-gt). Il fegato grasso è un fegato che non lavora bene, sempre sotto sforzo, come ingolfato, a cui si può rimediare tramite una corretta dieta. Cosa significa avere una alimentazione corretta. In linea di massima occorre, oltre che cercare di restare in forma e quindi avere sempre un occhio alla bilancia e ri-
durre le calorie introdotte se necessario (ricordiamoci che con attività motoria scarsa o moderata, non dovrebbero essere introdotte più di 2500-2700 calorie quotidiane per un uomo adulto di età e peso medio e, per la donna adulta non in gravidanza, circa 500 calorie in meno), anche rispettare alcune regole fondamentali: - se si può bere alcolici, cioè se non si è affetti da malattie del fegato, occorre moderare il bere: la quantità ideale, non a rischio, non dovrebbe superare i 30 grammi, l’equivalente di un paio di bicchieri di vino a gradazione media, consumati preferenzialmente durante i pasti; - introdurre sempre una dieta equilibrata, composta per la maggior parte (60-65% delle calorie introdotte) da carboidrati (cioè pasta, pane, cereali, patate, legumi), anche se mai in eccesso (mai più di 70-80 grammi di pasta al giorno e non più di due panini al giorno), poi da lipidi (cioè grassi: olio, formaggi,
latticini, etc.) per il 20% circa delle calorie introdotte ed infine proteine (cioè carne, preferibilmente bianca, o meglio pesce o legumi) per il 15% delle calorie introdotte; - consumare tutti i giorni almeno due porzioni di verdure, possibilmente fresche, e due o tre frutti; - evitare gli zuccheri semplici (dolci di varia natura, eccesso di bevande zuccherate, caramelle, cioccolatini, etc.); - evitare il più possibile grassi saturi (formaggi di ogni tipo, insaccati, dolci al cucchiaio, condimenti vari, frutta secca, etc.); - non consumare mai più di 3 cucchiai di olio al giorno (va bene che l’olio d’oliva fa bene, ma non esagerate!). Idealmente dovrebbe consumarsi una miscela fatta da 2/3 di olio di oliva extravergine ed 1/3 di olio di semi; - bere molta acqua (almeno 1 litro e mezzo di acqua fuori dai pasti) e fare almeno 4 o addirittura 5 piccoli
pasti al giorno, evitando gli snack ed i panini. La cosa migliore comunque, per poter modificare le abitudini alimentari, è sempre "personalizzare la dieta" e quindi rivolgersi al proprio medico curante e farsi consigliare eventualmente dagli specialisti del settore (Dietologi e Dietisti). Infine, quando il fegato è già ammalato, cioè se si è affetti da epatiti croniche o da cirrosi o da altre malattie epatiche
più rare, occorre sempre tener presente che, molto spesso, si è in una condizione di malnutrizione (spesso di carenza proteica e/o vitaminica) e quindi i consigli dietetici, oltre alla assoluta astensione dall’alcool che, come sapete, in Italia è la seconda causa di malattie epatiche gravi (cirrosi), dovranno essere assolutamente personalizzati e valutati dagli specialisti (in questo caso Gastroenterologi o Epatologi).
Medico-paziente: l’informazione obbligo di un rapporto corretto
Afam S.p.A. conferma l’impegno nella prevenzione al servizio della comunità
Il paziente deve poter valutare rischi e conseguenze di un trattamento al fine di decidere, con adeguata cognizione, se sottoporvisi o meno
Il progetto “Prevedi” in convenzione con la Croce Rossa e in collaborazione con l’Istituto Tumori di Milano
LORENZO BATTISTI
ALESSANDRO D’INGECCO
Nel nostro ordinamento sussiste un’ampia tutela dei diritti della personalità, tra i quali è ricompreso il diritto alla salute, garantito dall’art.32 della Costituzione. In più occasioni, in particolar modo negli ultimi tempi, dottrina e giurisprudenza hanno esaminato le caratteristiche del diritto alla salute anche come diritto di libertà, esaltando proprio quell’autodeterminazione che, nell’accezione più ampia del termine, deve essere intesa come libertà di effettuare le proprie scelte in campo medico nella piena consapevolezza della propria condizione psico-fisica. Come è noto la tutela della salute individuale si fonda sulla regola della volontarietà dei trattamenti sanitari, il cui risvolto «negativo» comprende il diritto di ammalarsi e di rifiutare le cure (o di interromperle), quindi la facoltà di scegliere se, quando e come curarsi. Di esprimere, cioè, un consenso (o un dissenso). A carico del medico sussiste, pertanto, l’obbligo di fornire al paziente le informazioni riguardanti il suo stato di salute e di metterlo al corrente delle possibilità di riuscita della terapia o dell’intervento operatorio (scarse o buone che siano), nonché dei rischi che tali pratiche comportano. Il paziente deve essere posto cioè nelle condizioni di poter
L’Afam S.p.A. in questi ultimi anni ha avuto come obiettivo quello della prevenzione, ovvero la riduzione dei fattori di rischio che potrebbero determinare l’insorgenza di determinate patologie, obiettivo che ha perseguito attraverso anche una serie di campagne ed iniziative che sono state realizzate, anche grazie ad alcuni partner di notevole spessore scientifico. Infatti, siamo convinti che la prevenzione si attua in primis attraverso la diffusione della cultura della salute sensibilizzando i cittadini nei confronti delle principali patologie a forte impatto sociale e tramite programmi di educazione sanitaria volti a promuovere un corretto utilizzo del farmaco. In questi campi, l’Afam S.p.A. si è impegnata in prima fila avvicinando sempre più le farmacie comunali alle reali esigenze degli utenti ampliando, con competenza e professionalità, i servizi offerti al di là della semplice vendita di farmaci. Nell’ambito di tale scenario è stato appunto rafforzato il legame con il territorio grazie a due iniziative a forte impatto sociale: la prima ha riguardato la realizzazione anche a Foligno del Progetto Prevedi e dall’altra la erogazione gratuita a tutti i clienti delle farmacie Afam della MOC (densitometria ossea). In particolare il Progetto Pre-
soppesare i rischi e le conseguenze di un determinato trattamento al fine di poter valutare, con adeguata cognizione, se sottoporvisi o meno. La consensualità esige, in altri termini, che la strutturale «asimmetria informativa» caratterizzante la relazione tra medico e paziente sia tendenzialmente superata, o quantomeno ridotta nella maggiore misura possibile, attraverso un flusso informativo chiamato a svilupparsi all'interno della medesima relazione. Peraltro, il contenuto del dovere di informazione gravante sul medico è analiticamente descritto dall'art. 33 del Codice di deontologia medica del 2006, nel quale si afferma che è dovere del medico «fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, la prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostiche-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate» e comunicare al paziente tali contenuti «tenendo conto delle sue capacità di
comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l'adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche». A tal proposito si riporta un recente caso giurisprudenziale: il medico aveva garantito al paziente il positivo esito di un intervento agli occhi, non soltanto perché di routine, ma anche perché il degente era in buone condizioni di salute, aveva sessantasei anni e gli occhi erano sani. Quindi nessun rischio era stato prospettato e, pertanto, il paziente aveva prestato il consenso. All’esito dell’intervento, tuttavia, il paziente ha subito un danno e il medico, che non ha provato che l’evento era assolutamente eccezionale e imprevedibile, è stato condannato a risarcire il danno. Nel caso in discorso i giudici hanno dunque applicato il principio di diritto per cui qualora ci sia un rischio, anche minimo, di un evento negativo, se l’operazione va ad incidere su un organo di particolare importanza, il paziente va reso edotto dei rischi anche minimi.
vedi (PREVEntion DIsease) è frutto di una apposita convenzione con il Comitato Locale della Croce Rossa Italiana. Lo scopo di tale iniziativa, che vede anche la collaborazione dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano nel ruolo di supporto scientifico dell’iniziativa, è di fornire informazioni ed assistenza sulla prevenzione e la cura non farmacologica delle patologie cronico - degenerative quali diabete, tumori, malattie cardiovascolari e demenze senili, monitorando una fascia di popolazione dai 45 ai 60 anni. Presso le farmacie Afam è possibile effettuare gratuitamente i controlli, a rotazione, ogni giovedì dalle 09.00 alle 12.00, secondo un calendario esposto nelle sedi
della società o scaricabile via internet. Altro ambito in cui l’Afam opera a tutela della prevenzione è la diagnosi dell’Osteoporosi, una delle patologie più debilitanti per le donne, le cui conseguenze si rivelano soprattutto in età avanzata, attraverso esami gratuiti di MOC (densitometria ossea). Nell’ambito di una prima diagnosi di indirizzo che prosegue anche in questo nel mese, sono state effettuate oltre 700 misurazioni nei vari appuntamenti ad opera di personale qualificato accompagnate da una corretta informazione circa la natura dei principali fattori di rischio e dei corretti stili di vita e abitudini alimentari che possono ridurne l’incidenza.
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Idee e proposte per Foligno
C’è bisogno di una nuova politica per l’olivicoltura per far emergere qualità e quantità del comprensorio di Foligno
L’olio del nostro territorio è tra i migliori dell’Umbria DOMENICO DONI Una rapida rassegna dei titoli di articoli giornalistici dedicati alla maggiore produzione agricola di questa stagione, quella dell’olio d’oliva per intenderci, porta ad un’amara conclusione: limitatamente al nostro comprensorio, la Valle umbra sud, se ne raccoglie dappertutto meno che a Foligno. Si fa “festa”, tanto per esemplificare, a Spello, diventata addirittura la capitale dell’oro nero, a Trevi, a Campello, ma non nel luogo dove madre natura consente ad un giovane ma solido imprenditore di far classificare il suo olio extravergine d’oliva tra i primi venti del mondo ed addirittura il primo dei nove italiani presenti in questa graduatoria. Stanno così le cose ? A Foligno, zero carbonella? Assolutamente no ed i lettori di questo giornale conoscono la verità. A prescindere, si direbbe. Sanno, ad esempio, che, in termini di qualità e di presenza di aziende di trasformazione (frantoi, oleifici,ecc.), la Valle umbra sud è assolutamente
la più importante e corposa della regione e che nel territorio comprensoriale si arriva a produrre dal 30 al 40% di quel previsto livello delle 80 mila tonnellate d’olio, esclusivamente extravergine, probabilmente raggiunto nel 2009. Un’elementare constatazione “geofisica” porta a concludere che di questa quantità, almeno una metà venga raccolta nel folignate. Dunque? Cosa impedisce ad un olio tra i migliori del mondo di palesarsi per quello che è nella sua reale dimensione quantitativa e qualitativa? Si potrebbero aprire, per rispondere, decine di capitoli polemici. Si potrebbe affermare che ognuno è furbetto alla propria maniera. Si potrebbero tirare in ballo gli interessi di questa o quella categoria di operatori economici. Si potrebbe chiedere che fine ha fatto Exolea, nata quì ed inspiegabilmente sparita da Foligno. Ed altro ancora. Lasciamo ad altri il compito di scrivere questi capitoli. Noi, ne apriamo un altro: la mancanza di una semplice idea di
politica economica in base alla quale, al giorno d’oggi (non perdiamoci nel bla bla bla della globalizzazione), un bene comune prodotto in un dato territorio, soprattutto se derivato dalla natura e ad un
elevato standard qualitativo, va eventualmente trasformato e sicuramente offerto sul mercato nella sua interezza. Così cresce il valore aggiunto che può remunerare tanto il piccolo, quanto il grande
produttore. Non altro. Non la miopia politica ed il campanilismo per il quale ognuno si sente “capitale” e ritiene gli altri pezzi del territorio come semplici succursali. Allora, non è giustificabile
Le origini dell'olio in Umbria, breve storia di questo grande prodotto L'Umbria è una delle regioni italiane che non offre l'optimum climatico per la coltivazione dell'olivo. Ciò si deve alla sua altitudine e alla distanza dal mare, ma con l'intervento umano l'olivicoltura è diventata una delle fonti di guadagno di questa zona. Nel 1870 è stato ritrovato presso Terni un antico frantoio di epoca romana a testimonianza che la produzione delle olive era probabilmente diffusa anche in altre zone dell'Umbria. La coltivazione dell’olivo non era molto diffusa nel Medioevo fino al XIII secolo come attestano vari documenti. A partire dal 1400 l'olivo viene coltivato sui colli di Assisi, Foligno, Trevi a 300-500 m di quota. Da questo periodo esso diventa importante per l'economia umbra e viene coltivato all'interno delle mura di varie città (Spello, Assisi, Foligno) per proteggerlo dal pascolo del bestiame. Questo sistema, chia-
mato chiusura o chiusa, è presente negli statuti del 1400 e nei catasti del 1500. Ancora oggi le chiuse sono circondate da muri o siepi o terrazzi naturali. A quei tempi esse erano curate dai laborantes che erano una sorta di lavoratori part-time. Il termine chiusa inoltre ha avuto a seconda delle località e dei tempi un significato diverso. Infatti nella zona di Assisi, nel XV secolo, indicava un pezzo di terra con almeno cinque alberi da frutto di proprietà degli abitanti della città e in mezzo agli olivi crescevano noccioli e mandorli. Più tardi nel 1700 Jacobelli trasformerà il termine chiusa con oliveto. Nel secolo scorso il terrazzamento è stata la condizione posta dai pubblici amministratori per dare il permesso a creare un oliveto dove c'era un appezzamento a bosco con la conseguente bonifica delle zone collinari.
che agli sforzi di modesti, e meno tali, operatori del settore, attenti a riaccendere, negli anni bui, la fiammella dell’olivicoltura umbra ed impegnati oggi a sostenere ancora una delle eccellenze agricole della nostra regione, non faccia riscontro un pari impegno delle istituzioni, dei Comuni per intenderci, nel campo delle loro competenze. Prima fra tutte, quella di coordinamento della programmazione e della gestione delle attività promozionali di respiro nazionale ed internazionale, e di favorire così la ricerca dei migliori mercati. E anche per la migliore utilizzazione delle risorse finanziarie pubbliche. Ma più in generale sarebbe necessario definire una sorta di ambito agricolo strategico territoriale nel quale un filo rosso leghi il sistema complessivo rurale, la salvaguardia ambientale, la qualità delle produzioni, la pianificazione, le politiche di marketing, la formazione, l’innovazione. Si può sperare che qualcuno prenda in mano il boccino?
Un convegno a Perugia sul teleriscaldamento in Umbria, progressi e prospettive
La rete migliora l’ambiente e fa risparmiare MARIO MATARAZZI La scelta del teleriscaldamento, come appare ormai chiaro dall’utilizzo sempre maggiore che se ne fa in Italia e in Umbria, comporta sostanzialmente solo vantaggi: riduce i costi del 50% per le famiglie, ma anche per il Comune, fa scomparire le polveri sottili che si aggiungono alla combustione delle caldaie e all’ossido di carbonio delle automobili in transito e leva di mezzo l’odiosa tassa della verifica biennale sulle caldaie. Proprio su questo tema si è svolto a Perugia mercoledì 2 dicembre, presso la Sala dei Notari, un convegno sul teleriscaldamento in Umbria organizzato da Gaia Energia e Servizi srl, dal titolo “Il caso Umbria - tecnologia e rispetto dell’ambiente verso gli obiettivi +20% +20% 20%” e patrocinato dall’Università degli Studi di Perugia e dalla Regione Umbria. Un appuntamento importante per fare il punto sulle energie alternative e rinnovabili, al quale hanno partecipato, tra gli altri, i docenti universitari dell’ateneo perugino Carlo Andrea Bollino e Umberto Desideri, Marcello Serra, responsabile divisione teleriscaldamenti del gruppo Gaia, Gabriele Susanna, direzione operativa Gse (Gestore servizi energetici), Pierluigi Manna, dirigente servizio energia della Regione Umbria, Katiuscia
Eroe, ufficio energia e clima nazionale di Legambiente, e Stefania Proietti, moderatrice dell’incontro. Dal convegno sono emersi alcuni numeri interessanti e che derivano dagli impianti di teleriscaldamento realizzati in Umbria, ovvero circa 35.000.000 di kWh elettrici prodotti, 44.000.000 kWh termici erogati, oltre 36 chilometri di linee di teleriscaldamento posate, equivalenti a 5.800 tonnellate di petrolio (TEP) risparmiate che, in termini economici equivalgono ad oltre 3.000.000 di euro; oltre 19.000.000 di Kg in termini di minori emissioni di Co2 in atmosfera corrispondenti alle emissioni di 5.500 autovetture con una percorrenza media di 25.000 chilometri all’anno. «Gaia è un’agenzia specializzata nella progettazione, costruzione e gestione di impianti tecnologici finalizzati al risparmio energetico e di emissioni inquinanti ha dichiarato Roberto Fanini, amministratore delegato di Gaia - Il nostro compito è quello di studiare sistemi per il risparmio energetico per i clienti potenziali, quindi controlliamo la filiera dell’impiantistica di queste realizzazioni a 360 gradi. Operiamo principalmente in Umbria dove abbiamo realizzato molti impianti di cogenerazione, senza contributi pubblici e, il nostro fiore all’occhiello, sono
quelli di cogenerazione asserviti a reti di riscaldamento urbano». «Volevamo far conoscere agli addetti ai lavori e al pubblico quali sono le ricadute di una tecnologia del genere, quali i sistemi di teleriscaldamento, sull’ambiente circostante in termini di riduzione di emissioni, di sicurezza e di comodità di un servizio del genere - ha aggiunto Marcello Serra - Abbiamo porta-
to a buon fine molti progetti negli ultimi anni in Umbria, tra cui Norcia, dove il teleriscaldamento è già in funzione da qualche anno, mentre a Cascia sarà inaugurato il 19 dicembre e poi prossimamente a Santa Maria degli Angeli e nel quartiere di Prepo. Si tratta di centrali di cogenerazione, il cui teleriscaldamento non è altro che il trasportare il fluido vettore, prodotto da
queste centrali ai privati cittadini, eliminando in questo modo le caldaie, il problema del gas e le relative manutenzioni, portando solo acqua calda che viene poi scambiata per produrre calore e acqua sanitaria». Considerando che a Foligno esistono già due cogeneratori, uno presso le OGR, un altro presso il nuovo Ospedale S.G. Battista e la realizzazione di un terzo è previ-
sta nei piani della Provincia presso il Polo Scolastico, viene spontaneo pensare se anche per la nostra Città, ci può essere la possibilità di usufruire dei benefici ambientali ed economici, che tale tecnologia comporta. Con i tre cogeneratori e l’impianto in funzione i benefici sopra riportati interesserebbero l’intero Centro Storico e buona parte della periferia cittadina.
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paginone lavoro a cu
La crisi e oltre L’unità d’intenti di enti locali, associazioni e sindacato, può fare uscire dalla crisi questo territorio in maniera più forte e con migliori prospettive
FILIPPO CIAVAGLIA L’Umbria è un territorio ricco di storia e tradizioni che ne fanno da sempre una regione anche se piccola piena di opportunità e dinamicità e che le danno un carattere strategicamente molto importante. Un articolo apparso qualche giorno fa sulla stampa locale evidenziava come nel periodo della guerra città come Terni e Foligno venivano ripetutamente bombardate, una perché sede delle acciaierie e l’altra perché importante snodo ferroviario e via di comunicazione per tutto il centro Italia. Ancora oggi questo territorio e la sua gente sono stati capaci di crescere e svilupparsi utilizzando al meglio le proprie caratteristiche e peculiarità. Ed è certamente valorizzando ciò che abbiamo ed abbiamo fatto che possiamo ristabilire un equilibrio e trovare gli spunti per un ulteriore sviluppo in questo momento storico tanto difficile da affrontare. Certamente il governo con i suoi provvedimenti non facilita questo compito. Basti pensare all’acqua che non sarà più un bene pubblico, probabilmente neanche nella zona Foligno-Spoleto-Valnerina ultimo avamposto in Umbria . A questo proposito anche noi come gruppo dirigente Cgil dovremmo porci alcune domande su quanto è stato fatto, sugli obiettivi e sui risultati realmente perseguiti. La crisi ha investito pesantemente tutto il nostro territorio, anche laddove c’era stata una forte crescita e, a onor del vero, è proprio là che subiamo il contraccolpo più forte e continueremo a subirlo ancora minimo per tutto il primo trimestre del 2010. Su circa 150.000 abitanti, di cui circa il 40% è costituito da ragazzi ed anziani ed una fetta consistente appartiene al settore pubblico e pubblico-
privato, sono circa 10.000 i lavoratori coinvolti da mobilità e cassa integrazione e precarietà del lavoro. Inoltre considerando il fatto che importanti gruppi industriali stanno scomparendo o sono in una fase di ristrutturazione, che l’occupazione data dalla ricostruzione dopo il sisma del ‘97 è ormai terminata, che il problema del credito imperversa e riduce le possibilità imprenditoriali, l’impegno e l’attenzione di tutti i soggetti pubblici e privati, del sindacato e delle istituzioni dovrà essere elevato alla massima potenza. Nonostante il clima tanto sfavorevole abbiamo in ballo il più grande appalto infrastrutturale d’Europa, la “Quadrilatero”, opportunità non indifferente, che però non incontra affatto l’appoggio del nostro Governo che si ostina a non mettere risorse vere a disposizione degli enti locali e quindi impedisce loro di agire sul patto di stabilità. Se solo ci fosse una maggiore integrazione ed unità di intenti e si tenesse veramente conto della cosiddetta “area integrata”, la possibilità per questo territorio di uscire dalla crisi più forte e con maggiori prospettive sarebbe sicuramente più alta, anche grazie al ruolo che stanno assumendo i sindaci, dove però occorre più ruolo da parte delle associazioni di categoria per un ruolo dell’impresa veramente sociale oggi più che mai. L’integrazione e il ruolo confederale anche all’interno della Cgil rappresentano senza dubbio la carta vincente e debbono essere ribadite e sostenute con forza, oggi più che mai, essendo alle porte di un Congresso che sarà determinante e che dovrà evidenziare alla classe dirigente che si susseguirà l’importanza e l’imprescindibilità dello spirito confe-
Verso il Congres
La Rete28Aprile sostiene il documento “La Cgil che La Rete28Aprile ha deciso di sostenere il documento “La Cgil che vogliamo” sulla base di una scelta meditata e costruita con una larga consultazione. Dopo il direttivo nazionale della Cgil, ove la maggioranza ha rifiutato di mettere all'ordine del giorno lo sciopero generale entro la fine dell’anno, dovrebbe essere chiaro quali sono le differenze reali tra le diverse posizioni. Tuttavia è giusto ribadire le ragioni di fondo di questa scelta, che sono almeno quattro: 1.Il documento alternativo a quello di Guglielmo Epifani chiede un profondo cambiamento nelle scelte e nei comportamenti della Cgil. E’ quello che la Rete rivendica da quando si è costituita. I no della Cgil alla controriforma del sistema contrattuale e alle scelte economiche e sociali del governo non possono rimanere casi a sé stanti. Essi invece devono produrre una politica comune di tutta la confederazione e questo è proprio quello che sinora non è avvenuto. Il documento alternativo dichiara con chiarezza che la Cgil deve considerare conclusa la lunga fase della con-
certazione e deve ricostruire una libera capacità di contrattazione, senza vincoli né a livello nazionale né a livello aziendale. Una scelta di autonomia che ha lo scopo di far crescere il salario reale senza scambi sulla produttività. Di estendere i diritti, e lottare contro la precarietà, per migliori condizioni di lavoro e di vita. La scelta del superamento della concertazione è l’asse strategico sul quale sinora ci siamo mossi e sul quale, invece, non si attesta l’attuale maggioranza della Cgil. Questo sia nei comportamenti concreti di diverse categorie e strutture, che nei fatti si muovono in una logica parallela e subalterna all’accordo separato sul sistema contrattuale preparandosi ad accettarlo o a subirlo; sia perché la Cgil continua in una linea che esclude dal conflitto la Confindustria e il sistema delle imprese, concentrando unicamente sul governo le proprie critiche. E’ questo un punto di profondo disaccordo. E’ giusto lottare contro la politica economica del governo Berlusconi, ma è un errore gravissimo ignorare che essa è ispirata dalla Confindustria
e dal sistema delle imprese e, quando viene da esse criticata, ciò accade perché si vuole una politica ancora più contraria agli interessi del mondo del lavoro. Così come è sbagliato dimenticare che i danni che il liberismo ha fatto al mondo del lavoro in Italia si sono accumulati in più di vent’anni di politiche di concertazione. Per questo la scelta della contrattazione e del conflitto e la conseguente richiesta alla Cgil di cambiare rispetto al modello concertativo, rappresentano un punto di partenza fondamentale per superare la crisi attuale del sindacato e fronteggiare l offensiva del padronato. 2.Il documento alternativo sceglie con chiarezza, senza ambiguità o contraddizioni del testo di maggioranza, la democrazia sindacale fondata sul referendum per le piattaforme e gli accordi, e sulla partecipazione reale delle lavoratrici e dei lavoratori alle scelte sindacali. A parole tutta la Cgil condivide questa scelta, nei fatti non è così. E il rigore democratico della mozione alternativa rappresenta un punto fermo indispensabile per costruire una nuova fase di
contrattazione e. La priorità data alla democrazia chiarisce anche, senza equivoci, la questione dell’unità sindacale. Il documento alternativo considera la democrazia condizione vincolante per l’unità sindacale e così supera definitivamente incertezze e confusioni che ancora oggi fanno sì che la Cgil abbia comportamenti assolutamente contraddittori e a volte subalterni a Cisl e Uil. 3.Il documento “La Cgil che vogliamo” reclama con nettezza la sburocratizzazione dell’organizzazione. Il che significa il decentramento delle risorse verso il territorio, l’accorpamento dei sindacati di categoria, maggiori spazi di potere e consultazione, anche in forme nuove, per i delegati e gli iscritti. Si deve ricostruire, accanto alla democrazia di tutti i lavoratori sulle piattaforme e sugli accordi, la democrazia degli iscritti nella vita interna dell’organizzazione. E’ necessaria una Cgil davvero vicina in ogni momento alle sofferenze, ai problemi, alle lotte concrete delle lavoratrici e dei lavoratori, dei disoccupati e dei precari, delle pensionate e dei pensionati. Questa scelta deve
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ura di Gianluca Tofi
Per non morire di lavoro DICEMBRE 2009
La nostra proposta: costituzione di una rete nazionale contro le morti sul lavoro
sso della Cgil
e noi vogliamo” denza della Cgil dagli schieramenti politici e ancor di più dai partiti. La Cgil che vogliamo non è indifferente alla politica e alle scelte dei governi, ma non fiancheggia nessuno, né concorre alla formazione di partiti e movimenti, magari per collocare in essi i propri dirigenti. 4. “La Cgil che vogliamo” sceglie in modo chiaro e deciso la pace e il ripudio della guerra, secondo l’articolo 11 della nostra Costituzione. Questo significa oggi, in primo luogo, il ritiro delle truppe italiane dalla guerra dell’Afghanistan. Al contrario il documento della maggioranza compie pesanti arretramenti anche rispetto alle posizioni comuni dell’ultimo congresso e vorrebbe schierare la Cgil a favore del multilateralismo militare. Questi punti costituiscono l’asse dell’impegno della Rete28Aprile in questi anni in Cgil. Che essi siano contenuti chiaramente nel documento alternativo rappresenta anche un risultato della nostra iniziativa. Naturalmente il documento nasce dall’incontro di forze ed esperienze molto diverse. Per questo in esso non sono
contenute tutte le scelte per le quali ci siamo battuti. Poi continuiamo a rivendicare un meccanismo che garantisca automaticamente il recupero salariale di fronte all’inflazione, posizioni più nette sulla riduzione dell’orario e sul reddito sociale, una critica di fondo al capitalismo liberista, alle privatizzazioni, ai fondi pensione e ai fondi sanità. Su questi e altri punti le posizioni all’interno del documento alternativo non sono complessivamente uguali alle nostre. Tuttavia già ora il documento alternativo apre la via a piattaforme più avanzate. Se esso si affermasse in Cgil, allora ci sarebbe spazio anche per far avanzare tutte le nostre posizioni. E’ comunque decisivo che una delle forze portanti dello schieramento alternativo a quello guidato da Guglielmo Epifani, sia costituita dalla maggioranza della Fiom. Che la Fiom in questi anni abbia costituito in Cgil il polo del conflitto e della democrazia non può essere negato in buona fede da nessuno. Che a questa esperienza si affianchino oggi quella della Funzione pubblica, quella dei bancari, quelle di territo-
ri e gruppi dirigenti diversi, dovrebbe essere considerato un segnale positivo di rinnovamento che viene proposto a tutta la confederazione. E’ invece stupefacente che forze e gruppi dirigenti, che in tutti questi anni hanno criticato la Cgil della concertazione, si schierino ancora a difesa della continuità con il passato. E’ stupefacente che, vista l'esperienza sindacale reale di questi anni e di oggi, si preferisca difendere la Cgil più istituzionale e moderata invece che diffondere le esperienze più avanzate. Se si esce dal mondo chiuso delle dinamiche burocratiche e autoconservative dei gruppi dirigenti, diventa lampante che il successo del documento alternativo e delle forze che lo sostengono darebbe un segnale di speranza, forza e combattività a tutto il mondo del lavoro. Per queste ragioni, con la nostra cultura e le nostre scelte, sicuri di partecipare a un processo di rinnovamento della Cgil che serve a tutto il mondo del lavoro, noi sosteniamo con convinzione, a partire da tutti i luoghi di lavoro, il documento “La
Le iniziative che intendiamo intraprendere si propongono prima di tutto la costituzione di una rete nazionale contro le morti di lavoro che sia il soggetto e lo strumento affinché un lavoratore chiamato a svolgere un’attività di qualsiasi tipo da un titolare d’impresa, da un’azienda, da un ente pubblico o privato, o anche da un privato cittadino per lavori a carattere continuativo superiori ad una giornata, sia abilitato e si senta tutelato nello sporgere denuncia nei confronti del datore di lavoro nei seguenti casi: • irregolarità nell’assunzione; • irregolarità o assenza della contribuzione previdenziale e di quella assicurativa; •irregolarità nella retribuzione • irregolarità nella funzionalità degli impianti produttivi e nella loro regolare manutenzione; • inosservanza delle norme tecniche sulle caratteristiche degli impianti per la prevenzione degli infortuni; assenza o carenza delle dotazioni (indumenti, accessori, rivestimenti, protezioni di vario genere), prescritte per le diverse attività; • attuazione di attività illegali e/o inquinanti: trattamento, trasporto o conferimento in discarica senza autorizzazione di materiali tossici, trattamento o produzione di materiali vietati dalla legge. Nel caso in cui il lavoratore sporga denuncia sulle tipologie elencate o simili, egli deve aver diritto ad un intervento degli organi d’ispezione del lavoro e ai relativi accertamenti entro 48 ore dalla presentazione della denuncia. Nel caso gli accertamenti ispettivi producano la conferma anche parziale di quanto denunciato, gli organi suddetti devono procedere immediatamente alla definizio-
ne delle responsabilità. Proponiamo inoltre che al lavoratore denunciante da quel momento in poi debba essere applicato un regime di protezione che preveda: • nel caso di lavoratore assunto regolarmente: la conservazione inalterata del rapporto di lavoro per almeno il successivo biennio; • nel caso di lavoratore assunto in nero o comunque irregolarmente l’azienda deve procedere alla sua assunzione regolare con contratto a durata almeno biennale; • nel caso la denuncia produca la cessazione delle attività produttive dell’azienda, che il lavoratore usufruisca di un trattamento retributivo garantito dagli enti di previdenza sociale, associato alle relative contribuzioni previdenziali, pari ad un biennio di disoccupazione ordinaria, fino ad una nuova occupazione. Ci vogliamo inoltre adoperare, con tutti gli strumenti e le risorse eventualmente a nostra disposizione, affinché le precise responsabilità individuate per le morti causate da attività lavorative, laddove riconosciute vengano definite per legge “omicidio volontario” e non “omicidio colposo”. Chiediamo che il Testo Unico non venga smantellato con il risultato di una mera riduzione di pene e sanzioni, un attacco al codice civile, al codice penale e allo Statuto dei Lavoratori ed il contemporaneo allungamento dei tempi di prescrizione. Sono necessari più poteri e tutela per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Auspichiamo la creazione di una Procura Nazionale sulla sicurezza sul lavoro che si occupi dei reati commessi in tutta Italia, come proposto dal procuratore aggiunto di Torino, Raffaelle Guariniello. E’ necessario che venga isti-
tuita una giornata Nazionale sulla cultura della sicurezza nelle scuole e che si organizzino iniziative tutto l'anno per sensibilizzare i giovani di oggi, lavoratori di domani, su questo tema fondamentale. E’ importante inoltre che il Governo dia disposizione affinché almeno il 50% dei fondi incassati dalle Asl per sanzioni in materia di sicurezza sul lavoro vengano impiegati per assumere e addestrare tecnici della prevenzione. Per rialzare la testa e riconquistare sul campo i diritti ad un lavoro giusto, tutelato e non sottopagato riteniamo essenziale l’erogazione di un contributo economico garantito per legge ai giovani, ai precari, ai lavoratori disoccupati o licenziati o ai migranti, spesso costretti al lavoro coatto e nero. In questo senso, seppur con tutti i suoi limiti negli obiettivi e nelle risorse, un esempio positivo è rappresentato dalla recente legge regionale del Lazio, sull’istituzione del reddito minimo garantito e di sostegno al reddito, in favore dei disoccupati, inoccupati o precariamente occupati e da quella i discussione in Umbria. Troppo pochi sono però i fondi investiti o promessi. Vorremmo discutere delle nostre proposte e lanciare campagne e forme di mobilitazione e di lotta con tutti coloro che ritengano sia necessaria e non rinviabile una battaglia politica e sociale contro il criminale fenomeno degli incidenti sul lavoro, ma che sia anche imprescindibile modificare radicalmente il quadro fosco di lavoro nero, irregolare, al limite dello schiavismo, in cui oggi tanti sono sfruttati e ricattati. La rete umbra “Per non morire di lavoro”
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informazioni utili
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Un sistema operativo rivoluzionario
Linux, Ubuntu, free software, open source: una grande risorsa per l’umanità ANTONIO BARTOLINI Quando una persona qualunque si reca in un negozio di computer per acqustarne uno, non si pone minimamente il problema della scelta di quale sistema operativo installare. Questo perchè semplicemente non gli viene data alcuna scelta. Di fatto Windows è l'unica opzione che il mondo dei produttori di personal computer offre alla sua clientela. Ciò che ancora in molti non sanno è che esiste un'alternativa e molto più conveniente di Windows: (1) gratuita, (2) senza virus, (3) perfettamente legale. Non mi sto riferendo al mondo Macintosh ovviamente, che manca solo il punto (1) e tuttavia rimane un punto di riferimento degli utenti informatici per costo e prestazioni, ma a Linux, il sistema operativo libero. Linux è nato nel 1991 quando un giovane studente al secondo di università finlandese di Helsinski, Linus Torvalds, insoddisfatto dal rifiuto del suo professore di migliorare il suo sistema operativo didattico, decise di scrivere un suo sistema operativo da zero e di pubblicarlo liberamente su Internet. Subito, centinaia di altri programmatori di tutto il mondo, si misero a correggere, migliorare ed ampliare il suo sistema operativo per aggiungerne funzionalità e caratteristiche. Ogni volta che avveniva un miglioramento, Linus, lo pubblicava e lo rendeva disponibile a tutto il mondo. Allora i computer erano
poco diffusi e i programmi per farli funzionare erano molto costosi e riservati alle poche e grandi aziende del settore. Con il sistema operativo di Linus, ogni persona del pianeta poteva avere un sistema operativo gratuitamente e che poteva liberamente modificare secondo le proprie necessità. Per la prima volta nel mondo, persone di culture, esperienze e nazioni diverse hanno cooperato autonomamente come una comunità per realizzare un progetto che portava benefici al mondo intero. Qualche anno prima, quasi dall'altra parte del mondo, un brillante ricercatore della Università americana Massachussets Institute of Technology, Richard Stallman, dopo essersi visto rifiutare dalla Xerox la sua proposta di miglioria ad un programma di gestione di una loro stampante, iniziò a concepire una del tutto nuova modalità di produzione e la commercializzazione del software. Stallman così fondò la Free Software Foundation, un'organizzazione non-profit per lo sviluppo e la promozione del software libero in tutte le aree di applicazione dell'informatica. Egli fu il primo a pensare il software non come un prodotto da chiudere, inscatolare e vendere in cambio di denaro, ma come un' idea, che può e deve essere condivisa per venire ampliata, sviluppata e migliorata da chiunque: un Software Libero, insomma. Frutto di questa teoria è la nascita della licenza GPL
(General Public License), che è ancora oggi la licenza più diffusa in tutti i progetti Open Source. Fu proprio con questa licenza che Linus Torvalds rilasciò il sistema operativo Linux. Nel corso degli anni il software libero ha avuto una crescita piuttosto sostanziosa, ma ancora non aveva fatto breccia nel mondo del business e nelle grandi aziende, che in realtà non vedevano di buon occhio quel filone culturale e socio-politico a cui si rifaceva il movimento del free software. Alla parola inglese free possono essere infatti associati diversi significati, dando origine ad una parola ambigua: può essere tradotta sia come “gratis” che come “libero” e questa ambiguità causò parecchie controversie all’interno delle grandi comunità. Inoltre la filosofia che Stallman promuoveva s’addiceva ad una diffusione anche in ambito aziendale del software libero poiché il termine free veniva associato a prodotti sì gratuiti, ma di bassa qualità: in ambito economico la parola gratuito è, secondo il senso comune, sinonimo di qualità inferiore; inoltre la Free Software Foundation era vista come l’espressione dell’anarchia informatica, se contrapposta all'establishment delle grandi corporation come IBM, Oracle, Microsoft artefici al contrario dell'ordine delle cose nel settore. Proprio per favorire la diffusione di licenze liberali nel mondo degli affari, Bruce Perence, Eric Raymond ed altri esponenti del software libero coniarono allora il nuovo termi-
ne “Open Source” e diedero vita al consorzio Open Source Initiative (OSI). Il consorzio nasceva per promuovere il nuovo termine come un nuovo modo di fare business. Una volta introdotto con successo nel mondo del business, la crescita e la diffusione di Linux fu rapida e costante. Nel 2008 circa il 40% dei server nel mondo utilizzava Linux come sistema operativo, lo stesso Google utilizza Linux per far girare i suoi server che quotidianamente orientano praticamente qualsiasi navigante su internet. Moltissime nazioni in via di sviluppo si sono informaticamente emancipate avvicinandosi alle moderne società civili delle nazioni economicamente più sviluppate grazie al fatto che grazie all'Open Source sono anche
Riabilitazione e reinserimento nella Cina che cambia CINCINNATO “Diciassette anni” è il titolo italiano di un film girato dal regista cinese Zhang Yuan che nel 1999 ha meritatamente ottenuto il premio speciale della giuria della Mostra del Cinema di Venezia. Attorno al film, dapprima su dice boicottato in Cina e poi esaltato come opera d’arte, è stato versato molto inchiostro: poco per giudicarne le qualità, molto per farne una occasione di critica politica. La storia del film è semplice anche se drammatica: Pechino all’inizio della svolta economica voluta da Deng Xiaoping; una famiglia operaia povera nell’agglomerato popolare della città vecchia; due sorellastre della stessa età ma con differenti caratteri. In seguito ad un litigio una delle due colpisce l’altra con un bastone provocan-
Emerge la paura di affrontare la nuova vita e con essa la tentazione di tornare all’assurda sicurezza delle mura del carcere per lei “casa”. Sopraggiunge, a questo punto, l’aiuto di una giovane guardia carceraria uscita anche lei in permesso vacanze, che la sprona a prendere coraggio e la aiuta a ritrovare la famiglia nel nuovo alloggio avuto in assegnazione dopo la demolizione del vecchio quartiere popolare, prodigandosi quindi anche con i familiari per l’accettazione e l’accoglienza della figlia “ritornata”. Un messaggio risuona tra le mura del carcere e si ripete più volte nelle incitazioni della guardia alla non più giovane ragazza di diciassette anni prima: “Devi avere fiducia nella società. Se hai riconosciuto i tuoi errori e ti sei ravveduta la società ti acco-
che quotidianamente si scambiano opinioni e consigli su come utilizzare al meglio il proprio computer. La versione di Linux più famosa ed amata dagli utenti casalinghi, è “Ubuntu” un versione di Linux prodotta in Sud Africa. Il nome deriva da una parola africana che significa “Sono ciò che sono da ciò che siamo tutti” e pone l'obiettivo principale di fornire un sistema operativo semplice, funzionale e alla portata di tutti. Ubuntu lo si può provare sul proprio PC anche prima di installarlo definitivamente ed e' liberamente scaricabile anche dal sito: http://www.ictvalleumbra.it /ubuntu. Di certo un'occhiata se la merita e potrebbe anche convincervi a guardare all'Open Source e forse anche a lasciare Windows.
LA RICETTA DEL MESE
CINEMA E NON SOLO
done la morte, per tale atto la colpevole sconterà diciassette anni di prigione. Alla vigilia della fine della pena la ragazza, oramai divenuta donna, ottiene un permesso premio per trascorrere con la famiglia le vacanze di fine d’anno. Immediatamente fuori dal carcere la ragazza subisce però l’impatto duro e difficile con quella vita “normale” dalla quale lei era rimasta esclusa per i lunghidiciassette anni della detenzione. Tutto ciò in un paese per lei irriconoscibile, immerso, o sommerso, da cambiamenti vorticosi, scolvolto dal traffico e dai rumori, lontanissimo dalla Cina ancora “dormiente” che lei aveva lasciato diciassette anni prima. Non trova più neppure la sua vecchia casa; l’intero quartiere popolare è stato demolito per fare spazio ai nuovi grattacieli.
a loro disponibili le stesse risorse e la stessa cultura di ambito informatico. Una persona qualunque, che di informatica non sa o non ne vuole sapere più di tanto, ma vuole semplicemente essere un utente libero ed informato della società dell'informazione, come può avvantaggiarsi dell'Open Source? Conoscere con cosa si ha a che fare è già metà dell'opera; l'altra metà si trova su Internet. Basta infatti immettere la parola "Linux" in un qualsiasi motore di ricerca per aprire un universo di guide e di manuali semplici e alla portata di tutti in modo che chiunque sia in grado di poter utilizzare questo sistema operativo ed installarlo gratis sul proprio PC. Esiste poi un intera comunità di persone nella rete
Maltagliati con lenticchie, guanciale croccante e pecorino ANTONIETTA STADERINI
glierà, la società è buona, l’umanità è buona.” Otto anni più tardi, nel 2007, il XVII Congresso del Partito Comunista Cinese inserirà nel proprio Statuto il principio-obiettivo della costruzione della “società armoniosa” che proprio nella fiducia nell’uomo e nella sua capacità di comprensione fonda le sue radici.
Ingredienti per 6 persone Farina gr. 600, uova n. 6, sale q.b., pepe nero un pizzico, lenticchie di Colfiorito gr. 300, guanciale tagliato sottile gr. 150, 1 cipolla piccola, pomodori ciliegini gr. 200, erbe aromatiche, pecorino stagionato gr. 150, olio extra vergine di oliva 1 bicchiere Tempo di preparazione 60 minuti circa. Procedimento: mettere la farina a fontana e al centro aggiungere le uova, un pizzico di sale e qualche goccia di olio; lavorare gli ingredienti sino ad ottenere un impasto liscio ed elastico che poi dovrà essere steso non molto sottile con un mattarello o con la macchinetta stendipasta; lasciare essiccare la sfoglia ottenuta per circa 30 minuti, poi arrotolarla e tagliarla come per ottenere mezze tagliatelle irregolari ovvero i maltagliati.
In una casseruola far appassire la cipolla tritata finemente con mezzo bicchiere di olio, aggiungere 5 fettine di guanciale tagliate a striscioline sottili, le lenticchie pulite e lavate, le erbe aromatiche, i pomodorini tagliati a spicchi, salare e pepare e completare la cottura aggiungendo, quando necessario, un mestolo di acqua; la salsa delle lenticchie dovrà risultare non particolarmente densa dal momento che dovrà servire come condimento alla pasta. Lasciare scaldare sulla fiamma una padellina antiaderente con un filo di olio, aggiungere le fettine di guanciale rimaste e lasciare rosolare fino a che non risultino croccanti. Cuocere i maltagliati in abbondante acqua salata, scolarli e servirli con la salsa di lenticchie, il guanciale croccante e le scaglie di pecorino.
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dal Mondo
El Salvador, la rinascita di uno Stato Dopo anni di governi repressivi e oligarchici, un Presidente eletto dal popolo cerca di risollevare il Paese OSVALDO GUALTIERI El Salvador è un piccolo paese del Centroamerica, ha una superficie di 20.150 km2 ed una popolazione di circa 6 milioni di abitanti, più 2.8 milioni di emigranti, principalmente nei Stati Uniti. La topografia è fortemente segnata dalla presenza di montagne, vulcani e laghi, rimanendo scarso il terreno per l’agricoltura. I fenomeni naturali (eruzione di vulcani, uragani, inondazioni, etc.) sono un fattore frequente e devastante per la popolazione e per l’economia Fino alla fine del 1.800 le esportazioni erano quasi esclusivamente derivanti dai coloranti estratti dagli insetti chiamati “Cochinillas” e “Añil”, per poi passare, quando questi coloranti sono stati sostituiti da derivanti chimici, ad un’economia di produzione di alimenti di autoconsumo, con una scarsa esportazione di caffè. Attualmente la principale, e quasi unica, entrata di valuta deriva dalle “remesas” dei salvadoregni emigrati, principlamente nei Stati Uniti, che inviano i loro risparmi ai famigliari residenti in Salvador. In Salvador la vita política è
stata sempre contrassegnata dagli interessi di 6 famiglie oligarchiche, le quali hanno detenuto nelle loro mani gran parte dell’economia del Paese in tutti i settori. Queste famiglie hanno storicamente governato con la dittatura miitare e usando brutali metodi di sfruttamento e repressione per soffocare il popolo. Nel 1932, Farabundo Marti, un rivoluzionario marxistaleninista, organizzò una ribellione popolare finita con il massacro, da parte dei militari, di 35.000 persone principalmente contadini, su di una popolazione che, in quel periodo, era all’incirca di 2 milioni di abitanti. Lo stesso Farabundo Marti in quella occassione fu fucilato. Nel 1972 nascono le prime due Organizzazioni Rivoluzionarie: Fpl e Erp, con il proposito di portare avanti la linea della lotta armata contro la dittatura. All’inizio degli anni 80 a queste 2 Organizzazioni si uniscono altre 3: Farn, Fal e Prtc, per formare il “Frente Farabundo Martì Para la Liberacion Nacionale”, chiamato Fmln. Durante i 12 anni di lotta armata nel Salvador ci sono stati otre 70.000 morti per la
repressione, tra cui vescovi, preti e suore. Il ruolo degli Stati Uniti e della Cia è stato determinante nell’appoggiare le brutali dittature che si sono susse-
guite e nel portare avanti la crudele repressione di ogni forma di protesta popolare. Nel gennaio del 1992, dopo una situazione di impasse nel fronte militare
interno tra la guerriglia e l’esercito, accompagnato da certi cambiamenti nell’ordine della geopolítica Internzazionnale, si sono create le condizioni per la
firma degli “Acuerdos de Paz” tra la dittatura e le forze rivoluzionarie. A questi accordi, nel 1994, sono seguite delle elezioni che hanno consentito al potere oligarchico di continuare a governare il paese attraverso il Partito Arenas e il Pdc, togliendo 25 “Alcaldias”, tra cui Santa Tecla, dove il Fmln, nel frattempo trasformatosi in Partito, aveva vinto le elezioni comunali. Nel Marzo di quest’anno il Fmln, con il giornalista Mauricio Funes come candidato, ha vinto le elezioni a Presidente, rompendo il monopolio politico oligarchico durato secoli. Attualmente nel Salvador si vive un clima politico-sociale di grande entusiasmo popolare motivato dal fatto che, per la prima volta nella sua storia, c’è un governo che rappresenta i settori più emarginati della società. Questo governo, pur ereditando una situazione economica devastata e una situazione sociale allo sfascio, ha iniziato a prendere delle misure coraggiose e a portare avanti importanti programmi che fanno sperare in un miglioramento delle condizioni di vita di questo martoriato popolo.
Un ricordo del leader palestinese a quattro anni dalla scomparsa
Yasser Arafat, il sogno infranto di uno stato palestinese: chi lo farà rifiorire? FABIO AMATO A San Lorenzo, quartiere popolare e storicamente "rosso" di Roma, esiste una targa in ricordo di Yasser Arafat. L'hanno appos t a dei compagni, donne e uomini solidali con la causa palestinese, per celebrarne
la scomparsa. L’11 novembre, è ricorso il quarto anniversario dalla morte del rais palestinese. Solo quattro anni, eppure sembra tanto tempo fa. Su quella targa c'è scritto "A Yasser Arafat, Presidente dello stato di Palestina". Un omaggio al suo sogno e alla sua vita, dedicata interamente alla causa del suo popolo. Quella di veder nascere lo stato palestinese. Un sogno, fino ad oggi, infranto. La sua scommessa non è stata vinta ed è anzi oggi in seria discussione, più lontana che mai. Arafat aveva accettato, con la firma degli accordi di Oslo, la soluzione dei due stati per i due popoli. Non era l'unica possibile. Fino al quel momento l'Olp aspirava ad uno stato democratico, unico, per palestinesi ed israeliani. Non è un caso che in questo momento storico se ne torni a parlare, anche da parte di esponenti dell'Anp; visto il fallimento del processo di pace. Arafat aveva probabilmente pensato che con la fine della guerra fredda sarebbero cadute le ragioni geopolitiche per le quali gli Usa avevano sempre sostenuto Israele e che forse, come accaduto per il Sudafrica, si potesse giungere in tempi brevi a riconoscere quello che già decine di ri-
soluzioni internazionali avevano sancito: l'illegalità dell'occupazione israeliana di Gerusalemme est, della Cisgiordania e di Gaza, il diritto alla nascita di uno stato palestinese, almeno nei confini del 67. Come la storia ha poi evidenziato, si trattava di una previsione sbagliata. Israele ha ampiamente disatteso quegli accordi, e continua a farlo. Chi li aveva sottoscritti, Rabin, è stato ucciso per mano israeliana. L'arbitro scelto per arrivare ad una pace giusta, gli Stati Uniti, non solo non sono stati imparziali, ma hanno continuato a sostenere esclusivamente le ragioni del loro alleato strategico nella regione, Israele. Abu Ammar aveva tentato di chiedere all'Europa di essere parte attiva nel processo di pace, salvo poi verificare ciò che l'Europa è sullo scenario globale: una comparsa, in alcun modo autonoma da Washington. Se con Clinton l'appoggio privilegiato ad Israele era stato più tiepido e mascherato, con Bush e dopo l'undici Settembre, è stato drammaticamente alla luce del sole. Oggi la nuova amministrazione Usa si dice impegnata a riaprire delle possibilità. Troppo poco e troppo tardi, senza interlocutori credibili e senza
esercitare una reale e credibile pressione nei confronti del governo di Tel Aviv, che indipendentemente da chi fosse primo ministro negli ultimi quindici anni, ha continuato ad espandere colonie e ad assediare i palestinesi, costruendo una condizione di vero e proprio apartheid nei territori occupati. Israele è oggi in mano ad una coalizione di estrema destra, guidata da uomini che hanno negli anni boicottato e combattuto qualsiasi ipotesi di accordo, fermamente intenzionati a mantenere questa posizione, schivando la debole pressione che arriva dagli Usa. Dalla prima richiesta di blocco degli insediamenti di Obama, si è già passati ad una ridicola e insignificante domanda di congelamento, anch'essa ignorata. I palestinesi d'altro canto sono deboli e divisi fra di loro. La forza di Arafat, il suo prestigio e il suo carisma sono stati il frutto del suo più grande successo politico, quello di aver creato una coscienza nazionale palestinese, di aver riunito le sue fazioni, costruito l'Olp, e di aver saputo usare la politica, prima di tutto. Le sue alleanze internazionali erano costruite in funzione della causa nazionale, e non vi-
ceversa. Che è quello che invece accade oggi. Ovvero che le agende delle forze politiche palestinesi dipendono fin troppo dai loro interlocutori internazionali. Ci vorrebbe davvero un nuovo Arafat, ovvero qualcuno capace di costruire una unità indispensabile per la causa palestinese e per riportare il conflitto sul suo piano reale, che non è quello religioso o di civiltà, ma quello per la terra ed il diritto all'autodeterminazione. Forse ci sarebbe anche qualcuno in grado di poter tentare l'impresa. In molti vedono in Marwan Barghouti l'unica figura capace di poter compiere questo miracolo, ma proprio per questo gli israeliani lo tengono ben rinchiuso in prigione, insieme ad altri undicimila prigionieri palestinesi di cui nessuno parla mai. Oggi, in quella piazza di San Lorenzo, alle ore 18, i palestinesi di Roma e del Lazio hanno convocato un presidio per ricordare Abu Ammar. E' giusto andarci, magari portare un fiore, perché quel sogno continui a vivere. Perché,come amava ripetere lo stesso Arafat, i palestinesi, «non chiedono certo la luna», ma semplicemente una pace con giustizia.
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corrispondenze e comunicazioni
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L’Albo Pretorio “on line” La velocità e la qualità della fibra ottica nella Valle umbra Banda larga, un servizio Una chiave in più per la trasparenza per tutta la comunità SALVATORE ZAITI Sono trascorsi duemila anni da quando nella Roma antica veniva utilizzato “l'Album” (tavola di legno ingessata) per la pubblicazione degli atti e delle notizie che dovevano essere portate a conoscenza del pubblico e tra questi, per importanza, vi erano gli editti del pretore urbano avente giurisdizione in Roma. Da qui l'attuale “albo pretorio” che, sopravvisuto per due millenni, dal 1° gennaio 2010 verrà collocato in pensione. Non più affissioni cartacee, ma pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni; è quanto dispone la legge 18 giugno 2009, n. 69 (art. 32). L'albo pretorio ha da sempre assolto alla funzione primaria di pubblicità legale e, per questo, doveva collocarsi in un luogo ben identificato e facilmente accessibile tale da consentire una lettura agevole dei provvedimenti. E così, il Regio Decreto 12 febbraio 1911, n. 297 all'art. 70 precisava che l'albo pretorio “deve essere posto in
luogo accessibile al pubblico” e che “la pubblicazione deve essere fatta in modo che gli atti possano leggersi per intero e facilmente”. Oggi, l'art. 24 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 prescrive che “tutte le deliberazioni del Comune e della Provincia sono pubblicate mediante affissione all'albo pretorio, nella sede dell'ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge”. Tra breve non si provvederà più ad affiggere i documenti sulla tradizionale “tavola di legno”, ma saranno i nuovi strumenti informatici a consentirne la più ampia diffusione; la legge 69/2009 è perentoria: “A decorrere dal 1° gennaio 2010... le pubblicazioni effettuate in forma cartacea non hanno effetto di pubblicità legale”. Sembra quasi che un pezzo di storia venga cancellato inesorabilmente sotto la spinta incessante del progresso tecnologico, nel nome della innovazione e della rivoluzione digitale. In realtà, il rapporto tra cittadini e amministrazione
pubblica in questi ultimi anni si è modificato e il legislatore ha radicalmente inciso sulla disciplina dei pubblici poteri con specifico riferimento agli strumenti in grado di assicurare una maggiore trasparenza dell'attività amministrativa. Significativo, al riguardo, è lo stretto collegamento tra diritto di accesso ai documenti amministrativi e trasparenza, principi, questi, che se ben coniugati non possono che favorire la partecipazione dei cittadini ed assicurare l'imparzialità dell'agire pubblico. Non è un caso, infatti, che la trasparenza costituisca, per espressa previsione legislativa, “livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”. Si apre, quindi, una nuova era preordinata al fine di garantire a tutti i soggetti una moderna “cittadinanza digitale”, così come i più avveduti auspicano. Certamente, “una scommessa da vincere”.
INARCO AMMENTI Ict Valle Umbra s.r.l., società del gruppo Valle Umbra Servizi S.p.a., dal 2005 è attiva nel settore telecomunicazioni, da quando ha avuto luogo la liberalizzazione del cosiddetto “ultimo miglio”, ossia dell’ultimo tratto del sistema di telecomunicazioni pubblico che raggiunge l’utente finale. A tale anno risale infatti l’emanazione del decreto che ha consentito agli operatori Internet di utilizzare le frequenze radio 2,4 e 5,4 Ghz per trasmettere dati anche al di fuori di fondi chiusi (limitazione precedentemente in vigore per legge), e quindi per raggiungere l’utente nella sua abitazione o nel suo ufficio senza dover utilizzare i cavi dell’operatore telefonico. L’operatore telefonico storico ha da tempo sviluppato nelle città e nelle zone più densamente popolate il servizio Internet a Banda Larga sulla base della tecnologia Adsl che prevede l’uso dei fili di rame già stesi per il servizio telefonico. Questo sistema però, oltre a richiedere ingenti investimenti nelle centrali telefoniche, ha la limitazione fisica di non poter raggiungere distanze superiori ad alcuni chilometri. Ecco perché in molti dei nostri Comuni distanti dalle dorsali nazionali, ma anche in larga parte del territorio anche dei Comuni più grandi come Foligno e Spoleto, il servizio Adsl è del tutto assente e non è possibile ai cittadini di accedere a servizi Internet a Banda Larga. Per rispondere alla esigenza di poter disporre nel proprio territorio di collegamenti Internet a Banda Larga anche in assenza di servizio Adsl, i Comuni promotori di Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria e Montefalco hanno siglato con Vus a fine ottobre 2005 uno specifico accordo di programma. L’accordo, al quale successivamente hanno aderito anche numerosi altri Comuni della Provincia di Perugia, ha consentito la realizzazione di un rete senza fili in
grado di connettere imprese e famiglie in tutto il territorio ad un servizio Internet a Banda Larga di alta qualità. A quattro anni dall’avvio dell’attività la rete di distribuzione di Internet a Banda Larga raggiunge, a partire dal nodo centrale di Foligno, circa un migliaio di clienti distribuiti nella provincia di Perugia da Spoleto a Corciano, da Todi a Colfiorito, da Cannara a Gualdo Tadino. Molti di questi clienti, come ad esempio la Biblioteca Comunale di Foligno, danno a loro volta servizio a molte centinaia di utenti. La rete di distribuzione consiste oggi in un centinaio di punti di servizio tra loro interconnessi con tecnologia wireless, ognuno in grado di servire clienti per un raggio sino a 16 Km.
Il suo centro è il nodo di Foligno, dove Ict Valle Umbra ha la sua sede principale e dove la rete si connette tramite tre grandi operatori nazionali con i nodi Internet Mix di Milano e Namex di Roma. Questa interconnessione, realizzata con ben 24 fibre ottiche, dal 2006 assicura una velocità di connessione ad Internet di 1000 Mbit/sec con oltre 300 Mbit/sec di banda garantita disponibile per gli utenti di Ict Valle Umbra, oltre a molte centinaia di canali telefonici utilizzati attraverso Internet in modalità Voip. Grazie a questa infrastruttura anche il cliente nel punti più remoti del territorio possono oggi disporre di un servizio Internet che non ha nulla da invidiare a quello di un utente al centro di Roma o a Milano.
LETTERE A PIAZZA!DEL GRANO Nel precedente numero di novembre abbiamo pubblicato, in seconda pagina, un articolo dedicato alla recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul tema della esposizione nelle aule delle scuole statali italiane del simbolo della religione cattolica. Riceviamo un articolo firmato che espone un contributo documentato sul tema. Pubblichiamo volentieri l’articolo, così come pubblicheremo (spazio ovviamente permettendo) ogni contributo che ci perverrà su questo o su qualsiasi altro argomento purché documentato e non di pura opinione: qualunque essa sia.
La laicità della scuola: la croce della religione cattolica FRANCO COPPOLI Se il mese di novembre è stato caratterizzato, nell’ambito della importante battaglia di civiltà per la laicità della scuola pubblica, dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (di cui si parla nell’articolo a fianco) cerchiamo di fare un quadro della situazione anche grazie al convegno nazionale “Laicità della scuola pubbli-
ca: la croce della religione cattolica” organizzato dal Cesp a Roma. L’anno scolastico 2008/09 ha visto due docenti, entrambi dei Cobas -che ne stanno garantendo la tutela legale- incorsi in pesanti provvedimenti disciplinari per aver osato rivendicare e praticare spazi di laicità nella scuola pubblica. Ci riferiamo: • al caso di Alberto Marani del Liceo Righi di Cesena
che è stato sospeso per due mesi dall’insegnamento e dallo stipendio per aver somministrato ai suoi studenti un questionario i cui risultati hanno portato ad una delibera del collegio docenti e alla modifica del POF del liceo per la costruzione di un serio programma alternativo all’insegnamento della religione cattolica; • e alla sospensione di un mese dall’insegnamento e dallo stipendio di Franco Coppoli dell’Ipss Casagrande di Terni per aver reso inclusiva, laica e neutrale l’aula scolastica togliendo il crocefisso nelle sue ore di lezione. In entrambi i casi i ricorsi procedono e siamo sicuri che alla fine la forza della ragione avrà la meglio sull’oscurantismo clericalconfessionale, ma questi eventi rappresentano i sintomi di una pervicace difesa dei privilegi della chiesa cattolica, che risalgono al periodo fascista e che sono ri-
masti inalterati, anzi a volte sono addirittura aumentati, soprattutto negli ultimi 10-15 anni. E’ una questione generale che riguarda gli indirizzi educativi, le spese ed i finanziamenti e soprattutto gli spazi e gli ambiti della libertà di coscienza e di insegnamento. Gli argomenti da affrontare sul tema sono numerosi, articolati, intrecciati tra di loro e vanno dall’enorme potere economico all’ingerenza politica e simbolica che la chiesa cattolica esercita nel nostro paese, all’anomala distribuzione dell’8 per mille, ai privilegi degli insegnanti precari di religione cattolica rispetto agli altri docenti, all’assenza di fatto dell’ora alternativa alla religione cattolica nelle nostre scuole con conseguente punizione di chi tenta di organizzarla negli istituti scolastici o attiva una battaglia per la laicità delle aule delle nostre scuole.
Redazione: Via della Piazza del Grano 11 06034 Foligno (PG) tel. 0742510520 Mail: redazionepiazzadelgrano@alice.it Autorizzazione trib. Perugia n° 29/2000 Editore: Sandro Ridolfi Direttore Editoriale Sandro Ridolfi Direttore Responsabile: Giorgio Aurizi Impaginazione e grafica: Andrea Tofi Stampa: Iacobelli srl via Catania 9 Pavona di Albano – Roma Chiuso in redazione 18/12/2009 Tiratura: 5.000 copie Periodico dell’Associazione ”Luciana Fittaioli”
Mail: associazione fittaioli@yahoo.it
FOLIGNO DICEMBRE 2009
Dal centro alle frazioni, le iniziative delle festività natalizie Il Natale a Foligno è iniziato lo scorso 29 novembre, con l’ormai classica accensione delle luci nel Centro storico, che ha dato via ad una lunga serie di appuntamenti per l’animazione del centro storico cittadino. Molte le Piazze coinvolte, a partire dal mercatino di artigianato in piazza della Repubblica, che vedrà la presenza anche di un anteprima, con Chicche di Caffèest, una sorta di festival del caffè, un “Villaggio Colfiorito”, teso a valorizzare i prodotti della montagna, in piazza del Grano, inoltre giochi e spettacoli sono programmati in varie parti del centro storico. Questi sono i principali appuntamenti voluti dall’assessore allo sviluppo economico, Joseph Flagiello e il presidente della Confcommercio territoriale, Aldo Amoni. Tra le altre iniziative il presidente della Confcommercio ha messo in rilievo i giochi e gli spettacoli dell’Albero Magico, rivolti ai bambini, oltre alla musica itinerante della Magica Boola Band e l’arrivo di Babbo Natale in carrozza. “Natale Insieme” è invece un
Spettacoli ed eventi a cura di Piter Foglietta
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Gli appuntamenti di Natale a Foligno e dintorni progetto rivolto alla solidarietà, con molti eventi per i più piccoli ed è stato presentato dall’Associazione Innamorati del Centro in collaborazione con il Comune di Foligno , Confartigianato, Confesercenti e il sostegno economico della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno. “Si chiama ‘Natale insieme’ perché è rivolto alla solidarietà – ha spiegato Cristiana Mariani, presidente dell’associazione – con tanti appuntamenti per i piccoli”. Dal 17 al 24 dicembre, dalle 10 alle 20, ci saranno i mercatini di Natale (artigianato, antiquariato, collezionismo) mentre il 2 gennaio – successivamente sempre il primo sabato di ogni mese – ci sarà un mercatino dell’antiquariato, sempre in piazza Matteotti. Previsti in tutti i weekend l’animazione per bambini con mini eventi tematici. Per il 6 gennaio prevista la Befana dei bambini con la distribuzione di regali in piazza della Repubblica. L’assessore allo sviluppo economico, Joseph Flagiello, ha ricordato la filosofia delle diverse iniziative promosse per il Natale ricordando che
“il Comune ha scelto di investire sul Natale, contrariamente a tanti altri Comuni, per sostenere con forza il tessuto economico folignate per favorire l’accoglienza dei visitatori”. “L’obiettivo inoltre è quello di ‘occupare’ l’intero centro storico – ha detto Flagiello – con appuntamenti dislocati nelle varie piazze. Questo di-
Grande successo il concerto “In viaggio con De Andrè” nel decennale della sua scomparsa
mostra che c’è stato un coordinamento dei diversi appuntamenti previsti”.Per vivere una suggestiva rappresentazione del Natale, unita ad una breve gita fuori porta, vale sicuramente la pena visitare il “Paese Presepe”di Rasiglia. L’incanto di questo piccolo borgo unito alla sapiente ricostruzione degli ambienti e soprattutto al tangi-
GIOVEDÌAL CINEMA
bile coinvolgimento degli abitanti del paese, conferiscono a questa rappresentazione della natività contorni fiabeschi . Il 26 dicembre e il 6 gennaio, dalle ore 17 alle ore 19, si anima per le vie del paese il presepe vivente, storicamente ambientato agli inizi del ‘900. Tutti partecipano al presepe proponendo i vari mestieri praticati nella
piccola frazione nel suo periodo più fiorente. Sono attivi falegnami, fabbri, calzolai, tessitori, lavandaie, tintori, osti e speziali. Il mercato festoso e colorato invade le viuzze del paese, il pittore ferma per sempre quell’attimo e lo scrittore rilega le sue riflessioni. I sarti tagliano le stoffa e confezionano i vestiti, il latte caldo e cagliato diventa formaggio, il maniscalco prepara i ferri per i cavalli che porteranno “i magi” con i loro doni: olio, fiori di lavanda, farina di polenta. Nell’aula, sotto la guida della maestra, i bambini siedono composti. Lo spazzacamino si aggira fra la gente. Si propagano nell’aria con le note di una nenia antica, l’odore del pane appena sfornato e della polenta calda e saporita, il profumo delle frittelle e del vino caldo offerto nella locanda piena di dolci. La manifestazione ha lo scopo di coinvolgere le nuove generazioni che, integrandosi e collaborando con genitori e nonni, possano con uno sguardo rivolto al passato scoprire un patrimonio storico, culturale e ambientale che restituisca il gusto e l’orgoglio
INIZIA ZOEGARAGE LABORATORI TEATRALI
Un altro Cinema è possibile il 7 gennaio con La Casa sulle Nuvole di Claudio Giovannesi (Italia 2009, 96’) il14 gennaio con Il Canto di Paloma di Claudia Llosa (Perù 2009, 94’) ed il 21 gennaio con L’Ultimo Pulcinella di Maurizio Scaparro (Italia 2008, 89’). Buona Visione.
STAGIONE DI PROSA
Tutto esaurito all’Auditorium San Domenico per il progetto-spettacolo “In viaggio con DeAndrè", che ha visto come principali attori i Filarmonici di Belfiore, i quali si sono egregiamente esibiti su una serie di partiture totalmente arrangiate e modellate sugli originali da Marco Pontini che ha curato anche l'aspetto direttoriale della serata. Dieci anni sono passati dalla scomparsa e come ogni mito che si rispetti, quello di Fabrizio de Andrè è sempre più vivo che mai. La miriade e la moltitudine di eventi legati a questa ricorrenza, che in Italia sgorgano spontaneamente, stanno forse ad indicare, che sostanzialmente ci mancano le sue parole, la sua musica, ma forse e soprattutto la capacità che possedeva di leggere nei nostri usi, cos-
tumi e vizi, prima che noi stessi fossimo capaci di farlo. Per intenderci era il 1996 quando Princesa, pezzo di straordinaria attualità, veniva dall’autore stesso così presentato: Il meglio della cultura viene sollecitato da persone che si trovano in minoranza e che proprio per i loro doni vengono emarginate e all'occorrenza perseguitate. Un esempio classico sono gli individui che nascono con caratteristiche esteriori appartenenti a un sesso che non corrisponde alla loro identità più profonda. L'iniziativa In Viaggio con Fabrizio de Andrè è espressione dell'attività della Filarmonica di Belfiore nell'ambito del "Progetto Accademia" che a partire dal 2005 ha lo scopo di raccogliere intorno al nucleo storico dei filarmonici un
gruppo di musicisti, altamente specializzati, che collaborano alla realizzazione di progetti artistico-musicali unici nel loro genere o comunque assai rari in una realtà come quella dei complessi di fiati. E’ stato riproposto un viaggio attraverso i maggiori successi del cantautore e poeta genovese, intervallati da spezzoni audio originali dell’autore. L’impatto musicale è stato interessante per la coralità dei molti elementi della Filarmonica ben diretti da Pontini, che ha fatto scorrere facilmente il repertorio grazie anche agli originali arrangiamenti. Nella mattinata, ulteriore nota di merito, lo spettacolo è stato presentato alle scolaresche della città. Chi ben semina...
La Stagione di Prosa dopo i successi di Ascanio Celestini e Alessandro Bergonzoni e del Teatro della Tosse, prosegue con il quarto appuntamento della stagione , che vede la presenza di Alessandro Haber nello spettacolo Platonov di Anton Cechov, (Nuova Scena, Arena del Sole, Teatro Stabile di Bologna, Emilia Romagna Teatro Fondazione). Alessadnro Haber sarà in scena con: Susanna Marcomeni, Nanni Garella, Franco Sangermano,Marco Cavicchioli, Claudio Saponi, Silvia Giulia Mendola, Rosario Lisma e la regia Nanni Garella.
L’ Ass. Cult. Zoe, in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Giovanili e alla Cultura del Comune di Foligno, presenta i Laboratori Teatrali Zoe-Garage, laboratori che Zoe organizza a partire dal 2004 e che hanno coinvolto ogni anno dai trenta ai cinquanta ragazzi del comprensorio folignate.Il laboratorio si rivolgerà a ragazzi di età compresa tra i 15 e i 35 anni, che saranno suddivisi in due gruppi in base all'età. Sotto la guida di Michele Bandini ed Emiliano Pergolari della Compagnia Zoeteatro- all’attivo “Quartetto d' Ombre”, “Metallo”, “Malacorte", (prodotti dal Teatro Stabile dell'Umbria) e "The Infant" (ultima produzione di Zoe per il 2009)- si lavorerà sull’improvvisazione e la riscrittura dei testi scelti, facendo del gioco teatrale uno strumento di conoscenza di sé e delle proprie potenzialità, il punto di parten-
za per approfondire il lavoro sull’arte dell'attore a partire da un’idea di teatro come “gioco serio” di espressione e ricerca sull’agire umano ,nella grazia, nella spontaneità, ma anche nel rigore.Gli incontri si svolgeranno la sera di un giorno della settimana ancora da stabilire, nel periodo da dicembre ’09 2009 a Marzo 2010. In itinere saranno realizzati incontri con vari artisti e personalità dello scenario teatrale italiano che saranno presenti all'interno della stagione di prosa di Foligno. In questo modo i ragazzi potranno confrontarsi con una realtà più ampia arricchendo il proprio bagaglio d'esperienza riguardo al teatro italiano e alle diverse modalità d'approccio alla scena. Per informazioni o iscrizioni: zoegarage@hotmail.com Tel3488143957 Web www.zoeteatro.it
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FOLIGNO DICEMBRE 2009
CIAO DIEGO controcopertina
Morto a 31 anni sul lavoro alla Thyssen di Terni
Al presidio notturno fa freddo. E’ una strana giornata quella del 1 dicembre. E’ arrivato l’inverno, il freddo entra dentro e non è solo un fatto di clima. Anche se nel pomeriggio, dopo una breve pioggia per qualche minuto nel cielo è comparso un doppio arcobaleno. Come fosse stato l’ultimo saluto a Diego. Passa il turno delle 22. Entrano in pochi, i comandati, chi deve. Molti si fermano al presidio, continuano le discussioni. Si respira aria di libertà. Di tragica libertà. Dal presidio parte una proposta che subito prende corpo. Visto
che domani, per 24 ore c’è lo sciopero, organizzare una manifestazione unitaria, spontanea, senza bandiere, contro l’azienda, nella città operaia che ha sempre difeso i suoi lavoratori. Che in fondo è figlia dell’acciaieria a cui deve la ricchezza, l’importanza ed anche tante contraddizioni, come l’inquinamento. Una manifestazione che attraversi il centro cittadino e arrivi sino a Palazzo Spada per chiedere un giorno di lutto cittadino per la morte di Diego. Che inviti a partecipare il 10 dicembre alla manifestazione nazionale a Torino
contro le morti per lavoro. La notte passa rapida, altri volantini con l’indizione della manifestazione vengono stampati e sono pronti alle 6 per essere distribuiti ai cancelli. La mattina non entra nessuno, si cerca di ricomporre il dissidio con le gerarchie sindacali cercando di invitarle a partecipare alla manifestazione. La risposta è il boicottaggio dell’iniziativa: partono telefonate dei delegati per convincere gli operai a non partecipare al corteo del pomeriggio. Ma come all’inizio delle lotte del 2004 quando gli operai decidono non c’è
nessun pompiere che possa trattenerli. Quelli di solito riescono a prevalere dopo. Alle 16 siamo alcune decine,viene tolto dal muro della fabbrica lo striscione del presidio di ieri ”Diego Bianchina, 31 anni, operaio Thyssenkrupp, morto di lavoro il 1 dicembre ‘09”. Non arriva l’amplificazione ma ci sono i megafoni. I mezzi sono quelli dell’autorganizzazione ma si respira una rabbia e una solidarietà che sembravano dimenticate a Terni, da almeno 5 anni. Alle 16.30 siamo già qualche centinaio, alle 17 quando partiamo siamo ol-
tre 300. Prendiamo tutto viale Brin ed il corteo si ingrossa. I delegati sindacali, l’apparato tanto attento alle tessere non c’è. Era venuto solo per vedere quanti saremmo stati, quando hanno visto ingrossarsi il presidio sono scomparsi un’altra volta in silenzio. “Assassini, Assassini”, “Non si deve morire di lavoro”, “Morire di lavoro non è fatalità, ma omicidio coperto da omertà”. Gli slogan partono con il corteo che si ingrossa sempre di più e i negozi che abbassano in solidarietà le saracinesche e spengono le luci. C’è rabbia e commozione, partono applausi da parte dei cittadini, molti si uniscono al corteo. A piazza Tacito c’è un minuto di silenzio, il corso è spento, parte uno slogan ed il corteo si rimette in moto. Al corso siamo ormai molte centinaia, tanti escono dai negozi e applaudono, si uniscono al corteo. In piazza della Repubblica si spegne anche la giostra, in piazza Europa tutte le luminarie. Siamo arrivati sotto palazzo
Spada. Si susseguono interventi di operai, rappresentanti del sindacalismo di base, i precari della scuola, un rappresentante della rete umbra “per non morire di lavoro”. Tanti obiettivi pensati ieri notte sono stati raggiunti: una manifestazione immediata per la città subito dopo la morte di Diego. La solidarietà della città. Ora le richieste al Comune: indire un giorno di lutto cittadino. Partecipare alla manifestazione del 10 a Torino contro le morti di lavoro. Adesso vogliamo anche che i responsabili paghino. Ad oggi sono 8 gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Terni, ma non è stato coinvolto nessun dirigente. Per noi chi trae profitto dal lavoro operaio è sempre il primo responsabile delle morti di lavoro e degli incidenti. Da oggi lavoreremo per mettere la salute di chi lavora al primo posto. Ora anche il padrone sa che ogni infortunio grave o morto gli costerà caro… Ciao Diego
supplemento al numero 4 - dicembre 2009 di Piazza del Grano
“MamaAfrika” Miriam Makeba dalla lotta all’apartheid alla lotta alla camorra; la gioia della musica contro la sopraffazione, la violenza, l’ignoranza Miriam Makeba per cinquanta anni ha rappresentato nel mondo la lotta alla discriminazione razziale e per la libertà del suo popolo nel Sudafrica dell’apartheid. La fine di quel regime non ha segnato la fine dell’impegno della grande artista africana contro ogni forma di sopraffazione in tutto il mondo. Miriam Makeba è morta in Italia a Castel Volturno il 10 novembre 2008 dopo un concerto anticamorra organizzato da Roberto Saviano
Là dove ha avuto inizio la storia dell’umanità Parlare dell’Africa significa “lambire” la storia dell’umanità. È in quella terra che è nata la specie umana e da lì si è diffusa e dispersa nel globo cambiano di colori, lingue e culture. Il “mal d’Africa” è forse in questa memoria atavica. Chiunque abbia avuto la possibilità di vedere, anche per pochissimo tempo, l’Africa ne è rimasto colpito e segnato nel profondo, affascinato dalla grandiosità della sua natura. Un solo aspetto ha sempre “stonato” allo sguardo dei bianchi colonizzatori: la presenza degli “uomini neri”. Per oltre cinque secoli l’Africa è stata saccheggiata dai bianchi e le sue popolazioni nere ridotte in schiavitù con una violenza ed una crudeltà che non ha avuto nulla da imparare dalla folle ferocia nazista e ciò anche molti anni dopo la fine delle dittature europee. Questa disumanità ha caratterizzato tutte le colonizzazioni occidentali, compresa quella italiana nella grottesca invasione del “corno d’Africa”, dapprima con la conquista del ridicolo Impero di Etiopia e
poi, anche se con minore violenza, nei protettorati di Eritrea e di Somalia. Negli anni sessanta è iniziato il processo di decolonizzazione, in parte per spinte rivoluzionarie, soprattutto nell’africa araba, in parte per il collasso economico degli Stati colonizzatori quali il Portogallo e la Spagna, in parte infine per l’avvio di una nuova politica di dominio appresa ed indotta dall’emergere della nuova potenza colonialista degli Stati Uniti d’America, politica caratterizzata dal “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Molti Stati fantoccio sono così stati creati secondo confini tracciati dalle potenze occidentali sull’alb u m
geografico del “continente nero”, senza alcun rispetto per le identità etniche e culturali ed anzi spesso (vedi il Ruanda ex belga) col il preciso scopo di costringere più etnie in una difficile convivenza costantemente “manipolabile” per aizzare conflitti tribali quanto mai opportuni per spezzare dall’interno pericolosi tentativi di vera autonomia. Innumerevoli governi fantocci, capeggiati da elite corrotte e comunque di
formazione e dipendenza occidentale sono stati “inventati” dalle potenze coloniali nascoste dietro società nazionali e multinazionali che hanno in tal modo continuato a possedere e saccheggiare le risorse naturali dell’Africa. La “guerra fredda”, che ha garantito l’occidente dal rischio di una terza guerra mondiale potenzialmente nucleare, ha spostato anche in Africa i “campi di battaglia” tra i due blocchi sulla testa, o meglio sulla pelle, delle popolazioni africane. In quegli anni hanno comunque preso avvio numerosi percor-
si di indipendenza, alcuni soffocati nel sangue che ancora oggi scorre copioso in talune regioni centro africane, altri invece, più fortunatamente, seppure a grandissimo prezzo, approdati ad esiti positivi. Non pretendiamo in questo piccolo inserto di trattare la complicatissima e variegatissima storia dell’Africa post coloniale. Racconteremo, o almeno proveremo a ripescare da una memoria sapientemente rimossa, alcuni episodi che hanno visto fare ingresso anche in quell’immenso continente di quello “spettro”
che verso la fine dell’ottocento ha cominciato ad “aggirarsi per l’Europa”: il comunismo.
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Comun d’Afr
PatriceLumumba ilLeninNero “Due occhi iniettati di sangue che roteano dietro gli occhiali in quella testa da Lenin africano”
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Così i suoi assassini, il militare belga Gerard Soete e l’agente CIA Lawrence Devlin, descrivevano il primo ministro democraticamente eletto della neonata Repubblica del Congo. Patrice Lumumba, nato in una piccola città del centro del Congo, avendo avuto la possibilità di studiare dapprima in scuole cattoliche e poi protestanti in totale mancanza di strutture scolastiche pubbliche, riuscì a far parte di quella esigua minoranza di poco più di centomila congolesi, su milioni di abitanti, ai quali il governo belga aveva concesso il diritto di poter lavorare per imprese belghe, più o meno come un liberto (schiavo liberato) dell’antica Roma. Nel 1958, a poco più di trenta anni, Lumumba è a capo della prima formazione politica “nera” congolese, il Movimento Nazionalista Congolese che, alle prime elezioni libere dopo la dichiarazione di indipendenza del Congo “graziosamente” concessa dal re Baldovino nel giugno 1960, vince le elezioni e Lumumba viene nominato primo ministro. Lumumba aveva studiato Marx e si era avvicinato al movimento comunista mondiale senza mai averlo ufficialmente reso pubblico, tanto che fu uno shock inatteso il suo primo discorso di insediamento alla presenza del re belga quando, dopo avere ascoltato con crescente nervosismo la paternale del “buon re” che spiegava ai congolesi quanto fossero debitori del Belgio per la concessione della loro indipendenza, prese la parola e disse: “Nessun congolese degno di questo nome potrà mai dimenticare che l’indipendenza è stata conquistata giorno per giorno. Noi abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti, le sferzate e dovevamo soffrire da mattina a sera perché eravamo negri, Chi dimenticherà le celle dove furono gettati quanti non volevano sottomettersi a un regime di ingiustizia, di sfruttamento e di oppressione?”. La reazione del Belgio, sostenuta da tutte le potenze coloniali europee e dagli Stati Uni-
ti, fu immediata. La paura di un contagio indipendentista rivoluzionario e comunista, dopo l’esperienza della rivolta algerina, indusse le potenze coloniali a provocare ed organizzare la secessione della regione del Katanga ricchissima di minerali preziosi e strategici, “inventando” il leader secessionista Tciombè ed armandolo con un esercito di mercenari belgi. Lumumba ricorse all’intervento dell’ONU che si limitò, tuttavia, a mandare alcuni caschi blù tra i quali, per chi lo ricorda, anche un contingente italiano della Folgore che venne massacrato dagli stessi mercenari di Tciombè. Per fermare definitivamente il “Lenin africano” le potenze coloniali ricorsero allora al consumato espediente del colpo di stato militare assoldando per tale compito un colonnello alcolizzato, Joseph Mobutu, che depose il governo democraticamente eletto assumendo tutti poteri, fece arrestare Lumumba, ma anziché processarlo, lo consegnò nelle mani dei mercenari dell’esercito secessionista del Katanga. Il 17 gennaio 1961 Patrice Lumumba fu fucilato, il suo corpo fu fatto a pezzi e sciolto nell’acido. Allora regnava in Belgio il “mite” re Baldovino, governava in Francia l’antifascista generale De Gaulle, negli Stati Uniti era stato eletto presidente John Fitzgerald Kennedy. Lumumba aveva solo 35 anni; dopo, 35 anni di potere assoluto del capo tribù Mobutu, corrotto ed indebitato, abbandonato e deposto dagli stessi che lo avevano portato al potere per essere sostituito da un altro generale, Desirè Kabila, a sua volta ucciso e sostituito dal figlio, attuale presidente. Lumumba diversi anni fa è stato riabilitato come eroe nazionale dal suo stesso assassino Mobutu, ma il suo paese è ben lontano dall’avere raggiunto non solo la democrazia, ma la stessa pace interna, ancora percorso da eserciti tribali sempre sul punto di
Thomas Sankara il Che Guevara africano “Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità” Thomas Sankara è stato un leader carismatico per tutta l’Africa Occidentale subsahariana. Nato da una famiglia cattolica scelse la carriera militare e durante il periodo dell’addestramento in Madagascar scoprì il marxismo. Più tardi, divenuto presidente della Repubblica, introdusse nelle accademie militari l’obbligo dell’istruzione sostenendo che i militari, per svolgere bene la loro funzione di difesa democratica, dovevano essere istruiti. Tornato nel suo paese, allora chiamato Alto Volta, fondò il Raggruppamento degli Ufficiali Comunisti. Divenuto per elezione democratica primo ministro venne destituito ed arrestato dopo una visita in Alto Volta del figlio dell’allora presidente della Repubblica francese il socialista Francois Mitterand. L’arresto provocò una rivolta che sfociò in una vera e propria rivoluzione e nel 1983 Sankara divenne presidente della Repubblica dell’Alto Volta alla quale lui stesso cambiò il nome in Burkina Fasu, coniugando due parole delle due lingue prevalenti nella regione, termine che vuol dire “paese degli uomini integri”. Nei quattro anni del suo governo Sankara introdusse in-
novazioni e realizzò opere straordinarie. In un paese in cui l’aspettativa di vita non raggiungeva i 40 anni Sankara diede vita a quella che la stessa Unicef definì la più grande campagna di vaccinazione di massa di bambini mai realizzata. In uno storico discorso all’O-
NU Thomas Sankara disse: “Parlo a nome delle madri che noi nostri Paesi impoveriti vedono i propri figli morire di malaria o di diarrea, senza sapere dei semplici mezzi che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo investire in laboratori cosmetici o nella chirurgia
plastica a beneficio del capriccio di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi della assunzione calorica nei loro paesi, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel”. Governando un paese di forte influenza musulmana Sankara proibì l’infibulazione e la poligamia, inserì un grande numero di donne negli esecutivi del governo e per primo denunciò la gravità della diffusione dell’AIDS in Africa dando vita ad una grande campagna sanitaria per la diffusione dell’uso dei profilattici. Tom, come lo chiamavano i suoi sostenitori, passò anche alla “leggenda” per avere venduto tutte le Mercedes blu, sostituendole con la Renault 5, proclamata automobile ufficiale di rappresentanza del governo. Venne ucciso il 15 ottobre 1987 nel corso di un colpo di stato organizzato da un ex compagno d’armi, Blaise Compaorè, attuale presidente del Burkina Fasu; molti hanno visto dietro quell’esecuzione l’ombra lunga della Francia di Francois Mitterand. Dopo la sua morte il Burkina Fasu è ripiombato nella miseria e nell’ignoranza.
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Chi si ricorda di lui? Dag Hammarskjold, svedese, fu segretario generale dell’Onu e premio Nobel per la pace alla memoria
Dag Hammarskjold, svedese, diplomatico, economista, scrittore, premio Nobel per la pace “alla memoria”. Chi si ricorda di lui? Eppure fu segretario generale dell’Onu per due mandati dal 17 aprile 1953 al 17 settembre 1961. Nel suo secondo mandato Hammarskjold si trovò ad
affrontare la crisi della neonata Repubblica del Congo, opponendosi strenuamente alla secessione della ricca regione mineraria del Katanga, secessione ordita dal governo belga con l’accordo degli Stati Uniti. Scomparve in un incidente aereo nei cieli dello Zambia. Le cause di quell’inci-
dente non vennero mai chiarite ma resta forte la convinzione che, in verità, si fosse trattato di un attentato organizzato direttamente dall’Unione Mineraria belga, “padrona” delle risorse minerarie del Katanga e finanziatrice dell’esercito mercenario di Tciombé.
Agostino Neto, medico, guerrigliero, presidente, poeta: il padre dell’Angola indipendente
Eduardo Mondlane pastore, sociologo e guerrigliero Eduardo Mondlane è considerato il padre del Mozambico indipendente anche se non ebbe la fortuna di vedere realizzato il suo sogno. Nato come pastore riuscì caparbiamente a studiare dapprima nelle scuole private inferiori in Mozambico, poi nelle superiori in Sudafrica da dove venne cacciato con l’avvento delle leggi dell’apartheid. Proseguì gli studi negli Stati Uniti dove riuscì persino a laurearsi. Tornato in Africa fondò in esilio a Dar-es-Salam in Tanzania il Frelimo, Fronte di Liberazione del Mozambico, del quale rimase a capo sin al 1969 quando venne ucciso in un attentato terroristico dalla Gladio portoghese, emanazione della Cia statunitense. La sua morte non fermò la guerriglia del Frelimo che nel 1975 ottenne l’indipendenza dal Portogallo e diede vita ad un governo comunista del Mozambico. La pace seguita alla vittoria della lunga guerra di liberazione durò assai poco, interrotta da un colpo di stato provocato e sostenuto dalle nuove potenze coloniali occidentali e dai razzisti bianchi del Sudafrica e della Rhodesia, che condusse ad una unga guerra civile guidata dal Renamo cessata solo nel 1992 con la sconfitta dei mercenari controrivoluzionari. Da allora il Frelimo governa democraticamente il Mozambico forte di un consenso elettorale ampiamente maggioritario.
Nel settembre 1975 in seguito al collasso del regime fascista del Portogallo di Salazar la colonia dell’Angola conquistò la propria indipendenza. La caduta del fascismo portoghese certamente agevolò l’indipendenza dell’Angola, ma la stessa fu soprattutto il frutto di una lunga e sanguinosa guerra di liberazione intrapresa dal Mpla, Movimento Politico per la Liberazione dell’Angola, fondato dal Partito Comunista Angolano nel 1956 con il braccio armato delle Fapla, Forze Armate per la Liberazione dell’Angola che, dopo la dichiarazione di indipendenza, costituirono l’esercito angolano. Di questo movimento popolare e del suo braccio armato Agostino Neto fu l’ispiratore e la guida e nel 1975 assunse la presidenza della Repubblica dell’Angola libera, carica che ricoprì sino alla morte per malattia avvenuta nel 1979 a Mosca. Agostino Neto, cresciuto a contatto con i quartieri più poveri di Luanda, durante gli studi universitari in Portogallo entrò nel Partito Comunista e venne più volte arrestato dal regime fascista portoghese provocando l’intervento di Amnesty International che nel 1957 lo dichiarò “prigioniero politico dell’anno”. Tornato nel suo paese alla guida del movimento politico e dell’esercito di liberazione riuscì a coniugare la lotta armata con la poesia alla quale si dedicò per tutta la vita nel-
“Noi dell’Africa immensa ecco le nostre mani aperte alla fratellanza del mondo per la Pace ecco le nostre voci” la ricerca della identità storica e culturale angolana soffocata dai secoli di dominazione portoghese. La conquista della indipendenza dal dominio portoghese non portò tuttavia la pace in Angola. Nuove potenze coloniali stesero le loro aspettative sulle risorse e ricchezze naturali dell’Angola scatenando e sostenendo, con denaro, armi e truppe mercenarie una guer-
ra civile che durò ancora trenta anni sino alla disfatta della formazione controrivoluzionaria dell’Unita direttamente organizzata dal regime sudafricano dell’appartheid. Nella difesa della libera Repubblica angolana fu determinante il contributo dell’esercito cubano giunto in soccorso tecnico e militare al piccolo esercito guerrigliero
ancora non strutturato del Fapla, per respingere il tentativo di invasione dell’Angola da parte dell’esercito sudafricano. Nell’Angola libera e pacificata, oggi governata con un ampio consenso elettorale dall’Mpla-Partito del Lavoro, resta forte l’insegnamento identitario di Agostino Neto: “Non stiamo ad aspettare gli eroi, se uniamo le nostre voci e le nostre braccia saremo nei stessi gli eroi. Difendiamo palmo a palmo la nostra terra, mandiamo via i nemici e cantiamo in una lotta viva ed eroica. Domani intoneremo inni alla libertà, quando commemoreremo la data dell’abolizione di questa schiavitù”
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Che Guevara: «I miei sogni non avranno frontiere almeno finché le pallottole non avranno l’ultima parola» E’ la primavera del 1965 il “numero due” della rivoluzione cubana, truccato da signore di mezza età, quasi calvo, con gli occhiali ed ingrassato, parte dall’aeroporto di Avana, destinazione il Congo ex belga. In quell’immenso Stato centroafricano dilaniato dalla guerra interna innescata dalla secessione del Katanga di Tciombé, gli eredi della breve esperienza del governo democratico di Lumumba stanno organizzando la resistenza in un’area ai confini con la neo costituita Repubblica della Tanzania di Neyrere. Il Che parte per l’Africa seguendo il suo sogno dei “due, tre, mille Vietnam” per abbattere l’imperialismo “yanqui” che stava minacciando la sopravvivenza di Cuba. Il Che programma almeno cinque anni di presenza cubana in Congo necessari per creare ed addestrare un vero esercito rivoluzionario congolese. L’esperienza durerà solamente sette mesi e si concluderà con una rotta disastrosa dei sopravvissuti del piccolo manipolo di
guerriglieri cubani attraverso il lago Tanganica, in salvo nell’ancora amica Tanzania. L’esperimento rivoluzionario era fallito, l’innesco non aveva funzionato. Si dice che fu persino necessario un accordo ai massimi livelli internazionali per salvare la vita al “numero due” di Cuba e consentirgli di tornare libero e vivo in Europa. Molti avvenimenti di importanza mondiale erano accaduti nei pochi mesi della permanenza del Che nella giungla congolese, l’esperimento socialista di Ben Bella nell’Algeria liberata dalla dominazione coloniale francese era stato bruscamente interrotto dal colpo di stato di Boumedienne, la “guerra fredda” tra gli USA e l’URSS aveva congelato anche l’Africa, la Cina di Zhou Enlai aveva dato inizio alla penetrazione cinese in Africa, soprattutto Cuba, con la storica conferenza della Tricontinentale di Avana del febbraio 1966, aveva assunto la leadership dei blocco dei “paesi non allineati” con la Yougoslavia di Tito e
l’India di Ghandi. Ma un altro e ben più grave fu l’errore di interpretazione politica nel quale cadde l’Eroico Guerrigliero, errore del quale lui stesso prese consapevolezza solo nella fase finale della ritirata ed annotò nei suoi diari dal Congo. Il Che era nato e si era formato nel cosiddetto “cono europeo” dell’America del Sud assorbendo, suo malgrado, l’idea “eurocentrica” della storia del mondo, e così cadendo anche lui nella presunzione della possibilità di “esportare” le esperienze rivoluzionarie occidentali nell’immenso continente africano, non conoscendone, se non molto sommariamente, la sua storia e la sua cultura. La “miccia” rivoluzionaria non si era innescata non per la incapacità dei popoli d’Africa di ribellarsi alla sopraffazione coloniale, ma perché il “detonatore” non era africano. Alcuni anni più tardi i cubani torneranno in Africa con un vero e proprio esercito composto da circa 60.000 effettivi, ma questa volta sarà in aiuto ad uno
Stato, l’Angola, che aveva già preso coscienza di se stesso ed aveva iniziato il suo autoctono ed autonomo percorso di liberazione. Il risultato fu estremamente positivo: con l’aiuto dell’addestrato esercito cubano la giovane repubblica angolana riuscì a respingere l’invasione delle truppe mercenarie organizzate e sostenute dal Sud Africa e mantenere la sua libertà ed indipendenza. Di quell’esperienza africana del Che ci piace ricordare un aspetto dell’uomo e del padre affettuoso che sosteneva l’immagine eroica dell’indomito combattente per la libertà del mondo. Un breve messaggio scritto in una cartolina che Ernesto invio alla piccola figlia Aliusha: “Piccolina, stavo guardano le gazzelline correre nella savana e mi sono ricordato di te. I leoni ci sono soltanto qui, così nel nostro paese le gazzelline potranno correre senza che nessuno le insegua. Continua ad andare a scuola e dai un bacino da parte mia al tuo nuovo fratellino. Un bacio papà”.
La cartolina (fronte e retro) che Ernesto “Che” Guevara inviò dal Congo alla figlia Aliusha
La via per l’emancipazione La democrazia non si esporta, può nascere solo dall’interno
IV
Tutte le “grandi democrazie”, occidentali per prime, ma anche orientali “reali”, hanno avuto (ed ancora purtroppo hanno) l’arroganza di possedere il modello perfetto di democrazia e quindi la presunzione di poterlo/doverlo insegnare ai popoli sottosviluppati, ai primitivi, e quando questi ultimi mostrano di non gradire i loro insegnamenti “missionari”, hanno pensato di spiegarli meglio con invasioni, bombardamenti, occupazioni e “protettorati”. Ma la Storia, quella con la “S” maiuscola, ci ha insegnato da tempo che la democrazia può essere solo il risultato, il punto di approdo, di una crescita che parte dall’interno di quei popoli, della loro storia, della loro cultura, della loro capacità di autodeterminazione. Perché questo percorso prenda avvio occorre però che prima vengano sconfitti i tre “cavalieri dell’Apocalisse”: la fame, la malattia, l’ignoranza. Solo un popolo sano ed istruito può prendere consapevolezza di se stesso, delle proprie aspettative, dei propri diritti ed emanciparsi. Impedire questo percorso saccheggiando le ricchezze del così detto terzo o quarto mondo, inducendolo a disperdere e dissipare i propri patrimoni in guerre tribali aizzate e sostenute dall’esterno, creare governi corrotti e venduti tiranni dei loro stessi popoli, è stata da sempre la
Da Sharm el Sheikh a Copenaghen
strategia vincente delle “grandi democrazie”. Qualcosa sta cambiando. Il “mercato”, il “libero mercato” cuore del capitalismo moderno, paradossalmente, sta corrodendo dall’interno se stesso. Tutti ricorderanno l’esperienza dell’ENI di Enrico Mattei, quando tentò di sovvertire le “regole del gioco” imposte dalla “Sette Sorelle” (le grandi compagnie petrolifere che, unite in un “cartello”, un patto commerciale blindato, si erano spartite le risorse energetiche del mondo), proponendo ai governanti dei paesi produttori di condividere la gestione
dello sfruttamento dello loro risorse naturali. Oggi nuovi soggetti sempre più potenti stanno invadendo lo scenario del mercato mondiale delle risorse energetiche, offrendo a quei paesi, o almeno per ora ai loro governi, nuovi patti assai più vantaggiosi. La Cina, il nuovo gigante dell’economia mondiale, sta invadendo l’Africa, non con eserciti, né con denaro, ma con opere. La principale merce di scambio che la Cina propone oggi ai paesi del terzo mondo ricchi di risorse energetiche è la costruzione di infrastrutture: strade, ponti, dighe, porti e
strada facendo le strutture complementari: fabbriche, scuole, ospedali. Certamente anche le nuove potenze economiche emergenti perseguono il fine di acquisire le risorse energetiche necessarie al sostegno del loro sviluppo economico interno, ma creano e lasciano in quei paesi i presupposti per una autonoma crescita interna che sconfigga la fame, le malattie, l’ignoranza. Il resto spetterà a quei paesi, ai quei governanti, a quei popoli; spetterà a loro e solo a loro intraprendere la strada per una democrazia propria e non importata.
Lo sviluppo, la crescita economica, quello che noi comunemente chiamiamo il “benessere” ha un prezzo: l’ambiente. Il benessere utilizza e sfrutta e, infine, consuma l’ambiente. Negli ultimi cento anni una minoranza dell’umanità ha sostenuto la propria crescita, consumando a piene mani l’ambiente di tutti, anche quello degli altri. Questi “altri”, questa maggioranza ha iniziato a rivendicare il proprio diritto al benessere e quindi il diritto a consumare anche lei l’ambiente. Oggi ci si sta rendendo conto che non ce ne è per tutti; l’ambiente, il nostro mondo, non è in grado di sostenere l’attuale ritmo di crescita del “diritto al benessere” di tutti i suoi abitanti. Il mondo è diviso in due, anzi, in tre. L’occidente che punta il dito accusatore sulle nuove economie emergenti eccessivamente dinamiche ed affamate di benessere. Queste seconde puntano il loro dito sull’occidente incapace di porre un freno alla sete di ulteriore benessere. Poi ci sono i terzi, il terzo mondo che rischia di non trovare più lo spazio vitale per la sua speranza di benessere. L’occidente è in una crisi eco-
nomica della quale continua a non voler capire la ragione ed insiste nell’unica direzione che conosce: l’aumento dei consumi. Dall’altro gli immensi popoli emergenti che sono disposti a “bruciare” tutto per il loro diritto al benessere. Perché possa coesistere crescita e tutela dell’ambiente occorre un forte investimento nella ricerca scientifica e nell’applicazione di sistemi di produzione protetti. Ma non basta che i paesi ricchi facciano tale sforzo in casa loro sviluppando i loro sistemi di produzione ecocompatibili, occorre anche che gli stessi forniscano ai paesi emergenti i mezzi tecnologici e finanziari per consentire anche a loro di inseguire il legittimo diritto al benessere. Il 9 ed il 10 novembre scorsi si è tenuta in Egitto, a Sharm el Sheikh, la Quarta Conferenza della Cooperazione Cino-Africana. Tra gli otto nuovi punti del programma di cooperazione il primo concerne proprio i cambiamenti climatici con l’impegno della Cina a finanziare, raddoppiando le somme già promesse, 100 impianti di produzione di energia pulita: solare, bio gas ed idroelettrica.
Inserto a cura di Sandro Ridolfi